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Articolo 641 Codice Penale

(R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Insolvenza fraudolenta

Dispositivo dell'art. 641 Codice Penale

Chiunque, dissimulando(1) il proprio stato d'insolvenza [2221, 2540](2), contrae un'obbligazione(3) col proposito di non adempierla è punito, a querela della persona offesa [120], qualora l'obbligazione non sia adempiuta(4), con la reclusione fino a due anni o con la multa fino a euro 516.

L'adempimento dell'obbligazione avvenuto prima della condanna estingue il reato [649](5).

Note

(1) La dottrina maggioritaria ritiene che proprio la dissimulazione, intesa come ogni attività con cui la controparte viene tenuta all'oscuro in merito allo stato di insolvenza, sia l'elemento distintivo della fattispecie in esame rispetto al delitto di truffa ex art. 640.
(2) Lo stato di insolvenza è presupposto del reato in esame, diversamente identificato dalla dottrina come un'oggettiva incapacità di adempiere alle proprie obbligazione o come impossibilità economica di soddisfare una singola obbligazione.
(3) Non vi rientrano le obbligazioni a titolo gratuito o nascenti da atto illecito e tutte quelle che non si concretano in un obbligo di dare.
(4) L'inadempimento è considerato da alcuni autori come un elemento costitutivo del reato, da altri quale condizione obbiettiva di punibilità e da altri ancora quale vento del delitto stesso.
(5) Tale causa di esclusione della punibilità opera solo in riferimento alle sentenze definitive, quindi l'adempimento può avere efficacia fino al passaggio in giudicato della sentenza di condanna.

Ratio Legis

La disposizione in esame trova il proprio fondamento non solo nella tutela del patrimonio del singolo, ma anche nella buona fede contrattuale.

Spiegazione dell'art. 641 Codice Penale

Il bene giuridico tutelato è stato individuato sia nell'interesse pubblico all'inviolabilità del patrimonio, sia nella salvaguardia dei rapporti di credito, sia, più in generale, nella buona fede contrattuale.

Lo stato di insolvenza, che non si sovrappone alla nozione civilistica né a quella della legge fallimentare, è rappresentata solo dalla effettiva incapacità del debitore di garantire il soddisfacimento del credito altrui. Tale impossibilità soggettiva di adempimento può essere sia generale, sia riferita alla singola obbligazione contratta.

L'insolvenza sopravvenuta non integra il reato, quantomeno nei casi in cui il debitore non potesse in alcun modo prevederla.

La condotta si articola in tre momenti:

  • la dissimulazione del proprio stato di insolvenza, in cui anche il silenzio può assumere rilievo, se preordinato al futuro inadempimento;

  • l'assunzione di un'obbligazione, che può avere ad oggetto sia un dare, sia un facere. Viene negata la rilevanza penale dell'inadempimento di una obbligazione di un non facere. Deve comunque trattarsi di un'obbligazione valida o almeno produttiva di effetti giuridici. Se dunque sono irrilevanti le obbligazioni naturali, non altrettanto può dirsi per quelle meramente annullabili;

  • un inadempimento, definito come condizione obiettiva di punibilità.

Per quanto concerne l'elemento soggettivo, è richiesta la specifica intenzione di assumere una obbligazione con il proposito di non adempierla, non essendo sufficiente l'accettazione del mero rischio di non poter adempiere.

///SPIEGAZIONE ESTESA

Ci si trova di fronte ad un’ipotesi di insolvenza fraudolenta nel caso in cui un soggetto, dopo aver dissimulato il proprio stato di insolvibilità per contrarre un’obbligazione con il proposito di non adempierla, si renda effettivamente inadempiente.

Pur trattandosi di un reato comune, il soggetto attivo può, di fatto, essere soltanto colui che abbia la capacità di obbligarsi, costituendo un presupposto del reato ex art. 641 del c.p. il fatto che venga contratta un’obbligazione giuridicamente valida. Alla luce di ciò, non potrebbe, quindi, compiere il delitto in esame un soggetto che sia incapace di obbligarsi.

Presupposto necessario per la configurazione del delitto di insolvenza fraudolenta è la sussistenza dello stato di insolvenza dell’agente nel momento in cui contrae l’obbligazione, da intendersi quale incapacità di soddisfare le proprie obbligazioni, qualunque sia la natura della prestazione richiesta.

