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Articolo 1385 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 31/01/2024]

Caparra confirmatoria

Dispositivo dell'art. 1385 Codice Civile

Se al momento della conclusione del contratto [1326 ss.] una parte dà all'altra, a titolo di caparra, una somma di danaro o una quantità di altre cose fungibili, la caparra, in caso di adempimento, deve essere restituita o imputata alla prestazione dovuta(1).

Se la parte che ha dato la caparra è inadempiente, l'altra può recedere dal contratto, ritenendo la caparra(2); se inadempiente è invece la parte che l'ha ricevuta, l'altra può recedere dal contratto ed esigere il doppio della caparra.

Se però la parte che non è inadempiente preferisce domandare l'esecuzione o la risoluzione del contratto, il risarcimento del danno è regolato dalle norme generali(3).

Note

(1) In particolare, deve essere restituita se la prestazione principale è diversa dall'obbligo di consegnare una somma di denaro mentre se anche quella principale impone al debitore una dazione di denaro la caparra dev'essere imputata ad essa.
(2) In tal caso la parte non inadempiente recede e trattiene la caparra e questa diviene strumento di autotutela.
(3) A riguardo un'importante pronuncia della Cassazione (Cass. SS. UU., 14 gennaio 2009, n.553 ) ha statuito che se la parte agisce in giudizio per ottenere la risoluzione ed il risarcimento del danno, costituisce domanda nuova quella volta a far valere il recesso con contestuale ritenzione della caparra, attesa l'incompatibilità dei rimedi che sono tali soprattutto sul piano funzionale (in particolare, la caparra ha funzione deflattiva di liquidazione stragiudiziale del pregiudizio, mentre con l'azione per il risarcimento la parte sopporta il rischio dell'incertezza dell'esito giudiziale ma può ottenere un maggiore ristoro).

Ratio Legis

La caparra confirmatoria è espressione di una prassi antica, consistente nel consegnare un bene a dimostrazione della serietà dell'impegno assunto.
Il primo e secondo comma della norma ne regolano l'operatività rispettivamente, in ordine allo svolgimento fisiologico del rapporto ed in ordine allo svolgimento patologico, stabilendo che deve essere imputata alla prestazione o trattenuta in via di autotutela.
In base al terzo comma, la parte non inadempiente può anche non valersi del meccanismo contemplato dalla caparra ed agire per il risarcimento del danno ma, in tal caso, secondo le regole ordinarie.

Brocardi

Arrha poenalis

Spiegazione dell'art. 1385 Codice Civile

Funzione e natura della caparra confirmatoria

Triplice è la funzione della caparra confirmatoria: di conferma del contratto, di anticipo della prestazione, e soprattutto di indennizzo preventivo per l'eventuale inadempimento, o per il ritardo.

La prima funzione, che probabilmente è quella tipica della caparra nelle sue lontane origini, allorché essa era costituita da un anello o da altro analogo simbolo, è rimasta designata nel titolo dell'art. 1385. Ed ancor oggi la funzione confirmatoria, come tale, può avere la sua importanza, per dimostrare l'esistenza di un contratto di cui difettino altre prove, non potendo la caparra sussistere senza un contratto al quale essa sia congiunta. Ma le funzioni principali sono quelle di acconto e di indennizzo.

L'art. 1385 vuole che le tre funzioni si cumulino, se la caparra è data senza ulteriori commenti o specificazioni, ciò che corrisponde alla normale volontà dei contraenti. La prima funzione emerge dall'epigrafe dell'articolo e dalla ricordata Relazione; la seconda e la terza sono indicate nel testo dell'art. 1385.

Nulla vieta, tuttavia, alle parti di attribuire alla caparra una soltanto delle funzioni sopra indicate, quando espressamente lo pattuiscano. Allorché il passato codice nulla disponeva sulla cosa da darsi come caparra, la dottrina parlava dell'anello data a scopo puramente confirmatorio. Oggi il codice del 1942 specifica che a titolo di caparra si da una somma di denaro od una quantità di altre cose fungibili; ma poiché la norma non è cogente, possono le parti dare ed accettare a titolo di caparra, che chiameremo irregolare, un simbolo qualsivoglia con funzione di sola conferma contrattuale. Una caparra confirmatoria ed indennizzatrice, che non implichi lo scopo dell'acconto, può darsi dal debitore, la cui prestazione consista in un facere. Una caparra voluta senza funzione di indennizzo prende di solito il nome di acconto, ma può essere anche chiamata caparra, con un nome inesatto, se le parti, nonostante il nome, hanno chiarito che intesero pattuire soltanto un anticipo. Se invece le parti parlano soltanto di acconto, e non risulta che vogliano altro, ogni funzione di indennizzo è esclusa.

La caparra deve essere data alla parte. Se è data ad un terzo non è caparra, ma deposito cauzionale.

A nostro avviso la caparra confirmatoria ha natura di prestazione perfezionatrice di un patto reale aggiunto al contratto principale, patto reale costituito dalla clausola penale con caparra. E fu avvertito che la caparra attiene alla conclusione, alla esecuzione del contratto.


Effetti

Già abbiamo accennato alle disposizioni della clausola penale che si applicano alla caparra, allorché abbiamo notato che tutte si applicano, tranne la limitazione dell'art. 1382 e la riduzione prevista dall'art. 1384. Per conseguenza gli effetti della caparra sono in parte comuni a quelli della clausola penale, ed in parte differenti. Sono comuni per le norme della clausola penale che si applicano; sono differenti per le norme che non si applicano, come si è accennato, e per gli effetti peculiari alla caparra confirmatoria, menzionati all'art. 1385. Poiché però in tale articolo non mancano norme di carattere dispositivo, così si possono avere figure molteplici di caparre confirmatorie. Noi però ci limitiamo ad esaminare gli effetti della caparra regolare trattata all'art. 1385.

Tali effetti sono molteplici.

A) Anzitutto si ha il passaggio di proprietà della somma o della quantità di cose fungibili, data a titolo di caparra, somma o quantità che esce dal patrimonio di chi la dà ed entra in quello di chi la riceve.
Si poteva esitare ad ammettere tale passaggio quando, nel silenzio del codice del 1865, la parte avesse dato per caparra un corpo determinato, ma ora, nella figura disegnata dal codice del 1942, si dà per caparra una species, cosicché nessun dubbio è più possibile.

B) In secondo luogo, la caparra determina una riduzione corrispondente dell'obbligo del debitore, legittimato a detrarre la caparra dall'ammontare della prestazione dovuta, senza che decorrano interessi né per l'una né per l'altra parte contraente. Tale detrazione è ora espressamente prevista al 1° comma dell'art. 1385, mentre era ignorata dall'art. #1217# del codice anteriore; tuttavia, anche sotto di esso, la stessa norma si desumeva dalla presunta intenzione delle parti.

C) In terzo luogo, la caparra genera l'obbligo a carico di chi la ha avuta, di versare somma eguale alla parte contraria che adempie con una prestazione dalla quale la caparra non si può detrarre, eseguendo, per esempio, una obbligazione di fare.

D) In quarto luogo, la caparra genera, a carico della parte che l'ha ricevuta, un'obbligazione condizionale, consistente nel dovere di restituire un ammontare eguale a quello della caparra, se il contratto si scioglie per forza maggiore, o generalmente parlando, per impossi­bilità totale sopravvenuta, ai sensi dell'art. 1463, ovvero, se il contratto si scioglie per mutuo consenso. Invero, data l’accessorietà della caparra, in questo caso i1 versamento fatto perde la sua causa, diventa indebito e soggetto a restituzione.

E) In quinto luogo, la caparra genera, a carico della parte che l'ha ricevuta, un'obbligazione condizionale, per l'ipotesi che la parte stessa sia inadempiente, e la parte contraria, esente da colpa, voglia, per tal motivo, recedere. In tal caso la parte inadempiente deve subire il recesso e versare alla parte recedente un ammontare doppio della caparra avuta, restituendo in tal guisa quello che ebbe, e sborsando inoltre ugual somma, quale indennizzo per il recedente.

Il codice non prevede l'ipotesi che ambo le parti siano in colpa; riteniamo che in tal caso venga meno il recesso legale autorizzato solo a favore della parte incolpevole (codice del 1865, art. #1217#, codice del 1917 con minor chiarezza, ma sicuramente, art. 1385). Quando così accade, il contratto si regola secondo le norme generali, si fa luogo alla compensazione delle colpe, se ve ne sono i presupposti, e la caparra deve aggiungersi al debito finale di chi l'ha avuta, o detrarsi da quello finale di chi l'ha data.

F) In sesto ed ultimo luogo, la caparra genera, a favore di colui che l'ha ricevuta, diritto di recedere, trattenendo la somma avuta, se la parte avversa è inadempiente. Così dispone l'art. 1385, a proposito di questo effetto, che è il più importante di tutti. Giuridicamente si deve, secondo noi, configurare tale rapporto come un diritto di recesso accordato dalla legge alla parte che non è in colpa, con la risoluzione di ogni obbligo di versare alla parte contraria l'ammontare eguale a quello della caparra. Si tratta di un diritto subordinato alla condizione sospensiva dell'avversario inadempimento, come indennizzo globale che la caparra ha la precipua funzione di assicurare.

Si noti ora che i recessi menzionati sopra, alla lettere E e F sono alla loro volta facoltativi, perché la parte che vi ha diritto può rinunciarvi e chiedere invece o l'esecuzione o la risoluzione del contratto, secondo le regole ordinarie. Così dispone l'ultimo comma dell'art. 1385. In tal caso, la caparra si aggiunge al debito finale di chi l'ha avuta o si toglie da quello finale di chi l'ha data.


Differenza fra il codice del 1865 e quello del 1942 – Disposizioni transitorie

Il codice del 1942 regola la caparra, nelle grandi linee, come il codice 1865. Ma reca alcune varianti; giova mettere in luce le principali non ancora ricordate.

A) Sotto il codice del 1865, si discuteva se la caparra potesse darsi prima della conclusione del contratto, perché l’art. #1217# parlava di ciò che si dà anticipatamente. Oggi, il codice del 1 942 parla di ciò che si dà al momento della conclusione. Per conseguenza, oggi la caparra, menzionata all'art. 1385, deve darsi quando il contratto si conclude; in caso contrario sorge un istituto diverso da quello previsto dall’articolo in esame.

B) L'art. 1385 autorizza la parte adempiente a recedere, mentre l’art. #1217# parlava non di recesso, ma di diretta ritenzione della caparra. E’ lecito quindi concludere che secondo il sistema del 1865 sia dichiarativa e possa essere implicita la volontà di recedere, mentre sia costitutiva quella di esigere l’adempimento; che invece, sotto il codice del 1942, il recesso sia costitutivo e debba sempre essere essere esplicito. Il recesso ha la stessa natura della scelta fatta da chi esige la penale (sopra all'art. 1382, n. 3, lett. B).

C) Il terzo comma dell'art. 1385 è parzialmente nuovo. L'articolo #1217# del codice del 1865 permetteva alla parte che non era in colpa, di chiedere l'adempimento all'altra parte, ciò che implicava l'obbligo di imputare la caparra alla prestazione, o se ciò non era possibile, di restituirla. Nel codice del 1942, l'art. 1385 terzo comma, permette alla parte adempiente che non vuole recedere, di esigere l'adempimento, ma le permette altresì di chiedere la risoluzione del contratto, prescindendo dalla caparra, ed agendo in base alle norme generali. Di qui risulta chiaro che la caparra non è mai limitativa di danni; ciò che è giusto, come fu già rilevato, dato il valore esiguo che ha la caparra di fronte alla prestazione. Nel sistema del codice del 1865, l'abrogato art. #1230# secondo comma, prevedeva l'ipotesi di una caparra limitativa, ciò che aveva fatto oggetto di rimprovero da parte della dottrina. Da parte sua, la giurisprudenza aveva inteso la critica disposizione in modo assai restrittivo, precisando che la caparra non era limitativa a) se l'inadempimento aveva reso impossibile l'esecuzione, perché, in tal caso, aveva eliminato ogni possibilità di scelta, b) se l'obbligazione del debitore consisteva in un facere, essendo anche in tal caso, la scelta impossibile, c) se infine il creditore aveva chiesto giudizialmente l'esecuzione del contratto, mentre la parte avversa non aveva eseguito la sentenza di condanna alla esecuzione, dando luogo ad una successiva azione di danni. Per conseguenza, in base a tali interpretazioni, si era già arrivati molto vicino all'art. 1385, e si era anzi affermato che quest'articolo confermava la giurisprudenza consolidata dalla Cassazione. Tuttavia l'art. 1385 ha fatto un passo avanti, perché ha ammesso l'azione di danni senza limitazione, anche se la scelta rimane possibile, per esempio perché l'obbligazione ineseguita dal debitore può essere sostituita, come fungibile, dall'intervento del creditore.

Le norme contenute nel secondo e terzo comma dell'art. 1385 dianzi illustrate (lettere B e C), in ragione delle varianti che portano al regime anteriore, come si è visto, hanno formato oggetto di una speciale disciplina stabilita all'art. 164 delle disposizioni di attuazione e transitorie. In forza di questo articolo, tali norme dell'art. 1385 si applicano anche se il contratto sia stato concluso anteriormente all'entrata in vigore del cod. 1942, ed anche se a tale data sia stato già iniziato il giudizio e questo sia ancora pendente. Così quelle restrizioni, sia pur modeste, che il cessato regime, secondo l'interpretazione datane, portava al risarcimento di danni integrale, scompaiono sotto il nuovo regime anche per i contratti conclusi prima dell'entrata in vigore del nuovo codice, ed anche se il giudizio sia anteriormente iniziato, purché non ancora compiuto.

Relazione al Libro delle Obbligazioni

(Relazione del Guardasigilli al Progetto Ministeriale - Libro delle Obbligazioni 1941)

227 La materia della caparra meritava una disciplina chiarificatrice. Mi sono sforzato di darla negli articoli 250 a 252.
È a base del sistema la presunzione che la caparra sia stata convenuta a garanzia del risarcimento dei danni per inadempimento (art. 250). Questa presunzione viene meno nei casi in cui è stato previsto un diritto di recesso, perché allora alla caparra si dà il valore di corrispettivo del medesimo (art. 251); viene meno anche quando la somma di danaro possa intendersi data come esecuzione anticipata (totale o parziale) della prestazione (art. 252). La natura non confirmatoria della caparra può essere esclusa, in ogni caso, per la sola efficienza della volontà privata; ma alle volte anche gli usi possono avere importanza, ed a essi infatti si riferisce l'art. 252 per la caparra impropria.
Se la caparra è confirmatoria, avvenuto l'inadempimento, l'altra parte può tenersi la caparra ricevuta o domandare il doppio di quella che ha dato (art. 250 cpv.). Ciò può fare, però, solo se chiede la risoluzione del contratto, e a soddisfazione completa del danno dipendente dalla risoluzione. Se, invece, chiede l'adempimento, è possibile che essa ottenga l'integrale risarcimento del danno, perché in tal caso questo deve determinarsi secondo le regole generali.
Quando, invece, la caparra è penitenziale, avvenuto il recesso dell'altra parte, quella che l'ha ricevuta la ritiene; ma se recede la stessa parte che ha avuta la caparra, allora costei deve restituire il doppio (art. 251).

