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Articolo 640 Codice Penale

(R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398)

[Aggiornato al 23/02/2024]

Truffa

Dispositivo dell'art. 640 Codice Penale

Chiunque, con artifizi o raggiri(1), inducendo taluno in errore(2), procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno(3), è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 51 a euro 1.032(4)(5).

La pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 309 a euro 1.549(6):

  1. 1) se il fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico o dell'Unione europea o col pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare(7)(8);
  2. 2) se il fatto è commesso ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario o l'erroneo convincimento di dovere eseguire un ordine dell'Autorità [649](9);
  3. 2-bis) se il fatto è commesso in presenza della circostanza di cui all’articolo 61, numero 5(10).

Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra taluna delle circostanze previste dal capoverso precedente(11).

Note

(1) La dottrina prevalente propende per una interpretazione estensiva della norma, quindi comprensiva di qualsiasi simulazione o dissimulazione o subdolo espediente posto in essere per indurre taluno in errore, anche se si tratta di silenzio o reticenza, se costituiscono violazione di uno specifico obbligo giuridico di comunicazione.
(2) Secondo la giurisprudenza non integra il reato l'astratta idoneità dei mezzi utilizzati, bensì solo la loro concreta idoneità ad indurre in errore la vittima, da valutarsi tenendo conto della particolare situazione di fatto, delle modalità di esecuzione del reato e della situazione psichica ed intellettuale della vittima.
(3) L'errore della vittima deve portare conseguenzialmente al profitto dell'agente e al danno dell'offeso, i quali devono essere strettamente legati tra loro. Mentre il danno deve avere necessariamente carattere patrimoniale, il profitto può avere anche natura morale o affettiva, in grado così di avvantaggiare l'agente o un terzo.
(4) La dottrina maggioritaria ritiene che dall'errore derivi anche un atto di disposizione patrimoniale posto in essere dal soggetto, elemento cui la norma non fa riferimento, ma che sarebbe insito nella fattispecie di truffa, la quale si basa sulla cooperazione della vittima.
(5) Un'ipotesi particolare è rappresentata dalla c.d. truffa processuale, che si verifica quando una della parti di un giudizio civile, inducendo in inganno il giudice con artifici o raggiri, ottenga una sentenza o un provvedimento a lui favorevole e, quindi, dannoso per l'altra parte. Dal momento però che la frode processuale trova già una sua considerazione nei casi previsti dall'art. 374, si ritiene che la norma in esame non possa riferirsi anche ai comportamenti fraudolenti tenuti da una delle parti in sede processuale.
(6) Si tratta di una serie di circostanze aggravanti speciali di natura oggettiva, che quindi si estendono ai concorrenti ex art. 118.
(7) In caso di condanna per il reato in esame troverà applicazione l'art. 32quater ovvero l'applicazione della pena accessoria della incapacità di contrattare con la P.A..
(8) Secondo alcuni autori questa circostanza dovrebbe considerarsi invece quale fattispecie autonoma di reato.
(9) Tale circostanza si differenzia dal delitto di estorsione (v. 629), in quanto questo richiede la prospettazione di un male futuro il cui verificarsi dipende dalla volontà dell'autore, mentre il timore di un pericolo immaginario o l'ordine dell'autorità sono prospettati come indipendenti dalla volontà del soggetto attivo.
(10) Il presente numero è stato aggiunto dall’art. 3, comma 28, della l. 15 luglio 2009, n. 94.
(11) Comma modificato dal D. Lgs. 10 ottobre 2022 n. 150 (c.d. "Riforma Cartabia").

Ratio Legis

La disposizione in esame è diretta a tutelare sia il patrimonio del singolo che la libertà dello stesso a prestare un valido consenso.

Brocardi

Falsitas est dolosa veritatis immutatio in praeiudicium alterius

Spiegazione dell'art. 640 Codice Penale

L'articolo in oggetto è posto a tutela del patrimonio e della libera formazione del consenso in seno al soggetto passivo. Più nello specifico, la punibilità non deriva solamente dalla lesione alla sfera patrimoniale del singolo, già tutelato dalla disciplina in materia di contratti, bensì anche dell'interesse pubblicistico a che non sia leso il dovere di lealtà e correttezza e la libertà di scelta dei contraenti. Tuttavia, non bastando la mera violazione di un tale dovere, per la consumazione del reato è richiesta anche una effettiva lesione del patrimonio altrui, conseguendo un ingiusto profitto.

L'ipotesi di reato in questione rappresenta un reato in contratto, caratterizzato dal comportamento illecito manifestato nel corso della formazione dell'accordo.

Data la precisa formulazione letterale, trattasi inoltre di reato a forma vincolata. Viene infatti punito chi, ricorrendo ad artifizi o raggiri, induce taluno in errore, determinando uno spostamento patrimoniale in favore del colpevole.

Per artifizio va intesa la simulazione o la dissimulazione della realtà, in modo da indurre in errore il soggetto passivo.

Per raggiro deve invece intendersi ogni macchinazione atta a far scambiare il falso con il vero.

Nonostante l'accennata naturale necessariamente causale del reato, la giurisprudenza ha gradualmente finito per svalutare il ruolo della condotta enucleata, al fine di ricomprendervi anche il mendacio o il silenzio, quando, per le modalità concrete, appaiano idonei ad ingannare. Anche il silenzio maliziosamente serbato da parte di chi abbia il dovere di informare l'altro contraente su determinate caratteristiche dell'affare può dunque integrare il reato di truffa.

Gli artifizi o i raggiri devono essere idonei ad indurre in errore la vittima. L'errore può ricadere indifferentemente sui motivi, su uno dei vari elementi elencati dall'articolo 1429 c.c. O su qualsiasi aspetto della realtà fattuale che abbia determinato la volontà contrattuale del soggetto passivo.

L'atto di disposizione patrimoniale è un elemento costitutivo del reato, motivo per il quale si nega la sussistenza del delitto qualora il raggirato non abbia in concreto i poteri rappresentativi per incidere sulla sfera patrimoniale del rappresentante.

La giurisprudenza prevalente ritiene inoltre che la truffa si configuri anche laddove il dolo incida solamente sulla fase esecutiva del negozio, di modo che gli artifici o i raggiri siano in grado di produrre l'ingiusto profitto ed il contestuale danno.

Per danno si intende una effettiva perdita patrimoniale nei termini di lucro cessante e di danno emergente, mentre per profitto si intende anche un vantaggio di natura non patrimoniale, come nel caso di mera soddisfazione psicologica derivante da un desiderio di rivalsa o di vendetta personale.

Per quanto concerne l'elemento soggettivo, la truffa è punibile a titolo di dolo generico, con conseguente irrilevanza degli scopi perseguiti.

Il secondo comma disciplina varie ipotesi di circostanze aggravanti specifiche, giustificate dalla particolare qualifica del soggetto passivo o dalle particolari modalità delle condotta.

///SPIEGAZIONE ESTESA
La truffa è l'induzione di un soggetto in errore, mediante l'utilizzo di artifizi o raggiri, col fine specifico di ricavare un ingiusto profitto procurando un danno altrui.
Il reato di truffa è collocato sistematicamente all'interno del Titolo XIII del Codice Penale "Delitti contro il patrimonio" ed è il primo reato del Capo II "Dei delitti contro il patrimonio mediante frode".
Questo delitto si distingue:
  • dal reato di furto ex art. 624 c.p., poiché la truffa non consiste nell'impossessamento invito domino (contro la volontà del proprietario) ma nel procurarsi un profitto attraverso il consenso del titolare viziato dall'inganno;
  • dal reato di furto aggravato per l'uso del mezzo fraudolento ex art. 625 n. 2 c.p., perché in quest'ultimo delitto il raggiro costituisce il mezzo attraverso il quale agevolare la sottrazione;
  • dal reato di appropriazione indebita ex art. 646 c.p., perché nella truffa è presente un inganno per ottenere la consegna della cosa, diversamente dal reato di appropriazione in cui si fa propria illegittimamente la cosa della quale si ha il possesso senza alcun inganno del proprietario;
  • dal reato di falso ex artt. 476 e ss. c.p., perché, nonostante ci sia un'alterazione del vero, nella truffa non è presente una falsificazione documentale o strumentale.
Inoltre, la truffa per incusso timore ex art. 640 n.2, si differenzia dall'estorsione (629 c.p.) poiché, in quest'ultimo reato, il pericolo che si rappresenta è reale e non immaginato.
Un ulteriore argomento di discrimine è rappresentato dal rapporto tra soggetto attivo e soggetto passivo.
Se nel furto, nella rapina e nell'appropriazione indebita, la condotta proviene integralmente dal soggetto attivo del reato, attraverso l'autonoma realizzazione dell'offesa alla vittima, diversamente, nel reato di truffa, così come nell'estorsione, si instaura un rapporto d'interazione tra il reo e la persona offesa.
La persona offesa, nel reato di truffa, diversamente dai reati prima citati, non si limita passivamente a subire l'offesa, ma anzi collabora col reo, costituendo col proprio consenso, atti di disposizione patrimoniale in danno a se stessa.

Gli elementi costitutivi del delitto sono: i soggetti, la condotta, l'oggetto materiale, l'evento, il dolo specifico.

I soggetti necessari sono rispettivamente: il deceptor ed il deceptus.
Il deceptor è il contraente in mala fede che attraverso la condotta di artifizio o raggiro induce in errore il deceptus, il contraente raggirato.
Riguardo al soggetto passivo del reato di truffa, nella giurisprudenza prevalente si è affermato il principio di diritto secondo il quale può non sussistere una necessaria identità fra la il soggetto indotto in errore e la persona offesa (e cioè titolare del bene patrimoniale leso), ben potendo la condotta criminosa essere indirizzata anche ad un soggetto diverso dal titolare del bene, sempre che vi sia un rapporto eziologico tra l'induzione materiale in errore e l'ingiusto profitto mediante altrui danno.

La condotta nel delitto di truffa può consistere sia in azioni che in omissioni, sia in atti materiali che in atti psicologici, purché siano diretti ad indurre in errore.
Il modo della manifestazione di questi atti, tuttavia, è tassativizzato dalla norma, e cioè, dovrà consistere in forma alternativa, in artifizi o raggiri. Per quanto detto, qualora la manifestazione si differenziasse da tale forma, non sussisterà il reato di truffa.

Per artifizio si intende qualsivoglia simulazione o dissimulazione della realtà che crei una falsa apparenza volta ad alterare la conoscenza del soggetto passivo del reato, col fine precipuo di indurlo in errore. (Es. tacere su qualità o difetti di un bene, fingersi esercente di una professione ecc.);
Per raggiro si intende l'inganno mediante finzioni artificiose che agiscono all'interno della sfera intellettiva e psicologica del soggetto passivo creando erronei motivi che ne determinano volontà e condotta. (Es. l'invenzione di timori insussistenti o risoluzioni fittizie imminenti ecc.).

Per la realizzazione della fattispecie di truffa, la condotta del reo dovrà indurre in errore, non bastando che sia astrattamente idonea a farlo. L'errore del soggetto passivo, dunque, dovrà essere la diretta conseguenza degli artifizi e raggiri.
L'idoneità degli artifizi e raggiri andrà stabilita in relazione alla situazione di fatto realizzata, e perciò, attraverso le qualità e le condizioni della vittima o anche ai suoi rapporti col soggetto attivo.
Come detto, in tale reato, il ruolo della vittima è integrante della fattispecie: attraverso la sua condotta, mediante un atto di disposizione, il soggetto passivo creerà la cooperazione artificiosa che provocherà la lesione dei suoi stessi interessi patrimoniali.

L'oggetto materiale è la persona del soggetto passivo, nell'aspetto psicologico, sul quale agisce la condotta criminosa. Quest'ultima manipola le facoltà conoscitive, sentimentali e volitive, creando una falsa rappresentazione o emozione che induce in errore, o comunque ad un atto di volontà viziato.
L'evento nel reato di truffa può suddividersi in due momenti: il primo, in via immediata, è l'alterazione della sfera psicologica del soggetto passivo, interdipendente dalla condotta criminosa, per la quale la vittima si rappresenta qualcosa con una deviazione dal vero. Il secondo, in via mediata, è l'atto di volontà del soggetto passivo, dipendente da motivi viziati, che si manifesta attraverso il consenso, attraverso il quale il colpevole consegue l'illecito profitto con danno altrui.

La manifestazione di volontà, viziata dall'errore, è preceduta dall'induzione, e dovrà essere antecedente al conseguimento del profitto. Per forza di ciò, se il consenso della vittima non è preceduto dall'induzione in errore, che lo vizia, dando causa anche al profitto del reo, è da escludere la sussistenza del delitto di truffa.
Il momento consumativo del delitto di truffa si verifica con l'effettivo conseguimento dell'ingiusto profitto dipendente dagli artifizi o raggiri.
Per ingiusto profitto si intende l'ingiusto vantaggio o utilità conseguito dal reo attraverso la sua condotta.

Il reato si perfezionerà nel momento in cui alla realizzazione della condotta tipica da parte dell'autore abbia fatto seguito la deminutio patrimonii del soggetto passivo (il danno altrui).
Ne conseguirà che la truffa è un reato a carattere istantaneo con effetti permanenti.
Sarà possibile la configurazione del tentativo (56 c.p.) qualora siano posti in essere artifizi e raggiri idonei e non equivoci ai quali non sia seguito l'ingiusto profitto, per una causa non dipendente dalla volontà dell'agente.

L'elemento psicologico della truffa consiste nella volontà e nell'intenzione di indurre taluno in errore mediante artifici o raggiri, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto. La giurisprudenza ritiene che l’elemento soggettivo del delitto di truffa sia "costituito dal dolo generico, diretto o indiretto, avente ad oggetto gli elementi costitutivi del reato (quali l’inganno, il profitto, il danno), anche se preveduti dall’agente come conseguenze possibili, anziché certe della propria condotta, e tuttavia accettati nel loro verificarsi, con conseguente assunzione del relativo rischio".
Si escluderà il dolo, invece, qualora il soggetto attivo agisca per imprudenza o non sapendo di porre in essere un inganno o non avendo alcuna intenzione di indurre in errore o, ancora, non abbia alcun fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto.
Il dolo sarà comunque escluso qualora l'agente voglia conseguire un profitto che ritenga giusto, perché fondato su una pretesa lecita.

Non vengono in rilievo i motivi che possono avere spinto il soggetto ad agire.
Le circostanze aggravanti speciali del reato di truffa si configurano:
  1. se il fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico;
  2. se il fatto è commesso ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario o l'erroneo convincimento di dovere eseguire un ordine dell'Autorità;
  3. se il fatto è commesso in presenza della circostanza di cui all'articolo 61 n. 5 c.p. (l'avere profittato di circostanze di tempo, di luogo, di persona, anche in riferimento all'età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa). - Questo numero (2 bis) è stato aggiunto dall'art. 3, comma 28, della L. 15 luglio 2009, n.94.
La pena per il reato di truffa semplice è quella della reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 51 a euro 1.032, per il reato di truffa aggravata è quella della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 309 a euro 1.549.

Ipotesi di truffa con dematerializzazione del danno
Il danno è la "diminuzione della strumentalità del patrimonio, cioè della sua capacità di soddisfare bisogni materiali o spirituali del titolare" (MANTOVANI).
Le forme di danno riconosciute dall'ordinamento possono essere così classificate:
1) "danno emergente" e "lucro cessante";
2) incremento delle passività;
3) diminuzione della funzione strumentale del patrimonio;
4) turbativa del godimento della cosa.
Il danno, così come classificato, in forza del principio di offensività, andrà verificato concretamente di volta in volta per ogni fatto-reato. Secondo questa premessa, non sussisterà un delitto contro il patrimonio qualora manchi il danno patrimoniale o comunque non venga dimostrata la diminuzione effettiva della strumentalità patrimoniale (es. il mancato godimento della cosa).
La giurisprudenza prevalente, non esente da critiche, ha comunque ideato alcune fattispecie di truffa che si concretizzano nella "dematerializzazione" o "depatrimonializzazione" del danno, nello specifico: la truffa contrattuale e la truffa per l'assunzione ai danni dello Stato.

La truffa contrattuale consiste nel conseguire una stipulazione di un contratto che il deceptus, se non raggirato, non avrebbe stipulato, o che avrebbe comunque stipulato ma a condizioni differenti. La truffa sussiste indipendentemente dal fatto che il deceptus abbia pagato il giusto corrispettivo della controprestazione effettivamente fornitagli, l'illecito si realizzerà per il sol fatto che si sia stipulato un contratto che, senza gli artifizi e raggiri posti in essere dall'agente, non sarebbe stato stipulato (quantomeno non a quelle condizioni).
Con riguardo a tale tipologia di truffa, la giurisprudenza ha affermato che l'ingiusto profitto e il danno altrui sussistono anche in assenza di una sproporzione tra le prestazioni dei contraenti.
La giurisprudenza individua il momento consumativo della truffa contrattuale "nel momento in cui si realizza l'effettivo conseguimento del bene da parte dell'agente e la definitiva perdita dello stesso da parte del raggirato" (Cassazione Penale, Sezioni Unite, 21 giugno 2000, n. 18).

La truffa per assunzione ai danni dello Stato si configura invece qualora gli artifici o raggiri, mediante la produzione e presentazione di documenti falsificati, siano finalizzati all'assunzione da parte dello Stato nel pubblico impiego.
La giurisprudenza, con sentenza delle Sezioni Unite del 16 dicembre 1998 n. 1, ha individuato il momento consumativo della truffa nell'assunzione del soggetto attivo, il profitto ingiusto nell'acquisizione di un ruolo retribuito e coperto di previdenza sociale da parte del reo, il danno altrui, infine, nelle spese che la Pubblica Amministrazione aveva sostenuto per l'assunzione e per l'impegno di spesa nel bilancio preventivo. Di poi, veniva esclusa dal novero del danno la retribuzione conseguita dal lavoratore, in quanto causalmente orientata a ripagare la prestazione lavorativa eseguita, seppur trattavasi di un lavoratore assunto in maniera truffaldina.

///FINE DESCRIZIONE ESTESA

Relazione al D.Lgs. 150/2022

(Relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150: "Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l'efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari")

1 
L’intervento, da leggere unitamente a quello relativo all’art. 649 bis c.p., amplia i casi di procedibilità a querela del delitto di truffa. Viene in particolare eliminata la previsione della procedibilità d’ufficio quando il danno patrimoniale cagionato è di rilevante gravità e ricorre l’aggravante di cui all’art. 61, n. 7 c.p. La soluzione è coerente con quella in proposta in tema di furto (art. 624, ult. co. c.p.). Invero, la rilevante gravità del danno patrimoniale non preclude la possibilità di un integrale risarcimento, consentendo la definizione anticipata del procedimento penale attraverso la remissione della querela o l’estinzione del reato ai sensi dell’art. 162 ter c.p., istituto che conseguentemente vede ampliata la propria sfera applicativa, con positivi effetti di deflazione processuale.

Massime relative all'art. 640 Codice Penale

Cass. pen. n. 33588/2023

In tema di truffa contrattuale, il momento di consumazione del reato deve essere individuato alla luce delle peculiarità del singolo accordo e della specifica volontà contrattuale, avuto riguardo alle modalità e ai tempi delle condotte, onde stabilire quando si è prodotto l'effettivo pregiudizio del raggirato in correlazione al conseguimento dell'ingiusto profitto da parte dell'agente, sicché, nel caso in cui siano inesistenti i prodotti oggetto di negoziazione, il reato si perfeziona con la stipula del contratto, in quanto è al momento dell'assunzione di un'obbligazione giuridicamente azionabile da parte del soggetto passivo che l'agente consegue effettivamente l'ingiusto profitto.

Cass. pen. n. 31897/2023

In tema di truffa, l'idoneità degli artifici e dei raggiri in danno di un organo della Pubblica Amministrazione postula che la condotta, secondo una valutazione da effettuarsi "ex ante", sia astrattamente capace di causare l'evento e oggettivamente adeguata ad attivare il procedimento in vista di un ingiusto vantaggio.

Cass. pen. n. 27061/2023

In tema di truffa, la persona offesa dal reato, titolare del diritto di querela, è il detentore del bene giuridico leso o messo in pericolo e, dunque, colui che subisce le conseguenze patrimoniali dell'azione delittuosa correlative al conseguimento dell'ingiusto profitto da parte dell'agente, sicché, nel caso in cui il soggetto danneggiato non coincida con quello indotto in errore, la querela sporta da quest'ultimo è priva di ogni effetto.

Cass. pen. n. 5270/2022

È configurabile il delitto di truffa aggravata di cui all'art. 640, comma secondo, n. 1, cod. pen. - costituente reato-presupposto della responsabilità di una società per azioni a totale partecipazione pubblica incaricata della gestione di un servizio pubblico - nel caso in cui le somme che rappresentano il profitto del reato siano destinate a tale società, di cui l'autore del reato abbia la legale rappresentanza, atteso che quest'ultima, pur avendo natura di ente pubblico economico, è distinta dalla persona fisica che la rappresenta, in quanto non opera tra le due, diversamente da quanto avviene con riguardo agli enti pubblici territoriali rispetto ai soggetti che per essi agiscono, alcun rapporto di immedesimazione organica. (Fattispecie relativa a sequestro preventivo, nei confronti di una società per azioni integralmente capitalizzata da un comune, di una somma di denaro costituente profitto di una truffa in danno della regione, contestata al legale rappresentante della società).

Cass. pen. n. 30685/2021

Integra il reato di frode in commercio la consegna di un bene diverso, per caratteristiche essenziali, rispetto a quello pattuito, anche se avvenuta nell'ambito di una trattativa individuale, non richiedendo la norma incriminatrice l'offerta al pubblico del bene o l'idoneità della condotta a trarre in inganno una pluralità di consumatori quale elemento costitutivo del reato.

Cass. pen. n. 22957/2021

In caso di truffa compiuta da un promotore finanziario mediante la vendita di prodotti di borsa senza fornire le necessarie informazioni circa tipologia e grado di rischio dell'investimento, il reato si consuma, non nel momento in cui il medesimo percepisce le provvigioni, bensì in quello, ove successivo, in cui sono accreditate sul conto corrente della vittima le somme, conseguenti all'investimento, depauperate dalle perdite.

Cass. pen. n. 5046/2020

In tema di truffa contrattuale, l'induzione in errore, mediante raggiro o artifizio, sussiste non solo quando il contraente pone in essere, originariamente, l'attività fraudolenta, ma anche quando il comportamento, diretto a ingenerare errore, si manifesti successivamente, nel corso cioè dell'esecuzione contrattuale, in rapporto di causalità con il verificarsi del danno e dell'ingiusto profitto. (Conf. Sez. 2 n. 4849 del 1974, Rv. 127456). (Rigetta, CORTE APPELLO NAPOLI, 16/01/2020)

Cass. pen. n. 3560/2020

L'aggravante della minorata difesa in relazione al luogo di commissione del reato, è configurabile quando, secondo una valutazione in concreto, ricorrono situazioni oggettive idonee ad abbattere o affievolire le capacità reattive della vittima in relazione al tipo di reato cui si correla l'evento circostanziale. (In applicazione del principio, la Corte ha confermato la sussistenza dell'aggravante in relazione al delitto di truffa commesso dall'amministratore di una società di investimento che concludeva operazioni di vendita di diamanti, a prezzo fraudolentemente "gonfiato", all'interno di filiali di istituti bancari, rilevando come la condotta era stata favorita dall'affidamento che il luogo istituzionale ingenerava nei compratori, in termini sia di correttezza che di legittimità dell'offerta di vendita).

Cass. pen. n. 30726/2020

In tema di truffa, la prova dell'elemento soggettivo, costituito dal dolo generico, diretto o indiretto, può desumersi dalle concrete circostanze e dalle modalità esecutive dell'azione criminosa, attraverso le quali, con processo logico-deduttivo, è possibile risalire alla sfera intellettiva e volitiva del soggetto, in modo da evidenziarne la cosciente volontà e rappresentazione degli elementi oggettivi del reato, quali l'inganno, il profitto ed il danno, anche se preveduti come conseguenze possibili della propria condotta, di cui si sia assunto il rischio di verificazione. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto corretta la decisione impugnata che aveva affermato la responsabilità dell'imputato per il reato di truffa aggravata in danno di ente pubblico, per aver chiesto ed ottenuto, mediante la presentazione di false rendicontazioni, corrispettivi per attività di consulenza legale, in realtà mai eseguita o eseguita in termini temporali diversi da quelli rendicontati). (Dichiara inammissibile, CORTE APPELLO TRENTO, 26/06/2019)

Cass. pen. n. 23940/2020

In tema di truffa contrattuale commessa mediante la compravendita di merci, il raggiro può essere integrato da una serie preordinata di acquisti successivi, dapprima per importi regolarmente onorati, in modo da ingenerare nel venditore l'erroneo convincimento di trovarsi di fronte a un contraente solvibile e degno di credito, e poi per ulteriori importi che non vengono invece pagati, purché l'inadempimento degli obblighi contrattuali sia l'effetto di un precostituito proposito fraudolento, e l'eventuale mancanza di diligenza o di prudenza da parte della persona offesa non esclude la idoneità del mezzo, in quanto determinata dalla fiducia che l'agente ha saputo conquistarsi presso la controparte contrattuale. (Annulla in parte con rinvio, CORTE APPELLO SEZ.DIST. TARANTO, 03/07/2019)

Cass. pen. n. 27114/2020

In tema di truffa, è configurabile il reato tentato e non consumato nel caso di consegna del denaro o del bene sotto il diretto controllo della polizia giudiziaria allertata dalla persona offesa (c.d. "consegna controllata"), in quanto l'atto di disposizione patrimoniale non avviene per l'induzione in errore in cui sia incorsa la vittima, nè si è realizzato il profitto tramite l'acquisizione della disponibilità autonoma e definitiva della cosa. (In motivazione la Corte ha precisato che, diversamente, in caso di estorsione, il reato si consuma non appena l'estorsore riceve il bene dal soggetto passivo e ciò perché l'ingiusto profitto con altrui danno si atteggia a ulteriore evento del reato rispetto alla costrizione derivante dalla violenza o minaccia). (Rigetta, TRIBUNALE BUSTO ARSIZIO, 02/08/2019)

Cass. pen. n. 42032/2019

Non integra il delitto di calunnia l'utilizzo di una carta di identità falsificata, presentata allo sportello di un istituto bancario per commettere una truffa, in quanto la fattispecie di calunnia cd. reale, consistente nel simulare a carico di qualcuno le tracce di un reato, si realizza solo nell'ambito del rapporto con l'autorità giudiziaria o con altra autorità che a quella abbia l'obbligo di riferire.

Cass. pen. n. 35590/2019

In tema di truffa, l'ottenimento con generalità false dell'apertura di un conto corrente bancario può costituire ingiusto profitto con correlativo danno della banca, costituito dalla sostanziale assenza della benché minima garanzia di affidabilità del correntista, atteso che la disponibilità di un conto corrente bancario dà al correntista la possibilità di emettere assegni e di fruire di tutti gli altri servizi connessi all'esistenza del rapporto in questione.

Cass. pen. n. 29628/2019

La falsa attestazione del dirigente medico relativa alla sua presenza in ufficio, direttamente incidente sull'ammontare del c.d. "monte ore" in eccedenza, integra il reato di truffa ai danni dell'ente pubblico a prescindere dalla non remunerabilità di detto "monte ore", poiché, mediante il sistema dei recuperi orari, ne deriva un danno immediato e diretto per la pubblica amministrazione conseguente alla mancata prestazione del servizio da parte del dipendente pubblico, considerato che l'amministrazione viene privata di prestazioni lavorative aventi contenuto patrimoniale, anche a carattere organizzativo, con ricadute sulla continuità ed efficienza del servizio.

Cass. pen. n. 25165/2019

Integra il delitto di truffa la condotta del soggetto che, mentendo in merito ai propri sentimenti ed al proposito di una vita in comune, ingenera nella vittima, a lui sentimentalmente legata, la falsa convinzione della realizzazione di quel progetto, inducendola al compimento di atti di disposizione patrimoniale a ciò destinati (nella specie, consistenti nell'acquisto e cointestazione di un immobile e di quote societarie).

Cass. pen. n. 17322/2019

La truffa è reato istantaneo e di danno che si perfeziona nel momento e nel luogo in cui alla realizzazione della condotta tipica da parte dell'autore fa seguito la "deminutio patrimonii" del soggetto passivo. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto correttamente individuato il "locus commissi delicti" nei luoghi in cui, ai fini dell'immatricolazione di autovetture importate dall'estero e rivendute a clienti nazionali, venivano assolti oneri fiscali a titolo di Iva in misura inferiore al dovuto, con correlativo danno per l'Erario e profitto economico per l'agente, a nulla rilevando il luogo della successiva commercializzazione dei veicoli).

Cass. pen. n. 55180/2018

Nel delitto di truffa, una volta accertato il nesso di causalità tra l'artificio e il raggiro e l'altrui induzione in errore, non è necessario stabilire l'idoneità in astratto dei mezzi usati, quando questi si siano dimostrati idonei in concreto, né vale ad escludere il delitto l'eventuale sospetto o dubbio serbato dalla persona offesa. (Fattispecie nella quale la Corte ha ritenuto immune da censure la decisione del giudice di merito che aveva valutato irrilevante, ai fini della configurazione del reato di truffa, il dubbio serbato dalla vittima in merito al comportamento degli imputati che, sostando presso gli stalli destinati ai veicoli, indossando apposite pettorine e rilasciando ricevute, chiedevano ed ottenevano per il parcheggio, in area comunale, somme di denaro non dovute sulla base del regolamento comunale, trattandosi di giorno festivo).

Cass. pen. n. 55170/2018

In tema di truffa contrattuale, l'ingiusto profitto, con correlativo danno del soggetto passivo, consiste essenzialmente nel fatto costituito dalla stipulazione del contratto, indipendentemente dallo squilibrio oggettivo delle rispettive prestazioni; ne consegue che la sussistenza o meno della circostanza aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità deve essere valutata con esclusivo riguardo al valore economico del contratto in sé, al momento della sua stipulazione, e non con riguardo all'entità del danno risarcibile, che può differire rispetto al valore, in ragione dell'incidenza di svariati fattori concomitanti od anche successivi rispetto alla stipula, tra cui la decisione del "deceptus" di agire o meno in sede civile per l'annullamento del contratto.

Cass. pen. n. 53778/2018

Realizza l'ingiusto profitto integrante il delitto di cui all'art. 640 cod. pen. la persona fisica che, rivestendo cariche sociali o possedendo parte del capitale di una società dotata di autonomia patrimoniale, ponga in essere, in danno di terzi, artifici o raggiri in conseguenza dei quali il patrimonio della società risulti arricchito o le attività della medesima trovino nuovi spazi operativi. (In motivazione, la Corte ha chiarito che il delitto di truffa esige soltanto la sussistenza di un nesso causale tra la condotta e il profitto, restando indifferente che sia un terzo a trarre beneficio dal raggiro).

Cass. pen. n. 33299/2018

Integra il delitto di truffa e non quello di insolvenza fraudolenta, per la presenza di raggiri finalizzati ad evitare il pagamento del pedaggio, la condotta di chi transita con l'autoveicolo attraverso il varco autostradale riservato ai possessori di tessera Viacard pur essendo sprovvisto di detta tessera. (Fattispecie relativa ad autotrasportatore che, in più occasioni, impegnava il varco riservato ai clienti Viacard e si faceva rilasciare dall'operatore il biglietto di mancato pagamento che gli consentiva di guadagnare l'uscita, così dando a intendere di aver impegnato la corsia sbagliata o di avere dimenticato il titolo di pagamento) .

Cass. pen. n. 25915/2018

L'eventuale uso di violenza o minaccia da parte di uno dei concorrenti nel reato di truffa per assicurare a sé o ad altri la percezione del profitto cui erano finalizzati gli artifizi e raggiri posti in essere, o comunque per guadagnare l'impunità, può essere ritenuto logico e prevedibile sviluppo della condotta finalizzata alla commissione di detto reato e, se realizzato, con conseguente configurabilità del reato di rapina, comporta che di questo debbano rispondere, a titolo di concorso anomalo ex art. 116 c.p., anche gli altri concorrenti.

Cass. pen. n. 42867/2017

È configurabile il reato di truffa nei confronti di chi utilizza fotocopie contraffatte di documenti originali (nella specie rimasti non contraffatti), a nulla rilevando in senso contrario la mancata diligenza da parte della vittima nel non esigere dall'autore della condotta ingannatoria gli atti originali per verificarne la veridicità.

Cass. pen. n. 41767/2017

Integra il reato di truffa aggravata ai danni dello Stato anziché quello di frode informatica, previsto dall'art.640-ter cod.pen l'inserimento negli apparecchi elettronici da gioco di una scheda informatica, attivabile a distanza, mediante la quale la quota di spettanza dell'erario non viene comunicata e, conseguentemente, versata all'amministrazione finanziaria, senza che ciò comporti alcuna alterazione del sistema informatico o telematico altrui. (In motivazione, la Corte ha precisato che l'inserimento di una seconda scheda all'interno del medesimo apparecchio da gioco, non incide sul sistema informativo lecito, bensì funziona autonomamente, condividendo esclusivamente le periferiche di ingresso ed uscita).

Cass. pen. n. 35638/2017

Il reato di truffa ai danni di ente pubblico, richiedendo l'induzione in errore, presuppone che siano tratti in inganno i pubblici funzionari che operano per l'ente, non potendo la persona giuridica in quanto tale essere soggetto passivo di artifici e raggiri; ne consegue che nell'ipotesi in cui i responsabili degli artifici e raggiri siano i rappresentanti degli organi sociali dell'ente, è configurabile esclusivamente il reato di frode in pubbliche forniture che non richiede una condotta implicante i suddetti requisiti.

Cass. pen. n. 32056/2017

In tema di truffa contrattuale commessa mediante la compravendita di merci, non costituisce artificio o raggiro, ma mero inadempimento civilistico, la condotta dell'acquirente che, nel contesto di un rapporto commerciale con il fornitore protrattosi per un apprezzabile lasso di tempo e caratterizzato da ordinativi non pagati o pagati con titoli protestati, si presenti nuovamente dal medesimo chiedendo ed ottenendo di pagare l'arretrato in contanti e di acquistare altra merce a debito, senza peraltro saldare, alla scadenza, l'ulteriore importo dovuto, atteso che il comportamento di detto acquirente difetta di qualsivoglia carica decettiva, a fronte dalla piena consapevolezza, da parte del fornitore, di operare con un cliente mostratosi ripetutamente insolvente.

Cass. pen. n. 31652/2017

Il reato di truffa si perfeziona nel momento in cui alla realizzazione della condotta tipica abbiano fatto seguito la "deminutio patrimonii" del soggetto passivo e la "locupletatio" dell'agente, sicché, qualora l'oggetto materiale del reato sia costituito da assegni circolari, il reato si consuma nel momento e nel luogo in cui ha sede la banca trattaria, dove avviene l'acquisizione da parte dell'autore del reato della relativa valuta.

Cass. pen. n. 29709/2017

Ai fini dell'applicazione della circostanza aggravante di cui all'art. 640, comma secondo, n. 1, cod. pen., anche gli enti a formale struttura privatistica devono qualificarsi come "pubblici", in presenza dei seguenti requisiti, indicati dal legislatore all'art. 3 del D.L.vo n. 163 del 2006: a) la personalità giuridica; b) l'istituzione dell'ente per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale; c) il finanziamento della attività in modo maggioritario da parte dello Stato, degli enti pubblici territoriali o di altri organismi di diritto pubblico, oppure la sottoposizione della gestione al controllo di questi ultimi o la designazione da parte dello Stato, degli enti pubblici territoriali o di altri organismi di diritto pubblico, di più della metà dei membri dell'organo di amministrazione, di direzione o di vigilanza. (Fattispecie in cui è stata riconosciuta natura pubblicistica ad una società per azioni esercente il servizio di trasporto aereo, sottoposta al controllo ed alla vigilanza dell'ENAC e del Ministro dei Trasporti, titolare quest'ultimo del potere di revoca della concessione in caso di inadempienze gestionali).

Cass. pen. n. 24470/2017

In tema di truffa ai danni dello Stato od enti pubblici, non presenta di per sè caratteri di falsità, rilevanti ai fini dell'integrazione della condotta tipica del reato, la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà proveniente dal lavoratore che, onde ottenere dall'ASL l'erogazione dell'aspettativa retribuita prevista dall'art. 42, comma quinto, D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151, si qualifichi convivente con il familiare portatore di "handicap" cui presta assistenza, sebbene dimori altrove, non potendo il concetto di convivenza essere ritenuto coincidente con quello di coabitazione, poiché in tal modo si darebbe un'irragionevole interpretazione restrittiva della disposizione citata, per effetto della quale si escluderebbe senza motivo dal beneficio il lavoratore che in effetti convive, ancorché soltanto limitatamente ad una certa fascia oraria nel corso della giornata, con il familiare bisognoso, proprio al fine di prestargli assistenza per un arco di tempo in cui quest'ultimo, altrimenti, ne sarebbe privo.

Cass. pen. n. 19217/2017

Non è configurabile il delitto di truffa quando il profitto, anche se conseguito fraudolentemente, è oggettivamente legittimo. (In applicazione di tale principio, la Corte ha annullato con rinvio la sentenza di condanna per il reato di truffa, commesso attraverso la falsificazione del verbale di una commissione medico legale che aveva riconosciuto ad uno dei coimputati lo stato di inabilità e l'indennità sostitutiva di preavviso, relativa alla risoluzione del rapporto di lavoro cui era stato indotto il Direttore generale di una A.U.S.L., rilevando che dall'istruttoria dibattimentale era, comunque, emersa la presenza di una patologia significativa in relazione alla quale era necessario disporre una perizia medico-legale al fine di accertarne le effettive condizioni di salute).

Cass. pen. n. 14730/2017

Nel delitto di truffa, quando il profitto è conseguito mediante accredito su carta di pagamento ricaricabile (nella specie "postepay"), il tempo e il luogo di consumazione del reato sono quelli in cui la persona offesa ha proceduto al versamento del denaro sulla carta, poiché tale operazione ha realizzato contestualmente sia l'effettivo conseguimento del bene da parte dell'agente, che ottiene l'immediata disponibilità della somma versata, e non un mero diritto di credito, sia la definitiva perdita dello stesso bene da parte della vittima.

Cass. pen. n. 9442/2017

In tema di controllo della produzione lattiero - casearia, il reato di truffa concorre con la violazione amministrativa prevista dall'art. 5, comma quinto, D.L. 28 marzo 2003, n.49, convertito in L. n.119 del 2003, poiché la diversità del fatto attiene alla presenza, nel solo reato di truffa, del requisito dell'elemento dell'artificio e del raggiro, assente invece nell'illecito amministrativo. (In applicazione di questo principio la S.C. ha accolto il ricorso del P.G. avverso la sentenza di assoluzione per il delitto di truffa aggravata, in relazione alla condotta dell'imputato che aveva costituito una società, in realtà fittizia, perché priva di strutture e beni, affinché essa figurasse, in modo simulato, quale "Primo Acquirente" di quote latte).

Cass. pen. n. 53074/2016

Correttamente viene attribuita la natura di ente pubblico, ai fini della configurabilità del reato di truffa aggravata ai sensi dell'art. 640, comma secondo, n. 1, c.p., alla società SNAM RETE GAS s.p.a., in considerazione : 1) della indubbia connotazione pubblicistica dell'attività di trasporto e dispacciamento di una materia prima quale il gas naturale che soddisfa il bisogno energetico dell'intera collettività e si diffonde su tutto il territorio nazionale; 2) della partecipazione al capitale di enti pubblici quali Eni e Cassa depositi e prestiti; 3) del controllo svolto, sull'attività, dall'Autorità per l'energia elettrica che garantisce che i servizi di trasporto, rigassificazione e stoccaggio siano forniti a terzi secondo criteri non discriminatori e a tariffe regolate.

Cass. pen. n. 37400/2016

In tema di truffa, se il profitto è conseguito mediante un bonifico bancario, il reato si consuma con l'accreditamento della somma di denaro sul conto corrente del destinatario, ne consegue che, ai fini della determinazione della competenza per territorio, occorre fare riferimento all'istituto bancario del luogo in cui il destinatario del bonifico ha aperto il conto corrente.

Cass. pen. n. 30952/2016

Ai fini della configurabilità del reato di truffa, il giudizio sulla idoneità della condotta a trarre in inganno la vittima deve essere effettuato "ex post" ed in concreto, con la conseguenza che la non particolare raffinatezza degli artifizi utilizzati, ovvero la stato di vulnerabilità della vittima, non escludono l'offensività della condotta. (In motivazione, la S.C. ha precisato che l'inquadramento delle condotte manipolative, anche grossolane, nel reato di truffa trova il solo limite della incapacità della vittima, condizione patologica che impone il diverso inquadramento della condotta nella fattispecie di circonvenzione di persona incapace).

Cass. pen. n. 48044/2015

L'indebita utilizzazione, a fine di profitto proprio o altrui, da parte di chi non ne sia titolare, di una carta di credito integra il reato di cui all'art. 55, comma nono, D.Lgs. 21 novembre 2007, n. 231 e non il reato di truffa, che resta assorbito in quanto l'adozione di artifici o raggiri è uno dei possibili modi in cui si estrinseca l'uso indebito di una carta di credito.

Cass. pen. n. 39895/2015

In tema di truffa aggravata ai danni dello Stato, costituisce atto di disposizione idoneo ad integrare il reato, la mancata esazione del credito tributario determinata dagli artifici e raggiri posti in essere dall'agente. (Fattispecie relativa all'immatricolazione in Italia di veicoli importati dall'estero, effettuata mediante la presentazione di documenti materialmente falsi comprovanti l'avvenuto pagamento dell'imposta, ovvero di dichiarazioni ideologicamente false attestanti il fatto che l'IVA non era dovuta, in quanto già precedentemente versata).

Cass. pen. n. 28085/2015

Ai fini dell'applicazione della circostanza aggravante di cui all'art. 640, comma secondo, n. 1, cod. pen., anche gli enti a formale struttura privatistica devono qualificarsi come "pubblici", in presenza dei seguenti requisiti: a) la personalità giuridica; b) l'istituzione dell'ente per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale; c) il finanziamento della attività in modo maggioritario da parte dello Stato, degli enti pubblici territoriali o di altri organismi di diritto pubblico, oppure la sottoposizione della gestione al controllo di questi ultimi o la designazione da parte dello Stato, degli enti pubblici territoriali o di altri organismi di diritto pubblico, di più della metà dei membri dell'organo di amministrazione, di direzione o di vigilanza. (In applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto la natura di ente pubblico di una azienda esercente il servizio di trasporto urbano, ritenuta in rapporto di dipendenza dal relativo comune).

Cass. pen. n. 25230/2015

Nel delitto di truffa, quando il profitto è conseguito mediante accredito su carta di pagamento ricaricabile (nella specie "postepay"), il tempo e il luogo di consumazione del reato sono quelli in cui la persona offesa ha proceduto al versamento del denaro sulla carta, poiché tale operazione ha realizzato contestualmente sia l'effettivo conseguimento del bene da parte dell'agente, che ottiene l'immediata disponibilità della somma versata, e non un mero diritto di credito, sia la definitiva perdita dello stesso bene da parte della vittima.

Cass. pen. n. 24499/2015

In tema di truffa contrattuale commessa mediante la compravendita di merci, il raggiro può essere integrato da una serie preordinata di acquisti successivi, dapprima per modesti importi regolarmente onorati, in modo da ingenerare nel venditore l'erroneo convincimento di trovarsi di fronte a un contraente solvibile e degno di credito, e poi per importi maggiori che non vengono invece pagati, purché l'inadempimento degli obblighi contrattuali sia l'effetto di un precostituito proposito fraudolento - desumibile in base alle caratteristiche del fatto - come ad esempio la notevole differenza di importo tra i crediti onorati e quelli insoluti; né l'eventuale mancanza di diligenza o di prudenza da parte della persona offesa è atta ad escludere la idoneità del mezzo, in quanto determinata dalla fiducia che l'agente ha saputo conquistarsi presso la controparte contrattuale.

Cass. pen. n. 17655/2015

La condotta del pubblico ufficiale che, simulando l'esistenza di una situazione di pericolo immaginario per la vittima, induce la stessa a remunerarlo per ottenere la sua "protezione" non integra il reato di induzione indebita a dare o a promettere utilità di cui all'art. 319 quater c.p., stante la mancanza della condizione di assoggettamento della persona offesa all'esercizio di una potestà altrui, bensì il delitto di truffa aggravata, prevista a norma degli artt. 640, comma secondo, n. 2, e 61, n. 9, c.p..

