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Articolo 1223 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 31/01/2024]

Risarcimento del danno

Dispositivo dell'art. 1223 Codice Civile

Il risarcimento del danno per l'inadempimento [2057](1) o per il ritardo(2) deve comprendere così la perdita subita dal creditore(3) come il mancato guadagno(4) [2056 comma 2], in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta [1225, 1382, 1479 comma 2, 1515, 1516, 1518, 1589, 1591, 1696, 1905, 2056](5)(6).

Note

(1) Si tratta dell'inadempimento assoluto: qui il danno si sostituisce alla prestazione non eseguita.
(2) In caso di inadempimento relativo la prestazione pattuita rimane dovuta ed il risarcimento si aggiunge ad essa.
(3) Il depauperamento del patrimonio del debitore si sostanzia nel c.d. "danno emergente". Ad esempio, le spese sostenute per procurarmi altrove la partita di merce non consegnatami.
(4) Il mancato guadagno configura il c.d. "lucro cessante". Si pensi, ad esempio, a quanto avrei potuto guadagnare se la merce avariata che mi è stata consegnata fosse stata in buono stato.
(5) Il riferimento è alla necessità del nesso di causalità tra illecito e danno. Per quanto concerne il criterio con cui determinare tale causalità, la teoria oggi dominante è quella che fa riferimento al concetto di causa del diritto penale (40 c.p.) definita secondo il principio della condicio sine qua non.
(6) Il risarcimento del danno può essere effettuato in forma specifica, se viene ripristinata la situazione esistente prima dell'illecito, o per equivalente, mediante corresponsione di una somma a titolo di ristoro (v. 2058 c.c.).
Nel caso di illecito contrattuale, si può ottenere solo un risarcimento per equivalente, poiché se l'inadempimento è assoluto la prestazione non può più essere eseguita e, di conseguenza, la situazione ripristinata mentre se l'inadempimento è relativo, la prestazione è ancora possibile ed il risarcimento non può che essere un ristoro economico per il ritardo.

Ratio Legis

La norma stabilisce come deve essere determinato il danno risarcibile in caso di inadempimento e la disciplina è integrata dalle disposizioni che seguono (1224, 1225, 1226, 1227, 1228, 1229 c.c.). Il creditore ha diritto al risarcimento dell'intero danno subito ma purché vi sia una causalità tra inadempimento (o ritardo) e pregiudizio: quest'ultimo, infatti, deve essere ascrivibile al debitore.

Brocardi

Compensatio lucri cum damno
Damnum emergens
Damnum pati videtur, qui commodum amittit, quod consequi poterat
Id quod interest non solum ex damno dato constat, sed etiam ex lucro cessante
Lucrum non intelligitur, nisi omni damno deducto; neque damnum, nisi lucro deducto

Spiegazione dell'art. 1223 Codice Civile

Concetto, specie di danno

Su questa disposizione, che si richiama al vecchio art. #1227#, ma che è opportunamente completata, pone la base la teoria dell'id quod interest, unitaria perché riferibile al danno sia contrattuale che extracontrattuale.

Il principio, che l'art. 1223 enuncia, è in pieno aderente al concetto del danno, se, infatti, stando alla spiegazione datane dalle fonti, il danno è ogni effettiva diminuzione di patrimonio, quale risulta tra il valore suo attuale ed il valore che esso avrebbe avuto (di qui il significato dell'id quod interest: formula sincopata per l'altra: id quod in­terest creditori obligationem adimpleri).

Danno può aversi sia se il patrimonio viene diminuito di ciò che lo costituisce (damnum emergens o anche damnum positivum) sia se lo stesso patrimonio non si accresce (lucrum cessans o anche damnum negativum) a causa dell' inadempimento o del ritardo; principio non solo giuridico ma anche logico perché con il risarcimento del danno deve il debitore reintegrare il danneggiato nella precedente situazione patrimoniale.

Requisiti del danno risarcibile

Dal concetto del danno, così inteso, l'interprete desume i requisiti che questo deve possedere perché possa considerarsi tale e quindi risarcibile.

Innanzitutto, se una diminuzione non si precisa essere stata causata al patrimonio nella duplice specie, positiva (perdita) o negativa (mancato accrescimento), non potrà riconoscersi al creditore alcun diritto ad essere risarcito, mancando la lesione stessa.

In secondo luogo il danno deve essere patrimoniale, deve, cioè, consistere in una diminuzione del patrimonio, che, economicamente inteso, consente di quella una valutabilità in danaro. Restano perciò esclusi da ogni risarcimento i danni non patrimoniali, ossia i danni c.d. morali, in quanto colpiscono non un bene del patrimonio, ma la persona nella sua sensibilità morale, nella sua tranquillità spirituale, cagionandole ad es. dolore, patemi d'animo, afflizioni dello spirito, senza che, si noti, siffatte situazioni abbiano una qualunque influenza sul patrimonio o sull'attività dell'offeso, nei quali casi l'indole patrimoniale del danno è fuori discussione; ne sono egualmente esclusi i danni meramente soggettivi e d'affezione e quelli immaginari.

La soluzione negativa del problema della risarcibilità o meno dei danni morali, già, sotto il codice del 1865 oggetto di viva disputa in dottrina ed in giurisprudenza, risponde al principio sanzionato dal nuovo codice e risultante sia dall'art. 1223, sia dall'art. 2059; dal primo che, precisando dover il risarcimento comprendere sia la perdita subita come il mancato guadagno, vuole un risarcimento che reintegri la lesione patrimoniale; dal secondo che, consentendo la risarcibilità dei danni morali solo nei casi previsti dalla legge, esclude, anche per la sistemazione della norma, la risarcibilità degli stessi danni derivanti da colpa contrattuale.

I danni possono anche non essere presenti, essere, cioè futuri, intendendo per essi non già quei danni il cui verificarsi sia collegato ad un evento futuro (in tal caso si avrebbe incertezza sull'an e quindi la loro irrisarcibilità) ma quelli che, obbiettivamente certi, solo in, un momento successivo saranno precisati.

In terzo luogo il danno, tanto positivo che negativo, deve stare all'inadempimento o al ritardo come l'effetto sta alla causa; è richiesto, in altri termini, un nesso di causalità, per cui solo quel danno che possa considerarsi quale conseguenza, immediata e diretta dell'inadempimento o della mora, sarà risarcito, restando escluso il danno mediato od indiretto, quello, cioè, che nell'unica causa dell'inadempimento o del ritardo non abbia la sua origine.

Da quanto precede si possono enunciare i seguenti principi fermi nella dogmatica del risarcimento:
a) che la riparazione del danno è dovuta solo se si dimostri che questo non si sarebbe verificato senza l'inadempimento o la mora;
b) che quella riparazione è egualmente dovuta nonostante s'inseriscano, nel comportamento imputabile al debitore, concause, le quali, però, non derivino da un fatto diverso, contemporaneo o posteriore all'illecito del debitore, poiché allora verrebbe meno lo stesso nesso causale, presupposto della risarcibilità;
c) che la stessa riparazione non è, invece, dovuta ove il danno sia stato determinato da un evento estraneo sopraggiunto al fatto imputabile al debitore;
d) che, da ultimo, la riparazione non è del pari dovuta se il danno consiste in un mancato guadagno, che non si poteva ragionevolmente sperare, considerando l'ordinario corso delle cose, un cessato lucro, cioè, la cui realizzazione era solo in spe creditoris.


Contenuto della prestazione risarcitoria

Il risarcimento del danno, però, non esaurisce per il debitore l'obbligo di riparare al creditore le conseguenze del volontario inadempimento; prima di esso sta quello di reintegrare il patrimonio del creditore in forma specifica per far conseguire a questi la eadem res debita, cioè la medesima cosa che egli intendeva assicurarsi con la prestazione rimasta invece inadempiuta. Solo quando siffatto mezzo non sia attuabile per la natura della prestazione o per volontà dello stesso creditore, si sostituisce l'altro rimedio, quello sussidiario, il risarcimento del danno che comprende è la aestimatio rei (ossia l'equivalente economico della cosa dedotta nella prestazione) e l'id quod interest (ossia la riparazione in danaro).

Con la liquidazione del risarcimento si determina in definitiva la somma che il debitore deve corrispondere al creditore.
Essa può essere:
a) volontaria, rimessa, cioè, alle parti, pattiziamente o anche unilateralmente e tanto prima (in previsione quasi) dell'evento dannoso (come la clausola penale, la caparra, la pena di recesso, ecc.) quanto dopo che i1 danno si è verificato;
b) legale, se operata direttamente dalla legge;
c) giudiziale, se non essendo possibili le altre due forme (a, b) il danno viene liquidato dal giudice.
Su queste due ultime v. il commento agli articoli 1224 e 1226.


Condizioni dell’azione in risarcimento

L'azione per conseguire la riparazione del danno è sottoposta alla ordinaria prescrizione decennale, quando tale termine non sia stato dalla legge ristretto ad un periodo più breve.

Il dies a quo è diverso a seconda della specie del rapporto obbligatorio da cui deriva i1 risarcimento; così se si tratta di obbligo di dare o di fare, la domanda potrà essere proposta solo nello stesso momento in cui si chiede l'adempimento della prestazione; che se questa non può più domandarsi perché colpita da prescrizione, egualmente improponibile, per la stessa causa, sarà una domanda di danni, non potendovisi ravvisare un fatto lesivo per il creditore la cui inerzia ha reso possibile la prescrizione; ove l'obbligo sia di non fare, il giorno in cui si verifica l'inadempimento segnerà anche quello da cui potrà chiedersi la riparazione.

Relazione al Libro delle Obbligazioni

(Relazione del Guardasigilli al Progetto Ministeriale - Libro delle Obbligazioni 1941)

36 Il contenuto della prestazione di risarcimento viene precisato, sia per la colpa contrattuale, sia per quella extra­ contrattuale, nell'obbligo di reintegrare il danneggiato nella situazione patrimoniale in cui si sarebbe trovato se non si fosse verificato il fatto lesivo (art. 19). La reintegrazione deve comprendere tutte le conseguenze dannose necessarie del fatto lesivo, nella doppia figura di perdite di utilità già acquisite al patrimonio (danno emergente) e di lucro cessante; ma, mentre il danno emergente potrà essere considerato senza discrezionalità, il lucro cessante dovrà essere liquidato con equo apprezzamento delle circostanze del caso.
Il diverso contenuto del potere del giudice nell'accerta­mento dei due componenti del danno è giustificato dalla facilità di una prova certa e concreta del danno emergente, e dal carattere presuntivo della prova del lucro cessante. La pratica ha dato luogo non di rado a esagerazioni, che il giudice fino ad oggi non ha potuto evitare; ogni pretesta di
risarcimento di danni futuri si suole fondare sulla base del corso normale degli eventi, mentre, il solo dubbio che questa normalità non sia, ogni volta, costante, deve indurre il giu­dice, caso per caso, a temperamenti che proporzionino meglio l'ammontare della liquidazione giudiziale.
È da notare che l'art. 19, a1 posto della incerta formula degli articoli 1228 e. 1229 cod. civ. circa l'obbligo di risarcire i danni preveduti o prevedibili che sono la conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento, pone il presupposto di un rapporto di necessità fra il fatto lesivo e le conseguenze dannose. In tal modo il requisito della causalità fra fatto dannoso e danno si è descritto secondo una formula diffusa nella giurisprudenza, che è perciò inutile chiarire, e che può abbracciare i danni prossimi e remoti, nei limiti in cui le considerazioni di equità cui il giudice è tenuto possano farli ritenere risarcibili.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

572 La liquidazione del danno derivante da violazione dei doveri inerenti a un rapporto giuridico specifico, anche secondo il nuovo codice deve essere fatta tenendo conto del lucro cessante e del danno emergente, in quanto siano conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento o del ritardo (art. 1223 del c.c.), quindi saranno esclusi dal risarcimento i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza (art. 1227 del c.c., secondo comma). Sono dovuti però soltanto i danni prevedibili al momento in cui è sorta l'obbligazione; se poi l'inadempimento è derivato dal dolo del debitore, devono risarcirsi anche i danni imprevedibili (art. 1225 del c.c.). Questi principi sono tradizionali, concordemente affermati; si è invece sempre discusso se, nel caso di concorso di colpa del creditore nella produzione del danno, sia dovuto l'intero risarcimento o se l'importo del danno debba ridursi proporzionalmente. La dottrina e la giurisprudenza formatasi sul codice civile del 1865, traendo ispirazione anche da singole disposizioni positive (art. 1868 cod. civ. sostituito dall'art. 12, ultimo comma, del r. d. 12 ottobre 1919, n. 2099, sulla responsabilità degli albergatori, e art. 662 del cod. comm. nel testo sostituito con la legge 14 giugno 1925, n. 938, in materia di urto di navi), sul riflesso che tra fatto e danno deve correre un nesso di causalità e che, se concorrono più cause poste in essere da soggetti diversi, questi, nei rapporti interni, rispondono in proporzione del grado di colpa efficiente ascrivibile a ciascuno, aveva affermato che, quando uno dei soggetti in colpa efficiente fosse lo stesso danneggiato, la responsabilità del danneggiante veniva ridotta in proporzione dell'efficienza della colpa del danneggiato. Il codice civile nuovo ha consacrato questa interpretazione nell'art. 1227 del c.c., primo comma, ove non si è detto che il dolo o la colpa grave del danneggiante assorba, togliendone ogni rilevanza, la colpa lieve del danneggiato; ma, con una formula elastica, si è permesso al giudice di giungere, secondo le circostanze, anche a tale risultato. Il creditore deve provare l'esistenza e l'ammontare del danno. Quanto all'ammontare, in relazione alle varie situazioni che in pratica possono verificarsi, la difficoltà di una prova specifica del danno di cui è sicura l'esistenza è superabile dal giudice con una valutazione concreta equitativa (art. 1226 del c.c.) ovvero con una valutazione-limite, entro la quale egli può rimetterne la determinazione alla coscienza del creditore mediante il giuramento suppletorio (art. 2736 del c.c., n. 2). Gli articoli art. 1223 del c.c., art. 1226 del c.c. e art. 1227 del c.c. si applicano anche alla liquidazione dei danni dipendenti da fatti illeciti; ma di tale argomento si tratterà in altro luogo (n. 801).

Massime relative all'art. 1223 Codice Civile

Cass. civ. n. 5119/2023

In caso di danno cd. lungolatente (nella specie, contrazione di epatite C, asintomatica per più di venti anni, derivante da trasfusione), il diritto al risarcimento del danno biologico sorge solo con riferimento al momento di manifestazione dei sintomi e non dalla contrazione dell'infezione, in quanto esso non consiste nella semplice lesione dell'integrità psicofisica in sé e per sé considerata, bensì nelle conseguenze pregiudizievoli per la persona, sicché, in mancanza di dette conseguenze, difetta un danno risarcibile, altrimenti configurandosi un danno "in re ipsa", privo di accertamento sul nesso di causalità giuridica (necessario ex art. 1223 c.c.) tra evento ed effetti dannosi.

Cass. civ. n. 37798/2022

In tema di inadempimento di obbligazioni contrattuali diverse da quelle pecuniarie, al danneggiato spettano la rivalutazione monetaria del credito da danno emergente e gli interessi compensativi del lucro cessante, a decorrere dal giorno della verificazione dell'evento dannoso, poiché l'obbligazione di risarcimento del danno derivante da inadempimento contrattuale costituisce, al pari dell'obbligazione risarcitoria da responsabilità extracontrattuale, un debito non di valuta, ma di valore, che tiene luogo della materiale utilità che il creditore avrebbe conseguito se avesse ricevuto la prestazione dovutagli. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza impugnata, che, per il danno subito dal titolare di conto corrente per la negligente condotta della banca nella verifica dei titoli di credito presentati all'incasso, aveva fatto decorrere la rivalutazione e gli interessi compensativi dal giorno della costituzione in mora, anziché da quello di verificazione dell'evento dannoso, coincidente con i singoli prelievi illeciti).

Cass. civ. n. 37477/2022

In tema di responsabilità civile da circolazione stradale, le spese sostenute dal danneggiato per l'attività stragiudiziale svolta in suo favore da una società di infortunistica (diretta sia a prevenire il processo, sia ad assicurarne un esito favorevole) costituiscono un danno emergente, ancorché detta attività possa essere svolta personalmente, e tale pregiudizio, se allegato e provato, deve essere risarcito ai sensi dell'art. 1223 c.c.; l'utilità di dette spese, in funzione della possibilità di porle a carico del danneggiante, anche in caso di danno da micropermanente, dev'essere valutata "ex ante", con specifico riferimento alle circostanze del singolo caso concreto (compreso il grado di esperienza e di conoscenza tecnico legale dell'interessato), avuto riguardo a quello che poteva ragionevolmente presumersi essere l'esito del futuro giudizio.

Cass. civ. n. 27016/2022

La pronuncia di condanna generica al risarcimento del danno implica l'avvenuto accertamento dell'esistenza dell'evento dannoso e del nesso causale tra questo e la condotta del responsabile, venendo rimessa al successivo giudizio di liquidazione la verifica della sussistenza delle conseguenze pregiudizievoli, alla stregua dell'art. 1223 c.c. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva liquidato una provvisionale sulla base di una valutazione prognostica del possibile ammontare del danno conseguenza, da accertarsi in separato giudizio).

Cass. civ. n. 16027/2022

La liquidazione del danno da ritardato adempimento di un'obbligazione di valore, ove il debitore abbia pagato un acconto prima della quantificazione definitiva, deve avvenire: a) devalutando l'acconto ed il credito alla data dell'illecito; b) detraendo l'acconto dal credito; c) calcolando gli interessi compensativi individuando un saggio scelto in via equitativa, ed applicandolo prima sull'intero capitale, rivalutato anno per anno, per il periodo intercorso dalla data dell'illecito al pagamento dell'acconto, e poi sulla somma che residua dopo la detrazione dell'acconto, rivalutata annualmente, per il periodo che va da quel pagamento fino alla liquidazione definitiva.

Cass. civ. n. 2261/2022

In tema di risarcimento del danno da perdita di "chance", l'accertamento del nesso di causalità tra il fatto illecito e l'evento di danno (rappresentato, in questo caso, dalla perdita non del bene della vita in sé ma della mera possibilità di conseguirlo) non è sottoposto a un regime diverso da quello ordinario, sicché sullo stesso non influisce, in linea di principio, la misura percentuale della suddetta possibilità, della quale, invece, dev'essere provata la serietà ed apprezzabilità ai fini della risarcibilità del conseguente pregiudizio. (Nella specie, in cui l'attore non era stato ammesso a partecipare alla prova scritta di un concorso indetto da un'azienda ospedaliera, a causa del ritardo con cui gli era stata recapitata la raccomandata contenente la relativa convocazione, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito che aveva accolto la domanda di risarcimento del danno da perdita di "chance", sulla base della mera allegazione, da parte del candidato, del titolo di studio che lo abilitava a partecipare alla selezione, in mancanza della prova della sussistenza, nella propria sfera giuridica, di una seria e apprezzabile possibilità di conseguire il risultato atteso).

Cass. civ. n. 1627/2022

L'obbligazione di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale costituisce un debito, non di valuta, ma di valore, sicché va riconosciuto il cumulo della rivalutazione monetaria e degli interessi compensativi, questi ultimi da liquidare applicando al capitale rivalutato anno per anno un saggio individuato in via equitativa.

Cass. civ. n. 39762/2021

In tema di diritto d'autore, il risarcimento del danno da lucro cessante spettante al titolare del diritto violato deve essere completo ed effettivo e deve essere liquidato in via preferenziale dal giudice ai sensi dell'art. 158, comma 2, l. n. 633 del 1941, interpretato in conformità all'art. 13 della direttiva 2004/48/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale, con equo apprezzamento di tutte le circostanze del caso e tenendo anche conto degli utili realizzati in violazione del diritto e, solo in via sussidiaria e residuale, nei casi in cui ciò non sia possibile o riesca disagevole, in via forfettaria sulla base dell'importo dei diritti che avrebbero dovuto essere riconosciuti, qualora l'autore della violazione avesse chiesto al titolare l'autorizzazione per l'utilizzazione del diritto (cosiddetto «prezzo del consenso»).

Cass. civ. n. 31358/2021

La liquidazione in via equitativa del danno morale soggettivo - quale autonoma voce di pregiudizio non patrimoniale - è suscettibile di rilievi in sede di legittimità sotto il profilo del vizio di motivazione, solo se difetti totalmente di giustificazione o si discosti sensibilmente dai dati di comune esperienza, o sia fondata su criteri incongrui rispetto al caso concreto o radicalmente contraddittori, ovvero se l'esito della loro applicazione risulti particolarmente sproporzionato per eccesso o per difetto.

Cass. civ. n. 31251/2021

Il danno da perdita di guadagno di un'attività commerciale, quando la dimostrazione del suo preciso ammontare non sia possibile o sia notevolmente difficile, può essere quantificato in via equitativa purché l'attore assolva all'onere di fornire elementi di natura contabile o fiscale attestanti, indicativamente, la consistenza e la redditività, il fatturato e gli utili realizzati negli anni precedenti, l'incidenza del pagamento del canone e degli oneri connessi alla locazione.

Cass. civ. n. 14268/2021

Nel caso di occupazione illegittima di un immobile il danno subito dal proprietario non può ritenersi sussistente "in re ipsa", atteso che tale concetto giunge ad identificare il danno con l'evento dannoso ed a configurare un vero e proprio danno punitivo, ponendosi così in contrasto sia con l'insegnamento delle Sezioni Unite della S.C. (sent. n. 26972 del 2008) secondo il quale quel che rileva ai fini risarcitori è il danno-conseguenza, che deve essere allegato e provato, sia con l'ulteriore e più recente intervento nomofilattico (sent. n. 16601 del 2017) che ha riconosciuto la compatibilità del danno punitivo con l'ordinamento solo nel caso di espressa sua previsione normativa, in applicazione dell'art. 23 Cost.; ne consegue che il danno da occupazione "sine titulo", in quanto particolarmente evidente, può essere agevolmente dimostrato sulla base di presunzioni semplici, ma un alleggerimento dell'onere probatorio di tale natura non può includere anche l'esonero dall'allegazione dei fatti che devono essere accertati, ossia l'intenzione concreta del proprietario di mettere l'immobile a frutto. (Fattispecie in tema di occupazione illegittima, da parte della P.A., di terreni oggetto di piano di lottizzazione). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO CATANIA, 20/07/2017).

Cass. civ. n. 26757/2020

La "compensatio lucri cum damno" integra un'eccezione in senso lato, vale a dire non la prospettazione di un fatto estintivo, modificativo o impeditivo del diritto altrui, ma una mera difesa in ordine all'esatta entità globale del pregiudizio effettivamente patito dal danneggiato ed è, come tale, rilevabile d'ufficio dal giudice il quale, per determinarne l'esatta misura del danno risarcibile, può fare riferimento, per il principio dell'acquisizione della prova, a tutte le risultanze del giudizio. (Cassa e decide nel merito, CORTE D'APPELLO TORINO, 23/01/2012).

Cass. civ. n. 24481/2020

Un danno patrimoniale da incapacità lavorativa permanente può essere sofferto anche da chi fosse disoccupato al momento dell'infortunio subito, qualora i postumi delle lesioni siano tali da comportare per lui la perdita o la riduzione del verosimile reddito che, continuando a proporsi sul mercato del lavoro, avrebbe alla fine conseguito secondo le proprie capacità. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO NAPOLI, 05/06/2018).

Cass. civ. n. 17948/2020

In tema di intermediazione mobiliare, ove l'intermediario sia condannato a risarcire il danno cagionato al cliente per avere dato corso a un ordine di acquisto di titoli ad alto rischio in violazione degli obblighi informativi su di lui gravanti, senza che sia pronunciata anche la risoluzione del contratto di negoziazione, si deve tenere conto che l'investitore resta in possesso dei titoli, sicché, in applicazione del criterio generale della "compensatio lucri cum damno", dalla liquidazione va decurtato il valore residuo dei titoli acquistati - così come risultante dalle quotazioni ufficiali al momento della decisione -, nonché l'ammontare delle cedole nel frattempo riscosse. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO ROMA, 12/03/2015).

Cass. civ. n. 10549/2020

Il mancato rispetto del dovere di buona fede nella esecuzione del contratto può integrare diretta violazione degli obblighi contrattualmente assunti e determinare un danno patrimoniale comprensivo sia della perdita subita sia del mancato guadagno ai sensi dell'art. 1223 c.c. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che, con riferimento ad un contratto di concessione di vendita di autoveicoli, aveva ritenuto illegittimo l'esercizio del diritto di recesso da parte della società concedente, avvenuto in modo improvviso ed imprevedibile e ledendo l'incolpevole aspettativa dei concessionari ad una maggiore durata del contratto medesimo, ingenerata dalla richiesta di controparte di realizzare ulteriori e cospicui investimenti, per poi ricomprendere nel risarcimento il danno da lucro cessante per mancato utile, commisurato al fatturato che la ditta concessionaria avrebbe realizzato se la menzionata aspettativa fosse stata soddisfatta). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO ROMA, 05/02/2018).

Cass. civ. n. 9706/2020

Il pregiudizio non patrimoniale per lesione del diritto all'autodeterminazione (nella specie, derivante dalla ritardata acquisizione della conoscenza della malformazione della nascitura) consiste nel radicale cambiamento di vita e nello sconvolgimento dell'esistenza del soggetto e rinviene il suo fattore causale primo nel precedente fatto-inadempimento che ha determinato la mancata anticipata consapevolezza dell'infermità. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva rigettato la domanda di risarcimento dei danni conseguenti all'omessa informazione della gestante, perché le allegate alterazioni della vita dei genitori trovavano causa nella nascita della bambina, affetta dalla c.d. sindrome di "Down", e non nella ritardata conoscenza di tale circostanza). (Rigetta, CORTE D'APPELLO LECCE, 21/02/2018).

Cass. civ. n. 9682/2020

Il danno da perdita o riduzione della capacità lavorativa di un soggetto adulto che, al momento dell'infortunio, non svolgeva alcun lavoro remunerato va liquidato (con equo apprezzamento delle circostanze del caso ai sensi dell'art. 2056 c.c.) stabilendo: a) se possa ritenersi che la vittima, qualora fosse rimasta sana, avrebbe cercato e trovato un lavoro confacente al proprio profilo professionale; b) se i postumi residuati all'infortunio consentano o meno lo svolgimento di un lavoro confacente al profilo professionale del danneggiato. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO MESSINA, 30/01/2017).

Cass. civ. n. 8532/2020

Il diritto al risarcimento del danno conseguente al contagio da virus HBV, HIV o HCV a seguito di emotrasfusioni con sangue infetto ha natura diversa rispetto all'attribuzione indennitaria regolata dalla l. n. 210 del 1992; tuttavia, nel giudizio risarcitorio promosso contro il Ministero della salute per omessa adozione delle dovute cautele, l'indennizzo eventualmente già corrisposto al danneggiato può essere interamente scomputato dalle somme liquidabili a titolo di risarcimento del danno ("compensatio lucri cum damno"), venendo altrimenti la vittima a godere di un ingiustificato arricchimento, consistente nel porre a carico di un medesimo soggetto (il Ministero) due diverse attribuzioni patrimoniali in relazione al medesimo fatto lesivo. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO NAPOLI, 06/03/2017).

Cass. civ. n. 3545/2020

Il danno da perdita della capacità di lavoro, come ogni altro credito risarcitorio, va liquidato stabilendo la quota del reddito perduta dalla vittima in conseguenza dell'invalidità causata dall'illecito; se l'ultimo reddito noto risale ad epoca anteriore al sinistro, detta liquidazione va operata rivalutando tale importo in base al coefficiente del costo della vita per le famiglie di operai ed impiegati (cd. FOI) calcolato dall'Istat e relativo al tempo del sinistro. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO BOLOGNA, 29/05/2017).

Cass. civ. n. 134/2020

In tema di risarcimento del danno patrimoniale, le spese sostenute dal danneggiato per evitare o contenere il danno reperendo una soluzione alternativa sono risarcibili solo nella misura corrispondente ai costi correnti di mercato, mentre non lo sono quelle pagate in misura superiore, fatta salva la dimostrazione di ragioni giustificative del maggior esborso; rispetto a tale danno le fatture relative alle spese sostenute non costituiscono prova immediata del "quantum", dovendo essere valutate in concorso con altri elementi, anche desunti da nozioni di comune esperienza. (Rigetta, CORTE D'APPELLO ROMA, 14/07/2014).

Cass. civ. n. 28986/2019

In tema di risarcimento del danno alla salute, la preesistenza della malattia in capo al danneggiato costituisce una concausa naturale dell'evento di danno ed il concorso del fatto umano la rende irrilevante in virtù del precetto dell'equivalenza causale dettato dall'art. 41 c.p. sicché di essa non dovrà tenersi conto nella determinazione del grado di invalidità permanente e nella liquidazione del danno. Può costituire concausa dell'evento di danno anche la preesistente menomazione, vuoi "coesistente" vuoi "concorrente" rispetto al maggior danno causato dall'illecito, assumendo rilievo sul piano della causalità giuridica ai sensi dell'art. 1223 c.c.. In particolare, quella "coesistente" è, di norma, irrilevante rispetto ai postumi dell'illecito apprezzati secondo un criterio controfattuale (vale a dire stabilendo cosa sarebbe accaduto se l'illecito non si fosse verificato) sicché anche di essa non dovrà tenersi conto nella determinazione del grado di invalidità permanente e nella liquidazione del danno; viceversa, secondo lo stesso criterio, quella "concorrente" assume rilievo in quanto gli effetti invalidanti sono meno gravi, se isolata, e più gravi, se associata ad altra menomazione (anche se afferente ad organo diverso) sicché di essa dovrà tenersi conto ai fini della sola liquidazione del risarcimento del danno e non anche della determinazione del grado percentuale di invalidità che va determinato comunque in base alla complessiva invalidità riscontrata in concreto, senza innalzamenti o riduzioni.

Cass. civ. n. 11203/2019

Nel caso di occupazione illegittima di un immobile il danno subito dal proprietario non può ritenersi sussistente "in re ipsa", atteso che tale concetto giunge ad identificare il danno con l'evento dannoso ed a configurare un vero e proprio danno punitivo, ponendosi così in contrasto sia con l'insegnamento delle Sezioni Unite della S.C. (sent. n. 26972 del 2008) secondo il quale quel che rileva ai fini risarcitori è il danno-conseguenza, che deve essere allegato e provato, sia con l'ulteriore e più recente intervento nomofilattico (sent. n. 16601 del 2017) che ha riconosciuto la compatibilità del danno punitivo con l'ordinamento solo nel caso di espressa sua previsione normativa, in applicazione dell'art. 23 Cost.; ne consegue che il danno da occupazione "sine titulo", in quanto particolarmente evidente, può essere agevolmente dimostrato sulla base di presunzioni semplici, ma un alleggerimento dell'onere probatorio di tale natura non può includere anche l'esonero dall'allegazione dei fatti che devono essere accertati, ossia l'intenzione concreta del proprietario di mettere l'immobile a frutto. (In applicazione del principio, la S.C., in fattispecie relativa a richiesta di risarcimento danni per trasloco di mobilio e trasferimento degli abitanti in altro alloggio, ha confermato la sentenza secondo cui difettava la prova del danno - qualificato come emergente - avendo i ricorrenti invocato un obbligo di liquidazione "in re ipsa", attraverso il criterio equitativo del valore locativo dell'immobile, anziché provare nell'"an" e nel "quantum" le conseguenze negative derivanti, di regola, dallo spossessamento). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO ANCONA, 01/06/2017).

Cass. civ. n. 2778/2019

Nel giudizio promosso nei confronti del Ministero della salute per il risarcimento del danno conseguente al contagio da virus HBV, HIV o HCV a seguito di emotrasfusioni con sangue infetto, l'indennizzo di cui alla l. n. 210 del 1992 non può essere scomputato dalle somme liquidabili a titolo di risarcimento del danno ("compensatio lucri cum damno"), qualora non sia stato corrisposto e tantomeno determinato o determinabile, in base agli atti di causa, nel suo preciso ammontare, posto che l'astratta spettanza di una somma suscettibile di essere compresa tra un minimo ed un massimo, a seconda della patologia riconosciuta, non equivale alla sua corresponsione e non fornisce elementi per individuarne l'esatto ammontare, né il carattere predeterminato delle tabelle consente di individuare, in mancanza di dati specifici a cui è onerato chi eccepisce il "lucrum", il preciso importo da portare in decurtazione del risarcimento. (Rigetta, CORTE D'APPELLO FIRENZE, 14/12/2015).

Cass. civ. n. 2550/2019

L'importo della rendita per l'inabilità permanente corrisposta dall'INAIL per l'infortunio "in itinere" occorso al lavoratore va detratto dalle somme in concreto dovute a quest'ultimo, allo stesso titolo, dal terzo responsabile del fatto illecito. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva operato la detrazione della rendita riconosciuta dall'INAIL sull'ammontare del risarcimento del danno già ridotto in ragione dell'accertato concorso di colpa del danneggiato). (Rigetta, CORTE D'APPELLO ROMA, 30/09/2015).

Cass. civ. n. 31233/2018

Nel caso di ritardo nella consegna di immobile conseguente all'inadempimento di incarico d'opera professionale (nella specie, progettazione e direzione dei lavori di costruzione) il danno subito dal proprietario non può ritenersi sussistente "in re ipsa", atteso che tale concetto giunge ad identificare il danno con l'evento dannoso ed a configurare un vero e proprio danno punitivo, ponendosi così in contrasto sia con l'insegnamento delle Sezioni Unite della S.C. (sent. n. 26972 del 2008) secondo il quale quel che rileva ai fini risarcitori è il danno-conseguenza, che deve essere allegato e provato, sia con l'ulteriore e più recente intervento nomofilattico (sent. n. 16601 del 2017) che ha riconosciuto la compatibilità del danno punitivo con l'ordinamento solo nel caso di espressa sua previsione normativa, in applicazione dell'art. 23 Cost.; ne consegue che è onere del proprietario provare di aver subito un'effettiva lesione del proprio patrimonio per non aver potuto locare l'immobile ovvero per aver perso l'occasione di venderlo a prezzo conveniente o per aver sofferto altre situazioni pregiudizievoli, con valutazione rimessa al giudice del merito, che può al riguardo avvalersi di presunzioni, sulla base però di elementi indiziari allegati dallo stesso danneggiato, diversi dalla mera mancata disponibilità o godimento del bene. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO ANCONA, 12/10/2016).

Cass. civ. n. 29830/2018

Il danno patrimoniale da mancato guadagno derivante al congiunto dalla perdita della fonte di reddito collegata all'attività lavorativa della vittima configura un danno futuro, da valutarsi con criteri probabilistici, in via presuntiva e con equo apprezzamento del caso concreto e da liquidarsi in via necessariamente equitativa. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la decisione di merito la quale, nel negare la pretesa risarcitoria, non si è attenuta ai richiamati principi, affermando non sufficientemente provato che la vittima, in assenza di fatto illecito, avrebbe destinato una percentuale del proprio reddito agli investimenti sebbene dalla allegata documentazione relativa al decennio precedente l'evento di danno fosse emerso, da un lato, l'esponenziale aumento dei proventi ritratti dalla vittima dalla sua attività professionale di avvocato e dall'altro, la costante destinazione di una quota parte del reddito complessivo - stimata dalla C.T.U. in quota percentuale pari al 20 per cento - agli investimenti). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO SALERNO, 07/01/2015).

Cass. civ. n. 20836/2018

In tema di responsabilità civile (nella specie: contrattuale ed extracontrattuale da attività medico-sanitaria), laddove il danneggiato, prima dell'evento, versi in pregresso stato di vulnerabilità (o di mera predisposizione) ma l'evidenza probatoria del processo, sotto il profilo eziologico, non consente di dimostrare con certezza che, a prescindere dal comportamento imputabile al danneggiante, detto stato si sarebbe comunque evoluto, anche in assenza dell'evento di danno, in senso patologico-invalidante, il giudice in sede di quantificazione del danno non deve procedere ad alcuna diminuzione del "quantum debeatur", posto che, diversamente, darebbe applicazione all'intollerabile principio secondo cui persone che, per loro disgrazia (e non già per colpa imputabile ex art. 1227 c.c. o per fatto addebitabile a terzi), siano più vulnerabili di altre, dovrebbero irragionevolmente appagarsi di una tutela risarcitoria minore rispetto agli altri consociati affetti da cosiddetta "normalità". (Fattispecie in cui, a fronte di riconosciuto nesso causale tra la condotta dei sanitari e della AUSL, per errata diagnosi, ed il pregiudizio psichico subito, "iure proprio" e quali eredi, dai familiari della paziente, poi deceduta, la S.C. ha confermato la sentenza di appello che ha quantificato il danno psichico dei congiunti senza considerare i loro presunti processi patologici pregressi, in ipotesi originati da fattori diversi dalla reazione alla malattia della defunta).

Cass. civ. n. 16088/2018

La corretta applicazione del criterio generale della "compensatio lucri cum damno" postula che, quando unico è il fatto illecito generatore del lucro e del danno, nella quantificazione del risarcimento si tenga conto anche di tutti i vantaggi nel contempo derivati al danneggiato, perché il risarcimento è finalizzato a sollevare dalle conseguenze pregiudizievoli dell'altrui condotta e non a consentire una ingiustificata locupletazione del soggetto danneggiato. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza di appello che aveva correttamente quantificato il danno, conseguente all'acquisto di obbligazioni argentine, in misura pari al capitale investito, sottraendo da tale importo il valore delle cedole riscosse ed il controvalore dei titoli concambiati, considerati un arricchimento derivante dal medesimo fatto illecito).

Cass. civ. n. 12567/2018

Dall'ammontare del danno subito da un neonato in fattispecie di colpa medica, e consistente nelle spese da sostenere vita natural durante per l'assistenza personale, deve sottrarsi il valore capitalizzato della indennità di accompagnamento che la vittima abbia comunque ottenuto dall'ente pubblico, in conseguenza di quel fatto, essendo tale indennità rivolta a fronteggiare ed a compensare direttamente il medesimo pregiudizio patrimoniale causato dall'illecito, consistente nella necessità di dover retribuire un collaboratore o assistente per le esigenze della vita quotidiana del minore reso disabile per negligenza al parto.

Cass. civ. n. 12566/2018

L'importo della rendita per l'inabilità permanente, corrisposta dall'INAIL per l'infortunio "in itinere" occorso al lavoratore, va detratto dall'ammontare del risarcimento dovuto, allo stesso titolo, al danneggiato da parte del terzo responsabile del fatto illecito, in quanto essa soddisfa, neutralizzandola in parte, la medesima perdita al cui integrale ristoro mira la disciplina della responsabilità risarcitoria del terzo al quale sia addebitabile l'infortunio, salvo il diritto del lavoratore di agire nei confronti del danneggiante per ottenere l'eventuale differenza tra il danno subìto e quello indennizzato.

Cass. civ. n. 12564/2018

Dal risarcimento del danno patrimoniale patito dal familiare di persona deceduta per colpa altrui non deve essere detratto il valore capitale della pensione di reversibilità accordata dall'Inps al familiare superstite in conseguenza della morte del congiunto, trattandosi di una forma di tutela previdenziale connessa ad un peculiare fondamento solidaristico e non geneticamente connotata dalla finalità di rimuovere le conseguenze prodottesi nel patrimonio del danneggiato per effetto dell'illecito del terzo.

