Cassazione penale Sez. VI sentenza n. 470 del 20 gennaio 1992

(2 massime)

(massima n. 1)

In tema di truffa il profitto, costituente uno degli eventi consumativi del reato, deve ravvisarsi tanto nel caso di effettivo accrescimento di ricchezza economica a favore dell'agente quanto nel caso di mancata diminuzione del suo patrimonio per effetto del godimento di beni, quindi anche senza un aumento esteriore di ricchezza, analogamente al possibile atteggiarsi della deminutio patrimoni in senso economico, subita dal soggetto passivo, come danno emergente o come lucro cessante. Il carattere dell'ingiustizia è attribuito al profitto dal fatto di essere stato conseguito sine iure, sì che l'arricchimento in cui esso si risolve risulta realizzato sine causa, per l'assenza di un titolo giuridico che lo giustifichi.

(massima n. 2)

L'elemento soggettivo del delitto di truffa è costituito dal dolo generico, diretto o indiretto, avente ad oggetto gli elementi costitutivi del reato (quali l'inganno, il profitto, il danno), anche se preveduti dall'agente come conseguenze possibili, anziché certe della propria condotta, e tuttavia accettato nel loro verificarsi, con conseguente assunzione del relativo rischio; per cui è priva di rilevanza la specifica finalità del comportamento o il motivo che ha spinto l'agente a realizzare l'inganno.

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