Si tratta di un reato a condotta mista, articolandosi, al suo interno, in tre diversi momenti: la dissimulazione dello stato di insolvenza, la contrazione di un’obbligazione e, infine, il suo mancato adempimento.
Per quanto riguarda, innanzitutto, la dissimulazione, essa consiste in un comportamento, positivo o negativo, idoneo a nascondere uno stato di insolvenza e, quindi, a mantenere la vittima in uno stato di ignoranza in relazione alla reale condizione della controparte. È proprio tale elemento, il quale rappresenta, di fatto, l’espediente usato dall’agente al fine di ottenere un vantaggio dalla vittima, a differenziare il delitto in esame da quello di truffa, ex art. 640 del c.p., il quale ricorre, invece, nel caso in cui il reo abbia utilizzato degli artifici o dei raggiri. Questi ultimi consistono, infatti, in un comportamento idoneo a simulare uno stato di solvibilità, in modo tale da indurre in errore la vittima.

Il secondo momento in cui si articola la condotta criminosa è rappresentato dalla contrazione di un’obbligazione.
Si deve, innanzitutto, trattare di un’obbligazione che abbia la propria fonte in un contratto, posto che la lettera dell’art. 641 del c.p. parla di “contrarre”. La stessa deve, inoltre, essere valida o, quantomeno, produttiva di effetti giuridici, anche se annullabile; nonché azionabile, ossia tutelabile mediante un’azione e, quindi, non soltanto naturale. Si deve, infine, trattare di un’obbligazione avente ad oggetto un dare o un facere.

Per finire, l’agente deve rendersi inadempiente in relazione all’obbligazione contratta.

L’oggetto materiale del reato è rappresentato dalla sfera psichica della vittima, su cui la condotta criminosa agisce, dando luogo sia ad un falso giudizio in ordine alla solvibilità dell’agente, sia ad un atto di volontà viziato.

L’evento tipico è rappresentato, in via immediata, dall’alterazione della sfera conoscitiva della vittima che, a causa della condotta criminosa, giudica erroneamente la solvibilità dell’agente, e, in via mediata, dalla manifestazione di volontà che rende concreta la prestazione.

Il delitto di insolvenza fraudolenta si considera, però, consumato soltanto nel momento in cui si verifica l’inadempimento dell’obbligazione, il quale si realizza nel momento in cui essa non venga soddisfatta nel tempo e nel luogo stabilito.
Prevale la tesi per cui è da escludere la possibilità di avere un tentativo di insolvenza fraudolenta, posto che, di fronte ad un’obbligazione non contratta, non assume alcun rilievo né il tentativo di contrarla, né il tentativo di non adempierla.

Non si ritiene configurabile un concorso tra le fattispecie di insolvenza fraudolenta e di truffa, ex art. 640 del c.p., posto che si può avere la prima soltanto qualora non ricorrano gli estremi della seconda. È, invece, ammissibile un concorso tra il reato di insolvenza fraudolenta e quello di bancarotta fraudolenta, di cui all’art. 216 della l. fall., limitatamente, però, al caso in cui siano diversi i fatti che danno luogo all’insolvenza fraudolenta e alla bancarotta, nonché soltanto qualora il delitto di insolvenza fraudolenta risulti essersi perfezionato anteriormente alla dichiarazione di fallimento. In caso contrario, infatti, l’unicità del fatto comporterebbe l’assorbimento dell’insolvenza fraudolenta all’interno del reato di bancarotta.

Ai fini dell’integrazione del delitto in esame, è necessario che sussista, in capo all’agente, il dolo specifico, posto che la norma richiede espressamente che egli contragga un’obbligazione con il proposito di non adempierla.

Il secondo comma prevede che il reato di insolvenza fraudolenta debba ritenersi estinto qualora l’obbligazione contratta dall’agente venga adempiuta prima della pronuncia della sua condanna irrevocabile. A tal fine è, però, necessario sia che l’obbligazione sia adempiuta totalmente e non soltanto parzialmente, sia che essa non si sia estinta per un’altra causa. È, altresì, indifferente che l’adempimento avvenga per opera di un terzo, piuttosto che del debitore stesso.

