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Articolo 1439 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 03/08/2024]

Dolo

Dispositivo dell'art. 1439 Codice Civile

Il dolo è causa di annullamento del contratto quando i raggiri(1) usati da uno dei contraenti sono stati tali che, senza di essi, l'altra parte non avrebbe contrattato(2)(3).

Quando i raggiri sono stati usati da un terzo, il contratto è annullabile se essi erano noti al contraente che ne ha tratto vantaggio.

Note

(1) E' discusso se integri un raggiro anche il comportamento reticente di una parte. La tendenza attuale è nel senso che, alla luce del principio di buona fede, la reticenza consente l'annullamento del negozio ogni volta in cui sulla parte incombe un dovere di informazione.
(2) La norma si riferisce al c.d. dolo vizio, cioè determinante del consenso (v. 1440 c.c.). È necessario che i raggiri siano determinanti del consenso per cui, ad esempio, se nonostante il raggiro volto a farmi credere che il quadro è una pittura autentica di Picasso io comprendo che è una copia, il contratto non è annullabile.
(3) In passato la dottrina era solita distinguere l'ipotesi di cui alla norma in commento, qualificata come dolus malus, da quella di dolus bonus, che consiste nell'esaltazione dei caratteri di un prodotto, e che veniva normalmente tollerata. Nella prospettiva più recente, tuttavia, si tende a garantire al massimo la protezione del consumatore (v. d.lgs. 6 settembre 2005, c.d. Codice del Consumo) e, pertanto, a reprimere ogni pratica commerciale ingannatoria.

Ratio Legis

Nel caso di dolo la volontà del contraente non è libera ma viziata. Pertanto, se l'inganno proviene dalla controparte, l'esigenza di tutela del raggirato è assoluta e giustifica l'annullamento; se proviene da un terzo, il rimedio si giustifica solo se la controparte ne è a conoscenza poichè solo in tal caso prevale l'esigenza di tutelare il raggirato.

Brocardi

Actio doli specialis
Alienus dolus nocere alteri non debet
Alterius circumventio alii non praebet actionem
Deceptor
Deceptus
Decipi non censetur, qui scit se decipi
Dolo malo pactum fit, quoties circumscribendi alterius causa aliud agitur et aliud agi simulatur
Dolum facit qui ex aliena iactura lucrum quaerit
Dolum malum esse omnem calliditatem, fallaciam, machinationem ad circumveniendum, fallendum, decipiendum alterum adhibitam
Dolus bonus
Dolus causam dans
Dolus est consilium alteri nocendi
Dolus malus
Dolus non praesumitur
Dolus omnimodo puniatur
Ex malitia nemo commodum habere debet
Fides bona contraria est fraudi et dolo
Fraudis interpretatio semper in iure civili non ex eventu dumtaxat, sed ex consilio quoque desideratur
Generaliter cum de fraude disputatur non quid habeat actor, sed quid per adversarium habere non potuerit considerandum est
Nemini suus dolus prodesse debet
Nemo de improbitate sua consequitur actionem
Nemo videtur fraudare eos qui sciunt et consentiunt
Omnis calliditas, fallacia, machinatio, ad circumveniendum, fallendum, decipiendum alterum adibita
Sciens non fraudatur

Relazione al Libro delle Obbligazioni

(Relazione del Guardasigilli al Progetto Ministeriale - Libro delle Obbligazioni 1941)

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 1439 Codice Civile

Cass. civ. n. 2862/2023

La fattispecie del dolo processuale revocatorio della parte è estensibile al cessionario del diritto controverso ove la sentenza sia stata determinata da una condotta dolosa, seppur materialmente riferibile al cedente, di cui il cessionario abbia oggettivamente beneficiato ai danni del debitore ceduto, al fine di alterare l'esito della decisione, poiché la funzione della revocazione non è quella di sanzionare la parte avvantaggiata in quanto autrice della condotta dolosa, ma è quella di impedire che la controparte subisca il danno derivante dal fatto oggettivo che al giudice è stato impedito di formarsi correttamente il proprio prudente convincimento. (Nella specie la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che aveva ritenuto non configurabile il caso di revocazione di cui all'art. 395, n. 1, c.p.c. nei confronti del cessionario di un credito, nonostante questi si fosse giovato della condotta dolosa posta in essere dal creditore cedente, consistita nella falsificazione di una diffida con effetto interruttivo della prescrizione, al fine di conservare il diritto azionato, altrimenti prescritto).

Cass. civ. n. 20231/2022

Ai fini dell'annullamento del contratto per dolo, non è sufficiente una qualunque influenza psicologica sull'altro contraente, ma occorre la presenza di artifizi, raggiri o menzogne tali da determinare una falsa rappresentazione della realtà idonea ad ingenerare un errore essenziale in una persona di normale diligenza, il cui accertamento spetta al giudice del merito, il quale è tenuto a motivare specificamente in ordine alle concrete circostanze - la cui prova è a carico del "deceptor" - dalle quali desumere che l'altra parte già conosceva o poteva rendersi conto "ictu oculi" dell'inganno perpetrato nei suoi confronti. (Fattispecie relativa al comportamento decettivo del promotore finanziario che, approfittando della residenza all'estero del titolare del conto e della delega da questi rilasciata alla madre, rappresentava falsamente ad entrambi la correttezza delle operazioni e la pre-autorizzazione ricevuta, facendo quindi sottoscrivere alla delegata una serie di moduli di disinvestimento o bonifico impilati, così da distrarre il patrimonio dell'investitore).

Cass. civ. n. 11605/2022

Il dolo omissivo, pur potendo viziare la volontà, è causa di annullamento, ai sensi dell'art. 1439 c.c., solo quando l'inerzia della parte si inserisca in un complesso comportamento, adeguatamente preordinato, con malizia o astuzia, a realizzare l'inganno perseguito, determinando l'errore del "deceptus". Pertanto, il semplice silenzio, anche in ordine a situazioni di interesse della controparte, e la reticenza, non immutando la rappresentazione della realtà, ma limitandosi a non contrastare la percezione della realtà alla quale sia pervenuto l'altro contraente, non costituiscono di per sé causa invalidante del contratto. (In applicazione di tale principio la S.C., con riferimento ad un contratto di compravendita immobiliare, ha escluso che il silenzio serbato dal venditore, nella fase delle trattative, sull'esistenza di irregolarità urbanistiche potesse configurare un'ipotesi di dolo omissivo, ritenendo che il promissario acquirente avesse avuto la concreta possibilità di rendersi conto dei possibili abusi edilizi e, dunque, di poter verificare la conformità dello stato di fatto a quello di diritto).