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

633 La disciplina della caparra è stata molto semplificata. Nella configurazione giuridica di ciò che uno dei contraenti dà all'altro al momento della conclusione del contratto vi è una progressione. Ciò che si dà senza speciale qualifica rappresenta adempimento, totale o parziale, sia pura anticipato; ciò che si dà a titolo di caparra, mentre conferma il contratto (per modo che deve essere restituito o computato in caso di adempimento: art. 1385 del c.c., primo comma), facilita le composizioni in caso di inadempimento: infatti, l'inadempiente, se l'altra parte non insiste per l'esecuzione o non domanda in giudizio la risoluzione, perde la caparra data o restituisce il doppio di quella ricevuta (art. 1385, secondo comma), e questa è certo una composizione spedita. Ma poiché la caparra è di regola confirmatoria, la parte adempiente può fare valere i suoi diritti in via ordinaria (art. 1385, terzo comma); e allora la caparra funziona come garanzia per il recupero dei danni che saranno attribuiti in sede di risoluzione del contratto o, in caso di condanna ad eseguirlo, per la mora verificatasi. Alla caparra le parti, per patto espresso, possono conferire carattere penitenziale (art. 1386 del c.c.). In tal caso la caparra non rappresenta un limite di responsabilità per inadempimento, ma il corrispettivo della facoltà di recesso che una o entrambe le parti si siano riservate; infatti, a causa del recesso il contratto si scioglie legalmente, e non ne è quindi più configurabile un inadempimento.

Massime relative all'art. 1385 Codice Civile

Cass. civ. n. 3954/2023

La caparra penitenziale - che ricorre quando alla previsione del diritto di recesso si accompagna la dazione di una somma di danaro o di altra quantità di cose fungibili - e la multa penitenziale - cioè, il corrispettivo previsto per il recesso - non integrano, a differenza della caparra confirmatoria, un risarcimento del danno per la mancata esecuzione del contratto, bensì il corrispettivo del recesso per determinazione unilaterale e l'accertamento della volontà delle parti di dar vita all'una o all'altra figura compete al giudice del merito, il cui apprezzamento è incensurabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione esauriente ed immune da vizi logici e giuridici.

Cass. civ. n. 35390/2022

Per stabilire quale sia il regime fiscale applicabile alle somme versate a titolo di caparra confirmatoria, quando detta clausola sia contenuta in un contratto preliminare di vendita di beni, il cui definitivo sia soggetto ad IVA, occorre valutare - con accertamento che costituisce questione di fatto, rimessa al giudice di merito - se la caparra medesima abbia la funzione di anticipo sul prezzo, unitamente a quella di rafforzamento della garanzia o costituisca, invece, un elemento accidentale del contratto; nel primo caso la dazione di denaro, corrispondente alla caparra, rivestendo la stessa natura della corresponsione del prezzo, è assoggettata ad IVA ed all'imposta di registro in misura fissa, in ossequio al principio di alternatività tra imposta di registro ed imposta sul valore aggiunto, di cui all'art. 40 del d.P.R. n. 131 del 1986; nel secondo caso, invece, avendo autonomia contrattuale rispetto al preliminare in cui è inserita, è assoggettabile, ex art. 21, comma 1, del d.P.R. n. 131 del 1986, all'imposta di registro in misura proporzionale. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto estensibile tale principio anche al contratto traslativo avente ad oggetto un immobile sito all'estero, per identità di ratio e conseguenze pratiche).

Cass. civ. n. 35068/2022

In tema di contratto preliminare, la funzione di anticipazione della prestazione dovuta e di rafforzamento del vincolo obbligatorio propria della caparra confirmatoria - che si perfeziona con la consegna che una parte fa all'altra di una somma di danaro o di una determinata quantità di cose fungibili per il caso d'inadempimento delle obbligazioni nascenti da un diverso negozio ad essa collegato (c.d. contratto principale) - ben può essere assolta anche da una dazione differita, così posticipandosi la consegna ad un momento successivo alla conclusione del contratto principale, ma a condizione che il momento di tale consegna sia anteriore al termine di scadenza delle obbligazioni pattuite con il preliminare e con la conseguenza che, nelle more della consegna, non si producono gli effetti che l'art. 1385, comma 2 c. c ., ricollega alla consegna in conformità della natura reale del patto rafforzativo del vincolo.

In tema di contratto preliminare, la caparra confirmatoria, al pari della clausola penale stipulata per il caso di inadempimento, rivelano il comune intento di indurre l'obbligato all'adempimento e, pertanto, ambedue possono coesistere nell'ambito dello stesso contratto. I due istituti, tuttavia, differiscono quanto ad ambito di applicazione, giacché la caparra confirmatoria trova applicazione quando, per effetto del recesso, il contratto non possa essere più adempiuto, mentre la clausola penale è applicabile laddove colui che non è inadempiente preferisca domandare l'esecuzione del contratto o la risoluzione.

Cass. civ. n. 20434/2022

In tema di preliminare di compravendita immobiliare, l'inadempimento del promittente all'obbligo di provvedere alla cancellazione di una ipoteca iscritta sul bene, anche agli effetti dell'art. 1385 cod. civ., per il caso di caparra confirmatoria, non resta escluso dalla circostanza che sia stato pagato il creditore garantito da detta ipoteca, poiché il permanere dell'iscrizione, non potendo il pagamento essere invocato dal terzo come fatto estintivo della garanzia reale, comporta comunque un pregiudizio per l'acquirente, in quanto determina un intralcio al commercio giuridico del bene.

Cass. civ. n. 18392/2022

In tema di inadempimento contrattuale, una volta conseguita attraverso la diffida ad adempiere la risoluzione del contratto al quale accede la prestazione di una caparra confirmatoria, l'esercizio del diritto di recesso è definitivamente precluso, cosicchè la parte non inadempiente che limiti fin dall'inizio la propria pretesa risarcitoria alla ritenzione della caparra ad essa versata o alla corresponsione del doppio della caparra da essa prestata, in caso di controversia, è tenuta ad abbinare tale pretesa ad una domanda di mero accertamento dell'effetto risolutorio.

Cass. civ. n. 12032/2022

Quando il promissario acquirente di un immobile, garantito libero da ipoteche ma, in realtà, da esse gravato, si avvale della facoltà di recesso prevista dell'art. 1385 c.c. ovvero ha chiesto la risoluzione del preliminare, per effetto dell'art. 1453 c.c., 2° comma, il promittente venditore non può più attivarsi per ottenere la cancellazione della garanzia.

Cass. civ. n. 10366/2022

La caparra confirmatoria può essere costituita anche mediante la consegna di un assegno bancario, pur se l'effetto proprio di essa si perfeziona al momento della riscossione della somma da esso recata e, dunque, salvo buon fine, essendo però onere del prenditore del titolo, dopo averne accettato la consegna, di porlo all'incasso; ne deriva che il comportamento dello stesso prenditore, che ometta di incassare l'assegno e lo trattenga comunque presso di sé, è contrario a correttezza e buona fede, sì da impedirgli di imputare all'inadempimento della controparte il mancato incasso dell'assegno, come pure di recedere dal contratto, al quale la caparra risulta accessoria, o di sollevare l'eccezione di inadempimento.

Cass. civ. n. 21506/2021

Il patto con cui si stabilisca la corresponsione di quantità determinata di cose fungibili, per il caso dell'inadempimento delle obbligazioni nascenti da un diverso negozio ad esso collegato (cd. contratto principale), allo scopo di rafforzarne il vincolo, ha natura reale e, come tale, è improduttivo di effetti giuridici, ove non si perfezioni con la consegna di tali cose; ciò, tuttavia, non esclude che le parti, nell'ambito della loro autonomia negoziale, possano differire la dazione della caparra, in tutto o in parte, ad un momento successivo alla conclusione del contratto, come previsto dall'art. 1385, comma 1 c.c., purché anteriore alla scadenza delle obbligazioni pattuite, mentre non è consentito escludere la natura reale del patto accessorio, attribuendo all'obbligazione della prestazione della caparra gli effetti che l'art. 1385, comma 2 c.c. ricollega, al contrario, alla sua consegna.

Cass. civ. n. 19801/2021

In tema di caparra confirmatoria, nel caso in cui la parte inadempiente restituisca la somma versata a titolo di caparra alla controparte (nella specie, a mezzo di assegno bancario), non viene meno il diritto della parte adempiente a pretendere il doppio della caparra, da far valere, ove non emerga in senso contrario un'univoca volontà abdicativa da parte del creditore, mediante l'esercizio del diritto di recesso, anche con la proposizione di apposita domanda giudiziale in caso di mancata conformazione spontanea dell'inadempiente a relativo obbligo. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO BRESCIA, 31/03/2016).

Cass. civ. n. 26206/2017

In tema di contratto preliminare cui acceda il versamento di una caparra confirmatoria, la parte adempiente che si sia avvalsa della facoltà di provocarne la risoluzione mediante diffida ad adempiere, ai sensi dell'art. 1454 c.c., può agire in giudizio esercitando il diritto di recesso ex art. 1385, comma 2, c.c., e in tal caso, ove abbia ricevuto la caparra, ha diritto di ritenerla definitivamente mentre, ove l'abbia versata, ha diritto di ricevere la restituzione del doppio di essa, con esclusione del diritto al risarcimento del danno cagionato dall'inadempimento che ha giustificato il recesso.

Cass. civ. n. 20957/2017

In tema di contratto preliminare, va qualificata in termini di declaratoria di risoluzione per inadempimento - soggetta, pertanto, alla relativa disciplina generale - e non quale esercizio del diritto di recesso, la domanda con cui la parte non inadempiente, che abbia conseguito il versamento della caparra, chieda, oltre alla risoluzione del contratto, la condanna della controparte al risarcimento di ulteriori danni; in tal caso, dunque, essa non può incamerare la caparra, che perde la sua funzione di limitazione forfetaria e predeterminata della pretesa risarcitoria e la cui restituzione è ricollegabile agli effetti propri della risoluzione negoziale, ma solo trattenerla a garanzia della pretesa risarcitoria o in acconto su quanto le spetta, a titolo di anticipo dei danni che saranno in seguito accertati e liquidati.

Cass. civ. n. 14014/2017

La risoluzione del contratto di diritto per una delle cause previste dagli artt. 1454, 1455 e 1457 c.c., non preclude alla parte adempiente, nel caso in cui sia stata contrattualmente prevista una caparra confirmatoria, l'esercizio della facoltà di recesso ai sensi dell'art. 1385 c.c. per ottenere, invece del risarcimento del danno, la ritenzione della caparra o la restituzione del suo doppio, poiché dette domande hanno una minore ampiezza rispetto a quella di risoluzione e possono perciò essere proposte anche nel caso in cui si sia verificata di diritto la risoluzione stessa.

Cass. civ. n. 5095/2015

Il recesso previsto dal secondo comma dell'art. 1385 cod. civ. configura una forma di risoluzione stragiudiziale del contratto, che presuppone l'inadempimento della controparte ed è destinata a divenire operante con la semplice sua comunicazione a quest'ultima, sicché la parte non inadempiente, provocata tale risoluzione mediante diffida ad adempiere, ha diritto di ritenere quanto ricevuto a titolo di caparra confirmatoria come liquidazione convenzionale del danno da inadempimento.

Cass. civ. n. 14776/2014

Il potere del giudice di riduzione della penale previsto dall'art. 1384 cod. civ. non può essere esercitato per la caparra confirmatoria.

Cass. civ. n. 28573/2013

La parte non inadempiente che, avendo versato la caparra, recede dal contratto per l'inadempimento dell'altra e chiede il pagamento del doppio, ai sensi dell'art. 1385, secondo comma, cod. civ., accetta tale somma a titolo di integrale risarcimento del danno conseguente all'inadempimento e non può, dunque, pretendere ulteriori e maggiori danni, neppure sotto forma di rivalutazione monetaria della caparra stessa, atteso che il ritardo nell'adempimento del relativo credito, di natura pecuniaria e assoggettato al principio nominalistico sino alla data del pagamento, può essere causa di un'obbligazione risarcitoria del debitore solo in presenza dei presupposti indicati dall'art. 1224 cod. civ.

Cass. civ. n. 7762/2013

Il recesso unilaterale dal contratto, previsto dall'art. 1385, secondo comma, cod. civ., è di natura legale e non convenzionale, trovando la sua giustificazione nell'inadempienza dell'altra parte, laddove l'art. 1373, primo comma, cod. civ., secondo il quale il recesso non può essere esercitato quando il contratto abbia avuto un principio di esecuzione, riguarda esclusivamente il recesso convenzionale e non anche quello stabilito dall'art. 1385 in favore del contraente non inadempiente

Cass. civ. n. 10953/2012

In tema di caparra confirmatoria, qualora la parte non inadempiente, invece di recedere dal contratto, preferisca domandarne la risoluzione, ai sensi dell'art. art. 1385, terzo comma, c.c., la restituzione di quanto versato a titolo di caparra è dovuta dalla parte inadempiente quale effetto della risoluzione stessa, in conseguenza della caducazione della sua causa giustificativa, senza alcuna necessità di specifica prova del danno, essendo questo (consistente nella perdita della somma capitale versata alla controparte, maggiorata degli interessi) "in re ipsa", mentre la prova richiesta alla parte che abbia scelto il rimedio ordinario della risoluzione riguarda esclusivamente l'eventuale maggior danno subito per effetto dell'inadempimento dell'altra parte. Peraltro, ove nello stesso contratto sia stipulata una clausola penale in aggiunta alla caparra confirmatoria, tale ulteriore danno risulta automaticamente determinato nel "quantum" previsto a titolo di penale, la quale ha la funzione di limitare preventivamente il risarcimento del danno nel caso in cui la parte che non è inadempiente preferisca, anziché recedere dal contratto, domandarne l'esecuzione o la risoluzione.

Cass. civ. n. 2999/2012

La risoluzione di diritto del contratto per diffida ad adempiere, ai sensi dell'art. 1454 c.c., non preclude alla parte adempiente, nel caso in cui sia stata contrattualmente prevista una caparra confirmatoria, l'esercizio della facoltà di ottenere, secondo il disposto dell'art. 1385 c.c., invece del risarcimento del danno, la ritenzione della caparra o la restituzione del suo doppio, con la conseguenza che, sebbene spetti al giudice di accertare che l'inadempimento dell'altra parte non sia di scarsa importanza, non è poi onere della parte adempiente provare anche il danno nell'"an" e nel "quantum debeatur".

Cass. civ. n. 409/2012

Ai fini della legittimità del recesso di cui all'art. 1385 c.c., come in materia di risoluzione contrattuale, non è sufficiente l'inadempimento, ma occorre anche la verifica circa la non scarsa importanza prevista dall'art. 1455 c.c., dovendo il giudice tenere conto dell'effettiva incidenza dell'inadempimento sul sinallagma contrattuale e verificare se, in considerazione della mancata o ritardata esecuzione della prestazione, sia da escludere per la controparte l'utilità del contratto alla stregua dell'economia complessiva del medesimo.

Cass. civ. n. 24841/2011

Nell'ipotesi di versamento di una somma di denaro a titolo di caparra confirmatoria, la parte non inadempiente che abbia agito per l'esecuzione o la risoluzione del contratto e per la condanna al risarcimento del danno ai sensi dell'art. 1453 c.c., può, in sostituzione di queste pretese, chiedere nel corso del giudizio il recesso dal contratto a norma dell'art. 1385, secondo comma, c.c., non costituendo tale richiesta una domanda nuova, bensì configurando l'esercizio di una perdurante facoltà e un'istanza ridotta rispetto all'azione di risoluzione. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione del giudice di merito con cui si era affermato che l'iniziale proposizione della domanda di esecuzione in forma specifica del contratto preliminare non precludeva alla parte attrice la possibilità di avvalersi, in corso di causa, della facoltà di recesso di cui all'art. 1385, secondo comma, c.c.).

Cass. civ. n. 18266/2011

Il recesso previsto dal secondo comma dell'art. 1385 c.c., presupponendo l'inadempimento della controparte avente i medesimi caratteri dell'inadempimento che giustifica la risoluzione giudiziale, configura uno strumento speciale di risoluzione di diritto del contratto, da affiancare a quelle di cui agli artt. 1454, 1456 e 1457 c.c., collegato alla pattuizione di una caparra confirmatoria, intesa come determinazione convenzionale del danno risarcibile. Al fenomeno risolutivo, infatti, lo collegano sia i presupposti, rappresentati dall'inadempimento dell'altro contraente, che deve essere gravemente colpevole e di non scarsa importanza, sia le conseguenze, ravvisabili nella caducazione "ex tunc" degli effetti del contratto.