Cass. pen. n. 17387/2015

La condotta di chi, mediante frode o inganno, si procura un ingiusto profitto ai danni di una prostituta integra il reato di sfruttamento della prostituzione se l'azione è posta in essere intenzionalmente al fine di profittare dei guadagni del meretricio, mentre invece configura la diversa fattispecie di truffa quando l'agente intende arrecare un qualsiasi danno al patrimonio della persona offesa al fine di procurarsi un indebito lucro.

Cass. pen. n. 52730/2014

La condotta di chi, inducendo in errore il giudice in un processo civile o amministrativo mediante artifici o raggiri, ottenga una decisione favorevole non integra il reato di truffa, per difetto dell'elemento costitutivo dell'atto di disposizione patrimoniale, anche quando è riferita all'emissione di un decreto ingiuntivo, poiché quest'ultima attività costituisce esercizio della funzione giurisdizionale.

Cass. pen. n. 943/2014

Ai fini della sussistenza del reato di truffa, costituisce artifizio o raggiro il rilascio di assegni di conto corrente tratti su un conto per cui viene poi falsamente presentata denuncia di smarrimento del carnet, rendendosi in tal modo inefficace proprio il titolo raffigurato invece come valido al momento del rilascio.

Cass. pen. n. 5801/2014

In tema di truffa contrattuale, l'elemento che imprime al fatto dell'inadempienza il carattere di reato è costituito dal dolo iniziale, che, influendo sulla volontà negoziale di uno dei due contraenti - determinandolo alla stipulazione del contratto in virtù di artifici e raggiri e, quindi, falsandone il processo volitivo - rivela nel contratto la sua intima natura di finalità ingannatoria. (Fattispecie relativa alla promessa di vendita di un immobile che gli imputati assicuravano essere regolare, omettendo di riferire al contraente che una parte rilevante dello stesso era, invece, abusiva).

Sussiste il reato di truffa "contrattuale" anche nell'ipotesi in cui venga pagato un giusto corrispettivo a fronte della prestazione truffaldinamente conseguita, posto che l'illecito si realizza per il solo fatto che la parte sia addivenuta alla stipulazione del contratto, che altrimenti non avrebbe stipulato, in ragione degli artifici e dei raggiri posti in essere dall'agente. (Fattispecie relativa alla promessa di vendita di un immobile che gli imputati assicuravano essere regolare, omettendo di riferire al contraente che una parte rilevante dello stesso era, invece, abusiva).

Cass. pen. n. 5568/2014

Integra gli estremi della truffa ai danni dell'INPS, in presenza di una prestazione lavorativa effettiva, l'interposizione fittizia da parte del datore di lavoro, nell'ipotesi in cui il rapporto di lavoro apparente sia gravato da oneri contributivi inferiori rispetto a quelli che graverebbero sul datore di lavoro effettivo o interponente, nel qual caso si configura un danno ingiusto a carico dell'INPS, costituito dal risparmio contributivo.

Cass. pen. n. 51882/2013

In tema di truffa, ricorre l'aggravante di cui all'art. 640, comma secondo, n. 1, c.p., qualora il fatto sia commesso in danno della società Lottomatica spa, che, pur se costituita come società di capitali, svolge attività accessoria e meramente strumentale rispetto all'Azienda autonoma monopoli di Stato, della quale è concessionaria per la rete telematica e titolare unica dei nulla osta all'esercizio degli apparecchi di gioco lecito, con il compito di assicurare che la rete telematica contabilizzi le somme giocate, le vincite ed il prelievo erariale unico e per tale ragione riveste la qualifica di agente contabile, assoggettata di conseguenza al controllo della Corte dei Conti.

Cass. pen. n. 51760/2013

In tema di truffa contrattuale, l'ingiusto profitto, con correlativo danno del soggetto passivo, consiste essenzialmente nel fatto costituito dalla stipulazione del contratto, indipendentemente dallo squilibrio oggettivo delle rispettive prestazioni; ne consegue che la sussistenza o meno della circostanza aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità deve essere valutata con esclusivo riguardo al valore economico del contratto in sé, al momento della sua stipulazione, e non con riguardo all'entità del danno risarcibile, che può differire rispetto al valore, in ragione dell'incidenza di svariati fattori concomitanti od anche successivi rispetto alla stipula.

Cass. pen. n. 34986/2013

La previsione del reato di false attestazioni nella dichiarazione finalizzata al rimpatrio del denaro e delle attività detenute, alla data indicata dalla legge, fuori dal territorio dello Stato, non esclude l'applicazione della norma incriminatrice della truffa aggravata in danno dello Stato, anche nella forma del tentativo, se la condotta si arricchisce in concreto di artifici diretti ad ottenere i vantaggi fiscali previsti dalla legge mediante l'induzione in errore dell'amministrazione finanziaria circa il momento temporale in cui dette somme sono effettivamente rientrate in Italia. (Fattispecie in cui l'agente, non riuscendo a riportare il denaro in Italia nel termine fissato dalla legge, al fine di far risultare il rispetto della scadenza, aveva fatto chiedere al padre un prestito per un importo pari a quello da far rientrare, e, tramite una banca estera, aveva fatto pervenire tale somma sul suo conto, riservandosi di utilizzare le disponibilità detenute fuori Italia per estinguere il debito del genitore).

Cass. pen. n. 32341/2013

Commette il delitto di truffa chi, nell'acquistare un veicolo, fa uso di documenti falsi ai fini dell'intestazione dello stesso, effettua il pagamento in parte in contanti ed in parte con un titolo di credito tratto su un conto corrente privo di fondi ed intestato ad una terza persona, e, poi, ritirato il bene, fa perdere le proprie tracce.

Cass. pen. n. 27719/2013

Commette il delitto di truffa, aggravata ex art. 61, n. 11 c.p., il Presidente di una società (nella specie una spa che gestiva una tratta autostradale) che si faccia rimborsare come spese di rappresentanza quelle, invece, effettuate per organizzare pranzi e ricevimenti di natura eminentemente politica. (In motivazione, la Corte ha evidenziato che possono considerarsi spese di rappresentanza solo quelle destinate a soddisfare la funzione rappresentativa esterna dell'ente, al fine di accrescerne il prestigio e darvi lustro nel contesto sociale in cui esso si colloca).

Cass. pen. n. 18762/2013

Nel delitto di truffa, mentre il requisito del profitto ingiusto può comprendere in sé qualsiasi utilità, incremento o vantaggio patrimoniale, anche a carattere non strettamente economico, l'elemento del danno deve avere necessariamente contenuto patrimoniale ed economico, consistendo in una lesione concreta e non soltanto potenziale che abbia l'effetto di produrre - mediante la "cooperazione artificiosa della vittima" che, indotta in errore dall'inganno ordito dall'autore del reato, compie l'atto di disposizione - la perdita definitiva del bene da parte della stessa (Fattispecie in tema di mancata corresponsione ad una dipendente, da parte del datore di lavoro, di indennità di malattia e assegni familiari portati comunque a conguaglio dall'Inps, in cui la S.C. ha escluso la truffa per difetto dell'elemento del danno, ravvisando in astratto la configurabilità del reato di appropriazione indebita).

Cass. pen. n. 12604/2013

Non integra il reato di truffa la condotta di chi consegni alcuni assegni postdatati in pagamento di lavorazioni su alcuni gioielli e, successivamente, presenti denuncia di furto dei titoli, dal momento che la condotta fraudolenta, consistita nella denuncia di furto, non può essere posta in essere dopo il conseguimento del profitto, realizzatosi con la fruizione del servizio di lavorazione dei gioielli.

Cass. pen. n. 8435/2013

Non integra il reato di truffa la condotta del lavoratore dipendente che richieda di fruire dei permessi retribuiti per assistere un familiare affetto da "handicap" ricoverato in residenza per anziani, dichiarando che lo stesso non si trova "ricoverato a tempo pieno". (Nella specie la Corte ha ritenuto che il ricovero in una casa di riposo, garantendo esclusivamente una assistenza sanitaria di base, a carattere non continuativo, non possa essere assimilato alla permanenza in una struttura di tipo ospedaliero ed ha, quindi, annullato senza rinvio la sentenza di condanna escludendo anche ogni ipotesi di falso).

Cass. pen. n. 3724/2013

In tema di appalto pubblico di servizi, non è configurabile il delitto di peculato, ma eventualmente quelli di truffa o malversazione, nella condotta di indebita gestione e destinazione, da parte dell'appaltatore, di somme di provenienza pubblica, la cui ricezione costituisca il pagamento, da parte dell'appaltante soggetto pubblico, del corrispettivo per l'attività di fornitura di un servizio pattuito. (Fattispecie relativa a distrazione di somme versate dallo Stato a cooperativa aggiudicataria di gara di appalto per la fornitura di beni e servizi a favore di immigrati clandestini, trattenuti presso centri di permanenza).

Cass. pen. n. 44125/2012

Integra il reato di truffa, e non quello di gestione infedele, il fatto di chi, nella prestazione del servizio di gestione di portafogli di investimento su base individuale, o del servizio di gestione collettiva del risparmio, in violazione delle disposizioni regolanti i conflitti di interesse, ponga in essere con raggiri ed artifici operazioni che arrecano danno agli investitori, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto.

Cass. pen. n. 15955/2012

Integra il delitto di truffa ai danni dell'INPS la produzione di una falsa autocertificazione sull'insussistenza di rapporti di collegamento tra le imprese che hanno posto in mobilità i lavoratori e quelle interessate alla nuova assunzione dei medesimi, volta ad ottenere il riconoscimento dei benefici contributivi di cui agli artt. 8, comma secondo e 25, comma nono L. 223 del 1991, connessi all'assunzione di lavoratori in mobilità. (In motivazione, la Corte ha escluso che il comportamento in contestazione potesse integrare il reato di cui all'art. 316 ter, c.p., in quanto l'illecito risparmio ottenuto fraudolentemente non trova collegamento con alcuna erogazione da parte della p.a.).

Cass. pen. n. 11699/2012

È configurabile il concorso tra il reato di falsificazione od alterazione di carte di credito (art. 55, comma nono, seconda parte, D. L.vo n. 231 del 2007) ed il reato di truffa.

Cass. pen. n. 155/2012

Ai fini della configurabilità del delitto di truffa, l'atto di disposizione patrimoniale, quale elemento costitutivo implicito della fattispecie incriminatrice, consiste in un atto volontario, causativo di un ingiusto profitto altrui a proprio danno e determinato dall'errore indotto da una condotta artificiosa. Ne consegue che lo stesso non deve necessariamente qualificarsi in termini di atto negoziale, ovvero di atto giuridico in senso stretto, ma può essere integrato anche da un permesso o assenso, dalla mera tolleranza o da una "traditio", da un atto materiale o da un fatto omissivo, dovendosi ritenere sufficiente la sua idoneità a produrre un danno.

Cass. pen. n. 46890/2011

Il semplice pagamento di merci effettuato mediante assegni di conto corrente privi di copertura non è sufficiente a costituire, di regola, raggiro idoneo a trarre in inganno il soggetto passivo e a indurre alla conclusione del contratto, ma concorre a realizzare la materialità del delitto di truffa quando sia accompagnato da un "quid pluris", da un malizioso comportamento dell'agente, da fatti e circostanze idonei a determinare nella vittima un ragionevole affidamento sull'apparente onestà delle intenzioni del soggetto attivo e sul pagamento degli assegni.

Cass. pen. n. 36891/2011

Integra il reato di truffa la condotta dell'avvocato che, approfittando del rapporto fiduciario e dell'estraneità alle questioni giuridiche della persona offesa, proponga e faccia sottoscrivere al proprio assistito - nella specie all'esito di un procedimento civile per risarcimento danni conclusosi con sentenza che accerta e liquida l'ammontare del danno - il patto di quota lite, tacendone l'illiceità nonché l'entità sproporzionata dell'importo derivante a titolo di compenso delle prestazioni professionali.

Cass. pen. n. 32863/2011

La fattispecie di peculato si differenzia da quella di truffa, aggravata ai sensi dell'art. 61 n. 9 c.p., perché l'appropriazione ha quale presupposto di fatto il possesso o comunque la disponibilità del bene in capo al soggetto agente, per ragioni del suo ufficio o servizio, che quindi, per appropriarsi del bene, non è costretto ad acquisirne fraudolentemente il possesso.

Cass. pen. n. 17106/2011

Non integra il reato di truffa la condotta dell'avvocato che si faccia dare un'anticipazione sugli onorari al momento dell'assunzione di un incarico giudiziale e che poi non dia inizio al contenzioso, ponendo in essere raggiri per tacitare la richiesta di informazioni sull'andamento della controversia e quindi per evitare la restituzione di quanto indebitamente percepito, dal momento che la condotta fraudolenta, ai fini dell'integrazione della fattispecie, non può essere successiva alla ricezione dell'ingiusto profitto.

Cass. pen. n. 13536/2011

Integra gli estremi del reato di truffa la condotta del dipendente di un istituto di credito che crei una fittizia disponibilità bancaria a favore di un terzo, ed emetta assegni che poi sono pagati dall'istituto sull'erroneo presupposto dell'esistenza della provvista.

Cass. pen. n. 12795/2011

Il delitto di truffa si consuma nel momento del conseguimento, da parte dell'agente, del profitto della propria attività criminosa. (In applicazione del principio, la Corte, in fattispecie di truffa consistita nell'importazione, senza versamento dell'Iva, di veicoli dall'estero e di loro successiva rivendita in Italia, ha ritenuto consumato il reato nel momento e luogo del mancato pagamento d'imposta).

Cass. pen. n. 1235/2011

È configurabile un rapporto di specialità tra le fattispecie penali tributarie in materia di frode fiscale (artt. 2 ed 8, D.L.vo 10 marzo 2000, n. 74) ed il delitto di truffa aggravata ai danni dello Stato (art. 640, comma secondo, n. 1, c.p.), in quanto qualsiasi condotta fraudolenta diretta alla evasione fiscale esaurisce il proprio disvalore penale all'interno del quadro delineato dalla normativa speciale, salvo che dalla condotta derivi un profitto ulteriore e diverso rispetto all'evasione fiscale, quale l'ottenimento di pubbliche erogazioni. (La Corte, richiamando il cosiddetto principio di assimilazione sancito dall'art. 325 del T.F.U.E., ha precisato che le predette fattispecie penali tributarie, repressive anche delle condotte di frode fiscale in materia di I.V.A., esauriscono la pretesa punitiva dello Stato e dell'Unione Europea perché idonee a tutelare anche la componente comunitaria, atteso che la lesione degli interessi finanziari dell'U.E. si manifesta come lesiva, in via diretta ed indiretta, dei medesimi interessi).

Cass. pen. n. 44379/2010

In tema di truffa, l'ottenimento con generalità false dell'apertura di un conto corrente bancario può costituire ingiusto profitto con correlativo danno della banca costituito dalla sostanziale assenza della benché minima garanzia di affidabilità del correntista, atteso che la disponibilità di un conto corrente bancario dà la possibilità di emettere assegni oltre che di fruire di tutti gli altri servizi connessi all'esistenza del rapporto in questione.

Cass. pen. n. 42719/2010

Integra l'elemento costitutivo del reato di truffa anche la sola menzogna, costituendo una tipica forma di raggiro.

Cass. pen. n. 41405/2010

Integra il delitto di tentata truffa la condotta posta in essere dal soggetto che abbia formulato sotto falso nome una proposta contrattuale di acquisto di un bene, accompagnandola con una conferma scritta dell'ordinativo trasmessa via fax al titolare di un esercizio commerciale, il quale l'abbia definitivamente respinta solo dopo essere stato informato dalle forze di polizia dell'esistenza di una condotta truffaldina ordita ai suoi danni.

Cass. pen. n. 37859/2010

In tema di truffa contrattuale, l'elemento che imprime al fatto dell'inadempienza il carattere di reato è costituito dal dolo iniziale che, influendo sulla volontà negoziale di uno dei due contraenti - determinandolo alla stipulazione del contratto in virtù di artifici e raggiri e, quindi, falsandone il processo volitivo - rivela nel contratto la sua intima natura di finalità ingannatoria.

Cass. pen. n. 37855/2010

In tema di truffa contrattuale, qualora l'agente sia l'acquirente che paghi con un assegno successivamente risultato non negoziabile e la parte lesa il venditore, il reato si consuma nel momento in cui quest'ultima consegna il bene all'agente e costui paga con l'assegno non negoziabile; in tal caso la competenza territoriale è del Tribunale nel cui circondario è avvenuta la consegna dell'assegno in pagamento mentre nessun rilievo svolge, a tal fine, la circostanza che la parte lesa venga a conoscenza di essere truffata in un momento ed in un luogo diverso da quello in cui ha ricevuto l'assegno.

Cass. pen. n. 35352/2010

In tema di truffa, la natura illecita del patto intercorso con la vittima non impedisce la condanna dell'imputato alla restituzione della somma di denaro versatagli dalla vittima, poiché unica eccezione alla ripetibilità dell'indebito è data dalla prestazione contraria al buon costume (art. 2035 c.c.), mentre va ricondotto allo schema dell'indebito oggettivo (art. 2033 c.c.) il diritto alla restituzione delle somme pagate in esecuzione di contratto nullo per illiceità della causa, contraria all'ordine pubblico. (Fattispecie relativa al reato di truffa aggravata, consistente nell'ottenere una somma di denaro dietro la falsa promessa di un'assunzione presso le Poste Italiane S.p.A.).

Cass. pen. n. 35346/2010

Integra il reato di estorsione, e non quello di truffa, la prospettazione di un male futuro per la vittima in termini di evento certo e realizzabile ad opera del soggetto agente o di altri, poiché in tal caso la vittima é posta nella ineluttabile alternativa di far conseguire all'agente il preteso profitto o di subire il male minacciato. (La Corte ha precisato che ricorre invece il reato di truffa se é prospettato un male come possibile ed eventuale, in ogni caso non proveniente direttamente o indirettamente dal soggetto agente, in modo che la vittima non sia coartata ma si determini alla prestazione perché tratta in errore.

Cass. pen. n. 28752/2010

Integra il delitto di truffa, perché costituisce elemento di artificio o raggiro, la condotta di consegnare in pagamento, all'esito di una transazione commerciale, un assegno di conto corrente bancario postdatato, contestualmente fornendo al prenditore rassicurazioni circa la disponibilità futura della necessaria provvista finanziaria.

Cass. pen. n. 11989/2010

Il reato di violazione di domicilio può concorrere formalmente con quello di truffa, poiché incriminano condotte diverse, caratterizzate da eventi diversi (nella violazione di domicilio la condotta ingannatoria è strumentale all'evento-introduzione nell'altrui dimora; la truffa incrimina la condotta decettiva in quanto strumentale al conseguimento dell'evento-ingiusto profitto con altrui danno), e tutelano beni giuridici diversi (In motivazione, la Corte ha peraltro osservato che il riferimento al bene giuridico tutelato non è decisivo ai fini dell'individuazione della <>, potendo ingenerare dubbi nel caso dei reati plurioffensivi).

Cass. pen. n. 8584/2010

L'integrazione del reato di truffa finalizzata all'assunzione ad un pubblico impiego, comporta che l'illiceità negoziale, che di per sé comporterebbe unicamente le conseguenze di cui all'art. 2126 c.c., si caratterizzi per il contrasto con norme fondamentali e generali o con principi basilari dell'ordinamento. (Nella specie, relativa ad assunzione mediante false attestazioni dell'imputato come infermiere alle dipendenze di azienda ospedaliera, la Corte ha evidenziato in motivazione il coinvolgimento dell'interesse essenziale collettivo alla tutela della salute cui corrisponde la necessità di specifici requisiti di idoneità professionale, con conseguente danno patrimoniale consistente nella corresponsione del salario).

Cass. pen. n. 5447/2010

Integra il delitto di truffa aggravata dall'abuso di poteri o dalla violazione di doveri inerenti una pubblica funzione, e non quello di peculato, la condotta del curatore fallimentare il quale, falsificando dei mandati di pagamento mediante l'apposizione della firma apocrifa del giudice delegato, si appropria di somme relative all'attivo fallimentare depositate sui conti bancari intestati alla procedura concorsuale.

Cass. pen. n. 5428/2010

Il reato di truffa si perfeziona nel momento in cui alla realizzazione della condotta tipica abbiano fatto seguito la "deminutio patrimonii" del soggetto passivo e la "locupletatio" dell'agente, sicché, qualora l'oggetto materiale del reato sia costituito da assegni circolari, il momento della sua consumazione è quello dell'acquisizione da parte dell'autore del reato, della relativa valuta, attraverso la loro riscossione o utilizzazione, essendo irrilevante, ai fini del vantaggio patrimoniale dell'agente, il momento della consegna dei titoli da parte del "deceptus". (Fattispecie in tema di competenza per territorio).

Cass. pen. n. 45096/2009

Il delitto di truffa si distingue da quello di insolvenza fraudolenta perché nella truffa la frode è attuata mediante la simulazione di circostanze e di condizioni non vere, artificiosamente create per indurre altri in errore, mentre nell'insolvenza fraudolenta la frode è attuata con la dissimulazione del reale stato di insolvenza dell'agente.

Cass. pen. n. 43347/2009

Integra il reato di truffa contrattuale la condotta del funzionario di banca il quale, minimizzando i rischi e non rivelando con completezza tutti gli elementi dell'operazione finanziaria proposta al cliente (nella specie: vendita di prodotti finanziari atipici, cosiddetti "swaps"), consapevolmente tragga vantaggio per conto dell'istituto di credito, ai fini della vendita medesima, dall'inesperienza e dalla ignoranza in materia del compratore. (Ha specificato la Corte che il reato in oggetto è a consumazione prolungata, cioè si realizza ogni volta in cui si determina - alla scadenza di ogni contratto sottoscritto dall'investitore - la sua perdita economica con il profitto ingiusto per la banca, mentre la condotta dell'agente perdura, ugualmente, fino alla scadenza di ogni singolo contratto).

Cass. pen. n. 43026/2009

Il reato di esercizio abusivo di intermediazione finanziaria può concorrere con quello di truffa, in quanto è un reato di pericolo il cui bene tutelato è il corretto funzionamento, nell'interesse degli investitori, dei mercati mobiliari attraverso l'opera di soggetti abilitati, mentre il reato di truffa è reato di danno, che si consuma con la diminuzione patrimoniale del soggetto passivo e l'arricchimento dell'agente, per mezzo di artifici e raggiri.

Cass. pen. n. 39314/2009

La condotta di chi, inducendo in errore il giudice in un processo civile o amministrativo mediante artifici o raggiri, ottenga una decisione favorevole non integra il reato di truffa, per difetto dell'elemento costitutivo dell'atto di disposizione patrimoniale, anche quando è riferita all'emissione di un decreto ingiuntivo, poiché quest'ultima attività costituisce esercizio della funzione giurisdizionale.

Cass. pen. n. 9773/2009

Ricorre il delitto di truffa, e non l'ipotesi contravvenzionale di cui all'art. 16, comma terzo, D.L.vo Lgt. n. 788 del 1945 relativa all'indebita percezione delle prestazioni di cassa integrazione, se la condotta tenuta per conseguire l'indebita integrazione salariale si qualifica per particolari accorgimenti, per speciali astuzie, quindi per un "quid pluris" rispetto al "mendacio", capaci di eludere le comuni e normali possibilità di controllo dell'ente previdenziale. (Nella fattispecie la Corte ha ravvisato la truffa nella predisposizione, ai fini del raggiro, di modelli già firmati in bianco dal lavoratore, per la percezione illegittima del beneficio).

Cass. pen. n. 2808/2009

Nel delitto di truffa, il danno della vittima può realizzarsi non soltanto per effetto di una condotta commissiva, bensì anche per effetto di un suo comportamento omissivo, nel senso che essa, indotta in errore, ometta di compiere quelle attività intese a fare acquisire al proprio patrimonio una concreta utilità economica, alla quale ha diritto e che rimane invece acquisita al patrimonio altrui. (Fattispecie nella quale l'Agenzia per le erogazioni in agricoltura, indotta in errore sull'identità dell'effettivo "primo acquirente" del latte prodotto, causato da fittizia interposizione di società cooperative tra produttore del latte e acquirente finale, aveva omesso di richiedere il pagamento dei prelievi supplementari sull'eccedenza delle relative quote) V. sez. II civ., 27 luglio 2006, n. 17106

Cass. pen. n. 1162/2009

In tema di truffa aggravata ai danni dello Stato, dà luogo a tale reato e non a quello di cui all'art. 316 ter c.p. la condotta di chi produca la falsa autocertificazione di essere cittadino italiano o cittadino comunitario a sostegno della domanda volta ad ottenere l'assegno previsto dall'art. 1 della L. n. 266 del 2005 per ciascun figlio nato o adottato.

Cass. pen. n. 40260/2008

Integra il delitto di truffa, e non quello di sostituzione di persona (art. 494 c.p.) la condotta di colui che abbia organizzato una manifestazione teatrale, in realtà non tenutasi, e provveduto alla vendita dei relativi biglietti facendo intendere agli acquirenti che l'incasso sarebbe stato devoluto ad una associazione assistenziale.

Cass. pen. n. 21409/2008

È configurabile il concorso materiale e non l'assorbimento tra il reato di falso in atto pubblico e quello di truffa quando la falsificazione costituisca artificio per commettere la truffa ; in tal caso, infatti, non ricorre l'ipotesi del reato complesso per la cui configurabilità è necessario che sia la legge a prevedere un reato come elemento costitutivo o circostanza aggravante di un altro e non quando siano le particolari modalità di realizzazione in concreto del fatto tipico a determinare una occasionale convergenza di più norme e, quindi, un concorso di reati.

Cass. pen. n. 10085/2008

Ai fini dell'integrazione della fattispecie criminosa di truffa occorre un effettivo depauperamento economico del soggetto passivo, nella forma del danno emergente o del lucro cessante. (Fattispecie in cui la Corte ha rigettato il ricorso rilevando che la condotta dell'imputato, il quale aveva abusato della qualità di amministratore di un condominio creando l'apparenza del conferimento dei prescritti poteri autorizzativi, integrava il reato di truffa perché il conseguimento della disponibilità di un fido bancario, con il conseguente incasso della somma di denaro, aveva comportato l'esposizione debitoria dell'amministrazione condominiale, suscettibile di esecuzione e quindi idonea a realizzare l'alterazione dell'equilibrio patrimoniale preesistente).

L'integrazione del reato di truffa non implica la necessaria identità fra la persona indotta in errore e la persona offesa, e cioè titolare dell'interesse patrimoniale leso, ben potendo la condotta fraudolenta essere indirizzata ad un soggetto diverso dal titolare del patrimonio, sempre che sussista il rapporto causale tra induzione in errore e gli elementi del profitto e del danno. (Fattispecie in cui il soggetto agente, amministratore di un condominio, aveva ottenuto la disponibilità di un fido bancario per mezzo degli artifici e raggiri costituiti dall'esibizione di un verbale di assemblea condominiale portante le false firme del presidente e del segretario dell'assemblea, e quindi aveva incassato la somma di denaro determinando all'amministrazione condominiale il danno dell'esposizione debitoria in favore dell'istituto bancario, destinatario della condotta fraudolenta).

Cass. pen. n. 7181/2008

La truffa contrattuale si consuma non già quando il soggetto passivo assume, per effetto di artifici o raggiri, l'obbligazione della dazione di un bene economico, bensì nel momento in cui si verifica l'effettivo conseguimento del bene da parte del soggetto agente e la definitiva perdita dello stesso da parte della vittima.

Cass. pen. n. 37409/2007

In tema di rapporti fra il reato di frode fiscale, di cui all'art. 2 D.L.vo 10 marzo 2000 n. 74, e quello di truffa aggravata in danno dello Stato, di cui all'art. 640, comma secondo, n. 1, c.p., se per un verso deve escludersi che operi il principio di specialità di cui all'art. 15 c.p. (mancando l'identità naturalistica del fatto, dal momento che la frode fiscale richiede un artificio peculiare mentre la truffa, dal canto suo, richiede l'induzione in errore ed il danno, indifferenti per il reato tributario), deve per altro verso riconoscersi l'operatività del principio di consunzione, per il quale è sufficiente l'unità normativa del fatto, desumibile dall'omogeneità tra i fini dei due precetti, con conseguente assorbimento dell'ipotesi meno grave in quella più grave; condizione, questa, riconoscibile, nella specie, per il fatto che l'apprezzamento negativo della condotta è tutto ricompreso nella più grave ipotesi di reato, costituita dalla frode fiscale.

Cass. pen. n. 35608/2007

Non integra il delitto di truffa, per carenza degli elementi tipici degli artifici o raggiri, la condotta del creditore che richieda ed ottenga l'emissione di un decreto ingiuntivo sulla base di un diritto di credito già soddisfatto.

Cass. pen. n. 32849/2007

Dà luogo alla configurabilità del reato di truffa aggravata di cui all'art. 640, comma secondo, n. 1, c.p. e non a quella dei reati di cui all'art. 316 ter o all'art. 640 bis c.p., la condotta di colui il quale si procuri l'esenzione dal pagamento del c.d. ticket sanitario mediante la falsa dichiarazione, sulla ricetta rilasciata dal medico convenzionato, di trovarsi nelle condizioni all'uopo previste dalla legge.

Cass. pen. n. 26289/2007

Integra il delitto di truffa, per la presenza di raggiri finalizzati ad evitare il pagamento del pedaggio, la condotta di chi transita con l'autovettura attraverso il varco autostradale riservato ai possessori di tessera Viacard pur essendo sprovvisto di detta tessera.

Cass. pen. n. 26256/2007

Il momento consumativo del delitto di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche coincide con quello della cessazione dei pagamenti, che segna anche la fine dell'aggravamento del danno, in ragione della natura di reato a consumazione prolungata. (Sulla base di questo principio la Corte ha escluso l'illegittimità del sequestro per equivalente finalizzato alla confisca, che era stato disposto nonostante che il contratto di mutuo allo scopo fosse precedente all'entrata in vigore della legge n. 300 del 2000, che ha inserito nel c.p. l'art. 640 quater).

Cass. pen. n. 22170/2007

È configurabile il delitto di cui all'art. 640, comma secondo, c.p. nel caso in cui un soggetto stipuli contratti per la prestazione di servizi — successivamente effettuata — in favore di una P.A., ponendo in essere artifici o raggiri consistiti nel dichiarare falsamente l'esistenza delle condizioni e dei requisiti previsti per l'espletamento dell'attività pattuita, ed inducendo in errore l'ente pubblico anche sulle effettive modalità di esecuzione della prestazione, affidata a personale privo delle richieste capacità professionali. In tale caso, infatti, la riscossione degli importi liquidati quale corrispettivo delle prestazioni costituisce ingiusto profitto, cui corrisponde, per l'ente pubblico, il danno consistente nell'esborso di pubblico denaro in cambio di servizi espletati da soggetti non qualificati.

Cass. pen. n. 16629/2007

Integra il delitto di truffa, e non quello meno grave dell'insolvenza fraudolenta, l'utilizzazione della carta di credito ben oltre i limiti di solvenza, nel caso in cui l'autore non si sia limitato alla dissimulazione dello stato di insolvenza ma si sia avvalso di un complesso di modalità frodatorie costituite da artifici e raggiri. (Fattispecie in cui l'autore del fatto prima si accreditò presso i funzionari dell'istituto bancario quale agente di commercio e versò, per superare la loro ritrosia al rilascio della carta di credito, una consistente somma di denaro, e poi, ottenuta la carta, si affrettò a ritirare quasi per intero la provvista e a utilizzare la carta di credito in modo massiccio e continuo sul circuito internazionale, nella consapevolezza che al tempo non era operativo il sistema di sicurezza dell'immediato blocco della carta su detto circuito, che si avvaleva di lettori manuali).

Cass. pen. n. 15094/2007

Integra il delitto di truffa contrattuale l'acquisto di un immobile, di proprietà di un ente pubblico già concesso in locazione al privato acquirente, alla cui vendita l'ente pubblico si è determinato in forza dell'attestazione del privato, contraria al vero, dell'esistenza delle condizioni richieste dall'ente stesso per la cessione dell'immobile, pur quando il corrispettivo di vendita sia stato regolarmente pagato.

Cass. pen. n. 12969/2007

In tema di delitto di truffa, se la condotta tipica cagiona danno non solo al soggetto che, per effetto degli artifici e raggiri, pone in essere l'atto di disposizione patrimoniale pregiudizievole, ma anche ad altri, seppure nella forma della mancata acquisizione di un profitto, il diritto di querela spetta anche a questi ultimi. (Fattispecie in cui l'autore del fatto aveva indotto la vittima al pagamento di un premio assicurativo per una polizza solo fittiziamente stipulata, con danno anche per la Compagnia assicurativa per la mancata conclusione del contratto, che la vittima effettivamente era intenzionata a stipulare).

Cass. pen. n. 12910/2007

La previsione del reato di false attestazioni nella dichiarazione finalizzata al rimpatrio del denaro delle attività detenute, alla data indicata dalla legge, fuori dal territorio dello Stato, non esclude l'applicazione della norma incriminatrice della truffa aggravata in danno dello Stato, ove la condotta si arricchisca in concreto di artifici diretti ad ottenere i consistenti vantaggi fiscali e le altre agevolazioni previste dalla legge, con l'induzione in errore dell'amministrazione finanziaria circa il momento temporale in cui le somme di denaro detenute all'estero sono pervenute nella disponibilità dell'autore del fatto e circa la provenienza di dette somme. (Fattispecie in cui gli autori del fatto si erano rivolti, per mezzo di un commercialista, ad una società estera per la retrodatazione al giugno 2001 dell'emissione obbligazionaria di una società, e avevano preso accordi con altra società per «schermare» l'operazione di «scudo fiscale» attraverso tre mandati fiduciari).

Cass. pen. n. 9786/2007

È configurabile il reato di truffa aggravata ex art. 640, commi primo e secondo, n. 1, c.p., a carico di dipendenti di un ente pubblico i quali, facendo artificiosamente figurare le loro normali prestazioni lavorative come rientranti invece nell'ambito di un progetto-obiettivo specificamente finalizzato al miglioramento dei servizi, ottengano la indebita corresponsione dei compensi aggiuntivi previsti per la realizzazione di detto progetto.

Cass. pen. n. 563/2007

La stipula di un contratto preliminare di compravendita quale civile abitazione di parte di un immobile edificato in zona con destinazione alberghiera, operata dissimulando tale condizione amministrativa, integra il reato di truffa a carico del soggetto venditore.

Cass. pen. n. 40238/2006

In tema di delitto di truffa, costituisce raggiro il comportamento del soggetto, che, nella qualità di amministratore di una società, ne venda alcune quote omettendo di riferire all'acquirente, determinatosi all'affare per le prospettive di guadagno derivanti dall'essere quella società controllante di altra a rilevante capitale pubblico e con florida situazione economico-patrimoniale, i rischi di un'eventuale e futura revocatoria fallimentare avente ad oggetto le quote di partecipazione della società ceduta nella controllata, perché la revocatoria fallimentare colpisce un negozio fraudolento, che presuppone il consilium fraudis in capo al soggetto agente.

Cass. pen. n. 35185/2006

In materia di truffa contrattuale, la condotta del debitore che maliziosamente ometta di riferire di avere già integralmente ricevuto i corrispettivi della compravendita di beni immobili, unita alla reiterata garanzia nei confronti dell'istituto di credito che il prezzo di quelle vendite sarebbero state da lui utilizzate per ripianare i debiti, costituisce elemento idoneo ad indurre in errore la banca, perché si configura come quid pluris rispetto alla semplice promessa di adempimento non onorata.

Cass. pen. n. 34210/2006

La falsa attestazione del pubblico dipendente, circa la presenza in ufficio riportata sui cartellini marcatempo o nei fogli di presenza, è condotta fraudolenta, idonea oggettivamente ad indurre in errore l'amministrazione di appartenenza circa la presenza su luogo di lavoro, ed è dunque suscettibile di integrare il reato di truffa aggravata, ove il pubblico dipendente si allontani senza far risultare, mediante timbratura del cartellino o della scheda magnetica, i periodi di assenza, sempre che siano da considerare economicamente apprezzabili.

Cass. pen. n. 34179/2006

Non integra il tentativo di truffa, per difetto dell'elemento del danno patrimoniale, l'apposizione sul parabrezza dell'automezzo di un certificato assicurativo falso, posto che tale condotta è limitata ad eludere l'accertamento di infrazioni amministrative senza che sia ipotizzabile un danno erariale, per la mancanza di uno spostamento di risorse economiche in favore del suo autore.

Cass. pen. n. 21112/2006

Non è configurabile il reato di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato (art. 316 ter c.p.), né quello di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640 bis c.p.), bensì eventualmente quello di truffa aggravata in danno dello Stato o di altro ente pubblico (art. 640, comma secondo, numero 1, c.p.), nella condotta di chi, mediante false dichiarazioni sulla propria situazione patrimoniale, ottenga l'erogazione dell'indennità da «reddito minimo d'inserimento» prevista dal D.L.vo 18 giugno 1998 n. 237. Ciò in quanto le erogazioni pubbliche di natura assistenziale non possono ricomprendersi tra le «erogazioni pubbliche» prese in considerazione dalle norme incriminatrici di cui agli artt. 316 ter e 640 bis c.p., riferendosi queste ultime esclusivamente alle erogazioni di carattere economico-finanziario previste a sostegno delle attività economiche e produttive. (Nella fattispecie, la Corte, accogliendo il ricorso del procuratore generale, ha quindi annullato con rinvio la sentenza di secondo grado che aveva ravvisato il meno grave reato di cui all'articolo 316 ter c.p., riqualificando l'originaria contestazione ex articolo 640, comma secondo, numero 1, c.p., ritenuta dal giudice di primo grado).

Cass. pen. n. 19996/2006

In tema di truffa contrattuale, la condotta illecita è integrata dall'omissione del contraente alienante, che consapevolmente non renda edotta la controparte acquirente dell'esistenza di un precedente contratto di vendita dello stesso bene in favore di terzi, a nulla rilevando l'eventuale invalidità del precedente contratto.

Cass. pen. n. 16315/2006

Integra il delitto di truffa e non quello di furto aggravato dall'uso del mezzo fraudolento l'impossessamento di un telefono cellulare, ottenuto mediante il raggiro consistito nella falsa prospettazione al legittimo detentore di averne necessità per un'emergenza familiare. Infatti, il trasferimento del possesso della cosa è avvenuto con la collaborazione del soggetto passivo, ottenuta mediante frode, mentre nel reato di furto aggravato dall'uso del mezzo fraudolento l'impossessamento viene realizzato mediante sottrazione invito domino.

Cass. pen. n. 10231/2006

La fattispecie criminosa di cui all'art. 316 ter c.p. ha carattere residuale e sussidiario rispetto alla fattispecie di truffa aggravata e non è con essa in rapporto di specialità, sicché ciascuna delle condotte ivi descritte (utilizzo o presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere, e omissioni di informazioni dovute) può concorrere ad integrare gli artifici ed i raggiri previsti dalla fattispecie di truffa, ove di questa figura criminosa siano integrati gli altri presupposti. (La Corte ha quindi chiarito che il mendacio ed il silenzio assumono le connotazioni «artificiose» o di «raggiro» in riferimento a specifici obblighi giuridici di verità, la cui violazione sia penalmente sanzionata, perché essi qualificano l'omessa dichiarazione o la dichiarazione contraria al vero come artificiosa rappresentazione di circostanze di fatto o manipolazione dell'altrui sfera psichica).

Cass. pen. n. 7226/2006

Con la trasformazione dell'ente pubblico economico «Azienda Torinese Mobilità» in società per azioni non è più configurabile l'aggravante inerente alla natura pubblica della persona offesa dal reato di truffa, in quanto la natura eventualmente pubblica del servizio prestato assume rilievo esclusivamente ai fini della qualifica dei soggetti agenti, secondo la concezione funzionale oggettiva accolta dagli artt. 357 e 358 c.p.

Cass. pen. n. 6695/2006

Non sussiste il concorso formale tra il reato previsto dall'art. 12 D.L. 3 maggio 1991, n. 143, conv. con modificazioni in legge 5 luglio 1991, n. 197 (uso indebito di carte di credito o di pagamento) ed il reato di truffa (art. 640 c.p.); infatti l'indebita utilizzazione, a fine di profitto proprio o altrui, da parte di chi non ne sia titolare, di una carta di credito integra il reato di cui al suddetto art. 12 e non il reato di truffa che viene assorbito in virtù del principio di cui all'art. 15 c.p., considerato che l'adozione di artifici o raggiri è uno dei possibili modi in cui si estrinseca l'uso indebito di una carta di credito.

Cass. pen. n. 3615/2006

La truffa ai danni dello Stato per percezione di prestazioni indebite di finanziamenti e contributi, erogati in ratei periodici, è reato a consumazione prolungata, perché il soggetto agente manifesta sin dall'inizio la volontà di realizzare un evento destinato a durare nel tempo, e quindi il momento consumativo del reato coincide con quello della cessazione dei pagamenti, che segna la fine dell'aggravamento del danno. (La Corte ha ritenuto configurabile la responsabilità della società a responsabilità limitata, ai sensi della normativa del D.L.vo n. 231 del 2001, in assenza di elementi volti a dimostrare l'inesistenza della cosiddetta colpa dell'organizzazione, per i fatti commessi dall'amministratore unico in riferimento alle erogazioni dei ratei di finanziamento successive all'entrata in vigore della normativa sulla responsabilità degli enti, seppure riferibili ad un «mutuo allo scopo» concesso con D.M. precedente).

Cass. pen. n. 2677/2006

La distinzione tra concussione e truffa, che si pone solamente in riferimento alla concussione per induzione, va individuata nel fatto che nella concussione il privato mantiene la consapevolezza di dare o promettere qualcosa di non dovuto, mentre nella truffa la vittima viene indotta in errore dal soggetto qualificato circa la doverosità oggettiva delle somme o delle utilità date o promesse. (In applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto corretta la qualificazione come tentativo di concussione della condotta del medico ospedaliero che aveva tentato di indurre una paziente a sottoporsi, dietro pagamento, ad un intervento di interruzione volontaria della gravidanza presso il proprio studio privato, rappresentandole falsamente l'impossibilità di effettuarlo presso la pubblica struttura).

Cass. pen. n. 1862/2006

Integra il reato di truffa aggravata, e non il reato di abuso della credulità popolare il cui elemento costitutivo e differenziato si individua nel turbamento dell'ordine pubblico e nell'azione rivolta nei confronti di un numero indeterminato di persone, il comportamento di colui che, sfruttando la fama di mago o di guaritore, ingeneri nelle persone offese il pericolo immaginario di gravi malattie e le induca in errore, procurandosi un ingiusto profitto con loro danno, facendo credere di poterle guarire o di poterle preservare con esorcismi o pratiche magiche o con la somministrazione e prescrizione di sostanze asseritamente terapeutiche.

Cass. pen. n. 1539/2006

Integra il delitto di truffa, fuori dall'ipotesi dell'amministratore unico di una società per azioni che ne sia anche unico azionista, il compimento da parte dell'amministratore di una S.p.A., in accordo col soggetto estraneo alla società, di un atto di disposizione patrimoniale in danno della società, seguito dall'induzione in errore degli organi societari di controllo (consiglio di amministrazione, collegio sindacale, collegio dei revisori e assemblea dei soci), impediti dagli artifici e raggiri nel loro intervento, che altrimenti potrebbe sostanziarsi nella revoca dell'amministratore e dell'atto di disposizione patrimoniale. (Fattispecie in cui l'amministratore delegato di una società di leasing finanziario, in complicità con il soggetto contraente, ha erogato somme di denaro per l'acquisto di beni da concedere in leasing, e poi ha indotto in errore gli organi societari con gli artifici e raggiri consistiti nel simulare l'esistenza dei beni oggetto del contratto di leasing, causando alla società il danno patrimoniale dell'erogazione di una somma di denaro per l'acquisto di beni appunto inesistenti).