Cass. civ. n. 11750/2018

Il danno da riduzione della capacità di guadagno subito da un minore in età scolare, in conseguenza della lesione dell'integrità psico-fisica, può essere valutato attraverso il ricorso alla prova presuntiva allorché possa ritenersi ragionevolmente probabile che in futuro il danneggiato percepirà un reddito inferiore a quello che avrebbe altrimenti conseguito in assenza dell'evento lesivo, tenendo conto delle condizioni economico-sociali del danneggiato e della sua famiglia e di ogni altra circostanza del caso concreto. Ne consegue che ove l'elevata percentuale di invalidità permanente renda altamente probabile, se non certa, la menomazione della capacità lavorativa specifica ed il danno ad essa conseguente, il giudice può accertare in via presuntiva la perdita patrimoniale occorsa alla vittima e procedere alla sua valutazione in via equitativa, pur in assenza di concreti riscontri dai quali desumere i suddetti elementi. (Nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha cassato con rinvio la pronuncia con la quale il giudice di merito aveva ritenuto insussistente la prova del danno alla capacità di produrre reddito di un minore in età scolare che aveva subìto gravissime lesioni alla nascita dalle quali gli era derivata un'invalidità permanente pari al 52%).

Cass. civ. n. 11165/2018

L'espletamento di una procedura concorsuale illegittima non comporta di per sé il diritto al risarcimento del danno da perdita di "chance", occorrendo che il dipendente provi il nesso di causalità tra l'inadempimento datoriale ed il suddetto danno in termini prossimi alla certezza, essendo insufficiente il mero criterio di probabilità quantitativa dell'esito favorevole. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che non aveva ritenuto sufficiente ai fini della prova di tale danno il mero superamento della soglia del 50% nel rapporto tra posti disponibili e partecipanti al concorso).

Cass. civ. n. 11012/2018

Il danno da risarcire al promittente compratore, ove sia accolta la domanda di risoluzione del contratto preliminare di vendita dallo stesso proposta per inadempimento del promittente venditore, non può comprendere i frutti della cosa promessa in vendita successivi alla domanda di risoluzione perché questa, comportando la rinuncia definitiva alla prestazione del promittente venditore (art. 1453, comma 3, c.c.), preclude anche al promittente compratore di lucrare i frutti che dalla cosa avrebbe tratto dopo la rinuncia. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata nella parte in cui, dichiarata la risoluzione del contratto preliminare, ha negato il diritto al risarcimento del danno correlato alla mancata percezione dei canoni che sarebbero stati riscossi, ove fosse stato concluso il contratto definitivo, per la locazione estiva dell'immobile promesso in vendita, sito in località marina).

Cass. civ. n. 10321/2018

Il danno patrimoniale derivante al congiunto dalla perdita della fonte di reddito collegata all'attività lavorativa della vittima assume natura di danno emergente con riguardo al periodo intercorrente tra la data del decesso e quella della liquidazione giudiziale mentre si configura come danno futuro e, dunque, come lucro cessante, con riguardo al periodo successivo alla liquidazione medesima; ne consegue che, ai fini della liquidazione, il giudice del merito può utilizzare il criterio di capitalizzazione di cui al r.d. n. 1403 del 1922 soltanto in ordine al danno successivo alla decisione, avuto riguardo al presumibile periodo di protrazione della capacità della vittima di produrre il reddito di cui trattasi, mentre, con riguardo al pregiudizio verificatosi sino al momento della decisione, deve operarsi il cumulo di rivalutazione ed interessi compensativi.

Cass. civ. n. 9048/2018

Il danno derivante dalla perdita della capacità di lavoro e di guadagno deve essere liquidato sommando e rivalutando i redditi già perduti dalla vittima tra il momento del fatto illecito e quello della liquidazione, nonché attraverso il metodo della capitalizzazione e, cioè, moltiplicando i redditi futuri perduti per un adeguato coefficiente di capitalizzazione corrispondente all'età della vittima al tempo della liquidazione. Se il danno è patito da persona che al momento del fatto non era in età da lavoro, la liquidazione deve avvenire sommando e rivalutando i redditi figurativi perduti dalla vittima tra il momento in cui ha raggiunto l'età lavorativa e quello della liquidazione e capitalizzando i redditi futuri in base al predetto coefficiente di capitalizzazione. Qualora la liquidazione avvenga prima del raggiungimento dell'età lavorativa, la capitalizzazione deve essere operata in base ad un coefficiente corrispondente all'età della vittima al momento del presumibile ingresso nel mondo del lavoro oppure in base ad un coefficiente corrispondente all'età del danneggiato al tempo della liquidazione, ma in questo caso previo abbattimento del risultato applicando il coefficiente di minorazione per anticipata capitalizzazione.

Cass. civ. n. 8766/2018

In tema di responsabilità extracontrattuale da fatto illecito, sulla somma riconosciuta al danneggiato a titolo di risarcimento occorre che si consideri, oltre alla svalutazione monetaria(che costituisce un danno emergente), anche il nocumento finanziario subito a causa della mancata tempestiva disponibilità della somma di denaro dovuta a titolo di risarcimento (quale lucro cessante). Qualora tale danno sia liquidato con la tecnica degli interessi, questi non vanno calcolati né sulla somma originaria, né sulla rivalutazione al momento della liquidazione, ma debbono computarsi o sulla somma originaria via via rivalutata anno per anno ovvero sulla somma originaria rivalutata in base ad un indice medio, con decorrenza sempre dal giorno in cui si è verificato l'evento dannoso.

Cass. civ. n. 7267/2018

In tema di danno da ritardo nel pagamento di debito di valore, il riconoscimento di interessi compensativi costituisce una mera modalità liquidatoria alla quale il giudice può far ricorso col limite costituito dall'impossibilità di calcolare gli interessi sulle somme integralmente rivalutate dalla data dell'illecito. Non gli è invece inibito, purché esibisca una motivazione sufficiente a dar conto del metodo utilizzato, di riconoscere interessi anche al tasso legale su somme progressivamente rivalutate; ovvero sulla somma integralmente rivalutata, ma da epoca intermedia; ovvero, sempre sulla somma rivalutata e con decorrenza dalla data del fatto, ma con un tasso medio di interesse, in modo da tener conto che essi decorrono su una somma che inizialmente non era di quell'entità e che si è solo progressivamente adeguata a quel risultato finale; ovvero, di non riconoscerli affatto, in relazione a parametri di valutazione costituiti dal tasso medio di svalutazione monetaria e dalla redditività media del denaro nel periodo considerato.

Cass. civ. n. 6619/2018

La liquidazione del danno patrimoniale da lucro cessante, patito dalla moglie e dal figlio di persona deceduta per colpa altrui, e consistente nella perdita delle elargizioni erogate loro dal defunto, se avviene in forma di capitale e non di rendita, va compiuta per la moglie moltiplicando il reddito perduto dalla vittima per un coefficiente di capitalizzazione delle rendite vitalizie corrispondente all'età del più giovane tra i due; per il figlio in base a un coefficiente di capitalizzazione di una rendita temporanea corrispondente al numero presumibile di anni per i quali si sarebbe protratto il sussidio paterno; nell'uno e nell'altro caso il reddito da porre a base del calcolo deve comunque essere equitativamente aumentato per tenere conto dei presumibili incrementi reddituali che il lavoratore avrebbe ottenuto se fosse rimasto in vita e contemporaneamente ridotto dell'importo pari alla quota di reddito che la vittima avrebbe presumibilmente destinato a sé, al carico fiscale e alle spese per la produzione del reddito.

Cass. civ. n. 5641/2018

In materia perdita di "chance", l'attività del giudice deve tenere distinta la dimensione della causalità da quella dell'evento di danno e deve altresì adeguatamente valutare il grado di incertezza dell'una e dell'altra, muovendo dalla previa e necessaria indagine sul nesso causale tra la condotta e l'evento, secondo il criterio civilistico del "più probabile che non", e procedendo, poi, all'identificazione dell'evento di danno, la cui riconducibilità al concetto di chance postula una incertezza del risultato sperato, e non già il mancato risultato stesso, in presenza del quale non è lecito discorrere di una chance perduta, ma di un altro e diverso danno; ne consegue che, provato il nesso causale rispetto ad un evento di danno accertato nella sua esistenza e nelle sue conseguenze dannose risarcibili, il risarcimento di quel danno sarà dovuto integralmente. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito, la quale aveva rigettato la domanda di risarcimento dei danni parentali conseguenti al decesso di un congiunto, avvenuto a causa di errori diagnostici che ritardarono di oltre due anni la diagnosi di un tumore polmonare, in quanto la Corte territoriale aveva escluso che l'inadempimento dei sanitari avesse ridotto la "chance" di guarigione del paziente, sul rilievo che la morte si sarebbe comunque verificata, omettendo così di identificare correttamente l'evento di danno nella perdita anticipata della vita e nella peggiore qualità della stessa).

In caso di perdita di una "chance" a carattere non patrimoniale, il risarcimento non potrà essere proporzionale al "risultato perduto" (nella specie, maggiori "chance" di sopravvivenza di un paziente al quale non era stata diagnosticata tempestivamente una patologia tumorale con esiti certamente mortali), ma andrà commisurato, in via equitativa, alla "possibilità perduta" di realizzarlo (intesa quale evento di danno rappresentato in via diretta ed immediata dalla minore durata della vita e/o dalla peggiore qualità della stessa); tale "possibilità", per integrare gli estremi del danno risarcibile, deve necessariamente attingere ai parametri della apprezzabilità, serietà e consistenza, rispetto ai quali il valore statistico-percentuale, ove in concreto accertabile, può costituire solo un criterio orientativo, in considerazione della infungibile specificità del caso concreto.

Il c.d. "modello patrimonialistico", che storicamente ha costituito il riferimento teorico della evoluzione giurisprudenziale in tema di perdita di "chance", mal si concilia con la perdita della possibilità di conseguire un risultato migliore sul piano non patrimoniale; la "chance" patrimoniale, infatti, presenta i connotati dell'interesse pretensivo (mutuando tale figura dalla dottrina amministrativa), e cioè postula la preesistenza di un "quid" su cui sia andata ad incidere sfavorevolmente la condotta colpevole del danneggiante, impedendone la possibile evoluzione migliorativa, mentre la chance "non pretensiva", pur essendo anch'essa rappresentata, sul piano funzionale, dalla possibilità di conseguire un risultato migliorativo della situazione preesistente (segnatamente nel sistema della responsabilità sanitaria), è morfologicamente diversa dalla prima, in quanto si innesta su una preesistente situazione sfavorevole (cioè patologica), rispetto alla quale non può in alcun modo rinvenirsi un "quid" inteso come preesistenza positiva. Ne consegue che, in sede risarcitoria, il giudice di merito deve inevitabilmente tener conto di tale diversità, sia pure sul piano strettamente equitativo, ai fini della liquidazione del danno.

Cass. civ. n. 3691/2018

In tema di danno alla persona, la perdita di "chance", ovvero di una concreta possibilità di conseguire un determinato bene della vita, integrante la lesione di un'entità patrimoniale attuale suscettibile di autonoma valutazione economica, non può coesistere con il danno alla salute (e con il correlato danno morale), il quale presuppone l'accertamento che l'illecito si sia concretizzato in una menomazione dell'integrità psicofisica, e che, di conseguenza, l'inadempimento del sanitario abbia non soltanto privato il paziente di una possibilità di cura ma concretamente inciso sullo stato di salute.

Cass. civ. n. 2675/2018

In tema di responsabilità del medico per erronea diagnosi concernente il feto e conseguente nascita indesiderata, il risarcimento dei danni, che costituiscono conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento della struttura sanitaria all'obbligazione di natura contrattuale gravante sulla stessa, spetta non solo alla madre, ma anche al padre, atteso il complesso di diritti e doveri che, secondo l'ordinamento, si incentrano sulla procreazione cosciente e responsabile, considerando che, agli effetti negativi della condotta del medico ed alla responsabilità della struttura ove egli opera non può ritenersi estraneo il padre che deve, perciò, considerarsi tra i soggetti "protetti" e, quindi, tra coloro rispetto ai quali la prestazione mancata o inesatta è qualificabile come inadempimento, con il correlato diritto al risarcimento dei conseguenti danni, immediati e diretti, fra cui deve ricomprendersi il pregiudizio patrimoniale derivante dai doveri di mantenimento dei genitori nei confronti dei figli. (Nella specie, era stato eseguito in maniera erronea un intervento di raschiamento uterino in seguito ad una non corretta diagnosi di aborto interno, accertata dopo la ventunesima settimana e, quindi, oltre il termine previsto dalla l. n. 194 del 22 maggio 1978, con la conseguenza che la gravidanza era proseguita e si era conclusa con la nascita indesiderata di una bambina).

Cass. civ. n. 26822/2017

La perdita di “chance”, pur potendo essere costituita dalla perdita di una mera possibilità presente nella sfera giuridica del danneggiato, deve tuttavia essere concreta ed effettiva, non meramente teorica ed ipotetica, e la sua compromissione, ove dedotta, deve essere provata dall’attore, identificandosi con la prova stessa del danno. (Nella specie, in tema di risarcimento del danno da perdita della "possibilità di una vita anche solo di poco più lunga o migliore" che si assumeva conseguente al ritardo nella consegna di un esame diagnostico, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, la quale aveva respinto la domanda in quanto, in base all’accertamento tecnico, il ritardo era stato assolutamente ininfluente sull’evoluzione della patologia tumorale, particolarmente rara ed aggressiva, sicché non vi era stata alcuna menomazione della possibilità di cura, con ciò risultando accertata l’insussistenza sia della “chance” che si assumeva menomata, sia, conseguentemente, del danno denunciato).

Cass. civ. n. 13819/2017

In tema di danno cd. differenziale, il giudice di merito deve procedere d’ufficio allo scomputo, dall’ammontare liquidato a detto titolo, dell’importo della rendita INAIL, anche se l’istituto assicuratore non abbia, in concreto, provveduto all'indennizzo, trattandosi di questione attinente agli elementi costitutivi della domanda, in quanto l’art. 10 del d.P.R. n. 1124 del 1965, ai commi 6, 7 e 8, fa riferimento a rendita “liquidata a norma”, implicando, quindi, la sola liquidazione, un’operazione contabile astratta, che qualsiasi interprete può eseguire ai fini del calcolo del differenziale. Diversamente opinando, il lavoratore locupleterebbe somme che il datore di lavoro comunque non sarebbe tenuto a pagare, né a lui, perché, anche in caso di responsabilità penale, il risarcimento gli sarebbe dovuto solo per l’eccedenza, né all’INAIL, che può agire in regresso solo per le somme versate; inoltre, la mancata liquidazione dell’indennizzo potrebbe essere dovuta all’inerzia del lavoratore, che non abbia denunciato l’infortunio, o la malattia, o abbia lasciato prescrivere l’azione.

Cass. civ. n. 13792/2017

In tema di preliminare di vendita immobiliare, al promittente venditore che agisca per la risoluzione del contratto e per il risarcimento del danno, per il caso di inadempimento del promissario acquirente, deve essere liquidato il pregiudizio per la sostanziale incommerciabilità del bene nella vigenza del preliminare, la cui sussistenza è “in re ipsa” e non necessita di prova, mentre, laddove le domande risolutoria e risarcitoria siano proposte dal promissario acquirente, a causa dell’inadempimento del promittente venditore, il risarcimento spetta solo se i danni lamentati siano conseguenza immediata e diretta del dedotto inadempimento e sempre che il danneggiato, anche se invochi l'esercizio del potere discrezionale del giudice di liquidare il danno in via equitativa, ex art. 1226 c.c., fornisca la prova della loro effettiva esistenza.

Cass. civ. n. 10499/2017

Il danno patrimoniale futuro da perdita della capacità lavorativa specifica, in applicazione del principio dell’integralità del risarcimento sancito dall’art. 1223 c.c., deve essere liquidato moltiplicando il reddito perduto per un adeguato coefficiente di capitalizzazione, utilizzando quali termini di raffronto, da un lato, la retribuzione media dell’intera vita lavorativa della categoria di pertinenza, desunta da parametri di rilievo normativi o altrimenti stimata in via equitativa, e, dall’altro, coefficienti di capitalizzazione di maggiore affidamento, in quanto aggiornati e scientificamente corretti, quali, ad esempio, quelli approvati con provvedimenti normativi per la capitalizzazione delle rendite previdenziali o assistenziali oppure quelli elaborati specificamente nella materia del danno aquiliano. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la decisione impugnata, che aveva determinato la quota di reddito perduto da un avvocato, esercente da pochi mesi la professione, sulla base dell’imponibile fiscale dichiarato dal danneggiato nell’anno del sinistro, senza considerare il prevedibile progressivo incremento reddituale che, notoriamente, caratterizza tale attività, moltiplicandola, poi, per il coefficiente di capitalizzazione tratto dalla tabella allegata al r.d. n. 1403 del 1922, sebbene ancorata a dati non più attuali)

Cass. civ. n. 9950/2017

La liquidazione del danno da ritardato adempimento di un’obbligazione di valore, ove il debitore abbia pagato un acconto prima della quantificazione definitiva, deve avvenire: a) devolutando l’acconto ed il credito alla data dell’illecito; b) detraendo l’acconto dal credito; c) calcolando gli interessi compensativi individuando un saggio scelto in via equitativa, ed applicandolo prima sull’intero capitale, rivalutato anno per anno, per il periodo intercorso dalla data dell’illecito al pagamento dell’acconto, e poi sulla somma che residua dopo la detrazione dell’acconto, rivalutata annualmente, per il periodo che va da quel pagamento fino alla liquidazione definitiva.

Cass. civ. n. 9548/2017

In caso di sinistro stradale, ove il danneggiato abbia dato incarico ad uno studio di assistenza infortunistica di svolgere di attività stragiudiziale volta a richiedere il risarcimento del danno asseritamente sofferto, la corrispondente spesa sostenuta non è configurabile come danno emergente e non può, pertanto, essere riversata sul danneggiante o sulla sua compagnia di assicurazione quando sia stata superflua ai fini di una più pronta definizione del contenzioso, non avendo avuto in concreto utilità per evitare il giudizio o per assicurare una tutela più rapida risolvendo problemi tecnici di qualche complessità.

Cass. civ. n. 7940/2017

I danni derivati al compratore di un immobile per l'inadempimento del venditore all'obbligo di consegnarglielo, dopo l'ottenimento del trasferimento coattivo della proprietà di esso (art. 2932 c.c.), decorrono dalla data stabilita per la stipula del definitivo, sostituito "inter partes", con identico contenuto, dalla sentenza costitutiva, e non dalla data di questa, né dalla trascrizione della domanda di esecuzione in forma specifica dell'obbligo di concluderlo (art. 2652, n. 2 c.c.), determinante per gli effetti della sentenza rispetto ai terzi.

Cass. civ. n. 7794/2017

In tema di "aliunde perceptum", le somme percepite dal lavoratore a titolo d'indennità di mobilità non possono essere detratte da quanto egli abbia ricevuto come risarcimento del danno per il mancato ripristino del rapporto ad opera del cedente a seguito di dichiarazione di nullità della cessione di azienda o di ramo di essa, atteso che detta indennità opera su un piano diverso dagli incrementi patrimoniali che derivano al lavoratore dall'essere stato liberato, anche se illegittimamente, dall'obbligo di prestare la sua attività, dando luogo la sua eventuale non spettanza ad un indebito previdenziale, ripetibile nei limiti di legge.

Cass. civ. n. 6422/2017

In caso di sinistro automobilistico, nel giudizio instaurato per il risarcimento del danno le spese precedentemente sostenute dal danneggiato per l’attività stragiudiziale prestata da una società di infortunistica stradale hanno natura di danno emergente e la loro utilità, in funzione della possibilità di porle a carico del danneggiante, deve essere valutata "ex ante", avuto riguardo a quello che poteva ragionevolmente presumersi essere l’esito del futuro giudizio, e sulla base delle prove dedotte dal danneggiato, cui compete l’onere di dimostrare di avere effettivamente sopportato il relativo esborso.

Cass. civ. n. 4028/2017

Gli interessi compensativi sulla somma dovuta a titolo di risarcimento del danno (contrattuale o extracontrattuale) costituiscono una componente di quest'ultimo e, nascendo dal medesimo fatto generatore della obbligazione risarcitoria, devono ritenersi ricompresi nella domanda di risarcimento e possono essere liquidati d'ufficio. Pertanto, l'impugnazione della decisione di primo grado si estende necessariamente anche al computo di quegli interessi, pur se non sia stato specificamente censurato il criterio adottato sul punto, con la conseguenza che il giudice dell'impugnazione (o del rinvio), anche in difetto di un puntuale rilievo sulla loro modalità di liquidazione prescelta dal giudice precedente, può procedere ad una nuova quantificazione della somma dovuta a titolo risarcitorio e dell'ulteriore danno da ritardato pagamento, utilizzando la tecnica che ritiene più appropriata al fine di reintegrare il patrimonio del creditore.

Cass. civ. n. 25327/2016

Il credito risarcitorio residuo spettante a chi, avendo patito una lesione della salute, abbia ottenuto dall’Inail un indennizzo del danno biologico ai sensi del d.l.vo n. 38 del 2000, va liquidato non già sottraendo dal grado percentuale di invalidità permanente, individuato sulla base dei criteri civilistici, quello determinato dall’Inail coi criteri dell’assicurazione sociale, bensì, dapprima, monetizzando l’uno e l’altro grado di invalidità, e successivamente sottraendo il valore capitale dell’indennizzo Inail dal credito risarcitorio aquiliano.

Cass. civ. n. 19604/2016

La perdita di "chance" costituisce un danno patrimoniale risarcibile, quale danno emergente, qualora sussista un pregiudizio certo (anche se non nel suo ammontare) consistente nella perdita di una possibilità attuale ed esige la prova, anche presuntiva, purché fondata su circostanze specifiche e concrete dell'esistenza di elementi oggettivi dai quali desumere, in termini di certezza o di elevata probabilità, la sua attuale esistenza. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva escluso che la mera appartenenza di un appaltatore al settore degli appalti pubblici fosse tale da concretare una presunzione di perdita altamente probabile della "chance" di aggiudicarsi altre gare, non potendo ciò desumersi dalla sola qualità soggettiva dell'impresa, senza l'allegazione concreta di domande di partecipazione, nonché di elementi di valutazione circa il possesso di particolari requisiti tecnici e finanziari per partecipare ed aggiudicarsi, con rilevante probabilità, le gare tenutesi nell'arco temporale in discussione).

Cass. civ. n. 18832/2016

In tema di risarcimento del danno da responsabilità contrattuale, il danno risarcibile coincide con la perdita o il mancato guadagno conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento, la cui delimitazione è determinata in base al giudizio ipotetico sulla differenza tra la situazione dannosa e quella che sarebbe stata se il fatto dannoso non si fosse verificato, sicché, ai fini dell'accertamento dell'estensione della responsabilità, acquisisce rilievo, quale eventuale fattore sopravvenuto, anche il successivo comportamento del contraente adempiente.

Cass. civ. n. 12288/2016

Il risarcimento del danno da illecito aquiliano integra un debito di valore sicché, ove il giudice di merito abbia riconosciuto sulla somma capitale dovuta al danneggiato e liquidata nella sentenza di primo grado gli interessi compensativi al tasso legale, gli interessi per l'ulteriore danno da mancata tempestiva disponibilità dell'equivalente monetario del pregiudizio patito decorrono non dalla pubblicazione della decisione, ma dai singoli momenti nei quali la somma equivalente al bene perduto si incrementa nominalmente, in base ai prescelti indici di rivalutazione monetaria, ovvero ad un indice medio.

Cass. civ. n. 12140/2016

Gli interessi sulla somma liquidata a titolo di risarcimento del danno da fatto illecito hanno fondamento e natura diversi da quelli moratori, regolati dall'art. 1224 c.c., in quanto sono rivolti a compensare il pregiudizio derivante al creditore dal ritardato conseguimento dell'equivalente pecuniario del danno subito, di cui costituiscono, quindi, una necessaria componente; ne consegue che nella domanda di risarcimento del danno per fatto illecito è implicitamente inclusa la richiesta di riconoscimento degli interessi compensativi, che il giudice di merito, anche in sede di giudizio di rinvio, deve attribuire, senza per ciò solo incorrere nel vizio di ultrapetizione.

Cass. civ. n. 11899/2016

Ai fini dell'integrale risarcimento del danno conseguente a fatto illecito sono dovuti sia la rivalutazione della somma liquidata ai valori attuali, al fine di rendere effettiva la reintegrazione patrimoniale del danneggiato, che deve essere adeguata al mutato valore del denaro nel momento in cui è emanata la pronuncia giudiziale finale, sia gli interessi compensativi sulla predetta somma, che sono rivolti a compensare il pregiudizio derivante al creditore dal ritardato conseguimento dell'equivalente pecuniario del danno subito.

Cass. civ. n. 9039/2016

In materia di inadempimento contrattuale, l'obbligazione di risarcimento del danno configura un debito di valore, sicché, qualora si provveda all'integrale rivalutazione del credito relativo al maggior danno fino alla data della liquidazione, secondo gli indici di deprezzamento della moneta, gli interessi legali sulla somma rivalutata dovranno essere calcolati dalla data della liquidazione, poiché altrimenti si produrrebbe l'effetto di far conseguire al creditore più di quanto lo stesso avrebbe ottenuto in caso di tempestivo adempimento della obbligazione.

Cass. civ. n. 8896/2016

La liquidazione del danno patrimoniale da incapacità lavorativa, patito in conseguenza di un sinistro stradale da un soggetto percettore di reddito da lavoro, deve avvenire ponendo a base del calcolo il reddito effettivamente perduto dalla vittima, e non il triplo della pensione sociale. Il ricorso a tale ultimo criterio, ai sensi dell'art. 137, cod. ass., può essere consentito solo quando il giudice di merito accerti, con valutazione di fatto non sindacabile in sede di legittimità, che la vittima al momento dell'infortunio godeva sì un reddito, ma questo era talmente modesto o sporadico da rendere la vittima sostanzialmente equiparabile ad un disoccupato.

Cass. civ. n. 7774/2016

Nella liquidazione del danno patrimoniale consistente nelle spese che la vittima di lesioni personali deve sostenere per l'assistenza domiciliare, il giudice deve detrarre dal credito risarcitorio sia i benefici spettanti alla vittima a titolo di indennità di accompagnamento (ex art. 5 della l. n. 222 del 1984), sia quelli previsti dalla legislazione regionale in tema di assistenza domiciliare, posto che dell'insieme di tali disposizioni il giudice - in virtù del principio "iura novit curia" - dovrà fare applicazione d'ufficio se i presupposti di tale applicabilità risultino comunque dagli atti.

Cass. civ. n. 6545/2016

Il principio secondo cui gli interessi sulle somme di denaro, liquidate a titolo risarcitorio, decorrono dalla data in cui il danno si è verificato, è applicabile solo in tema di responsabilità extracontrattuale da fatto illecito, in quanto, ai sensi dell'art. 1219, comma 2, c.c., il debitore del risarcimento del danno è in mora ("mora ex re") dal giorno della consumazione dell'illecito, mentre, se l'obbligazione risarcitoria derivi da inadempimento contrattuale, gli interessi decorrono dalla domanda giudiziale, che è l'atto idoneo a porre in mora il debitore, siccome la sentenza costitutiva, che pronuncia la risoluzione, produce i suoi effetti retroattivamente dal momento della proposizione della detta domanda.

Cass. civ. n. 4713/2016

Al promittente venditore è dovuto il risarcimento del danno causatogli dall'inadempimento del promissario acquirente, ingiustificatamente sottrattosi alla stipulazione, anche se non dimostri di aver perduto, nelle more, possibilità concrete di vendere l'immobile compromesso, poiché la sostanziale incommerciabilità del bene, nella vigenza del preliminare fino alla proposizione della domanda di risoluzione, integra gli estremi del danno, la cui sussistenza è "in re ipsa" e, quindi, non necessita di prova.

Cass. civ. n. 3940/2016

In tema di inadempimento contrattuale, il risarcimento riveste natura e svolge funzione sostitutiva della prestazione mancata e gli effetti della situazione pregiudizievole permangono sino a quando il danno sia risarcito, ossia fino alla data della sentenza se la riparazione sia stata richiesta al giudice, sicché il pregiudizio derivante dalla mancata acquisizione di un bene deve essere risarcito con la prestazione del suo equivalente in danaro, determinato con riferimento al momento in cui avviene la liquidazione e non a quello in cui si realizza la violazione contrattuale.

Cass. civ. n. 24632/2015

Il danno patrimoniale da mancato guadagno, concretandosi nell'accrescimento patrimoniale effettivamente pregiudicato o impedito dall'inadempimento dell'obbligazione contrattuale, presuppone la prova, sia pure indiziaria, dell'utilità patrimoniale che il creditore avrebbe conseguito se l'obbligazione fosse stata adempiuta, esclusi solo i mancati guadagni meramente ipotetici perché dipendenti da condizioni incerte, sicché la sua liquidazione richiede un rigoroso giudizio di probabilità (e non di mera possibilità), che può essere equitativamente svolto in presenza di elementi certi offerti dalla parte non inadempiente, dai quali il giudice possa sillogisticamente desumere l'entità del danno subito. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva respinto la domanda di risarcimento del danno per erronea inserzione del nominativo della ditta ricorrente sull'elenco telefonico, in assenza della prova di uno sviamento di clientela per tale disguido, tanto più che il recapito telefonico della ditta risultava, chiaramente, in altra parte dello stesso elenco cartaceo e in quello "on line").

Cass. civ. n. 22979/2015

In materia di contratto preliminare, il risarcimento del danno, imputabile al promittente venditore per la mancata stipulazione del contratto definitivo di vendita di un bene immobile, si liquida nella misura pari alla differenza tra il valore commerciale del bene medesimo, al momento in cui l'inadempimento è divenuto definitivo, ed il prezzo pattuito.

Cass. civ. n. 18305/2015

L'accertamento, in un minore in età infantile, che lo stato di invalidità permanente (nella specie, sordità causata da intempestiva diagnosi di meningite con esiti invalidanti stimati nel 30 per cento) sia rimediabile mediante applicazione di protesi, non è ragione sufficiente ad escludere - integrando una violazione dell'art. 1223 c.c. - il danno futuro da riduzione della capacità lavorativa del minore, attesa l'incidenza negativa sull'esplicazione di qualsiasi attività di lavoro derivante dalla costante percezione e consapevolezza della necessità di sopperire al deficit.

Cass. civ. n. 2737/2015

Il danno patrimoniale da perdita di "chance" è un danno futuro, consistente nella perdita non di un vantaggio economico, ma della mera possibilità di conseguirlo, secondo una valutazione "ex ante" da ricondursi, diacronicamente, al momento in cui il comportamento illecito ha inciso su tale possibilità in termini di conseguenza dannosa potenziale; l'accertamento e la liquidazione di tale perdita, necessariamente equitativa, sono devoluti al giudice di merito e sono insindacabili in sede di legittimità se adeguatamente motivati. (Omissis).

Cass. civ. n. 26374/2014

La rivalutazione monetaria e gli interessi costituiscono una componente dell'obbligazione di risarcimento del danno e possono essere riconosciuti dal giudice anche d'ufficio ed in grado di appello, pur se non specificamente richiesti, atteso che essi devono ritenersi compresi nell'originario "petitum" della domanda risarcitoria, ove non ne siano stati espressamente esclusi.

Cass. civ. n. 20548/2014

In tema di risarcimento del danno da illecito, il principio della "compensatio lucri cum damno" trova applicazione unicamente quando sia il pregiudizio che l'incremento patrimoniale siano conseguenza del medesimo fatto illecito, sicché non può essere detratto quanto già percepito dal danneggiato a titolo di pensione di inabilità o di reversibilità, ovvero a titolo di assegni, di equo indennizzo o di qualsiasi altra speciale erogazione connessa alla morte o all'invalidità, trattandosi di attribuzioni che si fondano su un titolo diverso dall'atto illecito e non hanno finalità risarcitorie.

Cass. civ. n. 16143/2014

In caso di licenziamento illegittimo del lavoratore, il risarcimento del danno spettante a quest'ultimo non deve essere diminuito degli importi eventualmente ricevuti dall'interessato a titolo di pensione, atteso che il diritto alla pensione discende dal verificarsi di requisiti di età e contribuzione stabiliti dalla legge, prescinde del tutto dalla disponibilità di energie lavorative da parte dell'assicurato che abbia anteriormente perduto il posto di lavoro e non si pone, di per sé, come causa di risoluzione del rapporto di lavoro, sicché le utilità economiche che il lavoratore ne ritrae, dipendendo da fatti giuridici del tutto estranei al potere di recesso del datore di lavoro, si sottraggono all'operatività della regola della "compensatio lucri cum damno".

Cass. civ. n. 6347/2014

Qualora, prima della liquidazione definitiva del danno da fatto illecito, il responsabile versi un acconto al danneggiato, tale pagamento va sottratto dal credito risarcitorio attraverso un'operazione che consiste, preliminarmente, nel rendere omogenei entrambi (devalutandoli, alla data dell'illecito ovvero rivalutandoli alla data della liquidazione), per poi detrarre l'acconto dal credito e, infine, calcolando, gli interessi compensativi - finalizzati a risarcire il danno da ritardato adempimento - sull'intero capitale, per il periodo che va dalla data dell'illecito al pagamento dell'acconto, solo sulla somma che residua dopo la detrazione dell'acconto rivalutato, per il periodo che va dal suo pagamento fino alla liquidazione definitiva.

Cass. civ. n. 992/2014

L'eccezione di "compensatio lucri cum damno" è finalizzata ad accertare se il danneggiato abbia conseguito un vantaggio in conseguenza dell'illecito, del quale tener conto ai fini della liquidazione del risarcimento, e non mira, invece, a verificare l'esistenza di contrapposti crediti. Ne consegue che la relativa deduzione non integra una eccezione in senso stretto e non è soggetta alle relative preclusioni.

Cass. civ. n. 458/2014

In tema di riscossione delle imposte sui redditi, l'emissione del ruolo straordinario con obbligo di pagamento immediato delle imposte iscritte, ai sensi dell'art. 11 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, è legittima quando sussiste fondato pericolo per la riscossione (nella specie rappresentato dall'esistenza, alla data della formazione del ruolo, di provvedimento, valido ed efficace, di iscrizione di ipoteca legale sui beni di società assoggettata ad IRPEG, IRAP ed IVA in liquidazione), senza che rilevi l'eventuale emissione di un avviso di accertamento di cui sia pendente il relativo giudizio di impugnazione.

Cass. civ. n. 8104/2013

In materia di risarcimento del danno da fatto illecito, qualora - prima della liquidazione definitiva - il responsabile versi un acconto al danneggiato, tale pagamento va sottratto dal credito risarcitorio non secondo i criteri di cui all'art. 1194 c.c. (applicabile solo alle obbligazioni di valuta, non a quelle di valore, qual è il credito risarcitorio da danno aquiliano), ma devolvendo alla data dell'evento dannoso sia il credito risarcitorio (se liquidato in moneta attuale) che l'acconto versato, quindi detraendo quest'ultimo dal primo e calcolando sulla differenza il danno da ritardato adempimento.

Cass. civ. n. 17092/2012

In tema di sicurezza sul lavoro, le prestazioni del Fondo vittime dell'amianto di cui all'art. 1, comma 241 e seguenti, della legge n. 244 del 2007, ai sensi del comma 242, non escludono e si cumulano alle prestazioni diverse dovute in favore dei lavoratori secondo disposizioni generali o speciali, quali la rendita diretta o in favore dei superstiti dovuta dall'INAIL o il risarcimento del danno dovuto dal datore di lavoro. (In applicazione del principio, la S.C. ha confermato sul punto la sentenza della corte territoriale che aveva ritenuto che le prestazioni dispensate dal Fondo non potevano escludere alcuno degli altri diritti stabiliti dall'ordinamento per i medesimi soggetti e che "non si poteva quindi opporre alcuna compensazione né calcolo differenziale tra le prestazioni erogate dal Fondo e il diritto al risarcimento dei danni spettanti alle stesse vittime).

Cass. civ. n. 10853/2012

La liquidazione del danno patrimoniale da perdita delle contribuzioni di persona defunta deve avvenire ponendo a base del calcolo il reddito della vittima, al netto sia di tutte le spese per la produzione dello stesso prudentemente stimabili, sia del prelievo fiscale.

Cass. civ. n. 7927/2012

In tema di concorrenza sleale, la perdita di chance configura un comportamento lesivo, trattandosi di una interferenza illecita sulla serie causale, che avrebbe condotto al conseguimento di un profitto di mercato; ne discende che il danno relativo non può che essere valutato sulla base della considerazione di una potenzialità, poi venuta meno.

Cass. civ. n. 4252/2012

Il danno patrimoniale futuro derivante dalla perdita della capacità di lavoro e di guadagno non può essere liquidato semplicemente moltiplicando il reddito mensile perduto per il numero di mesi per i quali la vittima avrebbe presumibilmente svolto attività lavorativa, perché tale criterio è matematicamente - prima ancora che giuridicamente - scorretto. Il danno in esame va, invece, correttamente liquidato attraverso il metodo della capitalizzazione, e cioè moltiplicando il reddito perduto (espresso in moneta rivalutata al momento della liquidazione) per un adeguato coefficiente di capitalizzazione, perché soltanto tale metodo consente di tenere debito conto del c.d. "montante di anticipazione", e cioè del vantaggio realizzato dal creditore nel percepire oggi una somma che egli avrebbe concretamente perduto solo in futuro.

Cass. civ. n. 24510/2011

Il promissario acquirente di un immobile, che, immesso nel possesso all'atto della firma del preliminare, si renda inadempiente per l'obbligazione del prezzo, da versarsi prima del definitivo, e provochi la risoluzione del contratto preliminare, è tenuto al risarcimento del danno in favore della parte promittente venditrice, atteso che la legittimità originaria del possesso viene meno a seguito della risoluzione lasciando che l'occupazione dell'immobile si configuri come "sine titulo". Ne consegue che tali danni, originati dal lucro cessante per il danneggiato che non ha potuto trarre frutti né dal pagamento del prezzo né dal godimento dell'immobile, sono legittimamente liquidati dal giudice di merito, con riferimento all'intera durata dell'occupazione e, dunque, non solo a partire dalla domanda giudiziale di risoluzione contrattuale.

Cass. civ. n. 23761/2011

In tema di danno patrimoniale da incapacità lavorativa, la relativa liquidazione non può essere fatta in modo automatico in base ai criteri dettati dall'art. 4 della legge 26 febbraio 1977, n. 39, trattandosi di norma che non comporta alcun automatismo di calcolo, ma si limita ad indicare alcuni criteri di quantificazione del danno sul presupposto della prova relativa, che comunque incombe al danneggiato e che può essere data anche in via presuntiva, purché sia certa la riduzione di capacità di lavoro specifica.

Cass. civ. n. 15385/2011

L'accoglimento della domanda di risarcimento del danno da lucro cessante o da perdita di "chance" esige la prova, anche presuntiva, dell'esistenza di elementi oggettivi e certi dai quali desumere, in termini di certezza o di elevata probabilità e non di mera potenzialità, l'esistenza di un pregiudizio economicamente valutabile. Pertanto, nel caso di richiesta risarcitoria per morte da fatto illecito avanzata dal coniuge superstite, quest'ultimo, pur non essendo obbligato a fornire la prova rigorosa dello stabile contributo economico ricevuto dal consorte defunto, non è tuttavia esonerato dall'indicare al giudice gli elementi da cui possa dedursi la perdita di prestazioni o vantaggi connessi all'esistenza in vita della vittima.

Cass. civ. n. 11254/2011

Il danno patrimoniale da mancato guadagno (nella specie, per omessa consegna dell'immobile permutato), concretandosi nell'accrescimento patrimoniale effettivamente pregiudicato o impedito dall'inadempimento dell'obbligazione contrattuale, presuppone la prova, sia pure indiziaria, dell'utilità patrimoniale che, secondo un rigoroso giudizio di probabilità (e non di mera possibilità) il creditore avrebbe conseguito se l'obbligazione fosse stata adempiuta, e deve pertanto escludersi per i mancati guadagni meramente ipotetici, dipendenti da condizioni incerte: giudizio probabilistico, questo, che, in considerazione della particolare pretesa, ben può essere equitativamente svolto in presenza di elementi certi offerti dalla parte non inadempiente, dai quali il giudice possa sillogisticamente desumere l'entità del danno subito. (Nella specie, concluso un contratto di permuta, uno dei permutanti si era doluto di avere ricevuto un fondo edificabile ma occupato abusivamente da terzi e divenuto non più edificabile, quando finalmente gli occupanti erano stati allontanati, per l'intervento il mutamento dello strumento urbanistico. La S.C., in applicazione del principio di cui alla massima, ha confermato la sentenza di merito che ha liquidato il danno da perduta possibilità di locare l'immobile, ma non quello da perduta possibilità di edificazione, non avendo l'attore dimostrato che, ove il fondo fosse stato libero, avrebbe avuto i mezzi e l'intenzione di costruire).