///FINE SPIEGAZIONE ESTESA

Massime relative all'art. 641 Codice Penale

Cass. pen. n. 21097/2023

In tema di insolvenza fraudolenta, l'integrale adempimento dell'obbligazione che estingue il reato, di cui all'art. 641, comma secondo, cod. pen., deve essere disposto e ricevuto prima della condanna definitiva e può, pertanto, attuarsi anche dopo la sentenza di primo o di secondo grado e finché non sia stato deciso il ricorso per cassazione, diversamente dal risarcimento del danno, idoneo ad integrare l'attenuante di cui all'art. 62, n. 6, cod. pen., che deve intervenire "prima del giudizio".

Cass. pen. n. 37909/2020

Il reato di insolvenza fraudolenta si consuma non nel momento in cui viene contratta l'obbligazione o in quello in cui viene a manifestarsi lo stato di insolvenza, bensì in quello dell'inadempimento, che costituisce l'ultima fase dell'"iter" criminoso, la cui data e luogo sono da accertarsi secondo la disciplina civilistica, sicché, nel caso in cui sia pattuita la modalità di pagamento a mezzo delle c.d. ricevute bancarie, la competenza territoriale deve essere comunque individuata nel domicilio del creditore, indipendentemente dal luogo in cui si trova lo sportello bancario del debitore, salvo che il creditore abbia espressamente rinunciato a ricevere il pagamento nel proprio domicilio.

Cass. pen. n. 11686/2016

Integra il reato di insolvenza fraudolenta la condotta di chi, al termine di un viaggio in autostrada, non provveda al pagamento del pedaggio, dichiarandosi impossibilitato ad adempiere, essendo sufficiente, quanto alla dissimulazione dello stato di insolvenza, anche il silenzio serbato al momento della ricezione del talloncino all’ingresso in autostrada.

Cass. pen. n. 46903/2011

Non integra il reato di insolvenza fraudolenta la condotta di colui che assume un'obbligazione con la riserva mentale di non adempiere per causa diversa dallo stato di insolvenza. (Nella specie l'imputato non pagava le cambiali, tranne la prima, asserendo che la scelta del mancato pagamento era collegata, come ripicca, ad un precedente acquisto di autovettura, che non andava bene su strada).

Cass. pen. n. 14674/2010

Non integra il delitto di insolvenza fraudolenta la condotta di colui che, trattenendo la caparra ricevuta dall'acquirente, non adempie l'obbligo di vendere assunto sulla base di un contratto preliminare di compravendita, la cui stipula può peraltro risultare sufficiente alla configurabilità del diverso reato di truffa ove sostenuta dal precostituito proposito di non adempiervi.

Cass. pen. n. 34192/2006

Ai fini della sussistenza del reato di insolvenza fraudolenta, la condotta di chi tiene il creditore all'oscuro del proprio stato di insolvenza al momento di contrarre l'obbligazione assume rilievo quando sia legata al preordinato proposito di non adempiere la dovuta prestazione, mentre non si configura alcuna ipotesi criminosa, ma solo illecito civile, nel mero inadempimento non preceduto da alcuna intenzionale preordinazione. (Nell'occasione, la Corte ha chiarito che la prova di quest'ultima può essere desunta anche da argomenti induttivi seri e univoci, ricavabili dal contesto dell'azione, nell'ambito del quale anche il silenzio può acquistare rilievo come forma di preordinata dissimulazione dello stato di insolvenza, quando fin dal momento della stipula del contratto sia già maturo, nel soggetto, l'intento di non far fronte agli obblighi conseguenti).

Cass. pen. n. 29454/2003

In tema di insolvenza fraudolenta ex art. 641 c.p., anche il silenzio può assumere rilievo quale forma di dissimulazione del proprio stato di insolvenza, quando tale stato non sia manifestato all'altra parte contraente ed il silenzio su di esso sia legato al preordinato proposito di non adempiere, cioè, quando sin dal momento in cui il contratto è stato stipulato vi era l'intenzione di non far fronte all'obbligo o agli obblighi scaturenti dal rapporto contrattuale.