Cass. pen. n. 46198/2005

Integra il reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, e non già il reato meno grave di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, la condotta di allegazione di fatture per operazioni inesistenti volta al conseguimento dell'erogazione dal Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato di una cospicua somma di denaro a titolo di agevolazione prevista dalla legge n. 488 del 1992, perché la produzione degli indicati falsi documenti costituisce il frutto di malizie ulteriori, produttive di una più penetrante induzione in errore del soggetto passivo. (La Corte ha precisato che la fattispecie di indebita percezione di erogazioni in danno dello Stato, in ragione della clausola di riserva in favore della fattispecie di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, ha carattere sussidiario e, sebbene contenga un riferimento ampio a condotte di «utilizzo o presentazione di dichiarazioni e documenti falsi» non qualifica quelle condotte, che si concretizzano nell'uso degli artifici e raggiri propri della truffa).

Cass. pen. n. 40799/2005

Integra il reato di truffa l'attività di «sette aduse a carpire la credulità degli adepti» cui vengono anche sollecitate offerte economiche di notevole consistenza. (Nella specie la Corte ha escluso la possibilità di equiparare tali attività a quelle religiose in quanto per queste ultime non sono mai ravvisabili né l'elemento degli artifizi o raggiri, riscontrabile anche nel caso in cui il comportamento menzognero concorra a confermare nel soggetto passivo l'errore, né quello del profitto).

Cass. pen. n. 38549/2005

Non integra il delitto di truffa, per mancanza di artifici o raggiri, la condotta del debitore che adempia consegnando, con la contestuale promessa di risarcire eventuali danni in caso di insolvibilità del traente, per girata al creditore, al quale è legato da un rapporto fiduciario, assegni che si rivelano poi privi di provvista finanziaria.

Cass. pen. n. 38071/2005

In tema di truffa in danno dell'ENEL, per effetto della trasformazione di questo da ente pubblico in società per azioni ad opera dell'art. 15 D.L. 11 luglio 1992, n. 333, conv. in L. 8 agosto 1992, n. 359, non è più configurabile l'aggravante inerente alla natura pubblica della persona offesa dal reato, con la conseguenza che non può procedersi d'ufficio ma a querela di parte. (Fattispecie nella quale la Corte, d'ufficio, ha rilevato la mancanza di querela ed ha annullato senza rinvio il capo concernente la condanna per il reato di truffa, eliminando la relativa pena).

Cass. pen. n. 21307/2005

È configurabile il delitto di truffa aggravata ai danni dello Stato (art. 640, comma secondo, n. 1, c.p.) qualora il soggetto ricorra all'espediente della simulata qualità di esportatore abituale — mediante l'artificiosa costituzione del c.d. plafond, ottenuto attraverso fatturazioni per operazioni inesistenti —, al fine di conseguire il regime agevolato dell'Iva sulle merci acquistate, con conseguente possibilità di rivenderle a prezzi maggiormente competitivi, in quanto la mancata percezione di somme rilevanti costituisce atto di disposizione da parte dell'Erario, sub specie di rinuncia all'esazione dell'importo dovuto, con evidente nocumento patrimoniale in diretta dipendenza causale dagli artifici o raggiri posti in essere dall'agente.

Cass. pen. n. 1910/2005

Integra il reato di truffa aggravata (art. 640, comma secondo, n. 2 c.p.) la condotta del soggetto che, sfruttando la notorietà creatasi di mago o guaritore, ingeneri nelle persone offese il pericolo immaginario dell'avveramento di gravi malattie e faccia credere alle stesse di poterle guarire e preservare e le induca in errore, compiendo asseriti esorcismi o pratiche magiche o somministrando o prescrivendo sostanze al fine di procurarsi un ingiusto profitto con danno delle stesse.

Cass. pen. n. 49289/2004

Nella condotta posta in essere da un esercente la professione legale il quale, d'intesa con un funzionario di un'impresa assicuratrice e con un giudice, promuova fittiziamente controversie civili relative ad incidenti stradali mai avvenuti o già definiti stragiudizialmente, allo scopo di ottenere, come poi ottenga, che venga pronunciata condanna al risarcimento del danno nei confronti di detta impresa, è configurabile il reato di truffa in danno di quest'ultima ma non in danno dello Stato, atteso che, pur subendo anche lo Stato una perdita economica corrispondente alle spese di giustizia, essa non rappresenta lo scopo perseguito dagli agenti, ma costituisce solo un passaggio necessario per il conseguimento dello scopo effettivo.

Cass. pen. n. 41073/2004

In materia di truffa contrattuale il mancato rispetto da parte di uno dei contraenti delle modalità di esecuzione del contratto, rispetto a quelle inizialmente concordate con l'altra parte, con condotte artificiose idonee a generare un danno con correlativo ingiusto profitto, integra l'elemento degli artifici e raggiri richiesti per la sussistenza del reato di cui all'art. 640 c.p. (Fattispecie in cui la Corte di cassazione ha affermato la sussistenza del reato di truffa nel comportamento di un laboratorio di analisi che nell'eseguire gli esami oggetto della convenzione stipulata con la A.S.L. utilizzava reagenti e calibratori scaduti di validità, in quanto tale condotta concretizzava violazioni di specifiche prescrizioni e, comunque, non garantiva la certa rispondenza dei dati di laboratorio alla esatta rappresentazione di quanto lo specifico procedimento di analisi deve al contrario fedelmente evidenziare).

Cass. pen. n. 26300/2004

Il reato di truffa non è assorbito da quello di indebita utilizzazione, a fine di profitto proprio o altrui, da parte di chi non ne sia titolare, di carte di credito o analoghi strumenti di prelievo o pagamento (art. 12 D.L. 12 maggio 1991 n. 143, convertito nella legge 5 luglio 1991 n. 197) ogni qualvolta la condotta incriminata non si esaurisca nel mero utilizzo di essi, ma sia connotata da un quid pluris concretantesi in artifici e raggiri. (Fattispecie relativa all'utilizzazione di una tessera «Viacard» illecitamente rimagnetizzata)

Cass. pen. n. 19647/2004

Il delitto di millantato credito e quello di truffa, possono concorrere tra loro allorché alla millanteria, tipica del primo di detti reati, si aggiungano altri comportamenti che costituiscano ulteriori artifizi e raggiri, idonei ad indurre in errore la persona offesa. (Nella specie, il concorso è stato ritenuto sussistente considerando che l'agente, secondo quanto accertato in sede di merito, oltre ad assicurare l'intervento di parlamentari per favorire l'assunzione di persone presso un ente pubblico, aveva fraudolentemente cercato di dimostrare il positivo sviluppo delle pratiche chiedendo agli interessati la produzione di varia documentazione, simulando la fissazione di visite mediche propedeutiche alle assunzioni, fingendo di comunicare telefonicamente con i suddetti parlamentari).

Cass. pen. n. 19302/2004

Attesa la funzione dei cosiddetti «cartellini segnatempo» di costituire prova della continuativa presenza del dipendente sul luogo di lavoro nel tempo compreso tra l'ora d'ingresso e quella di uscita, deve ritenersi che, indipendentemente dalla configurabilità o meno del falso ideologico (avuto riguardo alla controversa natura giuridica dei detti cartellini), costituisca comunque condotta suscettibile di integrare il reato di truffa aggravata quella del pubblico dipendente che si allontani temporaneamente dal luogo di lavoro senza far risultare, mediante timbratura del cartellino o della scheda magnetica, i periodi di assenza, sempre che questi, conglobati nell'arco del periodo retributivo, siano da considerare economicamente apprezzabili.

Cass. pen. n. 17688/2004

Al fine della configurazione del delitto di truffa, integra la condotta di raggiro anche il silenzio sul verificarsi sopravvenuto di un evento il quale costituisce il presupposto del permanere di un obbligazione pecuniaria a carattere periodico: infatti il silenzio, di chi sia in concreto beneficiario, seppure indiretto, della prestazione medesima, è attivamente orientato a trarre in inganno il debitore sul permanere della causa dell'obbligazione. (Nel caso di specie, è stata ritenuta un raggiro l'omessa comunicazione all'INPS del decesso della titolare della pensione, da parte del figlio, contitolare del conto nel quale veniva accreditato l'assegno pensionistico, che si era procurato così l'ingiusto profitto, con pari danno dell'INPS, dei ratei di pensione che l'ente previdenziale, indotto in inganno sull'esistenza in vita della beneficiaria, aveva continuato a corrispondere).

Cass. pen. n. 16737/2004

In tema di truffa contrattuale, la richiesta, rivolta da un'impresa di manutenzione al cliente, della sottoscrizione in bianco di un'autorizzazione a svolgere lavori senza rilascio di un preventivo di spesa concernente la natura dei lavori da eseguire e l'importo corrispettivo, cui sia seguita la richiesta di compensi esorbitanti in rapporto all'attività espletata, integra il requisito degli artifici e raggiri idonei a indurre in errore la vittima sull'effettiva consistenza dei lavori medesimi e sul loro importo, che costituisce il profitto ingiusto con corrispondente danno del contraente.

Cass. pen. n. 11839/2004

Integra gli estremi del reato di truffa aggravata ai danni di un ente pubblico la clonazione del numero di utenza telefonica dell'ente territoriale comunale, essendo quest'ultimo l'unico titolare dell'interesse patrimoniale protetto dalla norma direttamente leso dagli artifizi e raggiri posti in essere nella commissione del reato (Fattispecie in cui la corte di cassazione ha escluso che la società concessionaria del servizio telefonico potesse essere qualificata come persona offesa dal reato, riconoscendo alla stessa, in presenza delle condizioni di legge, la qualità di persona danneggiata dal reato; è stata pertanto ritenuta irrilevante, ai fini della procedibilità d'ufficio, l'intervenuta privatizzazione della società concessionaria del servizio).

Cass. pen. n. 8694/2004

L'Ente Poste Italiane, a seguito della sua trasformazione in società per azioni, ha perduto la sua connotazione pubblicistica e, pertanto, la truffa eventualmente commessa in suo danno non potrebbe più ritenersi aggravata ai sensi del secondo comma, n. 1, dell'art. 640 c.p.

Cass. pen. n. 7996/2004

Il delitto di frode fiscale si pone in rapporto di specialità rispetto a quello di truffa aggravata a norma del secondo comma n. 1 dell'art. 640 c.p., in quanto è connotato da uno specifico artificio e da una condotta a forma vincolata. L'ulteriore elemento, costituito dall'evento di danno, non pone le due norme in rapporto di specialità reciproca, perché il suo verificarsi è posto al di fuori della fattispecie oggettiva: è indifferente che esso si verifichi, occorrendo solo che vi sia collegamento teleologico sotto il profilo intenzionale.

Cass. pen. n. 6244/2004

Non sussistono gli estremi del reato di truffa (cosiddetta truffa processuale) nel chiedere e ottenere dal giudice tutelare l'autorizzazione alla vendita di un bene immobile di proprietà di un interdetto, sulla base di una falsa perizia estimativa, in quanto la suddetta autorizzazione, ancorché conseguenza della falsa perizia, non costituisce atto di disposizione patrimoniale dannoso per l'interdetto.

Cass. pen. n. 47701/2003

In tema di sequestro preventivo (art. 321 c.p.p.), non sussiste il fumus del delitto di truffa ai danni dello Stato (art. 640, n. 1, c.p.), nell'ipotesi di attività commerciale avente per oggetto l'importazione di autoveicoli usati da paesi dell'Unione Europea e la successiva vendita in Italia a prezzi concorrenziali, in indebita applicazione di un regime tariffario IVA più favorevole (cosiddetto del margine anziché di quello dovuto per l'acquisto intracomunitario), in quanto tali estremi integrano l'ipotesi tipica di evasione fiscale, la cui rilevanza penale deve essere valutata alla luce della speciale disciplina prevista dal D.L.vo n. 74 del 2000.

Cass. pen. n. 47671/2003

Il compimento di atti idonei diretti in maniera non equivoca a manomettere un apparecchio telefonico per ottenere un accredito per la fruizione del servizio integra gli estremi del tentativo di furto e non di tentata truffa, in quanto l'indebita erogazione e sottrazione avviene non per effetto del consenso viziato della persona offesa, la quale ignora l'alterazione fraudolenta dell'apparecchio messo a disposizione dell'utente, ma attraverso la difettosa registrazione del pagamento anticipato con la conseguente messa a disposizione del servizio in misura proporzionata e corrispondente.

Cass. pen. n. 46369/2003

In tema di truffa, il momento consumativo del reato non può che corrispondere con quello in cui si è realizzato il danno, vale a dire con l'effettiva lesione del bene protetto dalla norma. Ne consegue che là dove il danno derivi dal mancato pagamento del prezzo nel caso di vendita, agli effetti della individuazione del relativo termine deve farsi riferimento alla disciplina generale dettata in proposito dall'art. 1498 c.c., posto che, ove così non fosse, l'inadempimento, e con esso il perfezionamento del delitto di truffa, verrebbe fatto dipendere da opinabili indici di riconoscimento, a prescindere da un eventuale accertamento in sede giurisdizionale.

Cass. pen. n. 46311/2003

Non sussiste l'ipotesi del concorso formale tra il reato di truffa e quello di false comunicazioni sociali previsto dall'art. 2622 primo comma c.c., essendo differenti le condotte, dal momento che per la configurabilità della truffa occorre un quid pluris rappresentato dalla induzione in errore e dalla sussistenza del danno; pertanto, deve escludersi la possibilità di estendere l'effetto della procedibilità a querela anche alla truffa aggravata, ai sensi della disposizione di cui al secondo comma del citato art. 2622 c.c., che fa riferimento ad altro delitto, ancorché aggravato, a danno del patrimonio di soggetti diversi dai soci e dai creditori, in quanto nella truffa il danno non rappresenta un aggravante, ma un elemento costitutivo del reato.

Cass. pen. n. 40343/2003

Ai fini della sussistenza del delitto tentato, occorre che, sulla base di una valutazione ex ante, gli atti compiuti, anche se meramente preparatori o solo parziali, siano idonei ed univoci, ossia diretti in modo non equivoco a causare l'evento lesivo ovvero a realizzare la fattispecie prevista dalla norma incriminatrice, rivelando così l'intenzione dell'agente di commettere lo specifico delitto. L'idoneità degli atti non è peraltro sinonimo della loro sufficienza causale, bensì esprime l'esigenza che l'atto abbia l'oggettiva attitudine ad inserirsi, quale condizione necessaria, nella sequenza causale ed operativa che conduce alla consumazione del delitto. Ne consegue che, nell'ipotesi di tentata truffa ai danni della pubblica amministrazione, è irrilevante la circostanza che gli artifici e raggiri siano posti in essere all'interno di una fase procedimentale non conclusa, ad esempio perché ancora mancante degli atti di controllo necessari a completare lo specifico procedimento, mentre è sufficiente che l'azione, dotata dei caratteri propri dell'artificio o raggiro - ossia astrattamente capace di indurre in errore la pubblica amministrazione - sia oggettivamente idonea ad attivare l'iter procedimentale volto a conseguire il vantaggio patrimoniale indebito. (Nel caso di specie, è stata ritenuta un idoneo tentativo di truffa la semplice presentazione dei fogli di viaggio e delle ricevute delle spese per i pasti da parte del personale dipendente della Polizia di Stato, volta ad ottenere il rimborso delle spese di trasferta, alla quale non aveva fatto seguito la relazione favorevole del capo pattuglia).

Cass. pen. n. 39114/2003

Non sussistono gli estremi del reato di truffa, bensì quelli del reato di cui all'art. 646 c.p., nel rilascio da parte di un promotore finanziario di falsi rendiconti relativi a fondi di investimento da lui gestiti, così da sottrarre ai rispettivi intestatari parte delle somme confluite sui fondi, in quanto il possesso del denaro è già stato conseguito dall'agente al momento della realizzazione degli artifici e raggiri.

Cass. pen. n. 39077/2003

Integra gli estremi del delitto tentato di truffa (articoli 56 e 640 c.p.), la condotta del pubblico dipendente che attesti falsamente la propria presenza nel luogo di lavoro facendo timbrare da altri il proprio cartellino elettronico nel sistema di rilevazione delle presenze; nè rileva, con riguardo all'idoneità dell'azione, il fatto che si tratti di prestazione di lavoro straordinaria per la quale manchi la necessaria autorizzazione, posto che il consenso del superiore gerarchico, in tale ipotesi, può essere tacito ovvero intervenire successivamente.

Cass. pen. n. 31424/2003

In tema di truffa è configurabile l'aggravante di cui all'art. 640, comma 1, n. 1 c.p. allorché il reato sia commesso ai danni di una delle aziende speciali istituite dai comuni per la gestione dei servizi pubblici (art. 22 e 23 della L. 8 giugno 1990, n. 142 e successive modifiche), le quali rivestono natura di enti pubblici economici, posto che l'art. 640 succitato, ai fini della configurabilità dell'aggravante, non opera alcuna distinzione nell'ambito degli enti pubblici.

Cass. pen. n. 30216/2003

L'unilaterale modificazione, da parte di uno dei contraenti, in corso di esecuzione dell'accordo contrattuale, delle modalità esecutive di esso rispetto a quelle previste nel progetto inizialmente concordato tra le parti, non è idonea a integrare il delitto di truffa, in quanto manca l'elemento specifico di detta ipotesi criminosa costituito dall'esistenza di un diretto rapporto causale tra gli artifici posti in essere dall'agente e la prestazione di un consenso viziato da parte del soggetto in tal modo tratto in inganno, e può solo configurare, ricorrendone i presupposti, un inadempimento contrattuale.

Cass. pen. n. 29704/2003

Il criterio distintivo tra il reato di truffa e quello di estorsione, quando il fatto è connotato dalla minaccia di un male, va ravvisato essenzialmente nel diverso modo di atteggiarsi della condotta lesiva e della sua incidenza nella sfera soggettiva della vittima: ricorre la prima ipotesi delittuosa se il male viene ventilato come possibile ed eventuale e comunque non proveniente direttamente o indirettamente da chi lo prospetta, in modo che la persona offesa non è coartata, ma si determina alla prestazione, costituente l'ingiusto profitto dell'agente, perché tratta in errore dalla esposizione di un pericolo inesistente; mentre si configura l'estorsione se il male viene indicato come certo e realizzabile ad opera del reo o di altri, in tal caso la persona offesa è posta nella ineluttabile alternativa di far conseguire all'agente il preteso profitto o di subire il male minacciato. (Nella specie la Corte ha ritenuto che dovesse configurarsi il tentativo di estorsione e non quello di truffa nella condotta dell'imputato il quale aveva prospettato il pignoramento ed il sequestro di tutti i beni e le somme depositate presso gli Istituti di credito di proprietà del soggetto passivo, per costringerlo a versargli una cospicua somma di denaro non dovuta).

Cass. pen. n. 28928/2003

Il delitto di truffa si perfeziona non nel momento in cui il soggetto passivo assume un'obbligazione per effetto degli artifici o raggiri subiti, bensì in quello in cui si verifica l'effettivo conseguimento del bene economico da parte dell'agente e la definitiva perdita di esso da parte del raggirato; pertanto, quando il reato predetto abbia come oggetto immediato il conseguimento di assegni bancari, il danno si verifica nel momento in cui i titoli vengono posti all'incasso ovvero usati come normali mezzi di pagamento, mediante girata, a favore di terzi i quali portatori legittimi, non sono esposti alle eccezioni che il traente potrebbe opporre al beneficiario: in entrambi i casi, infatti, si verifica una lesione concreta e definitiva del patrimonio della persona offesa, inteso come complesso di diritti valutabili in denaro. (In applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto sussistente l'ipotesi della truffa consumata nel momento in cui la parte offesa aveva versato l'assegno circolare a titolo di pagamento e non nel momento in cui la stessa parte offesa aveva richiesto ad un istituto bancario l'emissione dell'assegno circolare intestato a terzi e con la clausola di non trasferibilità).

Cass. pen. n. 26107/2003

È configurabile il reato di truffa nel caso in cui l'imputato, esaltando i suoi poteri divinatori, induca in errore una persona particolarmente indifesa ed esposta, per la propria credulità, a pensare di potersi liberare dei propri mali attraverso l'esorcismo e la magia, in quanto la valutazione dell'induzione in errore deve essere effettuata ex post e la grossolanità del raggiro o dell'artificio non esclude la possibilità di successo nei confronti di persona particolarmente vulnerabile.

Cass. pen. n. 25649/2003

La particolare condizione di un soggetto, quale determinata da una sua fragilità di fondo o da situazioni contingenti, non esclude la configurabilità in suo danno del reato di truffa, anzi ne rende più agevole l'esecuzione. (Nel caso in esame da parte dell'imputata era stato ingenerato nella persona offesa, particolarmente fragile e in un momento delicato della sua esistenza, la convinzione di essere vittima di negatività, inducendola così ad esborsi di denaro come compenso per rituali prospettati come indispensabili ai fini della guarigione).

Cass. pen. n. 17642/2003

In tema di millantato credito, la ipotesi di cui al secondo comma dell'art. 346 c.p. - contenente la previsione di un titolo autonomo di reato rispetto alla fattispecie descritta nel primo comma della medesima disposizione - si differenzia dal delitto di truffa, per la diversità della condotta, non essendo necessaria né la millanteria né una generica mediazione, nonché dell'oggetto della tutela penale, che nella truffa è il patrimonio e nel millantato credito è esclusivamente il prestigio della pubblica amministrazione, con la conseguenza che unica parte offesa è quest'ultima e non colui che abbia versato somme al millantatore, che è semplice soggetto danneggiato.

Cass. pen. n. 14801/2003

In tema di truffa contrattuale, la sussistenza dell'ingiusto profitto e del correlativo danno non sono esclusi dal fatto che il raggirato abbia corrisposto il prezzo del servizio fornito quando risulti che esso sia stato acquistato per effetto di raggiri.

La trasformazione di un ente pubblico in persona giuridica di diritto privato non determina effetti processuali sotto il profilo della perseguibilità a querela del reato di truffa, qualora il fatto reato risalga ad epoca anteriore alla trasformazione, in quanto in materia processuale vige il principio tempus regit actum.

Cass. pen. n. 3135/2003

La cosiddetta truffa processuale consistente nel fatto di chi, inducendo in errore il giudice in un processo civile o amministrativo mediante artifici o raggiri, ottenga una decisione favorevole non integra il reato di cui all'art. 640 c.p., in quanto in tale fattispecie viene a mancare un elemento costitutivo del reato, e cioè l'atto di disposizione patrimoniale. Il giudice infatti con il suddetto provvedimento non compie un atto di disposizione espressione dell'autonomia privata e della libertà di consenso, ma esercita il potere di natura pubblicistica, connesso all'esercizio della giurisdizione. Né può assumere rilevanza la riserva contenuta nell'art. 374 c.p. che si riferisce ai casi in cui il fatto sia specificatamente preveduto dalla legge nei suoi elementi caratteristici. (In applicazione di tale principio la Corte ha affermato che non integra gli estremi dell'illecito penale la condotta del legale che intraprenda azioni legali avanti al TAR avvalendosi di procure alle liti con sottoscrizioni apocrife degli interessati e che, all'esito vittorioso di dette azioni, quantifichi i propri compensi professionali per l'opera prestata utilizzando uno scaglione tariffario diverso da quello da applicare).

Cass. pen. n. 40457/2002

L'elemento differenziale tra il furto aggravato dal mezzo fraudolento e la truffa, nei quali coesistono i due elementi modali della vis e della fraus, va ricercato nell'elemento causale prevalente nella fattispecie concreta. Tale elemento consiste in un'espressione di energia fisica nei delitti contro il patrimonio mediante violenza alle cose e alle persone, e nell'inganno nei delitti contro il patrimonio mediante frode. Ne consegue che l'occultamento di un oggetto in una confezione contenente originariamente un altro oggetto di minor valore, così da corrispondere un minor prezzo all'operatore di cassa di un supermercato, va qualificato come truffa, in quanto è l'artificio e non l'appropriazione mediante violenza sulla cosa l'elemento causale prevalente.

Cass. pen. n. 25193/2002

Nel caso di truffa contrattuale mediante rilascio di effetti cambiari con scadenze successive, il termine per la presentazione della querela decorre dal momento del pagamento dei primi titoli cambiari, ovvero dell'eventuale versamento di un acconto in denaro, poiché con la effettiva percezione della valuta si realizza il vantaggio patrimoniale dell'agente ed il reato si consuma, ancorché gli effetti pregiudizievoli si protraggano nel tempo.

Cass. pen. n. 21868/2002

In tema di truffa, pur non esigendosi l'identità tra la persona indotta in errore e quella che subisce le negative conseguenze patrimoniali di tale induzione, è tuttavia da escludere la configurabilità del reato quando il soggetto indotto in errore sia un giudice il quale — sulla base di un falso documento costituito, nella specie, da una falsa procura a vendere — adotti un provvedimento di disposizione patrimoniale favorevole all'agente, atteso che il suddetto provvedimento non costituisce un libero atto di gestione di interessi altrui e non è espressione di libertà negoziale qualificandosi piuttosto come esplicazione del potere giurisdizionale, di natura pubblicistica la cui finalità è l'attuazione di norme giuridiche e la risoluzione dei conflitti di interessi tra le parti.

Cass. pen. n. 38333/2001

Non integra il reato di truffa la condotta del medico il quale effettui visite mediche ovvero rilasci certificazioni o prescrizioni sanitarie su ricettari intestati ad altro medico convenzionato con il servizio sanitario nazionale, se non risulta che la Usl abbia erogato compensi al primo professionista, in quanto difetta il danno patrimoniale della persona offesa, elemento costitutivo della fattispecie delittuosa.

Cass. pen. n. 37409/2001

Non integra il delitto di tentata truffa la condotta costituita dalla produzione di falsa documentazione a sostegno di un ricorso al prefetto avverso l'ordinanza-ingiunzione di pagamento di una sanzione amministrativa per violazione delle norme sulla circolazione stradale.

Cass. pen. n. 36865/2001

In tema di bancarotta, poiché anche i diritti di credito rientrano nel patrimonio del fallito, costituisce distrazione qualsiasi condotta diretta a destinare attività fallimentari a scopi diversi dalla garanzia dei creditori; ne consegue che il delitto di truffa può concorrere con quello di bancarotta fraudolenta, nel caso in cui i debitori di una società di capitali - dichiarata fallita - siano indotti in errore dall'amministratore, il quale ne incassi i crediti nella sua qualità di legittimo destinatario dei pagamenti, appropriandosi le relative somme.

Cass. pen. n. 10792/2001

In tema di insolvenza fraudolenta, l'obbligazione, assunta dall'agente con il proposito di non adempierla, deve avere ad oggetto una prestazione di dare e non quella di svolgere una specifica attività in favore dell'altra parte, giacché uno degli elementi costitutivi del delitto è la dissimulazione del proprio stato di insolvenza. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso che potesse integrare il delitto di insolvenza fraudolenta - e non invece, come correttamente ritenuto dal giudice di merito, il delitto di truffa aggravata - il comportamento di un generale dei carabinieri che, assumendo fraudolentemente l'impegno di stabilire un contatto con elementi della malavita allo scopo di ottenere notizie utili per favorire la liberazione di un sequestrato, aveva indotto i parenti della vittima a consegnargli la somma di un miliardo di lire).

In tema di reati contro il patrimonio, il delitto di truffa si distingue da quello di insolvenza fraudolenta perché nella truffa la frode è attuata mediante la simulazione di circostanza e di condizioni non vere, artificiosamente create per indurre altri in errore, mentre nell'insolvenza fraudolenta la frode è attuata con la dissimulazione del reale stato di insolvenza dell'agente. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso che potesse integrare il delitto di insolvenza fraudolenta - e non invece, come correttamente ritenuto dal giudice di merito, il delitto di truffa aggravata - il comportamento di un generale dei carabinieri che, assumendo l'impegno di stabilire un contatto con elementi della malavita allo scopo di ottenere notizie utili per favorire la liberazione di un sequestrato, aveva indotto i parenti della vittima a consegnargli la somma di un miliardo di lire).

In tema di truffa, quando l'agente si è procurato, inducendo taluno in errore con artifici e raggiri, un ingiusto profitto in danno di altri, il delitto sussiste anche se il soggetto passivo abbia agito per una causa immorale, delittuosa o altrimenti illecita, giacché non vengono meno l'ingiustizia del profitto e l'altruità del danno, né vengono meno l'esigenza di tutela del patrimonio e della libertà del consenso dei negozi patrimoniali, che costituisce l'oggettività giuridica del reato. (Fattispecie in cui le parti offese erano state indotte in errore, mediante artifici e raggiri, da un generale dei carabinieri che, assumendo fraudolentemente l'impegno di stabilire un contatto con elementi della malavita allo scopo di ottenere notizie utili per favorire la liberazione di un sequestrato, aveva in tal modo ottenuto dai parenti del rapito la somma di un miliardo di lire).

Cass. pen. n. 8995/2000

È configurabile il concorso materiale fra i reati di truffa e falsificazione di carta di credito in quanto, mentre non ogni inganno presuppone il falso (sicché non è indispensabile una condotta di falso nei reati di frode), il falso di cui all'art. 12 del decreto legge 5 luglio 1991, n. 142 non richiede né la effettiva realizzazione dell'inganno, né il concreto perseguimento del profitto, né, infine, la verificazione di un danno patrimoniale, atteso che il fine di profitto, se vale a caratterizzare come specifico il dolo dell'agente, rimane tuttavia estraneo alla condotta.

Cass. pen. n. 18/2000

Poiché la truffa è reato istantaneo e di danno, che si perfeziona nel momento in cui alla realizzazione della condotta tipica da parte dell'autore abbia fatto seguito la deminutio patrimonii del soggetto passivo, nell'ipotesi di truffa contrattuale il reato si consuma non già quando il soggetto passivo assume, per effetto di artifici o raggiri, l'obbligazione della datio di un bene economico, ma nel momento in cui si realizza l'effettivo conseguimento del bene da parte dell'agente e la definitiva perdita dello stesso da parte del raggirato. Ne consegue che, qualora l'oggetto materiale del reato sia costituito da titoli di credito, il momento della sua consumazione è quello dell'acquisizione da parte dell'autore del reato, della relativa valuta, attraverso la loro riscossione o utilizzazione, poiché solo per mezzo di queste si concreta il vantaggio patrimoniale dell'agente e nel contempo diviene definitiva la potenziale lesione del patrimonio della parte offesa.

Cass. pen. n. 1193/2000

Tra il reato di frode fiscale e la truffa non esiste rapporto di specialità perché, anche se le modalità di commissione del primo, elencate nell'art. 4 legge 516 del 1982, costituiscono altrettante ipotesi di artifici e raggiri, non si richiede, per la configurabilità di detto reato, l'effettiva induzione in errore dell'amministrazione finanziaria, né il raggiungimento di un ingiusto profitto con danno della stessa amministrazione, essendo sufficiente la semplice messa in opera delle operazioni indicate nel citato art. 4, con il dolo specifico, consistente nel fine dell'evasione o dell'ottenimento del rimborso, che diversamente manca nel reato di truffa.

Tra il reato di truffa e quello di false comunicazioni sociali non vi è rapporto di specialità perché il secondo si esaurisce nella commissione di un falso, cioè nell'esposizione nei bilanci della società o in altre comunicazioni sociali di fatti non rispondenti al vero, sicché, pur costituendo tale condotta fraudolenta un raggiro, cioè un elemento specializzante rispetto alla fattispecie della truffa, tuttavia mancano di questo reato le componenti dell'induzione in errore dei destinatari di quelle comunicazioni e del raggiungimento di un ingiusto profitto con altrui danno, entrambe non richieste nell'ipotesi di cui all'art. 2621 c.c.

Cass. pen. n. 7259/2000

Nell'ipotesi in cui gli uffici comunali siano indotti al rilascio di una concessione edilizia mediante la falsa rappresentazione dei luoghi contenuta nel progetto e negli elaborati tecnici presentati dal soggetto richiedente, si configura il reato di truffa ai danni dell'amministrazione locale ove possa individuarsi un pregiudizio economico di questa per effetto della condotta dell'agente. (Nell'occasione la Corte ha precisato che tale pregiudizio, se non può essere rappresentato dalla mera lesione di interessi collettivi all'ordinato assetto urbanistico di cui il comune è portatore, assume tuttavia concretezza nei casi in cui con il fraudolento conseguimento della concessione edilizia si venga a gravare l'ente di oneri di urbanizzazione diversi e maggiori rispetto a quelli derivanti dal progetto assentito e posti a carico del richiedente, e ad imporre all'ente un dispendio per l'attività di autotutela necessaria a rimuovere il provvedimento oggettivamente illegittimo e gli effetti di esso).

Cass. pen. n. 5538/2000

Il medico ospedaliero (nella specie, primario del servizio di radiologia) che, con il pretesto di far evitare a un paziente la trafila burocratica, si fa dare direttamente una somma per effettuare un esame, lasciando intendere che la somma sarà versata all'ospedale, non risponde del reato di concussione, non avendo generato un metus nel soggetto passivo; non risponde del reato di corruzione, perché il paziente è convinto di versare all'amministrazione ospedaliera quanto dovuto; non risponde del reato di peculato, perché l'agente possiede detta somma per ragioni di ufficio e perché non approfitta dell'errore altrui. Risponde invece di truffa aggravata in danno dell'amministrazione ospedaliera.

Cass. pen. n. 4180/2000

In tema di truffa aggravata per essere stato ingenerato il timore di un pericolo «immaginario», deve intendersi come tale tutto ciò che è effetto dell'immaginazione ed esiste solo in essa, senza alcun fondamento nella realtà. Di conseguenza sussiste la truffa vessatoria ove l'agente rappresenti il pericolo di un evento dannoso, di norma correlato all'azione di forze occulte e tale che un comune discernimento è in grado di individuare come non reale, la cui evenienza prescinde dalla sua volontà; si configura viceversa il delitto di estorsione tutte le volte in cui l'agente rappresenti il pericolo reale di un accadimento il cui verificarsi appare come da lui dipendente. (In applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto sussistere il delitto di estorsione in un caso in cui l'agente, falsamente qualificandosi come vigile urbano, si era fatto corrispondere una somma di denaro dal proprietario di un immobile minacciando di sospendere l'esecuzione dei lavori di ristrutturazione che ivi si svolgevano).

Cass. pen. n. 2706/2000

Nella truffa ai danni di istituti previdenziali, poiché l'accreditamento dei ratei avviene “sine causa” e rappresenta, perciò, un indebito vantaggio per il percettore ed un indubbio pregiudizio per l'ente erogante, il reato perdura fino a quando non vengano interrotte le riscossioni, con la conseguenza che il momento consumativo ed il “dies a quo” del termine di prescrizione coincidono con la cessazione dei pagamenti.

Cass. pen. n. 11441/1999

In tema di truffa, poiché il delitto si consuma anche a mezzo di un negozio giuridico apparentemente valido, ma, nella sua essenza, viziato dalla mancanza di un corretto processo volitivo del soggetto passivo (determinatosi alla stipulazione del negozio per l'errore in lui ingenerato dai raggiri e dagli artifici del soggetto attivo), nel valutare la sussistenza di truffa in danno dello Stato o di altro ente pubblico, l'analisi non può limitarsi all'accertamento della mera conformità a diritto dell'atto amministrativo che dispone patrimonialmente a favore del privato. È viceversa necessario accertare che alla emanazione dell'atto la pubblica amministrazione non si sia determinata in quanto indotta in errore dagli artifici o raggiri posti in essere dal privato medesimo. In tal caso, infatti, l'ingiusto profitto ed il danno vanno individuati — indipendentemente dalla legittimità formale del deliberato amministrativo — nel vantaggio e nel pregiudizio, rispettivamente derivanti alle parti, dalla emanazione di un atto dispositivo che, in assenza dei predetti artifizi o raggiri, non sarebbe stato emanato.

Cass. pen. n. 11076/1999

Il reato di cui all'art. 2 della L. n. 898 del 1986, con il quale si punisce la esposizione di dati e notizie falsi per l'indebito conseguimento di contributi erogati dalla C.E.E., non comprende ogni condotta riconducibile alla fattispecie del delitto di truffa che può ipotizzarsi quando l'agente non si limita a indicare dati o notizie falsi, ma fa, anche, ricorso ad ulteriori artifici, attraverso la formazione e l'utilizzazione di false bollette di accompagnamento e fatture che attengono ad operazioni commerciali inesistenti.

Cass. pen. n. 4240/1999

L'indebito conseguimento di rimborsi, conguagli di disoccupazione o altre elargizioni previdenziali da parte dell'Inps a favore di lavoratori agricoli è riconducibile all'ipotesi delittuosa prevista dall'art. 640, comma secondo, n. 1 c.p. Ed invero, il concetto di contributo, finanziamento o mutuo agevolato, richiamato dall'art. 640 bis c.p., non è assimilabile a quello di rimborsi e conguagli di disoccupazione, ma va ricompreso nella generica accezione di sovvenzione, concretizzandosi in una attribuzione pecuniaria che trova il suo fondamento e la sua giustificazione nell'attuazione di un interesse pubblico. Ne consegue che l'ipotesi delittuosa prevista dall'art. 640 bis c.p. è applicabile solo quando la fraudolenta captazione di una pubblica sovvenzione sia riferibile a un'opera o a un'attività di interesse pubblico, mentre in tutte le restanti ipotesi di illecito conseguimento di pubblico danaro dovrà applicarsi l'ipotesi della truffa aggravata prevista dall'art. 640, comma secondo, n. 1 c.p.

Cass. pen. n. 7192/1999

Nel reato di indebita utilizzazione di carte di credito e di pagamento, previsto dall'art. 12 del D.L. 3 maggio 1991, n. 143, conv., con modif., in L. 5 luglio 1991, n. 197, l'elemento oggettivo è costituito dall'uso indebito in sé considerato, e cioè indipendentemente dal conseguimento di un profitto e dal verificarsi di un danno, e senza coinvolgimento del soggetto passivo, mentre nel reato di truffa si richiede l'uso di artifizi e raggiri e, correlativamente, l'induzione in errore del soggetto passivo, per cui il momento consumativo coincide con quello del conseguimento del profitto con altrui danno. Ne consegue che fra le due figure di reato anzidette non vi è rapporto di specialità della prima rispetto alla seconda, ma al contrario, possibilità di concorso.

Cass. pen. n. 5102/1999

Il reato di frode nelle pubbliche forniture (art. 356 c.p.) non richiede una condotta implicante artifici o raggiri, propri del reato di truffa, né un evento di danno per la parte offesa, coincidente con il profitto dell'agente, essendo sufficiente la dolosa inesecuzione del contratto pubblico di fornitura di cose o servizi: nel caso in cui ricorrano anche i suddetti elementi caratterizzanti la truffa, sarebbe, infatti, ipotizzabile il concorso tra i due delitti.

Cass. pen. n. 5028/1999

Il delitto di truffa in danno delle Ferrovie dello Stato è punibile a querela, non potendosi configurare, in ragione della natura privatistica (società per azioni) del soggetto passivo, l'aggravante di cui all'art. 640 cpv. n. 1 c.p.

Cass. pen. n. 6335/1999

Poiché la struttura del delitto di truffa non postula l'identità tra la persona offesa dal reato e quella indotta in errore e, quindi, il reato sussiste pur in assenza di tale identità, sempre che gli effetti dell'inganno e della condotta dell'ingannato si riversino sul patrimonio del danneggiato, non può escludersi, in via di ipotesi, la configurabilità della truffa nel caso in cui sia il giudice il soggetto ingannato dall'attività fraudolenta precostituita da una parte, avendo egli il potere di incidere pregiudizievolmente con un suo provvedimento sul patrimonio della parte contraria; ed invero i reati specifici riguardanti la frode nel giudizio di cui all'art. 374 c.p. non esauriscono le ipotesi criminose possibili nel caso di condotte fraudolente, che ben possono rientrare nella più ampia previsione dell'art. 640 c.p.

Cass. pen. n. 1/1999

La truffa è reato istantaneo e di danno che si perfeziona nel momento in cui alla realizzazione della condotta tipica da parte dell'autore abbia fatto seguito la deminutio patrimonii del soggetto passivo.

La truffa finalizzata all'assunzione ad un pubblico impiego si consuma nel momento della costituzione del rapporto impiegatizio, sempre che sia individuabile e dimostrata l'esistenza di un danno immediato ed effettivo, di contenuto economico-patrimoniale, che l'amministrazione abbia subito all'atto ed in funzione della costituzione del rapporto medesimo. (Nell'affermare tale principio la corte ha precisato che ai fini della configurabilità del delitto de quo si deve fare riferimento esclusivamente a spese, esborsi ed oneri effettivamente sostenuti dall'amministrazione nella procedura di costituzione del rapporto di impiego, mentre esulano dal concetto di danno rilevante le conseguenze meramente virtuali del reato — come le spese da sostenere per riparare l'errore e rettificare la graduatoria o per indire le nuove procedure di assunzione —, quelle di natura non immediatamente patrimoniale — come l'assunzione di persona sprovvista dei necessari requisiti professionali e l'alterazione della graduatoria del concorso —, ovvero quelle estranee all'ambito di tutela proprio della norma incriminatrice, quale il pregiudizio per gli altri concorrenti).

Nel delitto di truffa, mentre il requisito del profitto può comprendere in sè qualsiasi utilità, incremento o vantaggio patrimoniale, anche a carattere non strettamente economico, l'elemento del danno deve avere necessariamente contenuto patrimoniale ed economico, consistendo in una lesione concreta e non soltanto potenziale che abbia l'effetto di produrre — mediante la «cooperazione artificiosa della vittima» che, indotta in errore dall'inganno ordito dall'autore del reato, compie l'atto di disposizione — la perdita definitiva del bene da parte della stessa; ne consegue che in tutte quelle situazioni in cui il soggetto passivo assume, per incidenza di artifici e raggiri, l'obbligazione della dazione di un bene economico, ma questo non perviene, con correlativo danno, nella materiale disponibilità dell'agente, si verte nella figura di truffa tentata e non in quella di truffa consumata.

Cass. pen. n. 13657/1998

I reati di millantato credito e di truffa possono concorrere anche se la violazione consista in una unica azione, in quanto allo specifico raggiro considerato nella fattispecie di millantato credito, consistente nelle vanterie di ingerenze o pressioni presso pubblici ufficiali, può accompagnarsi un atto diretto alla induzione in errore del soggetto passivo, al fine del conseguimento di un ingiusto profitto con altrui danno.

Cass. pen. n. 11774/1998

Il delitto di tentata frode comunitaria e quello di falso ideologico commesso da soggetto privato in atto pubblico concorrono per la diversità del bene giuridico offeso. Il primo mira a tutelare il patrimonio del Fondo europeo dalle depauperazioni conseguenti a fraudolente captazioni delle sovvenzioni comunitarie, mentre il secondo tende alla tutela della veridicità ideologica di determinati documenti redatti da pubblici ufficiali sulla scorta delle dichiarazioni loro rese da privati in ordine a fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità.

Cass. pen. n. 11259/1998

La distinzione tra concussione e truffa, che si pone solamente in riferimento alla concussione per induzione, va individuata nel fatto che nella concussione il privato mantiene la consapevolezza di dare o promettere qualcosa di non dovuto, mentre nella truffa la vittima viene indotta in errore dal soggetto qualificato circa la doverosità oggettiva delle somme o delle utilità date o promesse.

Cass. pen. n. 10805/1998

Sussiste concorso formale di reati tra la truffa e la sostituzione di persona, poiché si tratta della medesima condotta che integra due ipotesi delittuose diverse e tra loro autonome: ne consegue che lo stesso comportamento ben può realizzare l'elemento materiale di entrambi i reati.

Cass. pen. n. 8443/1998

I delitti di turbata libertà degli incanti (art. 353 c.p.) e di truffa (art. 640 c.p.) possono concorrere formalmente, dato che essi sono caratterizzati da distinte oggettività giuridiche - l'uno essendo rivolto alla difesa del regolare svolgimento delle gare e l'altro alla tutela della integrità patrimoniale del soggetto passivo – e dalla diversità degli elementi costitutivi.

Nel reato di truffa, il profitto dell'agente, che non assuma un attuale profilo di patrimonialità, ben può consistere in altra situazione di vantaggio, eventualmente propedeutica al conseguimento di un vantaggio economico, e il danno patrimoniale del soggetto passivo non deve essenzialmente apprezzarsi in termini di diretto collegamento con l'altrui profitto. (Fattispecie in cui gli agenti sono stati ritenuti colpevoli dei reati di turbata libertà degli incanti e di truffa, in concorso formale, avendo procurato un danno alla pubblica amministrazione che aveva indetto la gara in relazione agli oneri finanziari occorrenti per la nuova gara, ed avendo conseguito l'ingiusto profitto della aggiudicazione della gara irregolarmente tenutasi).

