Cassazione penale Sez. VI sentenza n. 3039 del 3 marzo 1990

(1 massima)

(massima n. 1)

Il delitto di peculato si differenzia da quello di truffa aggravata ex art. 61 n. 9 c.p., sotto il profilo del conseguimento della res, in quanto nel primo il possesso del bene trova origine nella ragione di ufficio e preesiste all'illecita conversione in profitto dell'agente, mentre nella truffa l'acquisto del possesso consegue all'azione del colpevole, consistente nell'induzione in errore mediante artifici o raggiri. Ne consegue che, quando gli artifici vengano posti in essere non per conseguire il possesso della res ma per occultarne l'illecito impossessamento, ovvero per assicurarsi l'impunità, sussiste il delitto di peculato e non quello di truffa aggravata. (Fattispecie di impiegato postale che, dopo aver rilasciato regolare ricevuta per il versamento di danaro da parte di utenti — a titolo di pagamento di tassa di circolazione — falsificava i documenti interni facendo apparire come incassate somme inferiori a quelle versate, appropriandosene la differenza).

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