Cass. civ. n. 17127/2011

La caparra confirmatoria ben può essere costituita mediante la consegna di un assegno bancario, perfezionandosi l'effetto proprio di essa al momento della riscossione della somma recata dall'assegno e, dunque, salvo buon fine, essendo, però, onere del prenditore del titolo, dopo averne accettato la consegna, di porlo all'incasso. Ne consegue che il comportamento dello stesso prenditore, che ometta di incassare l'assegno e lo trattenga comunque presso di sé, è contrario a correttezza e buona fede e tale da determinare l'insorgenza a suo carico degli obblighi propri della caparra, per cui il prenditore, ove risulti inadempiente all'obbligazione cui la caparra si riferisce, sarà tenuto al pagamento di una somma pari al doppio di quella indicata nell'assegno.

Cass. civ. n. 21838/2010

La risoluzione del contratto di diritto per inosservanza del termine essenziale (art. 1457 c.c.) non preclude alla parte adempiente, nel caso in cui sia stata contrattualmente prevista una caparra confirmatoria, l'esercizio della facoltà di recesso ai sensi dell'art. 1385 c.c. per ottenere, invece del risarcimento del danno, la ritenzione della caparra o la restituzione del suo doppio, poiché dette domande hanno una minore ampiezza rispetto a quella di risoluzione e possono essere proposte anche nel caso in cui si sia verificata di diritto la risoluzione stessa; in tal caso, però, si può considerare legittimo il recesso solo quando l'inadempimento dell'altra parte non sia di scarsa importanza avuto riguardo all'interesse del recedente.

Cass. civ. n. 553/2009

In tema di contratti cui acceda la consegna di una somma di denaro a titolo di caparra confirmatoria, qualora il contraente non inadempiente abbia agito per la risoluzione (giudiziale o di diritto) ed il risarcimento del danno, costituisce domanda nuova, inammissibile in appello, quella volta ad ottenere la declaratoria dell'intervenuto recesso con ritenzione della caparra (o pagamento del doppio), avuto riguardo - oltre che alla disomogeneità esistente tra la domanda di risoluzione giudiziale e quella di recesso ed all'irrinunciabilità dell'effetto conseguente alla risoluzione di diritto - all'incompatibilità strutturale e funzionale tra la ritenzione della caparra e la domanda di risarcimento: la funzione della caparra, consistendo in una liquidazione anticipata e convenzionale del danno volta ad evitare l'instaurazione di un giudizio contenzioso, risulterebbe infatti frustrata se alla parte che abbia preferito affrontare gli oneri connessi all'azione risarcitoria per ottenere un ristoro patrimoniale più cospicuo fosse consentito - in contrasto con il principio costituzionale del giusto processo, che vieta qualsiasi forma di abuso processuale - di modificare la propria strategia difensiva, quando i risultati non corrispondano alle sue aspettative.

Cass. civ. n. 4801/2008

Qualora all'atto della stipula di un contratto preliminare di compravendita il promissario acquirente abbia versato al promittente venditore una somma a titolo di caparra confirmatoria ed il contratto preliminare sia stato successivamente dichiarato nullo con sentenza passata in giudicato, il promissario acquirente ha diritto - in considerazione della retroattività della caducazione del titolo che giustificava detto versamento - alla restituzione della caparra confirmatoria, trattandosi di una prestazione ormai sine causa.

Cass. civ. n. 17923/2007

La caparra confirmatoria di cui all'art. 1385 c.c. assume la funzione di liquidazione convenzionale del danno da inadempimento qualora la parte non inadempiente abbia esercitato il potere di recesso conferitole dalla legge e in tal caso, essa è legittimata a ritenere la caparra ricevuta o ad esigere il doppio di quella versata; qualora, invece, detta parte abbia preferito agire per la risoluzione o l'esecuzione del contratto, il diritto al risarcimento del danno dovrà essere provato nell'an e nel quantum (Applicando tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che, una volta accertato l'inadempimento di una parte e dichiarata la risoluzione del contratto, aveva ritenuto la parte non inadempiente legittimata a trattenere la somma ricevuta a titolo di caparra confirmatoria senza alcuna prova del danno subito).

Cass. civ. n. 11356/2006

La caparra confirmatoria ha natura composita — consistendo in una somma di denaro o in una quantità di cose fungibili — e funzione eclettica — in quanto è volta a garantire l'esecuzione del contratto, venendo incamerata in caso di inadempimento della controparte (sotto tale profilo avvicinandosi alla cauzione); consente, in via di autotutela, di recedere dal contratto senza la necessità di adire il giudice; indica la preventiva e forfettaria liquidazione del danno derivante dal recesso cui la parte è stata costretta a causa dell'inadempimento della controparte. Va invece escluso che abbia anche funzione probatoria e sanzionatoria, così distinguendosi sia rispetto alla caparra penitenziale, che costituisce il corrispettivo del diritto di recesso, sia dalla clausola penale, diversamente dalla quale non pone un limite al danno risarcibile, sicché la parte non inadempiente ben può recedere senza dover proporre domanda giudiziale o intimare la diffida ad adempiere, e trattenere la caparra ricevuta o esigere il doppio di quella prestata senza dover dimostrare di aver subito un danno effettivo. La parte non inadempiente può anche non esercitare il recesso, e chiedere la risoluzione del contratto e l'integrale risarcimento del danno sofferto in base alle regole generali (art. 1385, terzo comma, c.c.), e cioè sul presupposto di un inadempimento imputabile e di non scarsa importanza, nel qual caso non può incamerare la caparra, essendole invece consentito trattenerla a garanzia della pretesa risarcitoria o in acconto su quanto spettantele a titolo di anticipo dei danni che saranno in seguito accertati e liquidati. Qualora, anziché recedere dal contratto, la parte non inadempiente si avvalga dei rimedi ordinari della richiesta di adempimento ovvero di risoluzione del negozio, la restituzione della caparra è ricollegabile agli effetti restitutori propri della risoluzione negoziale, come conseguenza del venir meno della causa della corresponsione, giacché in tale ipotesi essa perde la suindicata funzione chi limitazione forfettaria e predeterminata della pretesa risarcitoria all'importo convenzionalmente stabilito in contratto, e la parte che allega di aver subito il danno, oltre che alla restituzione di quanto prestato in relazione o in esecuzione del contratto, ha diritto anche al risarcimento dell'integrale danno subito, se e nei limiti in cui riesce a provarne l'esistenza e l'ammontare in base alla disciplina generale di cui agli artt. 1453 ss. c.c. Anche dopo aver proposto la domanda di risarcimento, e fino al passaggio in giudicato della relativa sentenza, la parte non inadempiente può decidere di esercitare il recesso, in tal caso peraltro implicitamente rinunziando al risarcimento integrale e tornando ad accontentarsi della somma convenzionalmente predeterminata al riguardo. Ne consegue che ben può pertanto il diritto alla caparra essere fatto valere anche nella domanda di risoluzione.

Cass. civ. n. 5846/2006

La caparra confirmatoria conserva la sua funzione di garanzia sino alla conclusione del procedimento per la liquidazione dei danni derivanti dall'avvenuta risoluzione del contratto cui si riferisce, cosicché la richiesta di restituzione non può trovare giustificazione sino a che non sia definito tale procedimento. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto legittima la mancata restituzione della caparra a seguito dell'avvenuta risoluzione di un contratto preliminare di compravendita, ma in pendenza del giudizio sulla domanda di risarcimento del danno subito dal promittente venditore adempiente).

Cass. civ. n. 4777/2005

In caso di pattuizione di caparra confirmatoria, la parte non adempiente, convenuta in giudizio per la restituzione della caparra, può limitarsi per resistere alla domanda ed ottenere la declaratoria di legittimità della ritenzione della caparra, ad eccepire l'inadempimento dell'altra parte, senza necessità di richiedere espressamente di ritenerla o di proporre in via riconvenzionale domanda di risarcimento danni, in quanto quest'ultima domanda si collega ad una situazione giuridica autonoma ed alternativa rispetto a quella della ritenzione della caparra.

Cass. civ. n. 18850/2004

In caso di pattuizione di caparra confirmatoria, ai sensi dell'art. 1385, c.c., la parte adempiente, per il risarcimento dei danni derivati dall'inadempimento della controparte, può scegliere tra due rimedi, alternativi e non cumulabili tra loro: o recedere dal contratto e trattenere la caparra ricevuta (o esigere il doppio di essa), avvalendosi della funzione tipica dell'istituto, che è quella di liquidare i danni preventivamente e convenzionalmente, così determinando l'estinzione ope legis di tutti gli effetti giuridici del contratto e dell'inadempimento ad esso; ovvero chiedere, con pronuncia costitutiva, la risoluzione giudiziale del contratto, ai sensi degli artt. 1453, 1455 c.c. ed il risarcimento dei conseguenti danni, da provare a norma dell'art. 1223 c.c.

Cass. civ. n. 9091/2004

Qualora il contraente rinunci al diritto a trattenere la caparra confirmatoria versata, o a richiederne il doppio, allo scopo di ottenere un risarcimento del danno da inadempimento contrattuale svincolato dai limiti imposti dal meccanismo della caparra confirmatoria stessa, la somma versata a titolo di caparra diviene un acconto sul prezzo e la parte che assume di aver subito il danno avrà diritto al risarcimento se e nei limiti in cui riesca a provarne l'esistenza e l'ammontare, sottostando alle normali regole probatorie. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che correttamente la Corte di merito avesse rigettato la domanda di risarcimento danni, considerando che il mancato versamento del saldo prezzo aveva consentito al promittente acquirente, imprenditore, di trame un profitto superiore alla differenza tra il prezzo del terreno e il suo valore commerciale al momento della domanda, e che a prova del lucro cessante consistente nella perdita della possibilità di realizzare e vendere, sul terreno oggetto del preliminare di vendita rimasto inadempiuto, appartamenti e box, avrebbe dovuto essere esibita una concessione edilizia della quale non era mai stata dimostrata l'esistenza).

Cass. civ. n. 16221/2002

La parte adempiente di un contratto preliminare di compravendita, che abbia ricevuto una caparra confirmatoria e si sia avvalsa della facoltà di provocare la risoluzione del contratto mediante diffida ad adempiere (art. 1454 c.c.), può agire in giudizio esercitando il diritto di recesso (art. 1385, secondo comma, c.c.) e, in quest'ultimo caso, ha diritto di ritenere definitivamente la caparra confirmatoria, non anche il diritto di ottenere il risarcimento del danno cagionato dall'inadempimento che ha giustificato il recesso.

Cass. civ. n. 5424/2002

La caparra confirmatoria costituisce un contratto che si perfeziona con la consegna che una parte fa all'altra di una somma di danaro o di una determinata quantità di cose fungibili per il caso d'inadempimento delle obbligazioni nascenti da un diverso negozio ad essa collegato (c.d. contratto principale), e, sebbene la prestazione delle caparra confirmatoria, necessaria al perfezionamento del negozio, sia riferita dall'art. 1385, primo comma, c.c. al momento della conclusione del contratto principale, le parti, nell'ambito della loro autonomia contrattuale, possono, tuttavia, differirne la dazione, in tutto o in parte, ad un momento successivo, purché anteriore alla scadenza delle obbligazioni pattuite.

Cass. civ. n. 849/2002

Ai sensi dell'art. 1385 c.c., la caparra confirmatoria assume la funzione di liquidazione convenzionale del danno da inadempimento qualora la parte non inadempiente abbia esercitato il potere di recesso conferitole dalla legge, essendo così legittimata a ritenere la caparra ricevuta o ad esigere il doppio di quella versata, mentre qualora essa parte abbia preferito domandare la risoluzione o l'esecuzione del contratto, il diritto al risarcimento del danno rimane regolato dalle norme generali, onde il pregiudizio subito dovrà in tal caso essere provato nell'an e nel quantum, conservando la caparra solo la funzione di garanzia dell'obbligazione risarcitoria.

Cass. civ. n. 319/2001

La norma di cui al terzo comma dell'art. 1385 c.c., stabilendo che, se la parte non inadempiente preferisce domandare la risoluzione del contratto il risarcimento è regolato dalle norme generali, non ha inteso negare alla parte stessa il diritto di esigere il doppio della caparra versata (nella specie, in sede di stipula di un preliminare), ma le ha conferito la facoltà ulteriore di conseguire un più cospicuo risarcimento qualora il danno superi quello preventivamente determinato in sede di pattuizione di una caparra confirmatoria. Ne consegue che il promissario acquirente di un contratto preliminare di vendita, dopo avere inutilmente formulato, nei confronti del promittente venditore, diffida ad adempiere, ed aver instaurato il conseguente giudizio per l'accertamento dell'avvenuta risoluzione di diritto del contratto, ben può, ove non abbia contestualmente avanzato richiesta di risarcimento ai sensi dell'art. 1453 c.c., instare per il semplice conseguimento del doppio della caparra versata, secondo la previsione dell'art. 1385 c.c., e sul presupposto della risoluzione di diritto verificatasi ex art. 1454 stesso codice.

Cass. civ. n. 8488/2000

Nel contratto preliminare unilaterale la dazione di una somma da parte del contraente non ancora obbligato, ancorché qualificata come dazione a titolo di caparra confirmatoria, assolve solo la funzione di versamento di un acconto nel prezzo.

Cass. civ. n. 186/1999

In tema di caparra confirmatoria, la parte non inadempiente che abbia agito per l'esecuzione (o la risoluzione) del contratto ed il risarcimento dei danni può, in sostituzione di tali, originarie pretese, legittimamente invocare (senza incorrere nelle preclusioni derivanti dalla proposizione dei nova in sede di gravame) la facoltà di cui all'art. 1385, comma secondo, c.c., poiché tale modificazione delle istanze originarie costituisce legittimo esercizio di un perdurante diritto di recesso rispetto alla domanda di adempimento, ed un'istanza di ampiezza più ridotta rispetto all'azione di risoluzione.

Cass. civ. n. 8630/1998

In tema di caparra confirmatoria, il principio di cui al secondo comma dell'art. 1385 c.c. (in forza del quale la parte non inadempiente ha facoltà di recedere dal contratto ritenendo la caparra ricevuta o esigendone il doppio rispetto a quella versata) non è applicabile tutte le volte in cui la parte non inadempiente, anziché recedere dal contratto, si avvalga dei rimedi ordinari della richiesta di adempimento ovvero di risoluzione del negozio, perdendo, in tal caso, la caparra la sua funzione di liquidazione convenzionale anticipata del danno, così che la sua restituzione è, in tal caso, ricollegabile agli effetti restitutori propri della risoluzione negoziale, come conseguenza del venir meno della causa della sua corresponsione.

Cass. civ. n. 7182/1997

Con riferimento ad un contratto cui acceda la consegna di una caparra confirmatoria, il contraente non inadempiente che abbia intimato diffida ad adempiere alla controparte, dichiarando espressamente che, allo spirare del termine fissato, il contratto si avrà per risoluto di diritto, ben può rinunciare, successivamente, anche mercé comportamenti concludenti, alla diffida ed al suo effetto risolutivo, come nel caso in cui espressamente conceda un nuovo, ulteriore termine per l'adempimento, con la conseguenza che, nelle more di quest'ultimo, dovrà ritenersi legittimamente esercitato, da parte del medesimo, il diritto di recesso di cui all'art. 1385 (il cui unico presupposto è ravvisabile nell'inadempimento della controparte) non essendo, nella specie, predicabile una ormai avvenuta risoluzione contrattuale (concettualmente ostativa all'esercizio del diritto di recesso).

Cass. civ. n. 5644/1995

La congruità dell'ammontare della caparra confirmatoria, a differenza di quanto stabilito dall'art. 1384 c.c. per la clausola penale, non è sindacabile da parte del giudice.