Cass. pen. n. 6936/1998

Ai fini della sussistenza del reato di truffa, costituisce artifizio o raggiro il rilascio di assegni di conto corrente tratti su un conto per cui viene poi falsamente presentata denuncia di smarrimento del carnet, atteso che in tal modo viene ad essere reso inefficace proprio quel titolo raffigurato invece come valido al momento del rilascio. (Nella fattispecie è stato ravvisato il reato di truffa in quanto agli artifizi iniziali, rappresentati da maliziose e insidiose modalità di approccio nello stabilire un rapporto negoziale, quali la vantata serietà e consistenza economica della ditta fornitrice ed il buon esito di una prima fornitura, erano seguiti altri espedienti, consistenti nella dazione di assegni, rimasti impagati, esigibili solo dopo la consegna di tutta la merce, tra cui in particolare quelli oggetto di falsa denuncia).

Cass. pen. n. 495/1998

La simulazione dell'esistenza di un rapporto di lavoro integra il delitto di tentata truffa, in quanto costituisce atto idoneo diretto in modo non equivoco ad indurre in errore, con l'artificio delle false dichiarazioni, gli enti previdenziali ed assistenziali allo scopo di procurarsi l'ingiusto profitto delle prestazioni da questi erogate. Ed invero la falsa rappresentazione della costituzione di un rapporto di lavoro dipendente — presupposto indispensabile per il godimento delle prestazioni della previdenza ed assistenza sociale — effettuata mediante comunicazione all'ufficio competente, presenta all'evidenza l'attitudine a far conseguire dette prestazioni e quindi a determinare l'evento del reato di truffa, sicché deve considerarsi integrato il requisito dell'idoneità degli atti; e poiché, non potendo essere fine a sè stessa, la simulazione non può avere altro scopo che quello fraudolento, secondo quanto impone di ritenere la comune esperienza, risulta integrato anche il requisito dell'univocità degli atti, che sono tali quando, considerati in sè medesimi, per il contesto nel quale si inseriscono, per la loro natura ed essenza rivelino, secondo l'id quod plerumque accidit, l'intenzione dell'agente. (In applicazione di tale principio la Corte ha annullato la sentenza del giudice per le indagini preliminari il quale, in mancanza di domande da parte dell'interessato diretto ad ottenere una qualche prestazione previdenziale, aveva escluso la sussistenza del tentativo ritenendo la falsa prospettazione della costituzione di un rapporto di lavoro atto meramente preparatorio).

Cass. pen. n. 5579/1998

In tema di truffa contrattuale, con riferimento all'inizio del termine di prescrizione, allorquando il momento perfezionativo del reato intervenga quando sia già in corso l'esecuzione del contratto, deve escludersi, ove la situazione antigiuridica si protragga nel tempo a causa del perdurare della condotta omissiva dell'agente, che vi sia coincidenza con il momento consumativo del reato stesso; in presenza di siffatta situazione, invero, si verte in ipotesi di reato permanente che cessa solo allorquando sopravviene l'impossibilità di compiere ulteriormente l'attività antigiuridica: ne consegue che solo da tale momento inizia a decorrere il termine di prescrizione. (Fattispecie relativa ad omessa comunicazione, da parte di assegnatario di alloggio Iacp, della cessazione delle condizioni legittimanti la permanenza della titolarità del rapporto di assegnazione).

Cass. pen. n. 1136/1998

Il momento consumativo della truffa va fissato all'atto della effettiva, concreta e definitiva lesione del bene tutelato, che non si verifica con l'assunzione, a seguito degli artifici o raggiri, dell'obbligazione della dazione di un bene economico, ma solo con la diminuzione patrimoniale del soggetto passivo ed il correlativo arricchimento dell'agente, che si realizzano con l'adempimento di tale obbligazione. Pertanto allorché l'oggetto materiale sia costituito da titoli di credito momento consumativo del reato di truffa è quello dell'acquisizione da parte dell'autore del reato della relativa valuta.

Cass. pen. n. 6843/1998

L'indebito conseguimento di rimborsi e indennità di disoccupazione, malattia o altro da parte dei lavoratori agricoli configura il reato di truffa aggravata a norma dell'art. 640, comma secondo n. 1 c.p., e non quello di truffa previsto dall'art. 640 bis stesso codice.

Cass. pen. n. 547/1998

Il reato di millantato credito si differenzia da quello di truffa non solo per il carattere preminente dell'offesa dell'interesse all'integrità dell'affidamento e del prestigio che deve fruire la pubblica amministrazione in ogni settore della sua attività, (al quale viene arrecato nocumento dalla prospettazione di potervi interferire comprando il favore dei soggetti preposti ai sui uffici), ma perché la condotta posta in essere non consiste in artifici o raggiri, ma nella vanteria di potersi ingerire nell'attività pubblica al fine di inquinarne il regolare svolgimento, mediante il mercimonio dell'esercizio dei suoi poteri. (Fattispecie relativa alla condotta di chi si fa dare una somma di denaro dal partecipante ad un esame con il pretesto di consegnarla al funzionario esaminatore).

Cass. pen. n. 12052/1997

Atteso il modo variegato in cui può atteggiarsi in concreto il reato di truffa, anche la stipula di un contratto preliminare di vendita può rappresentare raggiro idoneo ove si accompagni ad un precostituito proposito di non adempiere, sufficiente ad integrare, sul piano del dolo, l'elemento intenzionale del reato, ed allorché il patrimonio del soggetto passivo ne sia rimasto in conseguenza depauperato.

Cass. pen. n. 9523/1997

Sussiste violazione del principio di correlazione tra l'imputazione e la sentenza quando nei fatti — ivi rispettivamente descritto e ritenuto — non si rinvenga un nucleo comune, identificato dalla condotta, e si instauri quindi un rapporto non di continenza ma di incompatibilità ed eterogeneità. Tale è il rapporto tra truffa e furto aggravato dall'uso del mezzo fraudolento, che sotto il profilo della condotta appartengono a generi o categorie diversi e trovano collocazione in distinti capi del titolo del codice penale dedicato ai delitti contro il patrimonio: la truffa rientra tra quelli commessi con la cooperazione della vittima ed il suo consenso all'atto di disposizione patrimoniale, ottenuto mediante «frode», il furto tra quelli consumati «mediante violenza» contro la volontà della vittima e quindi con atto aggressivo unilaterale, a facilitare il quale mirano anche l'artificio o il raggiro. (Fattispecie in cui la corte ha escluso la correlazione del reato di furto aggravato dall'uso del mezzo fraudolento, ritenuto in sentenza, con quello di truffa, contestato nell'imputazione).

Cass. pen. n. 9128/1997

Non costituisce reato complesso ex art. 84 c.p. la truffa consumata mediante spendita di assegno senza autorizzazione, anche qualora l'utilizzazione del titolo rappresenti unico elemento del raggiro.

Cass. civ. n. 7738/1997

Poiché l'art. 176, comma 17, del codice stradale - che punisce con la sanzione pecuniaria chiunque ponga in essere qualsiasi atto al fine di eludere in tutto o in parte il pagamento del pedaggio autostradale - espressamente ed inequivocabilmente stabilisce la sussidiarietà di tale illecito amministrativo rispetto alle fattispecie penali eventualmente concorrenti, nei cui confronti, pertanto, non si pone in rapporto di specialità, nell'ipotesi di omesso adempimento, da parte dell'utente, dell'obbligo di pagamento del pedaggio autostradale, ben può configurarsi, ove ne sussistano in concreto gli elementi costitutivi, il delitto di insolvenza fraudolenta; ne deriva che l'applicazione della sanzione penale esclude quella della sanzione amministrativa.

Cass. pen. n. 3869/1997

Il momento consumativo del delitto di truffa, anche agli effetti della competenza territoriale, è quello dell'effettivo conseguimento dell'ingiusto profitto, con correlativo danno alla persona offesa, e tale momento si verifica all'atto dell'effettiva prestazione del bene economico da parte del raggirato, con susseguente passaggio dello stesso nella sfera di disponibilità dell'agente. (Fattispecie in tema di conflitto).

Cass. pen. n. 4467/1997

Il delitto di truffa si perfeziona non nel momento in cui il soggetto passivo assume un'obbligazione per effetto degli artifici o raggiri subiti, bensì in quello in cui si verifica l'effettivo conseguimento del bene economico da parte dell'agente e la definitiva perdita di esso da parte del raggirato; pertanto, quando il reato predetto abbia come oggetto immediato il conseguimento di assegni bancari, il danno si verifica nel momento in cui i titoli vengono posti all'incasso ovvero usati come normali mezzi di pagamento, mediante girata, a favore di terzi i quali, portatori legittimi, non sono esposti alle eccezioni che il traente potrebbe opporre al beneficiario; in entrambi i casi, infatti, si verifica una lesione concreta e definitiva del patrimonio della persona offesa, inteso come complesso di diritti valutabili in danaro. (In applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto sussistente l'ipotesi della truffa consumata e non tentata in una fattispecie in cui la data posticipata era stata apposta sugli assegni conseguiti dall'agente semplicemente a matita, sicché il prenditore avrebbe potuto riscuoterli in qualsiasi momento, ed i titoli medesimi erano stati immediatamente girati a terzi, sicché erano assimilabili a danaro contante).

Cass. pen. n. 1594/1997

Le indennità cui sono tenuti gli enti previdenziali pubblici non sono assimilabili alle erogazioni pubbliche di cui all'art. 640 bis c.p.; pertanto, il conseguimento di indebite prestazioni economiche elargite dall'Inps a titolo di disoccupazione e malattia configura il reato di truffa aggravata di cui all'art 640, comma 2, n. 1, c.p.

Cass. pen. n. 2529/1997

Nell'ipotesi di edificazione conseguente al rilascio di una concessione edilizia illegittima, in quanto frutto dell'artificio consistito nella falsa rappresentazione dei luoghi contenuta nel progetto e negli elaborati tecnici presentati agli uffici competenti dal soggetto richiedente, è configurabile il reato di truffa ai danni dell'amministrazione comunale quando possa evidenziarsi, in concreta, un pregiudizio economico dell'ente pubblico territoriale rappresentabile, ad esempio, dal dispendio di mezzi necessari per il ripristino dello stato dei luoghi o dall'apprestamento di opere di urbanizzazione eventualmente resesi necessarie dal permanere della costruzione nonostante l'illegalità originaria.

Cass. pen. n. 1074/1997

Con riferimento al reato di truffa, pur nella ipotesi della distinzione tra soggetto ingannato e soggetto danneggiato, è costitutivo che il primo di detti soggetti si ponga in una prospettiva di gestione degli interessi patrimoniali del secondo, con assunzione quindi di iniziativa in ampio senso negoziale nei confronti della sfera patrimoniale aggredita. Invero, solo se l'ingannato ha la libera disposizione del patrimonio del danneggiato assume la posizione di quest'ultimo: di guisa che l'induzione in errore determina il danno non in forza di un generico rapporto di interferenza ma solo se incide sulla libertà del consenso nei negozi patrimoniali. Ne consegue che non è configurabile la cosiddetta «truffa processuale», in quanto l'inganno non incide sulla libertà negoziale che manca nel giudice destinatario dell'inganno medesimo.

Cass. pen. n. 289/1997

Nel contratto di locazione finanziaria (o leasing) commette il reato di truffa l'utilizzatore-locatario che, in concorso con il venditore, indica al concedente un valore del bene da acquistare notevolmente superiore a quello di mercato, allo scopo di procurarsi un ingiusto profitto consistente nell'acquisizione di un finanziamento pari all'eccedenza del prezzo pagato dal concedente, il quale, nell'ipotesi di anticipata risoluzione del contratto per il mancato pagamento dei ratei di canone da parte dell'utilizzatore, ha un recupero pari esclusivamente al minor importo del prezzo di realizzo del bene medesimo. (In applicazione di tale principio la Corte ha annullato la sentenza di merito che aveva ritenuto insussistente il delitto di truffa in un'ipotesi in cui l'utilizzatore-locatario aveva stipulato un contratto di leasing per la fornitura di un macchinario di cui aveva indicato — con la complicità del venditore — un prezzo d'acquisto superiore al triplo di quello di mercato, ottenendo così il profitto di un finanziamento privo di qualsiasi garanzia per la quota eccedente il prezzo e cagionando un danno patrimoniale al locatore il quale, a seguito della risoluzione del contratto per inadempimento, aveva potuto soddisfarsi solo sul valore di realizzo del bene restituito).

Cass. pen. n. 3086/1997

L'ipotesi di truffa concernente l'indennità di maternità e le altre indennità di natura previdenziale o assistenziale elargite dall'Inps, rientra nella previsione normativa dell'art. 640 cpv. n. 1 c.p.; dette erogazioni, infatti, non possono ricomprendersi tra i «contributi, finanziamenti, mutui agevolati ovvero altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominati, concessi o erogati da parte dello Stato o di altri enti pubblici o delle comunità europee» di cui all'art. 640 bis c.p., introdotto dalla L. 19 marzo 1990, n. 55, che hanno natura di attribuzioni patrimoniali a fondo perduto o ad onerosità attenuata rispetto alle regole di mercato perché destinate a finalità di interesse pubblico, in relazione alle quali trova giustificazione la previsione dell'ipotesi aggravata speciale.

Cass. pen. n. 10495/1996

La sottrazione di energia elettrica attuata mediante la manomissione del contatore che alteri il sistema di misurazione dei consumi integra il reato di furto e non quello di truffa; detta misurazione, infatti, ha la funzione di individuare l'entità dell'energia trasferita all'utente e quindi di specificare il consenso dell'ente erogatore in termini corrispondenti, sicché la condotta dell'agente prescinde dall'induzione in errore del somministrante ed è immediatamente diretta all'impossessamento della cosa per superare la contraria volontà del proprietario.

Cass. pen. n. 9834/1996

Commette il delitto di truffa il debitore, detentore di un bene ricevuto in base a contratto di leasing, che ne conservi la disponibilità inducendo in errore l'ufficiale giudiziario, incaricato della sua riapprensione, mediante la falsa indicazione del luogo della effettiva custodia, così impedendone il tempestivo recupero.

Cass. pen. n. 8974/1996

Poiché, ai fini della configurabilità dell'aggravante del reato di truffa prevista dal secondo comma, n. 2, dell'art. 640 c.p., la nozione di «pericolo immaginario» corrisponde a quella di «pericolo inesistente» che, venendo fatto percepire come reale alla persona offesa, assume la natura di raggiro, non può considerarsi tale il ventilato asporto dei beni mobili dall'abitazione prospettato da soggetti falsamente qualificati come ufficiali giudiziari, in quanto deve escludersi il carattere «immaginario» del male così minacciato, risultando il predetto asporto consentito dalla normativa di cui agli artt. 520 e 521 c.p.c., i quali espressamente prevedono che ai fini della conservazione delle cose pignorate l'ufficiale giudiziario autorizza il custode a trasportarle altrove.

Cass. pen. n. 7889/1996

Il reato di truffa aggravata dall'essere stato ingenerato nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario (art. 640 cpv. n. 2 c.p.) si configura allorché venga prospettata al soggetto passivo una situazione di pericolo che non sia riconducibile alla condotta dell'agente, ma che anzi da questa prescinda perché dipendente dalla volontà di un terzo o da accadimenti non controllabili dall'uomo; in tal caso la vittima viene infatti indotta ad agire per l'ipotetico pericolo di subire un danno il cui verificarsi, tuttavia, viene avvertito come dipendente da fattori esterni estranei all'agente, che si limita pertanto a condizionare la volontà dell'offeso, senza peraltro conculcarla, con una falsa rappresentazione della realtà; al contrario se il verificarsi del male minacciato, pur immaginario, viene prospettato come dipendente dalla volontà dell'agente, il soggetto passivo è comunque posto davanti all'alternativa di aderire all'ingiusta e pregiudizievole richiesta del primo o subire il danno: in tali ipotesi pertanto si configura il delitto di estorsione, ed a nulla rileva che la minaccia, se credibile, non sia concretamente attuabile. (Fattispecie relativa alla richiesta di una somma di danaro per la restituzione di un motociclo rubato formulata da un soggetto che aveva tratto in inganno il derubato falsamente affermando di avere la disponibilità del mezzo).

Cass. pen. n. 7346/1996

La cosiddetta truffa processuale consistente nel fatto di chi, inducendo in errore il giudice in un processo civile mediante artifici o raggiri, ottenga una decisione favorevole e, dunque, un profitto ingiusto in danno della controparte non integra il reato di cui all'art. 640 c.p. In tale caso, infatti, viene a mancare l'atto di disposizione patrimoniale da parte di colui che viene ingannato, che è essenziale nel delitto p. e p. dall'art. 640 c.p., poiché il giudice esercita un potere giurisdizionale avente carattere eminentemente pubblicistico. L'inganno di una delle parti del processo nei riguardi del giudice può assumere rilevanza solo nei casi particolari previsti dall'art. 374 c.p. dell'atto di ispezione o di esperimento giudiziale ovvero nella frode del perito nell'esecuzione di un incarico, costituente le sole ipotesi di truffa processuale.

Cass. pen. n. 5346/1996

Il delitto di concussione si distingue da quello di truffa aggravata dall'abuso dei poteri o dalla violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione in quanto nel primo reato l'abuso si atteggia, con riguardo alla determinazione della volontà del soggetto passivo, come causa esclusiva di essa, mentre nel secondo ha valore accessorio o di mera occasione. Inoltre nella truffa il timore del danno è provocato dall'induzione in errore del soggetto passivo; nella concussione, invece, detto timore è causato dalle minacce del pubblico ufficiale.

Cass. pen. n. 5265/1996

Deve ritenersi configurata l'ipotesi aggravata del reato di truffa, di cui al comma 2 n. 2 dell'art. 640 c.p., nel fatto di colui che, sfruttando la notorietà creatasi di mago o di guaritore, ingeneri nelle persone offese il pericolo immaginario dell'avveramento di gravi malattie e faccia credere alle stesse di poterle guarire o di poterle preservare e le induca in errore, compiendo asseriti esorcismi o pratiche magiche o somministrando e prescrivendo sostanze e si procura così, nel richiedere e accettare da quelle, un ingiusto profitto con danno delle stesse. (Nella specie la S.C. ha altresì ritenuto che la prospettazione dell'insorgere di gravi malattie o dell'interruzione del relativo trattamento terapeutico erano tali da configurare l'elemento delle minacce finalizzate al compimento di atti di libidine).

Cass. pen. n. 3546/1996

La distinzione tra il reato di concussione per induzione e quello di truffa aggravata dalla qualità di pubblico ufficiale sta nelle modalità dell'azione attuata da quest'ultimo. Pertanto, deve ravvisarsi concussione tutte le volte che l'abuso della qualità o della funzione assume preminente importanza prevaricatrice che induce il soggetto passivo all'ingiusta dazione, che egli sa non dovuta; deve, invece, ravvisarsi truffa aggravata quando le qualità o la funzione del pubblico ufficiale concorrono in via accessoria alla determinazione della volontà del soggetto passivo, che viene convinto con artifizi o raggiri ad una prestazione che egli crede dovuta. (Fattispecie di truffa, nella quale l'imputato, dipendente di una Usl, addetto alla consegna dei referti medici, aveva indotto un assistito esente da ticket, fingendo anche di compiere una telefonata informativa, a versargli la somma di lire ventimila).

Cass. pen. n. 2780/1996

Ai fini della legge penale anche la Comunità economica europea (CEE), il cui strumento finanziario di attuazione della politica agricola è il Fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia (Feoga), deve essere considerata come un ente pubblico del nostro ordinamento oltre che di quello comunitario. (Principio affermato con riferimento a fattispecie di truffa aggravata ai sensi dell'art. 640, comma 2, n. 1, c.p.).

È configurabile la circostanza aggravante di cui all'art. 640, comma 2, n. 1, c.p., nella truffa consistita nel procurarsi elargizioni della CEE nel settore agricolo, in quanto il danno diretto e immediato viene subito dall'Aima, ente pubblico italiano preposto alle erogazioni di sua competenza a valere su fondi che, quantunque forniti dalla Comunità europea, sono iscritti nel suo bilancio.

La circostanza che secondo la normativa CEE-Aima il diritto al premio spettante agli utilizzatori acquirenti di tabacco direttamente dai produttori, per l'attività di trasformazione del prodotto greggio destinata all'esportazione, maturi quando il tabacco esce dal magazzino del trasformatore munito di tutta la documentazione degli organi di controllo Aima non esclude che il delitto di truffa (o quello ex art. 2, L. n. 898 del 1986) si consuma solo quando il premio viene effettivamente corrisposto, potendosi, prima di tale momento, parlare soltanto di tentativo. (Principio affermato con riferimento a una fattispecie di falso ex art. 490 c.p. strumentale alla truffa, in cui la difesa, al fine di sostenere la corrispondenza al vero delle attestazioni del controllore Aima, aveva dedotto che, poiché la normativa CEE-Aima stabilisce che il premio matura in un momento precedente i controlli doganali, e precisamente quando il tabacco esce dal magazzino con tutta la documentazione di riscontro redatta e vidimata dagli organi di controllo dell'Aima, i controlli doganali avverrebbero post delictum, e cioè dopo la consumazione del delitto di truffa).

Per fatti anteriori alla modifica introdotta con l'art. 73, L. 19 febbraio 1992, n. 142, il reato di frode comunitaria, previsto dall'art. 2, L. 23 dicembre 1986, n. 898, ha carattere sussidiario rispetto a quello di truffa aggravata. Ne consegue che esso è configurabile solo quando il soggetto si sia limitato semplicemente all'esportazione di dati e notizie falsi, e non anche quando alle false dichiarazioni si accompagnino artifici e/o raggiri di altra natura, che integrano, invece, il delitto di truffa aggravata. (Nell'enunciare il principio di cui in massima, la Suprema Corte ha affermato che la fattispecie di cui al citato art. 2, menzionando soltanto l'esposizione di dati falsi senza aggiungere «o altri artifizi o raggiri», rivela chiaramente che la norma, nel vastissimo ventaglio di possibili artifizi e raggiri, ha enucleato quello di gravità minore, rappresentato dalla semplice «esposizione di dati e notizie falsi» e soltanto a tale condotta, non accompagnata da ulteriori «malizie» dirette all'induzione in errore del soggetto passivo, ha inteso collegare conseguenze più favorevoli in termini sanzionatori di quelle previste per il delitto di truffa).

Cass. pen. n. 2689/1996

Bene è ipotizzabile il concorso materiale dei reati di patrocinio infedele e di truffa nell'ipotesi in cui il patrocinatore, con la sua condotta infedele, occultando notizie o comunicando notizie false sul corso del processo, oltre a recare danno alla parte assistita procuri dolosamente a sé stesso un ingiusto profitto.

Cass. pen. n. 2333/1996

In tema di truffa contrattuale, anche il silenzio maliziosamente serbato su alcune circostanze da parte di chi abbia il dovere giuridico di farle conoscere costituisce elemento ai fini della configurabilità del reato di truffa, trattandosi di un raggiro idoneo a determinare il soggetto passivo a prestare un consenso che altrimenti non avrebbe dato; pertanto, posto che chi acquista un immobile, ne presume, in mancanza di indicazioni contrarie derivanti da circostanze di fatto o da precisazioni dell'altro contraente, che esso sia conforme alla normativa urbanistico-edilizia e sanitaria, consegue che il silenzio serbato su tali elementi è astrattamente idoneo a indurre in errore i soggetti passivi. (Fattispecie in tema di contratto preliminare di vendita immobiliare in relazione al quale il venditore aveva taciuto circa la mancanza del requisito dell'altezza minima prevista dalla legge e la conseguente impossibilità di ottenere la certificazione di abitabilità del bene compromesso).

Cass. pen. n. 1675/1996

Ricorre l'ipotesi del peculato e non della truffa qualora vengono posti in essere raggiri ed artifici non per entrare in possesso del denaro pubblico, ma per occultare la commissione della illecita appropriazione di cose mobili delle quali il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio abbia già la disponibilità.

Cass. pen. n. 3707/1995

La fattispecie criminosa prevista dall'art. 2, L. 23 dicembre 1986, n. 898, che punisce l'indebito conseguimento di contributi comunitari mediante la mera esposizione di dati o notizie false, deve ritenersi — anche precedentemente all'introduzione nel testo normativo, ad opera dell'art. 73, L. 19 febbraio 1992, n. 142, dell'inciso «ove il fatto non configuri il più grave reato previsto dall'art. 640 bis c.p.» — di carattere sussidiario e non speciale rispetto al reato di truffa, sicché trova applicazione esclusivamente nelle ipotesi in cui l'agente si sia limitato solo ad esporre dati e notizie false, mentre i fatti connotati da più gravi elementi di frode ricadono nella figura della truffa. (Nella specie la corte ha ritenuto l'applicabilità del meno grave reato di cui all'art. 2, L. n. 898 del 1986 in quanto l'imputato aveva domandato il contributo comunitario allegando una semplice dichiarazione mendace, ancorché resa dinanzi a pubblico ufficiale in sostituzione di atto notorio — per cui era stato incriminato anche per la relativa falsità — senza tuttavia compiere ulteriore o diversa attività tesa all'induzione in errore degli organi eroganti).

Cass. pen. n. 3132/1995

La truffa commessa nei confronti dell'Enel mediante manomissione del contatore al fine di alterare la misurazione del consumo di energia, in quanto attuata nei confronti di un soggetto privato (società per azioni) è perseguibile a querela di parte, a nulla rilevando, ai fini della configurabilità dell'aggravante di cui all'art. 640 capoverso n. 1, c.p. e della conseguente perseguibilità d'ufficio, che una quota dell'importo non riscosso dall'Enel in seguito all'artificio suddetto, e precisamente il cosiddetto «sovrapprezzo termico», sia destinato alla cassa conguaglio per il settore elettrico, che ha natura di ente pubblico; e ciò in quanto la predetta aggravante è ricollegabile esclusivamente alla natura pubblica del soggetto passivo del reato di truffa e non a quella di altro soggetto che lamenti di essere stato danneggiato dal reato. (Nell'occasione la corte ha altresì precisato che il fatto che la cassa conguaglio, ente pubblico, subisca un pregiudizio patrimoniale in conseguenza della mancata percezione, per effetto della condotta delittuosa dell'utente, del sovrapprezzo termico corrispondente il maggior consumo di energia elettrica fraudolentemente sottratto al controllo dei letturisti dell'ente erogatore, non incide sulla qualità di persona giuridica privata rivestita dall'Enel, soggetto passivo del reato di truffa).

Cass. pen. n. 10371/1995

È configurabile il concorso materiale tra il reato di corruzione ed il reato di truffa in danno dello Stato in quanto l'accordo corruttivo non può integrare l'induzione in errore nei confronti del pubblico ufficiale che partecipa all'accordo, ma può ben indurre in errore gli altri funzionari dell'ente pubblico ed in particolare gli organi di controllo.

Cass. pen. n. 8456/1995

Mentre gli elementi caratterizzanti la condotta estorsiva sono la «violenza» e la «minaccia», quelli qualificanti il comportamento truffaldino — anche nell'ipotesi aggravata della prospettazione del «pericolo immaginario» — sono, pur sempre, gli artifizi e raggiri: in quest'ultima ipotesi infatti la minaccia, poiché riguarda un male non reale, ma immaginario, assume i contorni dell'inganno perché contribuisce alla induzione in errore della parte offesa del reato attraverso la prospettazione del falso pericolo. (Nella specie la Corte ha ritenuto configurabile il reato di truffa nel fatto di un soggetto che, spacciandosi per ufficiale della Guardia di finanza, aveva richiesto ed ottenuto una somma di danaro per non procedere ad una verifica fiscale).

Cass. pen. n. 8034/1995

Sussiste il reato di concussione e non quello di truffa aggravata dalla qualità di pubblico ufficiale quando il soggetto pubblico assuma atteggiamento prevaricatore al fine di ottenere una prestazione non dovuta e pretesa proprio in virtù del suo potere e non già richiesta inducendo in inganno la parte lesa circa la sua debenza.

Cass. pen. n. 1221/1995

Il reato di cui all'art. 12 della L. 5 luglio 1991, n. 197 (indebita utilizzazione di carte di credito o di pagamento) concorre materialmente con quello di truffa (art. 640 c.p.). L'elemento oggettivo del primo, infatti, è costituito dall'uso indebito, in mancanza di titolarità, di carte di credito o di pagamento, a prescindere dal conseguimento di un profitto e dal verificarsi di un danno e non comporta il coinvolgimento del soggetto passivo. Il secondo, invece, richiede gli artifizi o i raggiri dell'agente e l'induzione in errore del soggetto passivo e si consuma nel momento del conseguimento del profitto con altrui danno.

Cass. pen. n. 6470/1995

L'evento delittuoso punito dall'art. 640 c.p. è costituito dal conseguimento del profitto con altrui danno. I due elementi (profitto e danno), pur essendo inscindibilmente connessi, possono venire ad esistenza in momenti diversi, sicché la truffa si perfeziona non con l'azione tesa al profitto, ma con la realizzazione del danno. Conseguentemente, quando l'oggetto della truffa sia costituito da un titolo di credito, il reato si consuma nel momento e nel luogo in cui, attraverso la riscossione dello stesso, si verifica l'arricchimento dell'agente, con il correlativo danno patrimoniale altrui.

Cass. pen. n. 5845/1995

Il criterio distintivo tra i due reati di truffa commessa ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario e di estorsione, va individuato nel diverso atteggiamento psicologico dei soggetti passivi nel sottomettersi all'ingiusto danno: il reato di truffa sussiste quando il male minacciato viene ventilato come passibile ed eventuale e comunque non proveniente, direttamente o indirettamente, da chi lo prospetta, sicché la persona offesa si determina perché tratto in errore dall'esposizione di un pericolo inesistente; si ha il delitto di estorsione, invece, quando il colpevole incute, da solo o con altri, il timore di un pericolo che fa apparire certo e proveniente da lui stesso o da altra persona a lui legata da un qualunque rapporto, di talché la persona offesa viene posta di fronte all'alternativa di adempiere all'illecita richiesta o di subire il male minacciato.

Cass. pen. n. 5838/1995

Ai fini dell'integrazione del reato di estorsione è indifferente che l'agente abbia effettivamente la possibilità di attuare il male minacciato, ma è invece necessario che la minaccia si presenti, nella sua rappresentazione, come certa e promanante dal soggetto attivo o da altre persone allo stesso collegate, in modo da raggiungere l'effetto di coartare ogni libertà di scelta della vittima. Invece, nel reato di truffa aggravata ai sensi dell'art. 640, secondo comma, n. 2, c.p., la determinazione della vittima è cagionata da un errore conseguito con il prospettare il pericolo di un male eventuale dovuto all'opera di terzi.

Cass. pen. n. 5870/1995

È configurabile il reato di truffa aggravata ai sensi dell'art. 640 cpv. n. 1 c.p. anche allorquando parte offesa sia un ente pubblico economico, stante il riferimento della circostanza aggravata agli «enti pubblici» in genere, senza distinzione alcuna fra enti pubblici «economici» ed altri enti pubblici. (Nella fattispecie si trattava di truffa in danno di un consorzio di bonifica. La Suprema Corte ha ritenuto corretta la qualificazione giuridica del fatto come truffa aggravata ai sensi dell'art. 640 cpv. n. 1 c.p. ed ha enunciato il principio di cui in massima).

Cass. pen. n. 4828/1995

Il reato di fraudolenta distruzione della cosa propria (art. 642 c.p.) costituisce un'ipotesi criminosa speciale rispetto al reato di truffa (art. 640 c.p.); nel primo, infatti, sono presenti gli stessi elementi della condotta caratterizzanti il secondo ed, in più, come elemento specializzante, il fine di tutela del patrimonio dell'assicuratore.

Cass. pen. n. 610/1995

Le norme di cui all'art. 640 c.p. (truffa) e 12 della L. 5 luglio 1991, n. 197 (indebita utilizzazione o falsificazione di carte di credito o di pagamento) non costituiscono un'ipotesi di concorso apparente, né di reato complesso, bensì di concorso formale o materiale di reati, a seconda del concreto atteggiarsi della condotta dell'agente. Ciò perché diverso è il bene giuridico tutelato da ciascuna di esse. La prima, infatti, tutela il patrimonio del privato; la seconda, invece, realizza solo in via mediata siffatta tutela, mentre suo scopo primario è la tutela dell'interesse pubblico, al fine di evitare che il sistema finanziario sia utilizzato a scopo di riciclaggio e di salvaguardare ad un tempo la fede pubblica.

Cass. pen. n. 2787/1995

In materia di concussione, nel concetto di induzione previsto dalla norma rientra sia l'attività di persuasione che quella che comporti un inganno del soggetto passivo, l'inganno infatti non è necessario, ma non è neanche in contrasto con la natura e la struttura della concussione sempre che la induzione si sia essenzialmente svolta attraverso l'abuso della qualità o della pubblica funzione. (La Corte ha confermato la sentenza della Corte di appello di Genova che aveva ritenuto che avesse commesso concussione e non truffa aggravata il maresciallo della guardia di finanza che aveva falsamente prospettato ai responsabili di un'impresa la possibilità di una verifica fiscale da parte del suo ufficio a seguito di una inesistente richiesta proveniente da un'autorità straniera e si era fatto dare una somma di denaro asseritamente destinata a impedire che la verifica fosse avviata).

Cass. pen. n. 11446/1994

I delitti di truffa e di millantato credito si differenziano oltre che per la diversità dell'oggetto della tutela penale, che nella truffa è il patrimonio e nel millantato credito è il prestigio della pubblica amministrazione, anche per il mezzo utilizzato per la loro commissione sicché i due reati possono concorrere quando l'illecito profitto sia conseguito attraverso le millanterie proprie del secondo reato e la predisposizione di falsi documenti o la assunzione da parte degli agenti di false qualifiche pubbliche, che costituiscono artifici o raggiri propri della truffa.

Cass. pen. n. 6360/1994

Nell'ipotesi di truffa ai danni dello Stato commessa da soggetto che, producendo un falso certificato di laurea, abbia conseguito l'abilitazione all'insegnamento e successivamente l'immissione in ruolo conseguentemente percependo, in costanza del rapporto, la regolare retribuzione, il reato perdura fino a quando non vengono interrotte le riscossioni o per volontà del soggetto attivo o per iniziativa di quello passivo ed il momento consumativo coincide quindi con la cessazione dell'attività illecita; trattasi, invero, non di reato continuato, o permanente, ovvero ad effetti permanenti, bensì di reato a «consumazione prolungata», in cui l'azione dà luogo ad un evento che continua a prodursi nel tempo con la realizzazione degli illeciti profitti man mano maturati con altrui danno. (Alla stregua di tale principio la Corte ha escluso l'applicabilità dell'amnistia il cui termine di efficacia era scaduto in epoca antecedente alla interruzione delle riscossioni).

Cass. pen. n. 4854/1994

Nell'ipotesi di reato commesso anteriormente alla data di entrata in vigore della L. 8 agosto 1992, n. 359 che ha disposto la trasformazione dell'Enel in ente privato, il reato di truffa in danno dell'Enel non può essere configurato come truffa semplice e non sarà necessaria la proposizione della querela posto che, in difesa del principio tempus regit actum, al momento in cui il reato venne commesso la norma processuale vigente sanciva la procedibilità di ufficio.

Cass. pen. n. 4228/1994

L'avvenuta trasformazione dell'Enel in persona giuridica di diritto privato non produce effetti processuali sotto il profilo della perseguibilità a querela del reato di truffa allorché il fatto reato risalga ad epoca anteriore alla trasformazione: ciò stante il principio tempus regit actum vigente in materia processuale.

Cass. pen. n. 10259/1993

Ciò che rileva ai fini della configurabilità del reato di truffa, dell'individuazione dell'interesse tutelato e conseguentemente del titolare di detto interesse, è la diminuzione patrimoniale, cui corrisponde il conseguimento dell'ingiusto profitto da parte dell'agente, e cioè l'aspetto finalistico e non quello strumentale (induzione in errore) della condotta; pertanto, essendo il soggetto passivo del reato colui che subisce le conseguenze patrimoniali dell'azione truffaldina, la querela proposta dalla persona ingannata, in caso di non coincidenza fra indotto in errore e danneggiato, è priva di ogni effetto.

Cass. pen. n. 8264/1993

Il delitto di millantato credito, a differenza della truffa, è caratterizzato da un raggiro del tutto particolare, consistente nelle vanterie, esplicite o anche implicite, di ingerenze o pressioni da parte del millantatore presso il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio, senza che, peraltro, occorra che l'agente spenda il nome o indichi la specifica funzione di quest'ultimo, bastando che la parte offesa comprenda che il presunto referente del millantatore sia persona investita di dette funzioni.

Cass. pen. n. 4011/1993

Ai fini della sussistenza del delitto di truffa, non ha rilievo la mancanza di diligenza, di controllo e di verifica da parte della persona offesa, dal momento che tale circostanza non esclude l'idoneità del mezzo in quanto si risolve in una mera deficienza di attenzione e perché il più delle volte è determinata dalla fiducia che, con artifici e raggiri, sa suscitare il truffatore nella parte lesa.

La mendace dichiarazione di una delle parti di essere in grado di adempiere l'obbligazione, fatta all'altra parte durante l'iter formativo del contratto, pure in assenza di qualsiasi messa in scena, in quanto destinata a creare un falso convincimento, operando sulla psiche del soggetto ingannato, integra l'elemento del raggiro il quale, se posto in essere con dolo, realizza la figura criminosa della truffa contrattuale.

Cass. pen. n. 806/1993

La produzione di un danno patrimoniale con cui si perfeziona il reato di truffa è, tra l'altro, ipotizzabile nella mancata aggiudicazione dei lavori da parte di altri concorrenti ad una gara di appalto. (Fattispecie relativa a turbata gara di appalto mediante manomissione dei plichi contenenti le offerte di ribasso ed induzione in errore del presidente della commissione designata per l'espletamento della gara).

Cass. pen. n. 1658/1993

In tema di truffa, l'espediente di presentare per il rimborso note di spese non dovute, inframmezzate ad altre regolari, approfittando del rapporto di lavoro che induce a presumere la correttezza tra le parti, ben può rientrare nel concetto di artifizio, di cui all'art. 640 c.p., idoneo ad ingannare. Tale idoneità non è esclusa dall'esistenza di preventivi controlli, ben potendo, per l'elevato numero delle note presentate, sfuggire l'irregolarità di alcune. L'artificio è più evidente nei casi in cui gli scontrini presentati per il rimborso siano stati procurati in modo irregolare e non rappresentino una spesa effettiva.

Cass. pen. n. 1050/1993

In tema di truffa sussiste l'aggravante dell'aver commesso il fatto in danno dello Stato o di altro ente pubblico, di cui all'art. 640 cpv. n. 1 c.p., anche se il danno sia ricaduto, in concreto, su di una compagnia di assicurazioni, qualora il raggiro sia stato posto in essere direttamente nei confronti dell'ente pubblico, con la conseguenza che questo sia stato indotto in errore ed abbia subito un danno con l'esborso di un acconto corrisposto per un fatto illecito e senza trovare riscontro nella realizzazione di precise finalità pubbliche, cui fosse collegata la somma erogata.

Cass. pen. n. 2/1993

È configurabile la condotta del reato di truffa allorquando taluno dia falsamente assicurazione circa la sussistenza della licenza edilizia e della conformità ad essa delle opere realizzate, inducendo così la controparte a stipulare un contratto preliminare di vendita. (La Suprema Corte ha ritenuto che il bene trasferibile — consistente in un terreno con sovrastante fabbricato, in parte da realizzare - fosse difforme da quello promesso in vendita e che il danno, negato dal giudice di merito, andasse ravvisato quanto meno perché la sanatoria ottenuta dal promittente grazie al cosiddetto condono edilizio aveva escluso il portico, promesso col preliminare).

Cass. pen. n. 9520/1992

La particolare condizione di un soggetto, quale determinata da una sua fragilità di fondo o da situazioni contingenti, non esclude la configurabilità in suo danno del reato di truffa, anzi ne rende più agevole l'esecuzione. (Nella specie alle persone offese fu promessa la soluzione o guarigione dei loro mali fisici o psichici, o del loro disagio esistenziale, ovvero un «miglioramento della mente» con una attività di «stimolazione del cervello», il tutto attraverso una «terapia», e non con l'adesione ad un credo religioso, terapia peraltro pagata e in situazioni in cui si profilavano condotte costantemente fraudolente con la conseguente induzione in errore di soggetti facilmente raggirabili e danno economico degli stessi con correlativo profitto ingiusto quanto meno della organizzazione, o Chiesa di Scientology, alla quale, a detta dei principali imputati, venivano versati proventi incassati dal Centro Dianetics).

Cass. pen. n. 8707/1992

Nel caso in cui il delitto di truffa, così come contestato all'imputato, risulta aggravato solo ai sensi dell'art. 640, secondo comma, c.p. e non ai sensi dell'art. 61 n. 7 c.p., il reato deve considerarsi estinto per amnistia in base all'art. 1 n. 4 D.P.R. 12 aprile 1990, n. 75, che prevede la concessione dell'amnistia per il delitto di truffa di cui all'art. 640, secondo comma, c.p. sempre che non ricorra la circostanza aggravante prevista dall'art. 61 n. 7 c.p. (danno patrimoniale di rilevante gravità). Né può essere accolta la tesi secondo cui, essendo oggetto della truffa una somma ingente — nella specie cento milioni di lire — l'aggravante di cui all'art. 61 n. 7 c.p. risulta contestata in fatto, sicché a nulla rileva che non sia stata indicata nella imputazione la norma attinente alla circostanza. (Nella specie, relativa ad annullamento senza rinvio perché estinto il delitto di truffa per amnistia, la S.C. ha precisato che l'accertamento sulla rilevante gravità del danno patrimoniale è un accertamento di merito precluso al giudice di legittimità).

Cass. pen. n. 7239/1992

Il reato di truffa si consuma non nel momento in cui il soggetto passivo (nel caso di specie: un ente pubblico) assume per effetto degli artifici e raggiri l'obbligazione, bensì quando l'agente consegue la disponibilità concreta del bene con l'effettivo altrui danno consistente nella perdita del bene stesso da parte del soggetto passivo. Da qui l'ulteriore conseguenza che quando l'obbligazione assunta dal soggetto passivo viene adempiuta in momenti successivi, a scadenze periodiche, non è configurabile un unico delitto di truffa avente ad oggetto l'obbligazione complessiva, bensì una pluralità di eventi dannosi e, quindi, un delitto continuato, rispetto al quale le singole riscossioni costituiscono altrettanti atti esecutivi di un medesimo disegno criminoso; atti nei quali l'iniziale proposito fraudolento si riproduce attraverso il silenzio sulla illiceità della situazione.

Cass. pen. n. 2841/1992

Ai fini della configurazione della truffa in danno di un ente pubblico, prevista dall'art. 640, comma 2, c.p., con particolare riferimento all'istituto di credito, non assume valore dirimere la qualificazione dell'azienda creditizia come ente pubblico, in conseguenza di specifico riconoscimento formale in sede di classificazione giuridica stabilita dalla legge; occorre, invece, stabilire in concreto se l'ente adempie una funzione pubblicistica nella raccolta e nella gestione del risparmio, con riguardo alla oggettività del fatto delittuoso che integra la truffa. Ciò in quanto in alcuni settori, per ragioni preminenti di ordine politico-economico, il legislatore riconosce all'impresa bancaria, che svolge — quale ente pubblico — un'attività di carattere speciale, una funzione di tutela di interessi generali che meritano di essere privilegiati ed incrementati con determinate iniziative.

Cass. pen. n. 220/1992

È ipotizzabile il reato di truffa continuata nel fatto della sistematica raccolta di risparmi con la promessa di utilità e interessi estranei alle concrete possibilità del mercato.

Cass. pen. n. 470/1992

In tema di truffa il profitto, costituente uno degli eventi consumativi del reato, deve ravvisarsi tanto nel caso di effettivo accrescimento di ricchezza economica a favore dell'agente quanto nel caso di mancata diminuzione del suo patrimonio per effetto del godimento di beni, quindi anche senza un aumento esteriore di ricchezza, analogamente al possibile atteggiarsi della deminutio patrimoni in senso economico, subita dal soggetto passivo, come danno emergente o come lucro cessante. Il carattere dell'ingiustizia è attribuito al profitto dal fatto di essere stato conseguito sine iure, sì che l'arricchimento in cui esso si risolve risulta realizzato sine causa, per l'assenza di un titolo giuridico che lo giustifichi.

