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Articolo 629 Codice Penale

(R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398)

[Aggiornato al 23/02/2024]

Estorsione

Dispositivo dell'art. 629 Codice Penale

Chiunque, mediante violenza [581] o minaccia(1), costringendo taluno a fare o ad omettere qualche cosa(2), procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno(3), è punito con la reclusione da cinque a dieci anni e con la multa da euro 1.000 a euro 4.000(4).

La pena è della reclusione da sette a venti anni e della multa da da euro 5.000 a euro 15.000(5), se concorre taluna delle circostanze indicate nell'ultimo capoverso dell'articolo precedente(6)(7).

Note

(1) La violenza o la minaccia devono essere dirette a coartare la volontà della vittima affinché questa compia un atto di disposizione patrimoniale, rimanendo indifferenti le modalità con cui queste condotte si realizzano. Nello specifico la minaccia può concretarsi anche in un comportamento omissivo come nell'ipotesi in cui il proprietario di un immobile rifiuti la conclusione di un contratto di locazione in caso di mancato pagamento di un canone superiore a quello stabilito dalla legge.
(2) La costrizione può avere ad oggetto il compimento di un atto di disposizione patrimoniale positivo (come ad esempio la donazione di una somma di danaro) o negativo (si pensi alla remissione di un debito), anche annullabile, ma necessariamente produttivo di effetti giuridici (gli atti radicalmente nulli non integrano la fattispecie in esame).
(3) Il profitto non ha rilevanza solo economica o patrimoniale, ma può quindi trattarsi di un diverso vantaggio, a differenza del danno che deve invece essere esclusivamente di natura patrimoniale.
(4) L'ammontare della multa, prima fissato tra i 516 e i 2.065 euro, è stato modificato dalla l. 27 gennaio 2012, n. 3.
(5) L'ammontare della multa, prima fissato tra i 1.032 e i 3.098 euro, è stato modificato dalla l. 27 gennaio 2012, n. 3.
(6) Il comma 2 dell'art. 629 c.p. rinvia all'ultimo capoverso dell'art. 628 del c.p., quanto alle circostanze aggravanti applicabili al delitto di estorsione. Sebbene la L. n. 94 del 2009 abbia introdotto un comma 4 all'art. 628 c.p. (che, attualmente, è comma 5 a seguito della L. n. 103 del 2017, cd. riforma Orlando), è mancato un coordinamento tra l'art. 629, comma 2 c.p. e le novelle dell'art. 628 del c.p.. Sul punto, la Corte di Cassazione (Cass., pen., sez. V, n. 2907 del 2014; Cass. pen., sez. II, n. 18742 del 2014; Cass. pen., Sez. II, n. 13239 del 2016) ha precisato che, dopo le modifiche apportate dalla L. n. 94 del 2009, il rinvio operato dall'ultimo comma dell'art. 629 c.p., rispetto alle circostanze aggravanti applicabili al delitto di estorsione, deve qualificarsi di natura formale o dinamica e deve intendersi come riferito all'attuale comma 3 dell'art. 628 del c.p. e non all'ultimo comma relativo al concorso tra attenuanti ed aggravanti (comma 4 all'epoca delle pronunce della Suprema Corte e, dopo la riforma Orlando, diventano comma 5).
(7) La Corte Costituzionale, con sentenza 24 maggio 2023, n. 120 (in G.U. 21/06/2023 n. 25), ha dichiarato "l'illegittimità costituzionale dell'art. 629 del codice penale, nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata è diminuita in misura non eccedente un terzo quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell'azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità".

Ratio Legis

Tale disposizione trova il proprio fondamento non solo nella necessità di tutelare il patrimonio individuale, ma anche la libertà di autodeterminazione del singolo.

Spiegazione dell'art. 629 Codice Penale

Il bene giuridico tutelato è di natura plurioffensivo, avendo ad oggetto sia il patrimonio che la libertà di autodeterminazione.

Trattasi di reato comune che, se commesso da pubblico ufficiale, integra il reato di concussione (art. 317), sempre che vi sia abuso dei poteri.

La condotta incriminata è quella di chi, con violenza o minaccia, costringa taluno a fare od omettere qualcosa, procurando a sé o ad altri un ingiusto profitto ed arrecando un danno al soggetto passivo.

La minaccia deve essere concretamente idonea a ledere la libertà di autodeterminazione della vittima, non essendo, per contro, necessario, che si determini una sua effettiva intimidazione.

Per minaccia va invece intesa la prospettazione di un male ingiusto e notevole, proveniente dal soggetto minacciante (se prospettato come proveniente da soggetti terzi non aventi rapporti con il colpevole o per via di eventi naturali sarà configurabile la truffa). Essa può essere attuata esplicitamente ed anche implicitamente, purché in maniera idonea a coartare la volontà del soggetto passivo.

La minaccia può anche consistere nella prospettazione di un comportamento omissivo se sul soggetto minacciante gravi un obbligo giuridico di impedire un evento. Può anche avere ad oggetto l'esercizio di un diritto o di una facoltà legittima, qualora siano strumentalizzati per un fine diverso ed ulteriore rispetto a quello riconosciuto dall'ordinamento.

La violenza deve invece essere tale da non coartare completamente la volontà della vittima, configurandosi altrimenti il più grave delitto di rapina (art. 628). Il soggetto passivo deve dunque avere un margine di autodeterminazione, nel senso di poter scegliere se cedere all'estorsione o subire il male minacciato.

La norma richiede il dolo generico, e non il dolo specifico, dato che il conseguimento del profitto con altrui danno rappresenta l'evento stesso del reato.

///SPIEGAZIONE ESTESA

Il delitto di estorsione punisce chi, mediante violenza o minaccia, costringendo un’altra persona a fare o ad omettere qualcosa, procuri a sé o ad altri un profitto ingiusto con altrui danno.

Si tratta, dunque, di un reato caratterizzato dalla cooperazione della vittima, la quale viene carpita dall’agente attraverso la violenza o la minaccia.

L'estorsione rappresenta un'ipotesi di reato comune in quanto il soggetto attivo può essere chiunque. Nel caso in cui, però, il reato in esame sia posto in essere da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso delle sue qualità o funzioni, egli sarà punibile per il reato di concussione ai sensi dell’art. 317 del c.p.

La condotta deve necessariamente consistere in una costrizione realizzata attraverso la violenza o la minaccia. Tra la violenza o la minaccia e la costrizione deve, quindi, sussistere un rapporto strumentale ed eziologico, posto che le prime devono rappresentare lo strumento per la realizzazione della seconda, e, al contempo, la costrizione deve costituire l’effetto della violenza o della minaccia. Qualora, dunque, vi sia una costrizione ma non sia stata posta in essere una violenza o una minaccia, ci si trova di fronte ad una mera induzione, la quale non è idonea ad integrare il delitto in esame.

Per quanto riguarda, innanzitutto, la violenza, essa, per rilevare ai sensi dell’art. 629 del c.p., deve essere tale da non coartare completamente la volontà della vittima, in quanto, in caso contrario, si configurerebbe il più grave delitto di rapina, ex art. 628 del c.p.
La minaccia va, invece, intesa come la prospettazione di un male ingiusto e notevole da parte del soggetto minacciante. Essa può essere posta in essere sia in modo esplicito che in modo implicito, ma è, in ogni caso, necessario che sia idonea a coartare la volontà del soggetto passivo. La minaccia può anche avere ad oggetto un’omissione, qualora l’agente prospetti il mancato impedimento di un male che avrebbe l’obbligo giuridico di impedire.

Nonostante, però, la condotta sia unica, gli oggetti materiali verso cui essa si rivolge sono molteplici. Suo oggetto materiale immediato, al pari della violenza privata, è, infatti, la persona che subisce la violenza o la minaccia; oggetto materiale mediato è, invece, quella “qualunque cosa” che l’agente vuole conseguire come utile. Si deve, quindi, trattare di una cosa in cui si trova incorporata un’utilità idonea a produrre un profitto per qualcuno e, al contempo, un danno per altri.

Il reato di estorsione si caratterizza per un quadruplice evento, in quanto la condotta dell’agente deve causare, progressivamente, quattro effetti. Si deve, innanzitutto, realizzare uno stato di coazione psichica della vittima, sebbene non assoluta.
In secondo luogo, la norma fa riferimento al “fare od omettere qualche cosa”, espressione che è stata interpretata nel senso che sia richiesto il compimento di un atto di disposizione patrimoniale, il quale può essere sia positivo, consistendo in un dare o in un facere, si pensi, ad esempio, alla dazione di una somma di denaro oppure all’alienazione di un bene, sia negativo, consistendo in un non facere, quale, ad esempio, il mancato esperimento di un’azione giudiziale.
È, altresì, necessario che la condotta del reo procuri un danno ad un altro soggetto. Tale danno deve essere insito nell’atto di disposizione patrimoniale che sia derivato dalla costrizione posta in essere dall’agente. L’evento dannoso non può, peraltro, essere ritenuto sussistente in re ipsa, in quanto, qualora, ad esempio, per effetto della coartazione sia stato stipulato un contratto, può anche non sussistere una diminuzione del patrimonio della vittima.
È, infine, necessario che il soggetto attivo, attraverso la propria condotta criminosa, procuri, a sé o ad altri, un profitto ingiusto.

Ai fini dell’integrazione del delitto in esame è sufficiente che sussista, in capo all'agente, il dolo generico, quale coscienza e volontà di costringere, attraverso la violenza o la minaccia, un’altra persona, a compiere un atto di disposizione patrimoniale a proprio danno, procurando, a sé o ad altri, un ingiusto profitto.
L’errore in ordine all’ingiustizia del profitto conseguito esclude il dolo di estorsione. Si pensi, ad esempio, al soggetto che creda di aver diritto ad una somma di denaro.

Il delitto di estorsione si perfeziona nel momento e nel luogo in cui si verificano il danno patrimoniale, in capo alla vittima, e l’ingiusto profitto, in capo all'agente o ad un’altra persona, qualora i due eventi siano simultanei, oppure, in cui si verifichi il solo ingiusto profitto, nel caso in cui i due eventi abbiano luogo in momenti successivi.
Il momento consumativo coincide con il raggiungimento della massima gravità concreta del delitto già perfezionato.

Trattandosi di un reato di evento, è configurabile il tentativo, purché siano posti in essere atti idonei ed univoci e, nonostante ciò, l’attività criminosa si sia fermata, indipendentemente dalla volontà del reo, prima che questo conseguisse un profitto, con un danno per altri. È, peraltro, configurabile sia il tentativo incompiuto, come nel caso in cui una lettera minatoria non sia pervenuta al destinatario perché intercettata dalla polizia, sia il tentativo compiuto, il quale sussiste, ad esempio, qualora l'agente venga arrestato prima della consegna di una somma di denaro da parte della vittima.

Ai sensi del secondo comma, il delitto di estorsione risulta aggravato qualora ricorra taluna delle circostanze aggravanti previste per il reato di rapina ex art. 628 del c.p., come, ad esempio, nel caso in cui la violenza o la minaccia siano commesse attraverso l'uso di armi.

///FINE SPIEGAZIONE ESTESA

Massime relative all'art. 629 Codice Penale

Cass. pen. n. 33457/2023

In tema di estorsione, sussiste l'aggravante di cui all'art. 628, comma terzo, n. 3-bis, cod. pen. nel caso in cui la condotta è tenuta sia in un luogo di privata dimora, sia in altri luoghi che, isolando la vittima, siano idonei a ostacolarne la difesa.

Cass. pen. n. 40457/2023

Integra il delitto di estorsione la condotta con la quale l'agente costringe, con minacce, il coimputato di un delitto di rapina precedentemente commesso a consegnargli parte del provento illecito, posto che la provenienza da una pregressa attività criminosa commessa in concorso dell'oggetto della richiesta non esclude né l'ingiustizia del profitto, né la sussistenza del danno per la persona offesa.

Cass. pen. n. 32083/2023

In tema di estorsione, l'altrui danno, avendo necessariamente connotazione patrimoniale, comprende anche la desistenza dal tempestivo esercizio di un'azione giudiziaria finalizzata a tutelare un diritto o un interesse, posto che il patrimonio va inteso come un insieme non di beni materiali, ma di rapporti giuridici attivi e passivi aventi contenuto economico, unificati dalla legge in ragione dell'appartenenza al medesimo soggetto.

Cass. pen. n. 6683/2023

In tema di estorsione, la sussistenza dell'aggravante del metodo mafioso non è esclusa dal fatto che la vittima delle minacce abbia assunto un atteggiamento "dialettico" rispetto alle ingiuste richieste, ciò non determinando il venir meno della portata intimidatoria delle stesse.

Cass. pen. n. 40803/2022

Il delitto di estorsione può concorrere con quello di illecita concorrenza con violenza o minaccia, trattandosi di fattispecie differenti, la cui diversità si misura valutando le modalità con cui si esprime l'azione violenta, posto che integra il delitto di cui all'art. 513-bis cod. pen. la condotta tesa a sovvertire il normale svolgimento delle attività imprenditoriali attraverso comportamenti violenti che incidono direttamente sul funzionamento dell'impresa, mentre si configura il delitto di estorsione nel caso in cui l'azione violenta si risolva in coazione fisica e psichica dell'imprenditore e non si traduca in una manipolazione violenta e diretta dei meccanismi di funzionamento dell'attività economica concorrente.

Cass. pen. n. 5622/2021

Si configura il reato di estorsione, e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, allorché il terzo incaricato dell'esazione di un credito agisca con condotta della quale sia stata accertata la finalità di agevolare anche l'attività di un'associazione di tipo mafioso, stante il perseguimento di un interesse ulteriore (che di per sé ben può avere natura non patrimoniale) rispetto al diritto illecitamente azionato.

Cass. pen. n. 15564/2021

La rapina si differenzia dall'estorsione in virtù del fatto che in essa il reo sottrae la cosa esercitando sulla vittima una violenza o una minaccia diretta e ineludibile, mentre nell'estorsione la coartazione non determina il totale annullamento della capacità del soggetto passivo di determinarsi diversamente. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto correttamente qualificata alla stregua di tentata estorsione la condotta dell'imputato, il quale aveva minacciato il proprio inquilino, sparando un colpo di pistola contro il muro, affinché gli corrispondesse anticipatamente il canone di locazione dell'immobile, mediante consegna di una somma di denaro che in quel momento non aveva con sé).

Cass. pen. n. 21789/2019

In tema di estorsione, non integra il reato la condotta del datore di lavoro che, al momento dell'assunzione, prospetti agli aspiranti dipendenti l'alternativa tra la rinunzia a parte della retribuzione e la perdita dell'opportunità di lavoro, in quanto, pur sussistendo un ingiusto profitto per il primo, costituito dal conseguimento di prestazioni d'opera sottopagate, non v'è prova che l'ottenimento di un impiego rechi un danno ai lavoratori rispetto alla preesistente situazione di disoccupazione. (In motivazione, la Corte ha precisato che deve invece ritenersi sussistente il reato nel caso in cui il datore di lavoro, nella fase esecutiva del contratto, corrisponda ai lavoratori, sotto minaccia della perdita del posto di lavoro, uno stipendio ridotto rispetto a quanto risultante in busta paga, essendo in tal caso evidente il danno recato ai predetti).

Cass. pen. n. 21707/2019

In tema di estorsione cd. "ambientale", integra la circostanza aggravante del metodo mafioso di cui all'art. 7, d.l. 13 maggio 1991, n. 152, conv. nella legge 12 luglio 1991, n. 203 (ora art. 416-bis.1 cod. pen.), la condotta di chi, pur senza fare uso di una esplicita minaccia, pretenda dalla persona offesa il pagamento di somme di denaro per assicurarle protezione, in un territorio notoriamente soggetto all'influsso di consorterie mafiose, senza che sia necessario che la vittima conosca l'estorsore e la sua appartenenza ad un clan determinato. (Nella specie, la Corte ha ritenuto sussistere la circostanza aggravante nella richiesta ad un commerciante di denaro a fronte di protezione, dopo che il negozio era stato danneggiato varie volte, in un quartiere ad alta densità mafiosa).

Cass. pen. n. 17427/2019

La condotta di violenza, la quale, cumulativamente od alternativamente con quella di minaccia, costituisce il nucleo essenziale del delitto di estorsione, è in esso interamente assorbita quando non provoca alcuna lesione personale (come nel caso in cui l'agente si limiti ad immobilizzare la vittima o a percuoterla ovvero esplichi solo la violenza c.d. reale); in caso contrario, devono trovare applicazione le norme sul concorso di reati. (Fattispecie di tentata estorsione, nella quale la Corte ha ritenuto dovessero essere assorbiti i reati di percosse ascritti all'imputato).

Cass. pen. n. 17288/2019

Integra il delitto di estorsione e non quello di violenza privata la condotta consistente nel richiedere al soggetto passivo somme di denaro con la minaccia di rivelare al coniuge di quest'ultimo il pregresso rapporto extraconiugale con l'agente, in quanto condotta che, oltre a concretizzare la prospettazione di un male ingiusto, perché attinente ad aspetti della vita della persona offesa non divulgabili senza il consenso di questa, è, altresì, preordinata al conseguimento di un ingiusto profitto. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso la configurabilità fra le parti di una relazione di tipo familiare ai sensi dell'art. 8 CEDU, rilevante al fine di elidere il carattere di ingiustizia del profitto, attesa l'occasionalità, all'epoca dei fatti, degli incontri fra la persona offesa e l'imputata, che aveva intrapreso una nuova relazione di convivenza).

Cass. pen. n. 40899/2018

Integra il reato di estorsione l'ottenimento della rinuncia a far valere il credito conseguente all'adempimento di una prestazione contrattuale mediante l'implicita intimidazione esercitata dal debitore che, pur senza compiere atti di violenza o minaccia, abbia già esibito, al momento della costituzione del rapporto, la propria appartenenza ad un'associazione mafiosa.

Cass. pen. n. 39722/2018

Integra il delitto di tentata estorsione la condotta di chi richieda, con modalità violente o minacciose, ottenendo un rifiuto, di effettuare un pagamento con assegno post datato in quanto l'elemento dell'ingiusto profitto con altrui danno consiste nel fatto stesso che il contraente-vittima sarebbe stato costretto alla consegna della merce dietro pagamento effettuato con un titolo illegale, privo di efficacia esecutiva, in violazione della propria libertà e autonomia negoziale.

Cass. pen. n. 36928/2018

Il delitto di estorsione è configurabile quando la condotta minacciosa o violenta, anche se finalisticamente orientata al soddisfacimento di un preteso diritto, si estrinsechi nella costrizione della vittima attraverso l'annullamento della sua capacità volitiva; è, invece, configurabile il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni quando un diritto giudizialmente azionabile venga soddisfatto attraverso attività violente o minatorie che non abbiano un epilogo costrittivo, ma più blandamente persuasivo.

Cass. pen. n. 34242/2018

In tema di estorsione, una pretesa contrattuale è contra ius ed integra il reato solo quando l'agente, pur avvalendosi di mezzi giuridici legittimi, li utilizzi per conseguire vantaggi estranei al rapporto giuridico controverso, perché non dovuti nell'an o nel quantum o perché finalizzati a scopi diversi o non consentiti rispetto a quelli per cui il diritto è riconosciuto o tutelato, e quindi per realizzare un profitto ingiusto. (Fattispecie nella quale è stata esclusa la ricorrenza del reato di estorsione, poiché, nella fisiologica dinamica contrattuale, entrambe le parti avevano invocato a proprio favore determinate clausole contrattuali, mirando a conseguire un vantaggio derivante proprio dall'esecuzione del contratto).

Cass. pen. n. 35428/2018

Ricorre la circostanza di cui all'art. 7 della legge 13 maggio 1991, n. 203 nel delitto di estorsione se si riscontra che la condotta minacciosa, oltre ad essere obiettivamente idonea a coartare la volontà del soggetto passivo, sia espressione di capacità persuasiva in ragione del vincolo dell'associazione mafiosa e sia, pertanto, idonea a determinare una condizione d'assoggettamento e d'omertà. (Fattispecie nella quale l'ostentazione di sicurezza d'impunità degli imputati induceva la persona offesa a non rivolgersi alle forze dell'ordine quanto all'estorsione subita).

Cass. pen. n. 23084/2018

Risponde di tentata estorsione e non di esercizio arbitrario delle proprie ragioni colui che, anziché denunziare all'autorità il presunto autore di un furto, richieda a quest'ultimo, con violenza o minacce, la restituzione delle cose rubate. (In motivazione, la Corte ha precisato che per aversi esercizio delle proprie ragioni è necessario che il soggetto agisca per esercitare un preteso diritto soggettivo e non una potestà pubblica).

Cass. pen. n. 14160/2018

Il creditore che costringa, con minaccia, il proprio debitore a vendere l'immobile in cui abita per soddisfarsi del proprio credito sul ricavato della vendita, commette il reato di estorsione e non di esercizio arbitrario delle proprie ragioni in quanto non avrebbe potuto ricorre al giudice al fine di ottenere direttamente la vendita coattiva del bene del debitore insolvente.

Cass. pen. n. 44853/2017

Si configura il delitto di estorsione nella forma consumata, e non tentata, anche nel caso in cui a seguito della condotta costruttiva, la persona offesa rilasci un assegno privo di provvista ovvero emesso per un conto corrente estinto, atteso che, con la consegna, si realizzano sia l'ingiusto profitto per il prenditore, consistente nel trasferimento del diritto di ottenere il pagamento della somma rappresentata nel documento, sia il simmetrico danno per l'emittente, consistente nel divenire parte di un rapporto obbligatorio a contenuto patrimoniale in forza del quale, per effetto dell'incorporazione del credito nel titolo, l'adempimento è dovuto dietro semplice presentazione dello stesso all'incasso.

Cass. pen. n. 37896/2017

Ai fini dell'integrazione del concorso di persone nel reato di estorsione è sufficiente la coscienza e volontà di contribuire, con il proprio comportamento, al raggiungimento dello scopo perseguito da colui che esercita la pretesa illecita; ne consegue che anche l'intermediario, nelle trattative per la individuazione della persona alla quale versare la somma estorta, risponde del reato di concorso in estorsione, salvo che il suo intervento abbia avuto la sola finalità di perseguire l'interesse della vittima e sia stato dettato da motivi di solidarietà umana.

Cass. pen. n. 36115/2017

Risponde di concorso nel reato di estorsione e non di favoreggiamento personale colui che sia stato incaricato soltanto della riscossione delle somme dalla vittima, in quanto tale condotta non costituisce un "post factum" rispetto alla commissione del reato ma influisce sull'evento costitutivo dello stesso, contribuendo a conseguimento della coartazione perpetrata nei confronti della vittima e a portare così a temine la condotta delittuosa.

