Cassazione penale Sez. VI sentenza n. 11446 del 17 novembre 1994

(3 massime)

(massima n. 1)

I delitti di truffa e di millantato credito si differenziano oltre che per la diversità dell'oggetto della tutela penale, che nella truffa è il patrimonio e nel millantato credito è il prestigio della pubblica amministrazione, anche per il mezzo utilizzato per la loro commissione sicché i due reati possono concorrere quando l'illecito profitto sia conseguito attraverso le millanterie proprie del secondo reato e la predisposizione di falsi documenti o la assunzione da parte degli agenti di false qualifiche pubbliche, che costituiscono artifici o raggiri propri della truffa.

(massima n. 2)

In tema di millantato credito, l'ipotesi prevista dal capoverso dell'art. 346 costituisce una figura di reato autonomo rispetto a quella del comma 1. Se l'agente si fa consegnare la somma con l'intenzione effettiva di corrompere il pubblico funzionario, quando la corruzione non abbia luogo o inizio, la condotta non è punibile. Parimenti, in caso di contestazione del reato a più persone in concorso tra loro, quando si accerta che uno di essi riceve una somma di denaro nella reale convinzione che la stessa sia destinata effettivamente a corrompere un pubblico funzionario ignorando l'intenzione millantatoria del correo, non risponderà di concorso in quest'ultimo reato. Per il concorrente ignaro non si versa in ipotesi di dolo alternativo perché questi si è prospettato il solo evento della corruzione e ad esso aveva inteso apportare il proprio contributo causale. Il dolo alternativo infatti è configurabile non quando vi sia indifferenza del soggetto agente di fronte al possibile verificarsi di due o più eventi, ma quando quelli alternativamente previsti siano entrambi voluti e la indifferenza riguardi soltanto la verificazione di uno di essi sicché già al momento della realizzazione dell'elemento oggettivo del reato l'agente deve prevederli entrambi.

(massima n. 3)

Per quanto riguarda il dolo del delitto di associazione per delinquere è necessario che vi sia da parte dell'agente la coscienza e la volontà di compiere un atto di associazione, cioè la manifestazione di affectio societatis scelerum come tale e la commissione di uno o più delitti programmati dall'associazione non dimostra automaticamente l'adesione alla stessa. Tuttavia l'attività delittuosa conforme al piano associativo costituisce un elemento indiziante di grande rilevanza ai fini della dimostrazione della appartenenza ad essa quando attraverso le modalità esecutive e altri elementi di prova possa risalirsi all'esistenza del vincolo associativo e quando la pluralità delle condotte dimostri la continuità, la frequenza e l'intensità dei rapporti con gli altri associati. Anche la partecipazione ad un episodio soltanto della attività delittuosa programmata può costituire elemento indiziante dell'appartenenza all'associazione, ma in tal caso il valore di tale indizio è sicuramente ridotto ed è necessario che dalla partecipazione al singolo episodio sia desumibile l'affectio societatis dell'agente, e che essa sia fonte di penale responsabilità a carico di chi la mette in atto. Quando infatti il soggetto abbia fornito un contributo alla realizzazione di un unico episodio rientrante nel programma associativo e a tale contributo non venga riconosciuta rilevanza penale, il valore indiziante ai fini della appartenenza all'associazione diventa minimo ed insufficiente ad un riconoscimento di responsabilità.

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