Cass. civ. n. 31731/2021

A norma dell'art. 1439 c.c. il dolo è causa di annullamento del contratto quando i raggiri usati siano stati tali che, senza di essi, l'altra parte non avrebbe prestato il proprio consenso per la conclusione del contratto, ossia quando, determinando la volontà del contraente, abbiano ingenerato nel deceptus una rappresentazione alterata della realtà, provocando nel suo meccanismo volitivo un errore da considerarsi essenziale ai sensi dell'art. 1429 c.c. A produrre l'annullamento del contratto non è sufficiente una qualunque influenza psicologica sull'altro contraente, ma sono necessari artifici o raggiri, o anche semplici menzogne che abbiano avuto comunque un'efficienza causale sulla determinazione volitiva della controparte.

Cass. civ. n. 25968/2021

In tema di contratti, a norma dell'art. 1439 c.c., il dolo è causa di annullamento del contratto quando i raggiri usati siano stati tali che, senza di essi, l'altra parte non avrebbe prestato il proprio consenso per la conclusione del contratto, ossia quando, determinando la volontà del contraente, abbiano ingenerato nel "deceptus" una rappresentazione alterata della realtà, provocando nel suo meccanismo volitivo un errore da considerarsi essenziale ai sensi dell'art. 1429 c.c. Ne consegue che a produrre l'annullamento del contratto non è sufficiente una qualunque influenza psicologica sull'altro contraente, ma sono necessari artifici o raggiri o anche semplici menzogne, che abbiano avuto comunque un'efficienza causale sulla determinazione volitiva della controparte e, quindi, sul consenso di quest'ultima.

Cass. civ. n. 13034/2018

Il dolo che vizia la volontà e causa l'annullamento del contratto implica necessariamente la conoscenza da parte dell'agente delle false rappresentazioni che si producono nella vittima e il convincimento che sia possibile determinare con artifici, menzogne e raggiri la volontà altrui, inducendola specificamente in inganno. (In applicazione dell'enunciato principio, la S.C. ha condiviso la sentenza impugnata nella parte in cui aveva affermato che le menzogne attribuite alla venditrice, con riferimento alle caratteristiche tecniche dei terminali forniti, potevano avere al più esercitato influenza soltanto sulle modalità della fornitura, senza incidere sulla validità del contratto, e perciò potevano essere, semmai, causa di risarcimento dell'eventuale danno patito).

Cass. civ. n. 11009/2018

Il dolo omissivo rileva quale vizio della volontà, idoneo a determinare l'annullamento del contratto, solo quando l'inerzia della parte si inserisca in un complesso comportamento adeguatamente preordinato, con malizia o astuzia, a realizzare l'inganno perseguito; pertanto, il semplice silenzio e la reticenza, anche su situazioni di interesse della controparte, non immutando la rappresentazione della realtà, ma limitandosi a non contrastare la percezione di essa alla quale sia pervenuto l'altro contraente, non costituiscono causa invalidante del contratto. (In applicazione di tale principio la S.C., con riferimento ad un contratto di compravendita immobiliare, ha escluso che il silenzio serbato dal venditore, nella fase delle trattative, sulla possibilità di un imminente recesso della banca conduttrice dei locali oggetto del contratto potesse configurare una ipotesi di dolo omissivo, ritenendo dirimente la circostanza che nel contratto di locazione tra la venditrice e la banca, conosciuto dall'acquirente, era prevista la facoltà di recesso "ad nutum" del conduttore e che, perciò, quel reddito locativo non era, né poteva essere considerato, sicuro).

Cass. civ. n. 1585/2017

In tema di dolo quale causa di annullamento del contratto, sia nella ipotesi di dolo commissivo che in quella di dolo omissivo, gli artifici o i raggiri, la reticenza o il silenzio devono essere valutati in relazione alle particolari circostanze di fatto ed alle qualità e condizioni soggettive dell'altra parte, onde stabilire se erano idonei a sorprendere una persona di normale diligenza, giacché l'affidamento non può ricevere tutela giuridica se fondato sulla negligenza. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che non aveva ravvisato la sussistenza del dolo nelle assicurazioni fornite da una banca in ordine all’insussistenza di protesti o altre esposizioni debitorie a carico di una moglie legalmente separata in cui favore l'ex marito aveva acconsentito all'iscrizione di ipoteca su di un bene comune a garanzia di un mutuo, ben potendo egli acquisire conoscenza delle reali condizioni economiche della ex coniuge).

Cass. civ. n. 18930/2016

Il contratto concluso per effetto di truffa di uno dei contraenti in danno dell'altro è annullabile ai sensi dell'art. 1439 c.c., atteso che il dolo costitutivo di tale delitto non è ontologicamente diverso, neanche sotto il profilo dell'intensità, da quello che vizia il consenso negoziale, entrambi risolvendosi in artifizi o raggiri adoperati dall'agente e diretti ad indurre in errore l'altra parte e così a viziarne il consenso. Pertanto, la costituzione di parte civile nei confronti dell'imputato cui tale truffa sia stata contestata, implicando la piena conoscenza degli estremi fattuali del reato ascritto, e quindi del dolo, è idonea a far decorrere, ex art. 1442, comma 2, c.c., il termine quinquennale di prescrizione dell'azione di annullamento.

Cass. civ. n. 16004/2014

Le dichiarazioni menzognere (cosiddetto mendacio) sono idonee ad integrare raggiri - e, dunque, a configurare il dolo contrattuale - la cui rilevanza è tanto maggiore in relazione all'affidabilità intrinseca degli atti utilizzati (come quelli contabili destinati a rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria di una società) e se siano rese da una parte con la deliberata finalità di offrire una rappresentazione alterata della veridicità dei presupposti di fatto rilevanti per la determinazione del prezzo di cessione delle quote sociali e di viziare nell'altra parte il processo formativo della volontà negoziale. La valutazione della idoneità di tale comportamento a coartare la volontà del "deceptus" è riservata al giudice del merito, il quale è tenuto a motivare specificamente in ordine alle concrete circostanze - la cui prova è a carico del "deceptor" - dalle quali desumere che l'altra parte già conosceva o poteva rendersi conto "ictu oculi" dell'inganno perpetrato nei suoi confronti.

