Cassazione penale Sez. II sentenza n. 3135 del 22 gennaio 2003

(2 massime)

(massima n. 1)

La cosiddetta truffa processuale consistente nel fatto di chi, inducendo in errore il giudice in un processo civile o amministrativo mediante artifici o raggiri, ottenga una decisione favorevole non integra il reato di cui all'art. 640 c.p., in quanto in tale fattispecie viene a mancare un elemento costitutivo del reato, e cioè l'atto di disposizione patrimoniale. Il giudice infatti con il suddetto provvedimento non compie un atto di disposizione espressione dell'autonomia privata e della libertà di consenso, ma esercita il potere di natura pubblicistica, connesso all'esercizio della giurisdizione. Né può assumere rilevanza la riserva contenuta nell'art. 374 c.p. che si riferisce ai casi in cui il fatto sia specificatamente preveduto dalla legge nei suoi elementi caratteristici. (In applicazione di tale principio la Corte ha affermato che non integra gli estremi dell'illecito penale la condotta del legale che intraprenda azioni legali avanti al TAR avvalendosi di procure alle liti con sottoscrizioni apocrife degli interessati e che, all'esito vittorioso di dette azioni, quantifichi i propri compensi professionali per l'opera prestata utilizzando uno scaglione tariffario diverso da quello da applicare).

(massima n. 2)

La falsa sottoscrizione di una procura ad litem e la falsa attestazione dell'autenticità di detta sottoscrizione comportano, a carico del difensore che se ne sia reso autore, la configurabilità rispettivamente del reato di falso in scrittura privata (art. 485 c.p.) e di quello di falsità ideologica commessa da persona esercente un servizio di pubblica necessità (art. 481 c.p.), dovendosi escludere, con riguardo alla seconda di dette falsità, che essa sia invece qualificabile come falsità ideologica in atto pubblico commessa da pubblico ufficiale laddove essa si sostanzi, come di norma, nella mera declaratoria di genuinità della firma.

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