Cass. civ. n. 8507/2011

Con la sentenza definitiva che decide sulla liquidazione di un'obbligazione di valore, da effettuarsi in valori monetari correnti, si determina la conversione del debito di valore in debito di valuta con il riconoscimento da tale data degli interessi corrispettivi. Ne consegue che è preclusa l'ulteriore rivalutazione monetaria derivante dall'eventuale ritardo nell'esecuzione del giudicato, valendo, in tale ipotesi, i criteri previsti dalla legge per il debito di valuta.

Cass. civ. n. 26042/2010

In tema di nesso causale, esistono due momenti diversi del giudizio civile, costituito il primo dalla ricostruzione del fatto idoneo a fondare la responsabilità, per il quale la problematica causale, detta della causalità materiale o di fatto, è analoga a quella penale di cui agli art. 40 e 41 c.p. ed il danno rileva solo come evento lesivo, ed il secondo, al quale va riferita la regola dell'art. 1223 c.c., che riguarda la determinazione dell'intero danno cagionato oggetto dell'obbligazione risarcitoria, attribuendosi rilievo, all'interno delle serie causali cosa individuate, a quelle che, nel momento in cui si produce l'evento, non appaiono del tutto inverosimili, come richiesto dalla cosiddetta teoria della causalità adeguata o della regolarità causale, fondata su un giudizio formulato in termini ipotetici. (Nella specie la S.C. ha ritenuto sussistente il nesso di causalità fra la tardiva corresponsione da parte della P.A. dell'indennità di requisizione e l'inadempimento da parte del titolare del bene requisito all'obbligo di pagamento delle rate di mutuo fondiario, cui sia seguita l'espropriazione del bene, allorché l'inadempimento sia una conseguenza probabile e verosimile del tardivo versamento dell'indennità.

Cass. civ. n. 22826/2010

In tema di liquidazione del danno, la locuzione "perdita subita", con la quale l'art. 1223 c.c. individua il danno emergente, non può essere considerata indicativa dei soli esborsi monetari o di diminuzioni patrimoniali già materialmente intervenuti, bensì include anche l'obbligazione di effettuare l'esborso, in quanto il "vinculum iuris, nel quale l'obbligazione stessa si sostanzia, costituisce già una posta passiva del patrimonio del danneggiato, consistente nell'insieme dei rapporti giuridici, con diretta rilevanza economica, di cui una persona è titolare.

Cass. civ. n. 18028/2010

In tema di debiti di valore, il pregiudizio derivante dal ritardato conseguimento del risarcimento del danno deve essere liquidato mediante gli interessi legali computati sulla somma originaria rivalutata anno per anno ovvero su tale somma rivalutata in base ad un indice medio.

Cass. civ. n. 16396/2010

In tema di risarcimento del danno alla persona, la mancanza di un reddito al momento dell'infortunio per essere il soggetto leso disoccupato, può escludere il danno da invalidità temporanea, ma non anche il danno futuro collegato alla invalidità permanente che - proiettandosi per il futuro - verrà ad incidere sulla capacità di guadagno della vittima, al momento in cui questa inizierà una attività remunerata, salvo l'ipotesi che si tratti di disoccupazione volontaria, ovvero di un consapevole rifiuto dell'attività lavorativa.

Cass. civ. n. 15738/2010

Nella liquidazione del danno patrimoniale da riduzione della capacità di lavoro e di guadagno, per evitare duplicazioni risarcitorie, dal danno effettivamente patito dalla vittima per la sua diminuita capacità lavorativa specifica, accertato e quantificato dal giudice con i criteri della responsabilità civile, va sottratto il valore capitale della rendita erogata dall'Inail, rappresentando quest'ultimo un indennizzo anch'esso destinato al ristoro di un danno patrimoniale. (Fattispecie anteriore al d.l.vo 23 febbraio 2000, n. 38).

Cass. civ. n. 15726/2010

In tema di liquidazione del "quantum" risarcibile, la misura del danno non deve essere necessariamente contenuta nei limiti di valore del bene danneggiato ma deve avere per oggetto l'intero pregiudizio subito dal soggetto danneggiato, essendo il risarcimento diretto alla completa "restitutio in integrum" - per equivalente o in forma specifica, quest'ultima esperibile anche in materia contrattuale - del patrimonio leso. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza della corte di merito che aveva condannato, ex art. 2058 c.c., la venditrice ed il notaio rogante, in solido tra loro, a provvedere a propria cura e spese alla cancellazione di due iscrizioni ipotecarie sull'immobile venduto, non rilevate in sede di stipula di un contratto di compravendita, dell'importo complessivo di lire 56.126.931, ritenendo congrua la somma posta a carico dei predetti in relazione all'entità del danno cagionato ed al pericolo di evizione del bene, venduto per il prezzo effettivo di lire 50.000.000).

Cass. civ. n. 11967/2010

Il diritto al risarcimento del danno patrimoniale derivante da responsabilità contrattuale viene in essere al momento in cui l'inadempimento dell'obbligato incide la sfera giuridica altrui provocando, per il soggetto leso, la diminuzione del suo patrimonio, che deve essere reintegrato in modo da ricostruirne la consistenza che avrebbe avuto se il fatto lesivo non si fosse verificato, eliminando le conseguenze pregiudizievoli che sono state cagionate da quel comportamento, nel senso, come indica l'art. 1223 c.c., sia di annullare la perdita subita (danno emergente), sia di fare entrare il mancato guadagno (lucro cessante): ne deriva, pertanto, che le vicende anteriori o posteriori al momento in cui il pregiudizio si è verificato non rilevano a quel fine. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, che aveva rigettato la domanda di risarcimento proposta dal locatore di un immobile per i danni allo stesso arrecati dal conduttore, sul presupposto che, a seguito del rilascio, il locatore aveva potuto comunque vendere l'immobile, nonostante le condizioni di deterioramento del medesimo).

Cass. civ. n. 10193/2010

In tema di risarcimento del danno, dovendo la liquidazione essere effettuata in valori monetari attuali, non è necessaria l'espressa richiesta da parte dell'interessato degli interessi legali sulle somme rivalutate, la quale deve ritenersi compresa nella domanda di integrale risarcimento inizialmente proposta e se avanzata per la prima volta in appello non comporta una violazione dell'art. 345 c.p.c., atteso che nei debiti di valore il riconoscimento degli interessi c.d. compensativi costituisce una modalità liquidatoria del possibile danno da lucro cessante, cui è consentito al giudice di far ricorso con il limite dell'impossibilità di calcolarli sulle somme integralmente rivalutate alla data dell'illecito, e che l'esplicita richiesta deve intendersi esclusivamente riferita al valore monetario attuale ed all'indennizzo del lucro cessante per la ritardata percezione dell'equivalente in denaro del danno patito.

Cass. civ. n. 10072/2010

Il risarcimento del danno futuro, sia in termini di danno emergente che di lucro cessante, non può compiersi in base ai medesimi criteri di certezza che presiedono alla liquidazione del danno già completamente verificatosi nel momento del giudizio, e deve avvenire secondo un criterio di rilevante probabilità; a tal fine, il rischio concreto di pregiudizio è configurabile come danno futuro ogni volta che l'effettiva diminuzione patrimoniale appaia come il naturale sviluppo di fatti concretamente accertati ed inequivocabilmente sintomatici di quella probabilità secondo un criterio di normalità fondato sulle circostanze del caso concreto. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva escluso la responsabilità professionale del notaio, pur avendone riconosciuto la negligenza, in relazione alla compravendita di un immobile gravato da ipoteca per il quale l'istituto di credito aveva richiesto all'acquirente il pagamento della frazione di mutuo rimasta insoluta).

Cass. civ. n. 5119/2010

In tema di procedure concorsuali di selezione del personale, il potere discrezionale del datore di lavoro incontra il limite della necessità che lo stesso fornisca, in conformità ai criteri precostituiti nel bando e, comunque, alla buona fede e correttezza, adeguata ed effettiva motivazione delle operazioni valutative e comparative connesse alla selezione effettuata e, in difetto di tali elementi, il danno che al lavoratore può derivare per perdita di "chance" va risarcito sulla base del tasso di probabilità che egli aveva di risultare vincitore, qualora la selezione tra i concorrenti si fosse svolta in modo corretto e trasparente. Spetta al giudice il concreto apprezzamento di ogni elemento di valutazione e di prova ritualmente introdotto nel processo che, per inerire alla necessità e correttezza della valutazione comparativa dei titoli del lavoratore escluso e di quelli utilmente selezionati, appaia a tale fine funzionale e coerente. (Nella specie, la Corte ha ritenuto inadeguato il criterio meramente statistico della proporzione tra il numero dei posti messi a concorso e il numero dei concorrenti che precedevano il ricorrente in graduatoria, adottato dalla corte territoriale per determinare il danno da perdita di "chance", in assenza di ogni riferimento alla valutazione comparativa dei titoli dei candidati).

Cass. civ. n. 3931/2010

Qualora la liquidazione del danno da fatto illecito extracontrattuale sia effettuata con riferimento ai valori monetari esistenti alla data della liquidazione, non occorre tener conto della svalutazione verificatasi a partire dal giorno dell'insorgere del danno, essendo dovuto al danneggiato soltanto il risarcimento del mancato guadagno (o lucro cessante) provocato dal ritardo nella liquidazione. Tale risarcimento può avvenire attraverso la liquidazione di interessi ad un tasso stabilito dal giudice del merito valutando tutte le circostanze del caso, ma gli interessi non possono essere calcolati dalla data dell'illecito sulla somma rivalutata, perché la somma dovuta - il cui mancato godimento va risarcito - va aumentata gradualmente nell'intervallo di tempo occorso tra la data del sinistro e quella della liquidazione. Inoltre, sull'importo liquidato all'attualità della data della pronuncia possono essere riconosciuti gli interessi compensativi, da calcolarsi nella misura degli interessi al tasso legale sulla minor somma che ne avrebbe costituito l'equivalente monetario alla data di insorgenza del credito (coincidente con quella dell'evento dannoso), ovvero mediante l'attribuzione di interessi sulla somma liquidata all'attualità ma ad un tasso inferiore a quello legale medio nel periodo di tempo da considerare, ovvero attraverso il riconoscimento degli interessi legali sulla somma attribuita, ma a decorrere da una data intermedia, ossia computando gli interessi sull'importo progressivamente rivalutato anno per anno dalla data dell'illecito.

Cass. civ. n. 997/2010

In caso di sinistro stradale, qualora il danneggiato abbia fatto ricorso all'assistenza di uno studio di consulenza infortunistica stradale ai fini dell'attività stragiudiziale diretta a richiedere il risarcimento del danno asseritamente sofferto al responsabile ed al suo assicuratore, nel successivo giudizio instaurato per ottenere il riconoscimento del danno, la configurabilità della spesa sostenuta per avvalersi di detta assistenza come danno emergente non può essere esclusa per il fatto che l'intervento del suddetto studio non abbia fatto recedere l'assicuratore dalla posizione assunta in ordine all'aspetto della vicenda che era stata oggetto di discussione e di assistenza in sede stragiudiziale, ma va valutata considerando, in relazione all'esito della lite su tale aspetto, se la spesa sia stata necessitata e giustificata in funzione dell'attività di esercizio stragiudiziale del diritto al risarcimento.

Cass. civ. n. 13/2010

In tema di responsabilità del medico (o della struttura sanitaria) per omessa diagnosi di malformazioni del feto e conseguente nascita indesiderata, trattandosi di inadempimento contrattuale, il danno al cui risarcimento il debitore è tenuto non è solo quello alla salute, ma anche il danno economico che sia conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento in termini di causalità adeguata, quale il danno consistito nelle ulteriori spese di mantenimento della persona nata con malformazioni, pari al differenziale tra la spesa necessaria per il mantenimento di un figlio sano e la spesa per il mantenimento di un figlio affetto da gravi patologie.

Cass. civ. n. 6658/2009

La sussistenza di un danno patrimoniale da riduzione della capacità di lavoro e di guadagno, in conseguenza di lesioni personali, non può essere esclusa per il solo fatto che i redditi del danneggiato dopo il sinistro non si siano ridotti, in quanto il giudice deve altresì accertare se le residue energie lavorative della vittima, pur consentendole di conservare al momento il reddito pregresso, comportino però una maggiore usura, e di conseguenza rendano verosimile un'anticipata cessazione dell'attività lavorativa, ovvero precludano alla vittima la possibilità di svolgere attività più remunerative.

Cass. civ. n. 4052/2009

L'accoglimento della domanda di risarcimento del danno da lucro cessante o da perdita di "chance" esige la prova, anche presuntiva, dell'esistenza di elementi oggettivi e certi dai quali desumere, in termini di certezza o di elevata probabilità e non di mera potenzialità, l'esistenza di un pregiudizio economicamente valutabile. (Nella specie, un'amministrazione comunale aveva occupato ed illegittimamente trasformato parte di un fondo; il giudice di merito, nel liquidare il danno da occupazione usurpativa, aveva escluso la sussistenza di un danno da lucro cessante per l'impossibilità di costruire sulla porzione residua, in considerazione del fatto che già prima dell'occupazione le norme dello strumento urbanistico non consentivano l'edificabilità di quel fondo, in ragione delle sue ridotte dimensioni. La S.C., applicando il principio di cui alla massima, ha ritenuto corretta tale decisione).

Cass. civ. n. 1335/2009

Il debito avente ad oggetto il risarcimento del danno da inadempimento di obbligazioni contrattuali diverse da quelle pecuniarie ha natura di debito di valore, in quanto tiene luogo della materiale utilità che il creditore avrebbe percepito se avesse ricevuto la prestazione dovutagli, con la conseguenza che in tali casi il giudice è tenuto d'ufficio a tenere conto della svalutazione monetaria intercorsa prima della liquidazione, senza che il creditore abbia l'onere di allegare e dimostrare il maggior danno di cui all'art. 1224, comma secondo, cod. civ. (In applicazione di tale principio, la S.C., in accoglimento del ricorso, ha qualificato come credito di valore quello vantato da una banca nei confronti di un notaio che, per colpa professionale, aveva indotto l'istituto di credito ad erogare un finanziamento garantito da ipoteca iscritta su un cespite incapiente rispetto all'importo garantito, così determinando la perdita del credito della banca in conseguenza del fallimento del debitore).

Cass. civ. n. 28056/2008

Il principio di correttezza e buona fede - il quale, secondo la Relazione ministeriale al codice civile, «richiama nella sfera del creditore la considerazione dell'interesse del debitore e nella sfera del debitore il giusto riguardo all'interesse del creditore» - deve essere inteso in senso oggettivo ed enuncia un dovere di solidarietà, fondato sull'art. 2 della Costituzione, che, operando come un criterio di reciprocità, esplica la sua rilevanza nell'imporre a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio, il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell'altra, a prescindere dall'esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge, sicché dalla violazione di tale regola di comportamento può discendere, anche di per sé, un danno risarcibile. (Nella specie, è stata confermata la sentenza di merito che aveva condannato il Consiglio Nazionale delle Ricerche CNR al pagamento, in favore di un proprio dipendente, della somma corrispondente agli interessi maturati sulle quote annualmente accantonate di trattamento di fine rapporto a causa degli investimenti delle stesse in buoni postali fruttiferi, effettuati tardivamente rispetto alle scadenze fissate da delibere della Giunta amministrativa dello stesso CNR). L'effetto della compensatio lucri cum damno che si riconnette al criterio di determinazione del risarcimento del danno ai sensi dell'art. 1223 c.c., si verifica esclusivamente allorché il vantaggio ed il danno siano entrambi conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento, quali suoi effetti contrapposti, e non quando il fatto generatore del pregiudizio patrimoniale subito dal creditore sia diverso da quello che invece gli abbia procurato un vantaggio. (Nella specie, è stata confermata la sentenza di merito che aveva escluso che il danno patito da un dipendente del Consiglio Nazionale delle Ricerche CNR per il ritardato investimento in buoni postali fruttiferi di alcune delle quote annualmente accantonate del trattamento di fine rapporto potesse compensarsi con il guadagno ottenuto dal medesimo dipendente in ragione dell'anticipato investimento di analoghe quote relative ad altre annualità).

Cass. civ. n. 19445/2008

In tema di risarcimento del danno alla persona, posto che le lesioni non irrilevanti della integrità personale di un minore di età, non svolgente attività lavorativa, sono presumibilmente destinate a produrre un danno patrimoniale futuro, in termini di riduzione della sua futura capacità di guadagno, al fine di determinare il relativo danno il giudice deve tener conto non soltanto della rilevanza quantitativa delle lesioni, in termini di percentuale di invalidità medicalmente accertata, ma anche della loro natura e qualità - rispetto alle presumibili opportunità di lavoro che si presenteranno al danneggiato, avuto riguardo alle sue peculiari tendenze ed attitudini -, dell'orientamento eventualmente manifestato dal danneggiato medesimo verso una determinata attività redditizia, dell'educazione dallo stesso ricevuta dalla famiglia e della posizione sociale ed economica di quest'ultima, nonché della situazione del mercato del lavoro e, infine, di ogni altra circostanza oggettivamente o soggettivamente rilevante, ferma restando la possibilità per colui che è chiamato a rispondere di dette lesioni di dimostrare, in forza degli stessi anzidetti criteri, che il minore non risentirà alcun danno dal quel particolare tipo di invalidità.

Cass. civ. n. 16877/2008

In tema di risarcimento del danno, il creditore che voglia ottenere; oltre il rimborso delle spese sostenute, anche i danni derivanti dalla perdita di chance che, come concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene, non è una mera aspettativa di fatto ma un'entità patrimoniale a sé stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione ha l'onere di provare, pur se solo in modo presuntivo o secondo un calcolo di probabilità, la realizzazione in concreto di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato e impedito dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile dev'essere conseguenza immediata e diretta. (Nella specie, la S.C., enunciando l'anzidetto principio, ha confermato la sentenza di merito che aveva respinto, in quanto priva di adeguato sostegno probatorio, la domanda risarcitoria proposta da un disoccupato nei confronti dell'INPS per illegittima reiezione della istanza di riconoscimento dell'indennità di disoccupazione speciale, il cui dovuto accoglimento gli avrebbe consentito l'iscrizione nelle liste di mobilità di cui alla legge n. 223 del 1991, con tutti i benefici connessi e, segnatamente, quelli conseguenti al diritto di precedenza nelle assunzioni).

Cass. civ. n. 11373/2008

In caso di illegittimo disconoscimento del diritto del lavoratore già collocato a riposo di proseguire nella prestazione lavorativa fino al quarantesimo anno utile al raggiungimento della pensione, il risarcimento del danno spettante a quest'ultimo non deve essere diminuito degli importi eventualmente ricevuti dall'interessato a titolo di pensione, atteso che il diritto al pensionamento discende dal verificarsi di requisiti di età e contribuzione stabiliti dalla legge, sicché le utilità economiche che il lavoratore ne ritrae, dipendendo da fatti giuridici del tutto estranei al potere di recesso del datore di lavoro, si sottraggono all'operatività della regola della compensatio lucri cum damno Tale compensatio d'altra parte, non può configurarsi neanche allorché, eccezionalmente, la legge deroghi ai requisiti del pensionamento, anticipando, in relazione alla perdita del posto di lavoro, l'ammissione al trattamento previdenziale, sicché il rapporto fra la retribuzione e la pensione si ponga in termini di alternatività, nè allorché il medesimo rapporto si ponga invece in termini di soggezione a divieti più o meno estesi di cumulo tra la pensione e la retribuzione, posto che in tali casi la sopravvenuta declaratoria di illegittimità del diniego del diritto alla prosecuzione dell'attività lavorativa travolge ex tunc il diritto al pensionamento e sottopone l'interessato all'azione di ripetizione di indebito da parte del soggetto erogatore della pensione, con la conseguenza che le relative somme non possono configurarsi come un lucro compensabile col danno, e cioè come un effettivo incremento patrimoniale del lavoratore. (Nella specie, la S.C., enunciando il principio di cui in massima, già fatto proprio dalle Sezioni Unite per l'ipotesi del licenziamento v. S.U. n. 12194 del 2002 ha accolto il ricorso di un dipendente comunale che, collocato a riposo dal gennaio 2002, si era vista negare la possibilità di proseguire il rapporto fino al quarantesimo anno utile alla pensione e, per l'effetto, decidendo nel merito, ha condannato il Comune datore di lavoro al pagamento delle retribuzioni spettanti al ricorrente fino all'aprile 2003 senza decurtazioni di sorta ).

Cass. civ. n. 10111/2008

Il danno patrimoniale da perdita di chance è un danno futuro, consistente non nella perdita di un vantaggio economico, ma nella perdita della mera possibilità di conseguirlo, secondo una valutazione ex ante da ricondursi, diacronicamente, al momento in cui il comportamento illecito ha inciso su tale possibilità in termini di conseguenza dannosa potenziale. L'accertamento e la liquidazione di tale perdita, necessariamente equitativa, sono devoluti al giudice di merito e sono insindacabili in sede di legittimità se adeguatamente motivati. (Nella specie la S.C. ha confermato, correggendone parzialmente la motivazione, la sentenza del giudice di merito che aveva liquidato un importo pari ad una annualità di stipendio in favore della vedova di una vittima della criminalità organizzata, la quale si era vista riconoscere con un anno di ritardo il beneficio dell'assunzione in una P.A., riconosciutole dalla legge 20 ottobre 1990 n. 302).

Cass. civ. n. 3268/2008

Nell'assicurazione contro gli infortuni, il debito indennitario, quando è previsto un procedimento di liquidazione convenzionale per il tramite di una perizia contrattuale, si connota come debito di valore dal momento del sinistro al verificarsi della liquidazione e solo successivamente a tale momento diventa obbligazione di valuta. Ne consegue che la somma riconosciuta a titolo di indennizzo deve essere rivalutata al momento della liquidazione e che, qualora il danneggiato assicurato alleghi e dimostri che il conseguimento della somma al netto della rivalutazione al momento del sinistro gli avrebbe consentito, tramite il reimpiego immediato, una redditività maggiore rispetto al valore della rivalutazione monetaria, può essere riconosciuto il danno da lucro cessante per il mancato conseguimento della differenza mediante i cosiddetti interessi compensativi, senza che rilevino la mancanza di liquidità della somma fino all'esito della perizia contrattuale (a meno che la polizza non preveda che il pagamento dell'indennizzo, salva la rivalutazione, sia dilazionato all'esito delle perizia contrattuale, nel qual caso non è configurabile un danno da lucro cessante, perché il rischio assicurato non lo comprende), l'inadempimento dell'assicuratore al dovere di collaborare all'espletamento della perizia e, infine, la mancata costituzione in mora dell'assicuratore medesimo.

Cass. civ. n. 1690/2008

Il danno patrimoniale futuro, nel caso di fatto illecito lesivo della persona, è da valutare su base prognostica ed il danneggiato, tra le prove, può avvalersi anche delle presunzioni semplici. Pertanto, provata la riduzione della capacità di lavoro specifica, se essa è di una certa entità e non rientra tra i postumi permanenti di piccola entità (cosiddette «micropermanenti» le quali non producono danno patrimoniale ma costituiscono mere componenti del danno biologico), è possibile presumersi che anche la capacità di guadagno risulti ridotta nella sua proiezione futura — non necessariamente in modo proporzionale — qualora la vittima già svolga un'attività o presumibilmente la svolgerà. In quanto prova presuntiva essa potrà essere superata dalla prova contraria che, nonostante la riduzione della capacità di lavoro specifico, non vi è stata alcuna riduzione della capacità di guadagno e che, quindi, non è venuto a configurarsi in concreto alcun danno patrimoniale. (Nella specie è stata cassata con rinvio la sentenza della corte di merito che aveva escluso il danno patrimoniale per ridotta capacità lavorativa di un medico-chirurgo, cui il sinistro stradale aveva causato la riduzione di funzionalità della mano destra, sull'assunto che, pur sollevato dall'attività in sala operatoria, continuasse a prestare servizio presso la corsia e l'ambulatorio del reparto chirurgico).

Cass. civ. n. 24140/2007

Ai fini del risarcimento del danno patrimoniale da inadempimento, deve essere in concreto fornita la dimostrazione dell'esistenza del pregiudizio lamentato e il diretto nesso causale con la condotta illecita. Deve, pertanto, escludersi che il giudice possa fare ricorso alle presunzioni in mancanza dell'allegazione e della prova di circostanze di fatto gravi, univoche concordanti dalle quali desumere il danno nella sua effettività e in ordine al quantum limitarsi ad affidarne la determinazione al consulente tecnico d'ufficio senza la preventiva identificazione delle singole voci da valutare. (Nel caso di specie la Corte ha ritenuto del tutto carente la prova del danno patrimoniale, fondata, nel giudizio di merito, solo sul generico riferimento al fatto che l'impresa danneggiata avesse caratterizzato i propri investimenti e la produzione sulle commesse della danneggiante e conseguentemente avesse subito un danno dall'interruzione dei rapporti, rimessi alla quantificazione del consulente tecnico d'ufficio senza alcuna specifica indicazione).

Cass. civ. n. 23565/2007

Con riferimento al lavoratore licenziato in applicazione di una vigente disposizione legislativa di prepensionamento (art. 3 della legge n. 270 del 1988), successivamente dichiarata incostituzionale (sentenza n. 60 del 1991), la domanda di risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni non percepite non può essere diminuita degli importi ricevuti dall'interessato a titolo di pensione, non operando la regola della compensatio lucri cum damno derivando dalla legge l'ammissione al trattamento previdenziale in relazione alla perdita del posto di lavoro, con la conseguenza che la declaratoria di illegittimità travolge ex tunc il diritto al pensionamento e sottopone l'interessato all'azione di ripetizione di indebito da parte del soggetto erogatore della pensione.

Cass. civ. n. 22370/2007

La liquidazione del danno da perdita di chances subito da un'impresa che abbia partecipato ad una gara per l'esecuzione di un'opera pubblica illegittimamente aggiudicata a terzi dalla stazione appaltante, non può limitarsi ai soli costi di partecipazione alla gara, in quanto anche l'opportunità di guadagno che sarebbe stato effetto di una gara svolta regolarmente costituisce una perdita attuale per il patrimonio, dimostrabile, per presunzioni e la cui valutazione compete al giudice del merito, che può essere liquidata in base al presunto guadagno che l'impresa avrebbe ottenuto con l'esecuzione dell'appalto, determinabile in una percentuale della sua offerta corrispondente ai guadagni medi degli appalti analoghi e che, di regola, per quelli ad evidenza pubblica, si determina in base a norme di legge che detta percentuale indicano (cfr. ad. es. art. 345 della legge 20 marzo 1865 all. F, riprodotto dall'art. 122 del regolamento emanato con D.P.R. 21 dicembre 1999 n. 554 e art. 37 septies, comma 1, lett. c), della legge 11 febbraio 1994 n. 109). La somma così individuata va reintegrata in misura totale se, in base alla valutazione di merito degli atti di gara, si ritenga in fatto non giustificabile il ribasso dell'offerta dell'aggiudicatario per una corretta esecuzione dei lavori e quindi necessaria l'aggiudicazione all'impresa che chiede il risarcimento ovvero va ridotta proporzionalmente, con un calcolo di probabilità fondato su presunzioni e da rapportare al numero dei partecipanti alla gara che avevano con l'impresa stessa analoghe possibilità di aggiudicazione.

Cass. civ. n. 22347/2007

Nei debiti di valore i cosiddetti interessi compensativi costituiscono una mera modalità liquidatoria del danno causato dal ritardato pagamento dell'equivalente monetario attuale della somma dovuta all'epoca dell'evento lesivo. Tale danno sussiste solo quando, dal confronto comparativo in unità di pezzi monetari tra la somma rivalutata riconosciuta al creditore al momento della liquidazione e quella di cui egli disporrebbe se (in ipotesi tempestivamente soddisfatto) avesse potuto utilizzare l'importo allora dovutogli secondo le forme considerate ordinarie nella comune esperienza ovvero in impieghi più remunerativi, la seconda ipotetica somma sia maggiore della prima, solo in tal caso potendosi ravvisare un danno da ritardo, indennizzabile in vario modo, anche mediante il meccanismo degli interessi, mentre in ogni altro caso il danno va escluso. Il giudice del merito è tenuto a motivare il mancato riconoscimento degli interessi compensativi solo quando sia stato espressamente sollecitato mediante l'allegazione della insufficienza della rivalutazione ai fini del ristoro del danno da ritardo secondo il criterio sopra precisato.

Cass. civ. n. 17179/2007

In materia di risarcimento dei danni a seguito di incidente stradale, una volta ritenuta provata l'attività lavorativa svolta dal danneggiato e la compromissione della medesima (quindi l'an debeatur), in mancanza di una prova specifica del di lui reddito, si può correttamente fare ricorso ai criteri di quantificazione del danno indicati dall'art. 4 della legge 26 febbraio 1977 n. 39. (Nella specie la S.C. ha confermato la decisione del giudice di merito che, ritenendo provata l'attività di coltivatore diretto svolta dal danneggiato, ma non conoscendone il reddito effettivo, ha supplito a tale carenza riferendosi a nozioni di comune esperienza ed utilizzando il criterio del reddito presunto).

Cass. civ. n. 13242/2007

In tema di risarcimento del danno subito dal proprietario per la mancata o ridotta utilizzazione di un bene immobile, il pregiudizio va determinato verificando l'effettivo valore locativo del bene, in modo da accertare il mancato reddito ritraibile nell'arco temporale considerato, tenendo conto dell'andamento del mercato immobiliare, che comporta che gli immobili si rivalutano con un ritmo più elevato, o comunque diverso, rispetto a quello di svalutazione della moneta secondo gli indici calcolati dall'ISTAT; resta poi salva, trattandosi di debito di valore, l'applicazione dell'aggiornamento istat per la rivalutazione all'attualità delle somme liquidate per ciascuno dei vari anni considerati. (Nella specie la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva determinato il valore locativo del bene con riferimento al primo anno oggetto della domanda, procedendo per gli anni successivi alla rivalutazione istat con indice ridotto al 75%).

Cass. civ. n. 13082/2007

In tema di azione di risarcimento per i danni sofferti da un soggetto per una infezione alimentare a causa della condotta del gestore di una struttura alberghiera durante un soggiorno con trattamento di pensione completa, poiché, non esiste alcun serio e ragionevole criterio di probabilità scientifica in virtù del quale possa affermarsi che una persona che trascorre un periodo di vacanze presso un certo albergo, con la predetta formula, si astenga, in modo assoluto, dall'assumere alimenti in altri esercizi, si deve ritenere che incomba sul danneggiato la prova rigorosa e specifica che il danno sia stato conseguenza dell'inadempimento contrattuale del predetto gestore o della sua attività, conseguendone, in difetto, la declaratoria di infondatezza della relativa domanda. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata con la quale era stata respinta l'azione di una signora che aveva agito in sede risarcitoria contro il titolare di un albergo in cui aveva soggiornato con la formula della pensione completa e nel cui periodo aveva contratto un'infezione da salmonellosi, non essendo rimasto provato che tale patologia era derivata con certezza da un alimento assunto presso il suddetto esercizio alberghiero ed essendo, anzi, emerso che gli esami microbiologici esperiti nell'immediatezza del fatto presso tale esercizio avevano dato esito negativo e che nella zona circostante non vi erano ulteriori focolai di infezione, che, peraltro, si erano precedentemente propagati in Comuni diversi e presso varie strutture alberghiere).

Cass. civ. n. 12247/2007

Il danno patrimoniale da lucro cessante, per un soggetto privo di reddito al quale siano residuati postumi permanenti in conseguenza di un fatto illecito altrui, configura un danno futuro, da valutare con criteri probabilistici, in via presuntiva, e con equo apprezzamento del caso concreto.

Cass. civ. n. 8520/2007

Il risarcimento del danno da fatto illecito costituisce debito di valore e, in caso di ritardato pagamento di esso, gli interessi non costituiscono un autonomo diritto del creditore, ma svolgono una funzione compensativa tendente a reintegrare il patrimonio del danneggiato, qual era all'epoca del prodursi del danno, e la loro attribuzione costituisce una mera modalità o tecnica liquidatoria. Ne consegue che, impugnato il capo della sentenza contenente la liquidazione del danno, non può invocarsi il giudicato in ordine alla misura legale degli interessi precedentemente attribuiti e il giudice dell'impugnazione (o del rinvio), anche in difetto di uno specifico rilievo sulla modalità di liquidazione degli interessi prescelta dal giudice precedente, può procedere alla riliquidazione della somma dovuta a titolo risarcitorio e dell'ulteriore danno da ritardato pagamento, utilizzando la tecnica che ritiene più appropriata al fine di reintegrare il patrimonio del creditore (riconoscendo gli interessi nella misura legale o in misura inferiore, oppure non riconoscendoli affatto, potendo utilizzare parametri di valutazione costituiti dal tasso medio di svalutazione monetaria o dalla redditività media del denaro nel periodo considerato), restando irrilevante che vi sia stata impugnazione o meno in relazione agli interessi già conseguiti e alla misura degli stessi.

Cass. civ. n. 4791/2007

Qualora la liquidazione del danno da fatto illecito extracontrattuale sia effettuata «per equivalente» ovvero con riferimento al valore del bene perduto dal danneggiato all'epoca del fatto illecito, e tale valore venga poi espresso in termini monetari che tengano conto della svalutazione intervenuta fino alla data della decisione definitiva, il criterio più idoneo allo scopo per l'adeguamento dell'importo dovuto a titolo risarcitorio è quello dell'attribuzione degli interessi legali dalla data del fatto sul capitale mediamente rivalutato, che si persegue dividendo la sorte capitale attualizzata per il coefficiente di rivalutazione ISTAT relativo all'anno dell'evento dannoso e aggiungendo al capitale non attualizzato la metà della rivalutazione maturata. (Nella specie, la S.C., richiamandosi all'enunciato criterio, ha cassato con rinvio la sentenza impugnata, con la quale, «in subiecta materia» era stato applicato il criterio di calcolo costituito dalla rendita assicurata dai certificati del tesoro, caratterizzato, in negativo, da una considerevole instabilità conseguente alle molteplici variabili incidenti su detti titoli).

Cass. civ. n. 1087/2007

Soltanto gli interessi compensativi sulle somme liquidate a titolo di risarcimento da atto illecito, costituendo una componente del risarcimento del danno, possono essere attribuiti anche in assenza di espressa domanda della parte creditrice, mentre, in tutti gli altri casi, gli interessi, avendo un fondamento autonomo e integrando obbligazioni distinte rispetto a quelle principali, attinenti alle somme alle quali si aggiungono, possono essere riconosciuti solo su espressa domanda degli aventi diritto. (Principio affermato dalla S.C. in relazione a procedimento avente ad oggetto la domanda, nei confronti di un altro proprietario, di rimborso pro quota delle spese di appalto cui il comproprietario dell'immobile era stato condannato in precedente giudizio).

Cass. civ. n. 844/2007

L'obbligo di risarcimento del danno da fatto illecito contrattuale o extracontrattuale ha per oggetto l'integrale reintegrazione del patrimonio del danneggiato; pertanto, nella domanda di risarcimento del danno deve ritenersi implicitamente inclusa la richiesta di compenso per il pregiudizio subito dal creditore a causa del ritardato conseguimento dell'equivalente monetario del danno, mentre occorre specifica richiesta allorché il creditore elenchi analiticamente le singole voci di danno.

Cass. civ. n. 9374/2006

Il risarcimento per l'inadempimento dell'obbligazione esige un rapporto causale immediato e diretto fra inadempimento e danno. Questa limitazione — normativamente prevista nell'art. 1223 c.c. — è fondata sulla necessità di limitare l'estensione temporale e spaziale degli effetti degli eventi illeciti ed è orientata, perciò, ad escludere dalla connessione giuridicamente rilevante ogni conseguenza dell'inadempimento che non sia propriamente diretta ed immediata. È compito del giudice di merito accertare la materiale esistenza del rapporto che abbia i suddetti caratteri normativamente richiesti. (Nella specie, la S.C. ha rilevato l'insufficienza della motivazione della sentenza impugnata, perciò cassata con rinvio, riguardante gli elementi attinenti al rapporto causale tra l'omessa integrazione di un funzionario e l'impossibilità dello stesso di godere del diritto riconosciuto dall'art. 38, primo comma, della legge della Regione Sicilia n. 35 del 1990).

Cass. civ. n. 8657/2006

Qualora il giudice di primo grado nel liquidare un debito di valore (nella specie l'indennità dovuta ex art. 936 c.c. al costruttore) non abbia provveduto a riconoscere sulla relativa somma gli interessi compensativi richiesti dall'occupante, costituisce onere del creditore — al fine di evitare la formazione del giudicato interno — gravare con impugnazione incidentale tale mancata attribuzione, ancorché non motivata, a nulla rilevando che la controparte abbia a sua volta rimesso in discussione, con l'appello principale, la qualificazione e la misura dell'indennità medesima, atteso che i negati interessi, pur costituendo una componente del credito azionato, sono tuttavia suscettibili di una propria precisa individualità, concettuale e contabile, nell'ambito della globale valutazione rimessa al giudice, sia nell'ipotesi di cui all'art. 1150 che in quella di cui all'art. 936 c.c.

Cass. civ. n. 5860/2006

In tema di inadempimento delle obbligazioni pecuniarie, nel caso in cui il creditore — del quale non sia controversa la qualità di imprenditore commerciale — deduca di aver subito dal ritardo del debitore nell'adempimento un pregiudizio conseguente al diminuito potere di acquisto della moneta, non è necessario, ai fini del riconoscimento del maggior danno ragguagliato alla svalutazione monetaria, che egli fornisca la prova di un danno concreto causalmente ricollegabile all'indisponibilità del credito per effetto dell'inadempimento, dovendosi presumere, in base all'id quod plerumque accidit che, se vi fosse stato tempestivo adempimento, la somma dovuta sarebbe stata utilizzata in impieghi antinflattivi per il finanziamento dell'attività imprenditoriale e, quindi, sottratta agli effetti della svalutazione.

Cass. civ. n. 4020/2006

In caso di illecito lesivo dell'integrità psicofisica della persona, il giudice è tenuto a verificare se le lesioni accertate, oltre ad incidere sulla salute del soggetto, abbiano anche ridotto la sua capacità lavorativa specifica, con riduzione, per il futuro, della sua capacità di reddito, attribuendo in tal caso due distinte voci di risarcimento, rispettivamente a titolo di danno biologico e di danno patrimoniale per la riduzione della capacità lavorativa specifica. Nell'ambito delle somme liquidate per la prima voce, è quindi precluso al giudice individuare e disaggregare la componente riferibile alla perdita della capacità lavorativa. (Nella specie la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva riconosciuto il diritto di surrogazione dell'Inail su parte delle somme liquidate al danneggiato a titolo di danno biologico).

Cass. civ. n. 4010/2006

L'obbligazione di risarcimento del danno determinato da un fatto illecito (nella specie da responsabilità riconducibile alla circolazione di veicoli) costituisce debito di valore e la sua liquidazione per equivalente espressa in termini monetari, tenendo conto del valore del danno, all'epoca del fatto illecito, rivalutato alla data della decisione definitiva, comporta che la svalutazione monetaria intervenuta dopo la sentenza di primo grado sia accertata e liquidata dal giudice di appello anche d'ufficio.