Cass. civ. n. 4065/2014

In tema di vizi del consenso, vige il principio "fraus omnia corrumpit", in virtù del quale il dolo decettivo conduce all'annullamento del contratto (come pure del negozio unilaterale) qualunque sia l'elemento sul quale il "deceptus" sia stato ingannato e, dunque, in relazione a qualunque errore in cui sia stato indotto, ivi compreso quello sul valore o sulle qualità del bene oggetto del negozio.

Cass. civ. n. 19559/2009

In materia di annullamento del contratto per dolo, le dichiarazioni precontrattuali con le quali una parte cerchi di rappresentare la realtà nel modo più favorevole ai propri interessi non integrano gli estremi del "dolus malus" quando, nel contesto dato, non sia ragionevole supporre che l'altra parte possa aver attribuito a quelle dichiarazioni un peso particolare, considerato il modesto livello di attendibilità che, in una determinata situazione di tempo, di luogo e di persone, è da presumere che possa essere riconosciuta a certe affermazioni consuete negli schemi dialettici di una trattativa (sempre che ad esse non si accompagni la predisposizione di ulteriori artifici o raggiri, idonei a travisare la realtà cui quelle affermazioni si riferiscono). Il valutare se, in concreto, ricorra un'ipotesi di "dolus malus" ovvero di "dolus bonus" è compito precipuo del giudice di merito.

Cass. civ. n. 13566/2008

Il contratto concluso per effetto di truffa di uno dei contraenti in danno dell'altro, non è nullo, ma annullabile, ai sensi dell'articolo 1439 c.c. Infatti, il dolo costitutivo del delitto di truffa (articolo 640 c.p.) non è diverso, né ontologicamente né sotto il profilo intensivo, da quello che vizia il consenso negoziale, atteso che entrambi si risolvono negli artifici o raggiri adoperati dall'agente e diretti ad indurre in errore l'altra parte e così viziarne il consenso.

Cass. civ. n. 2479/2007

Le false o omesse indicazioni di fatti la cui conoscenza è indispensabile alla controparte per una corretta formazione della sua volontà contrattuale (nella specie, in una compravendita di automezzi, non era stato comunicato che gli stessi erano d' importazione e che godevano di una minore garanzia) possono comportare l'annullamento del contratto per dolo, nel caso in cui la controparte, qualora fosse stata a conoscenza delle circostanze maliziosamente taciute, non avrebbe concluso il contratto, o possono comportare l'obbligo per il contraente mendace o reticente di risarcire il danno, ove la controparte si sarebbe comunque determinata a concludere l'affare ma a condizioni diverse, salvo che il contraente mendace non provi che la controparte era comunque a conoscenza dei fatti da lui maliziosamente occultati o che avrebbe potuto conoscerli, usando la normale diligenza; l'accertamento se si versi in una ipotesi di dolo determinante o incidente costituisce valutazione di merito, non sindacabile in sede di legittimità ove adeguatamente motivata.

Cass. civ. n. 5166/2003

Il dolo è, ai sensi dell'art. 1439 c.c., causa di annullamento del contratto, allorché si sia con cretato in artifici o raggiri o anche menzogne, che — ingenerando nella controparte una rappresentazione alterata della realtà — siano stati determinanti del consenso che altrimenti non sarebbe stato prestato.

Cass. civ. n. 2104/2003

Il dolo che vizia la volontà e causa l'annullamento del contratto implica la conoscenza da parte dell'agente delle false rappresentazioni che si producono nella vittima ed il convincimento che sia possibile determinare con artifici, menzogne e raggiri, inducendola specificamente in inganno, la volontà altrui; pertanto la reticenza e il silenzio non bastano a costituire il dolo se non in rapporto alle circostanze e al complesso del contegno che determina l'errore del deceptus, che devono essere tali da configurarsi quale malizia o astuzia volta a realizzare l'inganno perseguito. (Nella specie la S.C. ha confermato, in quanto immune da vizi di motivazione, la sentenza di merito che aveva ritenuto legittimo il recesso del datore di lavoro dal contratto di formazione e lavoro per sopravvenuto accertamento di inidoneità alle mansioni, ma aveva escluso la sussistenza del dolo nel comportamento di un lavoratore, successivamente riconosciuto invalido, che aveva reso noto all'inizio della procedura di assunzione di essere stato esonerato dal servizio militare per un incidente, tacendo di aver presentato una domanda per il riconoscimento di invalidità civile).

Cass. civ. n. 3001/1996

Le dichiarazioni precontrattuali con le quali una parte cerchi di rappresentare la realtà nel modo più favorevole ai propri interessi (nella specie, riguardanti l'affidamento che un'impresa riscuote sul mercato) non integrano gli estremi del dolus malus quando, nel contesto dato, non sia ragionevole supporre che l'altra parte possa aver attribuito a quelle dichiarazioni un peso particolare, considerato il modesto livello di attendibilità che, in una determinata situazione di tempo, di luogo e di persone, è da presumere che possa essere riconosciuta a certe affermazioni consuete negli schemi dialettici di una trattativa (sempre che ad esse non si accompagni la predisposizione di ulteriori artifici o raggiri, idonei a travisare la realtà cui quelle affermazioni si riferiscono). Il valutare se, in concreto, ricorra un'ipotesi di dolus malus ovvero di dolus bonus è compito precipuo del giudice di merito.