Cass. pen. n. 33712/2017

Integra il delitto di estorsione, e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, la condotta minacciosa che si estrinsechi in forme di tale forza intimidatoria da andare al di là di ogni ragionevole intento di far valere un preteso diritto, con la conseguenza che la coartazione dell'altrui volontà assume di per sé i caratteri dell'ingiustizia, trasformandosi in una condotta estorsiva. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto che assumesse le indicate caratteristiche l'avvenuto invio alla persona offesa di una lettera minatoria, di un'arma e dei proiettili, trattandosi di una metodologia tipica di azioni poste in essere da aderenti a consorterie di tipo mafioso).

Cass. pen. n. 26235/2017

È configurabile il delitto di estorsione, e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, nei confronti del creditore che, a fronte di un'iniziale pattuizione usuraria, contraddistinta da prestiti successivi gravati da interessi parimenti illeciti, si rivolga al debitore con violenza o minaccia per ottenerne la restituzione, a meno che risulti inequivocabilmente accertato l'intervento, prima dell'esercizio della violenza o della minaccia, di una totale novazione del rapporto tra le parti, con sostituzione, rispetto al credito originario, della pretesa della sola somma capitale ovvero di altra somma gravata da interessi legittimi.

Cass. pen. n. 11107/2017

Integra il delitto di estorsione la condotta del datore di lavoro che, approfittando della situazione del mercato del lavoro a lui favorevole per la prevalenza dell'offerta sulla domanda, costringe i lavoratori, con la minaccia larvata di licenziamento, ad accettare la corresponsione di trattamenti retributivi deteriori e non adeguati alle prestazioni effettuate, in particolare consentendo a sottoscrivere buste paga attestanti il pagamento di somme maggiori rispetto a quelle effettivamente versate.

Cass. pen. n. 6824/2017

Ai fini dell'integrazione del concorso di persone nel reato di estorsione è sufficiente la coscienza e volontà di contribuire, con il proprio comportamento, al raggiungimento dello scopo perseguito da colui che esercita la pretesa illecita; ne consegue che anche l'intermediario, nelle trattative per la determinazione della somma estorta, risponde del reato di concorso in estorsione, salvo che il suo intervento abbia avuto la sola finalità di perseguire l'interesse della vittima e sia stato dettato da motivi di solidarietà umana. (In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto corretta la qualificazione alla stregua di concorso in estorsione della condotta dell'imputato, il quale, su sollecitazione della vittima di un furto, aveva prontamente individuato gli autori del fatto, mettendoli in contatto con la stessa, ed aveva poi provveduto alla fissazione e comunicazione a quest'ultima del prezzo del riscatto, nonché alla predisposizione di studiate modalità di rinvenimento del bene in modo che apparisse casuale).

Cass. pen. n. 4936/2017

Integra la condotta del delitto di estorsione la richiesta, rivolta da uno dei partecipanti ad un'asta giudiziaria ad un altro concorrente, di una somma di denaro come compenso per l'astensione dalla partecipazione, in quanto la prospettazione dell'esercizio del diritto di prendere parte alla gara, siccome finalizzato al conseguimento di un ingiusto profitto, assume connotazioni minacciose.

Cass. pen. n. 3934/2017

In tema di estorsione, la costrizione, che deve seguire alla violenza o minaccia, attiene all'evento del reato, mentre l'ingiusto profitto con altrui danno si atteggia a ulteriore evento, sicché si configura il solo tentativo nel caso in cui la violenza o la minaccia non raggiungano il risultato di costringere una persona al "facere" ingiunto.

Cass. pen. n. 32/2017

In tema di estorsione, integra la circostanza aggravante del c.d. metodo mafioso, prevista dall'art. 7 D.L. n. 152 del 1991, conv. nella L. n. 203 del 1991, la condotta di chi usa implicita ma inequivoca minaccia per pretendere dalla persona offesa il pagamento di non meglio precisate somme di denaro a motivo dell'ubicazione dell'attività commerciale della medesima in un territorio sottoposto al controllo di una cosca criminale. (Fattispecie in cui la Corte ha censurato l'ordinanza del riesame di annullamento parziale del provvedimento applicativo di misura custodiale per estorsione limitatamente alle circostanze aggravanti di cui agli artt. 628, comma terzo, numero 3, cod. pen. e 7 D.L. n. 152 del 1997, cit., per aver svalutato l'indicazione logistica contenuta nella frase: "Vedi che ti trovi in una zona dove devi pagare qualcosa", indirizzata dall'indagato alla persona offesa, titolare di un esercizio sito in un quartiere dominato da una nota 'ndrina).

Cass. pen. n. 53610/2016

Ai fini della distinzione tra estorsione e truffa per incusso timore di un pericolo immaginario, assume fondamentale rilievo il fatto che il male ingiusto sia percepito dalla vittima come direttamente o indirettamente proveniente dal reo, a fronte di un eventuale rifiuto della pretesa da quest'ultimo avanzata, ovvero venga percepito come proveniente da terzi, ravvisandosi nella prima di dette ipotesi l'estorsione e nella seconda la truffa. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto che bene fosse stata affermata la sussistenza dell'estorsione in un caso in cui l'imputato, spacciandosi falsamente come agente di polizia, aveva indotto la vittima a versargli danaro onde evitare di dover pagare delle multe).

Cass. pen. n. 51013/2016

In tema di estorsione, si ha consumazione, e non mero tentativo allorché la cosa estorta venga consegnata dal soggetto passivo all'estorsore, e ciò anche nelle ipotesi in cui sia predisposto l'intervento della polizia giudiziaria che provveda immediatamente all'arresto del reo ed alla restituzione del bene all'avente diritto.

Integra il delitto di estorsione, e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, la condotta minacciosa che si estrinsechi in forme di tale forza intimidatoria da andare al di là di ogni ragionevole intento di far valere un preteso diritto, con la conseguenza che la coartazione dell'altrui volontà assume di per se i caratteri dell'ingiustizia, trasformandosi in una condotta estorsiva.

Cass. pen. n. 46288/2016

Il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alla persona e quello di estorsione, pur caratterizzati da una materialità non esattamente sovrapponibile, si distinguono in relazione all'elemento psicologico del reato in quanto nel primo, l'agente persegue il conseguimento di un profitto nella convinzione non meramente astratta ed arbitraria, ma ragionevole, anche se infondata, di esercitare un suo diritto, ovvero di soddisfare personalmente una pretesa che potrebbe formare oggetto di azione giudiziaria; nel secondo, invece, l'agente persegue il conseguimento di un profitto nella consapevolezza della sua ingiustizia. (In motivazione la Corte ha precisato che l'elevata intensità o gravità della violenza o della minaccia di per sé non legittima la qualificazione del fatto ex art. 629 cod. pen. - potendo l'esercizio arbitrario delle proprie ragioni essere aggravato, come l'estorsione, dall'uso di armi - ma può costituire indice sintomatico del dolo di estorsione).

In tema di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, ai fini della configurabilità del reato, occorre che l'autore agisca nella ragionevole opinione della legittimità della sua pretesa, ovvero ad autotutela di un suo diritto suscettibile di costituire oggetto di una contestazione giudiziale, anche se detto diritto non sia realmente esistente; tale pretesa, inoltre, deve corrispondere perfettamente all'oggetto della tutela apprestata in concreto dall'ordinamento giuridico, e non mirare ad ottenere un qualsiasi "quid pluris", atteso che ciò che caratterizza il reato in questione è la sostituzione, operata dall'agente, dello strumento di tutela pubblico con quello privato.

Cass. pen. n. 32/2016

In tema di estorsione, integra la circostanza aggravante del c.d. metodo mafioso, prevista dall'art. 7 D.L. n. 152 del 1991, conv. nella L. n. 203 del 1991, la condotta di chi usa implicita ma inequivoca minaccia per pretendere dalla persona offesa il pagamento di non meglio precisate somme di denaro a motivo dell'ubicazione dell'attività commerciale della medesima in un territorio sottoposto al controllo di una cosca criminale. (Fattispecie in cui la Corte ha censurato l'ordinanza del riesame di annullamento parziale del provvedimento applicativo di misura custodiale per estorsione limitatamente alle circostanze aggravanti di cui agli artt. 628, comma terzo, numero 3, cod. pen. e 7 D.L. n. 152 del 1997, cit., per aver svalutato l'indicazione logistica contenuta nella frase: "Vedi che ti trovi in una zona dove devi pagare qualcosa", indirizzata dall'indagato alla persona offesa, titolare di un esercizio sito in un quartiere dominato da una nota 'ndrina).

Cass. pen. n. 7662/2015

Il criterio distintivo tra il reato di truffa e quello di estorsione, quando il fatto è connotato dalla minaccia di un male, va ravvisato essenzialmente nel diverso modo di atteggiarsi della condotta lesiva e della sua incidenza nella sfera soggettiva della vittima: ricorre la prima ipotesi delittuosa se il male viene ventilato come possibile ed eventuale e comunque non proveniente direttamente o indirettamente da chi lo prospetta, in modo che la persona offesa non è coartata, ma si determina alla prestazione, costituente l'ingiusto profitto dell'agente, perché tratta in errore dalla esposizione di un pericolo inesistente; mentre si configura l'estorsione se il male viene indicato come certo e realizzabile ad opera del reo o di altri, in tal caso la persona offesa è posta nella ineluttabile alternativa di far conseguire all'agente il preteso profitto o di subire il male minacciato. (Fattispecie in cui la Corte ha qualificato come estorsione la condotta dell'imputato che costringeva la vittima a farsi consegnare degli orecchini, minacciandola che avrebbe potuto rivelare al marito l'esistenza di un amante).

Cass. pen. n. 53652/2014

Per estorsione "ambientale" si intende quella particolare forma di estorsione, che viene perpetrata da soggetti notoriamente inseriti in pericolosi gruppi criminali che spadroneggiano in un determinato territorio e che è immediatamente percepita dagli abitanti di quella zona come concreta e di certa attuazione, stante la forza criminale dell'associazione di appartenenza del soggetto agente, quand'anche attuata con linguaggio e gesti criptici, a condizione che questi siano idonei ad incutere timore e a coartare la volontà della vittima.

Cass. pen. n. 31199/2014

Nel reato di estorsione, la circostanza aggravante delle più persone riunite - integrata dalla simultanea presenza di non meno di due persone nel luogo ed al momento di realizzazione della violenza o della minaccia - non richiede quale connotato soggettivo la consapevolezza della partecipazione di altri concorrenti nel numero sufficiente ad integrare l'aggravante stessa, poiché essa, concernendo le modalità dell'azione, ha natura oggettiva e, conseguentemente, si comunica a tutti coloro che concorrono nel reato. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto corretta la decisione impugnata laddove aveva applicato l'aggravante in questione ai concorrenti morali non presenti sul luogo e nel momento in cui era formulata la richiesta estorsiva).

Cass. pen. n. 25382/2014

Ai fini della sussistenza del reato di estorsione, la violenza o minaccia può essere rivolta a persona diversa dal soggetto danneggiato, al quale si richiede l'atto di disposizione patrimoniale, purché sussista l'idoneità della condotta ad influire sulla volontà di quest'ultimo. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza impugnata che aveva ravvisato il delitto di tentata estorsione a carico di imputato il quale aveva posto in essere condotte minatorie nei confronti del capo operaio di un'impresa edile in condizione di influire sulle determinazioni del gestore della stessa al fine di farsi assumere).

Cass. pen. n. 7555/2014

In tema di estorsione, le diverse condotte di violenza o minaccia poste in essere per procurarsi un ingiusto profitto senza riuscire a conseguirlo costituiscono autonomi tentativi di estorsione, unificabili con il vincolo della continuazione, quando singolarmente considerate in relazione alle circostanze del caso concreto e, in particolare, alle modalità di realizzazione e soprattutto all'elemento temporale, appaiano dotate di una propria completa individualità; si ha, invece, un unico tentativo di estorsione, pur in presenza di molteplici atti di minaccia, allorché gli stessi siano sorretti da un'unica e continua determinazione, che non registri sul piano della volontà interruzioni, desistenze o quant'altro.

Cass. pen. n. 2907/2014

In tema di estorsione, la circostanza aggravante di cui all'art. 7 del D.L. n. 152 del 1991, convertito nella legge n. 203 del 1991, può concorrere con quella di cui all'art. 628, comma terzo, n.3, cod. pen., richiamata dall'art. 629, comma secondo, cod. pen., essendo le stesse ancorate a presupposti fattuali differenti: la prima, infatti, presuppone l'accertamento che la condotta di reato sia stata commessa con modalità di tipo mafioso, pur non essendo necessario che l'agente appartenga al sodalizio criminale, mentre la seconda si riferisce alla provenienza della violenza o minaccia da soggetto appartenente ad associazione mafiosa, senza la necessità di accertare in concreto le modalità di esercizio di tali violenza o minaccia né che esse siano attuate utilizzando la forza intimidatrice derivante dall'appartenenza alla associazione mafiosa.

Il rinvio operato dal secondo comma dell'art. 629 cod. pen. all'ultimo comma dell'art. 628 cod. pen., quanto alle circostanze aggravanti applicabili al delitto di estorsione, deve qualificarsi di natura formale o dinamica, e deve intendersi riferito, dopo le modifiche apportate dalla legge n. 94 del 15 luglio 2009, all'attuale terzo comma della disposizione normativa prevista per il delitto di rapina. (In motivazione la Corte ha precisato che le esigenze di mantenimento della coerenza del sistema repressivo, alle quali è funzionale lo strumento del rinvio formale o dinamico, impongono l'adeguamento della disposizione del comma secondo dell'art. 629 cod. pen. ed il riferimento all'attuale terzo comma dell'art. 628 cod. pen., norma alla quale "puntava" il testo precedente alla riforma del 2009).

Cass. pen. n. 48461/2013

Nell'estorsione patrimoniale, che si realizza quando al soggetto passivo sia imposto di porsi in rapporto negoziale di natura patrimoniale con l'agente o con altri soggetti, l'elemento dell'ingiusto profitto con altrui danno è implicito nel fatto stesso che il contraente-vittima sia costretto al rapporto in violazione della propria autonomia negoziale, impedendogli di perseguire i propri interessi economici nel modo e nelle forme ritenute più confacenti ed opportune. (In applicazione del principio, la Corte ha annullato con rinvio la sentenza impugnata che aveva qualificato come minaccia aggravata invece che come tentata estorsione la richiesta di assunzione di un dipendente attuata con modalità violente e minacciose di tipo mafioso).

Cass. pen. n. 41167/2013

In tema di estorsione va considerata integrata l'ipotesi tentata ed esclusa la desistenza quando la consegna della somma di denaro, costituente oggetto di una richiesta effettuata con violenza o minaccia, non abbia avuto luogo non per autonoma volontà dell'imputato, bensì per la ferma resistenza opposta dalla vittima.

In caso di estorsione, le diverse condotte di violenza o minaccia poste in essere per procurarsi un ingiusto profitto senza riuscire a conseguirlo costituiscono autonomi tentativi di estorsione, unificabili con il vincolo della continuazione, quando singolarmente considerate in relazione alle circostanze del caso concreto e, in particolare, alle modalità di realizzazione e soprattutto all'elemento temporale, appaiano dotate di una propria completa individualità; si ha, invece, un unico tentativo di estorsione, pur in presenza di molteplici atti di minaccia, allorché gli stessi costituiscano singoli momenti di un'unica azione.

Cass. pen. n. 38964/2013

Nel reato di estorsione, integra la circostanza aggravante dell'uso del metodo mafioso l'utilizzo di un messaggio intimidatorio anche "silente", cioè privo di richiesta, qualora l'associazione abbia raggiunto una forza intimidatrice tale da rendere superfluo l'avvertimento mafioso, sia pure implicito, ovvero il ricorso a specifici comportamenti di violenza e minaccia. (Nella motivazione la sentenza fa riferimento a tre differenti forme di messaggio intimidatorio: quello esplicito e mirato, quello a forma larvata o implicita, quello con silente richiesta).

Cass. pen. n. 36365/2013

In tema di estorsione, la minaccia di adire le vie legali, pur avendo un'esteriore apparenza di legalità, può integrare l'elemento costitutivo del delitto di cui all'art 629 c.p. quando sia formulata non con l'intenzione di esercitare un diritto, ma con lo scopo di coartare l'altrui volontà e conseguire risultati non conformi a giustizia. (Fattispecie nella quale gli imputati avevano evocato vicende "inconfessabili" che sarebbero emerse nel corso di un instaurando processo civile, reclamando la corresponsione di un compenso non dovuto in cambio della mancata instaurazione di esso).

Cass. pen. n. 19230/2013

Integra il delitto di estorsione, e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, la condotta minacciosa che esprime tale forza intimidatoria da andare al di là di ogni ragionevole intento di far valere un proprio, preteso diritto, sicché la coartazione dell'altrui volontà deve ritenersi assuma "ex se" i caratteri dell'ingiustizia.

Cass. pen. n. 17574/2013

Costituisce intimidazione illegittima, idonea, come tale, ad integrare il delitto di estorsione ex art. 629 c.p., anche una minaccia dalla parvenza esteriore di legalità allorquando sia fatta, non già con l'intenzione di esercitare un diritto, ma allo scopo di coartare l'altrui volontà e di ottenere risultati non consentiti attraverso prestazioni non dovute nell'"an" o nel "quantum" o "quando", pur correlandosi ad un diritto riconosciuto e tutelato dall'ordinamento se ne realizzi, suo tramite, un distorto ed abusivo esercizio per il conseguimento di scopi "contra ius", dovendosi valutare sia l'eccedenza del mezzo rispetto allo scopo perseguito che l'eccedenza del fine perseguito rispetto alla portata del diritto esercitato. (Nella specie, la Corte ha escluso la configurabilità del reato nel caso di un imprenditore che, in una situazione di crisi della propria impresa, aveva manifestato la necessità di rinegoziare taluni contratti di appalto, prospettando, in via alternativa e in caso di mancata adesione ad un accordo, l'utilizzo in sede giudiziaria di una scrittura privata precedente dalla cui lettura si sarebbe potuta inferire l'esistenza di intese societarie atte a coinvolgere i ricorrenti in una eventuale procedura fallimentare).

Cass. pen. n. 1619/2013

In tema di estorsione, il delitto deve considerarsi consumato e non solo tentato allorché la cosa estorta venga consegnata dal soggetto passivo all'estorsore, e ciò anche nelle ipotesi in cui sia predisposto l'intervento della polizia giudiziaria che provveda immediatamente all'arresto del reo ed alla restituzione del bene all'avente diritto.

Cass. pen. n. 1228/2013

Integra i gravi indizi di colpevolezza del reato di estorsione la condotta di colui che contatti un imprenditore procurandogli un incontro con un latitante di mafia nel corso del quale lo convinca a versare una tangente, contenendo detto contatto già una intrinseca carica di coazione minacciosa che non necessita di ulteriori esternazioni di minaccia o violenza.

Cass. pen. n. 197/2012

In tema di tentata estorsione, l'idoneità ed univocità degli atti vanno valutate con giudizio "ex ante", tenendo presenti la connotazione storica del fatto, le sue effettive implicazioni in riferimento sia alla posizione dell'autore della condotta che a quella del suo interlocutore, nonché il significato del linguaggio e del messaggio alla stregua delle abitudini locali. (Nella specie l'imputato, tramite un proprio emissario, aveva dapprima manifestato ad un imprenditore edile l'intenzione di parlargli e successivamente richiesto allo stesso di telefonare, giacché, diversamente, vi sarebbe stato un incendio).

Cass. pen. n. 45930/2011

Configura il reato di estorsione la condotta dei monopolisti di fatto del servizio esternalizzato di raccolta dei rifiuti solidi urbani che esercitino pressioni sulle cooperative che illegittimamente, anche se nella tolleranza dell'ente appaltante, forniscono lavoro interinale, allo scopo di farsi consegnare somme non dovute per far assumere personale, minacciando di interrompere il predetto rapporto, a nulla rilevando che esso poteva sciogliersi in qualsiasi momento perché non "di diritto".

Cass. pen. n. 43317/2011

Integra il delitto di tentata estorsione la condotta di colui che, avendo lecitamente acquisito immagini fotografiche attinenti la vita privata di un soggetto la cui divulgazione può comportare una lesione del diritto all'identità personale, offra al medesimo la possibilità di acquistarle e così evitarne diffusione mediatica. (In motivazione la Corte ha precisato che il diritto alla diffusione a fini giornalistici delle immagini non può essere invocato come esimente per alternative forme di sfruttamento commerciale delle medesime, che non sono consentite dalle norme poste a tutela del trattamento dei dati personali).

Cass. pen. n. 40051/2011

Integrano il delitto di estorsione le violenze o minacce esercitate per ottenere il pagamento di una fornitura di sostanze stupefacenti già eseguita.

Cass. pen. n. 36906/2011

Integra il reato di estorsione, e non di truffa aggravata, la condotta di colui che con l'esibizione di un tesserino USL costringa due ristoratori ad acquistare merce (nella specie: vino) onde scongiurare future ispezioni, in quanto il male ingiusto è prospettato tramite una minaccia e non attraverso un inganno.

Cass. pen. n. 4919/2011

Integra il reato di concorso in estorsione (art. 110, 629 c.p.) - e non quello di favoreggiamento reale - la condotta di colui che garantisce la regolare percezione del 'pizzo' mensile corrisposto dalla vittima dell'estorsione, considerato che la rateizzazione del pizzo dà luogo ad un reato a consumazione prolungata o progressiva e che, in costanza di reato, qualsivoglia aiuto fornito all'autore materiale è punibile a titolo di concorso, in quanto finalizzato a tradursi in sostegno per la protrazione della condotta criminosa.

Cass. pen. n. 3101/2011

In tema di estorsione, integra l'aggravante dell'uso del metodo mafioso (art. 7 D.L. n. 152 del 1991, conv. in legge n. 203 del 1991) la condotta di colui che prospetti l'utilizzo delle somme estorte per aiutare le famiglie di taluni carcerati; né rileva, a tal fine, la circostanza che l'esistenza dell'organizzazione criminale non sia espressa nel contesto delle richieste estorsive, in quanto il mezzo di coartazione della volontà facente ricorso al vincolo mafioso, e alla connessa condizione di assoggettamento, può esprimersi in forma indiretta, o anche per implicito.

Cass. pen. n. 44049/2010

Il delitto di estorsione si consuma esclusivamente nel momento in cui la persona offesa provvede a fare od omettere quanto richiesto dall'estortore, non essendo sufficiente a tal fine la semplice promessa di aderire alla richiesta estorsiva.

Cass. pen. n. 41359/2010

In tema di estorsione, la circostanza aggravante delle "più persone riunite" non si identifica con una generica ipotesi di concorso di persone nel reato, ma richiede la simultanea presenza di non meno di due persone nel luogo e nel momento in cui si realizza la violenza o la minaccia, in quanto solo in tal modo si verificano quegli effetti fisici e psichici di maggior pressione sulla vittima, che ne riducono significativamente la forza di reazione e giustificano il rilevante aumento di pena.

Cass. pen. n. 39336/2010

Integra il reato di estorsione non già l'esercizio di una generica pressione alla persuasione o la formulazione di proposte esose o ingiustificate, ma il ricorso a modalità tali da forzare la controparte a scelte in qualche modo obbligate, facendo sì che non le venga lasciata alcuna ragionevole alternativa tra il soggiacere alle altrui pretese o il subire, altrimenti, un pregiudizio diretto e immediato.