Cass. civ. n. 3436/2006

L'art. 4 del D.L. n. 857/1976, come modificato dalla legge n. 39/1977 — secondo il quale, nel caso di danno alle persone, quando agli effetti del risarcimento debba considerarsi l'incidenza dell'inabilità temporanea o dell'invalidità permanente sul reddito di lavoro, tale reddito non può essere inferiore al triplo dell'ammontare annuo della pensione sociale — si applica quando si tratta di liquidare il danno in favore della persona che lo ha subito in occasione dell'incidente stradale, mentre si deve escludere che la norma possa essere estesa analogicamente alla liquidazione del danno consistente nella morte della persona che è rimasta coinvolta nell'incidente ostandovi la natura eccezionale di essa (vedi Corte Cost. 24/10/1995 n. 445). Peraltro, l'inapplicabilità della norma in quanto tale non implica che il giudice non possa far riferimento al criterio stabilito dalla norma medesima nella liquidazione equitativa del danno ex articoli 2055 e 1226 c.c.

Cass. civ. n. 1215/2006

In caso di lesioni personali con postumi invalidanti permanenti, ove il danno patrimoniale futuro (costituisca esso danno emergente, come per le spese mediche non ancora sostenute, ovvero lucro cessante da perdita o riduzione della capacità lavorativa) sia liquidato nella forma della capitalizzazione anticipata, dalla somma capitalizzata e liquidata in relazione ai valori monetari della data della pronuncia va effettuata la detrazione del montante di anticipazione (calcolato sulla base degli interessi a scalare); sull'importo risultante possono essere riconosciuti gli interessi compensativi, da calcolarsi nella misura degli interessi al tasso legale sulla minor somma che ne avrebbe costituito l'equivalente monetario alla data di insorgenza del credito (data del fatto lesivo), ovvero mediante l'attribuzione di interessi sulla somma liquidata all'attualità ma ad un tasso inferiore a quello legale medio nel periodo di tempo che viene in considerazione, ovvero mediante il riconoscimento di interessi legali sulla somma attribuita, ma a decorrere da una data intermedia, ovvero computando gli interessi sulla somma progressivamente rivalutata anno per anno dalla data dell'illecito.

Cass. civ. n. 1041/2006

Il giudice di appello può liquidare la svalutazione monetaria successiva alla sentenza di primo grado per il risarcimento del danno da fatto illecito, perché, salva espressa volontà contraria, tale svalutazione può ricomprendersi nel petitum originario. (Nella fattispecie, la S.C., cassando la sentenza di appello — che non aveva applicato tale principio — e decidendo nel merito, ha riconosciuto al ricorrente, sull'importo già liquidatogli a titolo di risarcimento del danno da occupazione espropriativa, la rivalutazione monetaria maturata successivamente alla sentenza di primo grado e sino alla data dell'effettivo pagamento).

Cass. civ. n. 23225/2005

In materia di obbligazione risarcitoria da fatto illecito, che costituisce tipico debito di valore, il danno, se non risarcito immediatamente, va determinato secondo il valore attuale al momento della pronunzia, la durata del processo non potendo riverberare a danno dell'attore vittorioso. Al riguardo, ai fini di tale attualizzazione del valore del danno, il giudice può fare ricorso anche al riconoscimento degli interessi compensativi, da calcolarsi non già sulla somma integralmente rivalutata e con decorrenza dalla data dell'illecito, bensì al tasso legale e su somme progressivamente rivalutate, ovvero, sempre sulla somma rivalutata e con decorrenza dalla data del fatto, ma con un tasso medio di interesse, in modo da tener conto che essi decorrono su una somma che inizialmente non era di quell'entità e che si è solo progressivamente adeguata a quel risultato finale, salva, ancora, la facoltà di non riconoscerli affatto, in relazione a parametri di valutazione costituiti dal tasso medio di svalutazione monetaria e dalla redditività media del denaro nel periodo considerato, dando conto del metodo in concreto utilizzato.

Cass. civ. n. 17562/2005

In ipotesi di inadempimento contrattuale, la parte non inadempiente ha diritto al ristoro di tutti i pregiudizi subiti a causa della condotta della controparte inadempiente, compreso il rimborso delle spese affrontate in vista del proprio adempimento e, specificamente, ove il contratto in questione sia costituito da un preliminare avente ad oggetto il trasferimento di una cosa determinata, gli esborsi sostenuti per la realizzazione di quest'ultima o, comunque, finalizzati a renderla conforme all'oggetto delle pattuizioni contrattuali.

Cass. civ. n. 15823/2005

Nell'obbligazione risarcitoria (che costituisce debito di valore in quanto diretta alla reintegrazione del danneggiato nella stessa situazione patrimoniale nella quale si sarebbe trovato se il danno non fosse stato prodotto) il principale mezzo di commisurazione attuale del valore perduto dal creditore è fornito dalla rivalutazione monetaria, mentre il riconoscimento degli interessi rappresenta una modalità di liquidazione del possibile danno ulteriore da lucro cessante, cui è consentito fare ricorso solo nei casi in cui la rivalutazione monetaria dell'importo liquidato in relazione all'epoca dell'illecito, ovvero la liquidazione in valori monetari attuali, non valgano a reintegrare pienamente il creditore. Pertanto, il mero ritardo nella percezione dell'equivalente monetario non dà automaticamente diritto alla corresponsione degli interessi, occorrendo a tal fine l'allegazione e la prova del danno ulteriore subito dal creditore, che si realizza solo se ed in quanto la somma rivalutata (o liquidata in moneta attuale) risulti inferiore a quella di cui il danneggiato avrebbe disposto, alla data della sentenza, se il pagamento della somma originariamente dovuta fosse stato tempestivo. L'accertamento di tale danno può aver luogo anche in base a criteri presuntivi collegati al rapporto tra remuneratività media del denaro e tasso di svalutazione nel periodo in considerazione, essendo ovvio che in tutti i casi in cui il primo sia inferiore al secondo, un danno da ritardo non sarà normalmente configurabile.

Cass. civ. n. 15822/2005

In tema di liquidazione del danno alla persona, qualora la vittima dell'illecito, a causa dell'invalidità dallo stesso derivata, abbia perduto in tutto o in parte il proprio reddito da lavoro e la prospettiva di futuri guadagni, ma abbia ugualmente lucrato vantaggi patrimoniali con altri mezzi o per effetto di un rapporto giuridico indipendente dal fatto illecito, tali vantaggi, in quanto meramente occasionati dal fatto illecito e dall'evento dannoso, e non causalmente ricollegabili ad esso, non riducono né elidono il pregiudizio legato alla perdita del reddito da lavoro. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto che il lavoratore costretto al pensionamento anticipato a causa dell'invalidità provocata dall'altrui illecito extracontrattuale ha diritto al risarcimento del danno conseguente alla perdita dei proventi della sua attività lavorativa fino al compimento dell'età pensionabile, escludendo l'operatività della compensatio lucri cum damno con il reddito derivante dalla pensione eventualmente percepita).

Cass. civ. n. 15676/2005

In tema di risarcimento del danno, quale conseguenza del fatto illecito altrui, è necessaria la dimostrazione, da parte del danneggiato, non solo della potenziale lesività del fatto altrui, ma che tale fatto è stato causa di un danno concreto. Pertanto, per la risarcibilità del danno futuro è necessario un elevato grado di probabilità che esso si verifichi in base ad un criterio di regolarità (id quod plerumque accidit); ne consegue che per ottenere il riconoscimento del diritto risarcitorio corrispondente al lucro cessante futuro, non è sufficiente la prova dei postumi permanenti derivati dalle lesioni subite dal danneggiato, ma occorre che egli provi che dalle stesse è derivata la riduzione della capacità lavorativa specifica, non originandosi dall'invalidità personale permanente automaticamente la presunzione di danno da lucro cessante futuro.

Cass. civ. n. 5724/2005

In tema di equa riparazione per l'irragionevole durata del processo, in tanto può essere riconosciuto in favore dell'istante il danno patrimoniale in quanto questo, oltre ad essere causalmente ricollegato al fatto costituito dalla abnorme durata del processo presupposto, non abbia avuto — o non abbia potuto avere — in quel processo uno specifico ristoro, anche attraverso la rivalutazione delle somme oggetto del contendere, senza che rilevi la asserita insufficienza del ristoro stesso.

Cass. civ. n. 2654/2005

Il principio secondo cui gli interessi sulle somme di denaro liquidate a titolo risarcitorio decorrono dalla data in cui il danno si è verificato è sì applicabile soltanto in tema di responsabilità extracontrattuale da fatto illecito (in quanto il danneggiante-debitore è costituito in mora ex re fin dal giorno della consumazione dell'illecito, mentre nel caso di obbligazione risarcitoria derivante da inadempimento contrattuale gli interessi decorrono dalla data della domanda giudiziale, atto idoneo a costituire in mora il debitore), ma non può essere inteso nel senso che, ove l'obbligazione risarcitoria derivi da inadempimento contrattuale, sia autorizzata la considerazione di date diverse ai fini della rivalutazione monetaria dell'importo corrispondente al danno originario e della decorrenza degli interessi (cosiddetti) compensativi (nel caso sussista un danno da ritardo) sulle somme progressivamente rivalutate, non essendo concettualmente conciliabile l'accertamento dell'inadempimento con effetti risarcitori ad una certa data con la decorrenza da una data successiva degli interessi compensativi da ritardo nell'adempimento del debito risarcitorio. Ne consegue che, se l'equivalente monetario attuale del danno (da inadempimento o da illecito) non è sufficiente a tenere indenne il creditore da tutte le conseguenze pregiudizievoli del fatto dannoso a causa del ritardo col quale la somma gli è stata erogata, allora il giudice può liquidare tale danno anche sotto forma di interessi, a condizione che tale danno sia ritenuto esistente prima del riconoscimento di detti interessi (che ne costituiscono una mera modalità liquidatoria).

Cass. civ. n. 564/2005

... nell'ipotesi di illecito determinante l'invalidità permanente di soggetto privo di reddito, in quanto non svolga attività lavorativa e frequenti un corso di studi, il danno da risarcire consiste nel minor guadagno che l'interessato realizzerà in futuro a causa della menomazione rispetto a quello che avrebbe percepito se la sua capacità lavorativa non fosse stata menomata; la relativa liquidazione può essere compiuta per mezzo di presunzioni, considerando il tipo di attività che il soggetto svolgerà in futuro secondo un criterio probabilistico, tenuto conto delle possibili scelte ed occasioni che, secondo l'id quod plerumque accidit, si offrono in relazione al livello di studi conseguito e all'ambiente familiare e sociale di riferimento.

Cass. civ. n. 21894/2004

Nella causalità cd. omisssiva (o normativa, o ipotetica) il giudice, in forza della clausola generale di equivalenza prevista dall'art. 40 c.p., è tenuto ad accertare se l'evento sia ricollegabile all'omissione (causalità omissiva) nel senso che esso non si sarebbe verificato se (causalità ipotetica) l'agente avesse posto in essere la condotta doverosa impostagli (nella specie, da un contratto di prestazione d'opera professionale di avvocato) secondo le regole di avvedutezza e diligenza che devono guidare l'homo eiusdem condicionis ac professionis: il ragionamento del giudice sul rapporto causale, adeguato e logicamente coerente, deve, pertanto basarsi su regole di natura probabilistica tali da consentire una generalizzazione sul nesso di condizionamento omissione/evento nel senso che, se l'azione doverosa fosse intervenuta, l'evento danno si sarebbe evitato, sicché, essendosi per converso verificato, esso può essere oggettivamente imputato (causalità normativa) alla condotta omissiva che, così, viene a costituire l'antecedente necessario dell'evento. Ne consegue ancora che il giudice, partendo dalla condotta del (presunto) responsabile connotata da colposa inadempienza, dovrà svolgere una inferenza probabilistica (che rappresenta indubbiamente una «complicazione» nella formulazione del giudizio causale, ma che non può essere pretermessa, onde la necessità di una formulazione di giudizio corretta e analitica che pervenga senza affrettate approssimazioni e senza salti logici alla conclusione, positiva o negativa, di sussistenza del legame causale tra condotta esaminata ed evento prodottosi. L'accertamento del rapporto di causalità ipotetica deve, poi, necessariamente passare attraverso l'enunciato «controfattuale» che pone al posto dell'omissione il comportamento alternativo dovuto, onde verificare se la condotta doverosa avrebbe assicurato apprezzabili probabilità di evitare (o, comunque, di ridurre significativamente) il danno lamentato dal contraente adempiente.

Cass. civ. n. 14667/2004

Compete al giudice del merito, avvalendosi al riguardo dei suoi poteri di libero apprezzamento delle prove, determinare, sulla base dei criteri dettati dagli artt. 1223 e ss. c.c., la effettiva consistenza del lucro cessante al netto dei costi non sopportati dal danneggiato e che sarebbero stati necessari a produrlo. La relativa eccezione della parte costituisce pertanto una mera difesa, e, quindi, una eccezione c.d. impropria, in quanto tale rilevabile in ogni stato e grado del giudizio di merito senza i limiti di preclusione del giudicato interno. Ne consegue che costituisce omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia, denunciabile in cassazione ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., il mancato esame di tale eccezione.

Cass. civ. n. 14488/2004

Nel caso di responsabilità del sanitario per il mancato esercizio del diritto all'interruzione della gravidanza nei casi previsti dalla legge 22 maggio 1978, n. 194, il danno risarcibile è rappresentato non solo da quello dipendente dal pregiudizio della salute fisio-psichica della donna specificamente tutelata dalla predetta legge, ma anche da quello più genericamente dipendente da ogni pregiudizievole conseguenza patrimoniale dell'inadempimento del sanitario nonché del danno biologico in tutte le sue forme.

Cass. civ. n. 13634/2004

In tema di risarcimento del danno alla persona subito da un minore (nel caso di specie, trattavasi di danno verificatosi al momento del parto), la determinazione dell'ammontare del danno da lucro cessante va effettuata mediante una previsione di futuro guadagno per l'intero preventivabile arco della vita lavorativa, tenendo conto della prevedibile riduzione delle possibili attività lavorative esercitabili e dei guadagni ipotizzabili; nel compiere tale previsione non è corretto equiparare le prospettive lavorative future dei figli all'attività svolta dai genitori, in quanto ogni individuo può aspirare alla realizzazione di obiettivi socialmente ed economicamente più favorevoli rispetto a quelli raggiunti dalle generazioni precedenti.

Cass. civ. n. 10531/2004

In caso di licenziamento nullo perché intimato ad una lavoratrice in stato di gravidanza o puerperio in violazione del divieto di cui all'art. 2 della legge n. 1204 del 1971, dal pagamento, a titolo risarcitorio, delle retribuzioni successive alla data di effettiva cessazione del rapporto, possono essere detratti eventuali corrispettivi per attività lavorative espletate nel corso del rapporto dichiarato nullo (aliunde perceptum), ove il datore di lavoro ne fornisca la relativa prova, mentre non possono essere detratte le indennità previdenziali, non potendo, le stesse ritenersi acquisite, in via definitiva, dal lavoratore, in quanto ripetibili dagli Istituti previdenziali.

Cass. civ. n. 9091/2004

La parte adempiente che chiede la risoluzione del contratto preliminare di compravendita per inadempimento del promittente venditore ha diritto sia alla restituzione della somma pagata in conto prezzo, in virtù dell'efficacia retroattiva della risoluzione, sia al risarcimento del danno, comprensivo anche del pregiudizio costituito dal deprezzamento della somma pagata, con la conseguenza che tale somma, pur essendo oggetto di una obbligazione pecuniaria, avendo per oggetto il prezzo corrisposto alla parte adempiente, deve essere restituita con la rivalutazione monetaria perché solo in tal modo quest'ultima parte è reintegrata nella posizione in cui era al momento della conclusione del contratto.

Cass. civ. n. 7980/2004

La lesione del diritto alla salute e di ogni altro valore inerente alla persona costituzionalmente garantito costituisce un evento immanente, ovvero interno, al fatto illecito, e ne comporta pertanto il relativo risarcimento, indipendentemente dai riflessi patrimoniali che da tale lesione conseguano, integranti voce di danno eventuale, autonoma ed aggiuntiva.

Cass. civ. n. 5840/2004

In tema di risarcimento del danno alla persona, sussiste la risarcibilità del danno patrimoniale soltanto qualora sia riscontrabile la eliminazione o la riduzione della capacità del danneggiato di produrre reddito, mentre il danno da lesione della «cenestesi lavorativa» che consiste nella maggiore usura, fatica e difficoltà incontrate nello svolgimento dell'attività lavorativa, non incidente neanche sotto il profilo delle opportunità sul reddito della persona offesa (c.d. perdita di chance), risolvendosi in una compromissione biologica dell'essenza dell'individuo, va liquidato onnicomprensivamente come danno alla salute. A tal fine il giudice, ove abbia adottato per la liquidazione il criterio equitativo del valore differenziato del punto di invalidità, ben può liquidare la componente costituita dal pregiudizio della cenestesi lavorativa mediante un appesantimento del valore monetario di ciascun punto, restando invece non consentito il ricorso al parametro del reddito percepito dal soggetto leso.

Cass. civ. n. 4983/2004

In tema di responsabilità contrattuale da inadempimento per effetto della liquidazione il debito di valore inerente al danno da svalutazione monetaria, conseguente all'inadempimento di un'obbligazione pecuniaria, si converte in debito di valuta il cui importo si somma a quello dell'obbligazione rimasta inadempiuta ed, al pari di quest'ultima, è produttivo di interessi legali corrispettivi con decorrenza dalla data della domanda giudiziale ovvero della liquidazione.

Cass. civ. n. 4400/2004

In tema di responsabilità del professionista esercente la professione sanitaria, la diagnosi errata o inadeguata integra di per sé un inadempimento della prestazione sanitaria e, in presenza di fattori di rischio legati alla gravità della patologia o alle precarie condizioni di salute del paziente, aggrava la possibilità che l'evento negativo si produca, producendo in capo al paziente la perdita delle chances di conseguire un risultato utile; tale perdita di chances configura una autonoma voce di danno emergente, che va commisurato alla perdita della possibilità di conseguire un risultato positivo, e non alla mera perdita del risultato stesso, e la relativa domanda è domanda diversa rispetto a quella di risarcimento del danno da mancato raggiungimento del risultato sperato.

Cass. civ. n. 3867/2004

Tra lesione della salute e diminuzione della capacità di guadagno non sussiste alcun rigido automatismo. Ne consegue che in presenza di una lesione della salute, anche di non modesta entità, non può ritenersi ridotta in egual misura la capacità di produrre reddito, ma il soggetto leso ha sempre l'onere di allegare e provare, anche mediante presunzioni, che l'invalidità permanente abbia inciso sulla capacità di guadagno.

Cass. civ. n. 3806/2004

In tema di danno biologico, la cui liquidazione deve tenere conto della lesione dell'integrità psicofisica del soggetto sotto il duplice aspetto dell'invalidità temporanea e di quella permanente, quest'ultima è suscettibile di valutazione soltanto dal momento in cui, dopo il decorso e la cessazione della malattia, l'individuo non abbia riacquistato la sua completa validità con relativa stabilizzazione dei postumi. Ne consegue che il danno biologico di natura permanente deve essere determinato soltanto dalla cessazione di quello temporaneo, giacché altrimenti la contemporanea liquidazione di entrambe le componenti comporterebbe la duplicazione dello stesso danno.

In tema di danno biologico, qualora al momento della liquidazione, pretesa iure successionis dagli eredi, la persona offesa sia deceduta per una causa non ricollegabile alla menomazione patita in conseguenza dell'illecito, la valutazione probabilistica, rapportata alla durata presumibile della vita futura, va sostituita con quella del danno in concreto patito e misurabile con riferimento all'effettiva durata della vita del danneggiato.

Cass. civ. n. 3088/2004

Il collocamento a riposo e la semplice comunicazione dell'operatività della clausola di risoluzione automatica del rapporto di lavoro, al raggiungimento della massima anzianità contributiva, non configurano di per sé un licenziamento, cioè la volontà del datore di lavoro di recedere dal rapporto, cui può conseguire il diritto del lavoratore alla reintegrazione e al risarcimento del danno. Pertanto qualora il giudice di merito abbia disposto la reintegra nel posto di lavoro e il risarcimento, la decisione va corretta in sede di legittimità affermando l'attuazione del diritto del ricorrente alla continuità del rapporto di lavoro e al pagamento delle retribuzioni; l'importo corrisposto a titolo di retribuzione, peraltro, non deve essere diminuito degli importi eventualmente ricevuti dall'interessato a titolo di pensione, atteso che il diritto al pensionamento discende dal verificarsi di requisiti di età e contribuzione stabiliti dalla legge, sicché le utilità economiche che il lavoratore ne ritrae, dipendendo da fatti giuridici del tutto estranei al potere di recesso del datore di lavoro, si sottraggono all'operatività della regola della compensatio lucri cum damno. (Nella specie, relativa a dipendente postale, la S.C. ha chiarito che la sentenza di merito, pur escludendo, con apprezzamento di fatto incensurabile in sede di legittimità, che l'ente avesse manifestato con il collocamento a riposo una volontà di recedere, aveva erroneamente equiparato la comunicazione datoriale di applicazione della clausola risolutiva espressa al recesso; la S.C. ha corretto la motivazione della sentenza ai sensi dell'art. 384 c.p.c.).

Cass. civ. n. 258/2004

Gli interessi legali dovuti per il ritardo con cui è corrisposto l'indirizzo per l'espropriazione o la cessione volontaria dell'immobile hanno natura compensativa, dovendoli l'espropriante corrispondere sulla somma ulteriore che è tenuto a depositare (nell'espropriazione), fino al momento dell'avvenuto deposito, ovvero a versare direttamente alla controparte (nella cessione), in quanto fino a quel momento tale somma resta nella sua disponibilità e non in quella dell'espropriato; viceversa, il danno derivante dalla mora colpevole — sia esso liquidato nell'abituale cifra forfettariamente stabilita dall'art. 1224, primo comma, c.c. in ragione dell'interesse legale, sia esso liquidato in somma diversa e maggiore (quando ne sia fornita la prova) ai sensi del secondo comma dello stesso articolo — consiste soltanto in quello (nella fattispecie derivante dalla svalutazione monetaria) successivo alla data di inizio del giudizio di opposizione alla stima o di determinazione dell'indennizzo o del conguaglio, perché prima di detti giudizi l'espropriante non ha alcuna facoltà di interferire nelle determinazioni amministrative riguardanti l'indennizzo — siano esse accettate dall'espropriato ovvero impugnate — in quanto completamente estranee, sotto ogni aspetto, alla sua sfera giuridico-economica ed attribuite per legge ad organi terzi, mentre con l'instaurarsi del giudizio egli diventa parte convenuta in un ordinario processo contenzioso, con propria autonomia decisionale, anche rispetto all'eventuale adesione alle pretese attrici od alla formulazione di proposte transattive.

Cass. civ. n. 123/2004

Le spese di difesa davanti alla Corte europea dei diritti dell'uomo, sostenute da chi abbia presentato alla corte di appello, ai sensi degli artt. 3 e 6 legge n. 89 del 2001, domanda di equa riparazione del danno derivante dall'irragionevole durata del processo dopo aver già presentato ricorso alla Corte europea, non possono essere configurate quali danni patrimoniali conseguenti alla irragionevole durata del processo stesso, in quanto non trovano causa nel ritardo, bensì nel giudizio successivamente instaurato davanti alla Corte europea, il quale, a sua volta, deriva dalla scelta autonoma — sicuramente legittima, ma certamente non necessitata — della parte stessa di rivolgersi a detta Corte, mentre, invece, danno risarcibile è, ai sensi dell'art. 1223 c.c. (indirettamente richiamato dall'art. 2, terzo comma, legge n. 89 del 2001, cit.), soltanto quello che sia conseguenza «immediata e diretta» del fatto causativo.

Cass. civ. n. 18945/2003

In tema di risarcimento del danno alla persona, la mancanza di un reddito al momento dell'infortunio per essere il soggetto leso disoccupato, può escludere il danno da invalidità temporanea, ma non anche il danno futuro collegato alla invalidità permanente che — proiettandosi per il futuro — verrà ad incidere sulla capacità di guadagno della vittima, al momento in cui questa inizierà una attività remunerata, salvo l'ipotesi che si tratti di disoccupazione volontaria, ovvero di un consapevole rifiuto dell'attività lavorativa.

Cass. civ. n. 17940/2003

Il danno lamentato da un soggetto per la mancata partecipazione ad alcune pubbliche gare per il conferimento del servizio di accertamento e riscossione dell'imposta comunale sulle pubblicità e dei diritti sulle pubbliche affissioni, a causa della illegittima cancellazione dall'Albo Nazionale dei concessionari per la riscossione delle imposte sulla pubblicità, la iscrizione nel quale costituiva indispensabile requisito, va qualificato come danno per perdita di chance e costituisce una ipotesi di danno patrimoniale futuro il cui ammontare può essere stabilito soltanto per presunzione, e liquidato in via equitativa, oppure attraverso il calcolo di probabilità, richiedente necessariamente l'ausilio di un esperto. La prova dell'esperimento di gare, nel periodo in cui sono perdurati gli effetti della cancellazione dall'Albo, basta a far presumere l'esistenza del danno, tradottosi nell'impossibilità di partecipare alle gare o di parteciparvi in condizioni di parità con gli altri concorrenti e, dunque, nella perdita della possibilità di realizzare probabili futuri guadagni, senza che occorra documentare gli inviti di partecipazione a tali gare, in quanto l'interessato avrebbe potuto esservi ammesso semplicemente su sua domanda.

Cass. civ. n. 14678/2003

Il danno patrimoniale da lucro cessante, per un soggetto privo di reddito e a cui siano residuati postumi permanenti in conseguenza di un fatto illecito altrui, configura un danno futuro, da valutare con criteri probabilistici, in via presuntiva, e con equo apprezzamento del caso concreto. Pertanto se occorre valutare il lucro cessante di un minore menomato permanentemente e non sia possibile prevedere la sua futura attività lavorativa in base agli studi compiuti o alle sue inclinazioni, rapportati alla posizione economico-sociale della famiglia, non sussiste nessun vizio logico-giuridico della motivazione del giudice di merito che per valutare il reddito futuro di detto minore adotti come parametro di riferimento quello di uno dei genitori, presumendo che il figlio eserciterà la medesima professione del genitore.

Cass. civ. n. 13666/2003

La liquidazione del danno da parte del giudice trasforma l'obbligazione risarcitoria da obbligazione di valore in obbligazione di valuta, con la conseguenza che il giudice non può riconoscere gli interessi per il periodo successivo alla decisione fino al saldo, in mancanza di specifica domanda della parte in tal senso.

Cass. civ. n. 12452/2003

Nella obbligazione risarcitoria da fatto illecito, che costituisce tipico debito di valore, è possibile che la mera rivalutazione monetaria dell'importo liquidato in relazione all'epoca dell'illecito, ovvero la diretta liquidazione in valori monetari attuati, non valgono a reintegrare pienamente il creditore, che va posto nella stessa condizione economica nella quale si sarebbe trovato se il pagamento fosse stato tempestivo. In tal caso, è onere del creditore provare, anche in base a criteri presuntivi, che la somma rivalutata (o liquidata in moneta attuale) sia inferiore a quella di cui avrebbe disposto, alla stessa data della sentenza, se il pagamento della somma originariamente dovuta fosse stato tempestivo. Il che può dipendere, prevalentemente, dal rapporto tra remuneratività media del denaro e tasso di svalutazione nel periodo in considerazione, essendo ovvio che in tutti i casi in cui il primo sia inferiore al secondo, un danno da ritardo non è normalmente configurabile. Da ciò ha ad emergere come, per un verso, gli interessi cosiddetti compensativi costituiscono una mera modalità liquidatoria del danno da ritardo nei debiti di valore; per altro verso, non sia configurabile alcun automatismo nel riconoscimento degli stessi: sia perché il danno da ritardo che con quella modalità liquidatoria si indennizza non necessariamente esiste, sia perché, di per sé, esso può essere comunque già ricompresso nella somma liquidata in termini monetari attuali.

Cass. civ. n. 12121/2003

In tema di liquidazione del danno patrimoniale, il risarcimento per il danno costituito dalla perdita del guadagno subito deve comprendere il periodo di invalidità temporanea in cui nessuna attività lavorativa ha potuto svolgersi dal danneggiato ed il successivo periodo di invalidità permanente. Ne consegue che l'inizio del calcolo del danno da invalidità permanente, che segue alla diminuzione della capacità di lavoro impiegata in un'attività di lavoro determinata, va individuato con riferimento al momento della cessazione dell'invalidità temporanea, che deve viceversa essere liquidata autonomamente, in modo tale da condurre ad un risarcimento che possa essere considerato comprensivo di ambedue le voci.

Cass. civ. n. 11704/2003

Il danno biologico, come danno alla salute, va valutato sia in riferimento alla invalidità temporanea che in riferimento all'invalidità permanente, ed è consentito al giudice del merito liquidare il danno biologico valutando separatamente l'invalidità temporanea e quella permanente, purché il complessivo ammontare dei risarcimento sia commisurato alla reale entità del danno, in quanto la liquidazione del danno biologico con importi distinti, in relazione ai due momenti della inabilità temporanea e della invalidità permanente dal danneggiato, non comporta la duplicazione di una voce di danno ontologicamente unitaria, ma si risolve nell'adozione di un criterio di liquidazione
ammissibile, se il riferimento all'inabilità temporanea e all'invalidità permanente non è finalizzato all'individuazione della diminuita capacità di guadagno del danneggiato, criterio non utilizzabile per la liquidazione del danno biologico, ma all'individuazione di periodi diversi, che corrispondono ad una diversa intensità della lesione dell'integrità psicofisica del soggetto, ai quali rapportare la liquidazione equitativa di un danno, risarcibile per equivalente con una prestazione patrimoniale, atta a reintegrare un valore leso che non ha in sé immediata natura patrimoniale.

Cass. civ. n. 11007/2003

In una causa di risarcimento danni da incidente stradale, le dichiarazioni dei redditi hanno efficacia probatoria privilegiata, ai sensi dell'art. 4 della legge 26 febbraio 1977, n. 39, soltanto quando ricorrano due condizioni: a) oggetto del giudizio sia l'azione diretta promossa dal danneggiato nei confronti dell'assicuratore della r.c.a. del responsabile, ex art. 18 della legge n. 990 del 1969; b) il danno che si intende provare con la dichiarazione dei redditi sia costituito da una contrazione del reddito conseguente ad invalidità permanente. Nel caso in cui — come nella fattispecie in esame — il danno di cui si chieda il risarcimento sia costituito dalla riduzione delle entrate conseguita alla morte di un congiunto, le risultanze delle dichiarazioni dei redditi sono liberamente valutabili dal giudice, la cui pronuncia sul punto non è sindacabile in sede di legittimità ove adeguatamente motivata.

Cass. civ. n. 10022/2003

In tema di risarcimento del danno da fatto illecito, anche se è stato adottato erroneamente dal giudice di primo grado il criterio di liquidazione del danno biologico, utilizzando come parametro di riferimento il criterio di cui all'art. 4 della legge 26 febbraio 1977, n. 39, anziché quello della liquidazione equitativa di cui agli artt. 2056 e 1226 c.c., non può il giudice di appello, senza violare il principio devolutivo, modificare detto criterio in mancanza di specifica impugnazione sul punto. Peraltro, anche se sia stato adottato erroneamente il suddetto criterio di liquidazione del danno biologico, la relativa obbligazione integra un debito di valore, in quanto volto alla reintegrazione del patrimonio della parte lesa nella situazione in cui si sarebbe trovato se non si fosse verificato l'evento dannoso. Ne consegue che l'adeguamento dell'effettivo valore monetario al momento della decisione (rivalutazione) non esige alcuna specifica richiesta della parte, dovendo essere accordato anche d'ufficio, sulla base del solo fatto notorio dell'inflazione, ed anche per il periodo intercorrente tra la decisione di primo grado e quella di appello, salva un'espressa manifestazione di volontà contraria del danneggiato.

Cass. civ. n. 7631/2003

In tema di risarcimento del danno da fatto illecito extracontrattuale, una volta ritenuta provata dal giudice del merito la sussistenza del mancato guadagno che al danneggiato è stato provocato dal ritardato pagamento della somma liquidatagli a titolo risarcitorio, il lucro cessante va commisurato all'ammontare progressivo al quale la stessa somma perviene in applicazione del criterio di rivalutazione della stessa somma prescelto dal giudice del merito.

Cass. civ. n. 5570/2003

Nel giudizio di opposizione alla stima delle indennità di espropriazione e di occupazione (che hanno natura di debito di valuta) è proponibile anche in corso di causa la richiesta degli interessi, costituendo essa mera emendatio libelli. (Fattispecie relativa a giudizio disciplinato dalle norme processuali anteriori alla novella di cui alla legge n. 353 del 1990).

Cass. civ. n. 4070/2003

Nonostante l'adozione di criteri di liquidazione parzialmente analoghi, indennità di esproprio e risarcimento del danno da occupazione espropriativa conservano, l'uno rispetto all'altro, la loro ontologica differenza, giacché l'indennizzo da atto ablativo ha natura di debito valuta e, come tale, non è suscettibile da rivalutazione monetaria, mentre il debito risarcitorio da accessione invertita ha natura di debito di valore ed è, pertanto, suscettibile di rivalutazione.

Cass. civ. n. 3994/2003

L'obbligo di risarcire il danno aquiliano costituisce una tipica obbligazione di valore, con la conseguenza che, in caso di ritardo nell'adempimento, spetta al creditore il risarcimento del danno ulteriore rappresentato dalla perdita delle utilità che il godimento tempestivo della somma di denaro gli avrebbe consentito. La liquidazione di questo tipo di danno può avvenire nella forma degli interessi compensativi, ma solo se non già ricompresi nella somma rivalutata, ovvero liquidata in termini monetari attuali, come si verifica allorché la remuneratività media del danaro nel periodo in considerazione sia inferiore al tasso di svalutazione, perché in tale ipotesi non è nemmeno configurabile un danno da ritardo. L'onere di provare che la somma rivalutata, ovvero liquidata in moneta attuale, sia inferiore a quella di cui il creditore avrebbe disposto alla data della sentenza se il pagamento della somma originariamente dovuta fosse stato tempestivo, è posto a carico del creditore stesso, che può adempiervi anche a mezzo di presunzioni.

Cass. civ. n. 2580/2003

Gli interessi compensativi sulla somma dovuta a titolo di risarcimento del danno per la perdita della proprietà a seguito di occupazione appropriativa, costituendo una componente del danno stesso che nasce dal medesimo fatto generatore della obbligazione risarcitoria (a differenza degli interessi corrispettivi ex art. 1282 c.c. e degli interessi moratori ex art. 1224 c.c.), sono da intendere ricompresi nella domanda di risarcimento del danno; ne consegue che la impugnazione (della decisione di primo grado) diretta ad una diversa determinazione della riparazione del patito pregiudizio, rimettendo in discussione la complessiva e unitaria liquidazione al riguardo, necessariamente si estende anche al computo degli interessi pur se non sia stato specificamente criticato il criterio adottato sul punto nella decisione impugnata.

Cass. civ. n. 15809/2002

In materia di responsabilità civile, il pregiudizio alla vita di relazione costituisce un aspetto del danno biologico che, ove ritenuto nel caso concreto sussistente, va autonomamente valutato nella determinazione complessiva della somma da liquidarsi al danneggiato a titolo di risarcimento.

Cass. civ. n. 15289/2002

In tema di risarcimento del danno i postumi d'invalidità personale di piccola entità (c.d. micropermanente) — in quanto non superiori al 10 per cento — non incidendo sulla capacità del danneggiato di produrre reddito non hanno rilevanza sul danno di natura patrimoniale ma riguardando la menomazione del bene salute possono essere valutati soltanto sotto l'aspetto del danno biologico.

Cass. civ. n. 12194/2002

In caso di licenziamento illegittimo del lavoratore, il risarcimento del danno spettante a quest'ultimo a norma dell'art. 18 legge n. 300 del 1970, commisurato alle retribuzioni perse a seguito del licenziamento fino alla riammissione in servizio, non deve essere diminuito degli importi eventualmente ricevuti dall'interessato a titolo di pensione, atteso che il diritto al pensionamento discende dal verificarsi di requisiti di età e contribuzione stabiliti dalla legge, sicché le utilità economiche che il lavoratore ne ritrae, dipendendo da fatti giuridici del tutto estranei al potere di recesso del datore di lavoro, si sottraggono all'operatività della regola della compensatio lucri cum damno. Tale compensatio, d'altra parte, non può configurarsi neanche allorché, eccezionalmente, la legge deroghi ai requisiti del pensionamento, anticipando, in relazione alla perdita del posto di lavoro, l'ammissione al trattamento previdenziale, sicché il rapporto fra la retribuzione e la pensione si ponga in termini di alternatività, né allorché il medesimo rapporto si ponga invece in termini di soggezione a divieti più o meno estesi di cumulo tra la pensione e la retribuzione, posto che in tali casi la sopravvenuta declaratoria di illegittimità del licenziamento travolge ex tunc il diritto al pensionamento e sottopone l'interessato all'azione di ripetizione di indebito da parte del soggetto erogatore della pensione, con la conseguenza che le relative somme non possono configurarsi come un lucro compensabile col danno, e cioè come un effettivo incremento patrimoniale del lavoratore (nella specie, la S.C., enunciando il principio di cui in massima e dando anche conto di un contrasto giurisprudenziale esistente in subiecta materia, ha escluso la compensatio in relazione al licenziamento, intimato ad un ferroviere nel contesto di un'operazione di riduzione di personale ed in applicazione del criterio selettivo della maggiore anzianità contributiva recepito in appositi accordi collettivi attuativi dell'art. 59 legge n. 449 del 1997, del quale licenziamento la sentenza di merito, confermata dalla S.C., aveva dichiarato l'illegittimità per la mancata osservanza delle procedure di cui alla legge n. 223 del 1991).

Cass. civ. n. 11905/2002

Nella domanda di risarcimento del danno patrimoniale è sempre compresa la richiesta relativa alla diminuzione della capacità lavorativa, che, quale lucro cessante, costituisce, insieme con il danno emergente, componente del danno risarcibile ai sensi dell'art. 1223 c.c.

Cass. civ. n. 10898/2002

In tema di risarcimento del danno patrimoniale conseguente alla morte dei genitori, qualora i figli, a seguito di detto evento, siano stati accolti dai nonni e questi abbiano provveduto alle spese di mantenimento, istruzione ed educazione dei nipoti, sino al raggiungimento della loro indipendenza economica (nella fattispecie, fino al venticinquesimo anno di età), il pregiudizio patrimoniale risulta subito dai nonni medesimi, i quali hanno, pertanto, diritto al risarcimento delle dette spese, cui hanno dovuto far fronte, in totale sostituzione dei genitori; non pub, di conseguenza, attribuirsi un ulteriore risarcimento in favore dei figli per non aver beneficiato del sostentamento dei genitori, atteso che ciò configurerebbe una illegittima duplice liquidazione — ancorché in favore di beneficiari diversi — della stessa voce di danno.

Cass. civ. n. 9740/2002

In tema di responsabilità extracontrattuale, il carattere patrimoniale del danno riguarda non solo l'accertamento di un saldo negativo nello stato patrimoniale del danneggiato ma anche l'incidenza in concreto di una diminuzione dei valori e delle utilità (suscettibili secondo una valutazione tipica, che si riflette sul quantum risarcitorio, di commisurazione in denaro) di cui il medesimo può disporre, costituendo il patrimonio, ai fini in considerazione, quell'insieme di beni, valori e utilità tra loro collegati sotto il profilo e mediante un criterio funzionale. Ne consegue che il carattere della patrimonialità, che attiene al danno e non al bene leso dal fatto dannoso, non implica sempre e necessariamente un esborso monetario né una perdita di reddito o prezzo, potendo configurarsi anche come diminuzione dei valori o delle utilità economiche del danneggiato. (Nel caso, nel fare applicazione del suindicato principio, la S.C. ha affermato costituire danno patrimoniale risarcibile la diminuzione del valore della funzione masticatoria subita da persona in conseguenza di errato intervento dentistico, a prescindere dall'avere o meno il danneggiato sostenuto la spesa necessaria per il ripristino di tale funzione, in quanto il danno patrimoniale si verifica prima e a prescindere da detta spesa, che in effetti può anche non essere mai effettuata là dove la vittima preferisca non sostenerla e tenersi il danno).