Cass. pen. n. 10792/2001

In tema di insolvenza fraudolenta, l'obbligazione, assunta dall'agente con il proposito di non adempierla, deve avere ad oggetto una prestazione di dare e non quella di svolgere una specifica attività in favore dell'altra parte, giacché uno degli elementi costitutivi del delitto è la dissimulazione del proprio stato di insolvenza. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso che potesse integrare il delitto di insolvenza fraudolenta - e non invece, come correttamente ritenuto dal giudice di merito, il delitto di truffa aggravata - il comportamento di un generale dei carabinieri che, assumendo fraudolentemente l'impegno di stabilire un contatto con elementi della malavita allo scopo di ottenere notizie utili per favorire la liberazione di un sequestrato, aveva indotto i parenti della vittima a consegnargli la somma di un miliardo di lire).

Cass. pen. n. 9552/1997

Il termine per la presentazione della querela per il reato di insolvenza fraudolenta decorre non già dalla data in cui si verifica l'inadempimento dell'obbligazione, ma da quella in cui il creditore acquisisce la certezza che l'obbligato, contraendo l'obbligazione, aveva dissimulato il proprio stato di insolvenza ed aveva contratto l'obbligazione con il proposito di non adempierla. (Nella fattispecie è stato ritenuto termine iniziale quello del tentativo di esecuzione forzata esperito dal creditore).

Cass. civ. n. 7738/1997

Poiché l'art. 176, comma 17, del codice stradale - che punisce con la sanzione pecuniaria chiunque ponga in essere qualsiasi atto al fine di eludere in tutto o in parte il pagamento del pedaggio autostradale - espressamente ed inequivocabilmente stabilisce la sussidiarietà di tale illecito amministrativo rispetto alle fattispecie penali eventualmente concorrenti, nei cui confronti, pertanto, non si pone in rapporto di specialità, nell'ipotesi di omesso adempimento, da parte dell'utente, dell'obbligo di pagamento del pedaggio autostradale, ben può configurarsi, ove ne sussistano in concreto gli elementi costitutivi, il delitto di insolvenza fraudolenta; ne deriva che l'applicazione della sanzione penale esclude quella della sanzione amministrativa.

Cass. pen. n. 6478/1997

In materia di insolvenza fraudolenta (art. 641 c.p.), l'inadempimento dell'obbligazione — elemento costitutivo del reato — non è configurabile qualora il termine per la prestazione dovuta non sia ancora scaduto. Né il dolo specifico — consistente nel proposito di non adempiere l'obbligazione fin dal momento della sua esistenza giuridica — può essere desunto da eventuali difficoltà sopravvenute per l'inadempiente (anche se da parte di questi prevedibili).

Cass. pen. n. 2318/1997

In tema di insolvenza fraudolenta, a differenza di quanto previsto dall'art. 62 n. 6 c.p. — secondo cui il risarcimento del danno idoneo ad integrare la circostanza attenuante comune ivi disciplinata deve avvenire «prima del giudizio» — l'art. 641 cpv. c.p. stabilisce che l'adempimento dell'obbligazione estingue il reato se avvenuto «prima della condanna», sicché il tempo utile per provvedervi a determinare in tal guisa l'effetto estintivo si protrae fino al momento in cui la sentenza passa in giudicato; secondo la terminologia del codice, infatti, si ha «condanna soltanto quando questa sia contenuta in una sentenza divenuta definitiva, per cui l'adempimento in questione può attuarsi efficacemente anche dopo decisione di primo o secondo grado e fino a che, pendente il ricorso per cassazione, la Corte Suprema non abbia ancora deciso in ordine al ricorso medesimo.

Cass. pen. n. 68/1993

In tema di insolvenza fraudolenta ex art. 641 c.p., anche il silenzio può assumere rilievo quale forma di dissimulazione del proprio stato di insolvenza, quando tale stato non sia manifestato all'altra parte contraente ed il silenzio su di esso sia legato al preordinato proposito di non adempiere, cioè, quando sin dal momento in cui il contratto è stato stipulato vi era l'intenzione di non far fronte all'obbligo o agli obblighi scaturenti dal rapporto contrattuale.

Cass. pen. n. 10084/1987

Nel caso in cui lo stato di insolvenza del debitore viene in modo certo a conoscenza del querelante solo quando costui, rimasto ineseguito il sequestro giudiziario per la mancata consegna del bene, si renda conto della impossibilità di riaverne il possesso o di conseguire l'intero prezzo pattuito, da tale momento decorre il termine di tre mesi per la proposizione della querela per il reato di insolvenza fraudolenta e non dal momento della presentazione del ricorso per il sequestro giudiziario, poiché il venditore (nella specie di un bene sottoposto a riserva di proprietà), a seguito del mancato pagamento di una parte del prezzo, ha l'esigenza di assicurare la custodia del bene stesso ancor prima che si sia determinata una situazione che possa definitivamente pregiudicare l'attuazione del suo diritto alla restituzione.