Cass. pen. n. 32412/2010

In tema di estorsione, la circostanza aggravante delle "più persone riunite" sussiste anche quando l'intervento dei concorrenti non si verifichi in un unico contesto, ma in momenti diversi, purché le diverse condotte risultino tutte parimenti finalizzate all'intimidazione della vittima.

Cass. pen. n. 28539/2010

Integra il reato di estorsione (art. 629 c.p.) - e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni - la condotta di colui che consegni effetti cambiari rimasti insoluti ad esponenti di organizzazioni mafiose, le quali, avvalendosi della forza intimidatrice del vincolo associativo, minaccino il debitore per indurlo all'adempimento, in quanto - ancorché l'elemento intenzionale sia caratterizzato nell'estorsione, diversamente dal reato di cui all'art. 393 c.p., dalla coscienza dell'agente di esercitare una pretesa non dovuta - allorché la minaccia si estrinsechi in forme di tale forza intimidatoria da andare al di là di ogni ragionevole intento di far valere un proprio (preteso) diritto, la coartazione dell'altrui volontà assume ex se i caratteri dell'ingiustizia, con la conseguenza che, in tal caso, anche la minaccia tesa a far valere quel diritto si trasforma in una condotta estorsiva.

Cass. pen. n. 24367/2010

Sussiste, in tema di delitto di estorsione, la circostanza aggravante delle più persone riunite soltanto se si ha la simultanea presenza di non meno di due persone nel luogo e nel momento in cui si realizza la violenza o la minaccia, non potendo dirsi sufficiente il fatto che la vittima percepisca che la minaccia o la violenza di un solo soggetto agente in realtà promanino da più persone.

Cass. pen. n. 24353/2010

Il reato di estorsione, qualora l'elemento dell'ingiusto profitto sia costituito dalla ricezione di effetti cambiari, si consuma con il conseguimento del possesso di detti titoli ad opera dell'autore del fatto, non rilevando l'eventualità successiva del mancato pagamento.

Cass. pen. n. 18722/2010

In tema di estorsione, si configura l'elemento dell'ingiusto profitto con altrui danno nel caso in cui il soggetto passivo sia costretto ad effettuare operazioni di "cambio" (monetizzazione) di assegni, perché è implicito nel fatto stesso che il contraente-vittima sia costretto al rapporto economico in violazione della propria autonomia negoziale, e privato pertanto del diritto di perseguire i propri interessi economici nel modo e nelle forme ritenute più confacenti ed opportune.

Cass. pen. n. 16733/2010

Non integra il delitto di estorsione né quello di violenza privata la condotta dell'imprenditore che, aggiudicandosi un appalto con la P.A., subordini l'assunzione dei lavoratori licenziati dalla precedente impresa appaltatrice alla condizione che costoro rinuncino ad avanzare nei suoi confronti pretese retributive maturate nel corso del precedente rapporto, solo se egli non risulti obbligato - per disposizione normativa, provvedimento amministrativo o clausola contrattuale - a subentrare nel rapporto di lavoro medesimo con giuridica continuità dello stesso o comunque ad assumere "ex novo" detti lavoratori.

Cass. pen. n. 15302/2010

Integra il delitto di cui all'art. 611 c.p., e non quello di estorsione, la condotta del datore di lavoro che costringa con violenza o minaccia il proprio dipendente ad assumere, come prestanome, la carica di amministratore in una società dedita all'emissione di fatture per operazioni inesistenti.

Cass. pen. n. 15137/2010

Commette il reato di estorsione e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni colui che, con violenza o minaccia, pretenda il pagamento di un compenso per l'attività di parcheggiatore abusivo.

Cass. pen. n. 7921/2010

Concorre nel delitto di estorsione l'intermediario che agisca per la restituzione della refurtiva mettendosi in contatto con gli autori del furto e determinandoli, in virtù del proprio carisma mafioso, a fissare il prezzo del riscatto, in modo da ricordare loro le regole vigenti in quel determinato territorio.

Cass. pen. n. 5783/2010

È configurabile il delitto di tentata estorsione, con l'aggravante del metodo mafioso, nel caso in cui si costringa la persona offesa a stipulare un contratto per essa non vantaggioso, quanto al prezzo e alle modalità, con l'attivo intervento nella trattativa di un pregiudicato ben noto per la sua caratura criminale.

Cass. pen. n. 1888/2010

Integra il requisito dell'ingiusto profitto, costitutivo del reato di estorsione, la percezione, dietro cauzione, di somme di denaro a titolo di provvigione per attività di mediazione immobiliare da parte di un soggetto non iscritto nell'apposito albo professionale.

Cass. pen. n. 44712/2009

Integra il reato di estorsione la condotta di costrizione al pagamento di una somma di denaro (nella specie, titoli di credito) come corrispettivo di prestazioni sessuali, con la minaccia di rivelazione ai familiari della vittima dei vizi e delle debolezze sessuali della stessa, posto che il profitto della condotta è da ritenersi ingiusto perché l'adempimento di un accordo illecito, quale è quello avente ad oggetto prestazioni sessuali a pagamento, non è tutelato dall'ordinamento, che prevede esclusivamente l'irripetibilità di quanto volontariamente corrisposto.

Cass. pen. n. 28442/2009

Ricorre la circostanza di cui all'art. 7 D.L. n. 152 del 1991, conv. in L. n. 203 del 1991 nel delitto di estorsione se si riscontra che la condotta minacciosa, oltre ad essere obiettivamente idonea a coartare la volontà del soggetto passivo, sia espressione di capacità persuasiva in ragione del vincolo dell'associazione mafiosa e sia, pertanto, idonea a determinare una condizione d'assoggettamento e d'omertà.

Cass. pen. n. 27860/2009

È configurabile il delitto di tentata estorsione pur se le minacce siano rivolte al diretto interessato per il tramite di altra persona. (Nella specie il ricorrente, qualificatosi come appartenente all'associazione mafiosa denominata Cosa Nostra, si era rivolto al dipendente dell'impresa rappresentata dalla persona offesa chiedendo di conferire con quest'ultimo per parlare di "altre questioni").

Cass. pen. n. 10542/2009

La minaccia, elemento costitutivo del delitto di estorsione, non è esclusa dal solo fatto che lo strumento utilizzato per la realizzazione di un profitto ingiusto sia la stipulazione con la persona offesa di un accordo che assicuri a questa una qualche utilità. (Fattispecie in cui l'assegnatario di un immobile espropriato aveva indotto il debitore ancora nel possesso dell'immobile alla conclusione di un accordo in forza del quale, previa rinuncia all'immediata reintegra nel possesso, l'assegnatario si assicurava il pagamento di una somma di denaro, non dovuta, a titolo di indennità di occupazione).

Cass. pen. n. 34900/2008

Integra il delitto di tentata estorsione continuata la condotta che si risolva nella reiterazione di minacce rivolte a far desistere il destinatario dall'azione giudiziaria iniziata con la proposizione di una richiesta di sequestro conservativo, perché nella nozione di danno, elemento della fattispecie, rientra anche la rinuncia, coartata, alla tutela preventiva del diritto di credito, costituita dal sequestro preventivo.

Cass. pen. n. 25902/2008

In tema di estorsione, ai fini della configurabilità dell'aggravante dell'arma, è necessario che il reo sia palesemente armato, ma non che l'arma sia addirittura impugnata per minacciare, essendo sufficiente che essa sia portata in modo da poter intimidire, cioè in modo da lasciare ragionevolmente prevedere e temere un suo impiego quale mezzo di violenza o minaccia per costringere il soggetto passivo a subire quanto intimatogli.

Cass. pen. n. 25682/2008

In tema di sfruttamento della prostituzione, l'ipotesi aggravata dall'uso della violenza o della minaccia differisce dalla fattispecie che integra il reato di estorsione per il fatto che nel primo caso il soggetto sfruttato, e sul quale vengono applicate la violenza o la minaccia, sceglie comunque volontariamente di esercitare il meretricio, laddove nel secondo caso si configura il reato di estorsione se la persona che si prostituisce viene costretta con la violenza o la minaccia contro la propria volontà a soggiacere allo sfruttamento e se lo sfruttatore consegue, con danno del soggetto sfruttato, un ingiusto profitto.

Cass. pen. n. 19711/2008

È integrato il delitto di estorsione qualora il venditore di immobili, in regime di edilizia convenzionata, richieda somme ulteriori, non previste dalla convenzione, minacciando di non eseguire il contratto già concluso o di non portare a conclusione le trattative in corso. (Affermando il principio, la Corte ha accolto il ricorso del P.M. contro il provvedimento del Tribunale della libertà che aveva ritenuto non configurabile il delitto di estorsione atteso che, trattandosi di edilizia convenzionata e non popolare, non sussisteva per il costruttore un obbligo a contrarre )

Cass. pen. n. 16657/2008

In tema di estorsione, ricorre la circostanza aggravante dell'essere la minaccia commessa da più persone riunite, se la persona offesa riceve le minacce per mezzo di una comunicazione telefonica, percependo che l'autore della comunicazione manifesta le intenzioni minacciose non solo sue ma di più persone, di cui è portavoce.

Cass. pen. n. 12882/2008

In tema di estorsione, la circostanza aggravante di cui all'art. 7 D.L. n. 152 del 1991 conv. nella L. n. 203 del 1991 è configurabile qualora si siano accertati una attività intimidativa caratterizzata da «mafiosità » e l'esplicamento di condotte che, al di là degli interessi personali dei soggetti che le attuano, siano altresì riconducibili agli interessi del clan mafioso che ha il controllo sul territorio ovvero siano rese possibili con l'ausilio degli appartenenti al sodalizio.

Cass. pen. n. 1705/2008

Non risponde di estorsione colui che, per incarico della vittima di un furto e nell'esclusivo interesse di quest'ultima, si metta in contatto con gli autori del reato per ottenere la restituzione della cosa sottratta mediante esborso di denaro, senza conseguire alcuna parte del prezzo.

Cass. pen. n. 40494/2007

In tema di estorsione, l'aggravante delle «più persone riunite» sussiste ogni qualvolta il soggetto passivo abbia acquisito la sensazione che la violenza o la minaccia non provengano solo dal singolo soggetto che le pone in essere, ma siano manifestazione delle comuni e inique intenzioni di più persone di cui questi si faccia portavoce.

Cass. pen. n. 39046/2007

L'aggravante di avere commesso il delitto di tentata estorsione avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416 bis c.p. ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni di cui al suddetto art. 416 bis c.p. (art. 7 D.L. n. 151 del 1991, conv. in L. n. 203 del 1991) non va desunta dal fatto che l'imputato e un suo complice si siano presentati come rappresentanti di organizzazioni camorristiche e che le modalità dell'azione siano tipiche di queste ultime, senza, da un lato, accertare le effettive frasi pronunciate e, dall'altro, effettuare un adeguato esame delle modalità dell'azione posta in essere. (Nella specie, la Corte ha ritenuto non decisivo il mero richiamo alla prospettata ed ottenuta chiusura del cantiere, che si riferisce all'oggetto della minaccia estorsiva e non al metodo impiegato, a cui è ricollegata la sussistenza della circostanza de qua che deve essere tale da evocare la forza derivante da un'organizzazione criminale).

Cass. pen. n. 36642/2007

Integra il delitto di estorsione la condotta del datore di lavoro che, approfittando della situazione del mercato di lavoro a lui favorevole per la prevalenza dell'offerta sulla domanda, costringa i lavoratori, con la minaccia larvata di licenziamento, ad accettare la corresponsione di trattamenti retributivi deteriori e non adeguati alle prestazioni effettuate, e più in generale condizioni di lavoro contrarie alle leggi ed ai contratti collettivi.

Cass. pen. n. 35484/2007

In tema di delitto di estorsione, la minaccia di interrompere un legame affettivo o l'affiliazione della vittima ad un gruppo amicale può assumere rilievo come strumento di coazione per l'ottenimento di un ingiusto profitto, in ragione della particolare condizione di debolezza della vittima, che la induca a collegare all'evento minacciato conseguenze deteriori del tutto esorbitanti dal dolore normalmente collegato all'abbandono o al tradimento, e della consapevole strumentalizzazione di tale condizione di debolezza da parte dell'agente. (Fattispecie in cui ad una ragazza tredicenne erano state rivolte richieste di denaro con la minaccia, tra l'altro, ove le stesse non fossero state accolte, di estrometterla dal gruppo di ragazzi più grandi in cui era stata ammessa).

Cass. pen. n. 27257/2007

Nel reato di estorsione l'oggetto della tutela giuridica è costituito dal duplice interesse pubblico della inviolabilità del patrimonio e della libertà personale: pertanto, è del tutto irrilevante che il patrimonio della vittima sia composto anche da proventi di attività vietate.

Cass. pen. n. 15527/2007

In tema di delitto di estorsione, il compimento dell'attività lecita, a cui l'autore del fatto ha collegato la coazione della vittima per il conseguimento dell'ingiusto profitto, non dà luogo ad una desistenza anche quando segua o addirittura determini l'impossibilità di ottenere l'ingiusto profitto essendo ricompresa nella condotta criminosa, di cui costituisce la possibile finalizzazione. (La Corte ha altresì precisato che la desistenza implica l'abbandono della condotta criminosa che può essere riscontrato soltanto dalla cessazione o dalla revoca delle attività volte a finalizzare in modo illecito un comportamento in sè legittimo).

Cass. pen. n. 14440/2007

Integra il delitto di estorsione, e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, la minaccia di esercitare un diritto, in sé non ingiusta, che sia realizzata con una tale forza intimidatoria e con tale sistematica pervicacia da risultare incompatibile con il ragionevole intento di far valere il diritto stesso.

Cass. pen. n. 4137/2007

Integra il delitto di estorsione il fatto di colui che costringe taluno, con minacce dirette a lui e alla sua famiglia, ad acquistare un quantitativo di stupefacente superiore a quello richiesto.

Cass. pen. n. 2802/2007

Configura il concorso di persone nel reato di estorsione aggravata, e non invece il reato di favoreggiamento reale o ricettazione, la condotta di colui che, pur non partecipando ad una associazione di tipo mafioso, si adoperi affinché, da parte degli associati, sia proseguita l'attività estorsiva iniziata dal proprio padre, capo del clan mafioso, in stato di detenzione, sull'assunto che quei proventi illeciti, non più pervenuti dopo l'arresto del padre, siano comunque dovuti come introiti appartenenti alla famiglia.

Cass. pen. n. 41177/2006

Il concorso nel reato di estorsione sussiste anche quando il contributo causale del correo sia limitato alla fase finale della riscossione dei proventi, in quanto nella fattispecie plurisoggettiva l'attività antigiuridica di ciascuno, ponendosi inscindibilmente con quella di altri correi, confluisce in un'azione delittuosa che va considerata unica e produce l'effetto di far ritenere giuridicamente attribuibile a ciascuno dei concorrenti il risultato finale dell'evento cagionato.

Cass. pen. n. 29563/2006

In tema di delitto di estorsione, l'elemento dell'ingiusto profitto si individua in qualsiasi vantaggio, non solo di tipo economico, che l'autore intenda conseguire, e che non si collega ad un diritto o è perseguito con uno strumento antigiuridico, o ancora con uno strumento legale ma avente uno scopo tipico diverso. (Fattispecie in cui la S.C. ha annullato la decisione di merito, che aveva ritenuto la non ingiustizia del profitto perché le violenze e le minacce erano state esercitate in danno della persona offesa, amministratore di una società di capitali, per l'adempimento di un'obbligazione assunta dalla società).

Cass. pen. n. 12982/2006

Si configura il reato di estorsione di cui all'art. 629 c.p., e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni di cui all'art. 393 c.p., allorché il terzo incaricato della esazione del credito, a nulla rilevando la natura, lecita o illecita, di esso, agisca con violenza o minaccia nei confronti del debitore non al mero fine di coadiuvare il creditore a farsi ragione da sé medesimo, ma anche e soprattutto per il perseguimento dei propri autonomi interessi illeciti. (La Corte ha altresì precisato che in tal caso il delitto di estorsione può concorrere con quello di associazione per delinquere, ove si accerti l'esistenza di un'organizzazione specializzata nella realizzazione di crediti per conto altrui, la quale operi, in vista del conseguimento anche di un proprio profitto, mediante sistematico ricorso alla violenza o ad altre forme di illecita coartazione nei confronti dei soggetti indicati come debitori).

Cass. pen. n. 5639/2006

In tema di estorsione, la circostanza aggravante della commissione del fatto ad opera di un partecipe all'associazione di tipo mafioso non richiede che tutti gli agenti rivestano tale qualità, in quanto a seguito della sostituzione del testo dell'art. 118 c.p. ad opera dell'art. 3 della legge 7 febbraio 1990, n. 19, al concorrente non si comunicano più le circostanze soggettive concernenti i motivi a delinquere, l'intensità del dolo, il grado della colpa e quelle relative all'imputabilità ed alla recidiva, ma sono ancora valutate riguardo a lui le altre circostanze soggettive indicate dall'art. 70, primo comma, n. 2, c.p., cioè quelle attinenti alle qualità personali del colpevole.

Ricorre il reato di estorsione, e non già quelli di violenza privata, nella condotta consistita nel costringere, mediante violenza o minaccia, un imprenditore ad effettuare una assunzione non necessaria, essendo ingiusto, in quanto connesso ad azione intimidatoria, il profitto per la persona indebitamente assunta e sussistendo altresì il danno per la vittima, costretta a versare la relativa retribuzione. (Nella specie, è stato ravvisato il reato di tentata estorsione negli atti intimidatori rivolti ad un imprenditore perché assumesse alle proprie dipendenze una persona condannata, che necessitava dell'assunzione per sostenere una richiesta di misura alternativa alla detenzione)

In tema di estorsione, per la configurabilità dell'aggravante delle «più persone riunite» non è necessaria la simultanea presenza fisica di più soggetti attivi nel luogo e nel momento di commissione del reato, essendo sufficiente che il soggetto passivo abbia acquisito la sensazione che la minaccia provenga non solo dal singolo che la proferisce, ma che costui manifesti le comuni, perverse, intenzioni di più persone, di cui si faccia portavoce.

Cass. pen. n. 46179/2005

Ai sensi dell'art. 56, comma terzo, c.p., per aversi desistenza volontaria dall'azione delittuosa occorre che la determinazione del soggetto agente sia stata libera e non coartata e, cioè, che la prevalenza dei motivi di desistenza su quelli di persistenza nella condotta criminosa si sia verificata al di fuori delle cause che abbiano impedito il proseguimento dell'azione o l'abbiano reso assolutamente vano. (Fattispecie in cui la Corte ha confermato la decisione dei giudici di merito che avevano escluso la volontarietà di una desistenza caratterizzata dalla fuga dell'imputato da un negozio, dopo un tentativo di estorsione, a seguito dell'intervento della polizia).

Cass. pen. n. 44319/2005

In tema di delitto di estorsione, la costrizione, che deve seguire alla violenza o minaccia, attiene all'evento del reato, mentre l'ingiusto profitto con altrui danno si atteggia a ulteriore evento, sicché si ha solo tentativo nel caso in cui la violenza o la minaccia non raggiungono il risultato di costringere una persona al facere ingiunto. (La Corte ha così deciso che se il soggetto passivo consegna la somma di denaro per costringimento derivante dalla violenza o minaccia, il fatto che si sia rivolto alla polizia giudiziaria per denunciare l'altrui condotta antigiuridica non elide l'evento del costringimento, e quindi l'assenso alla collaborazione nelle indagini non elimina il nesso di causalità tra la condotta violenta o minacciosa e la costrizione alla condotta pretesa).

Cass. pen. n. 44292/2005

Il delitto di estorsione si caratterizza rispetto a quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone per il fatto che la violenza o minaccia sono esercitate, nel secondo caso soltanto, per far valere un diritto già esistente e azionabile dinanzi a un giudice. Nella ipotesi in cui, invece, la azione costrittiva sia finalizzata a far sorgere una posizione giuridica che altrimenti non potrebbe essere vantata né conseguita attraverso il ricorso al giudice, e a questa consegua un ingiusto vantaggio patrimoniale, è integrato il reato di estorsione. (Fattispecie relativa alla condotta di un soggetto che aveva costretto la moglie, con minacce e percosse, a sciogliere la comunione legale familiare e ad adottare il regime della separazione dei beni, così intestandosi in modo esclusivo la casa di abitazione).

Cass. pen. n. 36526/2005

In tema di estorsione, è configurabile l'ingiustizia del profitto con riferimento al prestito concesso dal gestore di una bisca clandestina ai giocatori per incoraggiarne la frequentazione, trattandosi di contratto di mutuo funzionalmente collegato a quello di gioco, il cui adempimento non è tutelato dall'ordinamento. (Nella specie, l'agente concedeva in via preventiva ai frequentatori dei prestiti, facendosi consegnare in garanzia assegni bancari e titoli cambiari, ed otteneva la restituzione del credito, minacciando i debitori, per lo più professionisti ed imprenditori, di mettere all'incasso i titoli).

Cass. pen. n. 39903/2004

In tema di estorsione, una volta accertata la legittimità della pretesa patrimoniale del creditore, deve escludersi che sia configurabile il tentativo del detto reato soltanto in ragione della manifesta sproporzione della azione giudiziaria prospettata al debitore. (Fattispecie nella quale il creditore era stato imputato di tentata estorsione per avere minacciato il debitore di richiedere il suo fallimento pur in mancanza dello stato di insolvenza, piuttosto che scegliere la procedura esecutiva individuale. La Corte di cassazione ha ritenuto che l'azione non potesse valere a connotare come «ingiusto» il profitto perseguito e conseguentemente ha affermato la insussistenza del reato).

Cass. pen. n. 37526/2004

La minaccia costitutiva del delitto di estorsione oltre che essere palese, esplicita, determinata può essere manifestata in modi e forme differenti, ovvero in maniera implicita, larvata, indiretta ed indeterminata, essendo solo necessario che sia idonea ad incutere timore ed a coartare la volontà del soggetto passivo, in relazione alle circostanze concrete, alla personalità dell'agente, alle condizioni soggettive della vittima e alle condizioni ambientali, in cui questa opera.

Cass. pen. n. 962/2004

La condotta criminosa consistente nella privazione della libertà di una persona finalizzata a conseguire come prezzo della liberazione una prestazione patrimoniale, pretesa in esecuzione di un precedente rapporto illecito, integra il reato di sequestro di persona a scopo di estorsione di cui all'art. 630 c.p. e non il concorso del delitto di sequestro di persona (art. 605) con quello di estorsione, consumata o tentata (artt. 629 e 56 stesso codice).