Cass. civ. n. 3823/1995

Il versamento al mediatore di un «acconto sul prezzo» da parte di colui che sottoscriva una proposta di acquisto del bene non può avere, quali che siano state le espressioni usate dalle parti per definirne la funzione, la natura giuridica e gli effetti di una caparra confirmatoria perché questa può inserirsi solo in un contratto con prestazioni corrispettive dal quale sorgono obbligazioni per entrambi le parti dato che altrimenti il versamento della caparra non sarebbe in grado di svolgere la sua peculiare funzione di coazione indiretta all'adempimento sia per il soggetto che dà che per quello che riceve.

Cass. civ. n. 12860/1993

Il recesso unilaterale dal contratto, previsto dall'art. 1385, secondo comma, c.c., è di natura legale e non convenzionale, trovando la sua giustificazione nell'inadempienza dell'altra parte, laddove l'art. 1373, primo comma, c.c., secondo il quale il recesso non può essere esercitato quando il contratto abbia avuto un principio di esecuzione, riguarda esclusivamente il recesso convenzionale e non anche quello stabilito dall'art. 1385 in favore del contraente non inadempiente.

Cass. civ. n. 11267/1993

Nell'ipotesi di pattuizione di caparra confirmatoria, la richiesta di restituzione della caparra non può trovare giustificazione nel fatto che la parte non inadempiente abbia richiesto ai sensi dell'art. 1385 comma terzo c.c. la risoluzione del contratto secondo le regole generali, posto che la funzione di garanzia della caparra è in tal caso mantenuta sino alla conclusione del procedimento di liquidazione dei danni, con conseguente compensazione con il credito risarcitorio, oppure con restituzione della caparra per mancata prova dei danni.

Cass. civ. n. 2032/1993

Il diritto della parte non inadempiente di trattenere la caparra (o di pretendere dall'altra parte il pagamento del doppio della caparra versata) presuppone solo l'accertamento dell'inadempimento definitivo della prestazione dell'altra parte e, per un verso, non può dipendere, quindi, dal mero ritardo, che non impedisce l'adempimento tardivo fino a quando persista l'interesse del creditore alla prestazione o il creditore non abbia chiesto la risoluzione del contratto (art. 1453 c.c.), e, per altro verso, è indipendente dai presupposti della risoluzione, che sono, invece, necessari, ai sensi dell'art. 1385 comma terzo c.c., nel caso di domanda di pagamento degli ulteriori danni.

Cass. civ. n. 9158/1991

Anche quando l'indagine del giudice sia rivolta ad accertare quale dei due contraenti sia inadempiente, al fine di stabilire a quale di essi spetti il diritto di recesso ex art. 1385 c.c., occorre procedere ad una valutazione comparativa del comportamento di entrambi i contraenti in relazione al contratto, tenendo conto dei precetti generali sull'imputabilità e l'importanza dell'inadempimento, nonché, per quanto riguarda le singole pattuizioni, stabilire quale dei due abbia fatto venir meno, con il proprio comportamento, l'interesse dell'altro al mantenimento del contratto.

Cass. civ. n. 6506/1990

La caparra ha normalmente carattere confirmatorio e tale natura deve, quindi, essere ad essa riconosciuta, qualora non risulti che le parti si siano convenzionalmente riservate il diritto di recesso, attraverso la sua stipulazione, non rilevando in senso contrario la mera definizione di penitenziale adottata dai contraenti, giacché si richiede per la configurabilità della caparra di cui all'art. 1386 c.c. la esplicita conclusione del patto di recesso verso il pagamento di un corrispettivo.

Cass. civ. n. 2557/1989

Il contraente non inadempiente che, dopo avere intimato diffida ad adempiere con dichiarazione che, decorso il termine fissato, il contratto si intenderà senz'altro risolto (art. 1454 c.c.), sia convenuto in giudizio dall'altro contraente il quale chieda la risoluzione del contratto per suo inadempimento e la sua condanna al pagamento del doppio della caparra confirmatoria ricevuta, non può — quando il termine da lui concesso con la diffida sia decorso — chiedere che sia dichiarato, in via riconvenzionale, il suo diritto di recesso dal contratto con il diritto di ritenere la caparra ricevuta, poiché la sentenza che, nel pronunciare sulle contestazioni circa i presupposti e le condizioni di efficacia dell'atto di diffida le rigetta, accerta l'avvenuto verificarsi della risoluzione di diritto del contratto al momento della scadenza del termine concesso, sicché la dichiarazione di recesso trova il contratto già risolto. Consegue che la parte la quale non abbia potuto operare la ritenzione della caparra a titolo di risarcimento del danno deve chiedere il risarcimento stesso in base alle norme generali.

Cass. civ. n. 6577/1988

La caparra penitenziale, che si ha quando alla stipulazione del diritto di recesso si accompagna la dazione di una somma di danaro o di altra quantità di cose fungibili, a differenza della caparra confirmatoria funziona non già come un risarcimento del danno per la mancata esecuzione del contratto, ma come corrispettivo del recesso per volontà unilaterale. L'accertare se le parti abbiano voluto dare alla caparra carattere confirmatorio - che va presunto nel silenzio delle parti o quando la formula negoziale sia equivoca - ovvero penitenziale compete al giudice del merito, ed il suo apprezzamento al riguardo è incensurabile in sede di legittimità, ove sia sonetto da motivazione esauriente ed immune da vizi logici e giuridici.

Cass. civ. n. 2435/1988

Il recesso previsto dal secondo comma dell'art. 1385 c.c. configura uno strumento speciale di risoluzione del contratto, collegato alla pattuizione di una caparra confirmatoria - quale determinazione convenzionale del danno risarcibile - e postula necessariamente l'inadempimento dell'altro contraente, di cui quello non inadempiente può avvalersi in luogo dell'azione di adempimento o di quella generale di risoluzione previste dall'art. 1453, primo comma, c.c. Ne consegue che, in mancanza di contestazioni del contraente asserito inadempiente circa la sussistenza o l'importanza dell'inadempimento, l'esercizio del recesso comporta l'effetto risolutivo indipendentemente dall'adesione del contraente inadempiente.

Cass. civ. n. 2399/1988

La mera indicazione, in un contratto, della dazione di una somma a titolo di caparra, anche se espressamente definita penitenziale, non è di per sé sola sufficiente ad attribuirle natura penitenziale ai sensi dell'art. 1386 c.c., ma occorre che risulti la stipulazione di una pattuizione di recesso, alla quale la dazione stessa sia collegata come corrispettivo di tale facoltà, atteso che l'art. 1386 cit. costituisce norma speciale rispetto al disposto dell'art. 1385, che invece attribuisce in generale alla caparra la funzione di quantificazione del danno in favore del contraente non inadempiente il quale, in caso di inadempimento della controparte, preferisca recedere dal contratto anziché chiedere l'adempimento o la risoluzione del contratto.

Cass. civ. n. 3014/1985

L'anticipato versamento di una somma di danaro o di una quantità di altre cose fungibili può costituire una caparra confirmatoria ove, nell'intenzione delle parti, dette cose siano date per conseguire gli scopi pratici di cui all'art. 1385 c.c., con riferimento anche alle ipotesi di inadempimento del contratto; ne consegue che per il positivo riscontro della predetta qualificazione il giudice del merito è tenuto ad indagare in ordine all'effettiva intenzione delle parti, attraverso l'esame del complessivo regolamento contrattuale dalle stesse voluto, non essendo sufficiente il mero elemento formale della denominazione come «caparra» da quelle adoperata in riferimento al versamento stesso.

Cass. civ. n. 4241/1983

Nell'ipotesi di rilascio di caparra confirmatoria, qualora la parte non inadempiente chieda ed ottenga la pronuncia di risoluzione del contratto, con condanna dell'altra parte al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separato giudizio, la caparra confirmatoria non perde la sua funzione di garanzia per la concreta realizzazione dell'indennizzo che verrà eventualmente liquidato, con conseguente diritto del creditore a trattenere la caparra stessa sino alla conclusione del giudizio sulla liquidazione dei danni.

Cass. civ. n. 3931/1983

Il versamento di una somma a titolo di caparra da parte di uno dei contraenti, pur se si presenta astrattamente più congeniale ad un contratto preliminare, non è necessariamente incompatibile con la natura definitiva del contratto, atteso che la caparra confirmatoria, se presuppone la non contemporaneità tra conclusione e completa esecuzione del contratto, non comporta, nel contratto medesimo, un difetto di attitudine a produrre immediatamente un risultato giuridico definitivo, tale da realizzare, pur non esaurendolo, l'assetto di interessi propostosi dai contraenti.

Cass. civ. n. 3602/1983

L'art. 1385, secondo comma, c.c. — il quale riconosce alla parte non inadempiente la facoltà di recedere dal contratto ritenendo la caparra (confirmatoria) o esigendo il doppio di essa — disciplina il caso in cui tale parte si avvale della funzione tipica della caparra ed intende, con il recesso, determinare l'estinzione di tutti gli effetti giuridici sia del contratto, sia dell'inadempimento di esso, sicché non è applicabile quando la parte suindicata, avvalendosi del normale rimedio della risoluzione, intende realizzare gli effetti propri dell'inadempimento contrattuale, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 1385 citato.

Cass. civ. n. 3027/1982

La caparra confirmatoria e la caparra penitenziale si differenziano tra loro, in quanto: la prima costituisce una forma di liquidazione convenzionale del danno, pattuita dai contraenti anteriormente all'eventuale inadempimento, che lascia peraltro libera la parte non inadempiente di pretendere l'esecuzione o la risoluzione del contratto, oltre al risarcimento dei danni, secondo i principi generali (anziché ritenere la caparra ricevuta o pretendere il doppio di quella data); la seconda costituisce invece il corrispettivo del diritto di recesso, convenzionalmente stabilito, nell'ipotesi in cui le parti abbiano inteso riservarsi il diritto di recedere dal contratto, con conseguente possibilità di sciogliere il contratto stesso per effetto della dichiarazione unilaterale recettizia del recedente ed il solo obbligo del medesimo di soggiacere alla perdita della caparra data o di restituire il doppio di quella ricevuta, senza che l'altra parte possa pretendere altro. Ne consegue che la caparra ha normalmente carattere confirmatorio, salvo che non risulti dall'accertamento dalla volontà contrattuale, affidato alla valutazione insindacabile del giudice di merito, chele parti abbiano voluto riservarsi convenzionalmente, mediante essa, il diritto di recedere dal contratto.

Cass. civ. n. 1143/1982

Nell'ipotesi di rilascio di caparra confirmatoria, qualora la parte non inadempiente — anziché recedere dal contratto, ritenendo la caparra o esigendo il doppio di essa, a norma dal secondo comma dell'art. 1385 c.c. — preferisca domandare l'esecuzione o la risoluzione del contratto ai sensi del terzo comma dello stesso articolo, il risarcimento del danno è regolato dalle norme generali, con la conseguenza (oltre la possibilità di una condanna generica al risarcimento) che, se agisce colui che ricevette la caparra, questa perde la propria funzione di risarcimento, anticipatamente e convenzionalmente determinato, del danno derivato dall'inadempimento e conserva la sua funzione di garanzia per la concreta realizzazione dei danni che saranno eventualmente liquidati, funzione che si esplica mediante un diritto di ritenzione (in senso lato) della caparra stessa fino alla liquidazione dei danni in favore della parte adempiente che l'ha ricevuta.

Cass. civ. n. 6217/1981

Anche in caso di risoluzione del contratto, il diritto del contraente non inadempiente di trattenere la caparra confirmatoria fino alla liquidazione dei danni pretesi, comporta pur sempre a carico di detta parte l'onere di provare i danni medesimi, secondo i principi generali. Con la conseguenza che, in difetto di una tale prova, la funzione di garanzia della caparra si esaurisce, ed ancorché sia stata pronunciata la risoluzione del contratto per colpa dell'altro contraente la caparra stessa deve essere restituita.

Cass. civ. n. 5023/1978

Il cosiddetto «recesso» del contraente non inadempiente previsto nell'art. 1385 c.c., in tema di caparra confirmatoria, è uno strumento di risoluzione del contratto affidato alla manifestazione di volontà di quella parte e trova condizione di legittimità solo nell'importanza concreta dell'inadempimento, ai sensi dell'art. 1455 c.c., senza alcuna astratta limitazione correlata alla natura dell'effetto tipico del contratto a cui si riferisce. La sua efficacia retroattiva (fra le parti) si giustifica in base al principio stabilito dall'art. 1458 c.c., che non distingue fra contratti con effetti reali immediati e contratti con effetti obbligatori strumentali per la produzione degli effetti reali.

Cass. civ. n. 4023/1978

La causa giuridica di garanzia, propria della caparra confirmatoria, sussiste ogniqualvolta il contratto generi un'obbligazione il cui inadempimento possa essere, secondo i comuni principi o in base alla volontà delle parti, tale da alterare la natura e la finalità del rapporto complessivo in modo così radicale da generare nel contraente leso un diritto potestativo alla risoluzione del rapporto medesimo.

Cass. civ. n. 2870/1978

Il patto contrattuale che prevede la caparra (nella specie, confirmatoria) ha natura reale, e, come tale, è improduttivo di effetti giuridici ove non si perfezioni con la consegna della relativa somma.

Cass. civ. n. 3833/1977

Nel dubbio se la somma di denaro sia stata versata a titolo di acconto sul prezzo o a titolo di caparra, si deve ritenere che il versamento è avvenuto a titolo di acconto sul prezzo.

Cass. civ. n. 1729/1977

La caparra confirmatoria, pur trovando applicazione nei contratti con prestazioni corrispettive, è inapplicabile nel caso in cui questi non vincolano entrambi i contraenti, come si verifica nell'ipotesi dell'opzione fino a quando non sorge un rapporto obbligatorio anche per il destinatario della proposta irrevocabile, perché, altrimenti, il versamento della caparra non sarebbe in grado di svolgere la sua peculiare funzione di coazione indiretta all'adempimento sia per il soggetto che la dà che per quello che la riceve. Pertanto, nel caso dell'opzione, la dazione di una somma di danaro dal promittente al promissario, prima dell'accettazione di quest'ultimo, funziona da acconto anche se è denominata dalle parti come caparra confirmatoria, mentre esplica la funzione propria di questa ultima solo se interviene successivamente alla detta accettazione.

Cass. civ. n. 2380/1975

Deve respingersi qualsiasi analogia tra la caparra confirmatoria e la clausola risolutiva espressa, per la differenza che esiste tra la struttura e gli effetti dei due istituti (artt. 1385 e 1456 c.c.). La caparra confirmatoria, infatti, oltre a costituire prova della conclusione del contratto e ad integrare un'anticipata parziale esecuzione della prestazione convenuta, ha natura di sanzione contrattuale, che rafforza il vincolo con una coazione indiretta sul debitore, ed ha anche contenuto risarcitorio anticipato, in quanto dà luogo ad un incremento patrimoniale a favore del contraente adempiente e a carico dell'inadempiente, che tiene luogo del risarcimento del danno conseguente all'inadempimento. La clausola risolutiva espressa, invece, conferisce alla parte il diritto (potestativo) di determinare la risoluzione automatica del contratto per l'inadempimento di una determinata obbligazione, inadempimento la cui importanza ai fini della risoluzione di diritto è stata preventivamente valutata secondo la libera determinazione dei contraenti, sì che il giudice non deve procedere a vagliare l'entità dell'inadempienza stessa, ma solo a stabilire l'imputabilità del comportamento relativo.

Cass. civ. n. 2019/1972

L'esercizio della facoltà di recesso prevista dall'art. 1385 c.c., per il caso di versamento della caparra, non è subordinato né all'esistenza di un termine essenziale, né all'intimazione di una diffida ad adempiere.