Cass. civ. n. 1955/1996

A norma dell'art. 1439 codice civile, il dolo è causa di annullamento del contratto quando i raggiri usati siano stati tali che, senza di essi, l'altra parte non avrebbe prestato il proprio consenso per la conclusione del contratto, ossia, quando, determinando la volontà del contraente, abbiano ingenerato nel deceptus una rappresentazione alterata dalla realtà, provocando nel suo meccanismo volitivo un errore da considerarsi essenziale ai sensi dell'art. 1429 codice civile. Ne consegue che a produrre l'annullamento del contratto non è sufficiente una qualunque influenza psicologica sull'altro contraente, ma sono necessari artifici o raggiri, o anche semplici menzogne che abbiano avuto comunque un'efficienza causale sulla determinazione volitiva della controparte e, quindi, sul consenso di quest'ultima.

Cass. civ. n. 8295/1994

Dalla disciplina dell'art. 1337 c.c., in tema di trattative e responsabilità precontrattuale, o da determinati obblighi di informazione (artt. 1338 e 1892 c.c.) non può desumersi, in coerenza alla regola della correttezza commerciale secondo buona fede, che ogni contraente debba rendere edotta la controparte delle proprie situazioni economiche - salvo che ciò non sia previsto espressamente dal contratto, o non derivi dalla legge, come nei rapporti bancari - ancorché critiche, annullando così l'onere di prudenza che ogni contraente deve pur assumere prima di instaurare un rapporto obbligatorio.
Il dolo omissivo, causa di annullamento del contratto a norma dell'art. 1439 c.c., può concretizzarsi solo quando l'inerzia della parte si inserisca in un complesso comportamento, adeguatamente preordinato, con malizia o astuzia, a realizzare l'inganno perseguito. Pertanto, il semplice silenzio, anche su situazioni di interesse della controparte, e la reticenza, non immutando la rappresentazione della realtà, ma limitandosi a non contrastare la percezione della realtà alla quale sia pervenuto l'altro contraente, non costituisce causa invalidante del contratto.

Cass. civ. n. 10718/1993

Il dolo che vizia la volontà e causa l'annullamento del contratto può consistere nel mendacio, purché, valutato in relazione alle circostanze di fatto ed alle qualità e condizioni dell'altra parte, sia accompagnato da una condotta maliziosa ed astuta capace di realizzare l'inganno voluto ed a sorprendere la buona fede di una persona di normale diligenza e buon senso, posto che l'affidamento non può ricevere tutela giuridica se è fondato sulla negligenza. (Nella specie, con la sentenza cassata, il giudice di merito aveva identificato il dolo nel mendacio del venditore circa il valore di azioni vendute, senza alcun accertamento della condotta posta in essere dal venditore per rendere credibili le sue affermazioni).

Cass. civ. n. 9227/1991

In tema di dolo, quale vizio della volontà, gli artifici ed i raggiri posti in essere da un contraente — idonei in concreto a trarre in inganno la controparte e tali che questa senza di essi non avrebbe stipulato il contratto — non cessano di essere causa di invalidazione del negozio solo perché il deceptus avrebbe potuto espletare una certa attività di verifica e di controllo per sventare l'errore.

Cass. civ. n. 257/1991

Il dolo quale causa di annullamento del contratto ai sensi dell'art. 1439 c.c., può consistere tanto nell'ingannare con notizie false, con parole o con fatti la parte interessata, direttamente o per mezzo di terzi (dolo commissivo), quanto nel nascondere alla conoscenza altrui, col silenzio o con la reticenza, fatti o circostanze decisive (dolo omissivo). Tuttavia, nell'un caso e nell'altro, gli artifici o i raggiri, la reticenza o il silenzio, devono essere valutati in relazione alle particolari circostanze di fatto e alle qualità e condizioni soggettive dell'altra parte onde stabilire se erano idonei a sorprendere una persona di normale diligenza, giacché l'affidamento non può ricevere tutela giuridica se fondato sulla negligenza.

Cass. civ. n. 1817/1977

La menzogna o la reticenza di un contraente possono configurare comportamento doloso, al fine dell'annullabilità del negozio ai sensi dell'art. 1439 c.c., solo quando abbiano provocato l'occultamento di un fatto, la cui conoscenza avrebbe escluso il consenso dell'altro contraente, in considerazione delle sue qualità e condizioni soggettive, e delle circostanze inerenti al comportamento medesimo.

Cass. civ. n. 2528/1976

Il dolo, quale causa di annullamento del contratto, può consistere in una semplice reticenza: in tal caso, colui che chiede l'annullamento deve provare la reticenza, mentre spetta a colui che sostiene la validità del contratto di provare che la circostanza da lui taciuta era in realtà nota alla controparte.

Cass. civ. n. 3030/1974

L'attività del contraente, rilevante al fine della configurazione del dolo, consiste nella determinazione di false rappresentazioni relative non solo alla natura ed alle qualità materiali del bene che è oggetto del contratto, ma anche a tutti quegli elementi che per l'altro contraente possono essere decisivi per la prestazione del suo consenso (fra questi, in primo luogo, il prezzo del bene).

Cass. civ. n. 3352/1972

L'accertamento del nesso di causalità psicologica, e non materiale, com'è quello di derivazione del consenso dal raggiro di uno dei contraenti, deve aver riguardo all'effettivo processo psichico che si è svolto nell'interna sfera della conoscenza e del volere di colui nei confronti del quale l'inganno è stato usato. Ma stante l'impossibilità di una percezione immediata degli altrui fatti interni, questi debbono desumersi dalle circostanze e dai comportamenti esteriori.

Cass. civ. n. 2311/1972

A differenza dell'errore, il quale per sua essenza deve essere valutato nella persona che ne è vittima, il dolo è un fatto che implica una considerazione del contegno del deceptor e delle sue conseguenze sulla conoscenza del deceptus e, pertanto, perché si possa parlare di intenzione di ingannare è necessaria la conoscenza da parte dell'agente delle false rappresentazioni che si producono nella vittima, e la credenza che sia possibile determinare con artifici, menzogne o raggiri, inducendola specificamente in inganno, la volontà altrui. La reticenza e il silenzio non bastano a costituire il dolo se non in rapporto alle circostanze e al complesso del contegno che determina l'errore.

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Consulenze legali
relative all'articolo 1439 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

F. P. chiede
sabato 10/02/2024
“Salve,
Scrivo per il seguente motivo:

Una amica, ha acquistato un’auto circa tre anni fa. Successivamente, attraverso delle ricerche ha scoperto che il chilometraggio dell’auto acquistata era stato alterato, in apparenza erano stati tolti oltre 50.000 km.