Cass. pen. n. 45738/2003

La condotta di violenza, la quale, cumulativamente od alternativamente con quella di minaccia, costituisce il nucleo essenziale del delitto di estorsione, è in esso interamente assorbita quando non provoca alcuna lesione personale (come nel caso in cui l'agente si limiti ad immobilizzare la vittima o a percuoterla ovvero esplichi solo la violenza c.d. reale); in caso contrario, devono trovare applicazione le norme sul concorso di reati.

Cass. pen. n. 41453/2003

Sussiste l'ingiustizia del profitto, e quindi il delitto di estorsione, anche se la violenza o la minaccia viene usata dall'agente per ottenere l'adempimento di un'obbligazione naturale, per la quale non è data azione davanti al giudice. (Fattispecie in tema di credito di gioco d'azzardo, in relazione alla quale la S.C. ha escluso la configurabilità del delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni perché la pretesa, indipendentemente dalla sua fondatezza, non è tutelata dall'ordinamento).

Cass. pen. n. 16618/2003

In tema di estorsione, anche la minaccia di esercitare un diritto — come l'esercizio di un'azione giudiziaria o esecutiva — può costituire illegittima intimidazione idonea ad integrare l'elemento materiale del reato quando tale minaccia sia finalizzata al conseguimento di un profitto ulteriore, non giuridicamente tutelato.

Cass. pen. n. 29015/2002

È configurabile il reato di estorsione (art. 629 c.p.) e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (art. 393 c.p.) allorché il terzo incaricato della esazione del credito a titolo di mandatario agisca nei confronti del debitore, con violenza o minaccia, al fine di conseguire un proprio ingiusto profitto trattenendo per sé il bene, oggetto della prestazione del debitore.

Cass. pen. n. 6272/2001

Il criterio distintivo tra il reato di truffa e quello di estorsione, allorquando il fatto è connotato dalla minaccia di un male, va ravvisato essenzialmente nel diverso modo di atteggiarsi della condotta lesiva e della sua incidenza nella sfera soggettiva del soggetto passivo: ricorre la prima ipotesi delittuosa se il male viene ventilato come possibile ed eventuale e comunque non proveniente direttamente o indirettamente da chi lo prospetta in modo che l'offeso non è coartato nella sua volontà, ma si determina alla prestazione costituente l'ingiusto profitto dell'agente perché tratto in errore dalla esposizione di un pericolo inesistente; mentre si configura l'estorsione se il male viene indicato come certo e realizzabile ad opera del reo o di altri, onde l'offeso è posto nella ineluttabile alternativa di far conseguire all'agente il preteso profitto o di subire il male minacciato. (Nella specie la Corte ha ritenuto che dovesse configurarsi il delitto di estorsione e non di truffa nella condotta di due imputati i quali avevano prospettato il pignoramento ed il sequestro dei beni al soggetto passivo per conseguire, a fronte di un credito di lire quattrocentomila, il pagamento della somma notevolmente superiore di lire tre milioni e cinquecentomila, in quanto la condotta degli imputati non si era concretata nella ventilazione di un male immaginario, bensì nella minaccia di un male concreto che aveva coartato la volontà del soggetto passivo).

Cass. pen. n. 10463/2001

Nell'estorsione c.d. contrattuale o negoziale (nella quale il soggetto passivo viene costretto ad assumere un rapporto negoziale di tipo patrimoniale con lo stesso agente o con terzi) l'elemento dell'ingiusto profitto con altrui danno è in re ipsa e risiede proprio nella assunzione coatta dell'obbligazione da parte della vittima, in quanto tale costringimento incide sul diritto del soggetto passivo di disporre e godere liberamente del proprio patrimonio. (Fattispecie relativa ad un caso in cui l'imputato aveva, con minacce, costretto il gestore di un ristorante a tenere in noleggio nel proprio esercizio alcuni videogiochi in sostituzione di quelli forniti da altra ditta, ed a versare il 50% degli incassi derivanti da tali apparecchiature).

Cass. pen. n. 13043/2000

Per la configurabilità del reato di estorsione non basta l'esercizio di una generica pressione alla persuasione o la formulazione di proposte esose o ingiustificate, ma occorre che l'agente si avvalga di modalità coercitive tali da forzare la controparte a scelte in qualche modo obbligate, non essendole lasciata alcuna ragionevole alternativa fra il soggiacere alle altrui pretese o il subire, altrimenti, un pregiudizio diretto e immediato. (Nella specie, in applicazione di tali principi, la S.C. ha escluso che potesse qualificarsi come tentativo di estorsione la condotta del conduttore di un immobile il quale, a fronte di una richiesta di anticipata risoluzione del contratto di locazione da parte del proprietario, subordinava il proprio consenso al versamento di una somma a titolo di «buona uscita».

Cass. pen. n. 12394/2000

La condotta consistente nella privazione della libertà di una persona finalizzata a conseguire un ingiusto profitto come prezzo della liberazione integra il delitto previsto dall'art. 630 c.p. solo allorché manchi un preesistente rapporto, quantunque illecito, con la vittima del reato, che abbia dato causa a quella privazione, mentre, quando quel rapporto sussista e ad esso siano collegabili il sequestro e il conseguimento del profitto, ricorre un'ipotesi di concorso tra il reato previsto dall'art. 605 c.p. e quello di estorsione. (Nella specie, in riferimento a un'associazione criminale dedita a favorire l'immigrazione clandestina nel nostro Paese, la S.C. ha ritenuto corretto l'operato del giudice di merito, che aveva qualificato come sequestro di persona ex art. 630 c.p. la privazione della libertà di un immigrato finalizzata al recupero della perdita economica sofferta dall'associazione a causa della fuga di altri suoi compagni, mentre aveva ritenuto la sussistenza del concorso tra sequestro di persona ex art. 605 c.p. ed estorsione la privazione della libertà di immigrati mirante ad ottenere da questi il prezzo dell'illecito loro ingresso nel territorio dello Stato.

Cass. pen. n. 12326/2000

Integra il delitto di estorsione il fatto del ladro che chiede ed ottiene dal derubato il pagamento di una somma di denaro come corrispettivo della restituzione della refurtiva, a nulla rilevando che il pagamento sia successivo alla restituzione; e ciò in quanto la vittima subisce gli effetti della minaccia originaria che ne contiene una implicita, e cioè quella della rappresaglia in mancanza di adempimento dell'obbligazione contratta in adesione alla richiesta di danaro rivoltale dal ladro.

Cass. pen. n. 12444/1999

In tema di «estorsione contrattuale» la minaccia di far valere un diritto assume il connotato dell'illiceità soltanto quando è diretta ad ottenere un profitto ingiusto, e dunque non una qualsiasi controprestazione ma un risultato iniquo, perché ampiamente esorbitante ovvero addirittura non dovuto rispetto a quello conseguibile attraverso l'esercizio del diritto, che viene strumentalizzato per scopi contra ius, diversi cioè da quelli per cui esso è riconosciuto e tutelato. Al fine della configurazione del reato è dunque necessario che il giudice valuti in modo completo e coerente le pretese contrapposte delle parti ed accerti che il profitto non sia affatto riferibile al diritto vantato e concretamente azionabile, mediante un apprezzamento di fatto che, ove sorretto da adeguata e logica motivazione, è incensurabile in sede di legittimità.

Cass. pen. n. 10229/1999

Nel reato di estorsione la minaccia, oltre che palese, esplicita e determinata, può essere anche larvata o indiretta; essa deve ingenerare in chi la subisce un timore consistente nella paventata previsione di più gravi pregiudizi, sicché, in tema di tentativo, va considerata la potenzialità della minaccia stessa ad incutere paura, indipendentemente dal fatto che la vittima ne risulti effettivamente intimidita.

Cass. pen. n. 6647/1999

Non è qualificabile come estorsione la condotta di soggetto il quale, resosi aggiudicatario provvisorio di un bene posto all'incanto, a fronte della successiva offerta di acquisto con aumento di un sesto, avanzata da altro soggetto, chieda e ottenga da quest'ultimo la corresponsione di una somma di danaro in cambio della promessa di astenersi da un ulteriore rilancio dell'offerta. In tal caso, infatti, la somma di danaro anzidetta viene a costituire il compenso per il sacrificio costituito dalla rinuncia all'interesse, già manifestato dall'agente, di ottenere la aggiudicazione del bene.

Cass. pen. n. 3298/1999

In tema di estorsione, ai fini della configurabilità del reato sono indifferenti la forma o il modo della minaccia, potendo questa essere manifesta o implicita, palese o larvata, diretta o indiretta, reale o figurata, orale o scritta, determinata o indeterminata, purché comunque idonea, in relazione alle circostanze concrete, a incutere timore ed a coartare la volontà del soggetto passivo. La connotazione di una condotta come minacciosa e la sua idoneità ad integrare l'elemento strutturale del delitto di estorsione vanno valutate in relazione a concrete circostanze oggettive, quali la personalità sopraffattrice dell'agente, le circostanze ambientali in cui lo stesso opera, l'ingiustizia della pretesa, le particolari condizioni soggettive della vittima, vista come persona di norma impressionabilità, a nulla rilevando che si verifichi una effettiva intimidazione del soggetto passivo. (Nella specie, in applicazione di tali principi, la S.C. ha ritenuto che correttamente, sotto il profilo dell'idoneità della minaccia, fosse stato qualificato come tentativo di estorsione quello posto in essere da un soggetto abitualmente operante nell'ambito delle aste giudiziarie il quale, consapevole dell'interesse nutrito dalla persona offesa, proprietaria al 50% di un bene immobile la cui residua quota era stata messa all'asta, ad ottenerne l'aggiudicazione, aveva richiesto il versamento di una somma di denaro come unico mezzo per garantire tale risultato).

Cass. pen. n. 8309/1998

Il profitto dei delitti di furto o di rapina è costituito dal bene oggetto di sottrazione — al momento del cui impossessamento il reato si perfeziona — e non dalla diversa utilità da esso ricavabile mediante un'attività successiva, che non può dunque considerarsi assorbita nella condotta precedente. Ne consegue che quando tale attività consiste nella richiesta di un compenso a chi possedeva, accompagnata dalla prospettazione della mancata restituzione del bene sottratto, essa non può che considerarsi tesa a coartare l'altrui volontà a scopo di profitto: colui che sia stato privato illecitamente di un bene, infatti, conserva il diritto alla restituzione, oltre che l'aspettativa morale di riacquistarlo, sicché la richiesta di denaro in cambio dell'adempimento dell'obbligo giuridico di restituire, che incombe sull'agente, influisce sulla libertà di determinazione del soggetto passivo ed integra, di per sè, minaccia rilevante ai sensi dell'art. 629 c.p.

Cass. pen. n. 2724/1997

In tema di estorsione l'aggravante di cui all'art. 629 comma secondo c.p. — relativa a violenza o minaccia posta in essere da persona che fa parte di un'associazione di stampo mafioso — e quella prevista dall'art. 7 comma primo della legge 12 luglio 1991, n. 203 — rappresentata dall'avere commesso il fatto avvalendosi delle condizioni contemplate dall'art. 416 bis c.p. ovvero al fine di agevolare l'attività di associazione di stampo mafioso — sono incompatibili tra loro. Il loro concorso invero si risolverebbe in un'inammissibile duplicità dell'addebito perché le condizioni della condotta criminosa di cui alla legge speciale costituiscono connotazioni di appartenenza ad associazione del suddetto tipo.

Cass. pen. n. 3576/1997

In tema di estorsione, l'elemento costitutivo della minaccia diretta al conseguimento di un ingiusto profitto in tanto sussiste in quanto il destinatario di essa ne risulti coartato nella libera determinazione della volontà, trovandosi soggetto all'alternativa di adempiere a quanto richiesto o di subire il male minacciato; allorquando invece un soggetto, al fine di conseguire una qualsiasi utilità che gli può derivare dalla conclusione di un negozio giuridico, si induce ad aderire alle condizioni, quale che sia la loro natura, richieste ed imposte dalla controparte per la conclusione del negozio, che ben potrebbe rifiutare senza che alcun danno giuridicamente rilevante gliene derivi, alcun costringimento morale è ravvisabile, proprio perché l'aver sottostato a tali condizioni, anche se vessatorie, è frutto di una libera determinazione della volontà, effettuata in base ad una scelta autonoma, condizionata sì, ma non coartata.

Cass. pen. n. 9115/1996

In tema di estorsione, non esclude la consumazione del reato il fatto che la consegna del denaro da parte della vittima all'estorsore sia avvenuta sotto gli occhi delle forze dell'ordine preventivamente allertate ed appostate, le quali peraltro non l'abbiano impedita, ma siano intervenute soltanto dopo il conseguimento del possesso, ancorché temporaneo, della somma da parte dell'estorsore. Il reato di estorsione si consuma, infatti, nel momento e nel luogo in cui si verificano l'ingiusto profitto e il danno patrimoniale.

Cass. pen. n. 4825/1996

La distinzione tra il delitto di estorsione e quello di truffa aggravata dall'ingenerato timore di un pericolo immaginario, consiste nel diverso modo in cui viene prospettato il danno, in vista del quale la persona offesa si induce a quell'azione od omissione da cui deriva il conseguimento del profitto ingiusto dell'agente. Si ha truffa aggravata quando il danno non viene prospettato come certo e sicuro, ma soltanto come possibile ed eventuale e mai proveniente direttamente o indirettamente dall'imputato, giacché in tal caso l'offeso non è coartato nella sua volontà ma si determina all'azione di omissione in stato di errore.

Cass. pen. n. 4308/1996

Per la sussistenza del delitto di estorsione non si richiede che la volontà del soggetto passivo, per effetto della minaccia, sia completamente esclusa, ma che, residuando la possibilità di scelta fra l'accettare le richieste dell'agente o subire il male minacciato, la possibilità di autodeterminazione sia condizionata in maniera più o meno grave dal timore di subire il pregiudizio prospettato; se la minaccia, viceversa, si risolvesse in un costringimento psichico assoluto, cioè in un annullamento di qualsiasi possibilità di scelta, ed il risultato dell'agente fosse il conseguimento di un bene mobile, si configurerebbe infatti un vero e proprio «impossessamento» e, conseguentemente, il diverso reato di rapina. (In applicazione di detto principio la Corte ha annullato la decisione del giudice di merito che aveva escluso la configurabilità del delitto di estorsione in una fattispecie relativa a minaccia, effettuata dal responsabile di un'azienda del latte ad un fornitore, di escluderlo dalla possibilità di essere scelto fra le ditte fornitrici dell'azienda stessa se non avesse corrisposto una percentuale sull'importo di uno stipulando contratto).

Cass. pen. n. 163/1994

Salvo che per il parcheggio non vi sia una tariffa determinata con provvedimento dell'autorità comunale, il posteggiatore, pur se autorizzato dall'autorità di pubblica sicurezza a svolgere tale mestiere, non ha alcun diritto a pretendere un compenso dagli automobilisti che lasciano in sosta la loro vettura, a meno che costoro non gliela abbiano consegnata, facendogli obbligo di custodirla (artt. 1766 e ss. c.c.). Pertanto, è ravvisabile il reato di tentata estorsione, e non già quello di tentata violenza privata aggravata a carico del posteggiatore il quale cerchi di costringere con la violenza un automobilista che aveva lasciato in sosta l'auto in zona ove non era stato istituito alcun parcheggio autorizzato, a corrispondergli una somma di denaro.

Cass. pen. n. 9498/1993

Le circostanze aggravanti previste, rispettivamente, dagli artt. 628, terzo comma, n. 3, c.p., 629, secondo comma, c.p. e 7 D.L. 13 maggio 1991, n. 152 convertito in L. 12 luglio 1991, n. 203, possono concorrere qualora l'agente, oltre ad appartenere ad una associazione di tipo mafioso, si sia avvalso nel commettere la rapina o l'estorsione della forza intimidatrice derivante da tale appartenenza.

Cass. pen. n. 1683/1993

Con la norma contenuta nell'art. 610 c.p. si tutela la libertà di autodeterminazione spontanea dell'individuo, al di fuori di qualsiasi limite o condizione che non sia legittimamente posta. Se la coartazione da parte dell'agente è diretta a procurarsi un ingiusto profitto, che può anche essere non patrimoniale, con altrui danno, che non può non rivestire la connotazione di natura patrimoniale, dovendo consistere in un'effettiva deminutio patrimonii, ricorre il delitto di estorsione.

Cass. pen. n. 1052/1993

Integra il delitto di tentata estorsione la condotta di chi — nella specie necroforo presso ospedale — induca i familiari di persona deceduta a non servirsi di impresa di pompe funebri, perché indicata come abusiva, circostanza non corrispondente al vero, ed indichi strumentalmente altra impresa, correlativamente formulando al titolare della prima, dopo le rimostranze di questi, richiesta di denaro («ed a me questi chi me li dà?» sfregando il pollice e l'indice della mano destra), dopo avere affermato che per ogni funerale egli riceveva dalle altre imprese una somma di denaro.

Cass. pen. n. 47/1993

In tema di estorsione è da ritenersi verificata la consumazione del reato allorché l'estorsore, nonostante il servizio di rafforzamento predisposto dalla polizia, riesca ad impossessarsi, anche per un breve lasso di tempo, della somma di denaro messa a sua disposizione dal soggetto passivo della violenza o della minaccia. Quindi, anche se la consegna del denaro si svolge sotto la vigilanza della polizia e l'estorsore resti nel possesso del denaro per pochi istanti, non si verte in tema di tentativo perché il delitto deve ritenersi consumato, in quanto tale reato si realizza nel momento e nel luogo in cui si verificano l'ingiusto profitto e il danno patrimoniale.

Cass. pen. n. 1071/1992

La prospettazione di un male ingiusto, come la divulgazione di lettere o di documenti compromettenti, può integrare il delitto di estorsione, pur quando si persegua un giusto profitto e il negozio concluso a seguito di essa si riveli addirittura vantaggioso per il soggetto destinatario della minaccia.

Cass. pen. n. 1556/1992

Non è configurabile il reato di ragion fattasi, sibbene quello di estorsione, concorrente con quello di associazione per delinquere, allorché si sia in presenza di una organizzazione specializzata in realizzazione di crediti per conto altrui, la quale operi, in vista del conseguimento anche di un proprio profitto, mediante sistematico ricorso alla violenza o ad altre forme di illecita coartazione nei confronti dei soggetti indicati come debitori.

Cass. pen. n. 3380/1992

La minaccia, ancorché non penalmente apprezzabile quando è legittima e tende a realizzare un diritto riconosciuto e tutelato dall'ordinamento giuridico, diviene contra ius quando, pur non essendo antigiuridico il male prospettato, si faccia uso di mezzi giuridici per scopi diversi da quelli per i quali sono stati apprestati dalla legge. Conseguentemente, in tema di estorsione la minaccia di un male legalmente giustificato assume il carattere di ingiustizia quando sia fatta non già per esercitare un diritto sibbene con il proposito di coartare la volontà di altri per soddisfare scopi personali non conformi a giustizia.

Cass. pen. n. 8496/1991

In tema di estorsione, una minaccia dall'esteriore apparenza di legalità, come quella di convenire in giudizio il soggetto passivo, formulata, però, non già con l'intenzione di esercitare un diritto, ma con lo scopo di coartare l'altrui volontà e di attingere risultati non conformi a giustizia, può costituire una illegittima intimidazione idonea ad integrare il delitto di cui all'art. 629 c.p. Ne consegue pertanto che è da escludere che la prospettazione dell'esercizio di un'azione civile, diretta a conseguire in via giudiziaria il medesimo risultato che viene negato altrimenti, possa configurare il reato de quo. (Nella fattispecie l'azione civile era stata effettivamente esercitata, restando immutati petitum e causa petendi. Questa Corte nell'affermare il principio suddetto, ha escluso l'antigiuridicità di tal genere di minaccia, rilevando che diversamente argomentando, sarebbe automatico ed inevitabile il collegamento tra la responsabilità aggravata di cui all'art. 96 c.p.c. e il delitto di cui all'art. 629 c.p.).

Cass. pen. n. 6524/1991

In tema di estorsione, occorre la prova rigorosa e certa che la minaccia usata, in qualsiasi forma, dal soggetto attivo sia effettivamente idonea a coartare la volontà del soggetto passivo, perché si concretizzi il dolo specifico richiesto per il delitto di cui all'art. 629 c.p.

Cass. pen. n. 5504/1991

In tema di estorsione, l'aggravante delle più persone riunite nel commettere la violenza e/o la minaccia — elementi costitutivi di tale delitto — si giustifica per la maggiore idoneità dell'azione a produrre più gravi effetti fisici e/o psicologici in danno del soggetto passivo, di cui tendono ad elidere o diminuire la capacità di resistere. Per quanto riguarda la minaccia telefonica — a parte il caso in cui le minacce siano reiterate e provenienti da persone diverse — l'aggravante sussiste ogniqualvolta il soggetto passivo abbia acquisito la sensazione che essa provenga non solo dal singolo che la profferisce, ma che costui manifesti le comuni, perverse, intenzioni di più persone di cui si faccia portavoce. (Nell'affermare il principio di cui in massima la Cassazione ha altresì precisato che l'aggravante attiene anche al reato tentato).

Cass. pen. n. 2460/1991

In tema di estorsione, il profitto deve ritenersi ingiusto allorché sia fondato su una pretesa non tutelata dall'ordinamento giuridico né in via diretta — quando, cioè, si riconosce al suo titolare il potere di farla valere in giudizio — né in via indiretta — quando, pur negandosi il potere di agire, si accordi il diritto di ritenere quanto spontaneamente sia stato adempiuto, come nel caso delle obbligazioni naturali menzionate nell'art. 2034 c.c. Ne consegue, pertanto, che, essendo il contratto di cessione di droga nullo per illiceità della causa e non potendo sorgere dalla sua stipulazione alcuna pretesa tutelata dall'ordinamento, nessun dubbio può esservi sul carattere ingiusto del profitto perseguito da chi, con minacce e percosse, costringa un'altra persona a farsi consegnare una certa somma quale prezzo della droga consegnatale, e quindi sulla piena sussistenza di questo elemento costitutivo del delitto di cui all'art. 629 c. p., non potendosi, peraltro, invocare la tutela indiretta predisposta dall'art. 2035 c.c., con il riconoscimento della soluti redentio, trattandosi di norma che fa riferimento ad un atto contrario al buon costume, e non, come nel caso di specie, ad un atto contrario a norme imperative, secondo la distinzione contenuta nell'art. 1343 c.c.

Cass. pen. n. 12340/1990

È ravvisabile il delitto di tentata estorsione nel caso in cui l'agente tenga un comportamento minaccioso, tale da incutere timore, attuato con la volontà di costringere un venditore concorrente — nella specie degli stessi prodotti ortofrutticoli — a non continuare ad esercitare la vendita in un mercato, allontanandosi da esso. Nell'indicato comportamento sussistono gli altri elementi costitutivi del reato, cioè l'ingiusto profitto e il danno: il primo, perché l'azione dell'imputato è diretta ad ottenere il vantaggio di eliminare un concorrente nella vendita degli stessi prodotti con il conseguente profitto di attuare maggiori vendite e di realizzare maggiori guadagni, profitto ingiusto perché ottenuto col comportamento illecito di costringere il concorrente ad abbandonare il mercato; il secondo perché la persona offesa — che aveva ottenuto regolare licenza per sostare e per vendere nel mercato — avrebbe dovuto, allontanandosene, rinunciare alla vendita dei propri prodotti con il conseguente danno di non ricevere il prezzo corrispondente e quindi il previsto guadagno.