L'elemento soggettivo del delitto di truffa è costituito dal dolo generico, diretto o indiretto, avente ad oggetto gli elementi costitutivi del reato (quali l'inganno, il profitto, il danno), anche se preveduti dall'agente come conseguenze possibili, anziché certe della propria condotta, e tuttavia accettato nel loro verificarsi, con conseguente assunzione del relativo rischio; per cui è priva di rilevanza la specifica finalità del comportamento o il motivo che ha spinto l'agente a realizzare l'inganno.

Cass. pen. n. 9194/1991

L'artificio o il raggiro richiesto per la sussistenza del reato di truffa può consistere anche nel semplice silenzio, maliziosamente serbato su alcune circostanze da chi abbia il dovere di farle conoscere, in quanto il comportamento dell'agente in tal caso non può ritenersi meramente passivo ma artificiosamente preordinato a perpetrare l'inganno, tanto più quando l'obiettiva difformità tra la situazione reale e quella conosciuta da colui che è stato indotto in errore dipende dal comportamento dell'agente. (Fattispecie in cui il venditore di un immobile aveva taciuto sulla pratica di mutuo ipotecario in corso, unitamente alla garanzia che tale immobile era libero da pesi e vincoli di sorta. La S.C., nell'affermare il principio predetto, ha precisato che la fonte del dovere d'informazione può risiedere anche in una norma extra penale come l'art. 1337 c.c., che impone alle parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, l'obbligo del comportamento secondo buona fede).

Cass. pen. n. 14/1991

Il giuoco delle tre carte e quelli similari non realizzano di per sé il reato di truffa, ma tale figura criminosa può ricorrere qualora il tenitore del gioco ponga in essere un'attività ulteriore di carattere fraudolento, come nel caso in cui egli faccia vincere il giocatore una prima volta per indurlo a raddoppiare la posta ed ingannarlo nei successivi turni di gioco, oppure si avvalga di «compari» che, distraendo il giocatore, consentono al tenitore di spostare all'ultimo momento le carte o che, fingendosi accaniti giocatori, puntano con alterne vicende, in modo da ingenerare nello spettatore la convinzione di trovarsi di fronte ad un gioco al quale si può facilmente vincere.

Cass. pen. n. 7461/1991

In tema di truffa contrattuale, allorché la parte civile deduca specifiche questioni sul contenuto del contratto, sulla sua interpretazione ed esecuzione, il giudice di merito ha l'obbligo di procedere a tale esame, dandosi carico di determinare l'esatto contenuto del contratto e degli effetti che ne derivano, in applicazione delle norme e dei principi che regolano la materia, e dando conto di detto accertamento con adeguata motivazione, la cui completezza e congruità può essere oggetto di controllo in sede di legittimità. (Fattispecie in tema di preliminare di vendita di appartamento, da edificare su suolo asseritamente di proprietà del promissario-venditore, il cui diritto era subordinato al verificarsi di una serie di condizioni taciute al promissario-acquirente e non valutate in modo adeguato dal giudice di merito).

Cass. pen. n. 16264/1990

In tema di truffa, qualora sia stato accertato il nesso di causalità tra l'artificio o il raggiro e l'altrui induzione in errore, non è necessario stabilire l'idoneità in astratto dei mezzi usati, quando in concreto essi si siano dimostrati idonei a trarre in errore, né vale ad escludere il delitto l'eventuale difetto di diligenza della persona offesa.

Cass. pen. n. 10833/1990

In tema di truffa consumata ogni questione in ordine all'idoneità astratta, dell'artificio o del raggiro, ad ingannare e sorprendere l'altrui buona fede non ha alcuna rilevanza, essendo l'idoneità dimostrata dall'effetto raggiunto. (Nella specie l'imputato sia era fatto assumere da un ente ospedaliero, affermando falsamente nella domanda di avere conseguito la laurea in medicina, titolo che però non aveva esibito e che non gli era stato materialmente richiesto. Ricorreva assumendo che il reato non era configurabile per la grave negligenza dell'ente, che non aveva esercitato alcun controllo o verifica. La corte ha invece statuito il principio di cui sopra).

Cass. pen. n. 10758/1990

Nell'ipotesi in cui con falsi documenti si ottenga il rilascio di una concessione edilizia in contrasto con gli strumenti urbanistici, non è configurabile la truffa, quando il danno patrimoniale venga individuato soltanto nella lesione di interessi collettivi per l'ordinato assetto urbanistico, di cui il comune è portatore.

Cass. pen. n. 9034/1990

In tema di truffa, l'inganno che subisce il soggetto passivo non deve necessariamente derivare da un artificio o raggiro comunque riconoscibile in quanto esteriorizzato dall'agente. Chi presenta all'incasso titoli di credito di pertinenza di un omonimo, ricevuti per errore, dà ad intendere, con ciò solo, di esserne il legittimo prenditore e pone in essere in tal modo un artificio ingannevole in danno dell'operatore bancario.

Cass. pen. n. 7679/1990

Ai fini della ravvisabilità della sussistenza della circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità in caso di truffa per indebita percezione di un'indennità non dovuta, il danno medesimo va valutato nell'ammontare complessivo dell'indennità indebitamente corrisposta e non in relazione alle singole giornate cui l'indennità si riferisce.

Cass. pen. n. 6241/1990

È configurabile il delitto di truffa anche in caso di inosservanza, da parte dell'assicurato, dell'obbligo di dare avviso all'assicuratore del sinistro verificatosi, in quanto tale omissione — a meno che non sia dolosa — non comporta automaticamente la perdita della garanzia assicurativa, ma al più la riduzione, in ragione del pregiudizio sofferto dall'assicuratore, ai sensi dell'art. 1915, cpv., c.c., del diritto all'indennità.

Cass. pen. n. 5541/1990

In tema di causalità, l'obbligo giuridico rilevante a norma dell'art. 40, capoverso, c.p. può nascere da qualsiasi ramo del diritto e, quindi, anche dal diritto privato. L'art. 1759 c.c. postula un obbligo giuridico per il mediatore il quale, se è libero di iniziare o meno la sua attività, deve però osservare determinate regole tra cui quella della comunicazione alle parti in occasione della stipula del contratto di tutte quelle notizie che attengono «alla valutazione e alla sicurezza dell'affare» e che devono essere rese note al fine di consentire alle parti stesse di determinarsi con la necessaria consapevolezza. Il silenzio maliziosamente tenuto dal mediatore, che assuma efficienza causale nel processo di formazione della volontà della parte, indotta all'acquisto o comunque rassicurata dalla sua convenienza grazie a tale comportamento omissivo, integra la condotta di consapevole partecipazione al delitto di truffa. (Fattispecie: concorso in truffa in materia di compravendita di immobile dichiarato, contrariamente al vero, libero da ipoteche).

Cass. pen. n. 3694/1990

Integra un'ipotesi di truffa aggravata ai sensi dell'art. 640 cpv. n. 2 c.p. la induzione alla sottoscrizione di abbonamento ad una rivista specializzata in materia tributaria, ottenuta ingenerando il timore, per quanto immaginario, di un accertamento fiscale in caso di rifiuto.

Cass. pen. n. 3685/1990

Ricorre il delitto di truffa anche quando la condotta dell'agente si esplica in un contegno capace di ingenerare errore per omessa rivelazione di circostanze che si ha l'obbligo di riferire perché in tal caso l'errore in cui viene a cadere il soggetto passivo è conseguenza diretta del preordinato inganno dell'agente. (Fattispecie relativa ad omessa comunicazione, da parte di assegnatario di alloggio Iacp, della cessazione delle condizioni legittimanti la permanenza nella titolarità del rapporto di assegnazione).

Cass. pen. n. 3646/1990

Sussiste la circostanza aggravante di cui al secondo comma, n. 1 dell'art. 640 c.p. ogni qual volta il danno della truffa ricada su un ente pubblico. È pertanto irrilevante che gli artifizi ed i raggiri abbiano tratto in inganno un soggetto non legato all'ente predetto da un rapporto organico. E pertanto è configurabile il reato de quo nel comportamento di colui che, mediante ricette falsificate abbia indotto in errore i farmacisti ottenendo la erogazione di medicinali non dovuti, il cui costo, nell'attuale regime di «assistenza diretta» grava direttamente sull'istituto mutualistico.

Cass. pen. n. 3039/1990

Il delitto di peculato si differenzia da quello di truffa aggravata ex art. 61 n. 9 c.p., sotto il profilo del conseguimento della res, in quanto nel primo il possesso del bene trova origine nella ragione di ufficio e preesiste all'illecita conversione in profitto dell'agente, mentre nella truffa l'acquisto del possesso consegue all'azione del colpevole, consistente nell'induzione in errore mediante artifici o raggiri. Ne consegue che, quando gli artifici vengano posti in essere non per conseguire il possesso della res ma per occultarne l'illecito impossessamento, ovvero per assicurarsi l'impunità, sussiste il delitto di peculato e non quello di truffa aggravata. (Fattispecie di impiegato postale che, dopo aver rilasciato regolare ricevuta per il versamento di danaro da parte di utenti — a titolo di pagamento di tassa di circolazione — falsificava i documenti interni facendo apparire come incassate somme inferiori a quelle versate, appropriandosene la differenza).

Cass. pen. n. 1426/1990

Nella truffa ai danni dello Stato, l'ingiusto profitto — inteso come realizzazione del possesso della cosa mobile o del danaro appartenente alla P.A. — si realizza per mezzo di attività strumentali (artifizi o raggiri, inducenti taluno in errore), mentre nel peculato il possesso della cosa preesiste all'azione delittuosa volta alla sua appropriazione o distrazione e gli artifici (nella specie falsificazioni documentali) sono attività accessorie intese a coprire l'appropriazione o la distrazione già portata ad effetto.

Cass. pen. n. 1161/1990

Il momento consumativo della truffa, quando l'oggetto della stessa è costituito da un titolo di credito, si realizza nel momento e nel luogo in cui attraverso la riscossione si verifica l'effettivo illecito arricchimento patrimoniale dell'agente.

Cass. pen. n. 1121/1990

Configura il delitto di truffa aggravata ai sensi dell'art. 640, n. 1 e 61, nn. 9 e 11 il fatto del pubblico funzionario che abbandona il posto clandestinamente, celandolo a chi avrebbe dovuto esserne al corrente, per compiere un'attività incompatibile, nell'orario impegnato, con le incombenze sue proprie, inducendo in tal modo la P.A. a ritenere erroneamente che le mansioni proprie del suo dipendente fossero da questi regolarmente espletate e che, quindi, avesse titolo alla retribuzione. (Fattispecie di prestazione d'opera da parte di medico dipendente da amministrazione comunale a favore di un laboratorio diagnostico privato in orari dai quali risultava in servizio presso il suo ufficio al comune).

Cass. pen. n. 1074/1990

La differenza tra il reato di truffa aggravata dall'ingenerato timore di un pericolo immaginario e quello di estorsione non sta nell'effettiva sussistenza del male minacciato — immaginario nella truffa, concreto e realizzabile nell'estorsione — ma nella circostanza che nella truffa il male viene ventilato come possibile ed eventuale e comunque non proveniente direttamente od indirettamente da chi lo prospetta, di talché l'offeso non è coartato nella sua volontà, ma si determina perché tratto in errore dalla esposizione di un pericolo come certo e realizzabile ad opera del reo o di altri, sicché, l'offeso è posto nella ineluttabile alternativa di far conseguire all'agente il preteso profitto o di subire il male minacciato. (Nella specie, relativa a rigetto di ricorso avverso condanna per tentata estorsione aggravata, l'imputato, che mediante una lettera e successiva telefonata aveva minacciato il sequestro di uno dei due figli della persona offesa se questa non avesse pagato 40 milioni di lire, aveva sostenuto che il fatto andava qualificato come tentativo di truffa aggravata, poiché non sarebbe esistito alcun progetto di rapimento).

Cass. pen. n. 297/1990

Il bene giuridico che il reato di falso protegge è l'interesse di garantire la pubblica fede, mentre il bene giuridico protetto nel delitto di truffa è l'interesse concernente l'inviolabilità del patrimonio; i due cennati reati, oltre ad obiettività giuridiche distinte, presentano elementi strutturali diversi in riferimento ai quali non v'è alcun rapporto di specificità, per il quale occorre il necessario presupposto della esistenza di una norma generale e di una norma speciale, ambedue destinate a disciplinare la stessa materia. (Fattispecie in tema di esposizione sul parabrezza di un veicolo di disco — contrassegno, relativo al pagamento della tassa di circolazione alterato).

In tema di truffa, qualora sia accertato il nesso di causalità tra l'artificio o il raggiro e l'altrui induzione in errore, non è necessario stabilire se i mezzi usati siano, in astratto, genericamente idonei a trarre in errore, se in concreto essi si siano dimostrati idonei; l'eventuale difetto di diligenza della persona offesa (nella specie, relativa ad esposizione di disco-contrassegno falsificato in un autoveicolo, dei competenti organi di controllo) non vale ad elidere la sussistenza del reato.

Cass. pen. n. 134/1990

La circostanza aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità, di cui all'art. 61, n. 7 c.p., è compatibile con il reato di truffa in danno dell'Aima, di cui all'art. 2, L. 23 dicembre 1986, n. 898.

Cass. pen. n. 17365/1989

È configurabile il delitto di truffa aggravata nel fatto di chi non adempie l'obbligo del pagamento della tassa di circolazione, o lo adempie in misura insufficiente, avvalendosi, per far apparire di essere in regola nel pagamento, dell'espediente di falsificare l'attestato di versamento (da esporre sul parabrezza del veicolo) e la ricevuta del versamento stesso, da unire alla carta di circolazione. In tal caso, infatti, l'artificio e il raggiro sono costituiti dalla formazione ed esibizione dei suddetti atti falsificati, in quanto idonei a indurre in errore gli agenti preposti al traffico, mentre l'ingiusto profitto, proprio del reato di truffa, consiste nella circolazione abusiva del veicolo e nel perdurante mancato adempimento di tutte le conseguenti obbligazioni patrimoniali (soprattasse e sanzioni pecuniarie) cui è correlativo il danno che lo Stato patisce. Il delitto di truffa, così configurato, inoltre, concorre con quello di falso e si presenta nella forma del tentativo quando l'illecito venga accertato prima che il veicolo sia posto in circolazione, e nella forma della consumazione quando l'accertamento dell'illecito avvenga mentre il veicolo è già in circolazione, giacché in tale ultimo caso si è ormai realizzato l'evento del reato, vale a dire l'ingiusto profitto e il danno correlativo, nei sensi sopra spiegati.

Cass. pen. n. 17202/1989

In tema di truffa solo la grossolanità o incredibilità dell'artificio o del raggiro possono far dubitare dell'attitudine del mezzo impiegato ad indurre in errore, mentre la mancanza di diligenza nel controllo e nella verifica, da parte del soggetto passivo, sugli atti e sui documenti posti in essere dal soggetto attivo non escludono l'idoneità del mezzo in parola.

Cass. pen. n. 16703/1989

Il delitto di truffa è perseguibile d'ufficio e non a querela allorché sia stata contestata la recidiva che rientra tra le circostanze aggravanti soggettive.

Cass. pen. n. 16304/1989

Il delitto di truffa si consuma esclusivamente allorché dalla induzione in errore di un soggetto, mediante gli artifici e raggiri, l'autore consegua un ingiusto profitto con altrui danno; danno che deve avere contenuto patrimoniale, deve concretarsi, cioè, in un detrimento del patrimonio. Anche nel tentativo, quindi, gli atti devono essere, oltre che idonei, diretti in modo non equivoco a conseguire un ingiusto profitto con un corrispondente danno patrimoniale del soggetto passivo.

Cass. pen. n. 15459/1989

Il delitto di concussione per induzione mediante inganno si differenzia dalla truffa aggravata dalla qualità di pubblico ufficiale poiché nel primo l'abuso della funzione o della qualità di pubblico ufficiale assume, nel condizionamento della volontà della vittima, un ruolo determinante, mentre nel secondo ha soltanto valore accessorio.

Cass. pen. n. 13510/1989

Deve rispondere di truffa e non di furto aggravato dal mezzo fraudolento, l'utente che, immobilizzando o ritardando nel suo movimento, con un congegno, il disco rotante sito all'interno del contatore e collegato alle cifre numeriche indicanti il consumo, evitandone la registrazione, abbia sottratto all'ente erogatore un certo quantitativo di energia elettrica.

Cass. pen. n. 12319/1989

Il delitto di truffa — nella specie in danno dell'Inam e dell'Inps — realizzato attraverso la ricezione di indebite prestazioni maturate periodicamente deve ritenersi a consumazione prolungata e caratterizzato da unicità di azione e da un evento che continua a prodursi nel tempo. Pertanto, ai fini della concessione della circostanza attenuante della speciale tenuità del danno, di cui all'art. 62, n. 4, c.p., si deve aver riguardo al complessivo ammontare delle indennità indebitamente percepite e non a quello delle singole prestazioni.

Cass. pen. n. 12264/1989

Sussiste il delitto di truffa aggravata nel caso di buono contributo utilizzato — nella specie da direttore dei lavori in fabbricato danneggiato dal sisma del 1980, da amministratore e titolare del buono contributo medesimo e dal titolare di impresa di lavori — destinando i fondi a lavori non autorizzati e per un importo non giustificato (v. ordinanza 6 gennaio 1981, n. 80 del commissario Zamberletti). Né rilevano, ai fini dell'esclusione dell'ingiusto profitto del reato di cui all'art. 640 c.p., eventuali lavori diversi e di maggior costo, perché in materia vige il principio secondo cui il beneficiario del buono contributo, pena la decadenza, deve destinare i fondi ricevuti all'esatta esecuzione dei lavori ammessi a contributo.

Cass. pen. n. 12255/1989

Ai fini della sussistenza del delitto di truffa, la certificazione prognostica di una malattia è idonea ad integrare l'estremo costitutivo dell'artificio pur se la falsa prognosi — trattandosi dell'espressione di un giudizio — non realizza il reato di cui all'art. 479 c.p. (falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici).

Cass. pen. n. 12152/1989

La eventuale trascuratezza del soggetto passivo non esclude la configurabilità del reato di truffa allorquando egli sia incorso in errore in conseguenza degli artifici o raggiri posti in essere dall'agente.

Cass. pen. n. 11789/1989

La normale attività di raccolta del risparmio e di esercizio del credito ha carattere di impresa privata indipendentemente dalla natura pubblica o privata degli enti che la esercitano. Tale principio esclude che gli impiegati degli enti pubblici i quali svolgono siffatta attività rivestano la qualifica di pubblici ufficiali o di incaricati di pubblico servizio, ma non incide sulla natura pubblica dell'ente. Ne deriva che è ravvisabile l'aggravante di cui all'art. 640 cpv. n. 1 c.p. nell'ipotesi di truffa consumata in danno di istituto di credito con qualifica di ente pubblico.

Cass. pen. n. 11652/1989

Per la ravvisabilità della sussistenza o meno della circostanza attenuante della speciale tenuità del danno, nella ipotesi di truffa continuata ai danni di un ente pubblico per indebita percezione di quanto erogato a titolo di rimborso medicinali, deve necessariamente tenersi conto delle somme realmente e globalmente riscosse e non di quelle liquidate e contabilizzate con il riferimento ad ogni singola fustellazione di ricetta. Ciò in quanto il momento consumativo del delitto di truffa si verifica quando l'agente consegue l'ingiusto profitto attraverso la materiale disponibilità del bene indebitamente acquisito e non già tutte le volte in cui il soggetto passivo consente all'agente di accreditare intanto a suo favore una determinata somma.

Cass. pen. n. 11597/1989

Integra il reato di truffa la percezione delle prestazioni di cassa integrazione guadagni da parte del lavoratore che ricavi contestualmente altro reddito di nuova attività lavorativa.

Cass. pen. n. 10565/1989

La recidiva, inerendo esclusivamente alla persona dell'imputato, non incide sulla gravità del fatto reato e pertanto non può essere compresa tra le circostanze aggravanti che rendono perseguibile d'ufficio il delitto di truffa.

Cass. pen. n. 10397/1989

Deve ravvisarsi il delitto di cui all'art. 646 c.p. e non già quello di truffa quando l'artificio o il raggiro non risultino necessari alla appropriazione. (Nella fattispecie, essendo state contestate ad un cassiere di banca, continuate appropriazioni di denaro dalla cassa cui era preposto, è stato ritenuto che, avendo l'imputato, per l'espletamento della sua funzione, la materiale disponibilità del denaro non aveva necessità di ricorrere ad artifici o raggiri per appropriazione. La ulteriore attività commessa dall'imputato, come l'emissione di assegni all'ordine di apparenti prenditori con false girate di costoro, era volta, secondo questa corte, a costruire una falsa documentazione allo scopo di giustificare le differenze di cassa e, pertanto, allo scopo di occultare le appropriazioni di denaro, tanto è vero che se tali artifizi si fossero rilevati inidonei per occultare ai quotidiani riscontri le appropriazioni, queste avrebbero dovuto ritenersi comunque consumate e penalmente perseguibili).

Cass. pen. n. 9331/1989

Ai fini del reato di truffa aggravata ai sensi dell'art. 640 cpv. c.p. n. 1 è insufficiente un qualsiasi mendace comportamento o alterazione della realtà da parte dell'agente, mentre è necessaria la sussistenza di un quid pluris e cioè di una ulteriore attività, di un particolare accorgimento o di una speciale astuzia, idonei ad eludere le comuni e normali possibilità di controllo da parte dell'ente pubblico. Ne consegue che non commette il reato de quo colui il quale, iscrivendosi a due cooperative artigiane, contravvenendo così a quanto consentito dall'art. 8 del D.M. 12 maggio 1959, chieda ed ottenga due successivi mutui agevolati con relativo ingiusto profitto per sé e per le cooperative in danno dell'ente regione cui si è rivolto, essendo insufficiente a tal fine sotto il profilo oggettivo la duplice iscrizione (peraltro non contemporanea ma successiva) né sotto quello soggettivo la mendace dichiarazione dell'imputato di essere in possesso dei requisiti richiesti di cui all'art. 6 del cit. decreto ministeriale.

Cass. pen. n. 7663/1989

È configurabile il concorso tra il reato di truffa e quello di falso di cui agli artt. 478 e 482 c.p. nell'ipotesi in cui venga alterato l'attestato di pagamento della cosiddetta tassa di circolazione (cosiddetto disco-contrassegno) ed esposto poi sul parabrezza del veicolo per far apparire adempiuti gli obblighi fiscali. In tal caso poi il reato di truffa si consuma con la materiale utilizzazione del suddetto disco falso.

Cass. pen. n. 4701/1989

È configurabile il concorso materiale tra la truffa e la falsificazione in scrittura privata, quando il falso sia preordinato ed utilizzato come mezzo necessario per realizzare la truffa stessa.

È configurabile la circostanza aggravante del nesso teleologico, quando il soggetto attivo per commettere una truffa - reato fine - si sia avvalso di un falso in scrittura privata, cosiddetto mezzo.

Cass. pen. n. 3956/1989

Non sussiste il delitto di truffa, bensì quello di estorsione allorquando il colpevole incuta il timore di un pericolo che fa apparire certo e proveniente da lui o da altra persona a lui legata da un qualunque rapporto, sicché la persona offesa sia posta di fronte all'alternativa di adempiere all'illecita richiesta o di subire il male minacciato.

Cass. pen. n. 3258/1989

La falsificazione, commessa dal privato, del tagliando (ricevuta) di versamento della tassa per veicoli a motore integra soltanto il delitto di falsità materiale in atti pubblici di cui all'art. 482 c.p. e non già anche il delitto di truffa di cui all'art. 640 cpv. n. 1 stesso codice, non ricorrendo l'estremo dell'artificio causalmente ricollegabile al danno cagionato alla pubblica amministrazione. Tale danno, invero, derivando dalla omissione, totale o parziale, del pagamento del tributo, non può in alcun modo riferirsi alla falsificazione del tagliando, che costituisce un fatto successivo al commesso illecito, volto ad impedire l'accertamento della violazione finanziaria, già consumata con lo spirare del termine fissato per il versamento della tassa stessa.

Cass. pen. n. 1807/1989

Perché possa configurarsi l'ipotesi criminosa prevista dall'art. 640 c.p. deve sussistere una conseguenzialità logica e cronologica tra l'attività di furto e raggiro, l'induzione in errore e il conseguimento del profitto sicché l'azione posta in essere dall'agente, realizzi lo scopo attraverso l'attività volontaria e cosciente del soggetto passivo, determinata dall'errore in cui questi è caduto. Nel reato di furto aggravato dal mezzo fraudolento, invece, l'azione delittuosa prescinde dall'induzione in errore del soggetto passivo e tende all'impossessamento della cosa altrui ponendo in essere ed utilizzando un qualsiasi mezzo che sorprenda o soverchi con l'insidia la contraria volontà del detentore, violando le difese e gli accorgimenti che il soggetto passivo abbia apprestato a custodia della cosa propria e creando, così, una situazione di fatto che agevoli la commissione del reato. Ne consegue che commette furto aggravato dal mezzo fraudolento e non truffa il soggetto che esibendo la contromarca ad una guardarobiera di una discoteca (contromarca che aveva casualmente rinvenuto) si faccia consegnare dalla stessa gli indumenti presso questa depositati.

Cass. pen. n. 12254/1988

In tema di falso nummario i reati di cui agli artt. 458 e 640 c.p. concorrono materialmente tra loro.

Cass. pen. n. 12251/1988

Per i reati di truffa e di frode fiscale, non sussistendo l'identità del bene giuridico, non è configurabile il rapporto di specialità di cui all'art. 15 c.p., per cui i reati concorrono materialmente tra loro.

Cass. pen. n. 10680/1988

Ai fini della configurabilità del peculato il possesso cosiddetto mediato del denaro o del bene pubblico può far capo contemporaneamente anche a più soggetti, qualora la normativa interna dell'ente pubblico preveda che l'atto dispositivo sia di competenza di un organo collegiale o venga posto in essere con il concorso di più di un organo dell'ente medesimo. In tal caso, se uno solo di tali compossessori mediati compie illegalmente la sua parte di competenza dell'atto dispositivo, conseguendo la disponibilità esclusiva della cosa è configurabile il delitto di peculato e non già quello di truffa, non assumendo alcun rilievo in contrario che la condotta appropriatrice o distrattiva abbia contestualmente spogliato gli altri organi dei loro poteri sulla cosa o sia stata posta in essere con l'inganno.

Cass. pen. n. 10182/1988

Il criterio differenziale tra il delitto di rapina mediante minaccia e quello di truffa aggravata dall'ingenerato timore di un pericolo immaginario consiste nel diverso modo in cui viene prospettato il danno; si ha truffa aggravata, quando il danno viene prospettato, come possibile ed eventuale, e mai proveniente direttamente o indirettamente dall'agente, di modo che la persona offesa non è coartata nella sua volontà, ma si determina all'azione od omissione versando in stato di errore. Si ha rapina mediante minaccia, invece, quando il danno viene prospettato come certo e sicuro, ad opera del reo o di altri ad esso collegati, di modo che l'offeso è posto nella alternativa ineluttabile di subire lo spossessamento voluto o di incorrere nel danno minacciato.

Cass. pen. n. 9738/1988

Il danno e il profitto nei reati contro il patrimonio non possono ritenersi realizzati nel momento in cui si costituisce il rapporto obbligatorio, ma solo quando il detto rapporto produce i suoi effetti concreti e la mera possibilità si risolve in effettivo danno e profitto. (Nella fattispecie la Corte di cassazione ha ritenuto che la truffa, commessa acquistando beni in corrispettivo dei quali venivano rilasciate tratte autorizzate, si sia consumata nel momento in cui non erano stati onorati gli impegni alle relative scadenze).

Cass. pen. n. 9323/1988

In tema di truffa contrattuale il reato è configurabile non soltanto nella fase di conclusione del contratto, ma anche in quella della esecuzione allorché una delle parti, nel contesto di un rapporto lecito, induca in errore l'altra parte con artifizi e raggiri, conseguendo un ingiusto profitto con altrui danno.

Cass. pen. n. 9271/1988

La norma tributaria che sanziona, con la «sopratassa pari a tre volte la differenza tra la tassa annua dovuta e quella pagata rapportata a anno», il pagamento della tassa in misura inferiore a quella dovuta per effetto della iscrizione nei pubblici registri (prima per effetto della circolazione) dei veicoli a motore non si pone in rapporto di specialità rispetto alla truffa mediante contraffazione del disco contrassegno di autoveicolo. Invero, diversi sono i fatti previsti e sanzionati nelle due fattispecie legali: l'art. 640 c.p. punisce l'induzione di altri in errore, mediante artifici o raggiri, dalla quale derivi il procacciamento di un ingiusto profitto con altrui danno, mentre la norma transitoria prescinde da qualsiasi artificio o raggiro, da qualsiasi induzione in errore, e sanziona il mancato pagamento della tassa o il pagamento di una tassa inferiore a quella dovuta per il solo effetto del possesso del veicolo. Né l'art. 9 L. 24 novembre 1981, n. 689 che ha esteso il principio di specialità, si riferisce alle sopratasse previste per le violazioni tributarie, poiché esse rimangono escluse dal suo ambito.

Cass. pen. n. 7511/1988

La falsificazione della ricevuta di pagamento della tassa di circolazione (integrante l'ipotesi di falsità in atto pubblico) non trasforma in truffa l'omesso pagamento del tributo neppure se la falsificazione sia strumentalmente predisposta o fa circolare un'autovettura senza aver pagato la relativa tassa. Ciò in quanto la falsificazione non è stata attuata per conseguire un profitto, ma per celare il conseguimento di un profitto che si è già conseguito.

Cass. pen. n. 7385/1988

Il datore di lavoro che invii all'Inps i modelli prescritti dai quali appaia l'esborso di somme versate per l'integrazione salariale ai sensi della L. n. 264 del 1974 ai propri dipendenti senza che per il periodo indicato nei moduli stessi le abbia effettivamente corrisposte pone in essere un artificio o raggiro, idoneo a ingannare il destinatario ente, con suo arricchimento e danno dell'Inps, per cui risponde di truffa aggravata.

Cass. pen. n. 5785/1988

L'ipotesi delittuosa di cui all'art. 642 c.p. si differenzia da quella di cui all'art. 640 stesso codice: sotto il profilo soggettivo per il contenuto specifico del fine dell'ingiusto profitto che la connota: «fine di conseguire... il prezzo di un'assicurazione contro infortuni»; sotto il profilo oggettivo, per il contenuto, anch'esso specifico, dell'azione del soggetto attivo del reato: distruzione, dispersione, deterioramento od occultamento di cose proprie.

Cass. pen. n. 3625/1988

Il reato di truffa presuppone la sussistenza di un rapporto patrimoniale tra il soggetto attivo e quello passivo. Di conseguenza l'azione tesa ad evitare l'applicazione di una sanzione pecuniaria da parte dello Stato non rientra nello schema giuridico di cui all'art. 640 c.p. per l'assenza assoluta, al momento dell'azione, di un rapporto patrimoniale in atto.

Cass. pen. n. 1233/1988

Ai fini della sussistenza del delitto di truffa in danno dello Stato, la scarsa diligenza o la mancanza di controllo e di verifica da parte dei pubblici funzionari dell'operato illegittimo del contribuente evasore, non escludono la idoneità dei mezzi usati dal prevenuto per ingannare la pubblica amministrazione.

La questione relativa all'idoneità astratta sull'artificio o del raggiro, di cui all'art. 640 c.p., a sorprendere la buona fede del terzo, può acquistare rilevanza in tema di tentativo di truffa, ma non quando questa sia consumata con l'effettiva induzione in errore. In tale ipotesi l'idoneità è dimostrata dall'effetto raggiunto e cioè dalla realizzazione di un ingiusto profitto con altrui danno. (Nella fattispecie, l'ingiusto profitto era stato raggiunto per il mancato pagamento, da più di un contribuente, di imposte Invim, Iva e di Registro, con danno per lo Stato).

Cass. pen. n. 471/1988

Sussistono solo violazioni di natura edilizia, e non il delitto di truffa per falsa rappresentazione del tipo di costruzione da realizzare e conseguimento di un ingiusto profitto, con danno del comune, per omesso pagamento dei maggiori oneri di urbanizzazione, nel caso in cui, ottenuta dal sindaco concessione edilizia per la realizzazione di fabbricato rurale in zona destinata solo a costruzioni di tipo rurale, sia stata realizzata una costruzione ad uso abitativo. Infatti, non è ipotizzabile per il comune alcun danno, elemento essenziale del reato di truffa, arrecato dal pagamento dei contributi di urbanizzazione rapportati al tipo di costruzione rurale per la quale sia stata rilasciata la concessione, in quanto il comune medesimo mai avrebbe potuto riscuotere i maggiori contributi relativi alle costruzioni di civile abitazione, non essendo consentite nella zona costruzioni di tipo abitativo.

Cass. pen. n. 7761/1987

È configurabile il concorso materiale fra il reato di corruzione ed il reato di truffa in danno della pubblica amministrazione.

Cass. pen. n. 5705/1987

Ricorrono gli estremi della truffa contrattuale tutte le volte che uno dei contraenti pone in essere artifizi o raggiri diretti a tacere o a dissimulare fatti o circostanze tali che, ove conosciuti, avrebbero indotto l'altro contraente ad astenersi dal concludere il contratto. (Nella specie, relativa a ritenuta responsabilità di titolari di centro diagnostico medico e laboratorio di analisi, erano stati posti in essere artifizi o raggiri diretti a dissimulare cause di incompatibilità poste dalla legge a precisa salvaguardia dei diritti degli assistiti e degli enti preposti e a comprovare, mediante false attestazioni, come proprie, prestazioni compiute da altri. Tali circostanze, ove conosciute, avrebbero costretto l'Usl ad astenersi dal concludere convenzioni e comunque, in ogni caso, ad astenersi dal corrispondere i compensi relativi, ottenuti mediante frode).

Cass. pen. n. 5584/1987

Il criterio distintivo tra i due reati di estorsione ex art. 629 e truffa aggravata ex art. 640 cpv. n. 2 seconda ipotesi, per aver l'agente ingenerato nella vittima il timore di un pericolo immaginario, risiede nelle modalità con cui viene prospettato alla vittima il danno, in guisa da indurla a quell'azione od omissione che determina il profitto dell'agente. Mentre, infatti, nel reato di estorsione l'agente consegue l'ingiusto profitto attraverso un atteggiamento di palese o larvata minaccia, prospettando un danno certo e reale, che la vittima può evitare soltanto con la sua azione od omissione, nella ipotesi della truffa aggravata predetta, invece, l'agente consegue l'ingiusto profitto mediante induzione in errore, che è tipica dell'attività truffaldina, prospettando cioè un danno che non dipendendo direttamente dall'agente è ricollegabile al comportamento della vittima solo nell'ambito delle possibilità e dell'eventualità.

Cass. pen. n. 2315/1987

Per escludere l'artifizio e l'errore in tema di truffa non è sufficiente richiamare la disfunzione amministrativa, il disguido, i ritardi, la scarsa diligenza degli organi o del personale preposto e cioè la carenza della normale attenzione e del tempestivo controllo, che avrebbero immediatamente scoperto l'artifizio ed evitato l'errore. Infatti, la legge vieta l'artifizio come finalizzato all'errore e solo nella ipotesi che esso sia di una grossolanità ed abnormalità tali da essere immediatamente constatato e constatabile, con la normale diligenza, è dato di rilevarne la inidoneità alla produzione dell'errore e quindi del profitto e del danno. (Fattispecie relativa a più mutui bancari ottenuti da ditta artigiana che, in contrasto con lo statuto, si era iscritta a più cooperative).

Cass. pen. n. 2041/1987

È configurabile il reato di truffa, nella specie contrattuale, quando il dolus in contrahendo si manifesta attraverso artifici o raggiri che, intervenendo nella formazione del negozio, inducono la controparte a prestare il proprio consenso e cioè, quando sussiste un rapporto immediato di cause ad effetto tra il mezzo o l'espediente fraudolentemente usato dall'agente e il consenso ottenuto dal soggetto passivo, sì che questo risulta viziato nella sua libera determinazione. (Nella specie, la parte offesa, fornitrice all'ingrosso di carne, non si era vista saldare il proprio credito dall'imputato, all'esito della relativa prestazione, la quale faceva parte di un regolare rapporto commerciale sempre onorato dall'imputato stesso. La Corte ha escluso la sussistenza della truffa, confermando la sentenza di secondo grado che aveva assolto l'imputato perché il fatto non costituisce reato, in quanto la parte offesa si era determinata alle conclusioni del contratto di fornitura non per le iniziali ostentazioni di ricchezza dell'imputato, ma solo a seguito delle positive informazioni bancarie ricevute, rivelatesi esatte in un primo tempo e che tale comportamento prudenziale aveva continuato a tenere nel corso dello svolgimento del rapporto contrattuale, escludendo, così, che l'artificio posto in essere dall'agente all'inizio delle trattative fosse idoneo a suggestionare o in qualche modo influenzare la libertà del consenso della parte offesa).

Cass. pen. n. 1616/1987

Risponde di estorsione e non di truffa aggravata ex art. 640 secondo comma, n. 2 colui il quale, a fini estorsivi, incuta il timore di un pericolo che fa apparire certo e proveniente da lui o da persone o da ambienti a lui legati. A fronte di tale sintomatica condotta è irrilevante che egli si inserisca o sfrutti le intimidazioni compiute da altri, una volta che egli le abbia comunque correlate alla sua persona, essendo determinante, ai fini dell'esatta qualificazione giuridica del reato, la situazione siccome rappresentata nei confronti della vittima prescelta.

Cass. pen. n. 710/1987

Nel delitto di truffa aggravata dall'ingenerato timore di un pericolo immaginario, il danno viene prospettato come possibile ed eventuale e mai proveniente dallo stesso agente, di tal che l'offeso non è coartato nella sua volontà, ma si determina perché tratto in errore. Nell'ipotesi di estorsione, invece, il danno è prospettato come certo e ad opera dell'agente o di altri allo stesso collegati, per cui l'offeso è posto nell'alternativa di far conseguire all'agente il profitto preteso o di subire il male minacciato.

Cass. pen. n. 13352/1986

Ai fini del delitto di truffa, la mera presentazione in banca di titoli di credito falsificati (cambiali) per ottenere lo sconto costituisce raggiro idoneo ad indurre in errore, poiché anche il silenzio sulla falsità dei titoli costituisce mezzo idoneo a trarre in inganno, essendo evidente che la conoscenza della falsità da parte dell'istituto bancario avrebbe importato un netto rifiuto di qualsiasi pagamento.

Cass. pen. n. 10698/1986

Nella truffa contrattuale non è necessario che il danno sia costituito dalla perdita economica di un bene subita dal soggetto passivo, potendo anche consistere nel mancato conseguimento di una utilità economica che lo stesso si riprometteva di ottenere in conformità alle false prospettazioni dell'agente, dal quale sia stato tratto in errore, e anche nell'assunzione, altrimenti ingiustificata, di obbligazioni.

Cass. pen. n. 10111/1986

Allorché un soggetto venga assunto in un pubblico impiego mediante documentazione falsa, il profitto va individuato nel vantaggio, anche di natura economica, derivante dall'assunzione (o dalla anticipata assunzione) e il danno consiste nel pregiudizio derivante alla pubblica amministrazione per l'assunzione di persona diversa da quella che ne avrebbe avuto diritto. Questo pregiudizio ha carattere economico quanto meno in relazione agli oneri finanziari sostenuti dall'amministrazione medesima per istruire la domanda e perfezionare l'assunzione. (Fattispecie in tema di truffa).

Cass. pen. n. 7730/1986

Il reato di truffa si consuma nel momento in cui l'agente consegue l'ingiusto profitto, con contestuale verificazione del danno altrui. (Nella specie è stato ritenuto che il reato di truffa si consumò con la consegna, da parte del soggetto attivo al soggetto passivo, di una schedina di totocalcio falsamente indicata come vincente, in pagamento di un debito per canoni locatizi, a nulla rilevando che, successivamente, scoperto l'inganno, siano state rilasciate cambiali da parte del prevenuto in pagamento del debito predetto).

In tema di truffa, il profitto, a differenza del danno che deve avere sempre natura patrimoniale, può non avere carattere economico, potendo consistere anche nel soddisfacimento di qualsiasi interesse, sia pure soltanto psicologico o morale.

Cass. pen. n. 7555/1986

Deve ravvisarsi il reato di truffa nell'ipotesi di assunzione ad un pubblico impiego quando a seguito di false dichiarazioni sia fraudolentemente conseguito un punteggio determinante per l'ammissione nella graduatoria dei vincitori.

Cass. pen. n. 7391/1986

Poiché la recidiva costituisce circostanza aggravante, il delitto di truffa aggravato dalla recidiva è perseguibile d'ufficio e non a querela di parte, secondo il nuovo testo dell'art. 640 c.p., così modificato dall'art. 98 L. 24 novembre 1981, n. 689, sulle modifiche al sistema penale.

Cass. pen. n. 7013/1986

Si configura il delitto di truffa nel fatto di colui che si procuri dalla autorità la concessione edilizia per la costruzione di due villette in zona agricola e riscuota i contributi previsti dalla legge urbanistica del 1977, n. 10, facendo apparire i costruendi edifici come destinati ad abitazione rurale di coltivatori diretti cui venga simulata la vendita con atti notarili e dei quali edifici con atti successivi ai precedenti venga nuovamente simulata la vendita, evitando, così, di pagare le imposte e tasse dovute e usufruendo dei benefici ben prima che, a seguito degli accertamenti, venga sanata la situazione fiscale debitoria.

Cass. pen. n. 5562/1986

Il reato di ricorso abusivo al credito, previsto dall'art. 218 della legge fallimentare (R.D. 16 marzo 1942, n. 267) si distingue dal reato di truffa previsto dall'art. 640 c.p., perché per la sua sussistenza non è richiesto né il fine specifico dell'ingiusto profitto con altrui danno (eventuale), né l'uso di artifici o raggiri, non potendo considerarsi artificio o raggiro la semplice dissimulazione dello stato d'insolvenza. (Nella fattispecie questa corte ha ritenuto sussistere il reato di truffa perché l'imputato aveva fatto ricorso al credito non solo dissimulando il proprio dissesto, attraverso l'occultamento delle sue reali condizioni economiche fornendo una reticente e inesatta rappresentazione di essa, ma costituendo abilmente una realtà del tutto diversa, attraverso una imponente attività di frode che andava dalla falsificazione di documenti e sigilli al giro degli assegni privi di copertura, con i quali indusse in errore gli istituti di credito, procurando a sé l'ingiusto profitto ed agli istituti il danno di parecchi miliardi di lire).

Cass. pen. n. 5195/1986

È configurabile il reato di truffa nel fatto del dipendente di ente pubblico che, adducendo falsi motivi e inducendo così in errore il soggetto passivo si assenti dal servizio e percepisca ugualmente lo stipendio correlativo.

Cass. pen. n. 45/1986

In caso di truffa ai danni di un ente locale gestore diretto di una casa da gioco, pur avendo l'attività inerente alla gestione natura esclusivamente privatistica, è ravvisabile l'aggravante del fatto commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico perché tale circostanza sussiste per il solo fatto che danneggiato della condotta truffaldina sia lo Stato o altro ente pubblico, indipendentemente dalla natura pubblica o privata dell'attività dell'ente in cui quella condotta si è inserita. (Fattispecie relativa a truffa in danno del Comune di Venezia, gestore diretto della locale casa da gioco).

Cass. pen. n. 9392/1985

Vi è concorso formale di reati fra la tentata truffa mediante l'artificio della notulazione di visita e prescrizioni non compiute e la falsità in atto pubblico per immutatio veri compiuta dal medico convenzionato con l'Inam nella redazione della distinta delle prestazioni periodiche. L'incriminazione relativa alla truffa tutela, infatti, l'interesse concernente la inviolabilità del patrimonio, mentre l'incriminazione relativa al falso è diretta a garantire la pubblica fede, sicché ne deriva la diversa obiettività giuridica di ciascun reato.