Chiedo le seguenti delucidazioni:
Si può procedere in qualche modo contro il concessionario?
In che modo la mia amica Tiziana può tutelarsi?
Ci sono le possibilità di rivolgersi ad un legale?

Grazie per l’attenzione”
Consulenza legale i 21/02/2024
La questione sottoposta, evidenzia come il bene venduto sia difforme rispetto alla descrizione fatta dal concessionario in occasione della vendita.
Si rileva che la difformità è stata rilevata dall’applicazione in cui sono contenute tutte le informazione tecniche relative al veicolo e, quindi, si ritiene che il compratore avrebbe dovuto egli stesso o comunque, potuto, verificare l’effettivo numero di km percorsi dall’auto appena diventato proprietario.

La normativa di riferimento è quella del Codice del Consumo che stabilisce la responsabilità del venditore per la mancanza di conformità del bene consegnato ai sensi dell’art. 133 del codice consumo per i due anni successivi alla consegna.

Si tenga presenta che l’azione si prescrive in 26 mesi dalla consegna.
Non si sa con precisione quando l’autovettura sia stata acquistata e quando sia stata consegnata ma pare di capire che siano passati almeno tre anni e, quindi, si ritiene che l’azione sia prescritta.

Allo stesso modo si ritiene sia decaduta e prescritta l’azione di risoluzione prevista dal Codice Civile all’art. 1497 del c.c. perché segue il regime di decadenza di 8 giorni dalla scoperta della difformità e di prescrizione di un anno dalla consegna ai sensi dell’art. 1495 del c.c..

Si ritiene che l’unica azione civilista che rimane all’acquirente sia quella di annullamento del contratto per dolo ai sensi dell’art.1439 c.c.
Infatti, il dolo del venditore diventa rilevante se il compratore non avrebbe acquistato l’auto se avesse saputo il reale stato del chilometraggio della macchina usata.
Tale azione si prescrive in 5 anni dalla scoperta del dolo ex art. 1442 del c.c. e quindi è sicuramente ancora proponibile.

Pare, inoltre, che una tale pratica commerciale possa integrare anche il reato di truffa contrattuale.

Si consiglia, in ogni caso, di rivolgersi all’Autorità Garante della concorrenza e del mercato per segnalare la pratica commerciale scorretta tenuta dal concessionario ai sensi degli art. 20 del codice consumo e art. 21 del codice consumo.

M. A. chiede
martedì 28/06/2022 - Lombardia
“Buongiorno,
in riferimento al quesito n. Q202230962, chiedo se il testo seguente mi tutela da eventuali aumenti di rumore che possono sorgere nel corso dell'anno conseguente la vendita appartamento, e che possono determinare una richiesta danni per dolo, reticenza e omissione del venditore.

testo :
L’immobile non è caratterizzato da vizi materiali e/o immateriali di mia conoscenza, tuttavia si richiede la formula “visto e piaciuto” per una tutela da possibili richieste future di risarcimento.
Dato che la formula non copre situazioni in presenza di dolo e malafede, si precisa quanto segue :
L’immobile è inserito in un contesto dove la notte è particolarmente frequentato quindi una zona soggetta a varie tipologie di rumori, traffico, mezzi pubblici di superficie, pulizia strade, ritiro spazzatura, metro, ecc. tipici di tutte le zone con alta affluenza di persone e di presenza locali di ristorazione o intrattenimento anche notturni. Per ovviare a questa problematica di inquinamento acustico, ho eseguito una profonda insonorizzazione delle finestre che si affacciano sulla via, ottenendo così una riduzione dei disturbi stradali menzionati.
I rumori notturni interni del condominio, TV, scarichi, musica, sedie, camminamenti e altri rumori di natura antropica, rientrano, al momento della vendita, nella normale tollerabilità prevista dall’art. 844 del codice di procedura civile.
A tal fine si allega una misura fonometrica eseguita nelle ore di riposo notturno di un giorno campione della settimana, non essendo possibile avere un riscontro univoco data la variabilità manifestabile e non prevedibile nel tempo.
Data la natura non previsionale dei rumori, non si esclude che in futuro lo scenario possa cambiare in modo peggiorativo andando a costituire un vizio, ciò non deve essere considerato come una omissione del venditore reticenza o dolo o mala fede, per vizio presente prima della vendita, in quanto la presente non esclude alcuna possibilità di fonte di disturbo.
Si invita pertanto, per evitare future rimostranze o lamentele o richiesta danni, a verificare e valutare tutti gli aspetti menzionati nella presente informativa.”
Consulenza legale i 11/07/2022
Come correttamente indicato nel quesito, il proprietario potrebbe essere ritenuto responsabile nel caso in cui il bene compravenduto non risulti idoneo all'uso che se ne voleva fare. Il compratore, di fronte a questo, può in genere tutelarsi attraverso la richiesta di annullamento del contratto, ai sensi dell'art. 1439 c.c., ma solo ed esclusivamente se il dolo sia da considerarsi determinante; se, in altre parole, l'acquirente non avrebbe acquistato il bene se avesse correttamente conosciuto l'effettivo stato delle cose. Altrimenti, non gli rimarrà che domandare il risarcimento del danno, nel caso in cui il dolo perpetrato dal venditore non sia stato tale da incidere sulla volontà di concludere il contratto, ma l'abbia indotto a farlo a condizioni differenti. Entrambe le ipotesi richiedono tuttavia, per l'appunto, che il venditore abbia messo in atto dei raggiri per ingannare l'acquirente, anche eventualmente attraverso la reticenza.

Si ritiene che lo scritto indicato nel quesito copra assolutamente il venditore da qualsivoglia richiesta del compratore volta ad ottenere l'annullamento del contratto o il risarcimento del danno, proprio perché il venditore sta espressamente rendendo edotto il compratore relativamente alle caratteristiche dell'immobile oggetto di compravendita, e non sarà quindi possibile per l'acquirente, in futuro, rivendicare alcunché.