Cass. pen. n. 11713/1990

Ricorre un'ipotesi di tentata estorsione nella condotta del ladro o del ricettatore che, in adesione all'offerta del derubato, si dichiari disposto alla restituzione della refurtiva (nella specie un'autoradio) verso corrispettivo (nella specie una dose di sostanza stupefacente).

Cass. pen. n. 10155/1990

Ai fini della sussistenza del reato di estorsione, di cui all'art. 629 c.p., costituisce minaccia qualsiasi prospettazione di un danno ingiusto rilevante, e tale non può non considerarsi il rendere difficoltoso o ritardare il recupero della refurtiva, perché anche in questo caso il soggetto passivo viene a trovarsi nella condizione di dover subire la volontà illecita del reo per evitare ulteriori pregiudizi. (Nella specie il ricorrente aveva preteso l'insussistenza del reato di estorsione perché questo si avrebbe solo quando la perdita della refurtiva è minacciata in via definitiva).

Cass. pen. n. 9423/1990

È configurabile il delitto di estorsione consumato e non tentato se oggetto del reato sia un titolo di credito trasmissibile per girata.

Cass. pen. n. 3797/1990

I reati di cui agli artt. 629 e 353 c.p. possono concorrere formalmente. Le due norme infatti hanno diversa obiettività giuridica: la prima tutela il patrimonio, attraverso la repressione di atti diretti a coartare la libertà di autodeterminazione del soggetto negli atti di disposizione patrimoniale; la seconda tutela la libera formazione delle offerte nei pubblici incanti e nelle licitazioni private.

Cass. pen. n. 3607/1990

Nel delitto di estorsione, la circostanza aggravante di più persone riunite è configurabile anche se la minaccia sia stata esercitata da un solo soggetto, in quanto non è necessaria la presenza contestuale di più correi nel luogo di esecuzione del reato, ma è sufficiente che il soggetto passivo venga a conoscenza del fatto che la violenza o la minaccia provengono da più persone, avendo tale fatto per se stesso maggiore effetto intimidatorio, nel che consiste la ratio dell'aggravante.

Cass. pen. n. 679/1990

Il danno non patrimoniale non lede l'interesse che costituisce l'oggetto giuridico del delitto di estorsione; infatti, trattandosi di un delitto contro il patrimonio, il danno che il soggetto passivo della violenza o altri deve subire in seguito all'imposizione deve essere un danno patrimoniale. (La cassazione ha pure evidenziato che anche la rinuncia ad un diritto può essere patrimonialmente dannosa purché essa importi obbligazioni patrimoniali dannose).

Il delitto di estorsione costituisce un titolo specifico di violenza privata differenziandosi da questo, di cui presenta tutti i requisiti, soltanto per l'elemento dell'ingiusto profitto con danno altrui che nell'estorsione costituisce lo scopo caratteristico dell'azione ed il momento consumativo del reato.

Cass. pen. n. 273/1990

Il delitto di estorsione, previsto e punito dall'art. 629 c.p., si realizza in tutti i suoi elementi costitutivi nel momento e nel luogo in cui si verificano l'ingiusto profitto e il danno patrimoniale. Ne consegue che, nel caso in cui l'agente, nonostante l'intervento della polizia, concordando con la vittima, sia riuscito, anche per alcuni attimi, ad impossessarsi della cosa o del danaro, il delitto deve ritenersi consumato.

Cass. pen. n. 151/1990

Sussiste l'ingiustizia del profitto, e quindi il delitto di estorsione, anche se la violenza o la minaccia viene usata dall'agente per ottenere l'adempimento di una obbligazione naturale. Infatti, per questa non è data azione davanti al giudice ed anche l'eccezione della soluti retentio resta esclusa in caso di adempimento coatto. (Fattispecie relativa a credito da scommessa).

Cass. pen. n. 14401/1989

Ai fini della consumazione del delitto di estorsione sono sufficienti, da un lato, il conseguimento del possesso della cosa o del denaro o del titolo, in cui si sostanzia il profitto ingiusto realizzato mediante violenza o minaccia e, dall'altro, il danno patrimoniale arrecato alla parte lesa, essendosi, con il verificarsi di tali elementi costitutivi della fattispecie penale, il fatto illecito interamente esplicato. Ne consegue che, qualora venga estorto un assegno bancario, non rilevano al riguardo né la successiva lacerazione di esso da parte degli estortori, né la posdatazione, né la omessa indicazione del beneficiario e né, infine, la insufficiente provvista.

Cass. pen. n. 10693/1989

Costituisce intimidazione illegittima, idonea, come tale, ad integrare il delitto di estorsione ex art. 629 c.p., anche una minaccia dalla parvenza esteriore di legalità allorquando sia fatta, non già con l'intenzione di esercitare un diritto, ma allo scopo di coartare l'altrui volontà e di ottenere risultati non consentiti attraverso prestazioni non dovute nell'an o nel quantum o quando pur correlandosi ad un diritto riconosciuto e tutelato dall'ordinamento se ne realizzi, suo tramite, un distorto esercizio per il conseguimento di scopi contra ius, diversi come tali da quelli per cui lo stesso è stato riconosciuto e tutelato. (Nella fattispecie è stata ritenuta legittima la configurabilità del reato di estorsione con abuso della posizione dominante dell'analista e sfruttamento di quella psicologicamente subordinata dell'analizzato, avendo il primo minacciato di recedere dal contratto, interrompendo il rapporto di analisi, al fine di ottenere l'erogazione non dovuta e non voluta di capitali imponendo all'analizzato l'acquisto di quote sociali).

Cass. pen. n. 10491/1989

Si configura il delitto di estorsione anche nell'ipotesi in cui taluno, essendo a conoscenza del furto di una cosa, usi di siffatta conoscenza come mezzo di pressione morale sull'animo del derubato, richiedendogli l'esborso di danaro per farlo rientrare in possesso della refurtiva; in tal caso infatti la costrizione richiesta per l'integrazione del suddetto delitto è determinata dalla minaccia implicita, contestuale alla stessa richiesta di pagamento, essendo il derubato consapevole del fatto che l'omesso versamento si tradurrebbe nella perdita definitiva del bene sottrattogli (fattispecie in tema di tentativo).

Colui che, per i legami con l'autore del furto, conduca le trattative rivolte a far ottenere al derubato la restituzione della refurtiva contro il pagamento di una somma, ben può ritenersi responsabile di estorsione, ovvero di concorso in essa, quando agisca anche nell'interesse del ladro, contribuendo in tal caso con la sua condotta all'opera di pressione nei confronti del derubato (fattispecie in tema di tentativo).

Cass. pen. n. 10176/1988

In tema di delitto di estorsione, nell'ipotesi di richiesta di somma di danaro condizionante la restituzione delle cose sottratte, non può ritenersi opera di semplice mediazione, ispirata da motivi di solidarietà umana, la condotta dell'agente che, intervenuto nelle trattative di riscatto, abbia lucrato una somma di danaro.

Cass. pen. n. 9080/1988

Integra minaccia idonea a determinare la condizione di soggezione psicologica, ai fini della sussistenza del delitto di estorsione, di cui all'art. 629 c.p., il comportamento di più persone, nella specie cinque, le quali, suscitando grave timore nei gestori di un circolo privato, costringono i medesimi, con la prepotenza dei modi e la forza intimidatrice del numero e della fama delle loro malefatte, a tollerare la loro presenza nel circolo, pur non essendone soci, e la consumazione di liquori e altro senza pagarne l'importo.

Cass. pen. n. 8295/1988

In tema di estorsione, allorché sia consegnata una somma di danaro, anche se inferiore a quella richiesta e la stessa somma sia entrata per pochi momenti nel possesso dell'estorsore e per pochi momenti sia uscita dalla sfera di disponibilità della vittima, con evidente danno della medesima, si è in presenza del delitto di estorsione consumata e non già tentata.

Cass. pen. n. 7115/1988

Sussiste il reato di estorsione consumata nel caso in cui il fallito costringa taluno a stipulare una transazione per somma di gran lunga inferiore rispetto al credito a quest'ultimo riconosciuto in sede giudiziaria, poiché la detta transazione è solo inefficace (o non opponibile alla massa), ma non è nulla.

Cass. pen. n. 5570/1988

Il delitto di estorsione è configurabile, in concreto, in presenza della specifica richiesta, da parte del ricettatore di una somma di danaro per la restituzione della cosa sottratta, in quanto in tale pretesa è implicita la minaccia del danno derivante dalla perdita definitiva della refurtiva, che si sostanzia in una evidente coazione sulla volontà del derubato.

Cass. pen. n. 4702/1988

Nell'estorsione commessa a mezzo telefono, poiché possa configurarsi l'aggravante delle più persone riunite non basta che il telefonista ponga in essere la minaccia qualificandosi come emissario di una banda senza esserlo, ma occorre che egli sia l'effettivo portavoce di una decisione assunta collettivamente ed esprima la specifica volontà di più partecipanti nel delitto.

Cass. pen. n. 3717/1988

In tema di estorsione, quando si tratta di azione intimidatrice indiretta, come quella compiuta con il mezzo della lettera o della telefonata minatoria, ovvero di azione clandestina, come l'esplosione di un ordigno presso il muro di cinta dell'abitazione della vittima, il contemporaneo impegno occulto di più persone non ha modo di estrinsecare una capacità intimidatoria maggiore di quanto non possa derivare dalla semplice consapevolezza della partecipazione, anche soltanto morale e non operativa di più persone al progetto criminoso considerato nella sua globalità. Ne consegue che va esclusa in tale ipotesi l'aggravante delle più persone riunite.

Cass. pen. n. 2822/1988

Ai fini della configurabilità del reato di estorsione di cui all'art. 629 c.p., la richiesta effettuata dai sequestratori nei confronti del sequestrato, al momento della liberazione, di pagare successivamente il prezzo del riscatto, costituisce minaccia idonea a coartare la libertà psichica della persona offesa.

Cass. pen. n. 2539/1988

La ragione d'essere dell'aggravante, di cui al combinato disposto artt. 629 cpv. e 628, terzo comma n. 1 c.p., risiede nella maggior forza coercitiva che indubbiamente esercita la minaccia allorché la stessa provenga non già da un singolo soggetto, ma da più persone, che agiscano unitamente tra loro. Ne consegue che l'azione intimidatrice congiunta assume rilievo ai fini della sussistenza dell'aggravante suddetta quante volte di tale maggior forza coercitiva il soggetto passivo assuma coscienza attraverso qualsiasi mezzo che valga a fargli percepire l'azione medesima, per cui detta aggravante sussiste quand'anche manchi, come nel caso di lettera o telefonata minatoria, un contatto diretto ed immediato con tutti i partecipanti dell'estorsione purché risulti provato che la vittima abbia avuto la netta e sicura sensazione della provenienza dell'azione costrittiva da parte di persone.

Cass. pen. n. 2416/1988

Ai fini della sussistenza del delitto di estorsione, è irrilevante l'individuazione del momento in cui si è avuto il pregiudizio patrimoniale del soggetto passivo a seguito della condotta impostagli, una volta che sia rimasto accertato il rapporto di causa ad effetto tra la violenza o minaccia posta in essere dagli estortori e la consegna della somma da parte della vittima del ricatto.

Cass. pen. n. 1080/1988

Sussiste il reato di estorsione, e non quello di truffa aggravata ai sensi dell'art. 640, cpv. n. 2, c.p., quando l'agente consegua il profitto rappresentando una situazione di pericolo che ingeneri nel soggetto passivo il timore che il male minacciato sia certo e che provenga dall'agente stesso o da persona a lui collegata, realizzandosi invece il secondo reato quando il pericolo sia prospettato come soltanto eventuale e possibile, senza il concorso della volontà di colui che lo rappresenta.

Cass. pen. n. 10877/1987

Ai fini della consumazione del reato di estorsione, non è necessario che il profitto sia stato materialmente realizzato, essendo sufficiente la mera disponibilità del bene acquisito attraverso la violenza o la minaccia.

Cass. pen. n. 10150/1987

La richiesta di danaro giustificata dalla necessità di soddisfare le sia pur modeste esigenze di persone detenute integra gli estremi del delitto di estorsione, anche se formulata in termini di estrema cortesia, quando l'invito a pagare serve ad incutere nella vittima il timore di rischi e pericoli inevitabili (implicitamente per le allusioni generiche a danni futuri, attraverso l'ostentazione simbolica di mezzi idonei a recare nocumento, ed esplicitamente per l'uso di intimidazione violenta contemporaneamente effettuata da persona apparentemente ignota).

Cass. pen. n. 10082/1987

La circostanza aggravante del numero delle persone nel reato di estorsione è configurabile anche nell'ipotesi in cui la violenza o minaccia sia esercitata in forma mediata, a mezzo di lettera, telefono o nuncius, quando il soggetto passivo abbia avuto la netta e sicura sensazione della provenienza dell'azione costrittiva da parte di più persone. (Nella specie è stata ritenuta la sussistenza dell'aggravante, poiché le parti lese ebbero, per le modalità dei crimini e per l'alternanza di varie persone al telefono, la precisa percezione di essere vittime di una banda di estorsori).

Cass. pen. n. 9824/1987

In tema di estorsione, ai fini della configurabilità della circostanza aggravante delle «più persone riunite» non è necessaria la simultanea presenza fisica di più persone nel luogo e nel momento della consumazione del delitto, ma è sufficiente che la condotta estorsiva venga posta in essere da una pluralità di soggetti agenti in concorso e che il carattere solidale dell'azione costrittiva, sia percepito dal soggetto passivo, il quale si renda conto, cioè, che più persone si sono coalizzate ai suoi danni.

Cass. pen. n. 9454/1987

Il reato di estorsione si consuma con la consegna da parte della vittima della somma di denaro al richiedente. È irrilevante che l'autore dell'estorsione abbia mantenuto il possesso delle cose profitto di reato per un periodo anche estremamente breve e che le cose stesse siano state recuperate poco dopo per il predisposto intervento della polizia o di terzi. (Nella fattispecie è stato escluso che, pur essendo durato pochi istanti il possesso conseguito dal reo, fosse configurabile il tentativo, invece del reato consumato).

Cass. pen. n. 9364/1987

In tema di estorsione, la ratio dell'aggravante del numero delle persone di cui all'art. 629, secondo comma, c.p., si lega alla obiettiva pericolosità del fatto e alla maggiore efficacia intimidatrice della presenza di più persone, ancorché la violenza o minaccia sia stata posta in essere da una sola persona. Ne consegue che — all'infuori di un concorso circoscritto alla fase di preparazione o ideazione del delitto, in cui sarà applicabile, ricorrendone gli estremi, la norma dell'art. 112, n. 1, c.p. (cinque o più persone) — sussiste l'aggravante di cui al secondo comma dell'art. 629 c.p., anche nel caso di due o più compartecipi.

Cass. pen. n. 1207/1987

Nell'ipotesi in cui il responsabile del delitto di usura ponga in essere una minaccia per ottenere il pagamento degli interessi usurari, è configurabile il delitto di estorsione e non quello di ragion fattasi, poiché l'agente è consapevole di esercitare la minaccia stessa per ottenere il soddisfacimento dell'ingiusto profitto derivante da una pretesa contra ius, egli non può avere infatti la ragionevole opinione di far valere un diritto tutelabile con l'azione giudiziaria, che gli è negata in considerazione dell'illiceità della pretesa.

Cass. pen. n. 13333/1986

Allorché il ladro solleciti il derubato al versamento di una somma per farlo rientrare in possesso del bene sottrattogli, è sempre configurabile il delitto di estorsione, in quanto la costrizione è determinata dalla minaccia implicita e contestuale alla stessa richiesta di pagamento, essendo il derubato consapevole del fatto che l'omesso versamento si tradurrebbe immediatamente nella perdita definitiva del bene.

Cass. pen. n. 13329/1986

Si configura il delitto di estorsione nella ipotesi in cui l'imputato, essendo a conoscenza del furto di una cosa, usi di questa conoscenza come mezzo di pressione morale sull'animo del derubato, richiedendogli l'esborso di una somma di danaro per farlo rientrare in possesso della res furtiva. (Fattispecie in ipotesi di tentativo).

Cass. pen. n. 11069/1986

Il delitto di estorsione è configurabile anche in un comportamento apparentemente corretto ma implicitamente portatore di minacce, anche indeterminate, così da far sorgere nella persona offesa la preoccupazione di un ineludibile pregiudizio. (Nella specie, la corte ha ritenuto integrare il delitto di estorsione la richiesta di denaro fatta sotto forma di colletta presso i commercianti di un rione, ed a beneficio degli ex detenuti).

Cass. pen. n. 7382/1986

Il delitto di estorsione, che è un tipico delitto contro il patrimonio, si distingue dalla violenza privata, che è un reato contro la libertà morale, per il fine specifico di conseguire un ingiusto profitto con altrui danno. (Nella specie, relativa a ritenuta estorsione, le persone offese, coartate, vessate, maltrattate e suggestionate, erano state costrette, alle dipendenze dell'imputato, a lavori ingrati per conto di questi, senza ricavarne alcuna retribuzione, salvo il minimo di sostentamento per una mera sopravvivenza).

Cass. pen. n. 7380/1986

La minaccia idonea a configurare il delitto di estorsione può assumere forme ben diverse, come quella della prospettazione di azioni giudiziarie, che si traduce in un male ingiusto nel caso di pretestuosità della richiesta, o come quella della denunzia penale, che si rivela ingiusta quando la utilità in cui si concreta non sia dovuta e di ciò l'agente sia consapevole.

Cass. pen. n. 3824/1986

Per configurarsi il reato di estorsione è sufficiente che la minaccia, che è elemento costitutivo, sia tale da incutere una coercizione dell'altrui volontà ed a nulla rileva che il soggetto passivo in effetti non si sia intimidito né rileva la misura dell'intensità del proposito dell'agente riguardo alla realizzazione del male minacciato.

Cass. pen. n. 3651/1986

Nel delitto di estorsione e in quello di rapina il dolo deve essere escluso e il fatto può essere qualificato come esercizio arbitrario delle proprie ragioni nell'ipotesi in cui l'autore della violenza o della minaccia abbia agito nella convinzione ragionevole, se pure eventualmente errata, della legittimità della propria pretesa. In tal caso, la possibilità del ricorso al giudice, ai fini della minore ipotesi delittuosa prevista dall'art. 393 c.p., deve esistere obiettivamente, in base all'ordinamento giuridico, e non può essere valutata solo con riguardo all'operazione soggettiva dell'agente; né rileva l'eventuale errore in cui quest'ultimo sia incorso trattandosi di errore avente ad oggetto una norma extrapenale che costituisce il presupposto del precetto penale — in esso inserendosi e completandolo — e che, quindi, non può valere come scusante.

Cass. pen. n. 9513/1985

Ad integrare la minaccia finalizzata all'estorsione è sufficiente quella implicita di non poter ottenere la restituzione del maltolto.

Cass. pen. n. 8731/1984

Il delitto di estorsione è configurabile sia quando si minaccia una denunzia, una querela o una citazione, diretta più che al riconoscimento di un diritto, alla realizzazione di un profitto ingiusto, sia quando la violenza o la minaccia — perfino indiretta e mediata — si prospettano, come fine ultimo, di paralizzare la legittima tutela di diritti e di interessi altrui per trarre, dalla inazione o dalla rinunzia, frutto della coartazione, proprio quel profitto che una tempestiva azione giudiziaria avrebbe potuto impedire.

Cass. pen. n. 3232/1984

In tema di delitto di estorsione sussistono gli estremi dell'idoneità della minaccia tutte le volte che, nell'apprezzamento dell'intera fattispecie e con riguardo alla volontà sopraffattrice dell'agente e alle particolari condizioni della vittima (carattere non coraggioso e già intimidito da recenti fatti di violenza), quest'ultima, di fronte alle ingiuste richieste del primo, venga a trovarsi nella condizione di doverne subire la volontà per evitare il paventato verificarsi di un più grave pregiudizio.

Cass. pen. n. 2480/1984

Il reato di estorsione è caratterizzato, quanto all'elemento psicologico, dalla consapevolezza di usare la violenza, fisica o morale, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto che si sa ingiusto, con necessaria estensione del dolo alla ingiustizia del profitto, che costituisce uno degli elementi materiali del reato.

Cass. pen. n. 2476/1984

Ai fini della configurabilità del reato di estorsione, anche la minaccia dell'esercizio di un diritto, in sé non ingiusta, può diventare tale, se l'esercizio del diritto è finalizzato a conseguire un profitto non dovuto. Tuttavia, la semplice strumentalizzazione dell'esercizio di un diritto, ove si esprima in termini contrattuali, in un rapporto paritario di libere determinazioni, pur diretta, per ipotesi, alla realizzazione di un notevole profitto, non rende questo ingiusto in senso tecnico, in quanto esso è rappresentativo di una prestazione nell'incontro sinallagmatico delle volontà. (Nella fattispecie, in sede di transazione di controversie pendenti tra locatore e locatario, quest'ultimo aveva richiesto la somma di lire 700.000 in corrispettivo di spese effettuate e dell'immediato rilascio dell'immobile. La S.C. ha annullato con rinvio la sentenza di condanna per tentata estorsione).

Cass. pen. n. 2964/1982

L'aggravante delle più persone, di cui all'art. 629 ultima parte c.p., non si identifica in un qualsiasi concorso di più persone, la cui partecipazione al reato può svolgersi in tempi e luoghi diversi ed anche mediante concorso soltanto morale, bensì nella presenza simultanea di più correi al momento e sul luogo del delitto.

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Consulenze legali
relative all'articolo 629 Codice Penale

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A. C. chiede
martedì 02/01/2024
“La minaccia ovvero la costrizione del Tizio nei miei confronti sia in proprio che nella qualità di liquidatore della Alfa che ha ad oggetto il compimento di un atto di disposizione patrimoniale negativo (remissione del debito certo, liquido ed esigibile di cui al decreto ingiuntivo del 21.11.23 disposto dal Tribunale ordinario di Roma) può configurare il reato di estorsione?

Consulenza legale i 08/01/2024
L’art. 629 c.p., punisce la condotta di chi, tramite violenza o minaccia, consegue un ingiusto profitto susseguente alla condotta della persona offesa dal reato che viene costretta a fare o omettere qualcosa.

Si noti che la persona offesa viene posta in una condizione di parziale immobilismo e costrizione, nel senso che questa, pur essendo fortemente coartata nella sua volontà, ha comunque la possibilità di scegliere se cedere o meno alla minaccia.