Cass. pen. n. 6489/1985

Ai fini della sussistenza del delitto di truffa, integra gli estremi dell'artifizio, come ipotizzato dall'art. 640 c.p., la condotta dell'imputato che consista nel contrattare la merce e rilasciare assegni assicurando la loro copertura, in effetti sussistente al momento del rilascio, che, però, egli stesso successivamente provveda a far venire meno col ritirare dalla banca le relative somme. Infatti, la comprovata esistenza della necessaria copertura al momento dell'emissione degli assegni è volta a creare nel beneficiario la convinzione che lo strumento di pagamento convenuto risponda a tutti i requisiti necessari per tradursi nell'effettiva riscossione della somma pattuita. Quindi, il successivo ritiro dalla banca della relativa somma da parte del traente perfeziona, poi, l'artificio ed il raggiro, rendendo inefficace quel titolo raffigurato invece valido ed efficace, al momento del rilascio, mediante la comprovata esistenza dei fondi di copertura.

Cass. pen. n. 1314/1985

Il rilascio di cambiali firmate con false generalità, per ottenere la consegna di merci acquistate, integra gli estremi dell'artificio e del raggiro costitutivi del delitto di truffa.

Cass. pen. n. 9032/1984

Commette il reato di truffa, di cui all'art. 640 c.p., colui che acquisti merce con assegni postdatati di rilevante valore, poi risultati emessi a vuoto, ove il momento conclusivo del contratto e della consegna degli assegni in cambio della merce ricevuta sia stato preceduto da lunga trattativa, costituita, da parte dell'acquirente, da una serie di artifici, di raggiri e di messe in scena, idonei ad ottenere la credibilità da parte dell'altro contraente, sì da indurlo in errore sulla consistenza patrimoniale ed economica della controparte.

Cass. pen. n. 6041/1984

L'indebita percezione dell'indennità di disoccupazione per false dichiarazioni dell'interessato, punita dagli artt. 115 e 116 R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827 e dall'art. 23 L. 4 aprile 1952, n. 218, e l'indebita riscossione degli assegni familiari, prevista dall'art. 82 D.P.R. 30 maggio 1955, n. 797, non integrano il delitto previsto dall'art. 640, cpv., n. 1, c.p., per la cui sussistenza è necessario, rispetto alle previsioni delle leggi speciali un quid pluris consistente in un artificio o in un raggiro più intenso. Non è quindi sufficiente per la configurabilità del delitto di truffa, un qualsiasi mendace comportamento o una qualsiasi alterazione della realtà da parte dell'agente nello svolgimento dell'attività prevista per il conseguimento dell'indennità, essendo evidente che, a caratterizzare l'estremo dell'artificio o del raggiro, idoneo ad escludere il minor reato e a rendere configurabile quello di truffa, sono necessari una ulteriore attività, un particolare accorgimento o una speciale astuzia, capaci di eludere le comuni e normali possibilità di controllo dell'ente assistenziale. Conseguentemente, in materia previdenziale, in caso di indebita percezione di detta indennità e di quelle ad esse collegate, non è sufficiente ai fini della configurabilità del reato di truffa, a differenza di quanto avviene in fattispecie diverse, il mero silenzio dell'interessato, anche se diretto a perseguire la frode.

Cass. pen. n. 4474/1984

Ai fini della sussistenza del reato di truffa, non basta che dall'agente siano stati posti in essere artifici o raggiri atti a causare la induzione in errore della vittima, ma occorre un effettivo inganno di questa come conseguenza dell'azione criminosa svolta. Invero, la responsabilità dell'imputato deriva non dall'idoneità dell'artificio o raggiro, ma dalla determinazione in concreto dell'errore nel soggetto passivo con conseguenziale ingiusto profitto dell'agente.

Cass. pen. n. 3460/1984

Ai fini della sussistenza del reato di truffa il raggiro non deve necessariamente consistere in una particolare subdola messa in scena, bastando qualsiasi simulazione o dissimulazione posta in essere per indurre in errore.

Cass. pen. n. 2228/1984

Il reato di truffa è per sua natura istantaneo e si consuma nel momento in cui l'agente realizza l'ingiusto profitto, con correlativo danno patrimoniale altrui. Pertanto in caso di assunzione a un pubblico impiego ottenuta mediante false attestazioni e false dichiarazioni il momento consumativo del reato coincide non già con la percezione delle retribuzioni, ma con il conseguimento illegittimo della nomina, da cui deriva correlativamente, il danno patrimoniale sia per la pubblica amministrazione, sia per i concorrenti esclusi che subiscono il mancato guadagno derivante dal ritardo nell'assunzione.

Cass. pen. n. 11213/1983

L'adozione di un raggiro (nella specie falsa assicurazione di solvibilità e di surroga) per indurre un creditore ad accettare assegni privi di provvista in pagamento di un credito preesistente non costituisce truffa, ma semplice protrazione dell'inadempimento per inefficacia liberatoria del pagamento in quanto nessun profitto (tranne forse qualche giorno di «respiro») può ricavarne il debitore e nessun danno il creditore, immutata restando la obbligazione dell'uno nei confronti dell'altro.

Cass. pen. n. 10002/1983

L'evento nel reato di truffa consiste nel conseguimento del profitto con altrui danno, elementi collegati tra loro in modo da costituire due aspetti di un'unica realtà, la quale viene quindi in essere con l'effettivo conseguimento del bene da parte del reo e la definitiva perdita di esso da parte del soggetto passivo. In tal modo si perfeziona il reato.

Cass. pen. n. 8043/1983

In tema di delitto di truffa, al fine di stabilire se l'azione criminosa abbia realizzato il profitto ingiusto, col correlativo danno, con il quale profitto il delitto di truffa diviene perfetto, non è sufficiente accertare se vi sia stata circolazione giuridica di beni o valori ma occorre stabilire anche se via sia stata circolazione economica degli stessi, nel senso che i beni economici devono pervenire nella materiale disponibilità dell'agente. Ne consegue che in tutte le situazioni in cui il soggetto passivo assume, per incidenza di artifici o raggiri, l'obbligazione della consegna di un bene economico, ma questo non perviene, nella materiale disponibilità dell'agente, si verte nella figura del reato di truffa tentata e non in quello di truffa consumata.

Cass. pen. n. 7922/1983

Qualora sia stata contestata la truffa aggravata a nulla rileva, ai fini della procedibilità a querela di parte ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 640 c.p., che sia stata ritenuta in sentenza l'equivalenza tra l'aggravante contestata e le attenuanti ritenute, incidendo tale valutazione soltanto sulla determinazione della pena e non sulla figura del reato originariamente contestato.

Cass. pen. n. 4631/1982

Dopo le modifiche apportate al sistema penale con la L. 24 novembre 1981, n. 689, la perseguibilità d'ufficio per il delitto di truffa resta ferma se concorre l'aggravante di cui all'art. 61, n. 7, c.p.

Cass. pen. n. 970/1982

Nel reato di truffa il danno subito dal soggetto passivo deve avere necessariamente contenuto economico.

Cass. pen. n. 5689/1981

Perché nel reato di truffa sia possibile applicare l'aggravante di cui al comma secondo dell'art. 640 c.p. è necessario che i raggiri o gli artifici siano diretti a far sorgere, nella persona verso cui il soggetto attivo rivolge la sua azione per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, il timore di un pericolo che, per essere immaginario, dev'essere insussistente.

Cass. pen. n. 307/1975

Ai sensi dell'art. 640 c.p., in tutte le situazioni in cui il soggetto passivo assume, per incidenza di artifizi o raggiri, l'obbligazione della dazione d'un bene economico, ma questo non perviene, con correlativo di lui danno, nella materiale disponibilità dell'agente, si verte nella figura del reato di truffa tentata e non in quella di truffa consumata.

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relative all'articolo 640 Codice Penale

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G. P. chiede
lunedì 18/12/2023
“Nell’anno 2019 ho investito in una piattaforma on line internazionale circa 900,00 € con rimessa di criptovaluta acquistata sempre on line da un sito trading.
La piattaforma era formata a piramide, io facevo riferimento al mio sovraordinato e mio presentatore che guadagnava anche provvigioni e premi sul mio investimento; quando io sarei arrivato ad un certo punto di investimento con miei sottoposti da me presentati come miei collaboratori avrei guadagnato anche io.
Stà di fatto che dopo varie peripezie finanziarie la piattaforma è stata chiusa e sono scappati via con tutto. All’inizio si facevano riunioni on line e i capi spiegavano come avremmo guadagnato:
avremmo guadagnato In “monete di oro” per ogni tot. Investito ed in più avremmo avuto anche premi in beni di consumo (televisori ecc.):
Ho più volte chiesto informazioni al mio capo presentatore, anche lui infine truffato da questi della piattaforma, che all’inizio mi prendeva in giro e mi rassicurava ed addirittura in una fase di rilancio economico (a loro dire, ma falso) mi ha spillato 1.000,00 in contanti dicendomi che mi avrebbe passato delle monete di oro dal suo portafoglio telematico al mio; sapeva che tutto era saltato e mi ha rifilato un ulteriore smacco.
Poi sempre lui, il mio capo referente piramidale mi evitava ed alla fine mi ha detto (costretto da me e quelli come me) che i gestori generali che detenevano le somme di tutti noi (parliamo di povera gente come me che aderiva di vari Stati) erano scappati col malloppo.
La mia domanda è: potrei rivalermi sul mio presentatore che secondo me, sapendo della situazione finanziaria della piattaforma, mi ha tirato dentro con l’inganno e mi ha circuito sulla seconda somma.
Quando gli ho dato la somma gli ho fatto firmare una carta in cui attestava che prendeva mille euro per avermi lui ceduto delle monete nel portafoglio telematico mio e che, quando la situazione si sarebbe normalizzata con guadagni ulteriori da parte mia gli avrei dato qualcosa di differenza. La cosa si sarebbe normalizzata quando le monete di oro sarebbe salite di prezzo negli scambi internazionali. Ed io avrei cominciato a guadagnare.
Cose fasulle purtroppo col senno di poi. Questo mio referente piramidale era_era purtroppo un mio amico.
Per rivalermi sulla società gestore penso che nulla si possa fare, sono soggetti esteri e non li conosco. Mi serve un vostro parere più per calmare la mia amarezza che altro.
Cordiali saluti”
Consulenza legale i 21/12/2023
Il caso in esame potrebbe denotare due diverse modalità di azione, che potrebbero variare anche a seconda di come si sono svolti nel dettaglio gli accadimenti.

La prima strada è chiaramente quella penale, che dovrebbe essere percorsa a prescindere.

Da quanto narrato nel parere, infatti, sembra che il soggetto investitore sia stato, in realtà, oggetto di una vera e propria truffa, punibile ai sensi dell’articolo 640 del codice penale.

La – seppur sommaria – enunciazione degli accadimenti, infatti, consente di sospettare che il soggetto investitore sia stato in realtà sin dall’inizio tratto in inganno da un articolato meccanismo criminoso avente proprio il fine di accalappiare soggetti ignari e disposti a investire qualche somma di denaro con l’illusione di guadagnarne altrettanto.

Chiara la sussistenza del profitto a vantaggio dei truffatori e del danno a carico degli ignari investitori, sembra poi che l’apparente articolata organizzazione dei truffatori fosse proprio funzionale a creare quel substrato di “serietà illusoria” che ben potrebbe caratterizzare l’elemento degli artifizi o dei raggiri tipico della truffa.

Vero è che, nel caso di specie, sembra alquanto difficile ascrivere la truffa a uno o più soggetti (non è ben chiaro, infatti, se tutti fossero coinvolti, compreso il capo presentatore) ma è anche vero che la denuncia - querela, nel caso in esame, potrebbe – anzi, dovrebbe – essere fatta contro ignoti.

Ci spieghiamo meglio.

In un atto di denuncia-querela non è indispensabile indicare chi potrebbe essere il colpevole del reato ipotizzato. E’ infatti possibile anche solo procedere a una dettagliata enunciazione dei fatti e poi lasciare che i vari profili di responsabilità vengano sviscerati dalla Procura inquirente a seguito delle indagini preliminari.
Sarà dunque la Procura a decidere chi è il truffato e chi il truffatore e in tal modo il querelante sarà anche al riparo da eventuali calunnie.

Se, poi, il procedimento dovesse effettivamente nascere previa individuazione dei responsabili, il querelante potrà, mediante la costituzione di parte civile, chiedere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali susseguenti al reato posto in essere.

La seconda strada è quella civilistica, che riassumiamo in modo molto sintetico stante il fatto che la strada maestra dovrebbe essere quella penale.
Se infatti riteniamo che l’insieme dei rapporti intessuti tra l’investitore e i cd. “capi” avesse una qualche natura contrattuale (circostanza, questa, non nota alla redazione che non è a conoscenza di eventuali contratti sottoscritti dalle parti e non denotanti profili truffaldini), possiamo ipotizzare due scenari:

- una responsabilità di natura precontrattuale, laddove la trattativa precontrattuale sia stata condotta in modo scorretto da una delle parti. In tal caso il soggetto ingannato, intentando apposita causa, potrà chiedere il risarcimento del cd. interesse negativo, ovvero delle spese sostenute per l’esecuzione del contratto e/o le chance contrattuali perse;
- un’ipotesi di contratto nullo che potrebbe aprire la strada alla ripetizione dell’indebito ex art. 2033 del c.c. per recuperare le somme versate;
- un’ipotesi di responsabilità contrattuale che darebbe seguito ai rimedi risolutori e risarcitori conseguenti.

La strada civile resta, comunque, quella meno conveniente da percorrere stante la generale lentezza del contenzioso civile, l’oggettiva inidoneità dello stesso a individuare i colpevoli nella vicenda de qua e la dispendiosità della relativa azione (a fronte della gratuità della querela sporta presso qualsivoglia comando delle forze dell’ordine).

F. D. chiede
venerdì 08/09/2023
“In una causa civile 1° grado per pagamento di prestazioni professionali, TE dichiarando di aver ricevuto incarico da DF ed a seguito di sentenza, pignoramento e assegnazione ha riscosso da DF una certa somma di denaro.
Nella fase di precisazione delle conclusioni del giorno X dell’appello in corso , DF ha esibito in giudizio documenti originali rinvenuti causalmente qualche giorno prima dai quali si rileva che l’incarico fu conferito a TE da un’altra persona CO con ricevute di somme di denaro e firme di TE e di CO.
A parte l’esito della causa civile, si ravvisano gli estremi per la proposizione di una azione penale di DF contro TE per la somma di denaro percepita in mala fede ed entro quale termine può essere proposta ?
La causa civile può essere sospesa fino al risultato dell’azione penale ?”
Consulenza legale i 11/09/2023
Le dinamiche della vicenda non son chiarissime ma, in via generale, può dirsi quanto segue.

Se TE, alla fine dei conti, ha percepito la somma “due volte” per la stessa prestazione professionale, ciò che si potrebbe ipotizzare è la cd. truffa processuale sulla cui sussistenza, però, la giurisprudenza nutre ancora molti dubbi.

Con la locuzione truffa processuale tradizionalmente si intende il caso in cui in un procedimento – soprattutto di natura civile – l’attore, mediante artifizi o raggiri, induce in errore il giudicante col fine di ottenere un ingiusto vantaggio patrimoniale mediante una sentenza favorevole che gli riconosce un credito.

Tuttavia, la giurisprudenza ad oggi è divisa in due filoni, proprio in punto di sussistenza del reato de quo.

Il primo filone – maggioritario – ritiene la fattispecie in questione non configurabile in considerazione del fatto che il reato in parola presuppone un fortissimo nesso conseguenziale tra induzione in errore, atto di disposizione patrimoniale e danno che, nel caso della truffa processuale, non sussisterebbe.
In altre parole il giudice interromperebbe questa connessione e l’atto di disposizione patrimoniale, non essendo posto in essere dalla vittima ingannata ma dal giudice, impedisce la sussistenza del reato.

Il secondo filone (che resta minoritario pur trovando un crescente consenso dottrinale e giurisprudenziale), invece, ritiene la truffa processuale configurabile in ragione del fatto che il baricentro del reato è il danno, a nulla rilevando che la persona ingannata (nel caso di specie il giudice) sia diversa da quella materialmente danneggiata.

Ciò detto, quanto ai tempi, la truffa è generalmente procedibile a querela di parte e, pertanto, la querela deve essere depositata entro tre mesi dal giorno in cui il soggetto si rende conto di essere stato truffato. In alcuni casi il reato è procedibile d’ufficio (non siamo in grado di dire se quello di specie è un caso d’ufficio non essendo noti i fatti nel dettaglio) e, in tal caso, la denuncia - querela può essere depositata sempre, ma bisogna considerare i termini di prescrizione che sono di 7 anni e mezzo.

Quanto ai rapporti tra azione civile e penale, nel caso di specie rileva l’ art. 75 del c.p.p. secondo cui l’azione civile può essere trasposta in sede penale solo laddove nel giudizio civile non sia stata ancora pronunciata sentenza di primo grado. Visto che tale ultima evenienza si è già verificata, non può esserci alcuna azione civile in sede penale per il medesimo fatto e, pertanto, alcuna sospensione può essere ipotizzata.


P.V. chiede
giovedì 31/08/2023
“RELAZIONE
In data 05/07/2023 ho ricevuto da parte della società “Business Account XXX”, una proposta di recupero delle somme che avevo perso sulle piattaforme di trading online.
La proposta consisteva nel pagamento della somma di € 1.200,00 per l’istruzione della pratica di recupero.
Mi lasciavo sedurre dall’interlocutore telefonico ed inviavo tutta la documentazione in mio possesso per poter effettuare il recupero delle somme.
Successivamente venivo contattato telefonicamente da un rappresentante della società il quale mi comunicava che c’era la concreta possibilità di poter recuperare i miei soldi e per l’inizio della pratica mi veniva richiesto l’importo di € 1.200,00 per poter iniziare la pratica di recupero.
In data 05/07/2023 eseguivo il bonifico a favore di Benedetti Gerardo, amministratore della società, ed inviavo copia del bonifico.
In data 11/07/2023 venivo a conoscenza da parte di Binance che loro non avevano nessun rapporto con questa società e che non mi avrebbero inviato nessuna mail di recupero.
Immediatamente comunicavo alla società, in data 11/07/2023, la mia volontà di recedere dal contratto con comunicazione scritta e verbale che allego alla presente.
Seguivano varie comunicazioni da parte della società sull’app WhatsApp, ma a tutt’oggi non ho ricevuto la restituzione della somma versata.
Chiedo al Vs Studio Legale se è possibile iniziare una procedura legale per il recupero delle somme ed eventualmente le condizioni per farlo.
Grazie.”
Consulenza legale i 15/09/2023
Il caso di specie, a ben vedere, denota una questione penale e non civilistica.

Stando infatti a quanto narrato nella richiesta di parere il soggetto con cui ci si è interfacciati non è mai appartenuto alla Business Account Binance. Semplicemente lo stesso si è finto tale con l’obiettivo – conseguito – di indurre in errore l’interlocutore e intascarsi la somma – effettivamente versata – di euro 1.200 per la falsa pratica di recupero.

Una condotta del genere integra il reato di truffa (art. 640 c.p.) di cui sussistono tutti gli elementi costitutivi:
- gli artifizi e i raggiri, entrambi posti in essere nel caso di specie stante il fatto che il truffatore si è finto un soggetto appartenente alla società e ha anche inviato un contratto di recupero palesemente falso;
- l’induzione in errore, conseguita con successo atteso che la persona offesa dal reato è stata effettivamente ingannata sull’identità del suo interlocutore;
- il danno e l’ingiusto profitto consistiti nell’esborso di euro 1.200 di cui il truffatore si è arricchito.

In un caso del genere agire per via civile non ha senso per diverse ragioni. Tra le tante, la più rilevante è che non si può agire nei confronti della Business Account Binance in quanto il truffatore non è mai appartenuto a quella società la quale, dunque, non ha mai intascato la somma provento del reato e non è dunque tenuta a restituirla.

La cosa più sensata – e che deve farsi anche in tempi molto brevi – è agire per le vie penali, depositando un atto di denuncia - querela presso le forze dell’ordine o direttamente in Procura della Repubblica facendo riferimento all’ausilio di un difensore di fiducia.

G. F. chiede
sabato 19/08/2023
“A settembre 2022 mi sono iscritto, all’età di 28 anni, a un corso di Laurea universitario. Poiché per l'iscrizione veniva chiesto un ISEE- Università, mi sono rivolto a un CAF per la sua compilazione.

Ho spiegato la mia situazione all'esperto del CAF, ossia che:
1. il mio “nucleo familiare” era costituito solo da me;
2. risiedevo da più di due anni da solo, in una casa in affitto non di proprietà di familiari;
3. non avendo un lavoro, e rispettandone i requisiti, ero percettore di Reddito di Cittadinanza (€700 al mese);
4. avevo già un ISEE Corrente in corso di validità (necessario per RDC).

Nel momento della compilazione della DSU, l’operatore del CAF ha senza alcun dubbio indicato la mia situazione come quella di uno “STUDENTE AUTONOMO” (senza quindi associare la mia DSU a quella dei miei genitori), asserendo che il Reddito di Cittadinanza mi garantiva un’adeguata capacità di reddito (a cui, tra l’altro, si aggiungevano in quel momento i rimborsi del Servizio civile, €444 circa).
Lì per lì non ho messo in dubbio la competenza dell’operatore né mi sono insospettito anche perché, leggendo la DSU (al Modulo MB.2, n. 1), si parlava, molto genericamente, di un’“adeguata capacità di reddito”.
Di conseguenza, avendo presentato in Università l’ISEE con il mio reddito ed essendo stato inserito nella “no tax area” non ho pagato le tasse universitarie.

A luglio 2023 mi è capitato di leggere con attenzione il Regolamento tasse della mia Università allo scopo di verificare la sussistenza della condizione di “Studente autonomo” anche per il prossimo anno accademico.
Ho così appreso, con grandissimo stupore, che solo i redditi da lavoro, per un importo non inferiore a €9.000 (che nel mio caso non è raggiunto!), concorrono all'autonomia (mentre il Reddito di Cittadinanza non è un reddito da lavoro).
Dal momento in cui ho scoperto l’errore, ho cercato di rimediare contattando immediatamente la Segreteria della mia Università alla quale ho esposto il problema. La Segreteria non è stata in grado di aiutarmi (anche perché il dato dell’autocertificazione del mio ISEE era ormai stato acquisito da INPS e confermato) e il problema è stato persino minimizzato. A distanza di un mese, però, sono stato contattato dalla Segreteria, che mi ha “gentilmente” (sic!) chiesto di fornire una copia dell'ISEE relativo all'anno 2022, perché c’era bisogno di inserire questo documento nel mio fascicolo…

Il mio dubbio è ora il seguente: è possibile che, a seguito di una segnalazione alle autorità competenti, venga avviato un procedimento penale e io diventi un imputato? Quali potrebbero essere le conseguenze di una segnalazione per un errore di questo tipo? In che misura è responsabile il CAF?

Grazie”
Consulenza legale i 23/08/2023
Dalla lettura della richiesta di parere sembra emergere che il soggetto sia stato inserito in una no tax area susseguente alla qualifica di “studente autonomo”.
Da successivi approfondimenti, tuttavia, è emerso che il soggetto non sarebbe uno “studente autonomo” in quanto il reddito percepito non è da lavoro.
Si pone dunque il problema delle ipotetiche conseguenze penali di tale dichiarazione, risultata non veritiera anche a seguito di un errore del CAF.

Ora, pur non conoscendo nel dettaglio il regolamento delle tasse universitarie nel caso di specie, non sembrano potersi configurare profili di rilevanza penale.
Ci spieghiamo meglio.

Nella richiesta di parere si afferma che la no tax area è prevista per lo studente autonomo che percepisce un massimo di 9.000 euro annui. Nel caso di specie, tuttavia, si afferma che il soggetto non arriva affatto a percepire un importo superiore e, anzi, neanche arriva ai 9.000 euro in parola.
Stando così le cose è chiaro che l’erronea indicazione di “studente autonomo” non è comunque offensiva in quanto il soggetto resta percettore di un reddito che, in ogni caso e a prescindere dalla qualifica, gli dovrebbe garantire di essere esentato dal pagamento delle tasse universitarie essendo inferiore a euro 9.000.

Se anche così non fosse (e a prescindere dal fatto che ci troveremmo difronte ad un regolamento universitario illogico in quanto si verrebbe esentati dal pagamento delle tasse sulla base della sola qualifica formale attribuita e non in considerazione del reddito percepito) il rischio penale può dirsi insussistente.
In un caso del genere, invero, la fattispecie astrattamente ipotizzabile sarebbe la truffa ex art. 640 c.p. per la cui sussistenza, comunque, occorre il dolo (diritto penale) generico, ovvero la coscienza e volontà di porre in essere un artificio (consistito nel caso di specie nella falsa attestazione della propria qualifica reddituale) che sia in grado di cagionare un danno altrui con profitto del soggetto agente (profitto che, nel caso di specie, consisterebbe nell’omesso pagamento delle tasse universitarie con conseguente danno in capo all’istituto).
Tale dolo, tuttavia, nel caso di specie è assolutamente insussistente alla luce del fatto che il soggetto agente è incorso in un palese errore in buona fede cui ha anche tentato di rimediare prontamente contattando la segreteria.
Le medesime argomentazioni sono spendibili anche per il CAF.

La cosa peggiore che potrebbe capitare, dunque, è la richiesta di pagamento da parte dell’università delle tasse non versate e che erano, in origine, dovute.
Se anche, poi, l’università dovesse procedere con una denuncia (scenario paradossale che sembra di poter escludere), sarebbe molto facile difendersi nel procedimento penale spendendo le argomentazioni esposte in precedenza e fornendo anche documenti scritti che provino l’errore in questione.
A tal fine, comunque, si consiglia di porre rimedio all’errore dichiarativo ricontattando la segreteria (con mail scritte) e di far presente la propria volontà di pagare eventuali rette non corrisposte per errore.

A. C. chiede
giovedì 27/10/2022 - Liguria
“Stipulato contratto con Azienda di disinfestazione nel 2019 per disinfestazione termiti in casa di legno.
Tempi previsti circa 2 anni . Dopo tre anni problema non risolto anzi peggiorato.
Nel sito era ed è ancora garantito 100% successo con il monitoraggio fatto con strumento adeguato in occasione del primo sopraluogo. Invece solo indagine visiva con soluzioni non risolutive (trappole).
Potrebbe essere pubblicità ingannevole e/o truffa in commercio? Diritto al risarcimento? Responsabilità in caso di danno aggravato alla abitazione e alle persone?”
Consulenza legale i 09/11/2022
Cominciamo ad analizzare la questione sotto il profilo penale, nell’ambito del quale rileva sicuramente il reato di truffa, ex art. 640 del c.p..
Il caso, tuttavia, è estremamente particolare e impone l’analisi del reato de quo, correttamente aggiornata agli ultimi esiti giurisprudenziali.

Per quanto riguarda la fattispecie in genere, sappiamo che la stessa ha ad oggetto una condotta estremamente complessa e collegata con l’evento immediato e mediato del reato.
Sappiamo infatti che, ai fini della truffa, è indispensabile che il soggetto agente:
- ponga in essere artifizi (intesi come vere e proprie modificazioni della realtà esteriore) o raggiri (ovvero qualsivoglia mistificazione della realtà che non si riverberi nel mondo materiale, ma anche soltanto nella psiche della persona offesa dal reato ) e che tali artifizi o raggiri
- inducano la persona in errore facendo in modo che questa compia
- un atto di disposizione patrimoniale che arricchisca il reo con conseguente impoverimento dell’offeso.
E’, come si diceva, una fattispecie molto complessa nell’ambito della quale ciascuno degli elementi sopra indicati deve essere concatenato all’altro, in modo tale che tra condotta ed evento vi sia un nesso di conseguenzialità chiaro e ben definito.

Ciò detto, dall’esegesi giurisprudenziale emerge molto chiaramente che la condotta truffaldina (e quindi gli artifizi o i raggiri) deve essere estremamente insidiosa e condurre la persona offesa a un atto di disposizione patrimoniale senza alcuna contropartita o, comunque, estremamente sbilanciato rispetto a ciò che va a “pagare”.

E’ per tale ragione che la giurisprudenza maggioritaria ha sempre ritenuto che il reato di truffa potesse poco adattarsi al rapporto contrattuale, nell’ambito del quale, per la maggior parte dei casi, non si ha un pagamento a vuoto, né tantomeno artifizi o raggiri estremamente insidiosi, quanto, piuttosto, un non corretto soddisfacimento del compratore a fronte di una trattativa precontrattuale poco chiara.

Ciò fino agli ultimissimi approdi giurisprudenziali, che hanno visto un revirement di rotta non indifferente.

In buona sostanza la Cassazione più recente, non senza critiche, si è spinta ad affermare che gli artifici e i raggiri possono consistere anche in una trattativa precontrattuale non del tutto trasparente, a seguito della quale l’interlocutore paghi una prestazione che non è così come era stata promessa o comunque propagandata.
Addirittura, in caso di pubblicità sul web, la truffa sarebbe pure aggravata ai sensi dell’ art. 61 del c.p., comma 1, punto 5) (“l’avere profittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all’età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa”) in considerazione del fatto che la rete internet sarebbe un “luogo” dove la persona offesa è priva dei normali strumenti cognitivi e, quindi, in uno stato di debolezza difensiva sensibile ai fini dell’aggravante in questione.

Tutto ciò per dire che, nel caso di specie, un’ipotesi di truffa – anche aggravata - potrebbe realmente sussistere. Se, infatti, come sembra evincersi dal parere, la disinfestazione è avvenuta a seguito della stipulazione di un contratto la cui propaganda sul web era oggettivamente insidiosa e tale da rendere conto di un prodotto e di un’opera che tale non si è rivelata, allora si potrebbe affermare che v’è stato un approccio effettivamente artificioso o raggirante dal punto di vista precontrattuale, effettivamente sensibile ai fini della sussistenza del reato di cui all’art. 640 c.p.

Va comunque rimarcato che si agirebbe in un quadro giuridico estremamente complesso e articolato per il quale occorre la consulenza di un penalista molto esperto che sia in grado di calare il fatto in modo adeguato alla fattispecie penale.

Per quanto attiene poi agli aspetti di carattere civilistico, è bene osservare che, nel caso di specie, una volta accertato il comportamento illecito da parte dell’azienda, sarà possibile chiedere il risarcimento di tutti i danni subiti.
Tali danni possono avere natura patrimoniale, quando consistono direttamente in una perdita economica a carico del danneggiato, o non patrimoniale, quando attengono invece al disagio - di carattere più prettamente morale ed esistenziale - causato dal fatto illecito.

Nel caso che occupa, ci troviamo dinanzi ad una fattispecie di inadempimento contrattuale.
In virtù dell’art. 1218 del c.c. "il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l'inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”.
Conseguentemente, nel caso di specie, il danneggiato-creditore potrà senza dubbio agire nei confronti dell’azienda al fine di ottenere il ristoro dei danni subiti che, come previsto dall'art. 1223 del c.c., devono porsi come “conseguenza immediata e diretta” dell’illecito (in ciò consiste il cosiddetto “nesso causale” tra inadempimento del debitore e danno).
Dal punto di vista probatorio, allorquando si dovesse decidere di instaurare un processo civile (per il caso in cui il debitore non dovesse adempiere spontaneamente all’obbligazione risarcitoria, richiesta per esempio attraverso una apposita lettera con domanda di risarcimento danni), il creditore-danneggiato potrà limitarsi ad allegare l’inadempimento del debitore, il quale doveva proficuamente provvedere alla disinfestazione del locale, cosa che non ha fatto, peggiorando anzi la situazione precedente. Starà a costui, semmai, offrire il giudizio la cosiddetta "prova liberatoria", che consiste nella dimostrazione di aver correttamente adempiuto alla propria obbligazione nascente dal contratto stipulato tra le parti.
Oltre a ciò, sarà necessario provare il danno subito (che può essere un “danno emergente”, ovvero la perdita subita, ma anche un “lucro cessante”, ovvero il mancato guadagno, entrambi causati dall'inadempimento del debitore), oltre al nesso di causalità tra l’inadempimento e il danno subito.

Nel caso che occupa, il danno patrimoniale sarebbe senza dubbio riconducibile a tutte le spese sostenute, oltre che per la conclusione del contratto in oggetto, anche per riparare i danni causati dall’infestazione delle termiti e per pagare altri tecnici specializzati nella risoluzione di tali problematiche.
In certi casi, sarà possibile ottenere anche il risarcimento del danno non patrimoniale, nella sua accezione di danno esistenziale, nel caso di lesione di diritti inviolabili della persona ai sensi dell'art. 2 Cost., o nel caso in cui il regolamento contrattuale prevedesse il risarcimento anche per questa variante del danno.
In questo caso, il danno esistenziale consisterebbe nei notevoli fastidi e disagi arrecati dal comportamento scorretto dell’azienda che, dopo aver promesso la disinfestazione, ha invece peggiorato ulteriormente la situazione de richiedente.
Occorrerebbe, per la qualificazione e quantificazione del danno non patrimoniale, una più approfondita disamina da parte di un legale specializzato, che analizzi il contratto e sappia consigliare in merito alla strategia più opportuna per ottenerne la liquidazione.

Per quanto attiene, poi, alla richiesta risarcitoria proposta con domanda giudiziale, è bene operare un’ulteriore precisazione.
Infatti, se si dovesse ritenere integrato il reato di truffa (nella sua variante di “truffa contrattuale”), affrontando il relativo procedimento, sarebbe possibile (invece di affrontare un'autonoma causa davanti al giudice civile) costituirsi come parte civile nel processo penale, ai fini del risarcimento del danno, usufruendo anche di un vantaggioso alleggerimento dell’onere probatorio (costituito dalla possibilità - prevista dalla legge - di acquisizione delle prove da parte dell’organo del Pubblico Ministero).
Nel caso in cui venga configurata la truffa, sarà più facile anche ottenere la liquidazione del danno non patrimoniale, che la legge prevede espressamente come diretta conseguenza della commissione di un fatto di reato. L’art. 185 del c.p., infatti, prevede che "Ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui

G. R. chiede
giovedì 13/10/2022 - Calabria
È lecito un accordo (verosimilmente rientrante nella fattispecie delle "obbligazioni negative") tra un soggetto vincitore di concorso pubblico ed il candidato idoneo non vincitore giunto al secondo posto, in cui quest'ultimo offre un corrispettivo in denaro in favore del vincitore affinché si obblighi a rifiutare l'instaurazione di un rapporto di lavoro con l'ente detentore della graduatoria, favorendo così la sua assunzione attraverso lo scorrimento della stessa?
Il quesito è posto al fine di comprendere se un patto di questo tipo costituisca reato.”
Consulenza legale i 19/10/2022
Il caso di cui alla richiesta di parere è estremamente particolare e di non facile soluzione.

Le fattispecie di rilievo penale possono essere diverse, ma gli elementi del fatto conosciuti non consentono di supporre:
- le più svariate ipotesi di reati contro la Pubblica Amministrazione, atteso che nessuno dei “pattisti” ricopre un ruolo di rilevanza pubblicistica;
- l’estorsione. In tale ultimo caso, invero, il reato in parola non sembra essere sussistente in considerazione del fatto che il soggetto che si “obbliga” a rifiutare l’assunzione non è stato obbligato in tal senso mediante minacce o violenza.

Escluse le fattispecie di cui sopra, va detto che, almeno in astratto, potrebbe porsi il problema della truffa, di cui all’ art. 640 del c.p..

E’ possibile infatti ipotizzare che l’accordo tra i due concorsisti costituisca il classico artificio (che l’art. 640 c.p. esige per la commissione della truffa) a seguito del quale la Pubblica Amministrazione sia stata indotta in errore nell’assunzione, procedendo effettivamente a instaurare il rapporto di pubblico impiego non già col soggetto effettivamente meritevole (ovvero il primo classificato), ma col secondo, che risulta “vincitore” del concorso solo a seguito di uno scorrimento della graduatoria in qualche modo fraudolento.

Il problema, tuttavia, sta nell’evento del reato.
Come espressamente affermato dall’articolo 640 c.p., ai fini della sussistenza della truffa occorre che la condotta abbia provocato un ingiusto profitto con altrui danno.

Questo è, in verità, un tema non del tutto sconosciuto dalla giurisprudenza ,che ancora oggi pare divisa sul punto.
Secondo parte della Cassazione, infatti, in casi del genere addirittura non si potrebbe parlare di truffa in considerazione del fatto che la PA che assume non riporta affatto un danno. In fondo, dice la Cassazione, il danno non sussiste proprio per il fatto che gli emolumenti lavorativi vengono comunque erogati a seguito della prestazione lavorativa effettuata e, quindi, sarebbe improprio parlare di danno in casi del genere.

Secondo altra parte della Cassazione, invece, il danno riportato dalla Pubblica Amministrazione non è rappresentato dagli emolumenti lavorativi ingiustamente erogati nei confronti del secondo classificato, quanto da tutte le spese sostenute per procedere allo scorrimento della graduatoria e all’insieme di attività poste in essere dalla PA onde procedere alla costituzione del nuovo rapporto lavorativo.

In conclusione una risposta univoca al quesito non esiste, stante anche la confusione giurisprudenziale sul tema.
Di certo, tuttavia, è assolutamente possibile affermare che l’accorso emarginato nella richiesta di parere possa avere una propria rilevanza penale.

G. A. chiede
sabato 16/07/2022 - Friuli-Venezia
“QUESITO
Nel 2007, TIZIO, ottima persona ma totalmente analfabeta, si è rivolto a CAIO, imprenditore edile, per acquistare una abitazione e mettere su famiglia.
CAIO, ha fatto visionare a TIZIO un mini appartamento, ex fienile ristrutturato di 50 m2 passato, (verbalmene) per nuova costruzione.
CAIO, con RAGGIRI E ARTEFICI ha fatto credere a TIZIO che l’immobile vale € 160.000,00, ma che, dato che erano compaesani, gli avrebbe ceduto l’abitazione per € 140.000,00 e gli avrebbe presentato il direttore della BANCA XY CHE GLI AVREBBE CONCESSO IL MUTUO per pagare l’immobile.
TIZIO ha accettato la proposta di CAIO, e quindi, effettuate le presentazioni, il direttore (B. A.) della filiale della BANCA XY ha concesso a TIZIO il mutuo di € 160.000,00, Dei quali € 145.600,00 per l’acquisto dell’abitazione + IVA. € 9.400, per il notaio, e € 5.000,00 per “l’intermediatore creditizio”, che TIZIO non ha mai chiamato, e non sa chi sia ne cosa faccia “l’intermediatore creditizio”.
TIZIO, Per circa due anni, ha sempre pagato regolarmente le rate del mutuo, ma poi, nel 2009, l’azienda dove lavorava ha cessato l’attività, e quindi TIZIO non è più stato in grado di pagare le rate del mutuo e nel 2011 la BANCA XY ha esecutato l’abitazione.
Nel 2014, Il C.T.U. nominato dal giudice dell’esecuzione, ha valutato l’immobile esecutato in € 62.000,00.
Da ciò e sorta non solo l’ipotesi che il direttore (B. A.) della la BANCA XY non abbia nominato un suo consulente tecnico per far valutare l’immobile da finanziare, ma abbia concesso il mutuo a TIZIO di € 160.000,00 su semplice comunicazione verbale di CAIO e del “l’intermediatore creditizio”.
Fermo il fatto che la violazione ultra che doppia dell’art. 38 del T.U.B. determina la nullità del contratto del mutuo. Cass. 13/7/2017 n. 17352); Cass. 21/01/2020 n. 1193).
Fermo il fatto che in capo a CAIO e al “l’intermediatore creditizio” è ravvisabile il reato di truffa di cui all’art. 640 C.P. (correggetemi se sbaglio).
Fermo il dato di fatto che è risaputo che i consulenti tecnici nominati dalle banche, per far valutare l’immobile da finanziare , in via prudenziale esprimano un valore un po' minore dal reale.
Fermo il dato di fatto che se il direttore (B.A.) della BANCA XY avesse nominato un suo consulente tecnico per far valutare l’immobile da finanziare a TIZIO, questo C.T.P. avrebbe di certo valutato, l’immobile da finanziare, in via prudenziale, in € 40/50.000,00, E quindi TIZIO si sarebbe accorto che stava per subire una truffa, e quindi non avrebbe mai acquistato l’immobile per la detta somma di € 140.000,00, + IVA, oppure l’avrebbe acquistata l’immobile per la somma 40/50.000,00.
Fermo il dato di fatto che la BANCA XY vanta tutt’oggi verso TIZIO un credito di circa € 170.000,00.
DOMANDO
1) è o no ravvisabile in capo al direttore (B. A.) della BANCA XY il reato di concorso in tuffa, per non aver disposto la nomina di un suo consulente tecnico per far valutare l’immobile da
finanziare a TIZIO ?
2) è o no ravvisabile in capo al direttore B. A. della BANCA XY il reato di concorso in tuffa per aver disposto la somma di € 160.000,00 su semplice comunicazione verbale di CAIO e del
“l’intermediatore creditizio” ?
3) il fatto che la BANCA XY pretenda tutt’oggi da TIZIO il credito di circa € 170.000,00, costituisce o no la continuità, ex art. 81 c.p., del reato di truffa in capo al direttore (B.A.) della BANCA XY ?
4) la pretesa economica attuata tutt’oggi della BANCA XY di circa € 170.000,00, interrompe o no la prescrizione del reato di concorso in truffa in capo al direttore (B.A.) della BANCA XY ?
D’altro Canto, il dato di fatto che la BANCA XY continui a godere il frutto illecito del direttore (B.A.), non trova logica giustificazione.”
Consulenza legale i 22/07/2022
Le questioni sottese al parere sono abbastanza complesse dal punto di vista giuridico e intersecano tematiche sia di natura civile che di natura penale.
Occorre prima di tutto svolgere una breve premessa che consentirà, poi, di capire meglio le risposte ai singoli quesiti posti.

Innanzi tutto va capito in cosa consiste il reato di truffa, previsto e punito dall’art. 640 del codice penale.
Il reato in parola presuppone che la persona offesa dal reato compia un atto di disposizione patrimoniale a vantaggio del truffatore e che tale atto sia disposto in conseguenza degli artifici o raggiri del truffatore in questione.
Ai fini della sussistenza del reato, dunque, è necessario un rapporto di stretta consequenzialità tra l’impoverimento dell’offeso e l’arricchimento del truffatore.
Dal canto loro, sappiamo che gli artifici sono il prodotto di una condotta decettiva che implica una modificazione materiale della realtà concretamente idonea a ingannare il soggetto passivo; i raggiri, invece, consistono in una condotta meno “tangibile” e maggiormente proiettata verso l’inganno “mentale”, se così si può dire.
Ora, da ciò consegue che l’artificio e il raggiro del soggetto attivo del reato non possono consistere semplicemente - nell’ambito di una ordinaria interlocuzione negoziale – in un’esagerazione del prezzo di vendita di un determinato bene.
Deve esserci qualcosa di più e deve essere tale da denotare una condotta fortemente ingannatoria.

Tradotto in termini pratici, nel caso di specie potrebbe sussistere la truffa solo laddove il venditore abbia concretamente indotto in errore il compratore attraverso una mistificazione della realtà che – come detto - non può consistere in un mero disallineamento tra il quantum di prezzo pattuito per il bene e il valore concreto che quel bene ha.
Non a caso, situazioni del genere vengono piuttosto ricondotte, in ambito civile, alla cd. “responsabilità precontrattuale da contratto valido ma svantaggioso”.
Tale ipotesi, appunto, ricorre ogni qualvolta, nell’ambito dell’interlocuzione contrattuale, una delle parti si comporta in modo oggettivamente scorretto e tale da contestualizzare il negozio in confini estranei alla realtà.
Attraverso la responsabilità precontrattuale, quindi, si tutela la controparte non già da un negozio che non avrebbe stipulato ma da una contrattazione oggettivamente scorretta che sia sfociata in un negozio che magari si sarebbe comunque stipulato, ma a condizioni diverse.

Tutto ciò per dire che se, nel caso di specie, il venditore si è limitato ad approfittarsi dell’ “ignoranza” del compratore ma non ha mai tenuto una condotta talmente grave da sfociare negli artifizi o raggiri, la soluzione ideale potrebbe essere quella di proporre un’azione civile da responsabilità precontrattuale.
In tal modo, infatti, il soggetto leso non solo non rischierebbe un esito negativo del procedimento penale (la truffa, soprattutto in situazioni borderline, potrebbe essere molto difficile da provare) ma, attraverso l’azione civile, otterrebbe un risarcimento congruo, pari alla differenza tra quanto pagato e quanto avrebbe pagato se avesse conosciuto nel dettaglio la verità.