Cass. pen. n. 2376/1987

Anche il silenzio può significare dissimulazione del proprio stato di insolvenza quando — come nella specie relativa ad omesso pagamento di pedaggio autostradale — l'agente assuma un'obbligazione senza necessità di contrattazione, ma con un comportamento rituale e questo sia idoneo ad ingannare la controparte sulle sue reali intenzioni.

Cass. pen. n. 5196/1986

Il reato di insolvenza fraudolenta si consuma non nel momento in cui viene contratta l'obbligazione o in quello in cui viene a manifestarsi lo stato di insolvenza, bensì in quello dell'inadempimento, che costituisce l'ultima fase dell'iter criminoso. Occorre, quindi, accertare, ai fini della determinazione del momento consumativo del delitto previsto dall'art. 641 c.p., la data dell'inadempimento in base alle norme che disciplinano, in materia civile, l'adempimento delle obbligazioni, con particolare riguardo al termine per adempiere.

Cass. pen. n. 4463/1984

In tema di insolvenza fraudolenta, la speciale causa di estinzione del reato di cui all'art. 641, secondo comma, c.p. presuppone l'integrale adempimento dell'obbligazione, e non può estendersi alle altre cause di estinzione dell'obbligazione stessa, non essendo consentita in tale materia l'interpretazione estensiva o analogica. (Nella specie, era intervenuta risoluzione consensuale del contratto con restituzione della merce ricevuta dall'imputato in adempimento del medesimo).

Cass. pen. n. 6387/1981

L'insolvenza fraudolenta differisce dalla truffa negoziale perché, mentre nella prima vi è la semplice dissimulazione dell'insolvenza, nella seconda si mette in opera un comportamento volto a carpire il consenso del contraente tratto in errore.

Cass. pen. n. 14990/1977

L'occultamento del proprio stato di insolvenza integra il reato di insolvenza fraudolenta, nell'ipotesi in cui sia soggettivamente diretto all'elusione degli impegni assunti. La prova dell'esistenza della volontà di non pagare l'obbligazione — o una parte di essa — può essere desunta anche dal comportamento successivo dell'agente.

Cass. pen. n. 182/1974

In tema d'insolvenza fraudolenta, il proposito dell'agente di non adempiere l'obbligo deve sussistere nel momento in cui questo prende giuridica consistenza, perché, se sopravvenisse, non avrebbe alcuna rilevanza, nonostante la condizione obiettiva del mancato pagamento; ma la prova dell'esistenza della volontà di non pagare l'obbligazione al momento della contrattazione può bene essere desunta anche dal comportamento successivo dell'agente.

Cass. pen. n. 302/1973

Il luogo di consumazione del reato di insolvenza fraudolenta è quello in cui si verifica l'inadempimento e non già quello in cui viene contratta l'obbligazione col proposito di non adempierla.

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Consulenze legali
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V. C. chiede
sabato 01/10/2022 - Lombardia
“L'azienda A (srl) presenta domanda di concordato preventivo in bianco e mette al corrente anche il creditore B di ciò il quale prima (13 gg.) della scadenza del concordato (sfociato in fallimento) presenta querela per insolvenza fraudolenta in capo all'amministratore di A .
Domanda : che valore ha questa querela ? Come può difendersi l'amministratore di A ? Possibilmente con citazioni di cassazione.
Grazie
Saluti”
Consulenza legale i 04/10/2022
Prima di rispondere al quesito, occorre svolgere alcune notazioni preliminari connesse al fallimento della società.

Come noto, la dichiarazione di fallimento della società presuppone che l’imprenditore (ergo il debitore) non sia più in grado di far fronte alle obbligazioni contratte nel tempo.

Ebbene, al momento del fallimento la società viene a tutti gli effetti rappresentata da un soggetto terzo, ovvero il curatore fallimentare, che avrà l’onere di “chiudere” la società assicurandosi che i creditori, o parte di essi, vengano soddisfatti per quanto possibile.