Ora, visto il tendenziale connotato di intrinseca illegalità che sembra denotare la condotta che dovrebbe porre il soggetto agente (la minaccia e la costrizione, di fatto, evocano di per se stesse condotte illecite), si è posto il problema di capire se la minaccia possa consistere in un male non oggettivamente ingiusto ma anche nell’esercizio di una facoltà riconosciuta dalla legge, come può essere la proposizione di un’azione giudiziaria.

Sul punto si è, quantomeno all’inizio, constatato un contrasto giurisprudenziale.

Da un lato, infatti, una parte della Cassazione riteneva che la condotta estorsiva dovesse necessariamente avere un connotato di intrinseca illiceità; diversamente ragionando, invero, non vi sarebbe la possibilità di coartare in maniera sufficiente la volontà della persona offesa dal reato.

Secondo altra giurisprudenza (attualmente dominante), invece, anche la minaccia di esercitare una prerogativa riconosciuta dall’ordinamento può integrare l’estorsione.
Ciò, però, solo laddove vi siano determinati requisiti e, nello specifico che l’azione giudiziaria miri a raggiungere un obiettivo abnorme e totalmente avulso dal risultato per il quale la medesima azione è preposta.

Ne consegue, quindi, che ritenere sussistente l’estorsione in caso di minaccia “lecita” non è affatto semplice per diverse ragioni.

In primo luogo è molto difficile distinguere i casi in cui un’azione giudiziaria, seppur infondata o azzardata, abbia in realtà un altro obiettivo incline a configurare un’ipotesi estorsiva.
Quand’anche tale obiettivo vi sia, lo stesso è molto difficile da provare.
Stante, comunque, la complessità del caso di specie, si consiglia di far riferimento ad un difensore di fiducia, anche per evitare il rischio di incorrere nel reato di calunnia laddove si volesse sporgere denunciaquerela.

Anonimo chiede
martedì 23/11/2021 - Liguria
“Premessa: nel corso di diversi scambi con un mio debitore, egli sostiene di ravvisare nelle mie legittime richieste, una diffamazione, perchè ho criticato il suo comportamentocon in copia i soci di entrambi. Non concordo ovviamente.
Il suo debito è certo, e sempre da lui riconosciuto formalmente, ma non essendo in grado di pagarlo, richiede una composizione bonaria, offrendo solo un piccolo ristoro che io non ritengo equo. Di fronte di una mia ultima diffida ad adempiere, mi ha inviato una raccomandata, dove dice che se non accetterò un saldo e stralcio da lui proposto per chiuderla in modo bonario, senza pertanto andare in giudizio, mi denuncerà ai carabinieri per diffamazione. Potrebbe questo configurare il reato di estorsione nella forma del tentativo?”
Consulenza legale i 23/11/2021
L’art. 629 c.p., punisce la condotta di chi, tramite violenza o minaccia, consegue un ingiusto profitto susseguente alla condotta della persona offesa dal reato che viene costretta a fare o omettere qualcosa.

Si noti che la persona offesa viene posta in una condizione di parziale immobilismo e costrizione, nel senso che questa, pur essendo fortemente coartata nella sua volontà, ha comunque la possibilità di scegliere se cedere o meno alla minaccia.

Ora, visto il tendenziale connotato di intrinseca illegalità che sembra denotare la condotta che dovrebbe porre il soggetto agente (la minaccia e la costrizione, di fatto, evocano di per se stesse condotte non legali), si è posto il problema di capire se la minaccia possa consistere in un male non oggettivamente ingiusto ma anche nell’esercizio di una facoltà riconosciuta dalla legge, come può essere la proposizione di un’azione penale.

Sul punto si è, quantomeno all’inizio, constatato un contrasto giurisprudenziale.

Da un lato, infatti, una parte della Cassazione riteneva che la condotta estorsiva deve necessariamente avere un connotato di intrinseca illiceità; diversamente ragionando, invero, non vi sarebbe la possibilità di coartare in maniera sufficiente la volontà della persona offesa dal reato.

Secondo altra giurisprudenza (attualmente dominante), invece, anche la minaccia di esercitare una prerogativa riconosciuta dall’ordinamento può integrare l’estorsione.
Ciò, però, solo laddove vi siano determinati requisiti e, nello specifico che l’azione giudiziaria miri a raggiungere un obiettivo abnorme e totalmente avulso dal risultato per il quale la medesima azione è preposta.

Nel caso di specie sembrano sussistere tutti gli elementi di cui sopra.

Il debitore, infatti, attraverso la denuncia per diffamazione, di fatto mira a ottenere un risultato del tutto avulso da quello cui è preposto la predetta denuncia (che sarebbe la formale punizione del colpevole di fatti di rilevanza penale con conseguente diritto al risarcimento del danno, se sussistente) e, segnatamente, una transazione relativa ad un rapporto di debito/credito col presunto diffamante.

Tale transazione, peraltro, sarebbe ingiustamente vantaggiosa nei confronti del debitore che, in buona sostanza, conseguirebbe un ingiusto profitto consistente nella parte di debito non adempiuto, pur essendo tale debito certo, liquido ed esigibile.

Insomma, nella vicenda in esame sembrano sussistere tutti i presupposti del reato di estorsione, quantomeno nella forma del tentativo e, onde arginare la condotta della controparte sarebbe opportuno adire le vie legali in modo tempestivo.

D.T. chiede
sabato 23/10/2021 - Lazio
“Mediazione obbligatoria per una causa di sfratto per finita locazione.
Il locatore ottiene dal Giudice l’ordinanza provvisoria di rilascio dell’immobile. Viene poi avviata la mediazione obbligatoria, durante la quale il locatore presenta una proposta volta a condizionare la volontà del conduttore, facendo forza sulla data già fissata dell’ingresso dell’Ufficiale Giudiziario con la Forza Pubblica.
Se la proposta ha un carattere estorsivo, in quanto il locatore otterrebbe un ingiusto profitto, può essere utilizzata in giudizio penale, data la riservatezza della mediazione? In pratica all’interno della mediazione si può compiere il reato di estorsione , con la presunta garanzia che non potrà essere manifestato?
Se durante la mediazione, il mediatore agisce cercando di intimidire il conduttore con frasi minacciose per fargli accettare la proposta del locatore e quindi portare a casa l’esito positivo della mediazione, la mediazione può essere invalidata?
La mediazione è avvenuta online, se è stata registrata , può essere utilizzata? e in cosa incorre chi ha fatto la registrazione?
Se la mediazione fallisce e la proposta del locatore viene fatta extramediazione tra avvocati, può il contenuto della proposta essere utilizzato in giudizio penale?”
Consulenza legale i 27/10/2021
Rispondiamo prima di tutto ai quesiti di ordine penale.

Il primo quesito attiene alla possibilità che, nel corso della mediazione, il mediatore in persona commetta il reato di estorsione di cui all’art. 629 c.p.

A tale quesito può essere data, in astratto, risposta positiva sebbene vadano fatte talune precisazioni.
Il tema, infatti, riguarda la possibilità che, attraverso un’azione di matrice legale, si possa compiere il reato di estorsione.
La questione è stata parecchio discussa in dottrina e in giurisprudenza in considerazione di due correnti opposte.
L’orientamento prevalente – è inutile dare conto delle diverse correnti vista la complessità dei temi giuridici – ritiene che, in casi del genere, il reato di estorsione possa essere posto in essere ma solo laddove, attraverso l’azione legale, il ricorrente miri ad ottenere un risultato che non potrebbe comunque ottenere anche laddove dovesse risultare vittorioso dal contenzioso medesimo.
In poche parole, dunque, la giurisprudenza è concorde nel ritenere sussistente l’estorsione solo laddove gli strumenti legali messi a disposizione delle parti vengano distorti e utilizzati per scopi cui gli stessi non sono preposti.

Fatta questa premessa, nel caso di specie l’estorsione potrebbe sussistere solo laddove la posizione assunta dal mediatore sia totalmente avulsa dai compiti che questi ha ex lege e che la stessa condotta sia finalizzata a raggiungere uno scopo che questi non avrebbe dovuto/potuto perseguire nell’ambito della mediazione.

Attenzione, dunque, a ritenere il mediatore colpevole di estorsione solo laddove questi abbia fatto una proposta – magari anche con volontà “rinforzata” – favorevole al conduttore ma che questi era comunque abilitato a fare secondo la legge vigente e la dinamica della vicenda nel suo complesso.

Nel caso di specie, peraltro, visto che la condotta promana direttamente dal mediatore (il quale, di base, non ha alcun interesse ad essere “parziale” rispetto ad una parte piuttosto che all’altra), si dovrebbe supporre che quest’ultimo sia in combutta col conduttore e concorrente nel reato ex art. 110 c.p.
Diversamente, la condotta del mediatore sarebbe del tutto incomprensibile, priva di movente e, molto probabilmente, non costituirebbe neanche il reato di estorsione.

A questo punto, vanno risolti i dubbi di ordine “processuale”.

Partendo dalla questione riguardante la possibilità di registrare la mediazione, è possibile farlo e, in un ipotetico procedimento penale, la videoregistrazione sarebbe valutata come un “documento” ex art. 234 c.p.p. e sarebbe, di conseguenza, sempre producibile.
Nell’ambito del processo penale, invero, le uniche limitazioni attinenti a eventuali prove simili riguardano solo le intercettazioni in senso stretto, alle quali non possono essere equiparate audio o videoregistrazioni cui il soggetto registrante era presente (come si immagina nel caso di specie).
In tale ultimo caso, le limitazioni di solito vigenti per le intercettazioni in senso stretto vengono meno proprio per il fatto che le esigenze di privacy (cui tali limitazioni sono preposte a tutelare), sono attenuate proprio dalla presenza del registrante alla conversazione.

Allo stesso modo, è pure possibile dare risposta affermativa all’ultimo quesito.
Proprio in virtù dell’amplissima libertà probatoria che è conferita alle parti nel processo penale, anche l’eventuale proposta del locatore fatta extra mediazione sarebbe producibile come documento nel processo penale.
Tale libertà, lo si ricordi, è giustificata soprattutto dal fatto che, visti i rilevantissimi interessi in gioco nell’ambito di qualsiasi procedimento penale (primo tra tutti la libertà personale), in un ipotetico bilanciamento questi avranno sempre la meglio rispetto a interessi minori, come quello alla riservatezza etc.

Va, però, detta un’ultima cosa.

Il processo penale è basato sui principi di oralità e immediatezza e la parte più rilevante di ogni contenzioso è l’istruttoria orale, eseguita attraverso l’escussione dei testimoni.
Non va dunque sottovalutato il fatto che, nonostante un documento o una videoregistrazione sembrino conferire fondamento a talune circostanze, gli stessi potrebbero essere “letti” in modo diverso a seguito dell’escussione dei testimoni che hanno partecipato alla formazione di quei mezzi di prova il cui significato potrebbe, quindi, mutare.

Sotto il profilo civile, in risposta alla domanda: “Se durante la mediazione, il mediatore agisce cercando di intimidire il conduttore con frasi minacciose per fargli accettare la proposta del locatore e quindi portare a casa l’esito positivo della mediazione, la mediazione può essere invalidata?” possiamo osservare quanto segue.

La normativa relativa al procedimento di mediazione è contenuta nel D.Lgs n. 28/2010 il quale tuttavia non contiene riferimenti attinenti al caso specifico prospettato.
Il legislatore ha soltanto previsto, all’art.10 che “le dichiarazioni rese o le informazioni acquisite nel corso del procedimento di mediazione non possono essere utilizzate nel giudizio avente il medesimo oggetto anche parziale, iniziato, riassunto o proseguito dopo l'insuccesso della mediazione, salvo consenso della parte dichiarante o dalla quale provengono le informazioni. Sul contenuto delle stesse dichiarazioni e informazioni non e' ammessa prova testimoniale e non puo' essere deferito giuramento decisorio.”
Al successivo art. 11 è altresì specificato che: “Se è raggiunto un accordo amichevole, il mediatore forma processo verbale al quale è allegato il testo dell'accordo medesimo.“
Quest’ultima disposizione viene interpretata da prevalente dottrina e giurisprudenza nel senso di equiparare l’accordo di mediazione alla transazione di cui all’art.1965 c.c. (che altro non è che un contratto).

In una sentenza del 22 ottobre 2014, il tribunale di Roma aveva evidenziato in merito a tale aspetto che: “l’accordo di mediazione – che potrà assumere le forme più varie per risolvere la lite (come ad esempio attraverso la rinunzia al diritto di proprietà ovvero la rinuncia alla domanda di usucapione a fronte del pagamento di una somma di denaro), senza coincidere con il contenuto della pronuncia giudiziaria richiesta da parte attrice – è espressione del potere negoziale delle parti ex art 1321 c.c. in quanto attraverso di esso viene regolamentata la situazione giuridica sostanziale”.

Pertanto, in linea di principio, anche all’accordo di mediazione sarà applicabile la normativa generale in materia di annullamento del contratto (articoli 1427 e seguenti del codice civile).

Ciò posto, laddove, come prospettato nel caso in esame, un mediatore abbia addirittura “cercato di intimidire” una delle parti “con frasi minacciose” e il locatore abbia presentato “una proposta volta a condizionare la volontà del conduttore, facendo forza sulla data già fissata dell’ingresso dell’Ufficiale Giudiziario con la Forza Pubblica” potremmo in astratto ipotizzare l’applicazione dell’art. 1438 c.c. il quale dispone che la minaccia di far valere un diritto può essere causa di annullamento del contratto solo quando è diretta a conseguire vantaggi ingiusti.

Come ha però osservato la Suprema Corte sul punto con la sentenza n. 17523/2011: “la minaccia di far valere un diritto assume i caratteri della violenza morale, invalidante il consenso prestato per la stipulazione di un contratto, ai sensi dell'art. 1438 c.c., soltanto se è diretta a conseguire un vantaggio ingiusto; il che si verifica quando il fine ultimo perseguito consista nella realizzazione di un risultato che, oltre ad essere abnorme e diverso da quello conseguibile attraverso l'esercizio del diritto medesimo, sia anche esorbitante ed iniquo rispetto all'oggetto di quest'ultimo, e non quando il vantaggio perseguito sia solo quello del soddisfacimento del diritto nei modi previsti dall'ordinamento.“

Nella presente vicenda, non è specificato in cosa consisterebbe la proposta “estorsiva” e sulla base di quanto indicato nel quesito non è ravvisabile alcun vantaggio ingiusto dal momento che il locatore ha comunque un titolo esecutivo valido ed efficace come l’ordinanza provvisoria di rilascio.

A ciò si aggiunga che provare in un ipotetico giudizio un comportamento del genere sarebbe quanto mai arduo considerato che sicuramente nel verbale non vi sarà nulla di quanto prospettato nel quesito (quali le “frasi minacciose”) e che, in ogni caso, per espressa previsione degli articoli 9 e 10 del predetto D.Lgs 28/2010 vi è un obbligo di riservatezza (“Chiunque presta la propria opera o il proprio servizio nell'organismo o comunque nell'ambito del procedimento di mediazione e' tenuto all'obbligo di riservatezza rispetto alle dichiarazioni rese e alle informazioni acquisite durante il procedimento medesimo.”).

In conclusione, dal punto di vista civile ed in base agli scarni elementi in nostro possesso, si ritiene che non vi siano i presupposti per chiedere che la mediazione venga invalidata.

F. M. P. chiede
sabato 25/09/2021 - Lombardia
“Egregi signori,
sono a chiedervi il motivo per cui nella nota n. 3 in margine al testo dell'art. 629 c.p. viene affermato che il danno è esclusivamente patrimoniale.
Ammesso che sia così, il danno in questione deve necessariamente riguardare il patrimonio del soggetto che subisce il reato oppure può riguardare anche il patrimonio di un terzo?

Grazie in anticipo”
Consulenza legale i 29/09/2021
Quanto trascritto nelle note in calce al commento dell’art. 629 c.p. è corretto.

Il reato di estorsione, invero, è annoverato tra i delitti contro il patrimonio e, pertanto, trattandosi di un reato che è posto a tutela dell’integrità patrimoniale del soggetto leso, sussiste solo allorché il danno abbia una consistenza economica.

In tal senso depone anche l’argomento sistematico: ogni qualvolta, invero, il legislatore, nello sviluppare qualsivoglia fattispecie, ha inteso dare rilevanza ad una specie di danno diverso da quello patrimoniale, ha usato vocaboli come “nocumento”, “svantaggio” etc.

Il danno di cui parla l’art. 629, dunque, deve avere necessariamente e unicamente una connotazione patrimoniale e il soggetto che subisce tale danno deve, ancora necessariamente, essere il soggetto estorto.

Ciò anche in considerazione del fatto che l’estorsione è un reato caratterizzato da una necessaria connessione tra la minaccia/violenza e l’atteggiamento di patimento del soggetto passivo la cui efficacia non può che essere limitata alla propria sfera giuridica e non può – naturalmente – avere effetti su quella altrui.

Elena S. chiede
lunedì 04/01/2021 - Lombardia
“Buongiorno
Provo a descrivere il più sinteticamente possibile la situazione anche se è un po’ complessa, prima del quesito vero e proprio però le devo dare qualche delucidazione.
PREMESSA:
All’epoca dei fatti avevamo un distributore di carburante con officina meccanica in Milano. (da ottobre 2019 ci siamo trasferiti in altro comune portando solo l’attività di meccanico-gommista)
Durante il trasferimento dell’attività è risultato che presso la camera di commercio non fosse mai stato attivato il codice ATECO che fa riferimento all’attività di meccanico-gommista. (ora l’abbiamo attivata e siamo a posto)
L’attività ha inizio nel 2007 e già all’epoca era stato fatto tutto il necessario presso il comune di Milano per iniziare l’attività (tutto in cartaceo poiché allora così si usava). Nel 2014 oltretutto il comune ci ha chiesto di rimandare la SCIA in via telematica poiché essendo tutto molto vecchio avevano bisogno di aggiornamenti, la SCIA è stata inviata ed accettata senza nessuna riserva, quindi abbiamo proseguito tranquillamente la nostra attività. (allego le visure e la parte della scia dove sono scritti i codici attività ATECO)
Durante gli anni ci sono stati anche controlli da parte delle autorità preposte ma nessuno ha mai evidenziato questa incongruenza. Anche per quanto concerne i rifiuti speciali derivanti dall’officina li abbiamo sempre smaltiti secondo le norme di legge e presentato il relativo MUD.
QUESITO
Da febbraio a luglio 2019 abbiamo assunto un dipendente part-time (causa mia gravidanza) come supporto per l’officina. Ora il mio EX dipendente pretende di essere assunto nuovamente (x 8 mesi in tempo pieno) poiché lavorando presso di noi non ha maturato i requisiti per poter aprire a sua volta un’officina meccanica.
Nel caso non lo assuma mi denuncia per aver svolto attività in modo abusivo (e mi ha fatto intendere chiaramente che direbbe anche che lo abbiamo tenuto un periodo in nero).
Vorrei sapere se, in caso di denuncia, vado davvero incontro ad un processo penale, e se ci sono i presupposti per una condanna vista comunque l’evidente buona fede del nostro errore.
Si può parlare di ricatto?
La ringrazio
Cordiali saluti
Elena S.”
Consulenza legale i 07/01/2021
Rispondiamo ai quesiti singolarmente.

Per quanto attiene al rischio susseguente ad una ipotetica denuncia del lavoratore assunto, non sembrano sussistere motivi di preoccupazione.

Dal tenore del quesito e dalla documentazione letta, invero, non emergono dei profili di illegittimità dell’operato dell’officina meccanica e del distributore di carburante che possano essere concretamente valutati da qualsivoglia Procura della Repubblica.

L’unico elemento preoccupante potrebbe, semmai, riguardare il fatto che il lavoratore, per un breve periodo, è stato pagato in nero violando, in tal modo, la normativa in termini di assunzione. Tuttavia, è bene sapere che, in casi del genere, il datore di lavoro rischia solo una sanzione amministrativa atteso che, nel penale, sono ricomprese situazioni diverse, e ben più gravi da quella del caso in questione (le sanzioni penali riguardanti il lavoro in nero attengono sostanzialmente allo sfruttamento di manodopera connessa al fenomeno dell’immigrazione clandestina).

Se da un lato, dunque, la minaccia dell’ex dipendente non sembra essere preoccupante (per quanto detto più sopra), la stessa è, per altro verso, abbastanza grave, atteso che potrebbe rientrare anche nell’alveo di una fattispecie ben più grave di quella di cui all’art. 612 c.p., ovvero l’estorsione, prevista e punita dall’art. 629 del codice penale, eventualmente nella forma del tentativo.

L’articolo in parola, invero, punisce espressamente la condotta di chiunque che, tramite minaccia, costringa taluno a fare o ad omettere qualche cosa, procurando a sé o ad altri un ingiusto profitto, corollato dall’altrui danno.

Ora, che l’ex dipendente stia minacciando concretamente l’ex datore di lavoro è un dato acclarato; lo stesso dicasi del fatto che, chiaramente, attraverso tale minaccia l’ex dipendente mira al raggiungimento di un ingiusto profitto (una nuova assunzione) che produrrebbe, parallelamente, l’altrui danno susseguente all’ipotetico esborso di denaro dovuto ad un’assunzione forzata – e non voluta - da parte del datore di lavoro.

Peraltro, va detto che è da tempo che la giurisprudenza di legittimità si è pronunciata in senso favorevole con riferimento alla sussistenza del reato di estorsione laddove la minaccia abbia ad oggetto la prospettazione di un’attività legale, come la denuncia.
In questi casi, invero, secondo la giurisprudenza, la condotta del soggetto agente ha rilievo penale per il fatto che viene fatto un uso distorto dello strumento legale, che viene piegato alle “ragioni” ingiuste di colui che minaccia assumendo, così, una coloritura di illegittimità.

Sulla base di quanto suesposto, oltre ad ignorare le assurde pretese dell’ex lavoratore, si consiglia, al contrario, di procedere con una denuncia – [def ref=querela] nei confronti di quest’ultimo, anche perché tale circostanza potrebbe essere un fortissimo deterrente funzionale a fermare la condotta dell’ex dipendente.