Si puo pensare di fare riferimento anche all'istituto delle immissioni, disciplinato dall'art. 844 del c.c. e non del Codice di procedura civile (e su questo occorre correggere il testo). Tale disciplina ammette le immissioni tra fondi vicini che non oltrepassino il limite della normale tollerabilità, e può essere utile indicare che, nel caso di specie, si è all'interno di detto limite. Tuttavia, ad onor del vero, la disciplina delle immissioni riguarda tecnicamente i rapporti di vicinato tra proprietari, e quindi tra l'acquirente futuro proprietario e i suoi vicini, e non i rapporti tra venditore e acquirente. Alla luce di tale riflessione, si ritiene che il riferimento alla disciplina di cui all'art. 844 c.c. possa essere tranquillamente omesso senza per questo pregiudicare la tutela del venditore, già assicurata dall'aver spiegato al compratore le problematiche attinenti al bene, comportamento che di certo esclude una eventuale responsabilità del venditore per dolo, anche sotto forma di reticenza.

Stefania U. chiede
domenica 10/03/2019 - Lazio
“Buon giorno,
Nell’aprile del 2016 ho acquistato un fabbricato nelle Marche con annessi due piccolissimi terreni . Solo oggi vengo a sapere.. per puro caso.. che un vicino si è appropriato di uno dei due terreni (oltre ad altre particelle di proprietà di terzi) per effetto di usucapione, con decorrenza settembre 2017. Come è possibile che l’azione di usucapione sia avvenuta a mia insaputa e soprattutto ad un anno dall’acquisto del fabbricato e dei relativi terreni ? Cosa posso fare per riavere indietro il mio terreno ? Grazie”
Consulenza legale i 13/03/2019
L’usucapione è un modo di acquisto originario della proprietà.
Quando si tratta di beni immobili, la relativa proprietà si acquista in virtù del possesso continuato per venti anni (art. 1158 c.c.).
Per fare ciò, occorre intraprendere (a meno che non vi sia un accordo e in quel caso può essere fatto mediante notaio) una causa civile all’esito della quale il giudice, ricorrendone i presupposti, dichiara l’acquisto della proprietà per intervenuta usucapione.
Il soggetto cui deve essere notificato l’atto di citazione (il legittimato passivo) è colui che “possiede il bene o ne è proprietario all'atto della domanda, e non anche dei precedenti danti causa, che non hanno veste di litisconsorti necessari.” (Cass. 24260/2018).
Non rileva, quindi, ai fini della legittimazione passiva, il fatto che, nelle more del giudizio volto a far valere l'usucapione, il proprietario abbia alienato a terzi il proprio diritto (come supponiamo sia forse successo nel caso in esame), trattandosi di res inter alios acta (Cass.18095/2014).

Ciò premesso, leggiamo nel quesito che la decorrenza dell’acquisto per usucapione sarebbe avvenuta da settembre 2017 e cioè un anno dopo il Suo atto di acquisto.
La data da Lei riportata immaginiamo corrisponda alla data della sentenza.
La ragione che l’usucapione sia avvenuta a Sua insaputa può trovare la seguente spiegazione: possiamo ipotizzare che il possessore abbia notificato a suo tempo (immaginiamo prima del 2016, vista la durata dei processi civili) l’atto di citazione al proprietario dell’epoca che poi ha venduto a Lei.
Ricordiamo che la sentenza che accerta l’usucapione ha natura dichiarativa ed il riconoscimento dell’usucapione ivi contenuto ha effetto retroattivo e può essere eccepito anche nei confronti dei successivi acquirenti dell’immobile rispetto al primo titolare. Infatti, in caso di conflitto tra acquirente a titolo derivativo e acquirente per usucapione prevale comunque chi ha usucapito in quanto titolare di un acquisto a titolo originario.
Quindi, riteniamo che chi ha usucapito non abbia alcuna responsabilità nei Suoi confronti, mentre potrebbe avercela chi Le aveva venduto l’immobile con i terreni.
Infatti, non appare credibile che alla data del 2016 il precedente proprietario non fosse a conoscenza della pendenza del giudizio per usucapione (circostanza che è comunque facilmente verificabile tramite la lettura della sentenza nella quale sicuramente è riportata la data di notifica dell’atto di citazione).
Se tale circostanza venisse confermata, riteniamo sia possibile ipotizzare un dolo contrattuale a carico del venditore con la conseguente applicazione dell’art. 1439 c.c. secondo cui “il dolo è causa di annullamento del contratto quando i raggiri usati da uno dei contraenti sono stati tali che, senza di essi, l'altra parte non avrebbe contrattato”.
Su tale aspetto, la Corte di Cassazione ha evidenziato che: “pur potendo il dolo omissivo viziare la volontà e determinare l'annullamento del contratto, tuttavia, esso rileva a tal fine solo quando l'inerzia della parte contraente si inserisca in un complesso comportamento adeguatamente preordinato, con malizia od astuzia, a realizzare l'inganno perseguito. Il semplice silenzio, anche su situazioni di interesse della controparte, e la reticenza, non immutando la rappresentazione della realtà, ma limitandosi a non contrastare la percezione di essa alla quale sia pervenuto l'altro contraente, non costituiscono causa invalidante del contratto. Piuttosto, la reticenza ed il silenzio non sono sufficienti a costituire il dolo, se non in rapporto alle circostanze ed al complesso del contegno che determina l'errore del "deceptus", che devono essere tali da configurarsi quali malizia o astuzia volte a realizzare l'inganno perseguito” (Cass.11009/2018).
Ricorrendone i presupposti testè evidenziati, si potrebbe appunto (entro cinque anni dalla sottoscrizione del contratto, come previsto dall’art. 1442 c.c.) chiedere l’annullamento del contratto medesimo, con conseguente restituzione del prezzo versato, oltre eventuali danni.
Ciò però, in risposta alla domanda contenuta nel quesito, non La farebbe ritornare in possesso del terreno usucapito.