Soffermiamoci ora sulla questione della banca.

Come precedentemente detto, la truffa deve consistere in una mistificazione estrema della realtà e non può riguardare il solo prezzo del bene.
Ciò detto, la banca non è affatto garante del compratore e, pertanto, non è tenuta a giudicare e/o valutare eventuali acquisti sbagliati di chi che sia. Pertanto, anche laddove la banca si rendesse conto che il prezzo di acquisto di un bene sia eccessivamente alto, non è tenuta ad alcunché nei confronti del compratore.
La perizia nell’ambito della concessione di un finanziamento, peraltro, ha altri scopi: serve all’istituto creditizio per capire il valore del bene in caso di procedura esecutiva, a valutare il quantum finanziabile etc. La perizia predetta, dunque, non ha alcuna funzione di tutela delle ragioni del compratore e/o di equità contrattuale.

Ciò detto, un ipotetico concorso della banca nella truffa – ipotetica, lo si ripete – del venditore, potrebbe essere ravvisabile solo laddove il direttore abbia in un qualche modo contribuito agli artifizi o raggiri perpetrati.
Se, però, la banca si è limitata a rimanere inerte – come sembra essere accaduto nel caso di specie – un concorso in truffa è difficilmente ravvisabile. Diciamo “come sembra essere accaduto nel caso di specie” perché, in fondo, l’unica “colpa” della banca sembra essere stata quella di non aver proceduto alla perizia, ma ciò non incide sugli artifizi o raggiri quanto, piuttosto, sul profilo della deontologia professionale del banchiere, che nulla ha a che vedere con la truffa ipotizzata.
Una truffa, ad esempio, sarebbe stata ipotizzabile se il banchiere, in concorso col venditore, avesse effettuato la perizia e avesse gonfiato il prezzo di stima dell’immobile: in tale ultimo caso l’artificio sarebbe conclamato e sarebbe ipotizzabile un concorso nella truffa.

Da quanto detto discende che:

- alla domanda n. 1 va data risposta negativa;
- idem dicasi per la domanda n. 2: il banchiere concede il mutuo sulla base del prezzo pattuito e non è tenuto ad alcuna verifica sulla congruità del prezzo in parola;
- quanto alle domande 3 e 4 va detto quanto segue. Il reato di truffa è un reato istantaneo e si consuma allorché la persona offesa pone in essere l’atto di disposizione patrimoniale. Se, poi, l’atto di disposizione viene effettuato in più tranches si configura quello che da molti è stato definito “reato ad azione frazionata”. Ciò vuol dire che, nonostante le dazioni patrimoniali siano multiple, l’atto di disposizione resta sempre uno, con conseguente impossibilità di moltiplicazione della fattispecie.
Tale circostanza, tuttavia, incide sulla consumazione e, dunque, sulla prescrizione del reato.
Gli atti di disposizione patrimoniale “frazionati”, infatti, spostano la consumazione del reato nel momento in cui ognuno viene posto in essere, con conseguente spostamento “in avanti” della consumazione del reato e, quindi, del giorno da cui comincia a decorrere la prescrizione.


G. P. chiede
giovedì 24/02/2022 - Lombardia
“Buongiorno, ho inviato una raccomandata all’avvocato della controparte per proporre un saldo e stralcio di un mio vecchio debito, precisando che non possiedo beni mobili. In realtà posseggo solo un conto corrente che però ha un saldo di pochi euro (meno di 10 euro). Vorrei quindi sapere se potrei essere soggetto ad una querela per falsa dichiarazione, e se un conto corrente è considerato un bene mobile.
Grazie e un cordiale saluto.”
Consulenza legale i 07/03/2022
Gentile cliente,
premesso che il conto corrente è qualificabile come bene mobile, ciò che viene da Lei scritto nella lettera allegata al quesito potrebbe al più rientrare nell’alveo dell’art. art. 640 del c.p. c.p.
Sul punto occorre svolgere una disamina preliminare che distingue la posizione della dottrina da quella della giurisprudenza.

I diversi studiosi del diritto penale si interrogano se la menzogna possa costituire un raggiro penalmente rilevante ai sensi dell'art. 640 c.p, escludendo che tale disposizione incriminatrice possa essere invocata per reprimere qualsiasi falsa dichiarazione escogitata per influire sulle decisioni altrui (V. Fiandaca-Musco).
In tal senso la c.d. “nuda menzogna”, pura e semplice, integrata da una falsa rappresentazione della realtà non accompagnata da ragionamenti atti a convalidarla, non può costituire un artificio o un raggiro punibile in quanto sarebbe assente quella opera di persuasione che deve caratterizzare il concetto di “raggiro” (V. su punto Marini, Truffa, in Digesto pen., Torino, 1999).

Data l’assenza di un riferimento generico alla mera "affermazione falsa" nel testo della norma, la dottrina subordina la rilevanza penale della menzogna al fatto che essa sia accompagnata da una condotta fraudolenta che sia dotata di un apprezzabile grado di offensività.

Tra i principali Autori vi è chi distingue una menzogna c.d. difensiva, finalizzata ad occultare i propri legittimi interessi e che non costituirebbe raggiro data l’assenza di un obbligo giuridico di dire la verità (salvo che non sia imposto da una disposizione di legge) dalla menzogna c.d. aggressiva, questa penalmente rilevante, che induce a creare motivi illusori che guidino/influenzino l'agire.

La giurisprudenza, invece, ha adottato nel corso del tempo una posizione differente.
Nell’ipotesi di truffa tra privati sussiste la rilevanza della mera dichiarazione mendace qualora sia idonea ad integrare la nozione di raggiro in ordine alle assicurazioni sulla propria solidità economica all’interno di trattative contrattuali, vantando un benessere non corrispondente alle proprie capacità economiche (Cass. pen, sez II, 7.4.2006).
E’ bene tuttavia precisare che la fattispecie citata è leggermente diversa dal caso in esame.

La giurisprudenza maggioritaria ritiene che il c.d. mendacio possa integrare l’artifizio o il raggiro in quanto costituisce modalità attraverso cui si produce una suggestione finalizzata a convincere la persona offesa di una situazione che non ha riscontro nella realtà, potendo essere ritenuto idoneo ad indurre in errore l’altro contraente (V. sul punto Cass. pen. sez. II, 20.09.20211).

Si tratta tuttavia di un orientamento che, collocandosi all’interno di un determinato filone interpretativo, ritiene che la sola menzogna sia sufficiente ad integrare gli elementi costitutivi del delitto di truffa, attribuendo rilevanza al solo fatto causale della induzione in errore e pretermettendo l’accertamento di un vero e proprio raggiro, ossia una menzogna concretamente dotata di un’apprezzabile carica offensiva.

È invece minoritaria la giurisprudenza che richiede quanto meno che la menzogna debba essere arricchita da elementi modali di contorno, così che sia strutturata in modo tale da indurre in errore il soggetto passivo, di cui viene carpita la buona fede.

Tornando al caso in esame, sulla base di quanto riportato nel quesito e nel relativo allegato, non si rilevano fattispecie aventi natura penale.
Da una prima lettura Questa redazione esprime le seguenti considerazioni:
1) quando ci si accinge a scrivere lettere simili alla Sua è opportuno essere assistiti da un tecnico (ad esempio un legale di fiducia) al fine di evitare di inserire nel “corpo” della propria proposta transattiva elementi che possono essere irrilevanti, quale appunto l’elencazione dei beni attualmente in suo possesso.
2) da un punto di vista pratico, se ritiene, segnali all’avvocato di controparte la presenza di un conto corrente sul quale il saldo è minimo, come da Lei indicato.

Infine, data l’ammontare del debito e la somma da Lei offerta a saldo e stralcio, la questione assume carattere prettamente civilistico.

A. B. chiede
mercoledì 02/02/2022 - Umbria
“Salve vorrei sapere se per un reato di falsa attestazione della presenza, (accaduto per dimenticanza) quindi uscita dal posto di lavoro senza timbratura del cartellino (l'azienda è una pubblica amministrazione), se fosse provato il reato con video registrazione della presenza presso un Bar, accaduto nel periodo 2016/2017, non ricordo bene la data, il reato si prescrive? o sussistono ancora alla data odierna i presupposti per l'addebito del reato, quindi presupponendo che l'amministrazione venga a conoscenza dell'illecito in data odierna 02/02/2022 potrebbe aprire il procedimento?”
Consulenza legale i 03/02/2022
Chiariamo innanzi tutto che la condotta, così come descritta nel parere, secondo giurisprudenza consolidata, non configura alcuna fattispecie di falso in considerazione del fatto che “i “cartellini” marcatempo e i fogli di presenza, in quanto documenti che non hanno natura di atto pubblico, ma di mera attestazione del dipendente inerente al rapporto di lavoro, sono soggetti a disciplina privatistica” (cfr. Cass. S.U. 15983 del 2006).
Tuttavia, è opinione altrettanto consolidata che tale condotta costituisce il reato di truffa aggravata di cui all’art. 640 c.p. stante il danno riportato dalla pubblica amministrazione (Cass. pen. Sez. II Sent., 28/05/2019, n. 29628).


Tornando alle domande, va detto che:

1. Ogni reato si prescrive e anche questo. Nello specifico, il tempo massimo di prescrizione è di 7 anni e mezzo. Dunque, nel caso che ci occupa, la prescrizione dovrebbe scattare tra il 2023 e il 2024;
2. Il reato, nel caso di specie, è procedibile d’ufficio il che vuol dire che il Pubblico Ministero che dovesse avere conoscenza del fatto può, in ogni momento, aprire un fascicolo d’indagini e procedere.

P. D. S. chiede
sabato 11/12/2021 - Liguria
“sono a conoscenza di una persona, che sta ricevendo denari da altri, sulla base di un raggiro. Le persone in questione, sono all'oscuro del raggiro e credono che quanto esposto dall'agente sia vero, mentre io ho perfetta conoscenza che questo non è, e a breve si verificherà che gli ignari pagatori avranno perduto tutto.
So che si procede su querela di parte, e che quindi anche se lo rappresentassi alle autorità queste non possono fare nulla, e al tempo stesso non posso espormi dicendo apertamente che ritengo siano truffati per non incorrere nella diffamazione. Possibile che la cosa non si possa esporre alle autorità e che il giudice non possa procedere di ufficio?”
Consulenza legale i 15/12/2021
Per rispondere al parere, occorre fare un po’ di ordine.

In primo luogo, va capito il reato oggetto di denuncia.
Da quanto narrato, sembra che si tratti di un’ipotesi di truffa, proprio in considerazione del fatto che la persona offesa dal reato starebbe pagando a seguito di un raggiro, che è uno degli elementi chiave per la commissione del reato di cui all’art. 640 c.p.

Chiarito questo, passiamo alla procedibilità.

Vero è che il reato di truffa è procedibile, in genere, a querela di parte, ma è anche vero che a questa regola fanno eccezione talune previsioni, tanto dell’art. 640 c.p. che dell’articolo 649 bis c.p.

Nello specifico, il reato di truffa è procedibile d’ufficio quando:

- il fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico o dell'Unione europea o col pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare;
- il fatto è commesso ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario o l'erroneo convincimento di dovere eseguire un ordine dell'autorità;
- il fatto è commesso in presenza della circostanza di cui all’articolo 61, numero 5), che si ha laddove il reo ha profittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all’età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa;
- la persona offesa è incapace per età o infermità;
- la persona offesa ha riportato un danno di rilevante entità.

Dunque, non è vero che il reato di truffa è sempre procedibile a querela, potendo configurarsi la procedibilità d’ufficio laddove si manifesti una o più delle circostanze predette.
Può concludersi, quindi, che un’ipotetica denuncia potrebbe avere efficacia laddove il Pubblico Ministero procedente ritenga configurata una delle aggravanti in questione, con ciò determinando la procedibilità d’ufficio.

Inoltre, sono privi di fondamento i timori riguardanti la calunnia.

Tale reato, invero, si configura solo allorché taluno accusi altri ingiustamente, sapendolo innocente, e non sembra essere il caso di specie.
Da quanto narrato nel parere, infatti, sembra emergere piuttosto un certo convincimento della sussistenza del reato e della colpevolezza del reo da parte del denunciante e tale circostanza esclude sin dall’origine eventuali pericoli di calunnia.

Nel caso di specie, dunque, la denuncia potrebbe avere effetto e se, come sembra, il rischio per la persona offesa è alto, la stessa sarebbe quanto mai appropriata.
Diversamente, si potrebbe allertare la persona offesa e dare a quest’ultima la possibilità di agire, una volta venuta a conoscenza della truffa di cui è vittima.

R. G. chiede
lunedì 08/11/2021 - Marche
“Si fa seguito alla Vs gentile risposta positiva (sussiste il reato di frode contrattuale) al quesito codice Q202129353 per esporre l'ulteriore, conseguente quesito relativo alla prescrizione del reato di frode contrattuale applicabile al caso in esame:

Poichè con riferimento al fabbricato A interessato ed inficiato nella propria conformità urbanistica dall'abuso edilizio costituito dalla pertinenza C del fabbricato B confinante (si mantengono le stesse lettere maiuscole utilizzate nel precedente quesito ad identificare i corpi di fabbrica interessati dalla questione):

1. il Piano di recupero è stato approvato dal Comune di .......... nel luglio 2015 e il conseguente Permesso di costruire rilasciato agli istanti firmatari del Piano di recupero nell'ottobre 2015 ;
2. l'acquisto del fabbricato A inficiato dall'abuso edilizio C è stato conseguentemente effettuato dallo scrivente nel novembre 2015;
3. i lavori di ristrutturazione del fabbricato A sono stati avviati nel gennaio 2016, con destinazione del fabbricato A ad abitazione della proprietà Alfa;
4. solo a partire dall'ottobre 2018 è intervenuta la volontà della proprietà Alfa del fabbricato A di cedere a terzi la proprietà del bene con la stipulazione di un contratto preliminare di compravendita che stabiliva il rogito notarile di compravendita definitiva al novembre 2019;
5. l'abuso edilizio C è stato individuato nel marzo 2019, ovvero nelle more del contratto preliminare di cui al punto precedente;
6. i pareri dei Notai di irricevibilità a rogito del fabbricato A (in quanto inficiato dall'abuso edilizio C pertinenza esclusiva del confinante fabbricato B) sono intervenuti nel settembre 2019

e poichè pertanto solo a partire dal settembre 2019 si è prodotto il danno in capo alla proprietà Alfa del fabbricato A, atteso e precisato che fino alla data di sottoscrizione del contratto preliminare di cui al precedente punto 4) il fabbricato A poteva essere abitato (o anche locato a terzi) senza che l'abuso edilizio C ne costituisse condizione ostativa alcuna,

si chiede da quando decorra o sia decorsa ovvero quale debba ritenersi nel caso in esame il dies a quo per il calcolo della prescrizione, e in quanti anni si prescriva il reato in oggetto. Grazie.”
Consulenza legale i 17/11/2021
Nel parere precedente si era concluso per un’ipotetica sussistenza del reato di truffa – consumata o tentata - susseguente all’ “acquisto” del fabbricato in relazione al quale l’alienante e il progettista avevano taciuto l’esistenza di un abuso edilizio che rendeva il fabbricato invendibile (o, volendo essere più corretti dal punto di vista civilistico, non adatto a circolare inter vivos).

Ora, il reato di truffa è fattispecie che si consuma nel momento in cui l’atto di disposizione patrimoniale della persona offesa dal reato è stato compiuto a valle dell’induzione in errore.
Nel caso di specie, quindi, il reato si è consumato allorché è stato sottoscritto il contratto preliminare ed è stata versata la somma di denaro richiesta per bloccare l’affare, come è solito fare, e/o le altre somme per concludere l’affare.

A nulla rilevano le altre circostanze che, per vero, hanno importanza solo con riferimento ad altri aspetti e, in particolare, alla procedibilità (che, nel caso di specie, potrebbe essere d’ufficio o a querela di parte a seconda della sussistenza di talune aggravanti previste dall’art. 640 c.p. o dall’art. 61 c.p. che, allo stato, è impossibile supporre).

Nello specifico, il fatto che soltanto allorché il notaio dichiarava impossibile procedere alla compravendita si veniva a conoscenza della truffa, rileva solo quale elemento che ha determinato la cognizione, in capo alla persona offesa, di essere stato vittima di un reato e da quel momento in poi decorre il termine di tre mesi per proporre querela (termine che, a quanto pare, è già scaduto).

Per tale ragione, il reato, nel caso di specie, si prescrive in 6 anni (7 anni e mezzo se si considerano ipotetiche interruzioni) e tale termine comincia a decorrere dal momento in cui è stata versata la somma per sottoscrivere il preliminare e/o le altre somme per portare a termine l’affare giacché in quel momento si è consumato il reato.

Stando così le cose, dunque, si consiglia di fare riferimento ad un bravo penalista che, studiati e letti i fatti nel dettaglio, possa intraprendere una utile strategia legale, tanto sul versante penale che su quello civile. Ciò anche in modo piuttosto tempestivo in considerazione di quanto detto sulla procedibilità.

A.M. chiede
venerdì 22/10/2021 - Emilia-Romagna
“Il privato Alfa, promissario acquirente, stipula con Beta, promittente venditore, un contratto preliminare di compravendita immobiliare avente ad oggetto un fabbricato A artigianale da destinarsi ad unità abitativa attraverso ristrutturazione edilizia e che quindi, per espressa pattuizione contrattuale, dovrà essere consegnato al promissario acquirente dopo che sia stato conseguito dal promittente venditore Beta il Permesso di costruire (PDC). Particolarità architettonica assoluta del fabbricato oggetto di preliminare è la presenza al suo interno di una porzione del confinante fabbricato B di proprieta di Gamma, ovverosia una porzione dell'area di sedime del fabbricato (mq 130 circa) A è occupata da una stanza C che costituisce pertinenza esclusiva del confinante fabbricato B, ovvero detta stanza è totalmente interclusa al fabbricato A e vi si può accedere solo dal confinante fabbricato B. La stanza in oggetto, della superficie di 20 mq circa è abusiva, è stata realizzata senza alcun titolo edilizio abilitativo e non è ovviamente indicata nella planimetria catastale del fabbricato B (e tanto meno nel fabbricato A).
A preliminare stipulato Beta avvia le pratiche per ottenere il PDC e, poichè il fabbricato A in oggetto è ricompreso nel Piano Particolareggiato del Comune di ..........., deve essere avviato un Piano di recupero (PDR) ai fini dell'ottenimento del finale PDC, PDR che ha ad oggetto appunto il fabbricato A il cui volume ricomprende al proprio interno la stanza C. Il progettista incaricato della formazione e presentazione del PDR - e poi anche incaricato della Direzione lavori della ristrutturazione - (progettista scelto e remunerato dal promissario acquirente del fabbricato A, come da espressa pattuizione contrattuale) provvede ad inserire nelle Tavole e nella Relazione tecnica del PDR indicazioni non corrispondenti al vero relativamente alla stanza abusiva pertinenza del fabbricato B, ovvero indica in corrispondenza della stanza in oggetto i dati catastali (Foglio Mappale Subalterno) del fabbricato B che nulla ha a che vedere con il PDR. Il Comune non si avvede della irregolarità - benchè in una Tavola del PDR sia riportata la planimetria catastale del fabbricato B priva della stanza C - e rilascia il PDC intestato sia a Beta, avente diritto al Titolo Edilizio in quanto proprietario del fabbricato A soggetto a PDR, che a Gamma, individuato come proprietario del fabbricato B catastalmente privo della stanza C e quindi per nulla interessato dal PDR.
Il promissario acquirente Alfa ovviamente rimane totalmente estraneo all'intero PDR, pedissequa Convenzione e finale PDC, e solo dopo il rilascio di quest'ultimo stipula il contratto definitivo di compravendita del fabbricato A e chiede la volturazione a proprio nome del PDC.
A distanza di tra anni, terminati i lavori di ristrutturazione, Alfa scopre l'irregolarità del PDR e l'abuso edilizio che inficia la conformità urbanistica del fabbricato A e nel rivolgersi a più Notai per poter rivendere il fabbricato A a terzi si vede opporre il rifiuto a ricevere a rogito il fabbricato A da parte di detti Notai.
Precisato:
- che il tutti i documenti costituenti il PDR (e la successiva Convenzione stipulata tra Beta e il Comune di ............. per l'esecuzione del PDR) fino al PDC sono stati sottoscritti dal progettista, da Beta proprietario del fabbricato A e da Gamma proprietario del fabbricato B, fabbricato che, si ripete, come catastalmente individuato per nulla viene interessato dal PDR;
- che se la stanza C fosse stata indicata correttamente nei documenti del PDR, ovvero priva di dati catastali e dichiarata come volume abusivo, il Comune non avrebbe approvato il PDR e dunque non avrebbe rilasciato il PDC;
- che Alfa non è mai stato portato al corrente nè da Beta, nè da Gamma, nè dal proprio progettista e D.L., dell'abuso edilizio contenuto all'interno del fabbricato A la cui conformità urbanistica viene così inficiata;
- che se Alfa fosse venuto a conoscenza di quanto sopra non avrebbe mai acquistato il fabbricato A, nè Beta avrebbe potuto vendere a chiunque detto fabbricato nè Gamma avrebbe potuto ristrutturare la stanza C;
- che la compravendita del fabbricato A + le spese di ristrutturazione, ovvero l'investimento di Alfa, supera il mezzo milione di euro;
- che il progettista e D.L. a termine lavori ha presentato una parcella di rilevantissimo ammontare per le proprie prestazioni,

si chiede se tutto quanto sopra possa integrare il reato di truffa contrattuale.

Grazie.”
Consulenza legale i 26/10/2021
La risposta è positiva.

Il reato di truffa, previsto e punito dall’art. 640 del codice penale, è un reato contro il patrimonio posto in essere mediante frode; frode consistente, come noto, in artifizi o raggiri, ovvero in qualsivoglia condotta atta a falsificare la realtà circostante o a raggirare la persona offesa dal reato con l’unico scopo di fare in modo che questa ponga in essere un atto di disposizione patrimoniale lesivo dei suoi interessi.
Tale atto di disposizione patrimoniale deve essere un effetto dell’induzione in errore e deve avvantaggiare il soggetto agente consentendogli di conseguire un profitto ingiusto.

Ora, sulla possibilità che la dinamica della truffa possa verificarsi in ambito contrattuale se ne è discusso a lungo in giurisprudenza.
Il dubbio riguardava soprattutto tutte quelle ipotesi in cui il soggetto passivo, benché ingannato, avesse, alla fine, stipulato comunque un contratto tutto sommato equilibrato (es. nell’acquisto di un immobile il venditore mi tace alcuni problemi dell’immobile stesso, pur vendendomelo ad un prezzo congruo).
In questi casi una parte della giurisprudenza aveva ritenuto il reato non sussistente per il fatto che, trattandosi di una fattispecie contro il patrimonio, nel caso in cui non si verifichi alcuna lesione economica sarebbe impossibile ritenere la fattispecie consumata.

Tale giurisprudenza, col tempo, è stata sostituita da una diversa corrente secondo cui il reato di truffa, essendo plurioffensivo, è idoneo non solo a tutelare il patrimonio della persona offesa, ma anche la sua libertà di autodeterminazione negoziale, tale per cui la fattispecie si configura in tutti quei casi in cui la persona offesa, proprio a causa degli artifizi e raggiri posti in essere, viene indotta a stipulare un contratto che non avrebbe concluso laddove avesse avuto effettiva contezza della realtà dei fatti.
Peraltro, in tali ipotesi, la giurisprudenza attribuisce valore frodatorio anche al silenzio maliziosamente serbato, ovvero a quella particolare condotta del soggetto agente che, tacendo alcune determinanti informazioni sulla compravendita, ha determinato, di fatto, un consenso viziato del contraente.

La dinamica della truffa è chiaramente sussistente nel caso di specie.
E’ evidente, infatti, che se Alfa avesse saputo dell’abuso edilizio non avrebbe mai stipulato il contratto di compravendita - quand’anche tale abuso fosse stato sanabile – e, in tale ottica, la condotta dei venditori e del tecnico sembra integrare in modo chiaro quel “silenzio maliziosamente serbato” che, secondo giurisprudenza costante, integra il raggiro della truffa.

Va da sé, poi, che tale condotta ha di certo cagionato un danno all’acquirente, consistente non solo in quella parte della somma corrisposta per l’acquisto, ma anche dell’ulteriore somma richiesta dal progettista che, in questa vicenda, ha avuto una incidenza rilevantissima e costituente autonome e diverse ipotesi di reato.

Stando così le cose si suggerisce di depositare quanto prima un atto di denuncia - querela anche per tutelarsi rispetto alla evidente condotta del progettista che, come anzidetto, ha un’autonoma rilevanza penale.

Anonimo chiede
venerdì 09/04/2021 - Lazio
“Spett.le Brocardi.it

Il presente parere dovrà essere pubblicato “Anonimo” (senza il nome e la prima lettera del cognome).

A seguito della notifica di un avviso di accertamento, il contribuente contatta l’avvocato specializzato esperto tributarista, il quale invia il preventivo delle spese legali, con accordo di pagamento anticipato dell’assistenza difensiva per l’impugnazione dell’atto dinanzi alla Commissione tributaria territoriale.

Il cliente dopo avere verificato che nel preventivo era espressamente prevista la tutela cautelare ossia la sospensione dell’esecuzione dell'atto impugnato ( ex art. 47 del D.Lgs. n. 546/92, e articolo 7, comma 1, lettera m), del decreto-legge n. 70), provvede tramite bonifico, al pagamento anticipato a saldo dell’assistenza difensiva.

La tutela cautelare è stata condivisa con l’avvocato in quanto prendeva atto della sussistenza delle ragioni di fatto e gli elementi di diritto a sostegno della necessità di scongiurare il grave e irreparabile danno che sarebbe potuto derivare dall’immediata esecuzione dell’atto impugnato (periculum in mora), vista una prognosi favorevole dell’esito dell’impugnativa (fumus boni iuris), legittimando dunque il giudice ad accordare la richiesta tutela cautelare.

Ma sorprendentemente nel corso del procedimento tributario, giunge al cliente il pignoramento esattoriale da parte dell’agente della riscossione di tutto il suo patrimonio, quale atto esecutivo derivato dal suddetto avviso di accertamento impugnato.

Il cliente chiede spiegazioni all’avvocato tributarista e lo stesso riferisce che effettivamente (senza motivare) non aveva chiesto alla Commissione Tributaria Provinciale (la contrattualizzata e pagata anticipatamente) la sospensione ex art. 47 cit. dell’esecuzione dell'atto impugnato.

L’avvocato nella consapevolezza che il cliente non era nella possibilità di pagare ulteriori assistenze difensive a seguito del pignoramento di tutti i suoi beni (impossibilità originaria), senza sottoporre alcun contratto di patrocinio legale e preventivo di spese legali, di sua spontanea volontà decide di impugnare l’atto di pignoramento esattoriale ex art. 615 c.p.c. presso il Giudice Ordinario.

Giova sottolineare la diversa condotta dell’avvocato, laddove in sede tributaria avendo già incassato la parcella decideva senza motivare, di non richiedere la tutela cautelare ex art. 47 cit., che se accolta avrebbe permesso al cliente il mantenimento della “disponibilità” del proprio patrimonio nel corso del giudizio tributario, contrariante in sede civile la cui parcella non era stata richiesta, chiede al giudice ordinario in modo tempestivo propriamente quella tutela cautelare non richiesta in sede tributaria, e a prova del fondamento della sussistenza dei motivi per ottenerla anche dal giudice tributario, lo si evince dal provvedimento del giudice dell’esecuzione che accoglieva la sospensione dell’esecuzione dopo avere valutato i presupposti di cui all’art. 60, D.P.R. n. 602/1973, che costituisce lex specialis rispetto all’art. 624 c.p.c., esigendo la delibazione non soltanto dei gravi motivi, sub specie di probabile fondatezza del gravame, ma anche di un periculum in mora qualificato dall’estremo della gravità ed irreparabilità.

Va considerato nell’economia della condotta dell’avvocato, che tra l’altro era consapevole che con l’ omessa richiesta dell’inibizione dell’esecuzione esattoriale in sede tributaria (art. 47 cit.) il sopravvenuto pignoramento non avrebbe più permesso che il cliente rientrasse nella libera materiale disponibilità del patrimonio pignorato, e l’accoglimento della sospensiva del giudice ordinario non ha efficacia revocatoria del pignoramento e per ciò non ha permesso al suo cliente di mantenere la disponibilità del proprio patrimonio ma solo la cristallizzazione di quella unica e specifica esecuzione forzata.

Ma non è tutto in quanto è emersa la ciliegina sulla torta, ovvero l’avvocato quale esperto tributarista ha consapevolmente impugnato l’atto di pignoramento inammissibilmente (opposizione all’esecuzione per atti e fatti riferiti prima notifica degli avvisi di accertamento) presso il giudice ordinario al fine si ritiene di ottenere un ingiusto profitto per avere artificiosamente perseguito il raddoppio della parcella( in sede tributaria e civile), infatti alla luce dei fatti sopravventi emerge che l’avvocato non ha intenzionalmente richiesto la tutela cautelare tributaria ex art. 47 cit. per non correre il rischio del suo accoglimento in quanto con l’accoglimento avrebbe precluso il perseguimento di un nuovo e artificioso (inammissibile) contenzioso in sede civile(opposizione all’esecuzione).

Dopo circa 1,5 anni dal primo atto difensivo dell’avvocato in sede civile, prima del deposito dell’ultima memoria difensiva del giudizio di merito nell’opposizione all’esecuzione (III° memoria ex art. 183,comma 6 c.p.c. ), chiede sorprendentemente al cliente la sottoscrizione del contratto di patrocinio legale del giudizio civile in corso, con inserito l’importo del compenso del patrocinio legale con richiesta di pagamento dilazionato nel tempo; il cliente firma il contratto di patrocinio legale in quanto implicitamente l’avvocato aveva fatto intendere che se non firmava il contratto non avrebbe depositato la suddetta III° memoria ex art. 183 comma 6 c.p.c..

Successivamente, dopo il deposito della III° memoria, e prima della sentenza del primo grado del giudizio di merito dell’opposizione all’esecuzione, il cliente revoca il mandato all’avvocato non potendo far fronte ai pagamenti in quanto versava come detto in uno stato di assoluta indigenza a seguito del suddetto pignoramento esattoriale.
Successivamente alla revoca del mandato sopravviene la sentenza del Giudice ordinario dell’opposizione all’esecuzione il quale non accoglieva il riscorso in quanto ritenuto inammissibile perché la materia del contendere nel caso di specie (impugnazione all’esecuzione) doveva essere proposta difronte al competente giudice tributario.

Nel frattempo l’avvocato dopo avere ricevuto la revoca del mandato, richiedeva il pagamento delle spese legali contrattualizzate con minaccia e ottenimento e del decreto ingiuntivo al fine di provvedere all’esecuzione forzata nei confronti dell’ex cliente, nonostante la consapevolezza di: –a) avere ricevuto un pagamento anticipato rilevante per la controversia tributaria; -b) di non avere richiesta seppure contrattualizzato e pagato anticipatamente la tutela cautelare ex art. 47 cit., (intenzionalmente per favorire il contenzioso ) con lesione del diritto di difesa, provocando con certezza l’esecuzione forzata da parte dell’agente della riscossione; -c) e nonostante la consapevolezza dei avere (intenzionalmente per ottenere una doppia parcella in sede tributaria e civile) sbagliato giudice (ordinario) nell’impugnazione dell’atto di pignoramento in quanto si riferiva ad atti e fatti antecedenti alla notifica dell’avviso di accertamento.

In somma un disastro.

Alla luce di quanto su esposto, ritengo che la condotta dell’avvocato connota l’ integrazione di reati, sembra infatti che abbia artificiosamente posto in essere un’attività finalizzata a favorire nuovi contenziosi ed ulteriori e nuovi remunerativi patrocini legali quale “ingiusto profitto” con minaccia di “intimidatorie” esecuzioni forzate, e a titolo di ciò per quanto prospettato sono a chiedere se e quali ipotesi di reato sarebbero da contestare in sede penale a tutela dell’ex cliente.

In attesa del parere porgo Cordiali saluti.”
Consulenza legale i 13/04/2021
Prima di rispondere al quesito, occorre necessariamente premettere che il tema della sussumibilità della condotta del professionista in una qualsivoglia fattispecie di reato è sempre molto complesso. Ciò in ragione del fatto che l’attività del professionista è inquadrabile come un’obbligazione di mezzo e non di fine, tale per cui valutarne la correttezza è sempre molto difficile, non sussistendo dei parametri oggettivi di riferimento.

Ciò detto, il parere va idealmente suddiviso in due parti:

1. la prima, riguardante il fatto che il professionista avrebbe dolosamente omesso di richiedere la sospensione dell’avviso di accertamento con lo specifico fine di iniziare un diverso procedimento cautelare di natura civile col solo scopo di aumentare la parcella;
2. la seconda, consistente nell’ottenimento del pagamento della sua parcella a seguito dell’attività espletata, anche a mezzo di decreto ingiuntivo e conseguente procedimento di esecuzione.

Con riferimento alla prima vicenda, la condotta del professionista – seppur gravissima e sicuramente rilevante sotto il profilo deontologico e civile – è molto difficile che denoti una fattispecie di matrice penale.

L’ipotetico reato rilevante, invero, dovrebbe essere quello della truffa (ex art. 640 c.p. ) che il professionista dovrebbe aver posto in essere mediante raggiri, consistiti nel prospettare al cliente la sospensione dell’avviso di accertamento, appositamente poi non richiesta col solo fine di moltiplicare la propria attività, con ciò conseguendo un ingiusto profitto, ovvero il pagamento delle parcelle riguardanti l’ “ultrattività” che non sarebbe stata necessaria se avesse agito diligentemente.

Un tale scenario può sussistere, ma è estremamente difficile da provare.

Ciò per il semplice fatto che si dovrebbe giungere a dare conto del fatto che il professionista non abbia agito in modo negligente, ma col fine specifico di trarre in inganno il proprio cliente per ottenere il pagamento di ulteriori parcelle.
Tale ultimo profilo non emerge da quanto narrato nel parere e, come anticipato, può essere una circostanza impossibile da provare.
Ciò che emerge, invero, è un’attività professionale monca, erronea e negligente che, tuttavia, non basta a provare il dolo (diritto penale) della fattispecie di truffa.

Passando al secondo aspetto, dal parere sembra quasi che il professionista, per farsi pagare, abbia agito con minaccia, consistita nella prospettazione di un’azione civile, così come poi è accaduto (procedimento per decreto ingiuntivo).

Ora, sebbene, anche in questo caso, la condotta del professionista sia riprovevole, non risulta integrato l’unico reato concretamente rilevante nel caso di specie, che è quello di estorsione ( art. 629 c.p.).

Lasciando da parte le diffuse questioni giurisprudenziali che sono sorte in merito alla configurabilità dell’estorsione nel caso in cui sia prospettato un “male” legittimo (come quello di un’azione civile), basta dire che la Cassazione, in più casi, è giunta ad affermare che il reato non sussiste ove, a prescindere dall’infondatezza della richiesta del presunto “estortore”, questi possa concretamente agire in giudizio per far valere le proprie ragioni.

Ora, nel caso di specie, non v’è dubbio che l’avvocato potesse agire in giudizio per ottenere il pagamento dei propri compensi. Ciò determina l’impossibilità di ritenere integrato il reato di estorsione.

Fermo restando, dunque, che nel caso di specie non sembrano sussistere ipotesi di rilevanza penale, si consiglia di:

- agire in sede civile onde ottenere il risarcimento del danno a causa dell’azione negligente del professionista;
- fare ogni opportuna segnalazione all’ordine professionale di appartenenza.


G. L. chiede
martedì 23/03/2021 - Emilia-Romagna
“Buongiorno premetto di essere un collega.

Sto affrontando una difesa dove viene contestato ad un professionista - Avvocato - di avere perpetrato una truffa ai danni di una cliente per non avere depositato un ricorso e per l'effetto avere fatto scadere i termini per l'ottenimento di un importo di danaro.
Viene inoltre contestato che il professionista avrebbe indotto in errore la cliente rassicurando di avere depositato quando invece non è stato fatto.

L'ingiusto profitto viene valutato perché "derivante dalla salvaguardia e mantenimento del rapporto professionale".

Per tale rapporto risulta inoltre che la cliente non abbia mai versato alcun denaro.

Il quesito quindi è: Può considerarsi ingiusto profitto il mantenimento di un incarico professionale non soggetto a prestazione o pagamento? In sostanza che beneficio avrebbe avuto il professionista in assenza di un pagamento ma per il solo fatto di avere mantenuto un incarico?”
Consulenza legale i 16/04/2021
Il reato di truffa è annoverato tra i delitti contro il patrimonio mediante frode.

Si tratta di un classico reato “in contratto”, tradizionalmente posto a tutela del patrimonio della persona offesa dal reato.

Va, tuttavia, detto che la comune opinione secondo cui l’unico interesse giuridico tutelato dal reato di cui all’art. 640 c.p. sia il patrimonio è in parte sconfessata dalla dottrina e dalla giurisprudenza maggioritaria.
Stando, invero, ad una ricostruzione ampia del reato in parola, lo stesso sarebbe posto a tutela anche della libertà del consenso e dell’autonomia delle parti nell’ambito di un qualsivoglia rapporto contrattuale.

Se ne deduce, dunque, che l’oggetto della truffa – ovvero l’ingiusto profitto – potrebbe non consistere soltanto in un bene avente connotazione patrimoniale.

A questa opinione – molto estensiva – è da tempo che aderisce la Cassazione Penale, nella misura in cui afferma che l’ingiusto profitto può anche non avere carattere economico, "potendo consistere anche nel soddisfacimento di qualsiasi interesse, sia pure soltanto psicologico o morale".

D’altra parte, a detta giurisprudenza si contrappone quella secondo cui il danno del delitto di truffa deve avere necessariamente una connotazione patrimoniale. Stando, infatti, alle Sezioni Unite – risalenti ma sempre attuali - l'elemento del danno deve avere "necessariamente contenuto patrimoniale ed economico, consistendo in una lesione concreta e non soltanto potenziale che abbia l'effetto di produrre - mediante la cooperazione artificiosa della vittima che, indotta in errore dall'inganno ordino dall'autore del reato, compie l'atto di disposizione - la perdita definitiva del bene da parte della stessa" (C., S.U., 16.12.1998).

Dalle argomentazioni suesposte, dunque, è possibile affermare che, nel caso in cui un avvocato ottenga, mediante artifizi o raggiri, un mandato professionale – o il mantenimento dello stesso – il reato di truffa è inquadrabile anche allorché il profitto del soggetto agente non abbia una connotazione patrimoniale ma sempre a patto che il danno della parte offesa possa essere quantificato a livello economico.

Nel caso di specie, da quanto narrato sembra che un raggiro di sicuro ci sia stato, come anche l’ingiusto profitto, ma non sembra potersi individuare un danno patrimoniale susseguente al raggiro posto in essere.

Dunque, gli scenari prospettabili sono due:

1. Se si ritiene che il danno conseguente alla truffa sia individuabile nella perdita di denaro susseguente all’omesso deposito del ricorso, allora non sembra essere sussistente il reato di cui all’art. 640 c.p. in quanto il danno in parola non è conseguenza della condotta fraudolenta dell’avvocato;
2. Se, invece, si ritiene che il danno conseguente alla truffa sia individuabile nell’ulteriore esborso economico della parte offesa che, magari, decide – ignara dell’errore commesso - di mantenere l’incarico all’avvocato onde fare in modo che questi continui la sua attività e ponga rimedio alla sua negligenza, allora la fattispecie potrebbe assumere rilevanza penale.

Roberto S. chiede
lunedì 04/12/2017 - Lombardia
“Nel 2009 ns sorella Claudia è divenuta unica assegnataria dei beni dell’eredità paterna (tre immobili del valore di oltre mezzo milione di euro). La sentenza le ha però imposto un conguaglio di 300.000 euro in favore di ns madre.
Anziché pagarlo , Claudia e ns. madre, da sempre unite contro noi fratelli (io, Antonio e Valentina) si sono messe d’accordo per simulare il pagamento. Infatti, le due si sono recate insieme presso le due Banche ove Claudia aveva emesso gli assegni, che ns madre ha poi incassato per contanti.
In tal modo madre e figlia hanno potuto esibire al Notaio gli assegni quietanzati e far annotare l’atto di quietanza per trasferire in favore di Claudia gli immobili dell’eredità paterna.
Ovviamente, alla morte di ns madre, i 300.000 euro non sono stati trovati. E’ stata , invece, trovata traccia sul conto di ns madre di un assegno circolare di euro 80.000 datole da ns sorella Valentina sempre per pagare un conguaglio che il giudice le aveva imposto per mantenere la proprietà di un altro immobile donatole dal papà.
Tale somma è stata utilizzata da ns madre per emettere un assegno di 15.000 euro in favore di Claudia e di euro 25.000 in favore del nipote Giacomino (figlio di Claudia), mentre i restanti 40.000 sono stati prelevati da Claudia, utilizzando la delega rilasciatale da ns madre.
Inoltre Claudia nell’ultimo anno di vita di ns madre ha prelevato anche la pensione di reversibilità di oltre 2.500 euro al mese e ha poi chiuso il c/c
Vorremmo pertanto avere conferma dei ns sospetti attraverso un’indagine sui conti bancari della sorella.
1° Quesito: si può ravvisare il reato di truffa in danno dei coeredi (la sorella si è intestata gli immobili senza di fatto pagare il conguaglio, se sarà confermato che i 300.000 euro sono rientrati sui suoi conti)? Lo stesso può valere anche nel caso che non risulti alcun versamento sui conti della sorella Claudia, dovendosi comunque escludere che il denaro sia stato speso dalla madre ultranovantenne?
2° Quesito: c’è il rischio che il magistrato penale, archiviando per intervenuta prescrizione (il fatto è avvenuto nel 2010), non autorizzi le indagini sui conti della sorella Claudia, che verrebbero comunque richieste per l’azione in sede civile? Si potrebbe quindi ipotizzare il reato di associazione per delinquere (che ha una prescrizione più lunga) in quanto la mamma , ns sorella Claudia e il di lei marito l’avrebbero costituita ed organizzata di comune intesa per frodare noi tre fratelli?
3° Quesito: in alternativa, può aver successo la richiesta al magistrato di autorizzare le indagini sui conti della sorella e dei suoi familiari fatta in una causa civile per violazione dei diritti dei legittimari e/o per far dichiarare inefficace l’atto di quietanza ? In tal caso l’azione da parte mia e della sorella trascinerebbe necessariamente anche il fratello (non del tutto convinto di procedere) , ricorrendo un’ipotesi di litisconsorzio necessario?”
Consulenza legale i 18/01/2018
Per quanto riguarda i primi due questi, di natura penalistica, non si può che rilevare, come da Voi anticipato, che il reato di truffa, qualora ipotizzabile, sarebbe già prescritto. Secondo l’art. 640 c.p., infatti, “Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da cinquantuno euro a milletrentadue euro”. I reati puniti con la reclusione da sei mesi a tre anni si prescrivono in 6 anni e, dunque, nel caso di specie, anche qualora fosse stato ipotizzabile, sarebbe già prescritto.

Per quanto riguarda l’associazione a delinquere, invece, il reato non sembra poter sussistere nel caso di specie; secondo l’interpretazione che si dà all’art. 416 c.p., l’associazione per delinquere richiede, per la sua integrazione, che il sodalizio criminoso sia fornito di una stabile organizzazione e soprattutto che i membri dell’associazione si siano organizzati per commettere un numero indeterminato ed indistinto di reati; nel caso da Voi proposto, anche volendo ipotizzare un accordo tra Vostra madre Vostra sorella e suo marito al fine di trattenere delle somme che sarebbero state destinate a rifluire nell’asse ereditario, non sembrerebbe trattarsi di una associazione per delinquere ma, piuttosto, di un occasionale caso di concorso di persone nel reato (ex. Art. 110 c.p.).

Ciò detto, tuttavia, anche l’eventuale reato di associazione per delinquere sarebbe prescritto poiché la pena (salvi i casi aggravati, in questo caso non pertinenti) è fino a sette anni di reclusione; la prescrizione, dunque, è di 7 anni.