Fedele M. chiede
domenica 11/10/2020 - Puglia
“Da convenuto in giudizio civile devo rendicontare in merito alla attività di gestore dei beni della mia defunta genitrice.
Nell’atto di citazione il coerede – attore elencava dettagliatamente tutti i beni e le attività da rendicontare. Fra questi una polizza di assicurazione sulla vita aperta dal coerede –attore stesso, contraente la comune genitrice, il cui titolo cartaceo fu da lui trattenuto, invocando infine la CTU.
I documenti in fotocopie da lui prodotti in giudizio certificano senza ombra di dubbio il valore iniziale del titolo pari a €. 368.500,00 e il totale dei premi versati di €. 468.499,98. (Per un prestito richiesto da una coerede prelevai €. 100.000,00. La somma venne prontamente restituita e riversata nel titolo, ecco quindi il totale dei premi versati : €.368.500+€.100.000,00=€ 468.499,00).
Costituito in giudizio, lo scrivente si dichiarava pronto al rendiconto ,precisando alcune poste e rigettandone altre. Nulla contestava in merito alla suddetta polizza, riconoscendo quindi i documenti in fotocopie prodotti conformi agli originali.
Espletate anche le prove testimoniali, su richiesta del Giudice nel tentativo di bonario componimento, il sottoscritto e l’attore predisposero rispettivamente proposte transattive, che risultarono però inconciliabili. Nella sua proposta transattiva l’attore riconfermava pari pari i beni e le attività da rendicontare, alterando però il valore iniziale della polizza da € 368.500,00 a € 468.499,98 senza fornire spiegazione alcuna.
Sicché il Giudice con sentenza non definitiva e successiva ordinanza, dispose il deposito del conto della gestione da me svolta e ammetteva la CTU. Nel provvedimento il Giudice elencava tutti i beni e le attività da rendicontare, fra questi indicava anche la polizza stipulata nel 2004 “dell’importo iniziale di € 468.499,98.”, confermando così quanto riportato dall’attore nella sua proposta transattiva. ( Una svista paradossale? Indubbiamente, ma anche una incompleta lettura delle carte processuali) .
Lo scrivente comunicava tempestivamente riserva di appello ed esibiva il rendiconto così come ordinato dal Giudice, evidenziando compiutamente l’errore commesso dall’attore (errore o preciso calcolo estorsivo?), fatto proprio dal Giudice, in riferimento al valore iniziale del titolo bussola prestigio, valore non di €.468.499,98 ma di €.368.500,00.
Nel verbale dell'udienza per la convocazione e giuramento del CTU, il mio difensore richiedeva tra l’altro la rettifica dell’errore, come quesito da porre al CTU. La controparte nulla diceva su quanto modificato, anzi impugnava e contestava le avverse deduzioni, dichiarandole infondate di fatto. Il Giudice preso atto, richiamava la sentenza provvisoria e invitava il CTU ad un ricalcolo totale delle singole posizioni oggetto del contendere, autorizzando il CTU ad acquisire documenti necessari all’espletamento dell’incarico presso Istituti Bancari ed Enti Pubblici.
Indipendentemente dalle conclusioni peritali, la condotta dell'attore-coerede può integrare il reato di tentata estorsione o altro reato considerato che:
nelle rituali memorie processuali e nei documenti prodotti attestava il valore iniziale della polizza essere di €. 368.500,00 e il totale dei premi versati di €. 468.499,98;
nella proposta transattiva alterava a suo vantaggio economico il valore iniziale della polizza in €. 468.499,98, inducendo in errore il Giudice;
durante l'udienza per la CTU manteneva un comportamento non solo omissivo e silente, ma dichiarava infondate le osservazioni del mio legale, rendendo di fatto ,tra l’altro, improponibile e/o più gravoso per lo scrivente il tentativo di transazione che il CTU dovrà proporre prima dell’avvio delle operazioni.”
Consulenza legale i 26/10/2020
La condotta di controparte, nel caso di specie, sebbene sgradevole e non del tutto corretta, non si ritiene possa integrare alcuna fattispecie di reato.

Quanto all’estorsione, l’articolo 629 del codice penale richiede che, per la sussistenza del reato, occorra una condotta molto forte che consiste nel porre in essere delle minacce e/o violenze che mettano nelle condizioni un determinato soggetto di fare o subire qualcosa, procurando all’estorsore un vantaggio patrimoniale ingiusto con relativo danno.

Nessuna delle circostanze previste dal reato predetto sembra essersi verificata nel caso di specie.

Quanto, invece, alla frode processuale ( art. 374 del codice penale), anche in questo caso non si ravvisano gli estremi del reato in parola giacché lo stesso prevede che la condotta conduca ad una immutazione artificiale dello stato dei luoghi, delle persone e delle cose.

In verità, l’unica fattispecie che potrebbe calzare nel caso in esame sarebbe quella di truffa. Eppure, in più di un’occasione la Corte di Cassazione ha avuto modo di specificare che la cd. truffa processuale (ovvero quella particolare tipologia di truffa perpetrata attraverso un “inganno” nei confronti del giudice) non possa essere punita in quanto il reato di cui all’art. 640 del codice penale presuppone che vi sia identità tra il soggetto ingannato e chi, successivamente, a causa del predetto inganno, ponga in essere l’atto di disposizione patrimoniale che cagionerà il consueto ingiusto profitto con altrui danno.

Tirando le fila delle valutazioni sopra esposte, è possibile concludere che, nel caso di specie, non si ravvisa alcuna fattispecie di rilevanza penale atteso che la condotta di controparte, sebbene sgradevole e scorretta, rientra in una dialettica processuale molto accanita e che solo attraverso la medesima dialettica processuale debba essere scardinata.

Michele A. chiede
giovedì 18/06/2020 - Marche
“Sono stato socio lavoratore srl al 22% di un ristorante per un anno (2019).
Ci lavoravamo soltanto io ed il socio amministratore (56%), il restante 22% era di un terzo socio finanziatore, ma non operativo al ristorante.

In questo anno non abbiamo mai percepito nessuno stipendio, quello che incassavamo ci bastava per pagare le spese o veniva reinvestito nel ristorante.
Prelevavamo dalla cassa soltanto i soldi per le piccole spese (supermercato, sigarette, ecc...), questo entrambi in assoluta autonomia.
Chi di noi andava a fare spesa o a comprare le sigarette prendeva direttamente i soldi dalla cassa e rimetteva eventuale resto e scontrini.

A Dicembre decidiamo di restare chiusi per 3/4 giorni nel periodo natalizio, quindi decido di partire per andare a trovare la mia famiglia in Puglia, perciò il socio amministratore mi promise dei soldi per il viaggio.
Il giorno prima di partire mi disse che non c'era la possibilità di avere nulla, quindi mi trovo costretto a farmi prestare i soldi per il viaggio da amici.
Il giorno della partenza, d'accordo con lui, passo al locale a prendere un pò di merce da portare a casa, e come succedeva normalmente da un anno ho prelevato dalla cassa i soldi per le sigarette.
I soldi li ho prelevati dalla cassa in due momenti, per l'importo di circa 10/15 euro totali al massimo, pensando che avrei dovuto prendere più sigarette, visto il viaggio imminente.
Ovviamente era un gesto completamente normale sia per me che per lui, non essendo stipendiati.

Io stavo pensando già da qualche mese di lasciare la società, visto che non riuscivo a sostenere le spese quotidiane come affitto, automobile ecc ecc...,
e ultimamente stavo insistendo con il mio socio per poter visionare la contabilità dato che la mancanza di stipendio per un anno intero iniziava a crearmi dei dubbi.

Non ho mai ottenuto la documentazione richiesta, anzi, il socio si è mostrato da subito infastidito, fino al giorno in cui, circa un mese dopo, si è presentato con il video del giorno descritto precedentemente,
di me che entro al locale un paio di volte e prelevo soldi dalla cassa, e mi "minaccia" velatamente di lasciare la società rinunciando alla mia quota investita inizialmente
per entrare (15.000,00 €).

Ragionando che la società era ormai in perdita da un anno, sicuro che la mia quota fosse ormai ridotta a zero, accetto la sua proposta.
Quindi ci accordiamo a voce che mi avrebbe pagato i contributi dell'intero anno (mai pagati), più 1400,00€ di uscita.

Ovviamente non ho ancora percepito nulla delle cifre promesse, inoltre poi c'è stata subito dopo l'emergenza Covid quindi è rimasto tutto sospeso.
Pochi giorni fa però vengo a sapere da varie persone che il socio sta raccontando in giro di avermi cacciato dal ristorante per avermi beccato a rubare soldi in cassa.

In pratica oltre al danno economico subito, mi sta rovinando la reputazione.
Vorrei chiedervi se quel video è una vera minaccia, se può diffonderlo e se è denunciabile per diffamazione. E quali altri diritti avrei, se ce ne fossero...
Vorrei anche precisare che i video del locale venivano cancellati dopo una settimana, quindi non ho a disposizione altri video che immortalano una delle mille volte in cui, o io o lui, prelevavamo piccole somme per sigarette o acquisti di poco valore, di vario genere, in maniera regolare ed autonoma.

Grazie mille fin da ora.
Cordiali Saluti
Michele Alvaro.”
Consulenza legale i 22/06/2020
La risposta al quesito deve essere divisa in due parti: la prima riguardante la diffusione di notizie false e la seconda avente ad oggetto la condotta relativa alla imposizione di uscire dalla società.

Quanto al primo aspetto, non si può fare a meno di rilevare che la condotta posta in essere sembra assolutamente sussumibile nell’alveo del reato di diffamazione, previsto e punito dall’art. 595 del codice penale.
Tale reato, invero, punisce la condotta di chi, comunicando con più persone, diffonda notizie che siano idonee a ledere l’altrui reputazione. Peraltro, la condotta risulta aggravata laddove la stessa abbia ad oggetto un fatto determinato.

Tali circostanze sembrano sussistere nel caso di specie.

Dal tenore del quesito, infatti, sembra evincersi che il soggetto ha effettivamente parlato con diverse persone (secondo la giurisprudenza devono essere almeno 3) e non v’è chi non veda una portata diffamatoria nell’accusa di furto presa in esame. Come anzidetto, peraltro, atteso che le dichiarazioni hanno avuto ad oggetto un fatto determinato, è possibile sussumere la condotta in esame nel secondo comma dell’art. 595 c.p., che prevede, come pena, la reclusione fino a due anni.

Più grave è, invece, la seconda condotta.

Attraverso la stessa, invero, sembra che il socio, minacciando il proprio partner in affari di diffondere il video delle presunte ruberie dalla cassa del locale, lo abbia costretto a rinunciare alla propria quota nella società.

Ebbene, la condotta in esame sembra integrare il grave reato di estorsione, previsto e punito dall’art. 629 del codice penale.
Sebbene, infatti, non sia stata ben chiarita la modalità attraverso la quale il socio abbia minacciato il proprio partner per “espellerlo” dalla società, è obbligatorio far presente che, secondo la giurisprudenza, in caso di estorsione la minaccia può anche non essere “inequivocabile” e/o espressa, essendo sufficiente anche soltanto un comportamento tacito significativamente allusivo. Comportamento che, nel caso di specie, ben può consistere nel far presente che si intende diffondere il video che ritrae il soggetto mentre preleva soldi dalla cassa.

E sembra altrettanto chiaro che la condotta in esame abbia, da un lato, procurato un ingiusto profitto all’estorsore (che è sostanzialmente divenuto socio unico del locale) e, dall’altro, un danno ingiusto al soggetto minacciato che si è visto espropriato delle proprie quote in cambio di una liquidazione che potremmo definire quasi simbolica.

In un caso del genere, è consigliabile rivolgersi ad un buon avvocato che, ripercorsi i fatti con coerenza e precisione, sporga querelacontro il soggetto agente.

Mauro P. chiede
mercoledì 22/01/2020 - Lombardia
“Buonasera egregia redazione, espongo il caso : 1) ho presentato domanda di concordato preventivo in tribunale per 2 ditte srl collegate ,che è in corso di omologa, penso la stessa avverrà fra 2 mesi circa. Un creditore della/e srl ci chiede quanto segue (in modo da noi valutato estorsivo): per votare a noi in modo favorevole al nostro concordato e ritirare una causa da Lui intentata in modo temerario avviata per la revoca di un atto divisionale con permuta che riguarda per la mia persona fisica (collegata alle srl), ci propone di sottoscrivere un accordo esterno a latere del concordato per il pagamento della porzione di cifra che rimarrebbe esclusa dal riparto eseguito in sede di concordato (circa verrà pagato il 60% del debito dal concordato e lui ci chiede il rimanente 40% in altro modo scorretto, per ottenere il 100% a lui dovuto). Secondo me ciò viola la par condicio creditorum e crea a noi un notevole danno, essendo già in stato di crisi e ristrutturazione economica ed aver perduto tutti i beni da liquidare col concordato. A tal fine Vi chiedo cortesemente se questa sua condotta può rientrare nell'estorsione, e in due casi diversi, cioè: caso 1) se ciò venga fatto solo come Suo "tentativo", o caso 2) qualora invece venga da noi accolto, per motivi di necessita del concordato, con anche rilascio di garanzia reale ,e magari poi contestato successivamente con tutte le prove . Vi ringrazio e porgo cordiali saluti confidando nella Vostra esperienza. Resto a Vostra disposizione per ogni chiarimento del caso e ringrazio.”
Consulenza legale i 26/01/2020
Il reato di estorsione, previsto e punito dall’art. 629 del codice penale, come noto, impone che taluno, attraverso violenza o minaccia, imponga a talaltro di fare od omettere qualcosa. Trattandosi di un reato contro il patrimonio, la condotta del soggetto attivo deve cagionare un ingiusto profitto, con parallelo danno a detrimento del soggetto estorto.

Tornando al caso di specie, la condotta ipotizzata sembra integrare il reato sopra emarginato.

Il creditore, invero, attraverso la minaccia di votare in senso sfavorevole al concordato, pone il soggetto estorto in una difficilissima condizione: pagare il creditore oppure assumersi il rischio di non ottenere l’omologa del concordato, con tutte le conseguenze annesse e connesse di un fallimento.
D’altro canto, l’estorsore otterrebbe l’ingiusto profitto identificato dal pagamento di quella parte di credito che, attraverso il concordato, mai verrebbe pagata.

Come anzidetto, dunque, la condotta può essere sussunta sia nell’alveo del tentativo di estorsione che nell’alveo della condotta del reato consumato.

Nel primo caso, invero, le proposte del creditore (non accettate dal debitore) di certo potrebbero essere ritenute configuranti quegli atti “idonei e diretti in modo non equivoco” a commettere il reato (di estorsione, appunto) che l’articolo 56 del codice penale richiede per la sussistenza di una fattispecie tentata.

L’estorsione consumata, invece, si avrebbe nel caso in cui il debitore ceda alle minacce del creditore.
In questo caso, però, si faccia particolare attenzione per l’altissimo rischio di una bancarotta preferenziale di cui all’art. 216 della legge fallimentare. Laddove, invero, il debitore, non autorizzato dalla procedura concorsuale, paghi il debito che non sarebbe stato soddisfatto attraverso il concordato, con le casse sociali, commetterebbe senza dubbio alcuno il reato di bancarotta preferenziale per la manifesta violazione della par condicio creditorum di una condotta che, favorendo illegittimamente un creditore, danneggi gli altri.

Proprio per questo, stante la delicatezza del caso e il forte rischio di bancarotta preferenziale (punita, lo si ricordi, con pene che vanno da uno a cinque anni di reclusione) si sconsiglia di cedere alle minacce poste in essere.

Giosuè chiede
martedì 04/12/2018 - Sicilia
“Sono imputato del reato di estorsione. Il pm ritiene di aver acquisito, dalle intercettazioni e da interrogatorio alla persona offesa, che non si è costituita parte civile, prove che dimostrerebbero che: ho prestato soldi alla donna per ottenerne in cambio una prestazione sessuale e che non vedendomela concessa ho chiesto la restituzione dei soldi. Ritiene perciò applicabile il 2035 cc e conseguentemente consumato il reato di estorsione. La somma è stata consegnata tramite bonifico e restituita dopo sette giorni sempre tramite bonifico, sostiene il pm, perché la donna ha ricevuto la minaccia di invio delle sue foto nude al marito. A mio favore ci sono le dichiarazioni della signora durante le indagini difensive di aver ricevuto un prestito che è servito per un suo intervento in una clinica, che lo ha restituito, così come altre volte è avvenuto, perché giusto, che non si è mai sentita minacciata. In ogni caso, anche volendo dare ragione al pm, come può configurarsi il profitto ingiusto ed il danno patrimoniale e quindi il conseguente reato di estorsione?”
Consulenza legale i 05/12/2018
Nel rispondere a questo parere non possiamo che rimetterci alla precedente consulenza già espletata per il medesimo fatto che, oltre ad analizzare brevemente il funzionamento del rito abbreviato e i rischi connessi ad una ipotetica condanna, affronta i temi la cui analisi è sollecitata dalla presente richiesta.

Per praticità richiamiamo di seguito per esteso il testo del precedente parere.

«Il giudizio abbreviato previsto dagli articoli 438 e seguenti del codice di procedura penale è un particolare rito che consente al giudice per l’ udienza preliminare di decidere “allo stato degli atti” e dunque sulla base dell’intero compendio istruttorio offerto dal Pubblico Ministero e dall’ imputato. Il vantaggio che presenta detto rito è la diminuzione di 1/3 dell’eventuale pena che il giudice comminerebbe in concreto quale “premio” per la riduzione dei tempi processuali.
L’abbreviato in genere è un rito molto rischioso e generalmente viene scelto dall’indagato solo allorché gli elementi presenti nel fascicolo depongano fortemente a vantaggio dell’innocenza dell’imputato, come sembra emergere nel caso di specie.
Va premesso che una delle caratteristiche del reato di estorsione è, appunto, quella di determinare a danno della persona ricattata una situazione di forte sudditanza psicologica tale per cui quest’ultima è disposta a cedere a qualsiasi ricatto dell’aggressore il quale, dal canto suo, ottiene un ingiusto profitto.
Nel caso di specie, stando a quanto rappresentato, davvero non sembra sussiste nessuno degli elementi costitutivi del reato previsto è punito dall’articolo 629 del codice penale.
Sembra non sussistere infatti l’elemento dell’ingiusto profitto visto che la somma di 500 euro sarebbe il prodotto di un semplice prestito non già di un ricatto (come si evincerebbe anche dalla documentazione agli atti); allo stesso modo non sembra sussistere il mezzo tramite il quale sarebbe stata perpetrata detta estorsione visto che non è mai stata reperita dagli agenti di Polizia Giudiziaria la foto utilizzata per il ricatto.
Più di tutto, il fatto che la persona offesa stessa abbia ammesso di non essersi mai sentita minacciata fa venire meno alla radice l’elemento cardine per la sussistenza del reato che, come anzidetto, consiste proprio in quella sudditanza in cui questa versa in esito al ricatto estorsivo.
Rispondendo dunque alla domanda, sembra davvero inverosimile che con un simile quadro processuale il giudice possa condannare l’imputato.
Nella – davvero – denegata ipotesi in cui questo dovesse accadere, è verosimile ritenere che il giudice condanni l’imputato al minimo edittale della pena, ulteriormente diminuita per le circostanze attenuanti e per la scelta del rito tenendosi sul limite dei due anni al fine di concedere la sospensione condizionale della pena ai sensi dell’art. 163 del codice penale».

Stando così le cose, sulla base di quanto esposto si rimarca che è davvero difficile configurare nel caso di specie l’ingiusto profitto e il danno patrimoniale richiesti per la sussistenza della fattispecie.

Un ultimo inciso va fatto in relazione all’art. 2035 c.c. che, di fatto, disciplina l’impossibilità di ripetizione di quanto pagato in caso di prestazione contraria al buon costume. Tale circostanza non è assolutamente influente rispetto alla sussistenza del reato di estorsione disciplinando l’articolo in esame soltanto i rapporti civilisti tra le parti che non determinano assolutamente né la sussistenza del reato né l’insussistenza dello stesso. In altre parole, non ha alcun rilievo ai fini del caso di specie il fatto che il soggetto indagato non potesse richiedere la restituzione del denaro prestato in quanto il prestito predetto sarebbe stato finalizzato ad una prestazione contraria al buon costume.

Anonimo chiede
mercoledì 25/10/2017 - Sicilia
“Sono indagato per estorsione perché il Pm sostiene che ho minacciato una persona dicendole che avrei mandato al marito le foto di lei nuda se non mi avesse fatto un bonifico di 500 euro. Il bonifico me è stato in realtà fatto dal marito. Omette il Pm di considerare che non sono in possesso di nessuna foto e che avevo fatto,sempre al marito e sempre dallo stesso conto, un bonifico di 500 euro del quale ho chiesto la restituzione. Come posso aver commesso il reato di estorsione?”
Consulenza legale i 02/11/2017
Il reato di estorsione è previsto dall’art. 629 c.p. che punisce la condotta di chi, mediante violenza o minaccia, costringa taluno a fare o ad omettere qualche cosa, procurando a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno.
Le modalità della condotta sono quindi la violenza o la minaccia.
Gli eventi tipici del reato sono l’ingiusto profitto per il reo o altra persona unitamente al danno per la vittima.

Circa l’ingiusto profitto, con sentenza n. 11979 del 17 febbraio 2017 la Cassazione Sezione II penale ha confermato un orientamento consolidato sostenendo che: “l'elemento dell'ingiusto profitto si individua in qualsiasi vantaggio, non solo di tipo economico, che l'autore intenda conseguire, e che non si collega ad un diritto o è perseguito con uno strumento antigiuridico, o ancora con uno strumento legale ma avente uno scopo tipico diverso”.

L’estorsione quindi è un reato di evento, cioè sussiste quando tutti gli eventi previsti nella norma (l’ingiusto profitto ed il danno altrui) si sono verificati. Si avrà invece un tentativo di estorsione qualora il profitto non sia stato conseguito e/o il danno non sia stato inflitto. Rispetto all'elemento soggettivo, è sufficiente il dolo generico, ossia la coscienza e volontà di usare violenza o minaccia per costringere la vittima a porre in essere una condotta che procurerà l'ingiusto profitto.

Fatte queste brevi premesse, veniamo ora a rispondere ai quesiti posti.

I dati forniti sono troppo scarni per poter dare un parere esaustivo. Non sappiamo se vi sia stata già una istruttoria dibattimentale o solo un rinvio a giudizio. Non è neanche specificato, tra l’altro, a che titolo sia stato effettuato il bonifico di euro 500 menzionato nel quesito e del quale poi è stata richiesta la restituzione.

Ad ogni modo, ipotizzando si sia trattato di un prestito di denaro (circostanza che andrà provata dall’imputato) parrebbe che nel caso di specie non vi siano gli elementi tipici del reato di estorsione previsti dall’art. 629 c.p. Mancherebbe infatti l’ingiusto profitto: se i soldi erano stati dati in prestito, si è poi legittimamente richiesta la loro restituzione. Mancherebbe parimenti anche l’altrui danno: se il marito della signora era debitore di chi ha effettuato il prestito, era tenuto ad adempiere alla sua obbligazione debitoria. Oltretutto, nel capo di imputazione si assume che il danno patrimoniale sarebbe stato nei confronti della moglie del soggetto debitore: il che non si è verificato sia perché la presunta vittima sarebbe stata semmai il di lei marito, sia perché comunque quest’ultimo non avrebbe subito alcun danno essendo debitore dell’imputato.

Se effettivamente i fatti si fossero svolti così come abbiamo tentato di ricostruirli, l’imputato andrebbe assolto perché il fatto non sussiste (art. 530 I comma c.p.p.) o, al peggio, per prova insufficiente o contraddittoria.
Ricordiamo infatti che nel processo penale, per aversi una sentenza di condanna l’imputato deve risultare -all’esito dell’istruttoria- colpevole “al di là di ogni ragionevole dubbio”, come prevede l’art. 533 c.p.p.
In ipotesi di sentenza di assoluzione, si potrebbe forse anche ipotizzare un reato di calunnia (art. 368 c.p.) a carico della signora che aveva sporto la denuncia querela.