Fermo quanto precede dal punto di vista civile, dal punto di vista penale si potrebbe forse ipotizzare anche (sempre a carico del venditore) il reato di truffa contrattuale (art. art. 640 del c.p. c.p.).
Su tale aspetto, citiamo una recente pronuncia della Suprema Corte secondo cui: “gli artifizi o i raggiri richiesti per la sussistenza del reato di truffa possono consistere anche nel semplice silenzio maliziosamente serbato, su circostanze fondamentali ai fini della conclusione di un contratto, da chi abbia l'obbligo, anche in forza di una norma extra penale, di farle conoscere in quanto il comportamento dell'agente in tal caso non può ritenersi meramente passivo, ma artificiosamente preordinato a perpetrare l'inganno e a non consentire alla persona offesa di autodeterminarsi liberamente. (Fattispecie in cui il venditore di un immobile, nella fase delle trattative, aveva omesso di informare l'acquirente delle pretese accampate sul bene dai propri fratelli che, ove riconosciute fondate all'esito di un futuro giudizio, avrebbero comportato la restituzione dell'immobile anche da parte del terzo ove questi, nel frattempo, lo avesse acquistato)”. (Cass.23079/2018).
Quindi la circostanza di aver taciuto la pendenza di un giudizio di usucapione, potrebbe forse in astratto integrare anche tale ipotesi di reato (il relativo termine per la presentazione della denuncia-querela è di tre mesi da quando è venuto a conoscenza della circostanza dell’usucapione, art. 124 c.p.).
Naturalmente, soprattutto con riguardo tale aspetto, per fornire un parere più esaustivo occorrerebbe avere a disposizione tutta la documentazione relativa alla vicenda nonché essere a conoscenza di tutti i fatti della vicenda.


Daniele C. chiede
lunedì 02/03/2015 - Emilia-Romagna
“Tale questione riguarda mio fratello, portatore di handicap dalla nascita (1955), con una certa limitatezza cognitiva e volitiva.
Nel 1970 uno zio stipulava preliminare per acquisizione di terreno da terza persona, con la clausola per persona da nominare e successivamente veniva rogitato il terreno presso il notaio, intestando il terreno a mio fratello: negli anni seguenti veniva realizzata costruzione sempre intestata a mio fratello.
Nel 1986 lo zio fece pressione sul nipote e preconfezionò una scrittura privata/dichiarazione, in cui mio fratello riconosceva che le proprietà di cui era intestato erano state comperate e costruite dallo zio; conferiva vita natural durante allo zio l'amministrazione del bene e prevedeva che alla morte dello zio avrebbe scelto da sé un amministratore nell'ambito dei fratelli e cugini.
Nel 2003 veniva fatta sottoscrivere ulteriore dichiarazione, in cui mio fratello autorizzava nostro zio a sottoscrivere un contratto di locazione, riscuotere il canone annuale e compiere tutte le azioni che si rendessero necessarie per l'amministrazione della proprietà, ribadendo che lo zio aveva sostenuto tutte le spese per l'acquisto del terreno, costruzione dello stabile, ogni spesa di manutenzione straordinaria, compreso ogni gravame fiscale che ha gravato sullo stesso.
Poco dopo, sempre 2003, si faceva firmare a mio fratello che, essendo stato mio zio ad acquistare l'area e costruire l'edificio, si riteneva equa la decisione di dividere questa proprietà in questo modo: metà a me stesso e l'altra metà ai miei cugini figli di ... Amministrazione del bene allo zio finché è in vita, poi a una cugina.
Di queste dichiarazioni carpite raggirando la buona fede di mio fratello non ne è stata rilasciata allo stesso alcuna copia.
Nel 2005 zio e cugini conferivano incarico a un avvocato che chiedeva a mio fratello tutti i pagamenti dell'affitto e il formale adempimento della scrittura privata del 2003, accettata dai cugini, mediante intestazione agli stessi di una quota pari al 50 % dell'immobile.

Mio fratello è rimasto sorpreso dalla richiesta, considerando oltrettutto che lo zio in tutti gli anni precedenti al 2004 provvedeva a trattenersi indebitamente tutte le somme di denaro derivanti dall'affitto senza rendere alcun conto a lui, ma provvedendo al semplice mantenimento di quest'ultimo, vivendo in casa insieme.
Aspetto al più presto Vs. risposta. Grazie”
Consulenza legale i 05/03/2015
La vicenda narrata nel quesito è complessa e meriterebbe una analisi più approfondita.
Tuttavia, sembra di poter enucleare un paio di questioni giuridicamente rilevanti: che efficacia hanno le dichiarazioni fatte firmate dallo zio al nipote disabile? Il nipote è tenuto a provvedere alla divisione dell'immobile, conferendo la quota del 50% ai cugini?

Quanto alla prima questione, andrebbe chiarito il tipo di handicap del proprietario dell'albergo. D'ora in avanti si supporrà, visto che nel quesito ciò non è detto, che si tratti di persona né interdettainabilitata.
Se si può dimostrare che egli era perfettamente in grado di intendere e di volere al momento della sottoscrizione delle dichiarazioni, nulla quaestio.
Se la sua invalidità colpisce in maniera permanente la capacità di apprezzare i fatti che avvengono attorno a lui e lede quindi la sua capacità di comprendere gli effetti dei negozi giuridici che compie, si potrebbe dimostrare che al momento delle sottoscrizioni la persona era incapace di intendere o di volere, ai sensi dell'art. 428 del c.c.: tuttavia, nell'esaminare le date in cui sono avvenute le firme, si evince che l'azione di annullamento è ormai prescritta, atteso che essa è proponibile solo entro 5 anni dal compimento dell'atto.
Anche una eventuale ipotesi di dolo dello zio (cioè l'uso di raggiri tali da aver indotto il nipote a firmare, v. art. 1439 del c.c.) sembrerebbe essere non più rimediabile: ai sensi dell'art. 1442 del c.c., il termine quinquennale per proporre l'azione di annullamento decorre dal giorno in cui è stato scoperto l'errore o il dolo. Atteso che nel 2005 lo zio ha palesato le proprie intenzioni mediante l'invio di lettera a firma di un legale, si suppone che in quel momento il nipote abbia avuto contezza di quanto firmato e dell'eventuale raggiro operato dallo zio: il termine di cinque anni sarebbe quindi spirato nel 2010.