Cass. civ. n. 9556/2002

Ai prossimi congiunti di persona che abbia subito, a causa di fatto illecito costituente reato, lesioni personali, spetta anche il risarcimento del danno morale concretamente accertato in relazione ad una particolare situazione affettiva con la vittima, non essendo ostativo il disposto dell'art. 1223 c.c., in quanto anche tale danno trova causa immediata e diretta nel fatto dannoso; ne consegue che in tal caso il congiunto è legittimato ad agire iure proprio contro il responsabile. (Principio espresso in fattispecie di danno morale richiesto dai genitori in proprio per l'invalidità totale derivata al loro bambino dall'anossia, e dalla successiva sindrome asfittica, di cui egli aveva sofferto al momento della nascita per dedotta responsabilità del medico e della struttura sanitaria ove la madre era stata ricoverata al momento del parto).

Cass. civ. n. 6735/2002

In tema di responsabilità del medico per omessa diagnosi di malformazioni del feto e conseguente nascita indesiderata, il risarcimento dei danni che costituiscono conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento del ginecologo all'obbligazione di natura contrattuale gravante su di lui spetta non solo alla madre, ma anche al padre, atteso il complesso di diritti e doveri che, secondo l'ordinamento, si incentrano sul fatto della procreazione, non rilevando, in contrario, che sia consentito solo alla madre (e non al padre) la scelta in ordine all'interruzione della gravidanza, atteso che, sottratta alla madre la possibilità di scegliere a causa dell'inesatta prestazione del medico, agli effetti negativi del comportamento di quest'ultimo non può ritenersi estraneo il padre, che deve perciò ritenersi tra i soggetti «protetti» dal contratto col medico e quindi tra coloro rispetto ai quali la prestazione mancata o inesatta può qualificarsi come inadempimento, con tutte le relative conseguenze sul piano risarcitorio.

Cass. civ. n. 4205/2002

I danni patrimoniali futuri risarcibili sofferti dal coniuge di persona deceduta a seguito di fatto illecito, ravvisabile nella perdita di quei contributi patrimoniali o di quelle utilità economiche che, sia in relazione ai precetti normativi (artt. 143, 433 c.c.) che perla pratica di vita improntata a regole etico-sociali di solidarietà e di costume, il defunto avrebbe presumibilmente apportato, assumono l'aspetto del lucro cessante, ed il relativo risarcimento è collegato ad un sistema presuntivo a più incognite, costituite dal futuro rapporto economico tra i coniugi e dal reddito presumibile del defunto, ed in particolare dalla parte di esso che sarebbe stata destinata al coniuge; la prova del danno è raggiunta quando, alla stregua di una valutazione compiuta sulla scorta dei dati ricavabili dal notorio e dalla comune esperienza, messi in relazione alle circostanze del caso concreto, risulti che il defunto avrebbe destinato una parte del proprio reddito alle necessità del coniuge o avrebbe apportato al medesimo utilità economiche anche senza che ne avesse bisogno.

Cass. civ. n. 2589/2002

In tema di risarcimento del danno alla persona, anche dopo l'entrata in vigore delle riforme Snail ed Rca (rispettivamente, D.L.vo n. 38/2000 e L. n. 57/2001, che «provvisoriamente e sperimentalmente», recepiscono la definizione di danno biologico), deve ritenersi tuttora applicabile il principio secondo il quale la capacità lavorativa generica è fatto che attiene alla qualità ed all'integrità della salute umana, sicché il danno biologico — inteso come menomazione dell'integrità psico-fisica subita dal soggetto — ne determina, illico et immediate, una riduzione (o perdita) contestuale, tale riduzione (o perdita) essendo intrinseca ed «interna» alla lesione alla salute, tanto da essere valutata unitariamente, all'interno di tale danno, con criteri areddituali, inerendo al valore dell'uomo come persona; il parametro «areddituale» della capacità lavorativa generica non può, tuttavia, essere utilizzato come presunzione di una possibilità di futura occupazione, da porsi in compensazione rispetto alla totalità del danno accertato, in mancanza dei presupposti di legge. (Nella specie la Corte ha cassato la sentenza di merito che, a fronte dell'accertamento della perdita totale della capacità lavorativa specifica, aveva presunto che il danneggiato potesse esplicare in futuro altre attività lavorative sulla base della residua capacità generica ed aveva perciò ridotto il danno patrimoniale da lucro cessante accertato).

Cass. civ. n. 883/2002

In tema di responsabilità extracontrattuale da fatto illecito, sulla somma riconosciuta al danneggiato a titolo di risarcimento deve essere considerato, in sede di liquidazione, oltre alla svalutazione (che ha la funzione di ripristinare la situazione patrimoniale del danneggiato antecedentemente alla consumazione dell'illecito: c.d. danno emergente), anche il nocumento finanziario (lucro cessante) subito a causa della mancata, tempestiva disponibilità della somma di denaro dovuta a titolo, appunto, di risarcimento (somma che, se tempestivamente corrisposta, avrebbe potuto essere investita per lucrarne un vantaggio finanziario). Qualora tale danno sia liquidato con la tecnica degli interessi, questi non vanno calcolati né sulla somma originaria, né sulla rivalutazione al momento della liquidazione, ma debbono computarsi o sulla somma originaria via via rivalutata anno per anno, ovvero sulla somma originaria rivalutata in base ad un indice medio, con decorrenza (a differenza che nell'ipotesi di responsabilità contrattuale) dal giorno in cui si è verificato l'evento dannoso.

Cass. civ. n. 64/2002

La pensione previlegiata cosiddetta «tabellare» liquidata in favore del militare di leva che riporti infermità o lesioni per fatti di servizio, da calcolarsi in base ad indici prefissati in rapporto alla entità ed alla efficacia invalidante della menomazione, ha carattere risarcitorio e non già previdenziale, prescindendo dalla durata del servizio e dall'ammontare dei contributi versati; con la conseguenza che, sussistendo identità di titolo tra detta pensione ed il danno liquidabile per il medesimo evento secondo le norme del codice civile — data la unicità sia del fatto antigiuridico da cui derivi il pregiudizio sia del bene giuridico protetto consistente nella integrità della persona —, quanto erogato dallo Stato per la indicata pensione è detraibile dall'importo dell'integrale risarcimento.

Cass. civ. n. 15185/2001

A seguito della risoluzione di un preliminare di vendita immobiliare con presa di possesso anticipata del bene da parte del promissario acquirente, il promittente venditore adempiente, conseguendo con la restituzione del bene solo in parte la ripartizione del pregiudizio subito, con riguardo al danno emergente, ha diritto all'ulteriore risarcimento connesso alla mancata disponibilità dell'immobile, cioè del reddito che avrebbe potuto ricavare ove il bene fosse rimasto nella sua disponibilità (lucro cessante) determinabile con riferimento al valore locativo dell'immobile maturato nel periodo di tempo intercorrente tra la data della consegna all'acquirente e quella della sua restituzione.

Cass. civ. n. 15034/2001

Costituisce danno biologico anche la temporanea impossibilità o diminuzione delle normali occasioni di vita, ed un tale pregiudizio deve essere risarcito al danneggiato ancorché quest'ultimo non ne abbia risentito alcun danno patrimoniale.

Cass. civ. n. 10300/2001

In tema di risarcimento del danno da fatto illecito extracontrattuale, liquidato per equivalente e rivalutato fino alla data della decisione definitiva, è dovuto altresì il danno da ritardo, che può essere liquidato con criteri presuntivi ed equitativi e sulla base di un indice medio, anche attraverso l'attribuzione degli interessi ad un tasso decurtato rispetto alla misura legale. Tale decurtazione non è, invece, ammissibile in riferimento agli interessi riconosciuti a decorrere dalla sentenza e fino al soddisfo, in quanto detta sentenza trasforma un debito di valore in debito di valuta.

Cass. civ. n. 8062/2001

Nella concreta determinazione del danno risarcibile, è consentito al giudice di tener conto degli aspetti positivi derivanti come conseguenza immediata dalla disposta reintegrazione del diritto offeso, ove questa vada oltre il risarcimento della situazione anteriore e produca un vantaggio economico al danneggiato.

Cass. civ. n. 7692/2001

Nella liquidazione del credito di valore — nella specie, risarcimento del danno derivato dall'occupazione sine titulo di un bene immobile, oggetto di un contratto preliminare di compravendita dichiarato nullo — sulla somma riconosciuta possono calcolarsi sia la svalutazione, sia gli interessi con la medesima decorrenza, perché la prima ha la funzione di ripristinare la situazione patrimoniale del danneggiato antecedentemente alla consumazione dell'illecito; i secondi, invece, hanno una funzione compensativa, con la conseguenza che questi ultimi sono compatibili con la rivalutazione e vanno corrisposti e calcolati anno per anno sulla somma via via rivalutata con decorrenza dal giorno in cui si è verificato l'evento dannoso.

Cass. civ. n. 7507/2001

La liquidazione del risarcimento di danni futuri comporta la detrazione, sulla somma assegnata al danneggiato, di interessi a scalare per il periodo di pagamento anticipato del capitale, detrazione da calcolarsi con riferimento al momento dell'effettiva corresponsione della somma (o, in mancanza, al momento della liquidazione della stessa), e non anche con riguardo alla data del fatto illecito.

Cass. civ. n. 5161/2001

In caso di obbligazione risarcitoria e quindi di debito di valore, al fine di porre il creditore nella stessa situazione nella quale si sarebbe trovato se il pagamento dell'equivalente monetario del bene perduto fosse stato tempestivo, il giudice, quando deve determinare l'equivalente monetario attuale del danno, non può prescindere dalla quantificazione (pur solo probabilistica) della somma di cui il creditore in quello stesso momento avrebbe potuto disporre se fosse stato immediatamente risarcito. Pertanto, se tale somma risultasse inferiore a quella liquidata come equivalente monetario del danno, difettando il presupposto stesso per riconoscere un danno da ritardo, non vanno riconosciuti gli interessi.

Cass. civ. n. 4991/2001

Se è proposta impugnazione avverso l'entità del danno aquiliano liquidato dal giudice di primo grado, il giudice d'appello non può procedere d'ufficio a riliquidare anche il danno da ritardato adempimento dell'obbligazione risarcitoria. A questo principio il giudice d'appello può tuttavia derogare in due casi: (a) quando rigetti l'impugnazione, ma per effetto di un mutamento delle condizioni di redditività del danaro è opportuno liquidare il danno da ritardato adempimento, maturato dopo la sentenza di primo grado, con criteri diversi rispetto a quelli adottati dal primo giudice; (b) quando accolga l'impugnazione riducendo il quantum debeatur, allorché la variazione dell'importo dovuto renda presumibile una variazione delle condizioni di redditività del denaro, anche per il periodo passato.

Cass. civ. n. 4508/2001

Nella liquidazione del danno patrimoniale da invalidità permanente di lavoratori dipendenti, occorre prendere in considerazione il reddito percepito in concreto e corrispondente alle competenze effettive al netto delle ritenute e degli emolumenti straordinari. Qualora per la liquidazione si adotti il sistema della capitalizzazione anticipata, che fa conseguire il risarcimento in anticipo sulla data in cui si verificherebbe il danno reale (nella specie dei congiunti della vittima), gli interessi devono decorrere dal momento della liquidazione e non dall'illecito.

Cass. civ. n. 2335/2001

In materia di risarcimento del danno causato da fatto illecito ad un minore che non svolga attività lavorativa, il giudice deve procedere alla liquidazione del danno da lucro cessante facendo ricorso alla presunzione, in base al tipo di attività lavorativa che presumibilmente il minore effettuerà o avrebbe effettuato in futuro - da accertarsi in relazione, ad esempio, agli studi compiuti, alle inclinazioni manifestate, all'attività lavorativa e alla posizione economico-sociale della famiglia -; in mancanza di tali elementi, il giudice può far riferimento a un reddito presuntivo, quale quello di cui all'articolo 4 della legge n. 39 del 1977, o al reddito medio di un lavoratore dipendente, motivando, in quest'ultimo caso, in ordine agli elementi tenuti presenti nella fissazione di tale reddito.

Cass. civ. n. 15499/2000

In tema di invalidità, qualora i postumi permanenti, anche se di modesta entità o micropermanenti ai fini della liquidazione del danno biologico, menomino la capacità lavorativa specifica e producano una corrispondente diminuzione della capacità di guadagno e quindi del reddito derivante dall'attività in concreto svolta dal soggetto, la liquidazione del danno da lucro cessante deve avvenire con un criterio (quello tabellare) che sia idoneo ad assicurare un risarcimento proporzionato al pregiudizio ricevuto, sulla base del reddito professionale accertato.

Cass. civ. n. 15368/2000

In tema di debiti di valore, l'entrata in vigore dell'art. 1 della legge n. 353 del 1990, il quale, modificando l'art. 1282 (Recte: 1284 N.d.R.) c.c., ha innalzato al 10 per cento il saggio legale di interesse, non ha inciso sul piano della distinzione da trarre fra la rivalutazione intesa come strumento rivolto ad assicurare il risarcimento del danno emergente ripristinando la situazione patrimoniale del danneggiato quale era anteriormente al fatto generatore del danno medesimo, e gli interessi intesi come strumento per compensare il creditore del lucro cessante in dipendenza del ritardo nel conseguimento materiale della somma dovuta a titolo di risarcimento. Quanto peraltro all'entità degli interessi e alla loro decorrenza, essi vanno corrisposti sulla somma determinata con riferimento al tempo dell'illecito, progressivamente adeguata, anno per anno, all'aumento del costo della vita con l'applicazione di indici medi di rivalutazione e ad un tasso che può perciò anche essere inferiore, eventualmente, a quello legale.

Cass. civ. n. 15027/2000

In tema di danni alla persona, postumi permanenti di modesta entità (cosiddetta micropermanente), di norma, salva diversa prova contraria, il cui onere incombe sul danneggiato, non incidono concretamente sulla capacità lavorativa specifica, rimanendo valutabili soltanto come danno biologico, ove l'attività prestata dal danneggiato abbia carattere libero-professionale o impiegatizio, e, quindi, sia essenzialmente intellettuale. Al contrario, in caso di svolgimento di attività manuale particolarmente faticosa ed usurante (nella specie, attività di muratore), anche una invalidità inferiore alla percentuale del 10 per cento — convenzionalmente indicata come limite della micropermanente — è idonea a ridurre la capacità lavorativa specifica del danneggiato, incidendo sulle sue prospettive di guadagno.

Cass. civ. n. 14743/2000

Nelle obbligazioni di valore, quale quella risarcitoria, il danaro non costituisce oggetto dell'obbligazione di dare, ma solo il metro di commisurazione del valore che occorre corrispondere al creditore perché questi sia reintegrato nella stessa situazione patrimoniale nella quale si sarebbe trovato se il danno non fosse stato prodotto. In tali obbligazioni la rivalutazione monetaria non rappresenta il possibile strumento di risarcimento dell'eventuale maggior danno da mora indotto dalla svalutazione monetaria rispetto a quello già coperto dagli interessi legali come accade nelle obbligazioni pecuniarie ai sensi dell'art. 1224 comma secondo c.c., ma costituisce il necessario mezzo di commisurazione attuale del valore perduto dal creditore in termini monetari attuali anche in difetto di esplicita richiesta di rivalutazione tenendo comunque conto della svalutazione monetaria intervenuta tra la data del fatto e quella della liquidazione se il danno era determinabile in una somma di denaro in relazione all'epoca in cui era stato prodotto. Ulteriore corollario è che, valendo la rivalutazione a realizzare il petitum originario, per i debiti di valore essa può essere effettuata d'ufficio anche in appello, salvo che il danneggiato non abbia manifestato un'espressa ed inequivoca volontà contraria.

Cass. civ. n. 12757/2000

I postumi permanenti di modesta entità (c.d. micropermanente) non si traducono, di regola, in una proporzionale riduzione della capacità lavorativa specifica. Resta, tuttavia, ferma la possibilità del danneggiato di dimostrare che il danno, sia pur lieve, abbia una concreta incidenza sulle sue possibilità di guadagno futuro.

Cass. civ. n. 12103/2000

In tema di nesso di causalità ex art. 1223 c.c., tutti gli antecedenti in mancanza dei quali un evento dannoso non si sarebbe verificato debbono considerarsi sue cause, abbiano essi agito in via diretta e prossima o in via indiretta e remota, salvo il temperamento di cui all'art. 41, secondo comma, c.p., secondo cui la causa prossima sufficiente da sola a produrre l'evento esclude il nesso eziologico fra questo e le altre cause antecedenti, facendole scadere al rango di mere occasioni; di guisa che, per escludere che un determinato fatto abbia concorso a cagionare un danno, non basta affermare che il danno stesso avrebbe potuto verificarsi anche in mancanza di quel fatto, ma occorre dimostrare, avendo riguardo a tutte le circostanze del caso concreto, che il danno si sarebbe ugualmente verificato senza quell'antecedente.

Cass. civ. n. 5913/2000

In tema di risarcibilità dei danni conseguiti da fatto illecito (o da inadempimento, nell'ipotesi di responsabilità contrattuale) il nesso di causalità va inteso in modo da ricomprendere nel risarcimento anche i danni indiretti e mediati che si presentino come effetto normale secondo il principio della c.d. regolarità causale, con la conseguenza che, ai fini del sorgere dell'obbligazione di risarcimento, il rapporto fra illecito ed evento può anche non essere diretto ed immediato se, ferme restando le altre condizioni, il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo, sempre che, nel momento in cui si produce l'evento causante, le conseguenze dannose di esso non appaiono del tutto inverosimili (combinazione della teoria della condicio sine qua non con la teoria della «causalità adeguata»).

Cass. civ. n. 2134/2000

È configurabile un danno biologico risarcibile per gli stretti congiunti della persona deceduta per effetto di illecita condotta altrui, allorché, le sofferenze causate a costoro da detta perdita abbiano determinato una lesione della integrità psico-fisica degli stessi. (Nella fattispecie, la S.C. ha giudicato motivata in modo insufficiente la decisione con la quale la corte di merito, a conferma della sentenza di primo grado, aveva escluso la risarcibilità della documentazione prodotta dall'istante a sostegno della richiesta — consistente in sette certificati medici, rilasciati da sanitari di strutture pubbliche, che riferivano di uno stato patologico dell'interessata, e nel documento attestante la rinuncia della stessa alla propria attività lavorativa — senza precisare le ragioni della ritenuta inidoneità dei predetti documenti ad attestare la dedotta menomazione della integrità psicofisica).

Gli artt. 2043 e 1223 e ss. c.c., nella parte in cui non consentono il risarcimento del danno biologico iure successionis nella ipotesi in cui l'evento morte del de cuius, causato dalla condotta illecita altrui, sia contestuale, o di poco susseguente alle lesioni, come, invece, viene ammesso quando la vittima delle stesse sia rimasta in vita per un tempo apprezzabile, manifestamente non si pongono in contrasto con l'art. 3 della Costituzione. Infatti, come affermato dalla Corte costituzionale (sent. n. 372 del 1994), per un verso, vita e salute sono beni giuridici diversi, oggetto di diritti distinti; per l'altro, in caso di morte immediata, l'esistenza di un diritto al risarcimento del danno in capo al de cuius, trasmissibile iure successionis è da escludere per un duplice ordine di motivi, uno dei quali attinente alla situazione giuridica soggettiva, non essendo più in vita la persona offesa, e l'altro correlato alla circostanza che la liquidazione del danno non può riferirsi se non a perdite.

Cass. civ. n. 1646/2000

In tema di liquidazione del danno patrimoniale in favore dei genitori di un soggetto deceduto, qualora venga dedotto non già il generale pregiudizio inerente alla perdita della futura assistenza economica, che i genitori hanno ordinariamente ragione di attendersi dalla prole, bensì quello, particolare, derivante dalla cessazione dell'attività di un'azienda familiare, costituita in forma di società a responsabilità limitata, e curata personalmente dal predetto figlio deceduto, tale pregiudizio deve essere oggetto di specifica dimostrazione, in quanto la cessazione dell'attività di una società di capitali non può essere considerata conseguenza automatica ed inevitabile del venir meno di chi ne abbia la dirigenza o ne curi, comunque, le relazioni d'affari. (Nella fattispecie, alla stregua di tale principio, la S.C. ha confermato la pronuncia della corte di merito che aveva confermato il rigetto, da parte del giudice di prime cure della istanza risarcitoria dei genitori
del deceduto, in quanto non provata, ritenendo inammissibile, per ininfluenza, la prova testimoniale, dedotta dagli attori, sulla circostanza della nomina del figlio, poco prima del decesso, quale «agente generale d'affari» della società).

Cass. civ. n. 1622/2000

Salvo patto contrario, gli interessi compensativi devono essere quantificati nella misura del tasso legale.

Cass. civ. n. 491/2000

Sulle somme di danaro liquidate a titolo di risarcimento danni decorrono gli interessi di pieno diritto fino al saldo e pertanto il giudice non può limitarne l'attribuzione al giorno della sentenza.

Cass. civ. n. 13358/1999

La circostanza che i genitori di persona rimasta gravemente minorata in conseguenza dell'altrui atto illecito non abbiano, fino al momento delle lesioni, avuto bisogno dell'aiuto economico della vittima, non è da sola sufficiente ad escludere l'esistenza di un danno patrimoniale futuro in capo ai congiunti. La liquidazione di tale danno dovrà essere accordata dal giudice quando risulti, anche in base a fatti notori e dati di comune esperienza, che una contribuzione della vittima in favore dei genitori sarebbe stata possibile e verosimile, tenendo conto anche delle somme liquidate al leso a titolo di risarcimento del danno da perduta capacità di produrre reddito.

Qualora, nelle more tra primo e secondo grado del giudizio risarcitorio per illecito aquiliano, il debitore adempia parzialmente la propria obbligazione, il giudice d'appello, anche ove riformi la decisione di primo grado, deve tenere debito conto dei versamenti effettuati medio tempore. A tal fine, deve ritenersi corretto l'operato del giudice di secondo grado che proceda come segue: a) rivaluti il credito risarcitorio alla data della sentenza di primo grado; b) rivaluti i pagamenti parziali alla data in cui sono stati effettivamente percepiti, sottraendoli quindi dal credito complessivo; c) computi il danno da lucro cessante, secondo i criteri stabiliti da Cass. civ., Sezioni Unite, 17 febbraio 1995, n. 1712, utilizzando quale base di calcolo l'intero credito risarcitorio, per il periodo compreso tra la data della sentenza di primo grado, ed il pagamento dell'acconto, e la somma residua dopo il pagamento dell'acconto, per il periodo compreso tra il pagamento stesso e la sentenza di secondo grado.

Nel caso di perdita della capacità lavorativa di un minore, se il relativo danno patrimoniale viene liquidato in forma capitale, il giudice del risarcimento deve tenere conto della circostanza che la liquidazione avviene in anticipo rispetto all'inizio dell'attività lavorativa e, pertanto, deve essere opportunamente ridotto in proporzione del relativo scarto temporale.

Cass. civ. n. 13340/1999

Il danno biologico può sussistere non soltanto in presenza di una lesione che abbia prodotto postumi permanenti, ma anche in presenza di lesioni che abbiano causato uno stress psicologico.

Cass. civ. n. 12756/1999

I genitori di persona minore di età, deceduta in conseguenza dell'altrui atto illecito, ai fini della liquidazione del danno patrimoniale futuro hanno l'onere di allegare e provare, anche per mezzo di presunzioni semplici, che il figlio deceduto avrebbe verosimilmente contribuito ai bisogni della famiglia.

Cass. civ. n. 11629/1999

In tema di risarcimento del danno, il rapporto tra comportamento ed evento e tra questo e il danno muta a seconda che il danno sia un elemento della fattispecie o un suo effetto e deve conseguentemente distinguersi il nesso che deve sussistere tra comportamento ed evento affinché possa configurarsi a monte una responsabilità — come avviene in materia di illecito extracontrattuale — e il nesso che, collegando l'evento al danno, consente l'imputazione delle singole conseguenze dannose ed ha la funzione di delimitare a valle i confini della responsabilità — come avviene in tema di responsabilità contrattuale, ove il soggetto responsabile è di norma il contraente inadempiente e la sua individuazione non pone un problema di nesso di causalità tra comportamento ed evento dannoso — ; così, mentre l'accertamento della responsabilità è improntato alla ricerca del nesso di causalità, quello dell'estensione della responsabilità si fonda su un giudizio in termini ipotetici, coincidendo il danno risarcibile con la perdita e il mancato guadagno conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento, delimitati in base al giudizio ipotetico sulla differenza tra situazione dannosa e situazione quale sarebbe stata se il fatto dannoso non si fosse verificato (sulla base di tali principi la S.C. ha cassato con rinvio la decisione di merito che, pur accertata la sussistenza di un inadempimento colpevole del debitore, aveva negato il risarcimento sull'inesistenza del nesso eziologico tra comportamento antigiuridico del debitore — nella specie tardiva esecuzione di bonifico bancario su banca USA — e ripercussioni patrimoniali negative — abbandono e perdita di un master e rientro in Italia del beneficiario del bonifico).

Cass. civ. n. 11021/1999

L'obbligazione di risarcimento del danno, ancorché derivante da inadempimento contrattuale, configura un debito di valore, in quanto diretta a reintegrare completamente il patrimonio del danneggiato, sicché resta sottratta al principio nominalistico, e deve, pertanto, essere quantificata dal giudice, anche d'ufficio, tenendo conto della svalutazione monetaria sopravvenuta fino alla data della liquidazione. Ne consegue che, qualora in relazione alla domanda del creditore di riconoscimento del maggior danno, si provveda alla integrale rivalutazione del credito, secondo gli indici di deprezzamento della moneta, fino alla data della liquidazione, non possono essere accordati gli interessi legali sulla somma rivalutata dal giorno della mora, dovendosi questi essere calcolati solo dalla data della liquidazione, poiché altrimenti si produrrebbe l'effetto di far conseguire al creditore più di quanto lo stesso avrebbe ottenuto in caso di tempestivo adempimento della obbligazione.

Cass. civ. n. 8278/1999

Anche in ipotesi di risoluzione del contratto per inadempimento, i criteri da applicare per la determinazione del danno sono quelli di cui all'art. 1223 c.c.; pertanto, sono risarcibili i danni conseguenza diretta e immediata dell'inadempimento e il danno può essere liquidato se la parte che si assume danneggiata fornisce la prova della sua effettiva esistenza.

Cass. civ. n. 7345/1999

Qualora un intervento chirurgico abbia esito negativo, rendendo immediata anziché allontanare nel tempo o evitare una menomazione, e tale esito sia imputabile alla responsabilità del medico (nella specie per non avere correttamente informato l'interessato circa i rischi dell'intervento stesso), la compromissione arrecata alla salute del paziente va identificata, ai fini della liquidazione dei danni, tenendo presente il momento in cui la stessa si sarebbe prodotta naturalmente.

Cass. civ. n. 6247/1999

L'accertamento di postumi permanenti non comporta l'automatico obbligo del danneggiante di risarcire il danno patrimoniale in conseguenza della riduzione della capacità di guadagno con riferimento all'art. 4 della legge 39/1977 che non comporta alcun automatismo di calcolo, ma si limita ad indicare alcuni criteri di quantificazione del danno sul presupposto di una sicura prova da fornirsi da parte del danneggiato anche in via presuntiva, dell'effettiva incidenza dell'invalidità sulla sua vita lavorativa e conseguente riduzione della capacità di guadagno.

Cass. civ. n. 4801/1999

In tema di risarcimento del danno derivante dalla circolazione stradale, la norma di cui all'art. 4 del D.L. 23 dicembre 1976 n. 857 — secondo la quale il reddito che occorre considerare agli effetti del risarcimento non può comunque essere inferiore a tre volte l'ammontare annuo della pensione sociale — si applica soltanto all'ipotesi dell'azione diretta del danneggiato nei confronti dell'assicuratore, e non anche nel rapporto tra danneggiato e danneggiante, che è indipendente dal contratto assicurativo. Conseguentemente nel rapporto tra il responsabile e il danneggiato il danno futuro va collegato all'invalidità permanente va liquidato in via equitativa, a norma degli artt. 2056 e 1226, essendo fondato su situazioni future ed ipotetiche, conoscibili soltanto come probabili o possibili. Peraltro, anche nell'ambito di tale valutazione equitativa, il giudice può assumere come criterio di orientamento quello del triplo della pensione sociale di cui alla disposizione indicata.

Cass. civ. n. 4231/1999

La lesione dell'integrità biopsichica della persona cagiona sempre e necessariamente un danno biologico immanente alla lesione stessa, mentre può cagionare solo eventualmente un danno patrimoniale da invalidità che deve essere specificamente provato.

Cass. civ. n. 3961/1999

La riduzione della cosiddetta capacità lavorativa specifica non costituisce danno in sé (danno-evento), ma rappresenta invece una causa del danno da riduzione del reddito (danno-conseguenza). Pertanto, una volta provata la riduzione della capacità di lavoro, non può ritenersi automaticamente e meccanicisticamente provata l'esistenza d'un danno patrimoniale, ove il danneggiato non dimostri concretamente, anche per mezzo di presunzioni semplici, l'esistenza d'una conseguente riduzione della capacità di guadagno.

Cass. civ. n. 490/1999

Nella obbligazione risarcitoria da fatto illecito, che costituisce tipico debito di valore, in cui il danaro non costituisce oggetto della prestazione, ma solo metro di commisurazione del valore perduto dal creditore, gli interessi, non già moratori, ma compensativi, costituiscono solo una delle possibili modalità liquidatorie dell'eventuale danno da lucro cessante conseguito alla ritardata corresponsione dell'equivalente monetario del danno. Ove il giudice adotti, come criterio del risarcimento del danno da ritardato adempimento, quello degli interessi, questi non possono essere calcolati dalla data dell'illecito sulla somma liquidata per il capitale, ma con riferimento ai singoli momenti - da determinarsi in concreto, secondo le circostanze del caso - con riguardo ai quali la somma equivalente al bene perduto si incrementa nominalmente, in base agli indici prescelti di rivalutazione monetaria, ovvero ad un indice medio. (In applicazione di tali principi, la S.C. ha ritenuto insindacabile la valutazione compiuta nella specie dalla corte di merito, che aveva liquidato gli interessi sugli importi non al saggio legale, vigente all'epoca, del 10 per cento in ragione di anno, ma al 5 per cento, così determinato il tasso con apprezzamento degli atti processuali e storici acquisiti).

Cass. civ. n. 489/1999

Quando la persona danneggiata muoia nel corso del giudizio di liquidazione del danno per causa sopravvenuta ed indipendente dal fatto lesivo di cui il convenuto è chiamato a rispondere, la determinazione del danno biologico e patrimoniale in senso stretto che gli eredi del defunto richiedano iure successionis e non iure proprio va effettuata non più con riferimento alla durata probabile della vita futura del soggetto, ma alla sua durata effettiva. Ciò, peraltro, non comporta che sia ricorribile per cassazione la sentenza pronunciata sulla base del criterio probabilistico per tale specifico motivo, allorché la morte del danneggiato, intervenuta in epoca successiva alla precisazione delle conclusioni, sia stata ignota al giudice, non ricorrendo, in tale ipotesi, né un errore in iudicando, né un errore in procedendo, e non essendo, pertanto, configurabile un vizio della sentenza per alcuno dei motivi tassativamente indicati dall'art. 360 c.p.c.

Cass. civ. n. 256/1999

La presunzione di danno da lucro cessante per ritardato pagamento nei debiti di valore non è in alcun modo correlata all'attività lavorativa esercitata dal creditore, ma esclusivamente all'impiego mediamente remunerativo del denaro, in ipotesi suscettibile di offrire un'utilitas superiore, in termini percentuali, al tasso di rivalutazione. Il riconoscimento di interessi costituisce in tale ipotesi una mera modalità liquidatoria, cui è consentito al giudice di far ricorso col limite costituito dall'impossibilità di calcolare gli interessi sulle somme integralmente rivalutate dalla data dell'illecito. Non gli è invece inibito di riconoscere interessi anche al tasso legale su somme progressivamente rivalutate; ovvero sulla somma integralmente rivalutata, ma da epoca intermedia; ovvero di non riconoscerli affatto, in relazione a parametri di valutazione costituiti dal tasso medio di svalutazione monetaria e dalla redditività media del denaro nel periodo considerato. Il relativo apprezzamento è di mero fatto e si sottrae al sindacato di legittimità se adeguatamente motivato.

Cass. civ. n. 101/1999

Il danno da invalidità temporanea costituisce un aspetto del danno biologico, e può essere liquidato sia unitamente a quest'ultimo, sia separatamente, purché la liquidazione complessiva sia commisurata alla reale entità del danno.

Cass. civ. n. 12788/1998

Nei debiti di valore, allorché il responsabile abbia corrisposto delle somme nell'intervallo di tempo intercorso tra il fatto produttivo del danno e la liquidazione definitiva, al fine di stabilire l'eventuale debito residuo ed il suo ammontare, occorre procedere alla comparazione fra valori omogenei. Il metodo più agevole è quello di esprimere in moneta attuale entrambi i valori, rivalutando dall'epoca del fatto la somma originariamente equivalente all'entità del danno e quella corrisposta in acconto dalla data in cui è stata effettivamente versata. La differenza esprimerà, in moneta attuale, il residuo credito (o anche l'eventuale debito restitutorio) del danneggiato. Ma può anche ridursi l'acconto al minor valore che, in termini di espressione monetaria, esso avrebbe avuto all'epoca del fatto produttivo del danno, effettuarsi la comparazione di cui s'è detto e rivalutarsi poi la differenza dalla stessa data all'attualità. Ovvero è possibile rivalutare l'importo originariamente equivalente al danno sino all'epoca dell'acconto, fare a quel punto un raffronto tra valori omogenei in relazione a quella data e rivalutare la differenza da tale data all'attualità.

Cass. civ. n. 12686/1998

Il criterio legislativo del triplo della pensione sociale di cui all'art. 4 del D.L. n. 587 del 1976 conv. in L. n. 39 del 1977, deve ritenersi applicabile, in mancanza di prova di un reddito superiore, anche in tema di risarcimento del danno futuro sofferto dai familiari per la morte di un congiunto e, quindi, tra l'altro, nei casi di privazione della legittima aspettativa di un coniuge o di un genitore ad un contributo da parte, rispettivamente, dell'altro coniuge o del figlio prematuramente scomparso.

Cass. civ. n. 12083/1998

È danno biologico risarcibile inteso danno — conseguenza rispetto al danno evento della lesione, la perdita per il danneggiato di utilità dell'esistenza determinata dalla lesione del bene della salute, mentre non costituisce danno biologico la lesione diretta del bene della vita, cosicché perché sia ipotizzabile un danno biologico, risarcibile agli eredi iure hereditatis occorre che tra la lesione e la morte sia intercorso un lasso di tempo sufficiente perché si concretizzi quella perdita di utilità fonte dell'obbligazione risarcitoria.

Cass. civ. n. 10966/1998

Il giudice di merito ha facoltà di procedere alla liquidazione del danno biologico valutando globalmente l'invalidità temporanea e quella permanente.

Cass. civ. n. 10088/1998

Nella liquidazione del danno alla persona per responsabilità civile derivante dalla guida di autoveicoli a motore e dei natanti, allorquando la componente del reddito dev'essere tenuta presente nella liquidazione del danno da lucro cessante, il reddito si determina con i criteri stabiliti dall'art. 4, primo comma del D.L. 23 dicembre 1976, n. 857, conv. nella L. 26 febbraio 1977, n. 39, e le possibili correzioni della liquidazione attraverso il criterio equitativo debbono essere convenientemente motivate.

Cass. civ. n. 8970/1998

Il danno patrimoniale subito dai familiari di una casalinga deceduta in conseguenza dell'altrui atto illecito, e consistente nella perdita delle prestazioni domestiche erogate dalla propria congiunta, può essere legittimamente liquidato facendo riferimento non al reddito di una collaboratrice domestica, ma al triplo della pensione sociale.

Nel caso in cui due coniugi decedano, per effetto dell'altrui atto illecito, la ideale quota di reddito che ciascuno di essi destinava all'altro può essere ricompresa nel calcolo del danno patrimoniale subito dai figli soltanto ove il giudice possa ritenere, anche in base a presunzioni semplici, che tale quota - ove uno dei coniugi fosse sopravvissuto - sarebbe stata destinata a pro dei familiari superstiti.

Cass. civ. n. 8769/1998

Così come, nel caso di danno alla salute di modesta entità, può fondatamente presumersi ex art. 2727 codice civile che i postumi derivati dalle lesioni non avranno alcuna conseguenza sull'attività di lavoro e sulla conseguente capacità di produrre reddito, al contrario, nel caso di postumi permanenti i quali superino la soglia delle cosiddette micropermanenti (convenzionalmente stabilita nella misura del 10% della complessiva validità dell'individuo), sussiste una presunzione opposta: e cioè che l'invalidità conseguente al sinistro inciderà in modo apprezzabile sulla capacità di guadagno del danneggiato.

Cass. civ. n. 4846/1998

Il giudice di appello è legittimato a liquidare la rivalutazione monetaria maturata successivamente alla data della sentenza di primo grado se, in quella prima sede, tale rivalutazione sia stata già riconosciuta fino alla data della decisione e se, in sede di appello, la parte abbia proposto, in tal senso, specifica domanda (ammessa ai sensi dell'art. 345, primo comma, c.p.c., nel testo vigente sino al 29 aprile 1995). La ammissibilità di tale, nuova domanda è, peraltro, indefettibilmente correlata alla esigenza di escludere alcuna soluzione di continuità nel riconoscimento della rivalutazione monetaria, così che, alla richiesta di rivalutazione limitata, in primo grado, dallo stesso attore istante, al momento di presentazione alla domanda giudiziale (anziché a quello della decisione), conseguirà la preclusione, in sede di appello, della facoltà di proporre, sic et simpliciter, una domanda di assegnazione della rivalutazione successivamente maturata, senza che il giudice di appello possa, dal sua canto, provvedervi di ufficio (incorrendo, altrimenti, nel vizio di ultrapetizione).

Cass. civ. n. 4030/1998

In tema di risarcimento del danno da fatto illecito, trattandosi di debito di valore che si trasforma in debito di valuta solo per effetto del passaggio in giudicato della sentenza che provvede alla liquidazione, il giudice di appello deve adeguare il quantum alla svalutazione monetaria verificatasi nel periodo intercorso tra la sentenza di primo grado e quella di appello, ove manchi una rinuncia espressa o tacita dell'interessato.

Cass. civ. n. 2881/1998

In tema di risarcimento del danno per la perdita della possibilità di promozione in una selezione concorsuale o a scelta, ove il giudice ritenga di assumere come parametro (con un coefficiente di riduzione adeguato alla misura accertata di tale possibilità) la differenza tra le retribuzioni percepite e quelle percipiende registrate in un dato arco di tempo, la rivalutazione monetaria e gli interessi legali vanno calcolati, sugli importi risultanti dalla applicazione del suddetto coefficiente di riduzione alle singole differenze mensili, dalle date alle quali le differenze stesse si riferiscono.

Cass. civ. n. 2031/1998

L'incidenza della svalutazione monetaria nella liquidazione del danno da fatto illecito dev'essere stabilita d'ufficio anche nel giudizio d'appello e in quello di rinvio, salvo che sulla questione si sia formato giudicato interno. Ne consegue che, qualora nel giudizio d'appello sia mancata una pronunzia sull'ulteriore svalutazione verificatasi dopo la sentenza di primo grado ed a maggior ragione allorché detta rivalutazione sia stata espressamente esclusa e la relativa questione non sia stata riproposta in cassazione, resta preclusa al danneggiato la possibilità di chiedere ed ottenere nel giudizio di rinvio la rivalutazione della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno in funzione della svalutazione verificatasi dopo la sentenza di primo grado.