Cass. civ. n. 2801/1971

La clausola di caparra confirmatoria accede alle clausole contrattuali che essa tende a rafforzare con una coazione indiretta sul debitore; inserita in un contratto preliminare, la clausola, con la correlativa dazione della somma di denaro al promesso venditore, rafforza l'obbligazione del promesso acquirente. Quando il contratto preliminare di vendita sia stato concluso da rappresentante senza poteri di colui che promette di acquistare e la caparra sia stata versata dal falso procuratore, anche la clausola di caparra segue la disciplina complessiva del contratto ex art. 1398 c.c. e pertanto non produce effetti se la ratifica sia stata rifiutata, proprio per il carattere accessorio della clausola di caparra, che è priva di causa se l'obbligazione da rafforzare non prende vita.

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Consulenze legali
relative all'articolo 1385 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

E. C. chiede
lunedì 18/12/2023
“Buongiorno,
si tratta di un preliminare di compravendita immobiliare con caparra confirmatoria (valore del 3,7% rispetto al prezzo totale pattuito) che l’acquirente ha versato con bonifico bancario al compratore. L'acquirente decide di togliersi dall'affare il giorno prima dell'atto dicendo all'agenzia che se otterrà la caparra confirmatoria versata all’acquirente la pagherà e lascia la sala.
Il contratto firmato non riporta clausole di recesso.
Che cosa implica la prescrizione di anni 10 stabilita per i contratti preliminari di compravendita?
Ci sono dieci anni in cui l'acquirente può tornare sui suoi passi e rivalersi sul venditore (chiedendo la casa o il doppio della caparra?) oppure passati 3 giorni dalla data del rogito che è saltato, nessuno può più chiedere un adempimento tardivo ed il contratto è risolto di diritto per termini scaduti (c.c 1457)?”
Consulenza legale i 29/12/2023
Non si hanno notizie del motivo per cui il promissario acquirente abbia deciso di non concludere il contratto definitivo di compravendita.
Da come viene esposto il quesito sembra che abbia semplicemente cambiato idea perdendo così la caparra confirmatoria che ha versato.
Questo istituto, disciplinato dall’art. 1385 c.c., ha la funzione di garantire la parte adempiente dall’inadempimento dell’altra.
In questo modo, infatti, la parte che ha ricevuto la caparra e che non è inadempiente, potrà recedere dal contratto trattenendo la caparra a seguito dell’inadempimento dell’altro contraente.

Nel caso in esame è proprio quello che sembra essere accaduto, il promissario acquirente ha versato la caparra in occasione della firma della proposta di acquisto immobiliare ma ha poi deciso di non concludere il contratto definitivo.
Il promittente venditore deve quindi comunicare al promissario acquirente che, a fronte del suo inadempimento, recede dal contratto e trattiene la caparra confirmatoria.
In alternativa può chiedere l’esecuzione o la risoluzione del contratto e il risarcimento dei danni.
Poiché la venditrice dichiara di non voler intraprendere azioni giudiziarie, si consiglia di scrivere una raccomandata o una pec al promissario acquirente dichiarando il recesso e il trattenimento della caparra confirmatoria.

Non sarà più possibile per il promissario acquirente chiedere l’esecuzione del contratto perché è stato sciolto e a nulla rileva il termine prescrizionale di dieci anni che si riferisce alla possibilità di chiedere l’adempimento di un contratto ancora in essere.

Qualora, invece, la mancata conclusione del contratto definitivo dipenda dalla scoperta di vizi dell’immobile, di difformità edilizie/urbanistiche che rendano impossibile la conclusione del contratto o di caratteristiche diverse rispetto a quanto descritto nella proposta immobiliare, problematiche non conosciute o conoscibili prima della proposta di acquisto, il promissario acquirente avrebbe uno strumento per chiedere la restituzione della caparra e agire anche per ottenere l’importo doppio ai sensi dell’art. 1385 c.c.

F. C. chiede
martedì 21/11/2023
“Mia cognata ha stipulato preliminare di acquisto in data 26/07/2022 con accordo di firmare atto acquisto il 31/12/2023.
Condizioni acquisto:
Euro 70000 alla firma preliminare
Euro 20000 dopo 30 giorni
Euro 20.000 dopo 90 giorni

Ora il venditore contesta l'atto perché mia cognata (acquirente) essendo alle successive scadenze fuori, ha incaricato la madre a consegnare assegni circolari emessi da sua madre (e quindi persona diversa da firma firmatario venditore) al cognato del venditore Senza che questo gli rilasciasse ricevuta.
Ora forte di questo il venditore si rifiuta di procedere con firma atto di vendita.”
Consulenza legale i 30/11/2023
Il contratto preliminare, chiamato anche “compromesso”, è un accordo tra venditore e compratore che ha ad oggetto l'obbligo per le parti di concludere un successivo e definitivo contratto di compravendita, già delineato nei suoi elementi essenziali; il trasferimento del diritto di proprietà sull'immobile si avrà solo con la firma di quest'ultimo.

In merito alla caparra confirmatoria, disciplinata dall’art. 1385 del c.c., si precisa che se la parte che ha dato la caparra è inadempiente, l'altra può recedere dal contratto ritenendo la caparra; se inadempiente è, invece, la parte che l'ha ricevuta, l'altra può recedere dal contratto ed esigere il doppio della caparra.

Nel caso di specie, i primi due versamenti di € 70.000 (alla firma del preliminare) e € 10.000 (entro il 30.06.2022) nel contratto preliminare di compravendita fornito sono qualificati come caparra confirmatoria; il terzo di € 20.000 (entro il 31.10.2022) è qualificato come acconto.

Il contratto contiene, inoltre, una clausola risolutiva espressa all’art. 7, il quale dispone che il mancato adempimento anche di una sola obbligazione e/o termine, ne comporterà la risoluzione di diritto ai sensi e per gli effetti dell’art. 1456 del c.c. per fatto e colpa di parte inadempiente.
Ciò comporta che la parte non inadempiente dovrà inviare una comunicazione scritta nella quale dichiara che intende valersi della clausola risolutiva e che intende il contratto risolto di diritto.

Il mancato rispetto delle scadenze, infatti, può cagionare la risoluzione di diritto del contratto preliminare come semplice conseguenza della dichiarazione scritta in tal senso della parte non inadempiente (parte promissaria venditrice); quando si dice che quest’ultima “contesta l’atto” sembra proprio potersi ravvisare proprio una dichiarazione in tal senso.
In linea generale, gli importi versati da parte promissaria acquirente a titolo di caparra confirmatoria possono essere legittimamente ritenuti da parte promissaria venditrice; quelli a titolo di acconto del prezzo devono essere restituiti.
Se, al contrario, non è pervenuta alcuna comunicazione a mezzo PEC o raccomandata a/r proveniente dalla promissaria venditrice di volersi valere della clausola risolutiva espressa, il contratto non può considerarsi risolto e si dovrà considerare ancora valido ed efficacie; si rammenti, tuttavia, che detta comunicazione potrebbe ancora essere inviata.

In ogni caso, nella situazione esposta debbono essere presi in considerazione anche i comportamenti successivi alle scadenze dei termini per i pagamenti.
Dalla narrazione pare che parte promissaria venditrice abbia accettato ed incassato gli assegni emessi per conto di parte promissaria acquirente, nonostante fossero stati emessi e consegnati in date successive alle scadenze pattuite.
A tal proposito, la circostanza per la quale non sia stata emessa alcuna ricevuta non è rilevante, proprio in quanto l’incasso dell’assegno (univocamente identificato) proveniente dalla promissaria acquirente, ne attesta la ricezione.
Allo stesso modo non rileva che siano stati consegnati ad un soggetto diverso dalla promissaria venditrice, poiché è questa che li ha incassati; così come non crea problemi che siano stati emessi da un soggetto diverso dalla promissaria acquirente, del tutto legittimata a pagare il proprio debito mediante donazione indiretta di un soggetto terzo.

Detto comportamento potrebbe essere valutato come tacita accettazione di un adempimento tardivo, soprattutto se i versamenti sono stati sollecitati da parte promissaria venditrice, considerato, peraltro, che nessuno dei termini stabiliti dal contratto è definito come essenziale.
Se anche così fosse, si tenga presente che in un contratto a prestazioni corrispettive, la parte interessata può rinunciare, anche implicitamente con atti univoci (c.d. facta concludentia, dai quali possa desumersi che il creditore abbia ritenuto più conforme ai propri interessi procedere all’esecuzione del contratto piuttosto che avvalersi della risoluzione di diritto), ad avvalersi del termine essenziale pur dopo la scadenza, così rinunciando altresì alla dichiarazione di risoluzione contrattuale, ripristinando contestualmente l’obbligazione contrattuale ed accettandone l’adempimento (Cassazione Civile, sez. II - 05/07/2013, n. 16880).

Tanto premesso, sulla scorta delle informazioni ricevute, si ritiene di poter pretendere la conclusione del definitivo ai sensi dell’art. 2932 del c.c..
Sarà, in ogni caso, opportuno analizzare nei dettagli la questione, a partire dai tempi dei singoli adempimenti e dell’entità dei ritardi nell’eseguire le prestazioni dovute, nonché visionando tutte le comunicazione scambiate tra le parti.

F. Z. chiede
martedì 09/05/2023
“Salve, sono proprietaria di un villino bifamiliare attaccato al villino di mia sorella. Il mio villino e quello di mia sorella hanno al catasto fabbricati un numero di subalterno diverso.
Ho fatto un contratto preliminare di vendita e sul contratto con il promissario acquirente mi sono presa l'impegno di fare il collaudo statico mancante per i lavori di ampliamento.
Spiego meglio la cronologia e la Storia del mio villino:
1.In data 21.11.1988 la ditta ha ricevuto Concessione edilizia N.62/88 da parte del Comune e successiva concessione per variante in Corso d'opera in data 08.06.1989 N.41/89 .
2.Su questa Concessione Edilizia sono iniziati i lavori di costruzione di un complesso turistico recettivo composto da 8 Corpi di Fabbrica.
3.Sulla base delle suddette concessioni edilizie è stato fatto il Collaudo Statico rilasciato in data 06.03.2009 .
4.In data 11.07.2006 è stato rilasciato dal Comune un permesso di Costruire N.70/2006 relativo a un ampliamento, completamento e cambio di destinazione d'uso di otto fabbricati in C. A da adibire a civile abitazione. Il progetto è stato depositato al Genio Civile in Settembre 2006.
5. Esiste quindi un Collaudo Statico generale basato su 8 corpi di fabbrica in conformità alla concessione edilizia N.62/88 e N.41/89 ma non esiste il collaudo Statico del permesso di Costruire N.70/2006 in cui ci fu ampliamento e cambio destinazione d'uso.
Sugli 8 corpi di fabbrica per come indicato sono sorti 16 villini fra cui il mio attaccato a quello di mia sorella.

Domanda:
Tenendo conto che a me manca il collaudo statico per ampliamento - sul progetto della concessione 62/88 e 41/89 la casa era 70 metri, con l'ampliamento 90 metri comprendente una scala che originariamente era interna ad esterna - N70/ 2006 il problema sorge perché mia sorella avrebbe fatto delle opere abusive e il collaudo statico si basa su tutto il corpo di fabbrica nonostante io e mia sorella abbiamo due Subalterni diversi.
Ora, tenendo conto che ho l'obbligazione sul contratto preliminare di vendita di risolvere con il collaudo statico prima di atto notarile entro il 30 ottobre 2023, qualora l'ingegnere per colpa delle opere abusive di mia sorella - la mia casa è perfettamente in regola con il progetto - non desse assenso al collaudo statico, cosa accadrebbe a me con il promissario acquirente visto che mi ha dato una caparra confirmatoria di 10.000,00 Euro tenendo poi altresì conto che il collaudo statico è cruciale per ottenere l'agibilità?
Io ho acquistato casa con atto compravendita in data Agosto 2017, mia sorella ha atto notarile di agosto 2018, abbiamo due numeri di subalterno ovviamente diversi, quindi cosa comporterebbe a me se per colpa delle opere abusive di mia sorella il tecnico non mi potrebbe rilasciare collaudo statico?
Sul contratto preliminare per quanto riguarda agibilità e collaudo statico c'è scritto esattamente così: "Si specifica che parte venditrice a seguito dei lavori di ampliamento che riguardano l'aver reso interna una scala esterna dovrà procedere a propria cura e spesa ad ottenere un nuovo collaudo statico riguardante la sola parte relativa alla scala, il tutto verrà fatto nei tempi necessari previsti dal competente ufficio del genio civile.
Documentazione immobile
"Parte promittente venditrice si obbliga a far prevenire al notaio incaricato, entro il decimo giorno antecedente la data convenuta per la stipula, tutta la documentazione necessaria per la stipula stessa, fatto salvo il certificato di agibilità di cui non è in possesso in quanto la costruzione è incompleta e pertanto potrà essere richiesta solo successivamente alla chiusura dei lavori. La parte promittente acquirente è ben consapevole che l'immobile oggi compromissato è privo di certificato di agibilità e si impegna ad ottenerlo a propria cura e spese , dispensando la parte promittente venditrice da ogni responsabilità, onere ed attività al riguardo. In merito infine alla chiusura dei lavori, poiché gli stessi non sono stati completati entro i tre anni dal permesso a costruire parte acquirente dovrà richiedere nuovo permesso per la parte ultimata."

Grazie.”
Consulenza legale i 17/05/2023
In tema di compravendita immobiliare giurisprudenza assolutamente costante ha precisato che la mancanza della agibilità dell’immobile compravenduto, o comunque anche la non conformità del cespite al titolo edilizio che ne ha legittimato l’edificazione, comporta la possibilità per l’acquirente del bene di pretendere anche per via giudiziaria la risoluzione del contratto ex artt. 1453 e ss. del c.c. con conseguente richiesta di restituzione del prezzo e risarcimento del danno (tra le tante, Cass. Civ. n.34211 del 21.11.2022).

Ovviamente le parti, e più specificatamente l’acquirente, nell’ambito della loro autonomia contrattuale, possono tranquillamente convenire ed accettare l’acquisto di un immobile privo di agibilità, o comunque non conforme ad un titolo edilizio, ma è necessario a garanzia delle parti medesime, che tutto questo sia espressamente previsto sia nel compromesso di vendita che nel successivo rogito di acquisto. Nell’ambito della pratica tutto questo capita molto più spesso di quanto non si possa pensare, ed è proprio quello che è successo nel caso specifico.

Le parti, infatti, che hanno sottoscritto il compromesso sono ben consapevoli che il bene promesso in vendita è privo del collaudo statico e della agibilità, ma da un lato la parte venditrice si è espressamente obbligata ad ottenere il collaudo statico prima di addivenire alla stipula del rogito definitivo, dall’altro lato la parte acquirente si è obbligata ad ottenere a sue spese l’agibilità una volta che avrà acquistato il bene definitivamente.

È ovvio che in una situazione come quella descritta il non ottenimento del collaudo, che tra l’altro è assolutamente un atto necessario per ottenere la successiva abitabilità a seguito della fine dei lavori, fa venir meno un requisito essenziale del bene promesso in vendita. Ciò legittimerebbe la parte promissaria acquirente a richiedere, ai sensi degli artt. 1453 e ss. del c.c., la risoluzione del contratto preliminare di vendita e a pretendere dalla parte promittente venditrice ai sensi del 2° co. dell’art. 1385 del c.c. la restituzione del doppio della caparra elargita nel momento in cui venne sottoscritto il compromesso, somma pari a circa € 20.000,00.

Il mancato ottenimento del collaudo statico quindi esporrebbe la parte venditrice al rischio non solo di vedere andare a monte un affare che è già concluso, ma di dover sborsare il doppio della caparra a suo tempo percepita. Francamente se ciò accadesse vi sarebbero pochi margini di manovra per intervenire e per impedirlo, salvo magari in sede di trattativa stragiudiziale, convincere la controparte a pretendere la restituzione della sola somma data a titolo di caparra anziché del suo doppio, epilogo che solitamente in vicende analoghe si verifica abbastanza spesso.