E’, questa, un’operazione molto complessa che presuppone un’attività di indagine molto dettagliata del curatore medesimo il quale ha l’onere, tra le altre cose, di segnalare alla Procura della Repubblica competente eventuali operazioni pregiudizievoli degli interessi dei creditori da parte dell’imprenditore.
Operazioni che, in determinati casi, possono avere rilevanza penale e essere contestati all’imprenditore attraverso una delle fattispecie di bancarotta, prevista e punita dall’ art. 216 della l. fall..
Facciamo un esempio.
Uno dei primi commi dell’art. 216 della legge fallimentare punisce la condotta dell’imprenditore che, dichiarato fallito, abbia “distratto” il patrimonio aziendale. Col termine distrazione si intende qualsiasi condotta mediante la quale l’imprenditore, attraverso operazioni più o meno scellerate o, peggio, deliberatamente, abbia sottratto beni al patrimonio aziendale funzionali al soddisfacimento dei creditori.

In tutto questo panorama, il reato di insolvenza fraudolenta (che letto in via autonoma ha scarse connessioni col fallimento) potrebbe rilevare se letto in una specifica chiave.
Il reato di cui all’ art. 641 del c.p. punisce la condotta del debitore che abbia deliberatamente contratto un’obbligazione col fine specifico di non adempiervi.
E’ questa una condotta che, a ben vedere, può avere un rilievo in chiave di bancarotta.
Se infatti ipotizziamo che il creditore, attraverso la denuncia - querela abbia posto all’attenzione della Procura della Repubblica un atteggiamento fraudolento dell’imprenditore il quale, contratte le obbligazioni, non vi abbia adempiuto a causa di condotte valorizzabili in chiave di bancarotta (distrazione, dissipazione del patrimonio etc.), allora è chiaro che tale querela può avere un riverbero nella procedura fallimentare e orientare il curatore e il Pubblico Ministero nell’individuazione delle condotte censurabili da parte del fallito.

Quanto alla difesa dell’imprenditore, è molto difficile fornire dei suggerimenti non conoscendo il caso di specie e, per le medesime ragioni, è impossibile elencare giurisprudenza calzante, visti anche i temi giuridici che sono estremamente variegati e complessi.


Alberto U. chiede
lunedì 29/07/2019 - Sardegna
“oggetto: cartelle esattoriali non ancora ritirate a agente immobiliare (ausiliare del commercio)
Buongiorno, sono sposato dal 2012 in separazione dei beni e sono un insegnante mentre mia moglie è un'agente immobiliare. Nel 2014 ha aperto una partita iva e nel 2016 un conto corrente commerciale. Ha sempre lavorato da casa e per ricevere i clienti affittava uno studio a ore. La casa è mia e intestata a me pervenutami con successione e ho anche fatto l'accettazione espressa da un notaio, la macchina è mia. Tuttavia questa è la casa di mia madre ed è piena di cose antiche. Allo stato attuale mia moglie è nullatenente eccetto qualche piccola disponibilità sul conto corrente suo.
L'intenzione di mia moglie è di chiudere tutto alla cc.i.aa di C. e anche il conto corrente per evitare entro 60 giorni dal ritiro notifica il pignoramento poiché sappiamo che sarà una richiesta alta quello di equitalia e evitando il pignoramento potremmo ,con l'assistenza, chiedere lei la legge "salvasuicidi" se essa dovesse averne i requisiti.
Quindi:
1) Vorrei sapere se la chiusura del conto corrente prima di ritirare la notifica di equitalia possa essere considerata Insolvenza fraudolenta (il debito sarà, crediamo, comunque inferiore a 50.000 euro)
2) se dovessero venire a fare pignoramento di mobili a casa , che è ha 2 cucine 2 televisori, e anche se tutto questo non è di mia moglie vorrei sapere come posso dimostrarlo ( aggiungo che noi abitiamo qui dalla fine del 2016)?
3) Chi potrebbe a C. darci consulenza per la legge del 2012 sul saldo e stralcio?

Consulenza legale i 05/08/2019
Per quanto attiene al profilo penale (prima domanda), va detto che il reato di insolvenza fraudolenta (art. 641 del codice penale) non ha nulla a che vedere con la condotta descritta.