Cass. civ. n. 1629/1998

Poiché la fonte del danno, derivato dall'adempimento tardivo dell'obbligazione pattuita, è il ritardo (art. 1218 c.c.), per ottenere il relativo risarcimento occorre provarlo, e perciò non è sufficiente provare il contratto.

Cass. civ. n. 762/1998

Nella liquidazione del risarcimento del danno da occupazione illegittima ed irreversibile del fondo privato va applicato il principio sancito dall'art. 1223 c.c. (richiamato dall'art. 1056 c.c.), in virtù del quale sono risarcibili i danni che siano conseguenza immediata e diretta della condotta illecita. Ne consegue che, affinché il pregiudizio che la vittima dell'illecito allega possa essere addebitato a titolo risarcitorio al suo autore, è necessario che, secondo il principio della regolarità causale, esso rientri nelle conseguenze normali del fatto, le quali consistono e si esauriscono nella diminuzione patrimoniale corrispondente al valore della cosa sottratta al proprietario e nella misura in cui maggiore possa rivelarsi il danno per la qualità del fondo che venga meno a seguito di quell'evento, restando escluso da tale situazione (connotata dai caratteri della «realità») l'uso personale che il proprietario fa della cosa.

Cass. civ. n. 12248/1997

In caso di danno alla persona, per stabilire se questo rilevi anche a titolo di danno patrimoniale si deve accertare se sia verificata ovvero se possa verificarsi in futuro una diminuzione della capacità lavorativa. Pertanto l'onere della prova ex art. 2697 c.c. del lucro cessante futuro attiene agli indici di valutazione preventiva e non alla effettiva verificazione del danno che sarebbe impossibile provare.

Cass. civ. n. 10023/1997

Poiché il risarcimento del danno si estende agli oneri accessori e conseguenziali, se esso è liquidato in base alle spese da affrontare per riparare un veicolo, il risarcimento comprende anche l'Iva, pur se la riparazione non è ancora avvenuta e a meno che il danneggiato, per l'attività svolta, abbia diritto al rimborso o alla detrazione dell'Iva versata perché l'autoriparatore, per legge (art. 18 del D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633), deve addebitarla, a titolo di rivalsa, al committente.

Cass. civ. n. 10019/1997

È viziata da difetto di motivazione la sentenza di merito che, nel riconoscere il diritto alla rivalutazione di somme liquidate a titolo risarcitorio, applichi un determinato coefficiente ricavato dagli indici Istat senza fornire ulteriori indicazioni circa i passaggi ed i calcoli che hanno portato alla determinazione di quel coefficiente, sì da non consentire di verificare la correttezza del procedimento logico seguito.

Cass. civ. n. 9852/1997

In tema di ristoro del danno patrimoniale derivante dal fatto illecito, istantaneo, l'accertamento delle conseguenze pregiudizievoli verificatesi (perdita subita e mancato guadagno: art. 1223 c.c.), va riferito al momento del fatto causativo del danno, e pertanto sono irrilevanti le vicende anteriori o posteriori a tale momento. (Nella specie, a seguito della denuncia dei vizi di mattonelle montate dal venditore, questi si era impegnato al rifacimento del pavimento, ma tale obbligazione, ritenuta dal giudice del merito novativa, non era stata adempiuta; il venditore, citato per i danni, ne aveva eccepito l'insussistenza anche perché i lamentati vizi non avevano inciso sul prezzo dell'immobile allorché era stato venduto, e la Suprema Corte, nel confermare l'irrilevanza della successiva vicenda traslativa, ha enunciato il suddetto principio).

Cass. civ. n. 9542/1997

Dal mancato decremento, o addirittura dall'incremento, di reddito di un'impresa familiare, successivamente all'invalidità permanente derivata da un incidente subito da un componente di essa, il giudice del merito non può desumere automaticamente la mancanza di incidenza, sulla capacità lavorativa specifica di questi — e quindi la mancanza di danno per lucro cessante — di tale invalidità, in quanto, da un lato, le conseguenze del maggior impiego di energie, necessario per mantenere inalterato il reddito raggiunto precedentemente, possono manifestarsi a distanza di tempo, come nel caso di anticipata cessazione dell'attività medesima, ovvero di rinuncia ad altre attività più redditizie, ma più impegnative; dall'altro la non contrazione del reddito potrebbe dipendere dal maggior sforzo, a tal fine, degli altri
componenti dell'impresa.

Cass. civ. n. 9399/1997

Se i postumi derivati dalle lesioni subite a causa di un incidente superano la percentuale del 10 per cento, non vi è cosiddetta micropermanente, valutabile soltanto come danno biologico, ma invalidità permanente di non modesta entità e perciò incidente sull'attività lavorativa del danneggiato, ovvero, se studente, sulla sua capacità astratta di produrre reddito, da valutare tenendo conto del suo orientamento al riguardo e della posizione economica e sociale della sua famiglia.

Cass. civ. n. 9376/1997

Poiché la rivalutazione ha la funzione di adeguare il quantum di una prestazione risarcitoria al valore del bene perduto dal danneggiato, da un lato anche il danno biologico e quello morale sono suscettivi di valutazione all'attualità, ossia al momento dell'emanazione della sentenza; dall'altro non vi è incompatibilità con il riconoscimento anche degli interessi, volti a ristorare il diverso pregiudizio che l'avente diritto dimostri di aver subito per la ritardata percezione del suo credito.

Cass. civ. n. 4609/1997

In caso di lesioni riportate da un lavoratore dipendente, deve presumersi — fatta eccezione per la cosiddetta micropermanente — la influenza negativa della invalidità parziale permanente, sulla percezione di speciali compensi per prestazioni di lavoro più intense delle normali e sull'ulteriore sviluppo di carriera o su una possibile collocazione anticipata al riposo nonché su una alternativa possibilità di lavoro e comunque sul carattere maggiormente usurante della prestazione normalmente svolta sulla base della comune esperienza. Tale presunzione, peraltro, opera non nel senso di esonerare il danneggiato in modo assoluto dall'onere della prova di circostanze di fatto che, con riguardo al caso specifico, evidenzino un danno patrimoniale da lucro cessante, pur nella preesistente percezione di una retribuzione in misura eguale a quella preesistente, bensì solo nel senso di imporre al giudice la verifica delle circostanze anzidette, ove risultino da materiale probatorio acquisito.

Cass. civ. n. 4237/1997

Il principio della compensatio lucri cum damno trova applicazione quando il danno ed il vantaggio siano conseguenza immediata e diretta dello stesso fatto, il quale abbia in sé l'idoneità a produrre ambedue gli effetti e non quando il vantaggio sia un effetto indiretto e riflesso dell'adempimento dell'obbligazione risarcitoria da parte del debitore.

Cass. civ. n. 2009/1997

L'ambito del danno risarcibile per inadempimento contrattuale è circoscritto dal criterio della cosiddetta regolarità causale, nel senso che sono risarcibili i danni diretti ed immediati, ed inoltre i danni mediati ed indiretti che rientrano nella serie delle conseguenze normali del fatto, in base ad un giudizio di probabile verificazione rapportato all'apprezzamento dell'uomo di ordinaria diligenza; alla regola secondo cui in presenza di un evento dannoso tutti gli antecedenti senza i quali esso non si sarebbe verificato debbono essere considerati come sue cause (abbiano essi agito in via diretta e prossima ovvero in via indiretta e remota) fa eccezione il principio di causalità efficiente, in base al quale la causa prossima sufficiente da sola a produrre l'evento esclude il nesso eziologico fra questo e le altre cause antecedenti. L'accertamento di tale nesso di causalità è riservato al giudice del merito, il cui apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi.

Cass. civ. n. 8717/1996

L'incidenza delle seconde nozze sul diritto al risarcimento del danno, spettante al coniuge di persona deceduta in un sinistro, deve essere valutata dal giudice di merito in concreto, con esclusione di ogni automatismo al fine di accertare in quali limiti il pregiudizio derivato da fatto illecito sia stato eliminato, incombendo sul responsabile del danno l'onere della prova che a seguito del nuovo matrimonio il coniuge superstite abbia riacquistato o addirittura migliorato la condizione economica goduta durante il primo matrimonio.

Cass. civ. n. 7694/1996

La detrazione, in sede di liquidazione del danno dovuto ai congiunti della vittima di un infortunio sul lavoro colposo, del valore della rendita corrisposta dall'Inail, deve avvenire, per non tradursi in un ristoro parziale o al contrario in un ingiustificato arricchimento, sulla base del confronto di termini omogenei, quali, da una parte, l'ammontare del danno determinato alla data in cui si è verificato e, dall'altra, il valore capitalizzato alla stessa data della rendita; con la conseguenza che rivalutazione ed interessi legali vanno applicati, da tale data al saldo, sulla sola differenza eventualmente risultante a favore dei danneggiati.

Cass. civ. n. 6941/1996

In tema di liquidazione del danno patrimoniale futuro derivante dalla diminuita capacità di guadagno, l'art. 4 del D.L. n. 857 del 1976, convertito in legge n. 39 del 1977, non richiede che il reddito desumibile dal modello 740 debba essere altrimenti avvalorato, né che, ai fini della menzionata liquidazione, sia necessaria la dichiarazione dei redditi per più di un anno, in quanto il riferimento al triennio, contenuto nel primo comma del menzionato articolo, rileva al solo fine di stabilire, nei casi di redditi annuali tra loro differenti, quello che deve costituire la base per la quantificazione del risarcimento. (Nella specie, la Suprema Corte, in applicazione dell'enunciato principio, ha cassato la sentenza del giudice di merito, il quale aveva applicato il criterio legislativo del triplo della pensione sociale, benché il danneggiato avesse dimostrato, mediante la produzione della dichiarazione dei redditi dell'anno precedente al sinistro, di avere percepito un reddito superiore).

Cass. civ. n. 5680/1996

La rivalutazione delle somme liquidate a titolo di risarcimento del danno da invalidità permanente parziale, quando questa sia successiva ad un periodo di invalidità temporanea liquidata separatamente, decorre dal momento della cessazione dell'invalidità temporanea e non dal giorno dell'evento dannoso.

Cass. civ. n. 2906/1996

Nella liquidazione del danno derivante da licenziamento illegittimo, il giudice deve tener conto, a titolo di aliunde perceptum, dell'indennità di disoccupazione percepita dal lavoratore licenziato nel periodo considerato ai fini della suddetta liquidazione (indennità relativamente alla quale l'onere contributivo grava esclusivamente sul datore di lavoro) a nulla rilevando la diversità soggettiva tra colui che è tenuto al suddetto risarcimento (e cioè il datore di lavoro) ed il soggetto tenuto ad erogare l'indennità di disoccupazione (l'Inps), atteso che la compensatio lucri cum damno risponde al criterio di adeguamento del risarcimento al danno effettivamente subito, secondo i principi di cui all'art. 1223 codice civile.

Cass. civ. n. 13108/1995

L'obbligazione del venditore inadempiente configura un debito di valore avente ad oggetto la totale reintegrazione del patrimonio del danneggiato, cosicché nella determinazione del quantum occorre tener conto sia della svalutazione monetaria intervenuta nelle more, sia degli interessi legali, con decorrenza dal giorno in cui è sorto il credito di capitale, i quali valgono a compensare il pregiudizio subito dal creditore per la mancata tempestiva disponibilità dell'equivalente pecuniario del danno e che si cumulano con la rivalutazione.

Cass. civ. n. 12020/1995

In sede di liquidazione del risarcimento dei danni subiti dai congiunti di un professionista in conseguenza della sua morte, non è censurabile il ricorso da parte del giudice di merito al criterio «per competenza», anziché a quello «di cassa», nella determinazione del reddito goduto dal defunto, giustificato con l'esigenza di accertare l'effettiva capacità di guadagno del medesimo e con rilievo che la natura non straordinaria degli incarichi professionali presi in considerazione assicura in riferimento ad un reddito ordinario medio.

Nella, liquidazione del risarcimento dei danni patrimoniali derivanti ai congiunti dalla morte di una persona è corretto un metodo di calcolo che stabilisca il reddito netto su cui determinare il danno futuro subito dagli eredi sulla base della detrazione dal reddito sia del relativo carico fiscale, sia della quota sibi (parte del reddito che il defunto avrebbe speso per sé), la quale ben può essere quantificata come percentuale del reddito complessivo al lordo delle imposte. Né la detrazione della quota relativa all'imposta sul reddito è contestabile sotto il profilo della conseguenziale sottoposizione degli interessati (sia pure solo da un punto di vista contabile) ad una doppia falcidia fiscale, dato che l'art. 6, comma 2, D.P.R. n. 917 del 1986, nel dettare il principio che i proventi conseguiti in sostituzione di redditi e le indennità conseguite a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti, fa espressa eccezione per l'ipotesi in cui detti cespiti siano acquisiti in dipendenza di invalidità permanente o di morte.

Cass. civ. n. 7022/1995

La legge 26 marzo 1983, n. 84, che ha sostituito, in materia di trasporti aerei internazionali, ai fini della responsabilità del vettore, la somma in franchi d'oro Poincarè di cui alla Convenzione di Varsavia del 12 ottobre 1929 emendata dal Protocollo dell'Aia 28 settembre 1975, i diritti speciali di prelievo in valuta nazionale deve effettuarsi applicando la parità ufficiale fissata dal Fondo monetario internazionale «al momento del giudizio», si riferisce con l'espressione richiamata alla data della decisione della causa e comporta l'esclusione di ogni rivalutazione, pur trattandosi di debito di valore, della somma dovuta dal responsabile del danno.

Cass. civ. n. 6794/1995

Il fatto illecito, di carattere istantaneo, posto in essere da chi, nell'edificare un fabbricato, provochi un dissesto statico al fabbricato esistente sul suolo adiacente, produce un danno costituito dalla diminuzione di valore subita dal fabbricato danneggiato, la quale va calcolata individuando il valore di quest'ultimo (inteso come bene risultante dall'insieme del suolo e dell'edificio sopra costruitovi) prima del dissesto, stabilendo quale parte del valore sia da imputare alla componente suolo e quale alla componente edificio (cioè, quale parte corrisponda al valore del capitale immobilizzato nel suolo e quale al valore immobilizzato nella costruzione), depurando il valore del fabbricato dalla componente valore del suolo e ponendo, infine, a raffronto lo stato del fabbricato prima e dopo l'evento, sì che la perdita subita dal proprietario dell'edificio danneggiato risulti individuata dall'indicato rapporto, riferito all'ultimo valore ottenuto. Tali operazioni devono assumere a base la condizione giuridico-economica del bene e, quindi, il valore del fabbricato e della prima delle sue indicate componenti al momento dell'evento dannoso, rivalutando il valore così ottenuto alla data della decisione. (Nella specie, successivamente all'evento dannoso, il proprietario dell'edificio danneggiato prima aveva demolito il fabbricato e poi aveva venduto il suolo. La S.C., in applicazione dell'enunciato principio, ha cassato la sentenza del giudice di merito, il quale non aveva calcolato la perdita subita all'epoca dell'evento, traducendola in valori monetari di quel momento e poi in valori monetari alla data della decisione, bensì aveva tenuto conto del valore che la componente suolo aveva assunto alla data in cui esso era stato rivenduto).

Cass. civ. n. 4051/1995

In tema di risarcimento del danno patrimoniale del genitore per la uccisione del figlio minore, che all'epoca della morte non abbia ancora iniziato a lavorare, se la sentenza, che riconosce dovuto il risarcimento, sopravviene dopo la data a partire dalla quale accerta che i genitori avrebbero cominciato a godere dell'apporto economico del figlio, il capitale corrispondente alla rendita sostitutiva, nel cui ammontare venga determinato il danno alla data anzidetta, non va scontato all'epoca della morte e aumentato, a decorrere dalla stessa epoca, di rivalutazione ed interessi; va bensì solo adeguato alla data della sentenza per tener conto delle conseguenze pregiudizievoli risentite dal danneggiato in conseguenza del ritardo con cui il risarcimento è liquidato, rispetto alla data a partire dalla quale il danneggiante avrebbe dovuto iniziare a corrispondere la rendita sostitutiva.

Cass. civ. n. 3239/1995

Il danno costituito dalla compromissione della capacità psico-fisica del soggetto, che incida negativamente non sulla capacità di produrre reddito ma sulla esplicazione di attività diverse da quella lavorativa normale (come le attività ricreative e quelle sociali), già qualificato come «danno alla vita di relazione» rientra nel concetto di danno alla salute e, pertanto, va liquidato soltanto a tale titolo.

Cass. civ. n. 2809/1995

Qualora il giudice di primo grado nel liquidare un debito di valore non abbia provveduto a riconoscere sulla relativa somma gli interessi compensativi, totalmente o anche solo parzialmente (come nel caso in cui li abbia riconosciuti dalla data della propria sentenza anziché da quella del fatto dannoso) la mancata impugnazione da parte del creditore con gravame principale o incidentale autonomo di tale implicita statuizione di rigetto osta, per preclusione nascente da giudicato interno, all'attribuzione da parte del giudice di secondo grado dei suddetti interessi.

Cass. civ. n. 1712/1995

Qualora la liquidazione del danno da fatto illecito extracontrattuale sia effettuata «per equivalente» con riferimento, cioè, al valore del bene perduto dal danneggiato all'epoca del fatto illecito, e tale valore venga poi espresso in termini monetari che tengano conto della svalutazione intervenuta fino alla data della decisione definitiva (anche se adottata in sede di rinvio), è dovuto al danneggiato anche il risarcimento del mancato guadagno, che questi provi essergli stato provocato dal ritardato pagamento della suddetta somma. Tale prova può essere offerta dalla parte e riconosciuta dal giudice mediante criteri presuntivi ed equitativi, quale l'attribuzione degli interessi, ad un tasso stabilito valutando tutte le circostanze obiettive e soggettive del caso; in siffatta ultima ipotesi, gli interessi non possono essere calcolati (dalla data dell'illecito) sulla somma liquidata per il capitale, definitivamente rivalutata, mentre è possibile determinarli con riferimento ai singoli momenti (da stabilirsi in concreto, secondo le circostanze del caso) con riguardo ai quali la somma equivalente al bene perduto si incrementa nominalmente, in base ai prescelti indici di rivalutazione monetaria, ovvero in base ad un indice medio.

Cass. civ. n. 755/1995

È censurabile l'affermazione del giudice di merito — in sede di liquidazione del danno alla persona (nella specie, del danno subito da una bambina) — che la perdita totale della capigliatura non incide in astratto sulla capacità lavorativa e quindi sulla capacità di produrre reddito, perché tale grave menomazione (incidente sulla vita di relazione) comporta, oltre ad una componente strettamente psico-fisica, che rientra nell'ambito del danno alla salute, anche una componente patrimoniale, che si ricollega all'incidenza negativa che la menomazione ha nell'esplicazione di attività complementari o integrative della normale attività lavorativa, determinando una riduzione della cosiddetta capacità di concorrenza dell'individuo.

Cass. civ. n. 625/1995

Nell'ipotesi di risoluzione del contratto per inadempimento e qualora il contraente non in colpa sia una impresa industriale, il danno risarcibile può essere riferito alla impossibilità di investire nell'attività produttiva le somme dovute dal debitore inadempiente, detratte peraltro le somme pari ai costi dell'attività d'impresa necessari per produrre la prestazione già eseguita; ma se il giudice di merito sceglie un criterio diverso e cioè quello del «maggior costo» dei finanziamenti esterni rispetto a quelli (provenienti dal suo debitore) su cui l'imprenditore aveva fatto affidamento, non può sfuggire alla conseguenza che, se il creditore ha ottenuto, pur con un costo elevato, il denaro che il debitore avrebbe dovuto pagare, si è posto nella stessa situazione del creditore tempestivamente pagato ed ha subito solo il danno derivante da quei costi maggiori, oppure, in alternativa, (se maggiore o se dimostrato) il danno derivante dai mancati investimenti.

Cass. civ. n. 11169/1994

Il diritto al risarcimento del danno biologico, concretandosi questo nella lesione del diritto alla salute, che è sempre presente quando vi è offesa dell'integrità fisica della persona e costituisce, quindi, la voce primaria ed immancabile del danno alla persona, entra a fare parte del patrimonio della vittima nello stesso momento della lesione e, nel caso di decesso, in cui il danno deve essere riferito al periodo intercorso tra la data dell'incidente e quello della morte, si trasmette, quindi, agli eredi secondo le comuni regole della successione mortis causa.

Cass. civ. n. 10433/1994

Gli interessi legali sull'equivalente monetario del danno decorrono di diritto e ben può il giudice attribuirli d'ufficio senza una specifica domanda della parte e senza incorrere nel vizio di ultrapetizione quando questa abbia chiesto l'integrale risarcimento del danno.

Cass. civ. n. 10269/1994

In tema di risarcimento danni alla persona derivanti dalla circolazione stradale, il criterio di liquidazione previsto dall'art. 4 del D.L. 23 dicembre 1976, n. 857, convertito nella legge 26 febbraio 1977, n. 39, è applicabile nei soli casi in cui il danneggiato sia percettore di reddito di lavoro, poiché l'inciso «in tutti gli altri casi», di cui al terzo comma del citato articolo, va riferito alle ipotesi in cui il reddito da lavoro non risulti in base ai criteri indicati nei due commi precedenti e non anche nelle ipotesi in cui il soggetto sia privo di un reddito.

Cass. civ. n. 8177/1994

Nella liquidazione del danno futuro per la morte di un congiunto che con certezza o con rilevante grado di probabilità avrebbe continuato ad elargire ai superstiti durevoli e costanti sovvenzioni, il giudice deve tenere conto non solo del reddito della vittima al momento del sinistro, ma anche dei probabili incrementi di guadagno dovuti, per gli impiegati, ad eventuali immissioni in ruolo, allo sviluppo della carriera ed ad altri consimili eventi che con prudente apprezzamento e sulla base dell'id quod plerumque accidit si sarebbero verificati.

Cass. civ. n. 8090/1994

Il diritto al risarcimento del danno derivato dalla lesione del diritto alla salute soggiace, nonostante l'assolutezza di tale diritto (tutelato dall'art. 32 della Costituzione), al regime prescrizionale dei diritti di credito.

Cass. civ. n. 7647/1994

Il lucro cessante, concretandosi questo nell'accrescimento patrimoniale in concreto ed effettivo pregiudicato o impedito dall'inadempimento della obbligazione contrattuale, presuppone almeno la prova, sia pure indiziaria, della utilità patrimoniale che, secondo un rigoroso giudizio di probabilità (e non di mera possibilità) il creditore avrebbe conseguito se l'obbligazione fosse stata adempiuta e deve essere, perciò, escluso per quei mancati guadagni che sono meramente ipotetici perché dipendenti da condizioni incerte, quali quelle legate ad un improbabile fatto del terzo. (Nella specie, la Corte di cassazione ha ritenuto corretta la pronuncia del giudice di merito che aveva negato il danno preteso dalla parte, alla quale era stato consegnato in ritardo un terreno, per le maggiori spese che sarebbero state necessarie per la costruzione di un edificio da eseguire solo dopo una concessione edilizia e previa formazione di un piano di lottizzazione di una più vasta area nella quale ricadevano anche fondi altrui).

Cass. civ. n. 7079/1994

Il principio secondo cui l'obbligazione risarcitoria configura debito di valore — con la conseguenza che il giudice deve tener conto, anche di ufficio, della svalutazione monetaria verificatasi fino alla data della relativa decisione, in quanto l'integrale ed effettiva reintegrazione del patrimonio del danneggiato nella situazione del danneggiato in cui si sarebbe trovato se non si fosse verificato l'evento dannoso, alla quale il risarcimento è preordinato, può essere conseguita solo tenendo conto di tale svalutazione-opera anche quando si tratti di danni conseguenti ad inadempimento di obblighi che, sebbene nascenti da un contratto che comporta l'esecuzione di prestazioni pecuniarie, abbiano uno specifico contenuto ed una autonoma valenza attinenti ad un diverso facere ed a cosa diversa dal denaro, come l'obbligo dell'istituto di credito, col quale si intrattenga un rapporto di conto corrente, di consegnare i cosiddetti libretti di assegni esclusivamente al correntista o al soggetto contrattualmente legittimato a riceverli.

Cass. civ. n. 6464/1994

Nel caso di responsabilità del sanitario per la mancata interruzione della gravidanza nei casi previsti dalla L. 22 maggio 1978, n. 194, il danno risarcibile è solo quello dipendente dal pregiudizio alla salute fisio-psichica della donna specificamente tutelata dalla predetta legge, e non quello più genericamente dipendente da ogni pregiudizievole conseguenza patrimoniale dell'inadempimento del sanitario, quale il costo della nascita del figlio indesiderato o del suo allevamento, che di per sé non sono considerati un fatto ingiustamente dannoso neppure in presenza di precarie condizioni economiche della madre, le quali sono assunte come condizione giustificatrice della interruzione della gravidanza solo per la loro possibile influenza sulle condizioni fisico-psichiche della donna.

Cass. civ. n. 5669/1994

In tema di determinazione del reddito da considerare ai fini del risarcimento del danno da inabilità permanente, l'art. 4 del D.L. n. 857 del 1976 — convertito in L. n. 39 del 1977 —, stabilendo, dopo avere indicato (comma 1 e 2) i criteri da adottarsi con riguardo ai casi di lavoro, rispettivamente, autonomo e subordinato, allorché stabilisce (comma 3) che «in tutti gli altri casi» il reddito da considerare ai detti fini non può essere inferiore a tre volte l'ammontare annuo della pensione sociale, ricomprende in tale ultima previsione non solo l'ipotesi in cui l'invalidità permanente ed il conseguente danno futuro sia stato riportato da soggetti che non siano lavoratori dipendenti o autonomi, ma anche quella, più generale, in cui il danno futuro incida su soggetti (nella specie, un lavoratore autonomo) attualmente privi di reddito, in relazioni a particolari contingenze, ma potenzialmente idonei a produrlo.

Cass. civ. n. 2988/1994

Il diritto al risarcimento da fatto illecito concretatosi in un evento mortale va riconosciuto — con riguardo sia al danno morale, sia a quello patrimoniale, che presuppone, peraltro, la prova di uno stabile contributo economico apportato, in vita, dal defunto al danneggiato — anche al convivente more uxorio del defunto stesso, quando risulti concretamente dimostrata siffatta relazione caratterizzata da tendenziale stabilità e da mutua assistenza morale e materiale, al qual fine non sono sufficienti né le dichiarazioni rese dagli interessati a fine di formazione di un atto di notorietà, né le indicazioni dai medesimi fornite alla pubblica Amministrazione per fini anagrafici.

Cass. civ. n. 2442/1994

In tema di risarcimento del danno derivante da circolazione stradale, l'ammontare annuo della pensione sociale, cui fa riferimento l'art. 4, D.L. 23 dicembre 1976, n. 857, convertito in L. 26 febbraio 1977, n. 39, deve ritenersi comprensivo dell'aumento di lire 975.000 previsto dall'art. 2, secondo comma, L. 15 aprile 1985, n. 140, senza che nel caso il giudice, che provveda a liquidare il danno, sia tenuto all'accertamento della sussistenza in concreto delle condizioni, a cui il citato art. 2 subordina la concessione della pensione, trattandosi di un parametro di quantificazione del minimo risarcimento spettante al danneggiato con riguardo all'assicurazione obbligatoria in materia di circolazione.

Cass. civ. n. 2203/1994

In materia di danni derivanti dalla circolazione di veicoli, l'art. 4, L. 26 febbraio 1977, n. 39, stabilendo che per valutare l'incidenza dell'inabilità temporanea e dell'invalidità permanente su un reddito di lavoro si debba avere riguardo a quello risultante dalle denunce fiscali, qualora esistenti, preclude, in presenza di questa risultanza, una liquidazione equitativa del danno (da lucro cessante), tale, cioè, che, accertata la misura dell'incapacità lavorativa, prescinda dalla assunzione di detto reddito - sul rilievo della continuità della sua percezione nel corso di rapporto di lavoro subordinato - a parametro per la traduzione in termini economici dell'incapacità stessa, potendo, invece, la circostanza di siffatta continuità di percezione, nell'assenza di un obbligo del giudice di applicare le tabelle di capitalizzazione delle rendite vitalizie approvate con R.D. n. 1403 del 1922, rilevare soltanto ai fini di una valutazione equitativa dell'incidenza della ridotta capacità fisica sulla capacità di guadagno e quale indice
secondo l'id quod plerumque accidit — di modestia dell'incidenza medesima, nonché della prevalente influenza di detta riduzione sulla percezione di speciali compensi per prestazioni più intense del normale o sull'ulteriore sviluppo di carriera o su una possibile collocazione anticipata a riposo o su alternative possibilità di lavoro.

Cass. civ. n. 1936/1994

In tema di risarcimento del danno da invalidità temporanea o permanente causata dalla circolazione di veicoli a motore, l'art. 4 D.L. 23 dicembre 1976 n. 857, conv. in L. 26 febbraio 1977 n. 39, assume le risultanze delle dichiarazioni fiscali dell'ultimo triennio antecedente al sinistro a parametro base cui commisurare l'incidenza di detta invalidità sui guadagni del lavoratore danneggiato, salva la prova contraria relativa ad un reddito diverso, che può essere fornita non solo dall'assicuratore del responsabile del danno, ma anche dal lavoratore danneggiato per dimostrare la non significatività del reddito dichiarato a fronte di quello da lui prodotto nel medesimo periodo di tempo con la sua attività lavorativa remunerata. Conseguentemente nel caso in cui si debba quantificare il lucro cessante sofferto da un libero professionista per effetto della lesione personale subita, vanno presi in considerazione, per individuare la capacità di guadagno, anche gli incrementi patrimoniali ritraibili con ragionevole previsione dal lavoro svolto, pur se non ancora introitati al tempo del sinistro o nel triennio precedente, per naturali vicende collegate al particolare tipo di attività.

Cass. civ. n. 1484/1994

Nella liquidazione dei danni per spese future della parte lesa da un fatto illecito extracontrattuale, il giudice deve prima procedere alla rivalutazione delle somme dal momento in cui il danno è stato stimato alla data della sentenza e poi operare, sulla somma così determinata, la riduzione per l'incidenza della anticipata corresponsione rispetto all'epoca dei relativi esborsi.

Cass. civ. n. 11271/1993

Il rimborso delle spese di produzione del reddito (nella specie: quote di ammortamento, esposte nella denuncia dei redditi, della spesa sostenuta dall'imprenditore per l'acquisto degli strumenti necessari per l'esercizio dell'impresa) non può entrare a far parte del reddito da considerare ai fini della quantificazione del danno risarcibile in conseguenza del fatto illecito.

Cass. civ. n. 8226/1993

In tema di liquidazione dei danni conseguenti alle lesioni dell'integrità fisica, la mancanza di un reddito al momento dell'incidente subito da soggetto che non abbia ancora raggiunto l'età lavorativa, può escludere il danno patrimoniale, sotto il profilo del lucro cessante, conseguente alla invalidità temporanea ma non anche il danno futuro, verrà ad incidere sulle capacità di guadagno della vittima dal momento in cui questa inizierà una attività remunerata.

Cass. civ. n. 7494/1993

Nella liquidazione del danno da invalidità permanente deve aversi riguardo, per la determinazione del pregiudizio patrimoniale subito dal danneggiato, agli emolumenti che a questi spettano in concreto e perciò alle competenze effettive al netto delle ritenute, avendo la L. 26 febbraio 1977, n. 39 eliminato, ai fini del risarcimento del danno, ogni riferimento per il lavoro dipendente al reddito lordo.

Cass. civ. n. 6996/1993

Nella liquidazione del danno da fatto illecito il giudice deve determinare il pregiudizio subito dal danneggiato con riferimento al momento in cui la liquidazione viene fatta, in modo che, trattandosi di debito di valore, venga reintegrata per intero la perdita patrimoniale subita dal danneggiato medesimo, senza che sulla determinazione del danno possa influire l'eventuale costituzione di una rendita ad opera di un istituto di assicurazione sociale in favore del detto danneggiato, la quale non vale ad estinguere l'obbligazione che il danneggiante ha verso il danneggiato: resta fermo che, dopo aver determinato il danno subito dal danneggiato, il giudice dovrà detrarre da questo le somme erogate dall'istituto di assicurazione sociale, per il recupero delle quali quest'ultimo ha diritto di agire in surrogazione.

Cass. civ. n. 6109/1993

Con riguardo al risarcimento del danno futuro, ossia del danno non ancora verificatosi al momento della liquidazione, è in ogni caso necessario che risulti provata o comunque incontestata l'esistenza di un danno risarcibile, perché possa essere valutato dal giudice in via equitativa, non essendo sufficiente la dimostrazione di un danno solo potenziale o possibile.

Cass. civ. n. 5832/1993

In tema di liquidazione del danno da lucro cessante causato da invalidità permanente deve farsi riferimento al solo reddito di lavoro che è in diretto ed immediato rapporto di produzione rispetto all'attività lavorativa del danneggiato. Conseguentemente, quando il reddito di lavoro si presenti confuso con il reddito di capitale, come nel caso di reddito di impresa, questo deve essere decurtato di una somma corrispondente alla remunerazione del capitale impiegato.

Cass. civ. n. 2456/1993

Quando il giudice liquida il danno (nella specie, mancato guadagno) conseguente all'inadempimento contrattuale di una parte con riferimento alla data della sentenza, in tal modo reintegrando il patrimonio del danneggiato nella consistenza che aveva alla data dell'evento dannoso, gli interessi sono dovuti solo dal giorno della sentenza, e non dalla data dell'evento dannoso.

Cass. civ. n. 1384/1993

Gli interessi compensativi sulle somme liquidate a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale (cosa come per quello patrimoniale) decorrono dal giorno in cui il fatto illecito si è verificato, secondo i principi generali in materia di cui agli artt. 1224 e 1282 c.c.

Il principio che nella determinazione del danno contrattuale o extracontrattuale impone di tenere conto dell'eventuale vantaggio che il fatto illecito abbia procurato al danneggiato, non potendo il risarcimento risolversi in un arricchimento, è applicabile solo al vantaggio che sia conseguenza immediata e diretta dello stesso fatto produttivo del danno e non può, pertanto, essere applicato automaticamente con riguardo a quello che il coniuge della persona deceduta in un sinistro eventualmente trae contraendo nuove nozze, perché queste, ancorché siano possibili in quanto il soggetto, a seguito del fatto illecito, ha riacquistato lo stato libero, sono legate da un nesso di causalità solo occasionale alla morte del coniuge, trattandosi di un fatto relativo alla persona che trae la sua origine e le sue motivazioni nella sfera più generale ed intima della persona stessa. In tale ipotesi, pertanto, la detta attinenza deve essere valutata in concreto al fine di accertare in quali effettivi limiti il pregiudizio derivato da fatto illecito sia stato eliminato.

Cass. civ. n. 11616/1992

Il danno per inabilità permanente non coincide automaticamente con la proporzionale riduzione del reddito di lavoro percepito dal danneggiato ma deve essere in concreto accertato, anche per via presuntiva, sulla base della differenza tra i redditi che il danneggiato, in relazione alla sua qualifica ed attività, avrebbe potuto percepire e quelli a cui deve presumersi che rimarrà ancorato a causa della menomazione riportata, escludendosi ogni confusione tra questo danno, che è strettamente legato alla effettiva riduzione della capacità di guadagno, con le altre forme di danno, quale quello biologico, nella cui valutazione assume preminente rilievo la gravità della inabilità.

Nella liquidazione dei debiti di valore il giudice deve tenere conto dell'eventuale diminuito potere di acquisto della moneta disponendo la relativa rivalutazione fino alla data di pubblicazione della sentenza, che costituisce il momento in cui il credito dedotto in giudizio diviene liquido ed esigibile ed il cui correlativo debito si converte in debito di valuta, mentre non può tenere conto anche di eventi futuri ed ipotetici successivi alla pronuncia esecutiva, dato che il ritardo nella esecuzione di questa, concretando l'inadempimento di una obbligazione pecuniaria, può comportare, a norma dell'art. 1224 c.c., il diritto agli interessi ed al risarcimento del maggior danno, che è fondato su presupposti del tutto diversi da quelli della rivalutazione automatica del debito di valore.

Cass. civ. n. 11097/1992

Con riguardo al risarcimento del danno futuro sofferto dai familiari per la morte di un congiunto ed in particolare alla privazione della legittima aspettativa dei genitori ad un contributo economico da parte del figlio prematuramente scomparso, è necessario che le circostanze del caso permettano di ritenere probabile, e non soltanto come possibile, l'anzidetto danno futuro, sicché il risarcimento deve di regola escludersi in rapporto ai futuri risparmi che il defunto avrebbe realizzato, dovendo ritenersi probabile che il medesimo si sarebbe formato una famiglia i cui membri avrebbero avuto esclusivamente diritto sui risparmi del loro genitore e marito.

Cass. civ. n. 3352/1992

La scelta dei criteri di adeguamento del credito risarcitorio al mutato valore della moneta deve cadere su quello che, meglio di ogni altro, permetta al danneggiato di conseguire un ristoro patrimoniale pari o, in più possibile, vicino all'effettivo pregiudizio subito. (Nella specie alla stregua di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza con la quale il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, nel liquidare il danno cagionato al concessionario di derivazione d'acqua da arbitraria sottensione di utenza, aveva ritenuto idoneo il criterio di rivalutare le somme spettanti secondo gli indici ISTAT per il costo della vita per le famiglie di operai e impiegati, in luogo degli indici ISTAT per gli incrementi dei volumi delle produzioni industriali, applicati dal primo giudice).

Cass. civ. n. 12958/1991

Il danno alla vita di relazione, per i profili che non incidono sulla capacità di produrre un reddito, ancorché tenda ad essere assorbito dal danno alla salute (o biologico), tuttavia non si identifica del tutto con questo, atteso che tale danno assume rilievo giuridico non solo per il pregiudizio che la lesione dell'integrità psico-fisica ha arrecato alla possibilità del danneggiato di avvalersi, nei rapporti intersoggettivi con i terzi, delle doti di validità fisica e mentale elargitegli dalla natura, ma anche per i riflessi interiori della menomazione subita a causa del pregiudizio da questa arrecato alla libertà del danneggiato di autodeterminazione nell'attività extralavorativa, avvalendosi, nella quotidianità, del proprio livello psico-fisico, a prescindere dalle utilità derivabili dalla instaurazione di rapporti sociali. Pertanto, legittimamente il giudice di appello, investito del gravame sulla misura del risarcimento liquidato dal primo giudice per il danno alla vita di relazione, può tenere conto anche del danno per i riflessi interiori prodotti dalla menomazione dell'integrità psico-fisica, trascurato dal giudice di primo grado, senza che ciò importi duplicazione nella liquidazione di un elemento del danno ma solo una diversa e più completa valutazione in riferimento al diverso ambito del danno alla salute.

Cass. civ. n. 5161/1991

Il danno biologico è quello che, prescindendo dalle conseguenze lesive che incidono direttamente sull'efficienza lavorativa del soggetto leso e sulla sua capacità di produrre reddito, prende in considerazione tutti gli effetti negativi del fatto lesivo che incidono sul bene della salute in sé considerato, quale diritto inviolabile dell'uomo. Pertanto nella liquidazione di detta voce di danno deve essere tenuto conto anche dell'eventuale invalidità permanente di quel soggetto, considerata non come menomata capacità di guadagno, ma come menomazione della salute fisio-psichica dello stesso.

Cass. civ. n. 4848/1991

In tema di risarcimento del danno ex art. 2043 c.c., gli interessi sulla somma liquidata a tal fine decorrono dall'epoca della commissione dell'illecito, che, nell'ipotesi di irreversibile realizzazione dell'opera pubblica su suolo legittimamente occupato in virtù di provvedimento d'urgenza e provvisorio, si considera avvenuto alla data di scadenza del tempo della legittima occupazione, senza che siano intervenuti proroga o decreto di definitiva espropriazione del suolo.