Dal punto di vista dei negozi giuridici effettuati dalle parti, si ravvisa una donazione indiretta del terreno e dell'immobile stesso, poiché lo zio avrebbe sostenuto tutte le spese di acquisto e di edificazione.
Si rileva, poi, che negli anni il nipote si è comportato come nudo proprietario, mentre lo zio come usufruttuario di fatto (ha pagato tutte le utenze, le imposte, ha percepito i canoni di locazione - cioè i frutti prodotti dal bene -, e così via), senza apparente opposizione del nipote. La costituzione del diritto di usufrutto deve avvenire per iscritto ai sensi dell'art. 1350, n. 2, c.c.: cosa che è avvenuta nel caso di specie, mediante le dichiarazioni scritte del nipote. Il fatto che il diritto non sia stato trascritto nei registri immobiliari ai sensi dell'art. 2643, n. 2, c.c., rende l'usufrutto inopponibile ai terzi ma non fa venire meno il diritto in capo allo zio.
Peraltro, anche a voler ritenere insufficiente la scrittura privata ai fini della costituzione del diritto, si potrebbe ipotizzare (ma qui andrebbe valutato il comportamento negli anni tenuto dallo zio e dal nipote) l'acquisto dell'usufrutto per usucapione ventennale (art. 978 del c.c.).

Alla luce di queste osservazioni - ribadito che si dovrebbero esaminare approfonditamente i fatti avvenuti nel corso degli ultimi decenni - sembra di poter ritenere che lo zio abbia acquistato il diritto di fare propri i canoni di locazione, in virtù del diritto di usufrutto costituito a suo favore dal nipote o (eventualmente) usucapito: in ogni caso, volendo escludere la nascita di un diritto reale, il nipote si è impegnato per iscritto a cedere i canoni di locazione allo zio, che quindi può richiederli a titolo di credito.

Venendo alla seconda questione, quella della divisione, si osserva che nel 2003 il nipote assumeva l'impegno di dividere la proprietà "metà a me stesso e l'altra metà ai miei cugini figli di ...". Si tratterebbe, dal punto di vista giuridico, di un preliminare di donazione (non consta che fosse stato previsto un prezzo da pagare per i cugini). La giurisprudenza non reputa ammissibile la conclusione di un atto che determini in capo al donante l'obbligo di donare, in quanto verrebbe eliminato il carattere di spontaneità della disposizione liberale, elemento essenziale della donazione (v. tra le molte sentenze, la recente Cass. civ., 2.7.2014 n. 15095: "E' inammissibile quindi la figura del preliminare di donazione, perché il soggetto deve essere libero di compiere o non compiere l'atto, perciò ogni promessa di donazione è nulla").
Quindi, non si ritiene sorto il diritto dei cugini ad ottenere l'intestazione del 50% dell'immobile. A tal fine sarebbe stato necessario procedere direttamente nella forma solenne dell'atto pubblico, oppure concludere un preliminare di vendita, ove venga previsto a favore del nipote e a carico dei cugini un prezzo di acquisto.

Mantovan chiede
giovedì 17/02/2011 - Lombardia

“Nel caso in cui due persone decidano di sposarsi, comprino i mobili, il vestito da sposa, affittino una casa, la ristrutturano e poi uno dei due decida, dopo 9 anni di fidanzamento, di ritirarsi, se non sono ancora state fatte le pubblicazioni di matrimonio, come si può fare per richiedere i danni subiti?
Grazie per la gentilezza.”

Consulenza legale i 18/02/2011

Il codice civile contempla il caso in cui il promittente - senza giusto motivo - ricusi di eseguire la promessa di matrimonio fatta vicendevolmente per atto pubblico o per scrittura privata (da una persona maggiore di età o dal minore ammesso a contrarre matrimonio) oppure risultante dalla richiesta della pubblicazione (art. 81 del c.c.). La conseguenza prevista dall'ordinamento è il diritto al risarcimento del danno cagionato all'altra parte per le spese fatte e per le obbligazioni contratte a causa di quella promessa.

Nel caso di specie, sebbene le pubblicazioni non fossero ancora state chieste, lo stato di avanzamento dei preparativi per il matrimonio induce a credere che possano esistere documenti scritti, ad esempio delle lettere, dalle quale si possa desumere un impegno serio e preciso di contrarre matrimonio. Si ritiene che costituiscano prova sufficiente anche le lettere di uno solo dei promittenti quando da esse si evinca in modo non equivoco che anche l'altra parte ha a sua volta manifestato, con la propria corrispondenza, la volontà di contrarre matrimonio.

Quanto all'onere della prova sull'esistenza di "giusto motivo", la giurisprudenza dominante sostiene che quella prevista dall'art. 81 c.c. sia una singolare obbligazione ex lege a carico della parte che si avvale del diritto di recesso dalla promessa di matrimonio. "Esclusa la configurabilità sia di un illecito extra-contrattuale (in quanto lo scioglimento dalla promessa di matrimonio integra un'espressione del diritto fondamentale della libertà di contrarre matrimonio, con la conseguenza che il recesso, anche se esercitato senza giusto motivo, non potrà mai essere considerato condotta antigiuridica), sia l'inquadramento della fattispecie nell'ambito della responsabilità contrattuale o precontrattuale (posto che la promessa di matrimonio non è un contratto e neppure costituisce un vincolo giuridico tra le parti) - deve ritenersi che l'obbligazione prevista dall'art. 81 c.c. costituisca una particolare forma di riparazione riconosciuta al di fuori di un presupposto di illiceità, essendo ricollegata direttamente dalla legge alla rottura della promessa di matrimonio "senza giusto motivo".
Ciò posto, si osserva che il tenore letterale della norma è chiaro nell'individuare i presupposti e le condizioni di operatività dell'obbligazione riparatoria, nonchè i limiti della stessa, segnatamente individuando l'assenza di giustificato motivo quale fatto negativo costitutivo della pretesa dell'altra parte ("la promessa di matrimonio obbliga il promettente che senza giusto motivo ricusi di eseguirla a risarcire il danno cagionato all'altra parte ..."). Correttamente, dunque, la Corte di appello ha ritenuto che l'onere della prova del fatto positivo (dell'esistenza, cioè, di un giusto motivo) incombesse ex art. 2697 c.c. sul recedente
" (Cass. civ. Sez. III, Sent., 15-04-2010, n. 9052).


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