In tutto questo rimane sullo sfondo la posizione della sorella – vicina di casa: se, infatti, non sarà possibile ottenere il collaudo (e quindi l’agibilità) a causa delle opere abusive presenti nella abitazione di quest’ultima, è ovvio che vi potrebbero essere gli estremi per muovere determinate contestazioni in particolare in tema di risarcimento del danno che tengano anche conto del valore dell’affare sfumato e del valore della caparra che si è dovuto restituire. Il quesito, però, sotto questo aspetto, non offre spunti sufficienti per un maggiore approfondimento.
In questa sede ci si può limitare solo a ribadire l’ovvio concetto che le ipotetiche colpe della sorella non possono di per sé sottrarre la parte promittente venditrice dalle sue responsabilità assunte con la firma del compromesso verso la parte promissaria acquirente.

D. R. chiede
domenica 10/07/2022 - Lombardia
“Per una casa bifamiliare composta da due appartamenti di proprietà di VENDITORE (come erede della moglie deceduta) e VICINO con un giardino comune, avanzo una proposta di acquisto per l’appartamento posseduto da VENDITORE. Dopo essere stata accettata il 15/01, il 31/01 firmo il compromesso con caparra confirmatoria di 10.000, attraverso la mediazione di AGENTE. Il compromesso registrato prevedeva di rogitare il 31/03, per consentire al venditore di: A. Completare la successione; B. Frazionare le cantine in modo appropriato (VICINO, cognato di VENDITORE, aveva utilizzato come sue le cantine comuni). Il giorno del compromesso emerge che nel cortile comune, la tettoia di 30 mq è totalmente abusiva. VENDITORE e VICINO non sembrano intenzionati a rimuovere la tettoria, AGENTE mi suggerisce di sottoscrivere una scrittura privata con VENDITORE, contestuale al compromesso, affinché sia lui a dover sostenere i costi della rimozione della tettoia, qualora dovessero emergere ordini di demolizione anche dopo la vendita.
Al 31/03 l’attività A è stata svolta mentre è pendente il punto B e vengo a conoscenza di difformità presenti nelle cantine, derivanti da abusi commessi da VICINO sulla proprietà comune. Estendo il compromesso fino al 30/04.
Chiedo di essere perfettamente a conoscenza dei documenti per la sanatoria, dato che i contatti con il tecnico vengono tenuti da VICINO. VENDITORE ha completamente delegato al cognato VICINO lo svolgimento di queste attività. Il Comune richiede integrazioni perché ritiene la SCIA in sanatoria incompleta. Tali integrazioni richiedono di mettere in evidenza la parte esterna dell’immobile, dove è presente la tettoia.
Il 30/05, ovvero dopo un mese rispetto alla scadenza alla prima estensione del compromesso, la SCIA in sanatoria viene integrata in modo omissivo, parziale e infedele. VENDITORE non è nemmeno a conoscenza di questi avvenimenti, che riporto io a lui. L’attuale domanda in sanatoria è ancora pendente. La procedura di frazionamento in catasto, sempre gestita da VICINO, è scorretta: manca una cantina. Lo segnalo a VICINO, VENDITORE non ne è a conoscenza.
Osservando l’inattività di VENDITORE, le dichiarazioni parziali e infedeli di VICINO sulle parti comuni, su suggerimento di AGENTE e dei suoi legali, rinnovo un compromesso che prevede due alternative: [1] comprare ad un prezzo più basso solo l’appartamento, e pertanto non comprare né le cantine (non sono attualmente una pertinenza dell’appartamento ma sono autonomamente accatastate) né il giardino, chiedendo che venga istituita al rogito una servitù di passo per il giardino, dove è presente la tettoia, e unico ingresso della casa bifamiliare dalla strada. [2] comprare l’appartamento, le cantine frazionate e la comproprietà del giardino, con la rimozione di tutti gli abusi edilizi presenti.
Con l’opzione [1] penso di liberarmi del problema della tettoia e delle cantine, legate ad una SCIA incompleta, omissiva e infedele. Tale estensione del compromesso viene firmata il 05/06 da VENDITORE e VICINO (per la parte di istituzione della servitù di passo) con accordo verbale di rogitare 14/06 prima della scadenza, prevista per il 30/06. VICINO, pur avendo firmato il compromesso per la parte relativa alla servitù di passo, si rifiuta di presentarsi al rogito. VENDITORE rimane inerte e non fa nessuna azione per risolvere la questione (non tenta nemmeno di convincere VICINO).
Lo studio legale dell’AGENTE mi ha detto che in caso di inadempienza del venditore VENDITORE, avrei potuto chiedere il doppio della caparra (10.000 da restituire e altre 10.000 del venditore) E ANCHE le spese che l’agenzia mi chiede per l’intermediazione (8.500). AGENTE ha detto che, avendo firmato il compromesso, matura la loro commissione in ogni caso.
Al 30/06 nessuna delle opzioni è attuabile.
Mi sembra palese che VENDITORE sia inadempiente: sono esperite le scadenze del compromesso e delle relative estensioni, i rinnovi sono stati effettuati su mia iniziativa per ricercare soluzioni a continui ostacoli, VENDITORE ha avuto un comportamento passivo e totalmente disinteressato a contribuire fattivamente alla conclusione dell’affare, delegando il tutto a VICINO che….
Vorrei chiudere questa faccenda rapidamente e uscire dall’affare (o meglio dall’incubo). Stante la situazione, AGENTE ha diritto alla commissione? Posso chiedere a VENDITORE il doppio della caparra e le spese dell’agenzia (10.000 + 18.500)?”
Consulenza legale i 22/07/2022
Rispondiamo ai quesiti posti nello stesso ordine in cui sono stati formulati.
Riguardo al diritto del mediatore alla provvigione, la Cassazione (Sez. VI - 2 Civ., ordinanza 05/11/2021, n. 32066) ha chiarito che “al fine di riconoscere al mediatore il diritto alla provvigione, l'affare deve ritenersi concluso quando, tra le parti poste in relazione dal mediatore medesimo, si sia costituito un vincolo giuridico che abiliti ciascuna di esse ad agire per la esecuzione specifica del negozio, nelle forme di cui all'art. 2932 del c.c., ovvero per il risarcimento del danno derivante dal mancato conseguimento del risultato utile del negozio programmato. Va, invece, escluso il diritto alla provvigione qualora tra le parti non sia stato concluso un 'affare' in senso economico-giuridico, ma si sia soltanto costituito un vincolo idoneo a regolare le successive articolazioni del procedimento formativo dell'affare, come nel caso in cui sia stato stipulato un cd. 'preliminare di preliminare'”.
Ora, dalla lettura dei documenti allegati si evince che, nel nostro caso, è stato stipulato un vero e proprio contratto preliminare, con conseguente applicabilità delle forme di tutela indicate dalla sentenza appena citata.
Quindi, possiamo affermare che l’agenzia immobiliare ha maturato il diritto alla provvigione.
Passando al secondo quesito (che in realtà si articola in due distinte questioni), sempre l’esame del preliminare ha confermato come nel contratto sia prevista la dazione di una somma a titolo di caparra confirmatoria.
Ora, ai sensi dell’art. 1385 del c.c., quest’ultima consiste in una somma di denaro che viene consegnata da una delle parti all’altra al momento della conclusione del contratto, con l’accordo che, in caso di adempimento, dovrà essere restituita o imputata alla prestazione dovuta.
Dunque, se inadempiente è la parte che ha dato la caparra, l'altra potrà recedere dal contratto, trattenendo la caparra stessa; se, invece, è inadempiente la parte che l'ha ricevuta, l'altra potrà recedere dal contratto ed esigere il doppio della caparra.
Tuttavia, il terzo comma della norma stabilisce che, se la parte non inadempiente preferisce domandare l'esecuzione o la risoluzione del contratto, il risarcimento del danno è regolato dalle norme generali.
Infatti, come ha precisato la giurisprudenza, “la parte non inadempiente che, avendo versato la caparra, recede dal contratto per l'inadempimento dell'altra e chiede il pagamento del doppio, ai sensi dell'art. 1385, secondo comma, cod. civ., accetta tale somma a titolo di integrale risarcimento del danno conseguente all'inadempimento e non può, dunque, pretendere ulteriori e maggiori danni” (Cass. Civ., Sez. II, sentenza n. 28573 del 20 dicembre 2013).
Ed ancora, “in tema di contratto preliminare cui acceda il versamento di una caparra confirmatoria, la parte adempiente che si sia avvalsa della facoltà di provocarne la risoluzione mediante diffida ad adempiere, ai sensi dell'art. 1454 del c.c., può agire in giudizio esercitando il diritto di recesso ex art. 1385, comma 2, c.c., e in tal caso, ove abbia ricevuto la caparra, ha diritto di ritenerla definitivamente mentre, ove l'abbia versata, ha diritto di ricevere la restituzione del doppio di essa, con esclusione del diritto al risarcimento del danno cagionato dall'inadempimento che ha giustificato il recesso” (Cass. Civ., Sez. II, sentenza n. 26206 del 3 novembre 2017).
Pertanto, nel caso di richiesta del doppio della caparra, non vi sarà la possibilità di chiedere il risarcimento di danni ulteriori, quali il compenso versato all’agenzia immobiliare.
Una questione diversa è quella della eventuale ripartizione dell’obbligo di pagare la provvigione: a tal fine però occorrerebbe conoscere altri elementi (primo fra tutti chi ha conferito l’incarico al mediatore). In ogni caso, il secondo comma dell’art. 1755 del c.c. stabilisce che “la misura della provvigione e la proporzione in cui questa deve gravare su ciascuna delle parti, in mancanza di patto, di tariffe professionali o di usi, sono determinate dal giudice secondo equità”.

G. C. chiede
martedì 05/04/2022 - Lazio
“Il giorno 02/03/2022 ho sottoscritto, presso una concessionaria, una proposta di vendita di un' autovettura per la quale ho versato una " caparra confirmatoria " di 1000 (mille) euro.
Nella proposta di vendita era richiesto il nominativo di un " garante " in quanto la mia età (84 anni) non consente di accedere al finanziamento.
Il giorno 03/03/2022 ho spedito, alla stessa concessionaria, una lettera raccomandata con ricevuta di ritorno per comunicare la mia intenzione di recedere dall' acquisto, anche perché non posso fornire alcun nominativo " garante " e, in questa comunicazione, chiedevo di rientrare in possesso della somma versata.
Ho ricevuto l' avviso di ritorno della raccomandata il giorno 18/03/22 e, da allora, non ho avuto alcuna altra comunicazione.
Le domande che pongo sono :
1) Ho diritto alla restituzione di quanto versato ?
2) Nel caso di risposta affermativa alla prima domanda, cosa devo fare affinché rientri
in possesso della somma stessa ?

Resto in attesa di risposta e pongo cordiali saluti”
Consulenza legale i 13/04/2022
Va premesso che la caparra confirmatoria, disciplinata dall’art. 1385 c.c., consiste in una somma di denaro che uno dei contraenti dà all’altro, con l’accordo che, in caso di adempimento, essa verrà restituita o imputata alla prestazione dovuta. Invece, in caso di inadempimento, se la parte che l’ha versata è inadempiente, l'altra potrà recedere dal contratto, trattenendo la caparra stessa; se, viceversa, inadempiente è la parte che l'ha ricevuta, l'altra parte potrà recedere dal contratto ed esigere il doppio della caparra.
Pertanto, al fine di stabilire se la parte che ha versato la caparra possa pretenderne la restituzione, risulta di vitale importanza stabilire se vi sia stato o meno inadempimento alle obbligazioni nascenti dal contratto.
Occorre anche osservare che, nonostante quanto riferito nel quesito, nella “proposta di vendita” inviata in visione alla redazione non c’è traccia della richiesta di un “garante” per il pagamento del prezzo; lo stesso dicasi per le condizioni generali di contratto, costituenti parte integrante dell’accordo tra le parti.
Ad avviso di chi scrive, la situazione descritta nel quesito può essere trattata e risolta alla stregua di quanto previsto in contratto in merito all’ipotesi di richiesta di finanziamento non andata a buon fine.
Ora, la clausola “FINANZIAMENTO/LEASING” contenuta nel contratto di vendita dell’autovettura, stipulato con la concessionaria, stabilisce quanto segue: “qualora la società finanziaria non conceda il finanziamento/leasing [...], il Cliente potrà provvedervi direttamente, o potrà recedere dal Contratto; in tale eventualità avrà diritto ad ottenere la restituzione della caparra versata, salvo quanto stabilito all’art. 9.4 delle Condizioni Generali”.
A sua volta, l’art. 9.4 delle Condizioni Generali prevede che, nell’ipotesi di richiesta di finanziamento, qualora questo non venga concesso il Cliente potrà provvedere direttamente al saldo o concordare con il Concessionario una diversa modalità di pagamento: viene fatto salvo, però, il diritto del cliente di recedere dal contratto e di ottenere, in tal caso, la restituzione della caparra versata.
Per ottenere la restituzione della somma versata a titolo di caparra confirmatoria, sarà opportuno inviare alla concessionaria una lettera di formale diffida e costituzione in mora, non potendo ritenersi tale il semplice auspicio di rientrare in possesso della somma contenuto nella missiva già inviata.

S. G. chiede
lunedì 14/02/2022 - Estero
“Buongiorno, ho firmato (tramite agenzia immobiliare) come acquirente una proposta di acquisto immobiliare per una casa di campagna più terreni (in Italia piemonte), accettata dal venditore il 08 settembre 2021; importo €60.000, fatto bonifico bancario al venditore di €10.000 in data 10 settembre 2021, l'agenzia immobiliare ha fissato nella proposta la data atto (dato che non faccio mutuo) entro il 31 ottobre 2021, si scopre poi che non è stata presentata pratica regolarità edilizia.
In data 12/10/2021 venditore ed acquirente abbiamo firmato una scrittura privata che posticipava l'atto, previsto entro il 31/10/2021, entro il 31 gennaio 2022 visto che le pratiche regolarizzazione catastale non erano state concluse.
Il sabato 12 febbraio, dopo infiniti ritardi per presentazione pratica, l'agenzia mi aveva finalmente detto che la commissione/giunta si riunirà il 23 febbraio (e poi ci saranno pratiche da sanare a carico acquirente) mi avvisa che, per un terreno, hanno avuto una richiesta di prelazione agraria (cosa che non mi è stata mai neppure ventilata) e, al mio rifiuto ad accettare la modifica terreni, mi dicono che proveranno (sic) a bypassare cercando di mettere un prezzo terreno più alto per scoraggiare il contadino avente diritto.
Ora, a fronte di tutte queste cose (incluso il fatto che dovranno cercare gli 11 ipotetici altri confinanti ed inviare lettere ed attendere ulteriori 30 gg.), io NON sono più interessata a proseguire la trattativa; è un mio diritto visto che la scrittura privata ha prorogato data rogito dal 31/10/2021 al 30/01/2022 (ed oggi è gia il 14 febbraio)
E’ sufficiente oppure devo ancora attendere? (considerate che il contadino che richiede il diritto di prelazione è anche il sindaco del paese quindi non vorrei poi che, se ora dovesse non accettare visto un prezzo terreno maggiorato avrebbe comunque un anno per poter eventualmente impugnare il tutto e chiedere valutazioni terreni corrette etc )
Ho parlato con agenzia immobiliare dicendo che se entro la settimana la proprietaria mi rende la caparra e si chiude tutto in via bonaria ok altrimenti attenderò e chiederò il doppio caparra andando per vie legali
Resto in attesa di parere
Grazie”
Consulenza legale i 22/02/2022
Va premesso che, in caso di inadempimento delle obbligazioni assunte con il contratto preliminare, la parte non inadempiente, che abbia comunque interesse a far valere quanto pattuito in quella sede, potrà utilizzare il rimedio dell’esecuzione in forma specifica, previsto dall’art. 2932 c.c.: potrà ottenere, cioè, una sentenza che produca gli effetti del contratto definitivo non concluso.
Qualora, invece, la parte non inadempiente abbia interesse a sciogliersi dal vincolo contrattuale, potrà chiedere la risoluzione del contratto ex art. 1453 c.c. ed eventualmente il risarcimento del danno. Naturalmente, secondo le regole generali, occorrerà dimostrare la gravità dell’inadempimento (art. 1455 c.c.), in quanto il semplice mancato rispetto del termine previsto per la stipula del rogito non costituisce automaticamente inadempimento “di non scarsa importanza” (né il termine per la stipula del rogito può considerarsi di per sè termine essenziale ex art. 1457 c.c.).
In alternativa, essendo prevista, nel nostro caso, una caparra confirmatoria, la parte non inadempiente potrà recedere dal contratto ed esigere il doppio della caparra versata.
Naturalmente, nell’uno e nell’altro caso, laddove sorgano contestazioni sarà inevitabile rivolgersi al giudice.
La giurisprudenza ha provveduto a chiarire il rapporto tra le due azioni (risoluzione con eventuale domanda di risarcimento danni e recesso con richiesta del doppio della caparra versata): in particolare secondo le Sezioni Unite della Cassazione, 14/01/2009, n. 553, “i rapporti tra azione di risoluzione e di risarcimento integrale da una parte, e azione di recesso e di ritenzione della caparra dall’altro si pongono in termini di assoluta incompatibilità strutturale e funzionale: proposta la domanda di risoluzione volta al riconoscimento del diritto al risarcimento integrale dei danni asseritamente subiti, non può ritenersene consentita la trasformazione in domanda di recesso con ritenzione di caparra perché [...] verrebbe così a vanificarsi la stessa funzione della caparra, quella cioè di consentire una liquidazione anticipata e convenzionale del danno volta ad evitare l’instaurazione di un giudizio contenzioso, consentendosi inammissibilmente alla parte non inadempiente di "scommettere" puramente e semplicemente sul processo, senza rischi di sorta”.