Cass. civ. n. 4636/1991

Con riguardo al risarcimento dei danni richiesto per l'inadempimento di un obbligo di consegna di un bene mobile (nella specie, oggetto di un legato testamentario), che il soggetto tenutovi abbia indebitamente alienato a terzi, ove quel bene abbia perduto, nelle more del giudizio, parte del suo valore, il giudice del merito deve procedere alla liquidazione del danno per equivalente facendo riferimento al valore della cosa al tempo della mancata consegna, atteso che il creditore, con opportuni atti dispositivi o di impiego ad essa inerenti, avrebbe potuto evitare il pregiudizio derivante dal suo deprezzamento.

Cass. civ. n. 11695/1990

La decorrenza degli interessi sull'importo liquidato per il risarcimento derivato dalla mancata utilizzazione di un bene (lucro cessante), quando detto importo corrisponda alla somma degli equivalenti monetari dell'inutilizzabilità del bene medesimo durante ciascuna delle frazioni temporali (anno, mese, settimana, giorno) considerate in concreto dal giudice come unità di commisurazione del pregiudizio da risarcire e comprese nel periodo per il quale l'inutilizzabilità del bene si sia protratta, deve essere stabilita con riferimento non all'intero e complessivo importo risultante bensì a ciascuna di tali frazioni (di progressiva maturazione del credito risarcitorio) e con riferimento alle progressive corrispondenti scadenze dal giorno della domanda giudiziale — se manchi un precedente atto di costituzione in mora — e fino al soddisfacimento.

Cass. civ. n. 9702/1990

Nella liquidazione del danno da atto illecito dal quale sia derivata l'invalidità temporanea del danneggiato, occorre tener conto, nel calcolo del lucro cessante, della retribuzione globale in precedenza percepita dal soggetto, comprensiva di ogni somma, a qualsiasi titolo goduto, e quindi ricomprendendo in essa anche gli elementi del reddito variabili e percepiti solo per consuetudine o per il buon volere di terzi, come ad esempio le mance, restando ai fini della relativa quantificazione al giudice il potere di liquidazione equitativa, ai sensi dell'art. 1226 c.c.

Cass. civ. n. 9118/1990

In tema di risarcimento del danno alla vita di relazione, qualora sia stata liquidata equitativamente una somma globale, con riferimento sia alla parte di danno già maturata, sia a quella futura, tenendosi conto, per quest'ultima parte, degli interessi a scalare corrispondenti all'erogazione anticipata, gli interessi compensativi sull'intera somma globale liquidata, decorrono pur sempre dalla data del fatto illecito produttivo del danno.

Cass. civ. n. 6536/1990

Il danno alla salute o biologico — in cui vanno anche ricomprese quelle forme di danno non incidenti sulla capacità di produrre reddito, come il danno alla vita di relazione, il danno estetico non incidente direttamente su quella capacità, il danno alla sfera sessuale — consiste nella menomazione anatomo-funzione del soggetto, idonea a modificarne le preesistenti condizioni psicofisiche, e quindi ad incidere negativamente sulla sfera individuale, in ogni sua concreta articolazione ed indipendentemente dall'attitudine della persona a produrre reddito: tale menomazione è sempre presente in ipotesi di danno alla persona e, quindi, essa va risarcita, ai sensi degli artt. 32 Cost. e 2043 c.c., in linea prioritaria rispetto ad ogni altro danno.

Cass. civ. n. 5675/1990

Nel caso in cui un fatto illecito abbia causato l'invalidità permanente di un piccolo imprenditore che, oltre ad organizzare e dirigere la sua impresa, vi lavori personalmente, l'indennizzo dovuto a titolo di risarcimento del danno non va calcolato sulla sola base del reddito di lavoro, cioè del reddito che sarebbe prodotto direttamente ed autonomamente dal lavoro personale dell'imprenditore, con esclusione del reddito che sarebbe prodotto direttamente ed autonomamente dal capitale investito nell'impresa, bensì deve a base del calcolo essere posto l'unitario reddito dell'impresa, nella quota corrispondente al grado di invalidità permanente.

Cass. civ. n. 3634/1990

Il lavoratore che, in conseguenza del fatto illecito del terzo, subisca lesioni alla persona non ha diritto, per il periodo di invalidità temporanea, al risarcimento del danno, se abbia continuato a percepire la precedente retribuzione e non provi d'aver dovuto rinunziare a straordinari o trasferte, con perdita dei relativi compensi, ovvero d'aver subito, per la forzata assenza dal lavoro, un pregiudizio negli sviluppi della carriera, ovvero ancora d'essere stato costretto ad accettare un anticipato collocamento a riposo.

Cass. civ. n. 2761/1990

Il cosiddetto danno alla vita di relazione - quel tipo di nocumento, cioè, che sinteticamente si risolve nell'impossibilità o nella difficoltà di reintegrarsi nei rapporti sociali e di mantenerli ad un livello normale - non costituisce un aspetto del danno alla persona suscettibile d'autonoma valutazione rispetto al danno cosiddetto biologico, bensì uno dei vari fattori di cui il giudice deve tener conto per accertare in concreto la misura di tale danno, che va inteso come menomazione arrecata all'integrità psicofisica della persona in sé e per sé considerata, e perciò come menomazione incidente sul valore uomo in tutta la sua dimensione, che non si esaurisce nella sola attitudine a produrre ricchezza, ma si collega alla somma delle funzioni naturali riguardanti il soggetto nel suo ambiente di vita ed aventi rilevanza non solo economica, ma anche biologica, sociale, culturale ed estetica.

Cass. civ. n. 2296/1990

Il principio secondo cui gli interessi sulle somme liquidate a titolo di risarcimento decorrono dalla data del verificarsi del danno trova applicazione soltanto in materia di responsabilità aquiliana mentre quando l'obbligazione risarcitoria derivi da inadempimento contrattuale, i medesimi interessi decorrono dalla domanda giudiziale quale atto idoneo a costituire in mora il debitore, anche se a quella data il credito non sia ancora liquido ed esigibile.

Cass. civ. n. 1954/1990

In caso di evento lesivo dell'integrità personale, il danno biologico e quello patrimoniale attengono a due distinte sfere di riferimento, il primo riguardando il cosiddetto diritto alla salute ed il secondo attenendo alla capacità di produrre reddito, talché il giudice deve procedere a due distinte liquidazioni e può scegliere per ciascuna di esse il criterio che ritiene più idoneo in relazione al caso concreto. Tuttavia, perché il risarcimento del danno sia completo e, per altro verso, non si traduca in un arricchimento senza causa, il giudice deve tener conto di tutte le particolarità della fattispecie e considerare che i due danni, pur se ontologicamente diversi, costituiscono entrambi proiezione negativa nel futuro di un medesimo evento, sicché le liquidazioni degli stessi, pur se distinte, devono essere tenute presenti contemporaneamente, affinché la liquidazione complessiva sia corrispondente al danno nella sua globalità, che costituisce l'oggetto del risarcimento e del quale i due menzionati aspetti costituiscono due specifiche voci. (Nella specie, sancendo tale principio, la Suprema Corte ha cassato la sentenza con la quale i giudici di merito avevano omesso, in sede di liquidazione del risarcimento, siffatta valutazione globale, anche in relazione alla circostanza che il danneggiato era di età prossima a quella del pensionamento, incidente sulla determinazione del danno patrimoniale).

Cass. civ. n. 772/1990

In tema di liquidazione dei danni subiti in un incidente stradale da lavoratore dipendente, spetta a quest'ultimo, in ogni caso, il risarcimento del danno emergente derivante da invalidità permanente che incide negativamente sulle sue residue capacità lavorative e sulla capacità di dedicarsi, anche dopo il pensionamento, ad altre proficue attività, oltre che sulla sua efficienza fisica.

Cass. civ. n. 411/1990

Il bene della salute costituisce, come tale, oggetto di autonomo diritto primario assoluto (art. 32 Cost.), sicché il risarcimento dovuto per la sua lesione non può essere limitato alle conseguenze che incidono solo sull'idoneità a produrre reddito, ma deve autonomamente comprendere il cosiddetto danno biologico, inteso come la menomazione dell'integrità psicofisica della persona in sé e per sé considerata, in quanto incidente sul valore uomo in tutta la sua dimensione, che non si esaurisce nell'attitudine a produrre ricchezza, ma si collega alla somma delle funzioni naturali riguardanti il soggetto nel suo ambiente di vita ed aventi rilevanza non solo economica ma anche biologica, sociale, culturale ed estetica. (Nella specie, la C.S. ha affermato l'applicabilità dell'esposto principio di diritto con riguardo alla condotta del datore di lavoro che, dopo aver illegittimamente licenziato ed estromesso dall'attività lavorativa il dipendente, aveva quindi affidato al medesimo, a séguito della sua reintegrazione, mansioni non corrispondenti alla sua qualifica o alla sua categoria, causandogli in tal modo una grave sindrome da esaurimento nervoso).

Cass. civ. n. 6938/1988

In tema di infortuni sul lavoro il giudizio di accertamento e quantificazione della responsabilità da illecito per il danno subito dal lavoratore o dai superstiti va tenuto distinto — stante la diversità dei titoli su cui si fondano i diritti azionati — da quello diretto a stabilire l'importo che il danneggiante penalmente responsabile o il responsabile civile devono corrispondere in via di regresso all'Inail. Pertanto nel primo giudizio la quantificazione del danno (che in quanto credito di valore deve reintegrare pienamente la perdita patrimoniale ed il pregiudizio subito dal danneggiato, e che pertanto va fatta al momento della liquidazione da parte del giudice rivalutando fino a tale data i valori monetari dell'epoca dell'evento dannoso), non deve escludere, in tale operazione, la rivalutazione di quella parte di danno coperta dall'importo della rendita via via corrisposta dall'Inail ed, inoltre, deve computare sulla somma complessivamente così determinata gli interessi corrispettivi dalla data dell'evento dannoso al soddisfo.

Cass. civ. n. 6403/1988

L'incidenza dell'invalidità sul reddito deve essere valutata in relazione alle peculiari circostanze del caso concreto, di tal che un determinato coefficiente di riduzione della capacità lavorativa non importa senz'altro una proporzionale riduzione aritmetica del reddito, concretamente accertato, della persona offesa, dovendo tale riduzione essere stabilita dal giudice con riguardo alla natura dell'inabilità ed alla specie di attività esercitata.

Cass. civ. n. 1161/1988

La liquidazione del risarcimento di danni futuri comporta la detrazione sulla somma assegnata al danneggiato di interessi a scalare per il periodo di pagamento anticipato del capitale, a meno che l'omessa detrazione risulti motivata espressamente dall'esigenza di meglio adeguare, nel caso concreto, la misura del risarcimento all'entità del danno. (Nella specie la Suprema Corte ha confermato la pronuncia del giudice del merito il quale, nel liquidare ad un agente il risarcimento dei danni futuri, commisurati, in ragione di speciali pattuizioni con il proponente, ad annualità di provvigioni non ancora maturate alla data della liquidazione suddetta, aveva negato, oltre alla rivalutazione monetaria, anche gli interessi compensativi ed aveva detratto interessi a scalare per il periodo del pagamento anticipato della sorte capitale).

Cass. civ. n. 23/1988

I cosiddetti danni patrimoniali futuri risarcibili a favore dei genitori e dei fratelli di un minore deceduto a seguito di fatto illecito, vanno ravvisati nella perdita o nella diminuzione di quei contributi patrimoniali o di quelle utilità economiche che - sia in relazione a precetti normativi (artt. 315, 433, 230 bis c.c.) che per la pratica di vita improntata a regole etico-sociali di solidarietà familiare e di costume - presumibilmente e secondo un criterio di normalità il soggetto venuto meno prematuramente avrebbe apportato, alla stregua di una valutazione che faccia ricorso anche alle presunzioni ed ai dati ricavabili dal notorio e dalla comune esperienza, con riguardo a tutte le circostanze del caso concreto (composizione del nucleo familiare, condizioni economico-sociali, attività esercitata dai genitori e dagli altri congiunti). (Nella specie, ribadendo il principio di cui alla massima, la S.C. ha cassato per vizio di motivazione la pronuncia di merito che aveva negato la risarcibilità sulla base dell'impossibilità di una previsione certa conseguente al solo dato dell'età eccessivamente precoce della vittima).

Cass. civ. n. 9528/1987

Perché possa operare la compensatio lucri cum damno è necessario che il pregiudizio e l'incremento patrimoniale dipendano dallo stesso fatto illecito, che si presentino, cioè, come effetto del medesimo fatto avente in sé l'idoneità a determinarli entrambi. Tale situazione non si verifica quando, a seguito della morte della persona offesa, ai congiunti superstiti, aventi diritto al risarcimento del danno, sia stata concessa una pensione, dato che tale pensione trae la sua fonte e la sua ragione giuridica da un titolo diverso e indipendente dal fatto illecito, rappresentando l'evento morte soltanto la condizione perché quel titolo spieghi la sua efficacia. Di conseguenza in tale ipotesi l'ammontare della pensione non può essere detratto dalla somma dovuta a titolo di risarcimento danni ai congiunti superstiti della parte lesa.

Cass. civ. n. 5480/1987

Il danno risarcibile in caso di invalidità non concerne la incapacità lavorativa in sé, ma la conseguenza del mancato guadagno e, nel caso di invalidità permanente, la riduzione della capacità di guadagno; ne consegue che, trattandosi di debito di valore (in quanto volto a reintegrare il patrimonio del danneggiato nelle condizioni in cui si sarebbe trovato se non fosse avvenuto l'evento dannoso), la liquidazione deve essere adeguata ai valori monetari del momento della pronuncia giudiziale definitiva, tenendosi conto della sopravvenuta svalutazione monetaria, mentre la decorrenza degli interessi compensativi va fissata nel momento in cui il danno si è verificato che, in tema di invalidità permanente, deve essere individuato non nella data dell'incidente ma nel momento in cui è cessata la invalidità temporanea e si sono consolidati i postumi a carattere permanente (nella specie, conseguenti a trauma cranico) con le conseguenze dannose derivatene.

Cass. civ. n. 2985/1987

La misura della svalutazione monetaria può essere determinata dal giudice del merito anche con criteri diversi dagli indici delle tabelle Istat, ma in tal caso, di fronte alla richiesta specifica della parte interessata di applicare dette tabelle, la determinazione, se sensibilmente riduttiva, deve essere adeguatamente giustificata e la relativa motivazione non può ridursi al generico ed astratto riferimento alle nozioni di comune esperienza le quali, così enunciate, non consentono alcuna possibilità di riscontro e di controllo dell'iter logico seguito.

Cass. civ. n. 2480/1987

In sede di legittimità non può essere proposta richiesta di ulteriore rivalutazione della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno in appello, in quanto la svalutazione monetaria incide sino alla data della liquidazione del danno e la relativa maggiorazione attiene ad un potere discrezionale del giudice del merito il cui esercizio comporta una indagine di fatto istituzionalmente preclusa alla Corte di cassazione.

Cass. civ. n. 4267/1986

Anche nella determinazione del danno derivante da colpa extracontrattuale, come da quella contrattuale, il principio secondo il quale deve tenersi conto dell'eventuale vantaggio che il fatto illecito abbia procurato al danneggiato, ad evitare che il risarcimento si risolva in un lucro indebito è applicabile solo quando anche il lucro sia conseguenza diretta ed immediata del fatto illecito, sì che il vantaggio e il danno si presentino come eventi contrapposti di un medesimo fatto avente l'idoneità a determinarli entrambi. Pertanto va esclusa la compensatio lucri cum damno tra il vantaggio derivato, al proprietario di un fondo, dalla costruzione di una contigua strada pubblica, ed il danno, dal medesimo subito, per frane ricollegabili non già all'opera pubblica in sé, bensì al comportamento illecito della P.A. che, nella relativa esecuzione, abbia trascurato di effettuare gli interventi indispensabili ad evitare movimenti franosi del terreno.

Cass. civ. n. 367/1986

Il riconoscimento da parte del debitore della propria obbligazione di risarcimento del danno derivante da responsabilità contrattuale, precontrattuale o da atto illecito, non determina la trasformazione del corrispondente debito di valore in debito di valuta, con la conseguenza che il giudice del merito, nel procedere alla liquidazione del danno, deve tenere conto, anche d'ufficio, dell'intervenuta svalutazione della moneta.

Cass. civ. n. 5815/1985

In sede di adeguamento del debito risarcitorio ai valori in atto della moneta, il giudice del merito non è tenuto a fornire una specifica motivazione, qualora fissi la percentuale di rivalutazione in conformità degli indici sul costo della vita e sul livello dei prezzi, elaborati e pubblicati dall'Istat, i quali configurano fatti notori.

Cass. civ. n. 5814/1985

Il credito risarcitorio per lucro cessante, derivante dal mancato godimento di un bene protrattosi per una pluralità di anni, viene a maturare anno per anno, in relazione alla perdita dei corrispondenti redditi, e, pertanto, è suscettibile di rivalutazione monetaria, con applicazione poi degli interessi sulla somma rivalutata, solo con riferimento ed a partire da ciascuna annualità.

Cass. civ. n. 5775/1985

Nel caso in cui, in sede di liquidazione equitativa del debito risarcitorio, il giudice del merito abbia determinato la svalutazione monetaria verificatasi nel periodo intercorrente tra il fatto illecito e la decisione facendo riferimento orientativo ad indici ufficiali Istat non allegati e documentati nel processo, il divario tra i coefficienti di deprezzamento applicati in concreto e i dati forniti da detti indici è censurabile in sede di legittimità solo se assuma proporzioni tali da urtare contro le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza.

Cass. civ. n. 4852/1985

Qualora la parte abbia allegato e documentato, mediante idonea certificazione, la percentuale di incidenza della svalutazione monetaria sul proprio credito di valore in un determinato periodo, il giudice del merito è tenuto a valutarla, non potendo altrimenti determinare in una misura diversa l'entità della perdita del potere di acquisto della moneta, senza incorrere nel vizio di omesso esame di un punto decisivo della controversia prospettato dalla parte.

Cass. civ. n. 3888/1985

Gli interessi compensativi sulle somme di denaro liquidate a titolo di risarcimento del danno costituiscono una componente del danno stesso e della relativa domanda e possono, quindi, essere assegnati dal giudice anche d'ufficio. Conseguentemente, non costituisce domanda nuova improponibile a norma dell'art. 345 c.p.c., l'istanza di attribuzione di detti interessi formulata per la prima volta nel giudizio di appello.

Cass. civ. n. 1453/1985

La misura della svalutazione monetaria costituisce nozione di fatto rientrante nella comune esperienza, e, pertanto, la relativa determinazione attiene all'esercizio del potere discrezionale del giudice del merito il quale, nell'avvalersene, non è tenuto a indicare gli elementi sui quali la determinazione stessa si fonda, riferendosi questa a un fatto notorio che può essere posto a fondamento della decisione senza bisogno di prova e senza che la sua valutazione sia censurabile in cassazione.

Cass. civ. n. 3727/1984

Nel caso di infortunio sul lavoro, anche in applicazione del principio della compensatio lucri cum damno (art. 1223 c.c.), l'obbligo risarcitorio del datore di lavoro responsabile è limitato, ai sensi dell'art. 10, settimo comma, del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, alla parte di danno «che eccede le indennità liquidate a norma degli artt. 66 e ss.», sicché, ove trattisi di infortunio mortale, la relativa quantificazione va compiuta deducendo l'indennità liquidata una tantum dall'Inail, a norma dell'art. 85 del citato decreto, in favore dei superstiti del lavoratore.

Cass. civ. n. 3491/1984

Ai fini della liquidazione del danno da lucro cessante, subito da un soggetto che godeva di un reddito saltuario per la discontinuità dell'occupazione, o incerto per i rischi inerenti all'esercizio di un'impresa, non può farsi ricorso ad un parametro aritmetico corrispondente alla misura della riduzione della capacità lavorativa, ma deve considerarsi, in riferimento a determinate circostanze (età, condizione sociale, attitudine ad un proficuo lavoro generico) la misura presumibile di utilizzazione possibile di tale capacità.

Cass. civ. n. 3344/1984

Gli interessi compensativi sulla somma liquidata a titolo di risarcimento di danni futuri vanno liquidati sulla sorte capitale, non con decorrenza dal giorno del fatto illecito, ma da quando il soggetto danneggiato ha iniziato ovvero inizierà, secondo un calcolo di probabile svolgersi degli eventi, a subire il pregiudizio, consistente nella riduzione della capacità lavorativa.

Cass. civ. n. 1318/1984

In tema di risarcimento del danno per invalidità personale qualora venga liquidata autonomamente la somma dovuta per invalidità temporanea assoluta, con i relativi interessi, e la somma spettante per invalidità parziale permanente venga liquidata non in base al cumulo dei perduti redditi annuali futuri, ma al minore importo ottenuto con l'applicazione delle tabelle di capitalizzazione approvate con R.D. 9 ottobre 1922, n. 1403 (le quali portano in detrazione gli interessi a scalare per l'anticipata erogazione del capitale), sulla suddetta somma per invalidità permanente devono essere riconosciuti gli interessi a decorrere dal momento della cessazione dell'invalidità temporanea.

Cass. civ. n. 5351/1983

La determinazione della somma dovuta a titolo di risarcimento del danno da illecito extra contrattuale va effettuata con riferimento all'epoca della liquidazione, poiché solo in tale momento il creditore può realizzare il proprio interesse leso e conseguire la reintegrazione del pregiudizio subito dal suo patrimonio. Pertanto, al fine della determinazione del danno sofferto per invalidità permanente da un lavoratore dipendente, il salario o lo stipendio da assumere a base del calcolo non è quello corrisposto al momento del sinistro, bensì quello percepito (o normalmente percepibile) al tempo della liquidazione, dovendo, peraltro, il giudice tenere anche conto di guadagni che in futuro il danneggiato avrebbe potuto realizzare secondo il normale svolgimento della vita lavorativa.

Cass. civ. n. 5337/1983

L'obbligo del risarcimento del danno, sia contrattuale che extracontrattuale, tendendo alla reintegrazione del patrimonio del danneggiato, ha natura di debito non di valuta, ma di valore, sicché il giudice, nella relativa quantificazione, deve tener conto, anche d'ufficio, e quindi indipendentemente da qualsiasi prova da parte del danneggiato stesso, della svalutazione monetaria sopravvenuta sino alla data della liquidazione.

Cass. civ. n. 3694/1983

Nella liquidazione del danno contrattuale, il lucro cessante rappresenta quanto il danneggiato avrebbe ricavato in caso di adempimento dell'obbligazione al netto delle spese, ma ciò non esclude che egli abbia diritto, qualora tali spese abbia realmente sostenuto sia pure in parte, di esserne ugualmente risarcito a titolo di danno emergente, conseguente all'inadempimento del contratto da lui subito.

Cass. civ. n. 2816/1983

In tema di liquidazione del danno patrimoniale in favore dei genitori per la morte del figlio, l'apprezzamento del giudice del merito deve fondarsi su prove o quanto meno su elementi presuntivi correlati alla personalità della vittima e non su dati del tutto al di fuori, se non contrari, alla comune esperienza della realtà sociale e familiare. (Nella specie, il giudice del merito aveva reputato ingiustificata la presunzione del futuro aiuto da parte del giovane ai genitori nella loro vecchiaia, dato l'evolversi del costume sociale nel senso di affidare i vecchi alle istituzioni pubbliche e di destinare i loro risparmi alla vita dei figli. La C.S. ritenendo illogica e contraria alla comune esperienza l'assunzione a modello di comportamento di quella che, invece, costituisce una tendenza patologica della società attuale, ha cassato sul punto la decisione sulla base del principio suenunciato).

Cass. civ. n. 2602/1983

In materia di risarcimento del danno, il lucro cessante deve essere risarcito quando sia provato che il danno si produrrà nel futuro secondo una ragionevole e fondata previsione, e non solo in caso di assoluta certezza. Tuttavia, poiché il grado di ragionevole attendibilità del prodursi del danno in futuro varia secondo le circostanze concrete, di esso deve tenersi conto ai fini della misura del risarcimento, ed in particolare per la determinazione del tasso di capitalizzazione del mancato reddito.

Cass. civ. n. 6651/1982

Il riconoscimento in favore dei genitori di un minore deceduto in conseguenza di fatto illecito, del danno futuro consistente nel venir meno delle legittime aspettative di un contributo economico a loro beneficio, non trova ostacolo nella circostanza che i genitori medesimi abbiano, al momento, adeguate fonti di reddito, essendo sufficiente che la complessiva valutazione degli elementi dei caso concreto, con ricorso anche ai dati ricavabili dal notorio e dalla comune esperienza, evidenzi il suddetto pregiudizio in termini di verosimiglianza e possibilità, secondo i criteri di normalità, in relazione a presumibili bisogni futuri.

Cass. civ. n. 6234/1982

La valutazione del danno patrimoniale sofferto per invalidità personale da una persona dedita ad un'attività lavorativa, una volta provato il pregiudizio e la sua dipendenza dal fatto dannoso, deve sempre basarsi su di una situazione reale da prendere come punto di riferimento, trovando il risarcimento del danno da fatto illecito — che ha la funzione di reintegrare il patrimonio del danneggiato nello stesso stato in cui si sarebbe trovato senza l'evento lesivo — il suo presupposto e limite nell'effettiva perdita subita, da determinare sulla base di un dato certo. Conseguentemente, il giudice del merito deve considerare la concreta misura del guadagno goduto dal danneggiato, senza potere sostituire tale dato con quello del salario spettante in astratto ai lavoratori della categoria cui il danneggiato stesso appartenga.

Cass. civ. n. 4816/1982

Poiché il risarcimento del danno da inadempienza contrattuale tende a ristabilire l'equilibrio economico turbato, mettendo il creditore nella stessa situazione economica nella quale si sarebbe trovato se l'inadempienza non si fosse verificata, anche l'obbligazione risarcitoria derivante da danno per lucro cessante è sensibile al fenomeno della svalutazione monetaria, la quale concreta una causa di aggravamento del depauperamento del creditore ed opera sia quando gli effetti negativi dell'inadempimento siano consistiti in una perdita di valore, sia quando siano consistiti in una perdita di valuta.

Cass. civ. n. 4397/1982

Poiché in tema di inadempimento contrattuale il risarcimento riveste natura e svolge funzione sostitutiva della prestazione mancata e gli effetti della situazione pregiudizievole permangono fino a che il danno non sia risarcito, ossia fino alla data della sentenza, se la riparazione sia stata richiesta al giudice, il pregiudizio derivante dalla mancata acquisizione di un bene deve essere risarcito con la prestazione del suo equivalente in denaro, determinato con riferimento al momento in cui avviene la liquidazione e non a quello in cui si determina la violazione contrattuale.

Cass. civ. n. 3020/1982

In sede di liquidazione del danno di un soggetto rimasto coinvolto in un incidente stradale deve tenersi conto, per ciò che concerne l'invalidità temporanea, dei mancati guadagni relativi al periodo corrispondente alla sua durata, salvo adeguamento dei valori monetari al tempo della liquidazione stessa e, per ciò che concerne l'invalidità permanente, di tutti gli elementi — anche esulanti dall'attualità dei guadagni del soggetto — che comunque possono concorrere a formare un giudizio presuntivo sul guadagno futuro, da assumere come base per la liquidazione equitativa del danno da lucro cessante.

Cass. civ. n. 2196/1982

Poiché il diritto al risarcimento del danno si concretizza nel momento in cui si verifica l'evento dannoso, è in quel momento che deve essere constatata l'ampiezza del pregiudizio subito dal danneggiato, ancorché la liquidazione — cioè la determinazione dell'equivalente monetario del danno — debba essere fatta con riferimento all'epoca in cui la sentenza di condanna viene pronunciata.

Cass. civ. n. 1084/1982

Fuori dei casi in cui è obbligatoria, l'applicazione dei cosiddetti indici I.S.T.A.T. nel calcolo della svalutazione monetaria è rimessa alla prudente discrezionalità del giudice del merito, salvo che la parte alleghi e documenti i suddetti indici, importando questo la necessità di specifica e congrua motivazione nel caso di loro disapplicazione. Conseguentemente, ove tale allegazione non sia stata effettuata, l'applicazione in concreto degli indici di svalutazione da parte del giudice del merito non può essere soggetta al sindacato di legittimità sotto il profilo dell'inosservanza dei limiti parametrici dei suddetti indici.

Cass. civ. n. 442/1982

Il risarcimento del danno da invalidità parziale permanente decorre dal momento della cessazione della invalidità temporanea e non dall'epoca dell'incidente.

La liquidazione del danno futuro, derivante dalla diminuzione della capacità lavorativa, è necessariamente fondata su di una valutazione approssimativa dei redditi che il danneggiato potrebbe realizzare se non fosse intervenuto l'evento dannoso; tuttavia la previsione del pregiudizio futuro deve poggiare non su mere supposizioni, ma su una situazione oggettiva già in atto e tale da costituire, secondo l'id quod plerumque accidit, causa efficiente dell'incremento patrimoniale venuto a mancare.

Cass. civ. n. 179/1982

La determinazione della misura della svalutazione monetaria, ai fini del risarcimento del danno da fatto illecito, è rimessa all'apprezzamento discrezionale del giudice del merito, ma, ove quest'ultimo non ritenga di avvalersi dell'indice calcolato dall'I.S.T.A.T., il relativo accertamento deve essere sorretto da sufficiente motivazione, che non può esaurirsi nella mera asserzione della ritenuta equità della determinazione adottata, senza alcun riferimento ad elementi specifici che ne consentano il controllo in sede di legittimità.

Cass. civ. n. 6630/1981

Il risarcimento di danni futuri conseguenti alla morte di un congiunto, dovuta a fatto illecito, è ammissibile solo in relazione all'accertata probabilità di sovvenzioni durevoli e costanti di cui i superstiti avrebbero beneficiato in difetto dell'evento lesivo, mentre va escluso ove sussista una mera eventualità di un'ipotetica realizzazione di tale beneficio. (In applicazione di tale principio è stata nella specie ritenuta sufficientemente motivata la sentenza con la quale i giudici del merito avevano negato il diritto al risarcimento di danni futuri, in considerazione della giovane età dei genitori della vittima di un incidente stradale e delle loro buone condizioni economiche derivanti dall'esercizio di un'impresa con numerosi dipendenti).

Cass. civ. n. 4137/1981

Nella liquidazione del danno per la morte violenta del genitore a favore dei figli minori, il raggiungimento, da parte di questi ultimi, della maggiore età o dell'idoneità al lavoro produttivo non segna un limite invalicabile della risarcibili stante l'aspettativa dei superstiti di poter beneficiare degli eventuali risparmi che il defunto avrebbe costituito sul reddito realizzato, aspettativa ancorata non solo al sentimento affettivo, più o meno intenso, del familiare, ovvero alla consuetudine sociale, bensì anche all'istituto della successione necessaria previsto e regolato dal codice civile.

Cass. civ. n. 2380/1978

In tema di risarcimento del danno, la determinazione del lucro cessante va desunta dalla ricostruzione ideale di quanto il creditore avrebbe conseguito per normale successione di eventi, in base ad una ragionevole e fondata attendibilità, qualora l'obbligazione fosse stata adempiuta; ma siffatta ricostruzione non può essere suffragata sul solo piano ipotetico dell'astratta possibilità di lucro, bensì deve muovere da una situazione concreta, che consenta di ritenere fondata ed attendibile quella possibilità.

Cass. civ. n. 1055/1978

In materia di danni da mancato lucro, l'obbligo degli interessi compensativi decorre normalmente dal momento di verificazione delle singole perdite e ciò per evitare un'indebita corresponsione di interessi su somme che il danneggiato non avrebbe ancora realizzato.

Cass. civ. n. 1047/1978

Mentre gli interessi di mora, configuranti il risarcimento del danno cagionato dall'inadempimento colpevole di obbligazione pecuniaria, si ricollegano ad un titolo e ad una domanda autonoma rispetto a quella inerente all'obbligazione principale, gli interessi compensativi sulle somme liquidate a titolo di risarcimento del danno, per il ritardato conseguimento del suo equivalente in denaro, costituiscono una componente del danno stesso e della relativa domanda. Pertanto, l'omessa pronuncia sulla richiesta di interessi, se non assume, in difetto d'impugnazione, autorità di giudicato con riguardo agli interessi moratori, per difetto di accertamento sulla sussistenza o meno del corrispondente diritto, spiega tale effetto con riguardo agli interessi compensativi, in quanto coperti dalla sentenza che abbia provveduto sulla domanda di risarcimento e sull'entità complessiva del danno.

Cass. civ. n. 815/1978

Al fine della liquidazione del danno derivante ai congiunti di persona deceduta per fatto illecito altrui, la percentuale di scarto fra vita fisica e vita lavorativa, da detrarsi dalla capitalizzazione del reddito annuo, è per sua natura variabile, in quanto si ricollega anche alla situazione particolare di ciascun soggetto ed al tipo di lavoro dal medesimo svolto. In particolare, nelle cosiddette libere professioni, detta percentuale deve ritenersi inferiore rispetto ad altre attività, tenendo conto della minore incidenza dell'usura fisica sull'intensità e produttività di prestazioni intellettuali, che si affinano con l'esperienza e gli studi per l'aggiornamento professionale.

Cass. civ. n. 4201/1977

Il principio in base al quale il debito di risarcimento del danno per fatto illecito, quale debito di valore, va liquidato tenendo conto, anche d'ufficio ed in grado d'appello, della svalutazione monetaria verificatasi fra la data del fatto e quella della decisione, non soffre deroga nel caso in cui quest'ultima risulti preceduta da una offerta non formale dell'obbligato, congrua in relazione all'epoca dell'offerta medesima, in quanto l'indicata rivalutazione non costituisce il riconoscimento di un maggiore od ulteriore danno, ma un mero adeguamento nominale della prestazione risarcitoria, necessario al fine dell'effettiva reintegrazione del patrimonio del danneggiato.

Cass. civ. n. 3700/1977

Il risarcimento del danno è dovuto non per effetto del (solo) mero inadempimento, ma del pregiudizio patrimoniale da esso provocato. Se, pertanto, i predetti elementi perfezionativi della fattispecie si verificano a distanza di tempo, il risarcimento del danno è disciplinato dalla legge in vigore quando la fattispecie è completa nei suoi elementi, non dalle leggi vigenti nel tempo in cui ciascuno di essi venne in essere.

Cass. civ. n. 2268/1977

Il risarcimento del danno da fatto illecito ha la funzione di porre il patrimonio del danneggiato nello stesso stato in cui si sarebbe trovato senza l'evento lesivo, e, quindi, trova presupposto e limite nell'effettiva perdita subita da quel patrimonio, in conseguenza del fatto stesso. Pertanto, in tema di danni conseguenti ad incidente stradale, le spese sostenute per la riparazione del veicolo sono risarcibili solo nella misura corrispondente all'obiettivo costo della riparazione medesima, desumibile dai prezzi normalmente praticati in una determinata zona, mentre non possono far carico al responsabile le somme che il danneggiato abbia erogato in misura superiore a quel costo, salvo che quest'ultimo dimostri la ricorrenza di particolari ragioni giustificative del maggiore esborso (quale, ad esempio, la necessità di rivolgersi ad un'unica officina di riparazioni).

Cass. civ. n. 2203/1977

In tema di risarcimento del danno, gli interessi sulle somme liquidate a titolo di rimborso di spese decorrono non dalla data della produzione dell'evento dannoso, ma da quella dell'effettiva erogazione.

Cass. civ. n. 1481/1977

In tema di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale, la liquidazione del lucro cessante va effettuata, nell'impossibilità od estrema difficoltà del creditore di provarne il preciso ammontare, in base ad una ideale ricostruzione degli utili che il creditore medesimo, per normale successione degli eventi ed in base a ragionevole prevedibilità, avrebbe conseguito qualora l'obbligazione fosse stata puntualmente adempiuta.

Cass. civ. n. 3140/1976

Quando oggetto del giudizio è il risarcimento dei danni derivanti dall'inadempimento di obbligazione contrattuale non pecuniaria e nella citazione è indicata la somma corrispondente alla prestazione inadempiuta, il giudice di merito può condannare ex officio la parte inadempiente al pagamento degli interessi legali sulla detta somma dal momento della domanda giudiziale, in quanto essi rappresentano un elemento di danno da liquidare. Tale principio è applicabile quando il danno siasi maturato anteriormente alla domanda e gli interessi legali sulla somma ad esso equivalente rappresentino voce compensativa per il ritardato pagamento. Il principio stesso è, invece, inapplicabile quando il risarcimento, liquidato globalmente, contempli anche i danni verificatisi successivamente alla instaurazione del giudizio.

Cass. civ. n. 1519/1976

Nella liquidazione del danno emergente, per un lavoratore dipendente, possono essere assunti a base del calcolo i valori medi di ciascuna categoria professionale, che ben possono essere considerati notori dal giudice, stante la diffusione delle rilevazioni statistiche in materia socio-economica, e ben possono comprendere, oltre al salario base, anche i compensi sussidiari a carattere continuativo.

Cass. civ. n. 1067/1976

Gli interessi compensativi si differenziano sia da quelli moratori che da quelli corrispettivi poiché non sono ancorati né alla mora né alla scadenza di un'obbligazione pecuniaria, ma mirano unicamente a compensare il creditore per il mancato godimento di una somma di danaro; in considerazione della loro struttura essi possono essere liquidati anche d'ufficio, dovendosene ritenere implicita la richiesta nella domanda relativa all'obbligazione principale, cosicché il giudice che li concede - in mancanza di esplicita richiesta - non incorre nel vizio di extrapetizione.

Cass. civ. n. 3982/1975

Al fine della valutazione e liquidazione dei danni, i preventivi di spesa, con l'indicazione specifica dei prezzi dei lavori e delle merci, possono essere utilizzati dal giudice del merito come elementi di prova per la formazione del suo convincimento.

Cass. civ. n. 3619/1975

Il danno patrimoniale che deve essere risarcito, quale conseguenza di una lesione personale che riduce la capacità di lavoro e di guadagno del danneggiato, si identifica nel lucro cessante e nel mancato guadagno, e questo non può mai confondersi con i ricavi dell'attività economica, la cui riduzione è conseguenza della subita lesione, ma si identifica invece nella sola differenza fra i ricavi ed i costi. In particolare, il reddito di un professionista deve essere calcolato non al lordo, ma al netto delle spese inerenti all'esercizio professionale, prendendosi fra l'altro in considerazione, sia pure in via indiziaria, anche le risultanze fiscali.

Cass. civ. n. 1175/1974

Gli interessi sulle somme liquidate a titolo di danni causati da fatto illecito hanno natura compensativa, e non moratoria, per cui decorrono non dalla costituzione in mora, ma dalla data in cui l'evento ebbe a verificarsi. Soltanto nell'ipotesi in cui il danno sia stato liquidato equitativamente in una somma globale, e senza detrazione degli interessi a scalare corrispondenti all'anticipata erogazione del capitale, gli interessi sulla somma stessa decorrono non dalla data del fatto illecito, bensì da quella della liquidazione, cioè dalla pubblicazione della sentenza, e non già dalla domanda. Gli interessi sulle somme liquidate a titolo di rimborso delle spese funebri e delle riparazioni di un'autovettura decorrono, invece, dalla date in cui ciascuna delle dette erogazioni è stata rispettivamente effettuata.

Cass. civ. n. 619/1974

In tema di determinazione del quantum risarcibile, la liquidazione del danno non deve essere necessariamente contenuta entro i limiti del valore del bene danneggiato, ma deve avere per oggetto l'intero pregiudizio che dal danneggiamento è derivato al creditore, in quanto il risarcimento è diretto alla completa restitutio in integrum (in forma specifica o per equivalente) del patrimonio del danneggiato. Né, chiesto ed ottenuto il risarcimento per equivalente in una somma che superi il valore del bene danneggiato, il debitore che ha cagionato il danno può dolersi, sotto il profilo di un ingiustificato arricchimento, che il danneggiato, invece di utilizzare il tantundem assegnatogli dal giudice per eliminare la causa e le conseguenze del danno, preferisca impiegarlo ad altri fini.