Paolo M. chiede
sabato 11/03/2017 - Toscana
“Domando se la frase di un giornalista iscritto all'albo, riferita a chi legittimamente chiede il pagamento di una fattura, che il giornalista contesta, del tipo "io non vi devo nulla ..... omissis .... sto valutando di fare un inchiesta giornalistica sulla vostra azienda" oppure "posso far saltar fuori notizie ... essendo io un giornalista con grande capacità mediatica" , frasi sibilline, dette e scritte con il chiaro intento di far desistere la parte dalla richiesta del pagamento della fattura medesima, possano configurarsi come reato di minaccia, e se nello specifico vi siano altri abusi che tale condotta configura.”
Consulenza legale i 16/03/2017
Nel caso di specie, in base agli elementi esposti, può configurarsi il reato di estorsione (art. 629 c.p.: chiunque mediante violenza o minaccia, costringendo taluno a fare o ad omettere qualche cosa, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni e con la multa da euro 1.000 a euro 4.000) oppure il reato di violenza privata (art. 610 c.p.: chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa è punito con la reclusione fino a quattro anni).

Gli elementi su cui focalizzare l’attenzione sono la prospettazione di un danno ingiusto (la minaccia) e l’ingiusto vantaggio del soggetto agente.

Se la minaccia ha rappresentato il mezzo per ottenere la prestazione da parte della società, si configura un'estorsione.
Se invece la minaccia è successiva alla prestazione della società ed è funzionale a non versare il corrispettivo dovuto, si configura il reato di violenza privata di cui all'art. 610 c.p..

Circa la distinzione tra i due reati, la Cassazione con la sentenza n. 5668/2013, ha stabilito che: “è configurabile il delitto di estorsione e non quello di violenza privata, nel caso in cui l'agente, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, faccia uso della violenza o della minaccia per costringere il soggetto passivo a fare od omettere qualcosa che gli procuri un danno economico. (Fattispecie nella quale l'imputato aveva costretto, mediante violenza e minaccia, la p.o. a fornirgli cibo e bevande senza pagare il corrispettivo, così procurandosi un ingiusto profitto con danno della p.o. stessa). Dichiara inammissibile, App. Venezia, 06/03/2012”.

In un'ottica processuale, sarebbe importante o registrare le frasi di tale giornalista o avere un testimone, possibilmente terzo rispetto agli interessi in gioco.

Circa la prospettata opportunità di registrare le frasi del giornalista, si precisa che la registrazione di una conversazione tra presenti è pacificamente ammessa.

In questo senso Cass.Pen. 50986/2016: "La registrazione fonografica di una conversazione telefonica effettuata da uno dei partecipi al colloquio costituisce una forma di memorizzazione fonica di un fatto storico, utilizzabile in dibattimento quale prova documentale, rispetto alla quale la trascrizione rappresenta una mera trasposizione del contenuto del supporto magnetico contenente la registrazione (in motivazione, la Corte ha precisato che la registrazione della conversazione tra presenti non è riconducibile alla nozione di intercettazione anche se operata dal soggetto partecipe su suggerimento o incarico della polizia giudiziaria)".

In breve, è vietato registrare la conversazione tra soggetti terzi a distanza, possiamo registrare il nostro interlocutore (col telefonino, con un registratore vocale, etc.)


Daniele P. chiede
domenica 25/09/2016 - Emilia-Romagna
“ho un appartamento di proprietà per il quale pago un mutuo. un cielo terra su 2 piani con ingresso principale dal civico e un ingresso sul retro che da sul giardino. tempo fa essendo troppo grande l’appartamento ho deciso di tirare su un muro interno (di legno) per dividerlo come se fossero 2 appartamento più piccoli, pertanto avendo già prima 2 ingressi uno principale dal civico e uno dal cortile privato tali sono rimasti ma l'ingresso dal civico ora si ha accesso solo per il primo piano dove sto io attualmente e dall'ingresso secondario sul retro si accede all'appartamento del pt dove è stata per diversi anni la mia mamma; di questo muro che ha diviso l'abitazione non ho fatto nessuna comunicazione al comune ecc. essendo un muro interno non portante. Quest’anno il 9 di luglio ospito una coppia di giovani 23enni fidanzati con i quali redigo una scrittura privata per cui li ospito a titolo gratuito per un tempo indeterminato dietro una cauzione di €1200 per eventuali danni che avrebbero potuto arrecare all’immobile, loro ricevono le chiavi di casa della porta sul retro (l’intenzione e l’accordo a voce era che io avrei percepito un rimborso spese mensile da loro, ovviamente non documentato), i ragazzi si stabiliscono al pterra ed entrano dall'ingresso secondario dal retro diciamo della casa che rimane separata dalla mia zona dal famoso muro di legno. i ragazzi si rivelano presto avere problemi con la legge sono soggetti a controlli serali da parte dei carabinieri e pertanto non mi sono piaciuti ne a me ne ai vicini con i quali hanno avuto svariate discussioni (è certo che provengono da famiglie che sono seriamente invischiate nella criminalità organizzata e sono originari della campania), pertanto il 31 di luglio comunico a voce che avrebbero dovuto andarsene quanto prima non appena avrebbero trovato e che non avrei percepito da loro alcun rimborso spese, l’importante e che sarebbero andati via. In data 25 settembre mi trovo con loro i quali a seguito di una discussione durata oltre 1 ora nella quale mi dicono che hanno già parlato con i loro avvocati i quali li hanno detto che avrebbero potuto rovinarmi per il discorso del civico.. il muro… e non conformità per il comune…., mi dicono che non se ne vanno e mi danno 2 scelte o per vie legali o chiedono che li dia 7000€ per andarsene. Sono preoccupato, chiedo il Vs. aiuto per favore consigliatemi cosa posso fare”
Consulenza legale i 01/10/2016
Esistono, nel caso di specie, per il proprietario dell’immobile, alcuni rischi.

In primo luogo quelli legati alla situazione di “abuso edilizio” in cui egli versa.
Il Testo Unico sull’edilizia (D.P.R. n. 380/2001) prescrive, infatti (articoli 10 e 22), la necessità di ottenere un permesso di costruire o comunque di comunicare l’intervento alla Pubblica Amministrazione a mezzo SCIA (“segnalazione certificata di inizio attività”) in tutti i casi in cui si realizzino interventi di “manutenzione straordinaria”, ovvero interventi che così si potrebbero riassumere: "le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino la volumetria complessiva degli edifici e non comportino modifiche delle destinazioni di uso. Nell'ambito degli interventi di manutenzione straordinaria sono ricompresi anche quelli consistenti nel frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari con esecuzione di opere anche se comportanti la variazione delle superfici delle singole unità immobiliari nonché del carico urbanistico purché non sia modificata la volumetria complessiva degli edifici e si mantenga l'originaria destinazione d'uso”.
Un esempio concreto è dato proprio dall’abbattimento di muri divisori interni (però non portanti) così come la loro costruzione (come nel caso di specie), e ciò indipendentemente dal materiale utilizzato (legno o altro).

Se vengono realizzati interventi in assenza o in difformità della SCIA viene solamente applicata una sanzione amministrativa pecuniaria (pari al doppio dell'aumento di valore dell'immobile conseguente alla realizzazione degli interventi stessi, con un minimo di € 516,00); inoltre, se l'intervento è comunque conforme al piano urbanistico locale e alle norme edilizie, il responsabile dell'abuso o il proprietario dell'immobile possono ottenere una "sanatoria" versando una somma stabilita dall'ufficio comunale in relazione alla variazione di valore dell'immobile, e variabile da € 516,00 ad € 5.164,00.

Tuttavia, anche ai nostri fini, va tenuto presente che la mancata presentazione della SCIA non comporta, in alcun caso, l'applicazione di sanzioni penali.

Il secondo rischio in cui concretamente incorre il proprietario nel caso di specie è quello legato alle conseguenze dell’instaurazione – di fatto – di un rapporto con i due ragazzi avente ad oggetto l’utilizzo dell’immobile. Anche nel caso di comodato d’uso gratuito del bene, infatti – e pure quando il contratto sia concluso verbalmente – sussiste l’obbligo della registrazione in misura fissa.

In caso di tardiva registrazione (ovvero oltre 20 giorni dalla stipula del contratto), viene applicata una sanzione, il cui importo viene calcolato in percentuale sull’imposta di registro dovuta. Le percentuali da utilizzare dipendono del tempo trascorso tra la data di stipula e la data di registrazione; sono dovuti inoltre gli interessi legali, sempre calcolati sull’importo della tassa di registro.

In conclusione, quindi, se i due ragazzi decidessero di adire le vie legali, ciò che potrebbe accadere al proprietario dell’immobile è di dover pagare alcune sanzioni pecuniarie, parte a motivo degli abusi edilizi, parte a motivo della violazione delle norme fiscali in tema di registrazione dei contratti aventi ad oggetto il godimento di immobili.

Nonostante il concreto rischio evidenziato, non vanno, tuttavia, ad avviso di chi scrive, assolutamente assecondate le minacce dei due ragazzi, che con il loro comportamento si sono resi colpevoli del reato di tentata estorsione di cui all’art. 629 cod. pen..

Quest’ultimo reato si configura in tal modo: “Chiunque, mediante violenza o minaccia, costringendo taluno a fare o ad omettere qualche cosa, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni e con la multa da euro 1.000 a euro 4.
La pena è della reclusione da sei a venti anni e della multa da euro 5.000 a euro 15.000, se concorre taluna delle circostanze indicate nell'ultimo capoverso dell'articolo precedente”.

Nel caso concreto in esame il reato (che è sinora rimasto a livello di tentativo, dal momento che si consuma solo con la consegna del denaro da parte del minacciato all’estorsore) si presenta, poi, nella sua forma aggravata (con sensibile aumento di pena), dal momento che è stato commesso da “più persone riunite” (art. 628 cod. pen.): erano infatti simultaneamente presenti entrambi i ragazzi al momento della minaccia.
Afferma in proposito la giurisprudenza: “In tema di estorsione, la circostanza aggravante delle "più persone riunite" non si identifica con una generica ipotesi di concorso di persone nel reato, ma richiede la simultanea presenza di non meno di due persone nel luogo e nel momento in cui si realizza la violenza o la minaccia, in quanto solo in tal modo si verificano quegli effetti fisici e psichici di maggior pressione sulla vittima, che ne riducono significativamente la forza di reazione e giustificano il rilevante aumento di pena.” (Cassazione penale, sez. VI, 21/10/2010, n. 41359).

In considerazione di quanto sopra, pertanto, il proprietario non si dovrà lasciar intimorire dai due giovani e non dovrà pagare loro alcuna somma: potrà, anzi, avvisarli della facoltà di presentare una denuncia-querela nei loro confronti per le minacce subite. Quand’anche i due, poi, non dovessero spaventarsi per la possibile denuncia penale, il rischio che il proprietario correrebbe, come già detto, sarebbe quello di incorrere nelle citate sanzioni amministrative, il cui importo però non si ritiene di entità tale da giustificare il versamento della ben maggiore somma di € 7.000,00.

Anna M. chiede
venerdì 11/03/2016 - Campania
“Salve, il nostro problema riguarda un posto barca. Avendo comprato lo scorso anno una barchetta abbiamo deciso di fittare un posto barca, abbiamo prenotato da aprile 2015 ma purtroppo la barca ci è stata consegnata ad agosto. Appena ritirata ci siamo recati subito presso la ditta dell'ormeggio, la quale non ci ha mai dato alcun contratto, ma noi pagammo circa 1700 euro anche perché ogni volta che chiedevamo il contratto non era pronto e ci dicevano di ripassare. Dopo qualche giorno iniziarono a tempestarci di telefonate a tutte le ore che volevano altri soldi,
gli portammo altri 1000 euro. Il contratto fantasma scade ad aprile ma la signorina del pontile ci ha già minacciati che per il 25 marzo dobbiamo pagare tutto! Come dobbiamo agire?
È legale tutto ciò? Il prezzo complessivo annuale è di 5000 euro+ iva cosa dobbiamo fare? Grazie”
Consulenza legale i 17/03/2016
L'accordo descritto dallo scrivente rientra nella figura del contratto di ormeggio, il quale rappresenta un contratto atipico, non essendo disciplinato in modo espresso dal nostro ordinamento. Ciò, peraltro, non è contro legge, infatti l'art. 1322 c.c. consente ai privati di concludere anche contratti non previsti dal codice civile, purché realizzino un interesse ritenuto meritevole di tutela da parte dell'ordinamento giuridico.

Nella sua configurazione più "basilare" dovrà prevedere almeno la messa a disposizione delle strutture del porto o porticciolo con l'assegnazione di un delimitato e protetto spazio acqueo dove poter ormeggiare l'imbarcazione (così Cass. 13 febbraio 2013, n. 3554)

Ciò premesso, il "contratto di ormeggio" potrà avere poi contenuti più o meno ampi. Oltre al minimo essenziale sopra indicato, infatti, possono comparire i seguenti servizi:
- il servizio di custodia dell’imbarcazione,
- il diritto ad avere a disposizione lo spazio acqueo pur in assenza della barca (se la barca momentaneamente non c'è perché fuori in mare, quel posto non potrà essere occupato dal altro natante, dovendo rimanere sempre e comunque a disposizione).
- il diritto ad usare bitte o anelli d’ormeggio messi a disposizione all'uopo dalla struttura
- il diritto di allacciarsi alle prese d’acqua e di energia elettrica o alla rete telefonica/dati.

Tutti questi diversi contenuti fanno ciascuno riferimento a un diverso tipi di contratto tipico (i.e.: previsto e normato dalla legge):
- il contratto di locazione, per quanto concerne la messa a disposizione di un tratto di molo o banchina e del relativo spazio acqueo;
- il contratto di deposito, qualora, nello schema negoziale, la struttura portuale si assuma anche l'obbligo di custodire il natante (cosa, pertanto, che non è affatto scontata);
- il contratto di somministrazione, per tutti i casi in cui vengano erogati anche servizi quali acqua, energia elettrica, rete telefonica/dati, etc.


Tutto ciò premesso, pur non essendo specificato nel quesito che tipo di servizi sono stati concordati, sembra che nel caso di specie si sia in presenza di un contratto di ormeggio, al quale sarà quindi applicabile la disciplina della locazione o del deposito, a seconda di quanto pattuito dai contraenti.
Essendo, come già detto, un contratto atipico, esso non necessita della forma scritta, pertanto potrà concludersi anche per effetto del solo consenso dei contraenti manifestato per fatti concludenti, e cioè anche attraverso l'accettazione da parte dell'utente dell'attività propria dell'ormeggiatore, la quale potrà eventualmente estendersi anche alla custodia dell'imbarcazione, oltre che alla messa a disposizione del necessario spazio acqueo (così da ultima Cass., 21 settembre 2011, n. 19201).

In entrambi i casi prima descritti (sia, cioè, che si applichi la disciplina della locazione, sia che si applichi quella del deposito) il creditore, per pretendere il proprio pagamento, dovrà agire ai sensi dell'art. 1219 ss. c.c., e cioè mettere in mora il debitore. Il che si fa scrivendogli e intimandogli formalmente di pagare quanto dovuto. Qualora l'intimazione non dovesse produrre effetti allora il creditore potrà fare ricorso al giudice al fine di ottenere coattivamente il soddisfacimento delle proprie pretese.

Il creditore non può legittimamente ricorrere ad altri mezzi, oltre a quelli appena elencati, per il conseguimento dei propri diritti. Pertanto, quanto alle minacce di pagamento ricevute tramite continue telefonate, esse non risultano idonee per una regolare messa in mora del debitore.
Peraltro, poiché lo scrivente non ha descritto nel dettaglio la condotta tenuta dalla società portuale (parlando genericamente di minacce e di ripetute telefonate), può anche affermarsi che, qualora le telefonate ricevute siano continue, protraendosi magari durante tutto l'arco della giornata e ingenerando conseguentemente un perdurante stato di ansia e paura in chi le riceve, potrebbe configurarsi il reato di “stalking” di cui all'art. 612 bis c.p. La giurisprudenza è infatti pacifica nell'affermare che tale delitto si configuri ogniqualvolta il comportamento minaccioso o molesto, posto in essere con condotte reiterate, abbia cagionato un grave e perdurante stato di turbamento emotivo, essendo sufficiente che gli atti abbiano avuto un effetto destabilizzante sulla serenità e l'equilibrio psicologico di chi li subisce (Cass., 1 dicembre 2010, n. 8832; Cass., 12 gennaio 2010, n. 11943).

In conclusione, può affermarsi che le parti hanno concluso un contratto di ormeggio il quale non necessita per la sua conclusione della forma scritta. Tuttavia, se il contraente che usufruisce del posto per ormeggiare la barca risulta in ritardo nel pagamento del canone concordato, il creditore potrà agire nei suoi confronti solo con i mezzi indicati dall'ordinamento (e, cioè, mediante lettera di messa in mora ed eventuale ricorso all'autorità giudiziaria), non essendo sufficienti a tale scopo le sole telefonate. Qualora poi queste ultime avessero assunto una connotazione ripetuta e minacciosa, tale da aver provocato nella vittima un perdurante stato di ansia e paura, si andrebbe a configurare il reato di stalking di cui all'art. 612 bis c.p.

Per completezza va precisato che il ritardo nella consegna della barca non è circostanza addebitabile alla struttura ospitante. Se era stato convenuto che lo spazio acque sarebbe stato occupato da aprile, ricade sul diportista (propietario del natante) il peso economico del mancato sfruttamento dello spazio per i mesi di aprile, maggio, giugno e luglio.

Ad oggi sono stati pagati 1700 + 1000 euro. Al saldo mancano 2300 euro (+iva). La richiesta di saldo da parte della ditta non è fuori luogo.
Si consiglia, peraltro, di condizionare il saldo della partita in sospeso alla sottoscrizione di un contratto scritto (con tutte le cose ben precisate) per la nuova stagione entrante. Patti chiari (e scritti nero su bianco), amicizia lunga.

Raniero A. chiede
domenica 29/06/2014 - Lazio
“Da circa 2 anni sto combattendo con la Soc. ACEA (Roma) avendo ricevuto a suo tempo una fattura per consumi elettrici (solo stimati e mai rilevati effettivamente) enormemente superiore ai consumi reali. Pur avendo contestato la fattura (anche per il tramite di una delle principali Associazioni di consumatori) ACEA non ha mai riscontrato le richieste di misurazione obiettiva dei consumi e della conseguente regolarizzazione contabile. Nel frattempo sono continuate ad arrivarmi mensilmente fatture di pagamento a titolo di "rateazione" (da me mai richiesta) che ho sempre pagate, con minacce di sospensione della fornitura di energia. E' chiaro che, a parte un modo di agire censurabile sotto ogni profilo, siamo in presenza di un ingiusto profitto.
Domanda: è configurabile nella specie un reato di estorsione? (Preciso che sarei intenzionato ad agire civilmente, ma i tempi sono molto lunghi e per un'azienda delle dimensioni di ACEA si tratterebbe niente più che di un leggero solletico). Grazie per l'attenzione.”
Consulenza legale i 04/07/2014
La vicenda narrata nel quesito è purtroppo tristemente nota e si ripete ormai costantemente per tutti i tipi di utenza domestica. Le sanzioni delle autorità competenti ai colossi dell'energia sono all'ordine del giorno, ma ciò sembra non placare le situazioni di disagio per i cittadini, che si moltiplicano anziché diminuire.

Venendo alla domanda proposta, si deve innanzitutto descrivere il reato di estorsione, per capire se nel caso di specie ne siano ravvisabili tutti gli elementi.
L'art. 629 del c.p. stabilisce che commette estorsione chi, mediante violenza o minaccia, costringendo taluno a fare o ad omettere qualche cosa, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno.
Analizziamo i singoli elementi:
- costrizione: può avere ad oggetto il compimento di un atto di disposizione patrimoniale positivo, come ad esempio la dazione di una somma di danaro;
- ingiusto profitto con altrui danno: è ravvisabile nel caso di specie, poiché è chiaro che una parte si arricchisce ingiustamente a danno dell'altra. Ciò però non può solo essere meramente affermato nel giudizio penale, ma dovrà essere oggetto di rigorosa prova, per dimostrare che effettivamente il consumo stimato è molto lontano da quello effettivo, con conseguente illegittima richiesta di esoso pagamento;
- mediante violenza o minaccia: la violenza può senz'altro escludersi. Per "minaccia", la giurisprudenza intende quella posta in essere in qualunque forma o modo, potendo essere "manifesta o implicita, palese o larvata, diretta o indiretta, reale o figurata, orale o scritta, determinata o indeterminata, purché comunque idonea, in relazione alle circostanze concrete, a incutere timore ed a coartare la volontà del soggetto passivo (Cass. pen., sez. VI, 26.1.1999 n. 3298). Più recentemente, possiamo leggere nella sentenza della Cassazione, sez. VI, n. 33741 del 16.9.2010: "La giurisprudenza ha avuto modo di precisare che anche una minaccia dall’esteriore apparenza di legalità può costituire illegittima intimidazione idonea a integrare l’elemento materiale del reato di estorsione nel caso in cui è finalizzata ad ottenere un profitto ingiusto e dunque non la controprestazione dovuta; nella specie, la valenza intimidatoria della minaccia è costituita anche dalla rilevata sproporzione tra credito originario e somma pretesa, situazione che trasforma la richiesta di una prestazione in un risultato iniquo perché ampiamente esorbitante rispetto a quanto si sarebbe conseguito attraverso l’esercizio del diritto, che viene strumentalizzato per uno scopo contra ius".
Nel caso di specie, è possibile ipotizzare che l'elemento della minaccia sia rappresentato dalle lettere con cui la società erogatrice intima il pagamento avvisando che in mancanza sarà sospesa la fornitura di energia elettrica.

Poiché il delitto di cui all'art. 629 c.p. è procedibile d’ufficio, la parte offesa non presenterà una querela, bensì una semplice denuncia (che si consiglia comunque di presentare a mezzo di un legale).
Va ricordato, infine, che la norma penale colpisce solo le persone fisiche, per cui il denunciante dovrà chiedere che l'autorità giudiziaria persegua le persone che la stessa individuerà come fisicamente responsabili del fatto invocato come reato.

In via astratta, quindi, è ipotizzabile un reato di estorsione, anche se non sembra così facile che si possa agevolmente giungere ad un rinvio a giudizio. In giurisprudenza, non sono emersi precedenti significativi tali da consigliare senza indugi la presentazione di una denuncia.

La strada del processo civile, certo più lunga e meno "efficace", sembra palesarsi come quella giuridicamente migliore, in quanto l'utente, una volta dimostrato l'esborso di somme non dovute, potrà appellarsi semplicemente alla normativa sull'ingiustificato arricchimento, senza dover provare il dolo o la colpa altrui, che sono oggetto di una istruttoria sempre molto complessa.

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