Così brevemente descritto l’aspetto prettamente penale della questione, e passando più specificatamente ai quesiti da Voi posti, il problema relativo alle indagini del PM (organo deposto all’esercizio dell’azione penale) è complicato da un altro aspetto: il reato di truffa, ai sensi dell’art. 640 c.p., è procedibile a querela della persona offesa dal reato; ciò significa che il PM non può procedere con le indagini in assenza di una denuncia/querela depositata dalla parte offesa. La querela, tuttavia, può essere presentata entro 90 giorni dalla conoscenza del fatto di reato; in particolare, secondo l’insegnamento della Giurisprudenza, ciò che conta ai fini della decorrenza dei termini non è la conoscenza «formale», bensì la conoscenza effettiva del fatto-reato da parte del soggetto danneggiato. Ecco che, dunque, se, come pare dalle informazioni da Voi fornite, Voi foste venuti a conoscenza della possibile truffa più di 90 giorni fa non potreste più presentare querela.

In assenza di una querela il PM non potrebbe né iniziare le indagini, né, conseguentemente, disporre indagini sui conti correnti; anche qualora, tuttavia, foste ancora in termini per depositare la querela, il PM molto difficilmente potrebbe autorizzare indagini (tanto più bancarie) per un reato già prescritto.

Per rispondere, dunque, ai Vostri primi due quesiti, la risposta pare essere negativa; difficilmente, infatti, in un caso come questo, a fronte di un “possibile” reato, comunque già prescritto, perseguire la strada penale potrebbe portare ad una indagine bancaria.

Per quanto riguarda il terzo quesito, invece, la situazione è ben diversa: se, come da Voi ipotizzato, l’atto di quietanza è stato simulato, potreste certamente proporre, in sede civile, un’azione di accertamento della simulazione; contestualmente all’azione di accertamento sembrerebbe necessario esperire anche una azione di condanna (nei confronti di Vostra sorella) con lo scopo di far rifluire la somma simulata nel patrimonio (asse ereditario) di Vostra madre; e conseguentemente, dividerlo tra gli eredi.
Secondo la Giurisprudenza, infatti, “la sentenza che, nel disporre la divisione della comunione, pone a carico di uno dei condividenti l’obbligo di pagamento di una somma di denaro a titolo di conguaglio, persegue il mero effetto di perequazione del valore delle rispettive quote, nell’ambito dell’attuazione del diritto potestativo delle parti allo scioglimento della comunione. Ne consegue che, l’adempimento di tale obbligo non costituisce condizione di efficacia della sentenza di divisione e può essere perseguito dagli altri condividenti con i normali mezzi di soddisfazione del credito, restando comunque ferma la statuizione di divisione dei beni”. Ai sensi di questa giurisprudenza, dunque, si rende manifesto come si possa agire per il recupero del conguaglio imposto dal giudice e non versato, con lo scopo, susseguente, di dividerlo tra tutti i coeredi. Nel Vostro caso, dunque, sembrerebbe necessario in primo luogo agire per accertare la natura simulata della quietanza di pagamento ed, in subordine – qualora si accertasse l’avvenuta simulazione – esperire l’azione per il recupero della suddetta somma.

Nel corso del processo civile, poi, o su Vostra richiesta, o d’ufficio su iniziativa autonoma del giudice, potrà (discrezionalmente) essere autorizzato l’accesso ai conti correnti bancari. Su questo punto, tuttavia, non è possibile dare una risposta certa in quanto, la stessa, dipenderà dalla particolarità del caso di specie e dalla volontà del giudice.

Per rispondere, infine, alla Vostra ultima domanda, secondo la Giurisprudenza, La domanda tendente a fare accertare la simulazione di alcuni contratti, con conseguente rientro nell’asse ereditario dei beni fittiziamente venduti dal de cuius, e ad ottenerne la divisione, dà luogo ad una ipotesi di litisconsorzio necessario fra tutti i partecipanti alla comunione(Cass. 16 ottobre 1976, n. 3525; conforme Cass. 28 gennaio 1975, n. 349).

Marco R. chiede
martedì 04/07/2017 - Puglia
“Buonasera redazione di Brocardi, solo dopo aver cessato il rapporto di agenzia con un'azienda, durato 10 anni, ho avuto modo di verificare come le provvigioni versatemi nel corso degli anni risultassero errate, poiché calcolate su basi imponibili non esatte nel caso di vendite con Iva "a margine" oppure nel caso di vendite con restituzione di permuta (bene d'arte) da parte del cliente, come già da voi evidenziato in una mia precedente richiesta. Risulta evidente come tutto ciò sia stato attuato, dal titolare dell' azienda, con l'intento truffaldino che si desume, peraltro,dal perenne mancato invio di qualsiasi documentazione (estratto conto provvigionale, copia fatture inviate ai clienti, estratto contabile o registri Iva, etc...) come d'obbligo in termini di legge ex art 1749 cc., dall' attuazione del medesimo " trattamento " verso gli altri agenti di commercio, dalle diverse denunce per truffa ricevute dallo stesso nel corso degli anni, da parte dei clienti. Ora la mia domanda é, se in base a tutto ciò posso procedere penalmente nei suoi confronti per truffa (aggravata ex art. 61 commi 7 e 11) e chiedere il risarcimento della cospicua somma cosi' non percepita costituendomi parte civile, piuttosto che intraprendere una (lunga) causa civile sia per gravi inadempimenti (vedi mancati versamenti enasarco, continui ritardati pagamenti delle provvigioni, etc...) della ditta mandante, oltre l'indebito arricchimento della stessa per quanto poco prima evidenziato. Immagino, peraltro, che le fatture inviate ai clienti prive di qualsiasi riscontro delle permute restituite dagli stessi (esisteva solo l'importo versato in denaro) costituisca reato penalmente rilevante, vista la falsa fatturazione effettuata. O sbaglio? E' vero che possono trascorrere diversi mesi prima che una persona venga iscritta nel registro degli indagati, a seguito di denuncia effettuata nei suoi confronti? Grazie e buon lavoro.”
Consulenza legale i 13/07/2017
Il quesito pone tre distinte domande, due relative ai reati di cui all’art. 640 del c.p. e all’art. 2 D.Lgs. 74/2000 ed infine una relativa ai tempi di iscrizione della notizia di reato.

Circa la truffa

Il delitto di cui all’art. 640 punisce “chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno"

La pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da trecentonove euro a millecinquecentoquarantanove euro:
1) se il fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico o col pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare;
2) se il fatto è commesso ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario o l'erroneo convincimento di dovere eseguire un ordine dell'Autorità.
2 bis) se il fatto è commesso in presenza della circostanza di cui all’articolo 61, numero 5).

Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra taluna delle circostanze previste dal capoverso precedente o un'altra circostanza aggravante.”

Nel caso di specie, si ritiene che sussista l’aggravante di cui all’art. 61 n. 11 del c.p. in quanto il fatto è stato commesso con “abuso di relazioni di ufficio o di prestazione d’opera”.

Questo rende il reato procedibile d’ufficio.

Circa la condotta descritta, effettivamente aver indicato una base imponibile errata al fine di versare una provvigione inferiore al dovuto integra un artifizio punibile penalmente.

La prescrizione ordinaria di tale reato corrisponde ad anni sei, quindi un’eventuale denuncia potrebbe avere per oggetto fatti risalenti fino a sei anni prima ma non fino ai dieci anni oggetto del quesito.

Circa invece il delitto di falsa fatturazione, previsto dall'art. 2 del D.Lgs.74/2000 bisogna valutare se, nel caso di specie, sussista il fine di evadere le imposte.

Non sarebbe sufficiente, infatti, la falsità della fattura se questo non ha comportato un indebito risparmio di imposta.

Infine, solitamente tra la presentazione di una denuncia querela e l’iscrizione della stessa nel registro delle notizie di reato passa un lasso di tempo compreso tra dieci giorni e un mese, a seconda del carico di lavoro della Procure.

Una volta che la notizia di reato è stata iscritta non è detto che tale notizia sia comunicata. Le indagini preliminari sono tendenzialmente segrete e il Pubblico Ministero potrebbe decidere di non comunicare a terzi l’iscrizione di una notizia di reato.

In tal caso, oppure se effettivamente non c’è nulla di iscritto, un eventuale certificato ex art. 335 c.p.p. recherebbe la dicitura “non ci sono informazioni suscettibili di essere comunicate”.

FRANCESCO T. chiede
martedì 19/01/2016 - Abruzzo
“Un mio dipendente ragioniere, ha sottratto dalla ditta in 15 anni circa 200 mila euro falsificando la firma sui libretti di assegni e prelevando contante in piccole somme in questo lasso di tempo. Quale reato si configura e quanti anni di carcere dovrebbe fare?”
Consulenza legale i 26/01/2016
Con riferimento alla caso prospettato sembrerebbe potersi ravvisare la fattispecie del reato di truffa, in concorso con il reato di falsità materiale commessa dal privato in titolo di credito.
Il reato di truffa, disciplinato dall'art. 640 del c.p., prevede infatti che " chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da 51 euro a 1.032 euro".
Nel caso di specie, sembra infatti che la condotta dell'agente (il ragioniere), consistente nell'avere sottratto denaro dall'azienda tramite piccoli prelievi di somme di denaro - per mezzo di assegni falsi - per un periodo di tempo che si è protratto per diversi anni, sia stata posta in essere tramite gli "artifizi" richiesti dalla fattispecie della truffa.
Inoltre, come anticipato, sembrerebbe altresì integrato il reato di falso materiale commesso da privato in titoli di credito, previsto dall'art. 491 del c.p., il quale, al comma 1, stabilisce che: "se alcuna delle falsità prevedute dagli articoli precedenti riguarda un testamento olografo, ovvero una cambiale o un altro titolo di credito trasmissibile per girata o al portatore e il fatto è commesso al fine di recare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, si applicano le pene rispettivamente stabilite nella prima parte dell'articolo 476 e nell'articolo 482".
A questo punto, l'art. 482 del c.p. (richiamato dall'art. 491 del c.p.), nel disciplinare il falso materiale commesso dal privato, afferma che: "se alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 476, 477 e 478 è commesso da un privato, ovvero da un pubblico ufficiale fuori dell'esercizio delle sue funzioni, si applicano rispettivamente le pene stabilite nei detti articoli, ridotte di un terzo".
L'art. 476 del c.p. (richiamato dall'art. 482 del c.p.), prevede che "il pubblico ufficiale, che, nell'esercizio delle sue funzioni, forma, in tutto o in parte, un atto falso o altera un atto vero, è punito con la reclusione da uno a sei anni".
Pertanto, alla luce di tali rinvii, sembrerebbe che, per il reato di falso materiale compiuto dal privato in titoli di credito, potrebbe essere applicata, in astratto, la pena della reclusione da uno a sei anni, ridotta di un terzo.
Concludendo, come abbiamo sottolineato, sembrerebbe potersi affermare che il reato di truffa ed il reato di falso materiale costituiscano un concorso formale ai sensi dell'art. 81 del c.p., comma 1, in virtù del quale: "è punito con la pena che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave aumentata sino al triplo chi con una sola azione od omissione viola diverse disposizioni di legge ovvero commette più violazioni della medesima disposizione di legge".
Pertanto - dato che il reato di truffa prevede la pena della reclusione da sei mesi a tre anni e per il reato di falso sembra prevista, nel caso di specie, la pena della reclusione da uno a sei anni, seppure ridotta di un terzo - in applicazione dell'art. 81 del c.p., dovendosi applicare la pena più grave, aumentata sino al triplo, si ritiene che dovrebbe considerarsi la pena prevista per il falso, cioè, nel caso di specie, la reclusione da otto mesi a quattro anni, aumentata sino al triplo, cioè per un massimo di 12 anni di reclusione.

Roberta S. chiede
domenica 18/10/2015 - Piemonte
“Salve, ho comprato da un privato un mezzo elettrico per lo Street food, all' atto del versamento della caparra mi è stato detto che mancava un pezzo che connetteva le batterie, che sono 6, e che le batterie erano state messe nuove. Successivamente ho saputo che le batterie erano usate e che quello che mancava non era un pezzo, ma una intera batteria. Per questo motivo ho dovuto poi aspettare la sostituzione di tutte le batterie con 6 nuove perché quelle usate non funzionavano. Ho perso così 2 mesi di attività vendita di gelati maggio e giugno. Poi, dopo la sostituzione delle batterie sono venuti fuori altri problemi, quindi ho voluto recedere dall'acquisto. Ci vedo gli estremi di una truffa, perché sono state dichiarate false informazioni sul reale stato del mezzo, cosa ne dice? Grazie”
Consulenza legale i 20/10/2015
Il contratto di compravendita, nel caso in esame, vede contrapposte due parti private. Per questo motivo non può applicarsi la disciplina a tutela del consumatore (contenuta nel Codice del Consumo), che regola i rapporti tra il professionista e il privato, detto appunto "consumatore".

Si deve applicare, pertanto, la normativa che disciplina la compravendita, contenuta negli artt. 1470 e seguenti, nonché le regole sulle trattative precontrattuali.
Più oltre si vaglierà la possibilità di ravvisare, eventualmente, una fattispecie di reato penale.

Dal punto di vista civilistico, premesso che non è chiarito nel quesito se il contratto è stato poi eseguito con la consegna del macchinario o se tutto è rimasto sospeso nell'attesa della sostituzione delle batterie, possiamo dire:
- se il contratto venne concluso, si evidenzia un caso di inadempimento, i cui rimedi principali previsti dall'ordinamento sono la garanzia per i vizi (regolata dagli articoli 1490 e seguenti del c.c., in base ai quali il venditore è tenuto per legge a garantire che la cosa venduta sia immune da vizi che la rendano inidonea all'uso a cui è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore), le ordinarie azioni per chiedere l'esecuzione corretta del contratto o la risoluzione dello stesso, salvo in ogni caso il risarcimento del danno, nonché il recesso con richiesta del doppio della caparra, se si trattò di caparra confirmatoria ex art. 1385;
- se il contratto non fu concluso, si applicherà l'art. 1337, che prevede la risarcibilità dei danni cagionati nel corso di trattative non sfociate nella conclusione di un contratto: una delle ipotesi è quella della violazione del dovere di buona fede, che impone alle parti di comportarsi lealmente e di attivarsi per salvaguardare l'utilità dell'altra, entro i limiti di un apprezzabile sacrificio, evitando perdite di tempo e di denaro.

Passiamo ora a trattare gli eventuali risvolti penalistici.
La truffa è il reato descritto dall'art. 640 del c.p. come quello commesso da chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno.
In particolare, si parla di truffa "contrattuale" quando, con artifizi o raggiri, una persona ottiene la stipulazione di un contratto che l’altra parte non avrebbe mai concluso (Cass. pen., sez. II, 18.12.2013, n. 51136: "Ricorrono gli estremi della truffa contrattuale tutte le volte che uno dei contraenti ponga in essere artifizi o raggiri diretti a tacere o a dissimulare fatti o circostanze tali che, ove conosciuti, avrebbero indotto l'altro contraente ad astenersi dal concludere il contratto").
E' necessario che una parte venga indotta in errore dall'altra, cioè che si produca un contratto viziato sul piano del consenso, che legittimerebbe la parte ingannata ad esperire una azione di annullamento civile, ex art. 1441 e ss. c.c.
L'errore non è altro che una falsa rappresentazione della realtà, che porta un soggetto a stipulare un contratto che in realtà non avrebbe voluto.
Sarebbe anche interessante approfondire il rapporto tra dolo nella truffa e dolo civilistico (artt. 1439-1440), ma in questa sede non è possibile affrontare un argomento così vasto.

Nel nostro caso, quindi, può parlarsi di induzione in errore e di conseguente truffa contrattuale?
V'è da premettere che nella vicenda in esame, se di errore si è trattato, esso ha coinvolto un elemento accessorio dell'oggetto del contratto: difatti, il compratore ha acquistato proprio il macchinario giusto, quello promesso dal venditore, ma questo presentava delle batterie usate e non più funzionanti anziché nuove, come dichiarato dalla parte venditrice.

La giurisprudenza, in tema di truffa contrattuale, ha avuto modo di statuire quanto segue:
- "la stipula di un contratto preliminare di compravendita quale civile abitazione di parte di un immobile edificato in zona con destinazione alberghiera, operata dissimulando tale condizione amministrativa, integra il reato di truffa a carico del soggetto venditore" (Cass. pen., sez. III, 15.1.2007, n. 563);
- "In tema di truffa contrattuale, la condotta illecita è integrata dall'omissione del contraente alienante, che consapevolmente non renda edotta la controparte acquirente dell'esistenza di un precedente contratto di vendita dello stesso bene in favore di terzi, a nulla rilevando l'eventuale invalidità del precedente contratto" (Cass. pen., sez. I, 12.6.2006, n. 19996).

I giudici di legittimità sembrano porre l'accento su questo: se il compratore avrebbe o meno concluso il contratto conoscendo le circostanze reali su cui è stato ingannato. Ci si deve chiedere, quindi, se la circostanza che le batterie erano usate e non nuove avrebbe indotto l'acquirente a non comprare il macchinario, o se piuttosto, essendo a conoscenza del fatto di dover cambiare le batterie, egli non avrebbe piuttosto "battuto sul prezzo" o chiesto al venditore di procurargliene di nuove.

Ci sembra che nel caso di specie, fermo naturalmente che il venditore ha mentito sullo stato delle batterie, non possa ravvisarsi un vero e proprio raggiro/inganno, posto che la circostanza è emersa poco dopo la vendita e che l'acquirente, anche prima del pagamento, poteva porre in essere le opportune cautele (es. visionare e provare il macchinario prima di versare il prezzo).
Se il venditore si fosse limitato a dire che le batterie erano nuove, senza aggiungere altro a sostegno di tale affermazione (si ricordi che si parla di un macchinario usato e di una compravendita tra privati, per cui la cautela del compratore dovrebbe essere maggiore) si tratterebbe, in altre parole, di una menzogna non così articolata, cioè apparentemente non così forte da poter ritenere che una persona di media diligenza possa cadere in errore senza peccare di ingenuità.

Una parte della giurisprudenza, più rigorosa e a nostro giudizio condivisibile (v. Cass. pen. 27.5.1955), ritiene che la menzogna possa costituire raggiro idoneo ai fini della truffa, a condizione che sia accompagnata da ulteriori circostanze suscettibili di "rafforzare" le dichiarazioni mendaci. Infatti, ai fini della sussistenza della truffa, occorre un "qualcosa in più" rispetto alla pura e semplice dichiarazione menzognera, la quale deve essere architettata e presentata in modo tale da assumere l’aspetto della verità e trarre in inganno il soggetto passivo del reato. Ciò si sarebbe verificato, per esempio, se il venditore avesse mostrato il macchinario all'acquirente con batterie nuove e poi, quando lo ha consegnato, avesse reinserito le batterie vecchie.

Per completezza va detto che ci sono infine altre pronunce della Cassazione che ritengono sufficiente una mera menzogna ai fini di ravvisare l'inganno o il raggiro, anche in assenza di una qualche "messa in scena" (v. Cass. pen., sez. II, 17 marzo, 1993). Ma ogni caso è a sé e va valutato individualmente.


Ad ogni buon conto, se il venditore ha acquisito solo la caparra o acconto e non l'intero prezzo della compravendita, si dovrà porre attenzione anche sull'esistenza o meno del requisito del "profitto" richiesto dall'art. 640 c.p., atteso che il valore del macchinario venduto potrebbe superare l'importo della caparra o acconto versati.

In conclusione, la truffa contrattuale non ci appare immediatamente evidente: per poterla ravvisare, bisognerà indagare le circostanze di fatto e individuare un comportamento del compratore ingannevole o la messa in scena di artifizi tali da indurre in errore il compratore, ponendo attenzione anche ad individuare quale sia stato il profitto del venditore.

Restano sempre salvi i rimedi civilistici (più percorribili, forse, nel caso di specie), che si consiglia di valutare ed eventualmente intraprendere con l'ausilio di un legale, dopo esame attento dei fatti e documenti.

Roberto Z. chiede
venerdì 12/06/2015 - Lombardia
“Un mese fa circa acquistavo una Mercedes slk tramite una offerta in internet. L'offerta,da me stampata, riportava negli accessori il condizionatore.
Prelevavo l'auto e dopo 45 min arrivavo a destinazione, dove, in presenza di un'amica, rilevavo che il condizionatore non funzionava.
Il meccanico rilevava la rottura della ventola e mancanza di una resistenza: danno 1000 eur.
La garanzia di legge non paga per motivi contrattuali sui quali non mi soffermo.
Il venditore afferma che la macchina uscita dalla loro officina aveva il condizionatore funzionante.
Quesito 1
Non intendendo agire civilmente, vi sono a vs parere gli estremi per una querela per truffa a carico del venditore?
Quesito 2:
Quali i rischi, a vs parere, di una denuncia per calunnia a mio carico?
Grazie”
Consulenza legale i 16/06/2015
Nel caso di specie, dal punto civilistico, si può ravvisare una ipotesi di dolo contrattuale (art. 1439 del c.c.), poiché il venditore ha taciuto maliziosamente circa il fatto che il condizionatore non fosse funzionante, ingannando così il compratore, che ha acquistato un bene non avente tutte le caratteristiche promesse. Potendosi provare il dolo, il contratto risulterebbe annullabile.

Dal punto di vista penale, bisogna analizzare se sussistono gli elementi della cosiddetta "truffa contrattuale".
La truffa è il reato che viene commesso da chi, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno (art. 640 del c.p.).

Bisogna chiedersi se il fatto che il venditore abbia dolosamente omesso di dire al compratore che il condizionatore non era funzionante possa considerarsi un "artifizio" o "raggiro" ai sensi dell'art. 640 c.p.

Secondo una parte della giurisprudenza (che per la verità si è occupata di contratti economicamente più consistenti, come compravendite immobiliari), la risposta può essere positiva: "Integra gli estremi della truffa contrattuale la condotta di chi pone in essere artifizi o raggiri consistenti nel tacere o nel dissimulare fatti o circostanze tali che, dove conosciuti, avrebbero indotto l’altro contraente ad astenersi dal concludere il contratto di compravendita di un immobile" (Cass. pen., sez. II, 14.7.2014, n. 30886); "gli artifizi o i raggiri richiesti per la sussistenza del reato di truffa contrattuale possono consistere anche nel silenzio maliziosamente serbato su alcune circostanze da parte di chi abbia il dovere di farle conoscere, indipendentemente dal fatto che dette circostanze siano conoscibili dalla controparte con ordinaria diligenza" (Cass. pen., sez. II, 14.10.2009, n. 41717).

In via del tutto astratta, quindi, è possibile configurare il reato di truffa.
Nel nostro caso, il processo penale dovrà accertare che effettivamente il venditore fosse a conoscenza del fatto che il condizionatore era rotto e l'abbia taciuto consapevolmente.

Il rischio di controdenuncia per calunnia non appare particolarmente elevato, se la querela viene redatta da un legale che la formuli nel modo più appropriato.
La calunnia (art. 368 del c.p.), infatti, è punita solo a titolo di dolo, quando il querelante aveva la certezza dell’innocenza dell'incolpato: tale elemento non è integrato dalla mera coscienza e volontà della denuncia, ma richiede, da parte dell'agente, l'immanente consapevolezza dell'innocenza dell'incolpato, non ravvisabile nei casi di dubbio o di errore ragionevole (Cass. pen., sez. VI, n.11882/2003).
Nel caso di specie, il dubbio del compratore sulla circostanza che il venditore abbia taciuto un difetto importante del veicolo appare del tutto ragionevole.

E' consigliabile, come anticipato, rivolgersi ad un legale per l'analisi di tutti i fatti rilevanti nella vicenda (anche eventuale scambio di corrispondenza precontrattuale) e l'eventuale redazione della querela.

Va ricordato che la parte offesa, se non si costituisce parte civile nel processo penale o non instaura un autonomo giudizio civile, non avrà diritto ad alcun risarcimento del danno, né potrà ottenere che il contratto sia annullato.
Si invita a riconsiderare l'ipotesi di instaurare un giudizio civile, ricorrendo preventivamente a un tentativo di conciliazione. Anche se non opera la garanzia di legge prevista sulle auto usate (ad esempio perché si è trattato di acquisto tra privati), vale pur sempre la garanzia prevista dal codice civile in materia di compravendita, se il vizio - come pare - è stato denunciato entro 8 giorni dalla scoperta (art. 1495 del c.c.).

R. P. chiede
mercoledì 11/10/2023
“Aprile 2023 – 11 condomini su 24, per vari motivi, chiedono ad amministratore condominio convocazione assemblea straordinaria. Amministratore anziché convocare assemblea richiesta si dimette e nella circostanza invita i condomini a procedere alla convocazione di una assemblea per la elezione di un suo sostituto. Amministratore si riservava invio conto consuntivo 2022.
Giugno 2023 – Assemblea condominio nomina nuovo amministratore al quale viene trasmesso il verbale assembleare della sua nomina. Nuovo amministratore convoca assemblea con ad ordine del giorno tra le altre cose - approvazione bilancio consuntivo 2022 (redatto da amministratore dimissionario)
06/07/2023 - assemblea delibera:
I condomini approvano il bilancio salvo rettifiche che dovrà effettuare il geometra ZZZZZ (il dimissionario) e piu' precisamente
"Tutte le fatture inerenti la gestione 2023 devono essere decurtate dalla
Contabilità 2022 ed inserite nel consuntivo 2023 dal geometra XXXXX(nuovo amm.re)"

I condomini segnalano perplessità circa la cifra relativa all'onorario del Geometra ZZZZZ sia per competenza di mesi di amministrazione che di
Tariffario.
Verificare i movimenti bancari dalla data di raccomandata del 07 aprile 2023 del Geometra ZZZZZ fino al momento del subentro del geometra XXXXX con la Firma sul conto corrente.
Il nuovo amministratore decide di non tenere conto del contenuto del citato consuntivo 2022 e procede con un preventivo 2023.
Luglio 2023 - accesso agli atti condominio (amministratore uscente ha consegnato registro verbali, datti catastali condominiali e fatture. Manca la maggiori parte dei documenti).
Nel controllo conto corrente relative alla gestione del 2022 si evidenzia che l'amministratore si è liquidato (28.12,22) una fattura di € 797,08.
Di tale fattura non vi è alcuna indicazione nel consuntivo 2022 (ne' quale unica fattura ne' quali singole voci di spesa) e non era nemmeno allegata alla documentazione trasmessa al nuovo amm.re.

Ottobre 2023 – verosimilmente a richiesta del amm.re in carica il vecchio le fa pervenire la fattura mancante della quale si riporta il contenuto

Le voci di spesa fatturate risultano già approvate (per somme superiori) nel consuntivo 2021 (consuntivo fattosi approvare all’unanimità dal medesimo amm.re)

Di seguito riporto voci e cifre approvate nel consuntivo 2021 approvato ad unanimità in assemblea del 16/11/2022.
Alla voce "proprietà tutti" sono riportate:
- modello 770 e certificazione unica fornitori 2020 .......ditta......448.35
- parcella ritenuta acconto ...........ditta....... 256.20
- fotocopie, cancelleria, telefoniche.......ditta.......... 240.00

In tutti i consuntivi fatti da ex amministratore solo il corrispettivo per il 770 è riportato nell'anno successivo a quello interessato. Le altre fatture sono tutte relative al periodo cui il consuntivo fa riferimento.
Le voci della fattura sono identiche alle voci della delibera assembleare mentre cambiano i compensi.
Tutto ciò premesso si chiede:
La fattura in questione potrebbe essere falsa?
È regolare che per emolumenti pagati e già approvati da assemblea condominiale perchè inserite nel consuntivo 2021 venga emessa e liquidata una nuova fattura?
È regolare che la fattura di cui al punto precedente non sia inserita nel consuntivo 2022?
È regolare che a tutt’oggi l’amministratore dimissionario non abbia ancora consegnato tutta la documentazione del condominio?
E’ regolare che il nuovo Amm.re non informi i condomini della esistenza della fattura (importo già liquidato, mancato inserimento nel consuntivo ecc…). Qualora vi fossero aspetti di rilevanza penali e/o civili a chi compete adire la autorità competente? Qualora a causa mancata informazione decadessero termini per procedere a querela ecc..?”
Consulenza legale i 18/10/2023
Purtroppo non è possibile fornire alle domande rivolte una risposta esauriente.
Quello che si può dire in questa sede è che se si hanno dei sospetti in merito alla regolarità dei bilanci condominiali, è necessario farli esaminare da un revisore dei conti: solo tale figura professionale ha le necessarie competenze per dire se vi sono gli estremi per contestare vuoi in sede penale, vuoi in sede civile eventuali responsabilità.

Affinché si possa giungere a ciò è necessario ovviamente fornire a tale figura professionale tutta la documentazione che è possibile reperire inerente alla amministrazione dello stabile e alle annualità che destano i nostri sospetti, documentazione che ovviamente deve essere reperita e fornita dall’amministratore del palazzo. Se vi sono delle possibili irregolarità di bilancio è molto probabile che tale figura professionale sia reticente e poco collaborativa.
Sotto questo aspetto intervengono due norme fondamentali: il co. 8° dell’ art. 1129 del c.c., il quale impone all’amministratore dimissionario di consegnare al suo sostituto tutta la documentazione in suo possesso inerente lo stabile; l’art. 1130 bis del c.c., il quale prevede il diritto soggettivo esercitabile da ciascun condomino in qualsiasi momento di prendere visione e estrarre copia a proprie spese dei documenti giustificativi di spesa inerenti l’amministrazione del condominio.
In caso, quindi, di reticenza o di difficoltà nel reperire la documentazione di gestione, facendo proprio leva sulla normativa citata sarebbe ben possibile adire l’autorità giudiziaria al fine di ottenere un provvedimento di urgenza con il quale costringere l’ex amministratore (o anche l’attuale, se del caso) a fornire tutto il materiale necessario per un esame approfondito dei bilanci da parte di un revisore contabile. Sulla base poi del responso che darà tale figura professionale il legale successivamente potrà valutare la strategia più idonea da seguire, per la tutela degli interessi del condominio e dei proprietari che lo compongono, strategia che potrebbe esplicitarsi sia in denunce in sede penale, se si ravvisassero dei comportamenti che integrano ipotesi di reato, sia richieste risarcitorie in sede civile.
La condotta tenuta dall’amministratore infatti potrebbe anche avere dei risvolti penali, i quali però, come si è già detto devono essere prima verificati in maniera attenta e scrupolosa.

E’ possibile infatti che la condotta tenuta dall’amministratore uscente negli anni in cui ha ricoperto l’ufficio possa aver integrato il reato di appropriazione indebita, previsto e punito dall’ art. 646 del c.p..

Il reato in parola è di configurazione piuttosto semplice, atteso che lo stesso punisce la condotta del soggetto il quale si appropria, utilizzandola uti dominus, la cosa mobile altrui o il denaro.
Ai fini della sussistenza dello stesso è comunque necessario che il soggetto agente:
- sia ben consapevole dell’altruità della cosa;
- decida di utilizzarla come se fosse il proprietario della cosa medesima (e, dunque, anche di non restituirla).

Sono, questi, elementi chiaramente sussistenti nell’ipotesi di specie, in cui l’amministratore di condominio, ben consapevole dell’altruità della documentazione contabile, ha effettivamente omesso di restituirla.

Questo principio, peraltro, è stato sancito anche dalla Cassazione, con la sentenza n. 38660 del 2016.

Quanto alla questione della fattura, lo scenario è più complesso.

In questo caso, prescindendo da questioni “tecniche” afferenti alla correttezza dell’inclusione della fattura nel consuntivo etc., la questione penale potrebbe rilevare solo nell’ipotesi in cui la fattura predetta sia stata utilizzata per nascondere quello che potrebbe essere un indebito drenaggio di denaro da parte dell’amministratore a danno del condominio.

In questo caso i reati ipotizzabili potrebbero essere due:

- la precedentemente nominata appropriazione indebita, laddove la fattura sia stata utilizzata ex postper “giustificare” l’esborso di denaro del condominio;
- la truffa ex art. 640 del c.p. nella diversa ipotesi in cui la fattura sia stata emessa a monte e quindi sia servita da artificio per l’erogazione della somma sottostante, del tutto ingiustificata.

Quanto ai tempi per proporre querela, il nostro ordinamento afferma che il querelante ha a disposizione 3 mesi dal momento in cui ha l’esatta percezione del fatto costituente reato.
Nel caso di specie, dunque, possiamo ipotizzare due scenari:
- per quanto attiene all’appropriazione indebita della documentazione condominiale, i termini per proporre querela decorreranno dal momento in cui i condomini saranno perfettamente coscienti dell’intenzione dell’ex amministratore di non restituire la documentazione predetta;
- quanto, invece, alla diversa appropriazione indebita (o truffa) riguardante la fattura oggetto di sospetto, i termini cominceranno a decorrere allorché saranno compiuti i relativi accertamenti funzionali a comprendere cosa effettivamente si celi sotto quell’emissione della fattura.

G. M. G. S. chiede
venerdì 09/12/2022 - Lazio
“Salve,
in data 8/12/2022, da una verifica sul mio conto corrente, mi sono accorto che non mi è stata addebitata la rata di circa 115 euro del 5/12/2022 di una carta a saldo.
Ho controllato sul mio portale della finanziaria e vedo che invece risulta saldata.
Ho cercato i vari dati e mi sono accorto che vi era segnato un IBAN errato.
Ho provveduto intanto subito ad inserire quello corretto e a comunicare via PEC la cosa alla finanziaria.
Il servizio clienti mi ha detto di richiamare lunedì e così farò.
Nel frattempo, ho trovato (tra le email finite nello spam) la seguente comunicazione del 17 novembre da parte della finanziaria:

"Codice cliente: xxx

Contratto CreditLine n. xxxx

Gentile xxxxx
come richiesto, a decorrere dal giorno 01/12/2022 si perfezionerà la variazione di addebito automatico sul Conto Corrente IBAN ITXXX
Il nuovo numero di riferimento del Mandato è: MNDXXX
Cordiali saluti"

Non ricordo di aver mai cambiato l'IBAN ma di sicuro c'è stato qualche errore.
Mi dispiace non aver controllato la cartella spam.
Io non escludo di aver fatto richiesta di cambio (davvero non ricordo, forse ho fatto io un taglia ed incolla dell'IBAN di fretta) ma, anche se fosse stato, quell'IBAN mi è sconosciuto. Non immagino dove lo avrei preso. Non voglio insinuare che sia colpa della finanziaria ma davvero non so come sia successo.
Ora, da una ricerca via internet, ho trovato la banca a cui fa riferimento l’IBAN. Ho contattato la banca per spiegare la cosa e chiedere di essere messo in contatto con il titolare per spiegare tutto.
La banca mi ha chiesto di inviare una email ordinaria (non PEC) con dentro i dati che così intanto verificano se il RID è andato a buon fine o meno.
Fermo restando che sono immediatamente pronto a rimborsare con bonifico immediato (non appena mi diranno se è andato a buon fine l’addebito all’IBAN non mio), vorrei sapere cosa rischio a livello penale ecc.
Grazie”
Consulenza legale i 15/12/2022
Il codice IBAN (International Bank Account Number) è una coordinata bancaria che ha lo scopo di identificare in maniera inequivocabile un conto corrente e il relativo intestatario.

Nel caso si sbagli a digitare il codice iban vi sono due possibilità:
  • Se viene inserito un IBAN non corretto, essendo una combinazione di caratteri inesistenti, basterà aspettare i tempi tecnici di trasferimento e in automatico, il denaro tornerà sul conto corrente o nel caso in esame, non sarebbe stato possibile l’accredito della rata.
  • Se invece viene inserito un IBAN corretto, questo apparterrà sicuramente ad un’altra persona e pertanto bisognerà ricorrere alla procedura di annullamento dell’operazione entro i termini previsti dalla propria banca.
L’inserimento e dunque l’utilizzo di un iban appartenente ad un’altra persona può dar luogo a diverse ipotesi delittuose.
  • In primis può configurarsi la frode creditizia, un’attività criminale finalizzata a ottenere credito senza rimborsarlo o acquisire beni senza pagarli, ma utilizzando illecitamente dati identificativi altrui o falsi, e talvolta anche documenti rubati o creando false identità. Nel caso in esame, l’inserimento dell’IBAN di un’altra persona consente di addebitare il pagamento delle rate della carta al proprietario dell’IBAN e non invece al titolare della carta, consentendo allo stesso di acquistare beni senza pagarli o ottenere credito senza rimborsarlo.
L’art. 493 ter del c.p. rubricato Indebito utilizzo e falsificazione di strumenti di pagamento diversi dai contanti, prevede che: “Chiunque al fine di trarne profitto per sé o per altri, indebitamente utilizza, non essendone titolare, carte di credito o di pagamento, ovvero qualsiasi altro documento analogo che abiliti al prelievo di denaro contante o all’acquisto di beni o alla prestazione di servizi, è punito con l reclusione da uno cinque anni e con la multa da 310 a 1.550 Euro”.

Viene punito sia chi si avvalga di carte di credito di cui non è il titolare al fine di trarne profitto (dunque anche senza averla rubata, ma anche semplicemente avendola trovata), sia chi falsifichi tali carte, sempre al fine di trarne profitto. Trattandosi di una sostituzione di persona rispetto al titolare dello strumento di pagamento, qualora l’IBAN “errato” sia collegato ad una certa carta di credito o di pagamento, potrebbe astrattamente configurarsi tale reato.
  • Altra fattispecie penale che viene in rilievo è la truffa, disciplinata dall’art. art. 640 del c.p.: "Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 51 a euro 1.032".

La comunicazione del nuovo IBAN, inducendo la Banca in errore, comporterebbe per la persona titolare della carta il procurarsi di un profitto (inteso come esonero dal pagamento della rata della carta con conseguente arricchimento in virtù delle somme e/o dell’eventuale fido messi a disposizione) a danno del titolare dell’IBAN.
  • Infine D.Lgs 13.08.2010 n° 141 (in materia finanziaria e creditizia) ha contemplato, all'art. 30 bis, la nozione di furto d’identità. Tale fattispecie comporta l'occultamento totale della propria identità mediante l’utilizzo indebito di dati relativi all’identità e al reddito di un altro soggetto, anche deceduto (c.d. impersonificazione totale) oppure all'occultamento soltanto parziale della propria identità mediante il combinato impiego di dati relativi alla propria persona e l’utilizzo indebito di dati relativi ad un altro soggetto (c.d. impersonificazione parziale). Essendo l’IBAN, come detto, una coordinata bancaria che ha lo scopo di identificare in maniera inequivocabile un conto corrente e il relativo intestatario la condotta di indicarne uno appartenente ad altri potrebbe integrare il furto di identità anzidetto.
Tuttavia, il fatto di aver prontamente provveduto a comunicare l’accaduto via pec alla finanziaria e a modificare l’iban, consente di escludere il configurarsi dei summenzionati reati ed inoltre, per il reato di cui all’art. 493 ter, sembrerebbe difettare il requisito del cd “dolo specifico”. Quest’ultima espressione significa che chi compie il reato deve avere oltre coscienza e volontà della falsificazione anche la consapevolezza di arrecare ad altri un danno. Stessa cosa dicasi per il dolo della truffa ovvero volontà e consapevolezza di ottenere un profitto ingiusto e causare un danno alla persona offesa attraverso raggiri.
Dalla descrizione dell’accaduto non pare ravvisarsi ipotesi di reato.

Va precisato che la conoscenza del codice iban altrui generalmente non implica rischi di natura alcuna, non essendo possibile effettuare prelievi non autorizzati dei fondi presenti sul conto corrente; tuttavia lo stesso è protetto dalle norme sulla privacy. Difatti, si tratta di un dato personale alla stregua del nome, del cognome, del numero di telefono, e via dicendo e come tale, pertanto, non può essere divulgato senza il consenso del suo titolare.
A tale conclusione è giunta, di recente, la Suprema Corte di Cassazione con l’ordinanza del 19 febbraio 2021, n. 4475.

Si sarà esposti ad una richiesta di restituzione da parte del titolare dell’IBAN, OVVERO la persona che si è vista prelevare la rata.
Una comunicazione di variazione dell’IBAN, anche da parte di terzi, dovrebbe esserci stata in quanto se l’IBAN non è quello del cliente, la banca o la finanziaria dovrebbe riconoscere l’incongruenza e mandare in storno tutte le richieste di accredito e quindi anche il pagamento di tutte le rate.

Ad ogni modo il disconoscimento delle operazioni non riconosciute sul conto o sulla carta va fatto quanto prima. Pertanto è stato corretto il comportamento di segnalare l’accaduto e di contattare la finanziaria e l’Istituto bancario dove è stato eseguito l’addebito segnalando l’anomalia riscontrata (anche se possibilmente le comunicazioni andrebbero fatte a mezzo PEC).
Si suggerisce poi, per tutelarsi, di presentare esposto, segnalando l’accaduto e la propria estraneità ai fatti alle autorità competenti.

F. G. chiede
mercoledì 25/05/2022 - Piemonte
“Buongiorno
Con riferimento alla precedente consulenza Q202129285 del 2021 nel comunicarVi che la procedura di sfratto si è conclusa definitivamente e positivamente Vi chiedo un ulteriore parere su quanto segue:
Come ho detto nel mio precedente quesito, di cui alla consulenza suddetta, il titolare dell'attività e quindi del contratto di locazione è il Sig. C. Y. da sempre irreperibile. Lo sfratto è stato fatto a suo nome come pure è a suo nome il decreto ingiuntivo rilasciato. In realtà il negozio è stato gestito da altro cinese che si è sempre dichiarato lavoratore dipendente.
Dal mese di ottobre 2021 non ha più pagato il canone di affitto accumulando così un debito di € 12.000.
Dalla visura camerale risulta che nel mese di marzo u. s. C. Y. ha cessato l'attività e il cinese che lavorava nel mio locale si è trasferito in altro locale sempre nei pressi e con altro nominativo di ditta.
Da un colloquio avuto con questa persona mi ha detto che lui non intende pagare e di rivolgermi a C. Y. irreperibile.
la mia domanda è: posso agire in qualche modo, per recuperare il mio credito, contro la persona che effettivamente ha occupato e gestito il negozio ? C'è il modo di dimostrare che chi ha occupato i locali non era un dipendente ma il vero titolare dell'attività e C. Y. un prestanome?
In attesa della risposta porgo cordiali saluti”
Consulenza legale i 06/06/2022
Gentile Cliente,
purtroppo dalla lettura del combinato disposto degli 474 e 477 del codice di procedura civile emerge che il creditore può far valere il titolo esecutivo nei confronti di colui che risulta suo debitore, ovvero nei confronti dei successori a titolo universale e a titolo particolare di quest’ultimo.
Alla luce di ciò, nel caso di specie il titolo esecutivo (decreto ingiuntivo) ottenuto nei confronti di C.Y. può essere fatto valere dal creditore nei confronti:
1) dello stesso C.Y.;
2) degli eredi di C.Y. (successori a titolo universale ex art. 110 c.p.c.);
3) degli aventi causa di C.Y.: ad esempio coloro che subentrino nella posizione di conduttore nel contratto di locazione sottoscritto da quest’ultimo - (successione a titolo particolare ex 111 c.p.c.).
Di conseguenza, non è possibile far valere il decreto ingiuntivo nei confronti dell’effettivo gestore dell’attività commerciale esercitata nel locale di proprietà del creditore.
Purtroppo, l’unico modo per provare che C.Y. era un mero prestanome ed ottenere un risarcimento dal Gestore consiste nel far affermare in giudizio che la condotta di quest’ultimo era intenzionalmente fraudolenta.
Si potrebbe tentare la strada della querela per truffa (art. 640 del codice penale) nei confronti dell’asserito prestanome e dell’effettivo gestore dell’esercizio commerciale.

Al fine della configurabilità del reato di truffa, dovrà essere dimostrato che C.Y. ed il gestore abbiano agito in concorso ponendo in essere un raggiro nei confronti del creditore: facendo intestare il contratto di locazione ad un conduttore che si è reso volontariamente irreperibile per poi condurre, nelle medesime modalità, altro immobile commerciale ove proseguire la medesima attività nella stessa zona e sotto il nome di altra ditta per evitare le conseguenze negative dello sfratto e dell’ingiunzione.

Gli elementi da produrre in giudizio consisterebbero nella documentazione atta a provare il sopra descritto modus operandi, iniziando dalle visure storiche delle ditte sotto le quale i soggetti da querelare hanno operato negli ultimi anni, e da ogni genere di documento o altra prova (anche testimoniale) che attesti che le attività commerciali esercitate in immobili condotti da C.Y. sono effettivamente gestite da soggetto diverso.

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