Cass. civ. n. 599/1974

La liquidazione del danno — anche quando sia intervenuta una pronunzia di condanna generica passata in giudicato — consiste nella determinazione di un debito di valore e, come tale, deve corrispondere al valore del bene non nel momento in cui questo è stato leso, ma, per quanto è possibile, nel momento in cui essa viene effettuata. Pertanto, ai fini di tale liquidazione si deve tener conto anche di tutti gli eventuali fattori, sopravvenuti durante il corso del giudizio di appello, i quali abbiano comportato un aggravio, ovvero una riduzione del danno originario.

Cass. civ. n. 556/1974

L'essere il danneggiato tenuto ad una erogazione futura di denaro a seguito del fatto illecito subito (nella specie per il pagamento, non ancora eseguito, delle prestazioni mediche ed ospedaliere ricevute) costituisce elemento del danno risarcibile, quando detta erogazione abbia carattere di certezza e possa ritenersi potenzialmente già verificata e sostanzialmente inevitabile.

Cass. civ. n. 916/1973

In tema di risarcimento del danno per mancato lucro futuro, il giudice, come in ogni valutazione del danno, deve compiere un processo logico che si articola in due fasi distinte: la prima relativa alla certezza del danno, la seconda relativa alla sua quantificazione, mentre quando il danno deriva dalla perdita di un bene o, comunque, dal venir meno di una situazione di vantaggio, la certezza della sua esistenza è in re ipsa, per cui resta solo il problema della sua concreta determinazione, per la quale il giudice deve trarre argomento dalle prove dedotte, ricorrendo, se del caso, a criteri equitativi; quando si tratta, invece, di danni consistenti nel mancato sorgere di una situazione di vantaggio, anche il problema dell'esistenza del danno deve essere risolto unicamente sul piano della prova.

Cass. civ. n. 3477/1971

Nella liquidazione del danno patrimoniale derivante dalla morte di congiunti, basata sulle tariffe per la costituzione delle rendite vitalizie immediate approvate con R.D. 9 ottobre 1922, n. 1403, non è applicabile la detrazione per il cosiddetto scarto tra vita fisica e lavorativa nel caso di vittima che quale funzionario statale, avrebbe avuto diritto a pensione all'atto del collocamento a riposo per limiti di età salva la valutazione ai fini della determinazione del reddito medio da capitalizzare, della differenza di importo tra pensione e stipendio.

Cass. civ. n. 3475/1971

Se il congiunto superstite è più anziano del defunto, la liquidazione del danno va rapportata alla presunta durata della vita del primo.

Cass. civ. n. 2190/1971

Nella responsabilità contrattuale concorrono a perfezionare la fattispecie produttiva del diritto al risarcimento un fatto costituente violazione di un'obbligazione contrattualmente assunta, un concreto danno ed il rapporto di causalità fra tali due entità.

Il fenomeno del risarcimento del danno e gli elementi di cui dipende il relativo diritto sono sostanzialmente identici nella responsabilità contrattuale e in quella extracontrattuale, distinguendosi le due forme di responsabilità essenzialmente per la natura della norma violata.

Cass. civ. n. 468/1971

In materia di liquidazione del danno da invalidità permanente, le Tabelle di capitalizzazione del reddito, approvate con R.D. n. 1403 del 1922, non soltanto non corrispondono al mero cumulo dei redditi annuali futuri (donde non è necessario detrarre gli importi corrispondenti alle ferie ed alle festività), ma rappresentano il risultato di un complesso calcolo attuariale, il quale comprende anche il computo degli interessi a scalare sulla somma corrispondente al valore attribuito alla rendita. Di talché, sul minore importo ottenuto spettano al danneggiato gli interessi legali dal momento nel quale tale importo è stato determinato.

Cass. civ. n. 136/1970

Il principio secondo cui, in presenza di una generica domanda di risarcimento di danni, debba considerarsi implicitamente compresa la domanda di liquidazione degli interessi compensativi, non trova applicazione nel caso in cui il danneggiato abbia indicato specificamente nel suo ammontare il danno complessivo (comprensivo sia del danno vero e proprio, sia del danno interesse) o abbia formulato la domanda in modo che detto ammontare possa essere determinato con una semplice operazione aritmetica.

Cass. civ. n. 774/1969

Poiché la norma dell'art. 1223 c.c., richiamata dall'art. 2056 dello stesso codice, indica come componenti del danno la perdita subita ed il mancato guadagno in quanto siano conseguenza immediata e diretta del fatto dannoso, il concetto di «reddito di cui goda il danneggiato» è estraneo ai criteri di determinazione del danno, dovendosi invece aver riguardo a quelle diminuzioni o a quei mancati incrementi del suo patrimonio che, rispetto al fatto, si trovino in rapporto di causa ad effetto. Pertanto, non deve prendersi in considerazione il trattamento pensionistico di cui, per la sua preesistente invalidità godeva il soggetto passivo del fatto illecito all'epoca in cui questo si è verificato, perché il fatto stesso non può avere avuto come conseguenza la perdita o la diminuzione della pensione anzidetta; invece il danno deve essere determinato in base alla menomazione della capacità di guadagno che il pensionato poteva ancora avere nelle sue condizioni di invalido e alla sua età.

Cass. civ. n. 6269/209

In tema responsabilità del datore di lavoro per gli infortuni sul lavoro, il danno da fatto illecito deve essere liquidato sottraendo dall'ammontare del danno risarcibile l'importo dell'indennità che il danneggiato-assicurato abbia riscosso in conseguenza di quel fatto (nella specie rendita Inail, pensione privilegiata ed incentivo all'esodo agevolato), in quanto tale indennità è erogata in funzione di risarcimento del pregiudizio subito dall'assicurato in conseguenza del verificarsi dell'evento dannoso ed essa soddisfa, neutralizzandola in tutto o in parte, la medesima perdita al cui integrale ristoro mira la disciplina della responsabilità del terzo autore del fatto illecito. (Rigetta, CORTE D'APPELLO ROMA, 12/10/2016).

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Consulenze legali
relative all'articolo 1223 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

E. P. chiede
lunedì 22/01/2024
“Buonasera, ho attualmente in essere un rapporto con una logistica regolamentato da due contratti distinti: uno di deposito stipulato in data 18/05/2009 e l'altro di trasporto, stipulato in data 26/05/2009. Entrambi i contratti non sono mai stati negli anni esplicitamente rinnovati, ma si sono sempre comunque applicate le condizioni in essi contenute, salvo rivedere periodicamente le tariffe unitarie, previa comunicazione tramite mail. Nel contratto di deposito, la cui gestione è sempre stata fatturata mensilmente con l'addebito della giacenza media dei pallets stoccati, era previsto un minimo di pallets fatturabili pari a 120, quantitativo mai negli anni modificato. Per tutto il 2009 e il 2010 è stato rispettato il minimo di 120 pallets mensili, dal momento che la giacenza media è sempre stata al di sotto, salvo alzarlo senza preavviso inspiegabilmente a 153 a partire dal 2011. Dal 2011 sino ad ora pertanto tutti i mesi hanno fatturato 153 bancali, quando la giacenza media era abbondantemente al di sotto dei 120. Purtroppo il contratto è stato stipulato da un soggetto che non è più da tempo nella nostra azienda e solo recentemente ci siamo accorti dell'incongruenza tra quanto contenuto nel contratto e quanto da loro per anni fatturato. Da calcoli effettuati, abbiamo stimato che la cifra estorta in eccesso è pari a circa 30.000,00 euro. Tramite un legale abbiamo inviato una diffida per la restituzione delle cifre indebitamente fatturate, ma la risposta del loro avvocato è stata che la maggior parte delle fatture è caduta in prescrizione. E' realmente così? Trattandosi il contratto di deposito similare al contratto di somministrazione, la prescrizione non è dopo 10 anni? Il nostro legale afferma che la questione è abbastanza controversa e che dipende dalla valutazione del giudice, per cui prima di continuare in un'eventuale azione legale volevo sentire un ulteriore parere. Grazie.”
Consulenza legale i 01/02/2024
Il presente parere viene redatto considerando solo l’aspetto della prescrizione poiché non si conosce il contenuto del contratto di deposito e le variazioni avvenute con comunicazioni tra le parti susseguitesi per più di 10 anni.

Il contratto di deposito del caso di specie, non essendo gratuito, è da considerarsi come un contratto a prestazioni corrispettive, costituito dalle obbligazioni di custodia e di pagamento del compenso.

Sembra che la controversia riguardi una condotta scorretta da parte del depositario che ha aumentato arbitrariamente il valore del minimo di pallets fatturabili depositati presso il proprio magazzino.

A parere dello scrivente, quindi, la questione della prescrizione va affrontata in termini di responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c.
Infatti, il depositario non ha eseguito correttamente la prestazione poiché ha fatturato un importo maggiore rispetto a quello che ne sarebbe dovuto derivare dagli accordi contrattuali.
In questo modo sembrerebbe aver causato un danno al depositante per il quale sorgerebbe il diritto al risarcimento del danno ai sensi dell’art. 1223 del c.c. come danno emergente.

Il diritto alla richiesta di risarcimento danni contrattuale si prescrive in 10 anni dal momento in cui il diritto può essere fatto valere.
A tal proposito si richiama l’art. 2958 del c.c. che stabilisce che la prescrizione continua a decorrere anche quando la prestazione sia continuata nel tempo.
Si ritiene, quindi, che dal momento in cui è stata emessa la fattura da parte del depositario sorga il diritto della controparte a chiedere la risoluzione del contratto e/o il risarcimento del danno, non influendo il fatto che il rapporto contrattuale sia continuato e si siano susseguite altre prestazioni in forza del medesimo contratto.
Ne consegue che per le fatture precedenti al 2014 è verosimile che sia intervenuta la prescrizione ma per quelle successive no, e il risarcimento del danno può ancora essere richiesto.

Si ritiene utile, in ogni caso, rivolgersi al legale di fiducia per valutare se, in base alla documentazione disponibile, non sia intervenuta un’acquiescenza espressa o tacita da parte dell’azienda nell’aumentare il valore del minimo di pallets fatturabili.



AURORA A. G. chiede
giovedì 12/08/2021 - Sicilia
“Un mio cliente lavoratore, con diritto all'assicurazione sociale (INAIL), in vita aveva stipulato una polizza infortuni con un'assicurazione privata, che prevedeva tra l'altro un risarcimento in ipotesi di morte a seguito di un infortunio sul lavoro.
Accaduto purtroppo l'infausto evento, l'assicurazione privata non vuole risarcire gli eredi ritenendo che debba provvedervi l'ente pubblico. Chiedo: può invocarsi il cumulo tra i due risarcimenti o quello dell'Inail esclude (parzialmente o totalmente) l'altro? Grazie.”
Consulenza legale i 24/08/2021
Per il nostro ordinamento, non è ammissibile che il danneggiato (o i suoi eredi) conseguano due volte la riparazione del medesimo pregiudizio subito (cosiddetto "principio indennitario"), sicché le somme che gli eredi si siano visti liquidare dall'INAIL vanno decurtate dall'importo dovuto dall’assicurazione privata.

Pertanto, non sarà possibile invocare il cumulo dei due risarcimenti.

Tuttavia, gli eredi potranno chiedere il c.d. danno differenziale, ovvero la differenza tra il danno complessivo subito dal lavoratore e/o dai superstiti, risarcibile dall’assicurazione privata, e l’indennizzo già corrisposto dall’Inail.

In altri termini, l’assicurazione privata sarà tenuta a pagare tutti quei pregiudizi che non siano stati indennizzati dall’assicurazione obbligatoria, sempre che previsti dal contratto di assicurazione sottoscritto.


Pasquale V. chiede
venerdì 11/01/2019 - Campania
“condominio : contesto tre edifici con antistante piazzale condominiale aperto al pubblico, sottostante locali galleria commerciale,facente parte dello stesso condominio, chiusi per inagibilità (inagibilità certificata al comune con relativa riduzione della tassa) a causa infiltrazioni dal piazzale sovrastante, condominio che da oltre cinque anni non riesce a dar corso ai lavori ultimamente deliberati , per impugnative di singoli condomini.
Minacciato il condominio di richiesta danni, si può eventualmente richiedere con una procedura rapida il rimborso degli ultimi 5 anni della tassa IMU pagata dalla società proprietaria dei locali nella galleria commerciale, e successivamente procedere con una richiesta di danni per il mancato utilizzo dei locali procedura più complicata per la quantificazione del danno sofferto”
Consulenza legale i 16/01/2019
La responsabilità da cose in custodia è una particolare forma di responsabilità espressamente prevista dal nostro codice civile all’art. 2051. del c.c. Si rimanda alle lettura integrale della norma.
Al fine di ottenere sentenza di condanna al risarcimento, il soggetto che ritiene di aver subito un danno da cose in custodia deve provare, oltre al danno ingiusto sofferto, anche il nesso causale che intercorre tra la cosa e il pregiudizio patito dal soggetto danneggiato: in altre parole si deve dimostrare che tale pregiudizio sia conseguenza immediata e diretta della cosa soggetta a custodia.

Non tutte le cose sono idonee a fondare la responsabilità di cui all’art.2051 del c.c.: l’oggetto deve definirsi pericoloso. Nel concetto di: “cosa pericolosa” la giurisprudenza fa rientrare, senza particolari problemi interpretativi, oggetti, siano essi mobili o immobili, che possano considerarsi pericolosi, secondo il comune sentire: si pensi ad esempio ad una centrale nucleare o ad un' animale feroce o velenoso. Tuttavia, anche una cosa di per sé innocua, come per esempio un piazzale condominiale, può considerarsi pericoloso nell’ottica della responsabilità di cui all’art.2051 del c.c. La giurisprudenza ha parlato in questo senso di “fattore di dinamismo della cosa “o di “insorgere di un elemento dannoso”, cioè di quel fattore, che rende una cosa, di per sé innocua, pericolosa. In questo senso un esempio molto calzante è il piazzale condominiale, oggetto di per sé inerte ma che è divenuto pericoloso, e quindi fonte di danni, proprio per l’incuria in cui versa la sua copertura, la quale ha portato alla inagibilità dei locali ad esso sottostanti.

Un ulteriore elemento che deve sussistere ai fini della responsabilità di cui all’art.2051 del c.c. è una relazione di custodia tra il bene e il soggetto chiamato a rispondere dei danni. La giurisprudenza ritiene che al fine di rispondere dei danni cagionati dalla cosa, il danneggiante deve avere con essa una detenzione qualificata, tale per cui viene consentito al custode, attraverso l’esperimento delle, di escludere eventuali terzi soggetti dall’ingerenza sul bene, questo sia a titolo precauzionale prima del sorgere del danno, sia nel momento stesso in cui il danno si produce.
La giurisprudenza assolutamente prevalente ritiene che il condominio abbia nei confronti delle parti comuni dell’edificio, una detenzione qualificata idonea a fondare una sua responsabilità ex art 2051 del c.c., qualora l’incuria delle parti comuni abbia causato danni o a terzi, o alle stesse parti dell’edificio in proprietà esclusiva ai singoli condomini.

Venendo a trattare il caso proposto, il danno che potrà essere richiesto al condominio dai proprietari dei locali commerciali sottostanti è sicuramente il danno patrimoniale, danno causato dalla incuria in cui versa la copertura del piazzale condominiale.

Il danno patrimoniale si compone di due principali elementi: il danno emergente e il lucro cessante.
- il danno emergente è quello per cui un soggetto, a causa dell’illecito, non può più godere nella propria sfera patrimoniale di un beneficio di cui già usufruiva (quindi subisce una diminuzione, un depauperamento);
- il lucro cessante è quel danno derivante dal fatto che il soggetto non potrà, in futuro, più godere dei vantaggi futuri che discendevano dalla situazione patrimoniale antecedente al danno.

Nel caso, ad esempio, dei locali commerciali inagibili, il danno emergente è rappresentato dal danno derivante ai locali, dalla perdita delle merci, oppure dal dover continuare comunque a corrispondere l’imposta sulla proprietà o l’imposta sui rifiuti di un locale all'oggi inutilizzabile. Il lucro cessante invece è rappresentato dai mancati guadagni causati dalla inagibilità dei locali.
È innegabile che in giudizio il danno emergente è assolutamente più agevole da dimostrare del lucro cessante, il quale presuppone una valutazione prognostica dei guadagni che si potrebbero realizzare qualora i negozi fossero assolutamente agibili e funzionanti.

Vi è da dire però che non è consigliabile agire in giudizio con due separati procedimenti, anche iscritti a ruolo in un tempo distante l’uno dall’altro, al fine di veder condannato il condominio prima a ristorare il danno emergente e poi il lucro cessante. Tali voci di danno, infatti, non possono considerarsi autonome e distinte obbligazioni risarcitorie, ma aspetti differenti della medesima ed unica obbligazione risarcitoria, la quale una volta liquidata dal giudice, andrà a ristorare il danneggiato dell’intero danno patrimoniale subito.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con l’importante sentenza n.4090 del 16.02.2017 hanno statuito che: "non è consentito al creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di "un unico rapporto obbligatorio", frazionare il credito in plurime richieste giudiziali di adempimento, contestuali o scaglionate nel tempo, con unilaterale aggravamento della posizione del debitore, perché si pone in contrasto sia con il principio di correttezza e buona fede sia con il principio costituzionale del giusto processo, in quanto la parcellizzazione della domanda diretta alla soddisfazione della pretesa creditoria si traduce in un abuso degli strumenti processuali che l'ordinamento offre alla parte, nei limiti di una corretta tutela del suo interesse sostanziale.

In conseguenza di tale importantissima sentenza se si frazionasse la richiesta risarcitoria in autonomi e distinti procedimenti, l’avvocato del condominio avrebbe gioco facile nel paralizzare l'azione risarcitoria eccependo un uso improprio e contrario ai principi di buona fede dei mezzi processuali messi a disposizione dall’ordinamento. È evidente che ciò comporterebbe una evitabile complicazione della vertenza giudiziaria a svantaggio della parte attrice richiedente il risarcimento.
Il frazionare la richiesta risarcitoria in più procedimenti inoltre comporta, da un punto di vista del rito processuale, l’instaurazione, innanzi al medesimo organo giudiziario, di due procedimenti connessi per oggetto e titolo ex art. 40 c.p.c. i quali potranno essere facilmente riuniti su semplice richiesta dell’avvocato di controparte.

Roberto G. chiede
giovedì 12/04/2018 - Marche
“Dopo aver pagato l'ultimo canone mensile del contratto di locazione finanziaria (stipulato nel maggio 2005) la mia società immobiliare (utilizzatrice) ha proceduto tempestivamente, a seguito di apposita richiesta pervenuta dalla società di leasing (concedente) nello scorso ottobre 2017, a versare a quest'ultima il corrispettivo di riscatto della proprietà dell'immobile locato unitamente all'invio di tutta la documentazione contabile e amministrativa richiesta. A distanza di quasi quattro mesi - febbraio 2018 - dall'invio di quanto sopra la società di leasing non aveva ancora provveduto a trasferire (atto di compravendita) l'immobile alla mia immobiliare. Con n.2 PEC del febbraio scorso (7 e 17 febbraio) ho intimato alla società di leasing - con la seconda delle quali PEC ho assegnato alla società di leasing un termine perentorio per il perfezionamento dell'atto di trasferimento della proprietà - di procedere all'atto de quo, ma la società non ha replicato alcunché. Nelle more di tutto ciò, qualche giorno dopo aver pagato il corrispettivo di riscatto ed inviato tutta la documentazione richiesta (ottobre 2017) ho provveduto ad affidare ad un'agenzia immobiliare il compito di vendere l'immobile dando per scontato, all'epoca, che la società di leasing mi avrebbe di lì a poco trasferito la proprietà del bene, e il 16 marzo scorso l'agenzia incaricata ha ricevuto una proposta di acquisto dell'immobile ad un prezzo estremamente remunerativo rispetto ai valori medi di mercato della zona (Euro 380 mila, prezzo offerto, contro un valore di mercato del bene che si aggira attorno agli Euro 330 mila circa). Con la sottoscrizione della proposta di acquisto il proponente acquirente ha depositato presso l'agenzia un assegno bancario di Euro 30.000,00 a titolo di caparra confirmatoria (assegno che comunque ho lasciato in deposito presso l'agenzia, decidendo di negoziare il titolo soltanto alla data di stipula dell'atto di compravendita assieme alla riscossione del saldo del corrispettivo di vendita pattuito). Ho ovviamente accettato la vantaggiosissima proposta di acquisto, proposta che però prevede come data ultima per la stipulazione dell'atto di compravendita il 16 aprile 2018. Ho quindi inviato in data 17 marzo (un giorno dopo aver ricevuto la notizia della proposta d'acquisto depositata in agenzia) una terza PEC alla società di leasing assegnando il termine perentorio del 27 marzo per perfezionare l'atto di trasferimento a mio favore dell'immobile. La società di leasing, nuovamente, non ha replicato alcunché. In data 5 aprile 2018 ho ricevuto una e-mail (non una PEC) da uno Studio notarile di Milano che mi comunica che la bozza dell'atto di compravendita (cedente società di leasing, cessionario mia società immobiliare) è ultimata e che verrà trasmessa al Notaio di mia fiducia, residente nella mia città, perché venga raccolta la mia firma per poi reinviare l'atto così sottoscritto al Notaio di Milano il quale perfezionerà l'atto con la firma della venditrice società di leasing, lo registrerà e trascriverà. Nel frattempo, il 9 aprile scorso, sono riuscito ad ottenere dal proponente acquirente una proroga al 26 aprile 2018 per la stipula dell'atto di compravendita dell'immobile, e quindi sempre in data 9 aprile 2018 ho inviato una quarta PEC alla società di leasing, e p.c. ai due Notai (ugualmente PEC) sottolineando che qualora entro il 16 aprile - stabilito come termine perentorio - non mi perverrà l'atto di compravendita perfezionato con le annotazioni di registrazione e trascrizione la mia società immobiliare subirebbe un gravissimo danno (non ho precisato le ragioni del termine assegnato, ovvero della mia esigenza di trasferire l'immobile a terzi, non ho creduto di dovermi giustificare con la società di leasing che è, e continua ad essere, colpevolmente in ritardo). Ad oggi non ho ricevuto né alcuna replica dalla società di leasing, né la convocazione dal Notaio della mia città che deve raccogliere la mia firma sull'atto di compravendita (ho chiamato lo studio del Notaio, fino alla prossima settimana sarà impossibile esaminare la bozza dell'atto e convocarmi per la sottoscrizione), né alcuna replica o notifica o informativa da parte del Notaio di Milano.
Precisato che l'art.15 del contratto di locazione finanziaria, che disciplina l'esercizio del diritto di riscatto della proprietà, non prevede termine alcuno entro il quale la locatrice debba trasferire la proprietà del bene e che si articola, detto art.15, solo e soltanto nel precisare che il trasferimento della proprietà non avverrà qualora l'utilizzatore non sia in regola con il pagamento di tutto quanto dovuto in forza del contratto e che tutti gli oneri (imposte tasse onorari notarili ecc.) per il trasferimento della proprietà sono a carico dell'utilizzatore/cessionario; e precisato ulteriormente che l'art.1341 Cod.Civ., ai sensi del quale è stato ulteriormente sottoscritto il contratto di locazione finanziaria, investe e può investire, ad avviso di chi scrive, il contenuto del sopracitato art.15 del contratto solo nella parte in cui esso prevede appunto "limitazioni di responsabilità" o "facoltà di sospenderne l'esecuzione" (ovvero, quanto al contenuto dell'art.15 del contratto, il diritto della società di leasing a non trasferire la proprietà del bene in caso di qualsivoglia morosità contrattuale dell'utilizzatore ancora non sanata) né l'art.15 del contratto dispone alcunché "a carico dell'altro contraente" (utilizzatore) relativamente a "decadenze, limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni, restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti con i terzi, tacita proroga o rinnovazione del contratto, clausole compromissorie"
si chiede il Vs cortese parere in ordine al seguente quesito:
Decorso inutilmente il termine del 26 aprile 2018 assegnato alla mia società immobiliare per la stipulazione dell'atto di compravendita dell'immobile con il proponente acquirente, può essere giudizialmente plausibile e giustificato il richiedere alla società di leasing la somma di euro 30.000,00 corrispondente alla penale (il doppio della caparra ricevuta) da corrispondere al proponente acquirente per l'inadempimento contrattuale di cui potrà rendersi colpevole la mia società immobiliare? Chiedo cioè se sia ragionevole supporre e concludere che la libertà di disporre del bene il cui prezzo ho regolarmente e puntualmente versato al proprietario non dipenda da una non meglio definibile potestà autorizzatoria di quest'ultimo, esercitabile in qualsiasi tempo esso proprietario disponga, bensì dall'obbligo ricadente su quest'ultimo di rendersi parte diligente per trasferire a mio favore in tempi ragionevoli (non quattro o addirittura 6 mesi) e ragionevolmente tempestivi il diritto di proprietà del bene. Ex adverso, e per contrasto, domando se allora la società di leasing avrebbe potuto tardare anche un anno, o due anni, o dieci anni, paralizzando ogni mia iniziativa imprenditoriale che avesse ad oggetto il bene già in locazione finanziaria, senza che per ciò fosse ravvisabile una condotta censurabile.”
Consulenza legale i 18/04/2018
Il leasing è un contratto che consente ad un determinato soggetto, denominato utilizzatore, di poter usufruire, dietro versamento di un canone periodico, di un bene strumentale alla propria attività di cui può acquisirne la proprietà (ovviamente al termine del contratto) e previo pagamento di una quota di riscatto di valore inferiore al prezzo di mercato del bene.
In alternativa il bene può essere restituito o il contratto rinnovato.
Secondo parte della dottrina il contratto di leasing scaturirebbe dalla combinazione di due istituti, ovvero la vendita con patto di riservato dominio (di cui all'art. 1523 c.c.) e del contratto di locazione (art. 1571 c.c.).
Accanto al leasing tradizionale, nella prassi, ha trovato ampia diffusione il leasing finanziario. Mentre nel tradizionale contratto di leasing un soggetto utilizza un bene corrispondendo un canone periodico al proprietario (e riservandosi la facoltà di restituirlo al termine del contratto o finanche di rinnovare il contratto o esercitare il riscatto), nel leasing finanziario l'utilizzatore/cliente indica al soggetto concedente il bene di cui questi intende acquisire il godimento.
Il concedente ne acquista la proprietà e lo concede in godimento a fronte del pagamento di un canone periodico.
Così come per il leasing tradizionale, anche il leasing finanziario consente all'utilizzatore di poter, alla scadenza del termine pattuito, rinnovare il contratto, riscattare il bene o restituirlo al concedente.
Nel caso in esame si tratta di un leasing finanziario in cui l’utilizzatore ha pagato l’ultimo canone mensile, manifestando la volontà di riscattare il bene, pagando il relativo prezzo.
Tuttavia, a distanza di anni, la società di leasing non ha ancora trasferito la proprietà del bene, arrecando danni all’utilizzatore. In particolare l’utilizzatore ha concluso una proposta di acquisto avente ad oggetto l’immobile acquistato col leasing ma, si ripete, non ancora trasferitogli.
Ci si chiede, pertanto, se l’utilizzatore possa pretendere dalla società di leasing la somma di euro 30.000,00 corrispondente al doppio della caparra confirmatoria che lo stesso dovrà corrispondere al proponente acquirente per inadempimento.
Ebbene, col pagamento del prezzo del riscatto del bene, il contratto di leasing può dirsi concluso: la società di leasing ha, difatti, incassato il prezzo, nulla eccependo al riguardo.
Si ha, pertanto, un normale contratto di vendita che obbliga la società di leasing a trasferire il bene in capo all’utilizzatore.
Non adempiendo all’obbligazione di trasferire il bene, la società di leasing diventa responsabile di tutti i danni derivanti all’utilizzatore dal ritardo nel trasferimento della proprietà del bene medesimo.
L’utilizzatore è legittimato ad esperire direttamente le azioni derivanti dalla compravendita, che possono consistere. alternativamente, nella esecuzione specifica del contratto (consegna del bene), o nell’azione di risoluzione del medesimo con richiesta di restituzione del prezzo già corrisposto, oltre alla corresponsione dei danni subiti.
In merito al risarcimento del danno, secondo la nostra opinione (ma qualcuno potrebbe dissentire) i danni subiti non dovranno calcolarsi con riferimento alla caparra confirmatoria che l’utilizzatore dovrà pagare al proponente acquirente, quanto piuttosto essere ragguagliati al mancato guadagno derivante dalla mancata vendita (nella specie euro 380.000,00).
Al riguardo, l’art. 1223 c.c. stabilisce che “il risarcimento del danno per l’inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta”.
La disposizione introduce un concetto di danno “integrale”, ricomprendente sia la diminuzione subita (in gergo 'danno emergente'), vale a dire il danno (diminuzione patrimoniale) che si sarebbe potuto evitare e che invece ci si trova a dover sopportare, sia il mancato incremento patrimoniale (guadagno) di cui si sarebbe ragionevolmente potuto godere se la prestazione fosse stata eseguita. in gergo ‘lucro cessante’.

Alla luce di quanto detto, pertanto, riteniamo che l’azione legale nei confronti della società di leasing non possa avere ad oggetto il risarcimento del danno nella misura corrispondente alla caparra confirmatoria perché è l’utilizzatore ad essere, in tal caso, inadempiente in quanto ha accelerato i tempi, vendendo un bene formalmente non ancora di sua proprietà.
Sarebbe più corretto chiedere il danno nella misura di cui alla mancata vendita o comunque nella minor somma del prezzo del riscatto.
Sarebbe, peraltro, stato opportuno ed utile poter leggere il contratto citato al fine di individuare la tesi difensiva più idonea.


L. C. chiede
venerdì 05/05/2023
“Alcuni anni fa fu stipulato un contratto preliminare di compravendita di bene immobile.
Nel contratto fu previsto che Il prezzo pattuito doveva essere pagato al momento della stipula del definitivo, fu anche corrisposta una somma a titolo di caparra confirmatoria.
Il promittente venditore, convocato innanzi al notaio per la stipula del contratto definitivo, con vari pretesti, non volle stipulare il contratto e successivamente, con atto pubblico registrato e trascritto, vendette il bene già promesso, al proprio figlio.
Venuto a conoscenza di ciò, il promittente acquirente promosse un giudizio contro il promittente venditore, chiedendo al Giudice che, previo accertamento che la vendita al figlio era affetta da simulazione assoluta, con sentenza in luogo di contratto, trasferisse l'immobile al promittente acquirente ex art. 2932 c.c., in denegata ipotesi chiedeva il risarcimento del danno.
Con sentenza passata in giudicato, veniva rigettata la richiesta di simulazione assoluta e conseguentemente veniva rigettato il trasferimento del bene ex art. 2932 c.c., ma veniva riconosciuta la piena responsabilità del promittente venditore, che venne condannato al risarcimento di ogni danno subito dal promittente acquirente per la mancata stipulazione del contratto definitivo, da liquidarsi in separato giudizio.
Si consideri che non è mai stata chiesta, nè pronunciata la risoluzione del contratto preliminare e che l'immobile veniva acquistato per adibirlo a studio professionale del promittente acquirente, che già lo conduceva a titolo di locazione.
In relazione a quanto sopra, si chiede quanto segue.
Come si calcola il danno integrale risarcibile subito dal promittente acquirente per inadempimento (doloso) dell'obbligazione contrattuale (non estinta) del promittente venditore, che corrisponde ad una perdita patrimoniale del creditore, in quanto il bene immobile (soggetto altresì a rivalutazione) non è entrato nel suo patrimonio?
Si prega di specificare quale aspetto di tale danno è da considerarsi "danno emergente" e quale aspetto è da considerarsi "lucro cessante".
Si resta in attesa di una motivata risposta, restando altresì a disposizione per eventuali chiarimenti.
Con ossequio

Consulenza legale i 27/06/2023
Il contratto preliminare è quel contratto con il quale le parti si obbligano a stipulare un futuro contratto (detto definitivo). È un contratto con efficacia obbligatoria per le parti, che assumono l'obbligazione di prestare un futuro consenso. In quanto contratto perfettamente valido e vincolante, le parti del preliminare, che ha ad oggetto una prestazione di fare, possono chiederne l'esecuzione forzata in forma specifica, attraverso la specifica domanda indicata all'art. 2932 c.c.
Il Codice Civile non dà una definizione di "contratto preliminare", ma lo menziona in vari ambiti, principalmente in tema di forma (si veda l'art. 1351 c.c., che stabilisce che il preliminare è nullo se non fatto nella stessa forma del definitivo).

Nel caso di specie, si è verificata un’ipotesi simile a quella che in dottrina e in giurisprudenza viene definita “doppia alienazione immobiliare”, che si realizza quando un bene - già compravenduto - viene alienato una seconda volta, prima che il primo acquirente abbia effettuato la trascrizione - a suo favore - dell’acquisto.

Il caso che occupa è leggermente diverso, visto che non c'era ancora stata la stipulazione del contratto definitivo con il primo acquirente. Nondimeno, il promittente venditore si è reso responsabile nei confronti del promittente acquirente, poiché ha cagionato allo stesso un danno attraverso la sua condotta scorretta e inadempiente.
La sentenza citata, infatti, ha condannato (si presuppone tramite condanna generica) il promittente venditore al risarcimento di ogni danno subito dal promittente acquirente per la mancata stipulazione del contratto definitivo, da liquidarsi in separato giudizio.

Il risarcimento ha la funzione di porre il creditore nella situazione in cui si sarebbe trovato se l'inadempimento non si fosse verificato. Ne consegue che l'interessato ha diritto a ottenere non solo il danno emergente ma, altresì, il lucro cessante. Inoltre, ai sensi dell’art. 1223 del c.c., il risarcimento comprende “così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta”. Tra la condotta inadempiente e pregiudizio subito dal danneggiato, infatti, deve intercorrere un nesso di causalità sufficientemente stretto, denominato nesso di causalità giuridica.
La giurisprudenza si è espressa, anche di recente, in merito a casi simili a quello oggetto dell’odierna indagine, ponendo alcuni principi ai quali è utile rifarsi per rispondere alle domande oggetto del quesito.

Innanzitutto, la giurisprudenza afferma che il risarcimento del dan­no dovuto al promissario acquirente nel caso di mancata stipulazione del contratto definitivo di vendita di bene immobile, imputabile al promittente venditore, consiste nella diffe­renza tra il valore commerciale del bene medesimo al momen­to della proposizione della domanda di risoluzione del con­tratto (cioè, al tempo in cui l’inadempimento è diventato definitivo) ed il prezzo pattuito (Così Cass. n. 22384 del 2004). Giurisprudenza ancora più recente (Cass. Civ. n. 32536 del 04/11/2022) ha precisato, sul punto, che il risarcimento del danno dovuto al promissario acquirente, ancorato appunto alla differenza tra il valore commerciale dell’immobile e il prezzo pattuito, va riferito al momento in cui l’inadempimento è diventato definitivo. Tale momento solo normalmente coincide con quello di proposizione della domanda di risoluzione; ma può consistere anche in altro momento anteriore, ove accertato in concreto. Nel caso che occupa, l’inadempimento è divenuto in concreto definitivo con la vendita in favore del terzo, all’esito della debita trascrizione dell’atto ex art. 2652 del c.c.. Il fatto che non sia stata pronunciata la risoluzione, pertanto, non costituisce un ostacolo alla liquidazione del risarcimento del danno. Ancora più nello specifico, la sentenza del 2022 appena citata, afferma che “il fatto che sia stata invocata ex ante dal promissario acquirente l’esecuzione specifica - e non la risoluzione per inadempimento - non impedisce di determinare il danno sulla scorta dei criteri giurisprudenziali stabiliti per il caso di risoluzione del preliminare. E ciò perché, in conseguenza del rigetto ex post della domanda ex art. 2932 c.c., alla stregua dell’impossibilità giuridica della produzione degli effetti del definitivo ne è disceso un pregiudizio insanabile del diritto all’adempimento, con la sostanziale equiparazione dello stato del preliminare ad un suo scioglimento (o comunque ad una condizione di quiescenza, non suscettibile di evolvere nella stipula del definitivo)".
La componente del danno che corrisponde al “lucro cessante”, pertanto, corrisponde - secondo la giurisprudenza - proprio alla differenza tra il valore commerciale del bene, da determinarsi con riferimento al momento in cui l’inadempimento è divenuto definitivo, ed il prezzo pattuito, tenendo conto della rivalutazione dell’importo previsto in contratto solo nell’ipotesi in cui il prezzo non sia stato pagato, oltre al riconoscimento, sulla differenza così determinata, degli effetti della svalutazione monetaria intervenuta nelle more del giudizio (Cass. Sez. 2, n. 17688 del 28.07.2010).

Il calcolo “in concreto” indicato dalla Corte di Cassazione si dovrebbe svolgere secondo questi passaggi:
  • fissare il valore commerciale dell’immobile oggetto di compravendita;
  • rivalutare il prezzo convenuto limitatamente alla quota parte non versata (escludendo pertanto la caparra);
  • sulla somma così ottenuta, con l’aggiunta della somma già corrisposta a titolo di caparra, si deve computare la differenza tra valore commerciale e prezzo fissato, allo scopo di stabilire se vi è un danno da lucro cessante e in quale misura;
  • sulla somma eventualmente risultante da tale differenza, si dovrebbe riconoscere la rivalutazione monetaria sino al momento della pronuncia.
La giurisprudenza afferma che non è viceversa possibile comprendere automaticamente - in tale pregiudizio - anche l’ulteriore posta riferibile alla perdita di disponibilità del bene per l'esercizio dell’attività professionale del promittente acquirente. La Cassazione, sul punto, si esprime nei seguenti termini: “il pregiudizio determinato in via differenziale ingloba ogni danno da lucro cessante. Non può, per converso, essere riconosciuta un’autonoma voce di danno figurativo da generica perdita della disponibilità del cespite, in mancanza di elementi di supporto di tale invocato ulteriore nocumento [...] Tale ulteriore voce risarcitoria non costituisce, pertanto, una conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento del promittente alienante e non è stata provata nella sua esistenza”. Viceversa, ragionando a contrario, sarà possibile domandare il risarcimento del danno per la mancata possibilità per l’acquirente di - quantomeno continuare - ad utilizzare l’immobile per la propria prestazione professionale, se di tale circostanza si riesce a fornire prova in giudizio.

Pertanto, riassumendo, il risarcimento del danno può essere richiesto e riconosciuto nei suoi due aspetti di:
  • danno emergente (“perdita subita”) in relazione ai costi - di qualsiasi genere - intrapresi per la trattativa e per la firma del preliminare. Sempre a titolo di danno emergente, se si possiedono delle prove a sostegno di tale domanda, sarà possibile domandare il pregiudizio per la provocata interruzione dell’attività professionale (cagionata dalla necessità di trovare altro immobile dove espletarla) che ha - per ipotesi - causato una perdita di clientela, con conseguente calo del fatturato.
  • lucro cessante (“mancato guadagno”) in relazione alla differenza - oggetto come visto di rivalutazione monetaria - tra il valore commerciale del bene al momento in cui l’inadempimento è diventato definitivo e il prezzo pattuito, oltre alla rivalutazione monetaria eventualmente verificatasi nelle more del giudizio. Sempre a titolo di lucro cessante, se si possiedono delle prove a sostegno di tale domanda, sarà possibile domandare il risarcimento per il pregiudizio subito a causa della mancata possibilità di acquisire nuova clientela (per la comprovata necessità di rinvenire altro immobile per l’esercizio dell’attività lavorativa). Altra posta risarcibile a titolo di lucro cessante potrebbe essere costituita (sempre in presenza di prove a supporto di tale circostanza) dal mancato guadagno derivante da altre trattative parallele/alternative a quella poi sfumata, che avrebbero potuto arricchire la parte promittente acquirente secondo una ragionevole e fondata previsione.

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