La predetta fattispecie, invero, punisce la condotta di colui il quale – detto in termini semplici – finge di essere chi non è e, pur sapendolo, contrae un’obbligazione determinata col preciso fine di non adempiere alla stessa. In letteratura si fa l’esempio (banale ma particolarmente chiaro) del soggetto con scarsa disponibilità economica che entra in un ristorante di lusso appositamente imbellettato per dare l’impressione di essere facoltoso e, pur sapendo di non poter pagare la cena, la consuma ugualmente scappando al momento di pagare il conto. L’elemento chiave del reato in questione, dunque, sta nel fatto che il soggetto agente agisce in un determinato modo pur sapendo, sin dall’inizio, di non poterlo fare e di non poter “pagare”.

Cosa che, evidentemente, non è accaduta nel caso di specie.

Va però detto che nel nostro ordinamento penale esiste un’altra fattispecie in cui potrebbe rientrare la condotta descritta. Si tratta, nello specifico, del reato di cui all’art. 11 del D.Lgs. 74 del 2000, derubricato “sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte”. Vero è che il reato predetto è più che altro funzionale a punire le operazioni di “disfacimento” del patrimonio del debitore fatte con lo scopo di non pagare l’erario ma è altresì vero che, visto l’ampiezza del dettato normativo (allorché l’art. 11 parla di “altri atti fraudolenti”), la fattispecie potrebbe essere in astratto contestata se il debito d’imposta equivale o supera i 50.000 euro.

Prescindendo comunque dalle fattispecie rilevanti, corre l’obbligo di specificare che, almeno sotto il versante penale, l’eventuale cessazione dell’attività della società e la chiusura dei conti correnti relativi, non produce alcun effetto sulla sussistenza di eventuali reati.

Per quanto riguarda, invece, la seconda domanda relativa all'aspetto civile e precisamente al pignoramento, va innanzitutto chiarito che non ogni cosa è pignorabile. La legge specifica quali beni sono pignorabili e quali no, a tutela di alcune esigenze del debitore, quale quella al mantenimento dei beni che gli garantiscono la sopravvivenza o alla conservazione dei beni che gli servono per esercitare la sua professione.

Non sono quindi pignorabili ad esempio, alla luce di tale principio (e tra le altre cose, come ad esempio quanto è finalizzato al culto di una religione) l’anello nuziale, i vestiti, la biancheria, i letti, il tavolo e le sedie utili alla consumazione dei pasti, gli armadi, i cassettoni, il frigorifero, le stufe, i fornelli da cucina, la lavatrice, gli utensili della cucina o della casa ed i mobili dove sono conservati (con l’eccezione, per tutti meno che per i letti, nel caso in cui i beni siano di rilevante valore economico per accertato pregio artistico o di antiquariato).

Vi sono poi alcuni beni che sono “relativamente impignorabili”, ovvero si possono pignorare solo entro un certo limite di valore. Tra questi rientrano – come si diceva – gli strumenti, gli oggetti ed i libri indispensabili all’esercizio della professione, dell’arte o del mestiere del debitore, che possono essere pignorati nei limiti di un quinto e sempre che gli altri beni pignorabili non siano sufficienti a garantire il credito del soggetto procedente.

La legge, infine, stabilisce un preciso criterio per la scelta dei beni da pignorare, suggerendo all’Ufficiale Giudiziario di scegliere per primi i beni che risultano di più facile e pronta liquidazione (ovvero quelli che più facilmente e rapidamente si possono quantificare nel valore e convertire in denaro), con preferenza di contanti, oggetti preziosi e titoli di credito.

Venendo ora alla questione più rilevante, ovvero come poter “sottrarre” al pignoramento i beni presenti nell’abitazione coniugale che non sono di proprietà della moglie, la Corte di Cassazione si è pronunciata sull’argomento in maniera chiara con una nota sentenza del 2012 (n. 23625 del 20.12.2012.), ancora non superata da successive pronunce.

In primo luogo la Cassazione esclude che l’ufficiale giudiziario abbia il potere di assumere decisioni in ordine a cosa pignorare e cosa no, escluso ovviamente quanto sopra chiarito, per cui egli deve attenersi strettamente alle indicazioni normative. Non può quindi decidere autonomamente se un bene rinvenuto nell’abitazione del debitore sia di proprietà di quest’ultimo o meno: “l'attività dell'ufficiale giudiziario è meramente esecutiva e non può mai ammettersi che egli abbia il potere discrezionale di decidere autonomamente di rifiutarsi di procedere al pignoramento mobiliare dei beni che si trovano "nella casa del debitore e negli altri luoghi a lui appartenenti".