Paolo P. chiede
giovedì 21/01/2021 - Veneto
“Il 10/06/2010 ho sottoscritto come venditore proprietario di un area edificabile residenziale, un preliminare di vendita come ditta individuale, con futuro acquirente la ditta (omissis) Immobiliare S.r.l. in cui si stabiliva il prezzo in Euro 190 al metro cubo edificabile, con versamento di Euro 20.000.= come caparra, e acconto di Euro 60.000.= entro il 30/09/2010.- La restante somma entro il 28/02/2011.- Collaudo finale della lottizzazione entro il 28/02/2011. (il collaudo finale è stato effettuato il 01/09/2010).-
L'acquirente ha versato la caparra e l'acconto ma non ha mai effettuato la stipula da fare entro il 28/02/2011.-
In varie occasioni ho proposto un accomodamento con la cessione di un lotto di metri cubi 600 (totale Euro 114.000.=), rinunciando al restante valore, senza esito.- La ditta non ha mai presentato richieste formali, solo richiesta verbale di restituzione di tutte le somme versate.- Ritengo che la caparra non debba essere restituita e neanche gli acconti, in quanto sono passati più di 10 anni dal versamento.-
Consulenza legale i 28/01/2021
Prima di rispondere al quesito posto è necessario fare una breve premessa sulla distinzione tra caparra e acconto, da un lato, e tra i diversi tipi di caparra contemplati dal nostro ordinamento.
Infatti il codice civile prevede sia la caparra confirmatoria che la caparra penitenziale, rispettivamente agli artt. 1385 e 1386.
Caparra confirmatoria è la somma di danaro che, al momento della conclusione del contratto, una parte consegna all’altra, con l’accordo che la caparra stessa, in caso di adempimento, debba essere restituita o imputata alla prestazione dovuta. Se è inadempiente la parte che ha dato la caparra, l'altra può recedere dal contratto, trattenendo la caparra; se, invece, è inadempiente la parte che l'ha ricevuta, l'altra può recedere dal contratto ed esigere il doppio della caparra.
La caparra penitenziale costituisce, invece, corrispettivo del recesso, e presuppone che il contratto attribuisca a una o a entrambe le parti il diritto di recedere unilateralmente. In sostanza, in questi casi il recedente perde la caparra data o deve restituire il doppio di quella che ha ricevuta.
L’acconto è, invece, il pagamento di una parte del corrispettivo.
Ora, l’esame del preliminare concluso tra le parti ha evidenziato che, nel nostro caso, la caparra prevista in contratto, versata dal promissario acquirente, è una caparra confirmatoria: viene, anzi, espressamente precisato che “in caso di inadempienza di parte promissaria acquirente questa perderà la caparra versata”. Pertanto, poiché, stando a quanto riferito nel quesito, il contratto definitivo non è stato stipulato per inadempimento del promissario acquirente, quest’ultimo non potrà esigere la restituzione della caparra versata.
Qualora, però, per qualsiasi motivo, il promissario acquirente esigesse il doppio della caparra versata sul presupposto di un ipotetico inadempimento del promittente venditore, per potergli eccepire l’intervenuta prescrizione occorrerà attendere che sia effettivamente trascorso il periodo di tempo necessario.
In altre parole: se non vi è dubbio sull’applicabilità, nel nostro caso, del termine ordinario decennale (art. 2946 c.c.), occorre considerare che, ai sensi dell’art. 2935 c.c., la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere. Dunque, il dies a quo, cioè il momento a partire dal quale va calcolata la prescrizione, ad avviso di chi scrive non va individuato nella data di versamento della caparra, ma almeno in quello in cui può considerarsi verificato l’inadempimento. Ora, considerando che nel preliminare è previsto l’obbligo di stipula del rogito entro il 28/02/2011, il dies a quo della prescrizione va indicato nel 01/03/2011, e non sarebbe quindi ancora decorso.
Per quanto riguarda invece l’acconto versato, saremmo di fronte ad un indebito oggettivo: sul punto, la giurisprudenza (Cass. Civ., Sez. III, sentenza 03/12/2015, n. 24628) ha precisato quanto segue: “in tema di indebito oggettivo, il termine di prescrizione dell'azione di ripetizione decorre dal giorno in cui l'accertamento dell'indebito sia divenuto definitivo, quando il difetto della "causa solvendi" sopravvenga al pagamento e non riguardi, invece, elementi genetici di un negozio nullo”. Tale principio è stato affermato proprio in relazione a un caso in cui era stata richiesta la ripetizione della somma corrisposta, in conto-prezzo, in occasione della stipula di un contratto preliminare, successivamente rimasto inadempiuto. Nella motivazione della sentenza si legge: “la somma oggetto di ripetizione venne corrisposta all'atto della stipulazione di un contratto preliminare pienamente valido ed efficace; con conseguente applicazione della su riportata regola di diritto per cui, in tale ipotesi, il termine di prescrizione inizia a decorrere non già dal momento della dazione, bensì da quello dell'accertamento definitivo dell'indebito. In altri termini, nel caso in esame la ripetizione dell'indebito trova fondamento non già in un difetto originario ed invalidante di causa negoziale (c.d. condictio sine causa), bensì nella mancata esecuzione di un contratto valido e, per ciò stesso, nel successivo venir meno della ragione giustificativa del pagamento (condictio ob causam finitam)”.
Vi è però da dire che, nell'ipotesi pur remota in cui il promissario acquirente intendesse proporre, ad esempio, un'azione di risoluzione del contratto per inadempimento (art. 1453 c.c.) del promittente venditore e contestuale domanda di versamento del doppio della caparra, e/o di restituzione dell'acconto versato, dovrebbe farlo in termini strettissimi essendo prossima la prescrizione dell'azione di risoluzione, che decorre dal verificarsi dell'inadempimento (quindi dal 01/03/2011, essendo prevista la stipula del rogito entro il 28/02/2011).

Anna P. chiede
giovedì 08/10/2020 - Trentino-Alto Adige
“mio marito nel marzo 2016 ha, su indicazioni di un geometra, firmato un contratto di compravendita di un terreno (p.ff - prato) anticipando nell'occasione una somma di 5000 euro "versati a titolo di caparra confirmatoria e primo acconto " (parole che si trovano nel contratto).
Nel contratto non erano presenti date o vincoli di scadenza dell'accordo.
Per cause di forza maggiore dipendenti dal Comune in cui si trova questa particella fondiaria la compravendita non è potuta avvenire in quanto il terreno non poteva essere utilizzato nel modo in cui mio marito si era preposto. Nello specifico la particella risultava inserita in una zona di pregio, condizione da cui, secondo il geometra a cui ci siamo affidati, poteva essere svincolata per passare a terreno con destinazione agricola. (L'intento di mio marito era di costruire una stalla). Il Comune ha dato invece parere negativo e definitivo rispetto a questo passaggio.
Abbiamo contattato più e più volte la signora a cui mio marito ha versato la caparra che si rifiuta di restituire la somma anticipata con il contratto sopra menzionato, nonostante la compravendita sia saltata.
Vorremmo sapere se ci sono possibilità di avere indietro i nostri soldi oppure se siamo nel torto a pretenderli.
Grazie dell'attenzione .”
Consulenza legale i 29/10/2020
Purtroppo la parte promittente venditrice ha ragione a non voler restituire la somma a Lei versata.
Ne spieghiamo di seguito le ragioni.

La caparra confirmatoria (disciplinata dall’art.1385 del codice civile) ha essenzialmente una triplice funzione: di conferma del contratto, di anticipo della prestazione e, soprattutto, di indennizzo preventivo per l'eventuale inadempimento.
Per quanto riguarda quest’ultima funzione, essa appunto costituisce in sostanza una sorta di garanzia del risarcimento dei danni per l’eventuale inadempimento di uno dei contraenti.
Laddove essa, come nel caso in esame, venga corrisposta in occasione della sottoscrizione di un contratto preliminare comporta che al momento della stipula del definitivo venga imputata al prezzo concordato per la vendita; mentre, in caso di inadempimento del promittente acquirente (per mancata stipula del contratto definitivo) il promittente venditore può recedere dal contratto ritenendo la caparra medesima.

Ciò posto, leggiamo nel quesito che il contratto definitivo non è stato stipulato “ in quanto il terreno non poteva essere utilizzato nel modo in cui mio marito si era preposto”.
Ebbene: il modo in cui Suo marito avrebbe voluto utilizzare il terreno costituisce il motivo della stipula del contratto.
Il motivo, a differenza della causa, non ha rilevanza a fini contrattuali costituendo una mera esigenza personale di una delle parti. Soltanto laddove esso sia illecito e comune ed entrambe determina l’illiceità del contratto (art. 1345 c.c.), come evidenziato anche dalla Suprema Corte con la sentenza n.20197/2005: “La norma dettata dall'art. 1345 c.c. che, derogando al principio secondo il quale i motivi dell'atto di autonomia privata sono di regola irrilevanti, eccezionalmente qualifica illecito il contratto determinato da un motivo illecito comune alle parti”.

Alla luce di ciò, il rifiuto di stipulare un contratto definitivo perché non si è potuto realizzare il motivo per cui si sarebbe concluso costituisce un inadempimento che legittima l’altra parte contrattuale a trattenere la caparra.

A ciò si aggiunga che nel contratto preliminare non è stata nemmeno apposta alcuna condizione relativamente alla stipula del definitivo (che si sarebbe dovuto stipulare entro il maggio 2016), come avviene – ad esempio – per l’erogazione del mutuo.

Da ultimo, facciamo presente che la parte adempiente si è limitata a trattenere la caparra ai sensi dell’art. 1385 c.c.
Avrebbe altrimenti potuto anche rivolgersi a un giudice per ottenere una sentenza ai sensi dell’art. 2932 c.c. che avrebbe prodotto gli effetti del contratto non concluso: cioè un trasferimento della proprietà con conseguenze condanna al pagamento del prezzo di vendita, oltre il risarcimento dei danni.
Sul punto, si riporta tale passaggio chiarificatore contenuto nella sentenza n.28204/2013 della Corte di Cassazione: “ in tema di contratti cui acceda la consegna di una somma di denaro a titolo di caparra confirmatoria, la parte non inadempiente che abbia esercitato il potere di recesso riconosciutole dalla legge è legittimata, ai sensi dell'art. 1385 c.c., comma 2, a ritenere la caparra ricevuta o ad esigere il doppio di quella versata: in tal caso, la caparra confirmatoria assolve la funzione di liquidazione convenzionale e anticipata del danno da inadempimento. Qualora, invece, detta parte abbia preferito, ai sensi del dell'art. 1385 c.c., comma 3, domandare la risoluzione (o l'esecuzione del contratto), il diritto al risarcimento del danno rimane regolato dalle norme generali, onde il pregiudizio subito dovrà, in tal caso, essere provato nell'an e nel quantum, giacché la caparra conserva solo la funzione di garanzia dell'obbligazione risarcitoria”.

Alla luce di tutto quanto precede, come sopra accennato, la risposta al quesito deve intendersi purtroppo negativa non essendovi ragioni fondate per ottenere la restituzione della caparra versata in sede di preliminare.

Adriana S. chiede
venerdì 08/02/2019 - Sicilia
“Salve,
vorrei sapere se il versamento di una somma di denaro, tramite bonifico bancario (da parte di una società finanziaria) al venditore debba necessariamente considerarsi caparra confirmatoria e non acconto , e se, per la sua validità, si debba considerare la data di esecuzione del bonifico oppure quella in cui l'importo viene effettivamente accreditato sul conto del venditore.
Cordiali saluti

Consulenza legale i 11/02/2019
In primo luogo va premesso che il diritto di recesso (inteso come diritto di ripensamento) nei contratti tra consumatore e professionista disciplinato dall’art. 52 del codice consumo riguarda soltanto gli acquisti avvenuti al di fuori dei locali commerciali.
Poiché nel caso in esame l’ordine di acquisto risulta essere stato sottoscritto all’interno del negozio, dovremo far riferimento alle condizioni generali contenute nel contratto firmato dalle parti.

Ciò precisato, per rispondere alle domande contenute nel quesito, occorre anche fornire alcune brevi nozioni in materia di caparra confirmatoria, disciplinata dall’art. 1385 del codice civile il quale prevede che se la parte che ha dato la caparra è inadempiente, l’altra può recedere dal contratto, ritenendo la caparra; se inadempiente è invece la parte che l’ha ricevuta, l’altra può recedere dal contratto ed esigere il doppio della caparra.
In pratica, l’importo viene versato per stabilire una forma di risarcimento anticipato per le ipotesi di inadempimento del contratto.
Infatti, la differenza tra acconto e caparra sta proprio essenzialmente nel fatto che mentre il primo non ha alcuna finalità risarcitoria in caso di mancata conclusione del contratto, la seconda vincola e garantisce le parti rispetto al mancato raggiungimento dell'obiettivo concordato.
La dazione di caparra deve essere esplicitamente dichiarata. La norma sopra citata infatti sottolinea che la somma versata deve essere data “a titolo di caparra”, escludendosi quindi che ciò si possa desumere o dedurre la natura di caparra da altre circostanze non espresse. Tra l’altro ciò, trova conferma nella giurisprudenza di Cassazione già a partire dalla pronuncia n. 3833/1977.

Tutto ciò brevemente premesso, esaminata la documentazione trasmessa, si osserva quanto segue.

Nelle condizioni generali di contratto è espressamente specificato (art. 8) che “al momento della conclusione del contratto, l’acquirente dovrà versare al venditore una caparra confirmatoria comunque non superiore al 30% del valore della fornitura” e che “qualora le parti si accordino per il versamento iniziale di una somma superiore, la differenza rispetto al 30% dovrà essere conteggiata come acconto”.
Quindi, che la somma sia stata versata a titolo di caparra confirmatoria è pacifico.