In secondo luogo la Corte precisa che i beni che si trovano nell’abitazione o negli altri luoghi appartenenti al debitore si presumono di sua proprietà. E neppure vale ad escludere il pignoramento, si noti bene, l’esibizione, da parte del debitore o chi per lui, all’Ufficiale Giudiziario di documentazione attestante la proprietà dei beni stessi, perché – come già detto - egli non ha la possibilità né il potere di valutare tali documenti.
E ciò anche se i documenti consistano in atti pubblici (come, ad esempio, l’atto pubblico di compravendita della casa) o in scritture private autenticate e registrate: “consentire che l'ufficiale giudiziario si rifiuti di procedere al pignoramento per il fatto che il debitore gli esibisce una documentazione attestante, in astratto, l'appartenenza dei beni ad altri finirebbe col vanificare, molto spesso, le finalità dell'esecuzione forzata, rimettendo alla valutazione dell'ausiliario ciò che, invece, può e deve essere valutato soltanto dal giudice.

Per “casa del debitore”, specifichiamo, deve intendersi quella in cui egli abita di fatto e stabilmente (anche in virtù di un contratto di locazione), anche se un altro ne sia proprietario o eserciti su di essa diritti reali o di godimento, per cui qualora in una casa convivano più persone, tutti i beni ivi esistenti possono essere pignorati poiché di presunta appartenenza del debitore.

L’unica possibilità di chiarire l’aspetto della titolarità dei beni pignorati è quella, afferma la Cassazione sempre nella citata sentenza n. 23625/2012), di utilizzare il rimedio processuale dell’opposizione di terzo: “la legge prevede un rimedio apposito, ossia l'opposizione di terzi all'esecuzione, per risolvere ogni questione relativa all'eventuale pignoramento, da parte dell'ufficiale giudiziario, di beni che non appartengano al debitore ancorché siano nella sua apparente disponibilità. Proprio perché non si può escludere che vengano (inconsapevolmente) pignorati beni che appartengono in effetti ad un terzo, la legge lascia a quest'ultimo la facoltà di scelta: l'art. 619 cod. proc. civ., infatti, consente il ricorso a tale strumento per il caso in cui un terzo pretenda di avere "la proprietà o altro diritto reale sui beni pignorati".

La norma citata (619 c.p.c) afferma precisamente: “il terzo che pretende avere la proprietà o altro diritto reale sui beni pignorati può proporre opposizione con ricorso al giudice dell’esecuzione, prima che sia disposta la vendita o l’assegnazione dei beni. Il giudice fissa con decreto l’udienza di comparizione delle parti davanti a sé e il termine perentorio per la notificazione del ricorso e del decreto. Se all’udienza le parti raggiungono un accordo il giudice ne dà atto con ordinanza, adottando ogni altra decisione idonea ad assicurare, se del caso, la prosecuzione del processo esecutivo ovvero ad estinguere il processo, statuendo altresì in questo caso anche sulle spese; (…)“.

Ovviamente il terzo che agisce in questo modo dovrà dimostrare in causa il proprio diritto, fornendo al Giudice la documentazione adeguata, la quale dovrà avere data certa anteriore al pignoramento (come ad esempio una scrittura privata autenticata o un atto pubblico).
Attenzione, tuttavia, che non è ammissibile invece la prova testimoniale sulla proprietà o altro diritto del terzo sui beni mobili pignorati nella casa o nell’azienda del debitore. Si vuole, infatti, evitare in tal modo che il diritto del creditore alla soddisfazione del proprio credito venga reso vano dalla collaborazione di un terzo che si presti a mentire al fine di evitare il pignoramento dei beni del debitore.

Tornando al quesito, il marito purtroppo non potrà impedire il pignoramento dei beni mobili presenti in casa che non sono della moglie; potrà solo, a posteriori, intentare opposizione di terzo avverso l’esecuzione forzata già intrapresa, ma – attenzione – dovrà purtroppo essere in grado di provare documentalmente la proprietà dei propri beni, altrimenti l’esito sarà negativo e questi ultimi saranno venduti all’asta.