A ciò si aggiunga che il contratto di acquisto di una cucina è un contratto consensuale: cioè deve ritenersi concluso nel momento in cui viene espresso dalle parti il consenso tramite la sottoscrizione.
Pertanto, nel nostro caso, il contratto si è concluso il 4 febbraio u.s. e non quando è stato corrisposto il bonifico (che è solo una modalità con cui avviene il pagamento).
Di conseguenza, è irrilevante la circostanza che l’ordine di bonifico sia stato dato il giorno successivo.
Tra l’altro, è anche parimenti espressamente specificato nelle condizioni generali di contratto sottoscritte (art. 11) che “il rapporto tra l’acquirente e la società finanziaria non è oggetto di disciplina del presente contratto”.
Inoltre, anche volendo sostenere che non essendo pervenuto subito il pagamento il contratto non avrebbe avuto un principio di esecuzione, ciò sarebbe irrilevante nel caso in esame.
Infatti,occorre tenere presente che se è vero che il recesso unilaterale (art. 1373 c.c.) può essere esercitato finché il contratto non abbia avuto un principio di esecuzione, è altrettanto vero che tale facoltà deve essere espressamente prevista nel contratto ( Cfr. Cassazione sentenze n. 2817/1976; C. 987/1990 ).
E nelle condizioni generali del contratto in esame non leggiamo alcun articolo che preveda tale facoltà.

Quindi, in risposta al quesito, purtroppo dobbiamo confermare che quanto comunicato dall’ufficio legale della società venditrice sia assolutamente corretto, dal momento che viene restituito l’importo eccedente il 30% della caparra confirmatoria.


MARIA A. L. chiede
venerdì 18/09/2015 - Piemonte
“Egregio Avvocato,
in data 08/04/2013 stipulo contratto preliminare di compravendita di capannone artigianale + terreno per un importo totale di € 110.000,00, lasciando caparra confirmatoria di € 10.000,00 con rogito entro il 30/09/2013.
La proprietà, nel 2009, aveva a sua volta sottoscritto preliminare con altro acquirente;
quest'ultimo aveva inserito all'interno dei locali (senza titolo) un parente per lo svolgimento di attività di riparazione auto.
Il soggetto in questione è nostro conoscente da anni e la compravendita è avvenuta previo accordi per lo svolgimento simultaneo sia della sua attività che della mia, infatti è stato citato nella scrittura privata.
Il venditore ha più volte dichiarato l'intenzione di voler pacificamente risolvere il contratto con il 1° acquirente.
Alla notizia della firma del compromesso seguita dall'occupazione da parte mia dei locali, il soggetto occupante l'immobile ha dichiarato la sua estraneità ai fatti, procurando ai danni del mio socio una denuncia per minacce e ingiurie.
Constatiamo amaramente che, non conoscevamo “veramente” il soggetto....
Alla luce dei fatti ho dichiarato verbalmente alla proprietà l'intenzione di ritirarmi dall'acquisto; la proprietà, concorde, dichiarava la volontà a restituirmi la caparra.
Durante l'incontro risolutivo, viene ritrattato il tutto.

Acquisto, con rogito notarile nel luglio 2013, altro capannone dando perduta la caparra confirmatoria.

Dopo qualche mese, il soggetto viene arrestato per traffici illeciti svolti all'interno del capannone e l'immobile viene sottoposto a sequestro (situazione persistente tutt'oggi)
Il soggetto viene rilasciato con obbligo di firma ed è rientrato nei locali procedendo nella sua attività.
Giungiamo al Luglio 2015 quando mi viene intimato dal tribunale a comparire in testimonianza all'udienza tra la proprietà, il 1° acquirente ed il soggetto occupante l'immobile.
Prendo contatto con l'Avvocato della proprietà il quale chiede la mia disponibilità al fine di “aiutare” il venditore a vincere la causa contro il 1° acquirente e l'occupante “abusivo” preannunciando in cambio la restituzione della mia caparra.
Testimonio a favore della proprietà, in previsione di una risoluzione più accomodante riguardo il mio compromesso.
Invio il 29/08/2015 una richiesta di restituzione caparra per decorrenza termini.
Propongo l'importo della caparra escludendo il doppio e/o il trasferimento del solo lotto di terreno.
In data 14/09/2015 la proprietà, presentandosi di persona, mi risponde:
- che non è intenzionato a restituire la caparra in quanto sono io che non sono voluta andare in atto
- che potrebbe obbligarmi a concludere l'acquisto (peccato che ho già dato fondo ai miei risparmi acquistando altro capannone!)
- sostiene che l'immobile è libero da cose e persone (situazione che non corrisponde al vero !)
- chiede di trovare un acquirente disposto all'acquisto maggiorando la richiesta dell'importo della caparra, così da potermela restituire.

A questo punto mi chiedo:
- Come dichiarato dall'Avvocato della proprietà, ho realmente diritto alla restituzione del doppio della caparra in quanto sono ampiamente decorsi i termini del trasferimento?
- La proprietà ha realmente il potere di obbligarmi ad acquistare il capannone?
- Una denuncia per minacce e ingiurie (assolutamente infondata nonché ritirata 2 anni dopo) può valere come motivo di rinuncia all'acquisto?
- Essendo i locali sottoposti a sequestro (situazione venuta a crearsi dopo la firma del compromesso), possono essere un giustificato motivo per ritirarsi dall'acquisto?
Visto e considerato che il soggetto abusivo detiene ancora le chiavi dell'immobile, è lecito pensare che la proprietà fosse d'accordo con l'occupante x impedire la conclusione della vendita ed intascare al 50/50 la mia caparra?

In ultima battuta, veniamo da poco a conoscenza dell'attività di conceria pellame svolta decenni or sono all'interno nonché all'esterno dell'immobile; in parole povere, sono stati sotterrati in maniera superficiale (poco sotto i 50 cm di profondità) pellami, scarti di lavorazione, solventi e materiali chimici.
Questo ci ha fatto ritornare sulla nostra decisione di trattenere il terreno (già pagato con € 10.000,00 di caparra) in quanto, nell'ipotesi di intervento dell'Arpa (Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale) l'obbligo di bonifica con conseguente esborso di danaro avrà fatto, della nostra scelta, una pessima decisione!!!

Ringrazio anticipatamente ed attendo indicazioni in merito.
Cordiali Saluti”
Consulenza legale i 22/09/2015
Per dare risposta al quesito è necessario in via preliminare chiarire il concetto di caparra confirmatoria.
L'art. 1385 del c.c. stabilisce che, se alla conclusione del contratto una parte dà all'altra, a titolo di caparra (cioè si specifica che si tratta di caparra, escludendo che la dazione costituisca un mero acconto), una somma di danaro o una quantità di altre cose fungibili, la caparra:
- in caso di adempimento, deve essere restituita o imputata alla prestazione dovuta, alla stregua di una anticipazione;
- in caso di inadempimento della parte che ha dato la caparra, l'altra può recedere dal contratto, ritenendo la caparra;
- in caso di inadempimento della parte che l'ha ricevuta, l'altra può recedere dal contratto ed esigere il doppio della caparra.
La parte che non è inadempiente, dice ancora la norma, può comunque sempre preferire l'esecuzione o la risoluzione del contratto, ottenendo il risarcimento del danno secondo le norme generali.

La caparra ha funzione deflattiva di liquidazione stragiudiziale del pregiudizio: le parti, cioè, vanno a predeterminare il prezzo del loro recesso, che potrà aversi in caso di inadempimento della controparte. Al contrario, con l'azione per il risarcimento, la parte sopporta il rischio dell'incertezza dell'esito giudiziale, ma può ottenere un maggiore ristoro.

Nel caso di specie, è fuor di dubbio che la somma di euro 10.000 sia stata versata a titolo di caparra confirmatoria.
Resta da sciogliere il nodo dell'imputabilità dell'inadempimento alla parte promittente venditrice: una volta stabilito che sia stata questa a provocare la mancata esecuzione del contratto preliminare, la parte promissaria acquirente avrà diritto a vedersi restituire il doppio della caparra versata (quindi 20.000 euro).

Prima di affrontare il problema della giustificatezza del recesso della promissaria acquirente, va incidentalmente chiarito che il contratto preliminare per l'acquisto del capannone appare essere ancora in vita.
Va premesso che ex art. 1351 del c.c. il contratto preliminare deve essere fatto nella stessa forma che la legge prescrive per il contratto definitivo, a pena di nullità: quindi, un preliminare avente ad oggetto la compravendita di un immobile va stipulato in forma scritta.
La risoluzione del medesimo contratto preliminare di compravendita di immobile va parimenti effettuata in forma scritta; se avvenuta verbalmente, essa non è produttiva di effetti risolutivi del preliminare stesso. Questa è la conclusione cui è giunta la giurisprudenza in legittimità, in particolare con la pronuncia a Sezioni Unite n. 8878 del 1990. Il principio accolto dalla Corte di Cassazione è quello in base al quale i requisiti formali ad substantiam valgono anche per l'accordo risolutorio del preliminare. Nonostante alcune pronunce contrarie, l'orientamento delle Sezioni Unite sembra ormai essersi consolidato (Cass. civ., sez. II, 1790/95; Cass. civ., sez. II, 13104/95; Cass. civ., sez. III, 9341/04).

Pertanto, in assenza di una risoluzione scritta del preliminare, la parte interessata alla conclusione del contratto, avrà la possibilità in astratto di agire, richiedendo l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto ex art. 2932 del c.c., iniziando un apposito processo.

Torniamo, però, alla questione dell'inadempimento.
Di fatto, le parti hanno concordemente deciso di non dare corso al contratto preliminare e la promissaria acquirente aveva in effetti rinunciato a farsi restituire la caparra, in un primo momento. Il fatto che sia decorso il termine per la conclusione del contratto definitivo è in effetti imputabile ad entrambe le parti.
Tuttavia, mancando evidenze scritte di tale situazione (vi sono lettere o email in cui la parte acquirente rinuncia alla caparra?), si potrebbe ricostruire la vicenda in termini differenti.

Il preliminare firmato cita espressamente la presenza di un certo sig. Tizio come occupante sine titulo dell'immobile. Il contratto recita: "La parte promissaria acquirente si rende edotta dal fatto che il bene in oggetto è occupato senza titolo dal sig. Tizio, il quale svolge all'interno del bene attività di officina riparazioni auto e carrozzeria. Pertanto la parte promissaria acquirente dichiara sin d'ora di accettare l'immobile occupato nello stato di fatto e diritto in cui si trova. La parte promissaria venditrice autorizza la parte promissaria acquirente ad espletare tutte le pratiche per il rilascio dell'immobile attualmente occupato da terzi senza titolo ed a utilizzarlo sin dalla data di stipula della seguente scrittura privata nei limiti dello stato di fatto e di diritto attuale dell'unità immobiliare oggetto di vendita".

Da tali clausole emerge che la parte acquirente avrebbe potuto legittimamente usare il capannone sin dalla data di stipula del preliminare, compatibilmente con la presenza del terzo occupante, che era comunque legittimata a far sgomberare.
Si tratta di un impegno ben preciso assunto dalla parte promittente venditrice, impegno alla quale, tuttavia, la stessa sembra essere venuta meno.
Difatti, Tizio occupante abusivo ha impedito l'utilizzo del capannone da parte della promissaria acquirente e la parte venditrice non ha fatto nulla per garantire invece l'uso promesso della cosa: se è vero che Tizio era estraneo agli accordi negoziale (e quindi la sua condotta è irrilevante ai nostri fini), è anche vero, però, che la venditrice sembra essere venuta meno all'impegno vincolante di consentire l'utilizzo del capannone sin dalla conclusione del preliminare.
Questa appare essere l'unica ragione che potrebbe essere valorizzata come giustificazione di un recesso da parte della promissaria acquirente nel 2013.

Nel 2015, tuttavia, a tale ragione (per la verità, un po' labile e tutta da dimostrare) si aggiunge il fatto che la promissaria acquirente scopre che nel capannone:
- veniva svolta una attività non dichiarata dal promittente venditore, quella di conceria pellame;
- che tale attività era inoltre illecita sotto il profilo penale, circostanza emersa nel corso di un processo a carico di Tizio.
A nostro giudizio, tali fatti inducono a ritenere che il venditore abbia mentito sull'oggetto del contratto, cioè sulle reali caratteristiche dell'immobile oggetto della compravendita. La promissaria acquirente, infatti, ha dichiarato di accettare la presenza di un terzo che svolgeva attività di riparazioni auto e carrozzeria, non altro; a maggior ragione, non di una attività penalmente perseguibile (tanto che il capannone risulta sequestrato).

Si ritiene, quindi, che sussistano valide motivazioni in capo alla parte promissaria acquirente per appellarsi all'art. 1385, dichiarando per iscritto (con raccomandata a.r.) di voler recedere dal contratto preliminare stipulato in data 8.4.2013 e chiedendo la restituzione del doppio della caparra confirmatoria versata. Il diritto è ancora sussistente, non essendo ancora trascorsi dieci anni dalla conclusione del contratto.
Ciò va a superare il diritto della promittente venditrice - astrattamente ipotizzabile - a chiedere una sentenza che sostituisca il contratto definitivo non concluso, ai sensi dell'art. 2932 del codice civile, visto che la stessa si trova in posizione di inadempiente.

E' assolutamente consigliabile rivolgersi ad un legale per la redazione della lettera da inviare alla controparte, il quale meglio potrà sottolineare gli aspetti giuridicamente rilevanti della vicenda e impostare già una difesa contro eventuali presumibili eccezioni della promittente venditrice. Egli dovrà valutare anche la presenza di prove a sostegno di tutte le affermazioni della promissaria acquirente.
Non va trascurata nemmeno la possibilità di agire alternativamente per la risoluzione del contratto con risarcimento del più ampio danno, se si ritiene che il pregiudizio subito da chi voleva acquistare superi la somma di euro 20.000 (pari al doppio della caparra).

Una nota conclusiva riguardo la denuncia per minaccia e ingiurie: essa concerne solo i rapporti tra i soggetti/persone fisiche interessati (peraltro diversi da chi ha sottoscritto il contratto preliminare), quindi ci sembra che non possa essere valorizzata come motivo di recesso dal contratto preliminare.

ANGELO V. chiede
martedì 16/06/2015 - Lombardia
“Buonasera,
In data 1/4/15 mi sono impegnato ad acquistare un immobile tramite un agente immobiliare. Successivamente la proposta irrevocabile di acquisto è stata accettata dal proprietario dell'immobile. Ho versato una caparra confirmatoria e pagato l'intermediazione. Non abbiamo successivamente stipulato un compromesso in quanto la data del rogito era alquanto breve. Infatti la proposta prevedeva la stipula "entro e non oltre" il 30/05/15. Il proprietario per problemi di ipoteche iscritte sull'immobile in questione non è stato in grado di stipulate l'atto di vendita. L'esistenza di ipoteche non mi era stata comunicata né dall'agente immobiliare né dal proprietario al momento della sottoscrizione della proposta di acquisto, ma solo il 26 maggio scorso. Al momento la situazione è in stand-by. Domanda: posso richiedere la risoluzione del contratto e il pagamento del doppio della caparra e la restituzione dell'onorario già pagato all'agenzia immobiliare?
Grazie.
Cordiali saluti.
Angelo Viglione”
Consulenza legale i 23/06/2015
Si possono indicare diverse soluzioni al quesito proposto, tutte a favore della parte acquirente.

Innanzitutto, si può richiamare il meccanismo delineato dal codice civile per la conclusione del contratto, cioè l'incontro tra proposta e accettazione, che devono essere conformi, cioè avere ad oggetto il medesimo bene, e contemplare le medesime condizioni (art. 1326 del c.c.).
Quando ciò non accade, cioè quando l'accettazione non è conforme alla proposta, sussistendo una obiettiva difformità, il contratto dovrebbe ritenersi giuridicamente inesistente: nel nostro caso, la proposta riguardava un immobile libero da vincoli, mentre dopo l'accettazione è stato evidenziato da parte del venditore che esistevano delle ipoteche di cui era stata taciuta l'esistenza.

Anche a non voler aderire alla tesi della totale inesistenza del contratto, in ogni caso è evidente che nel caso di specie il compratore è stato indotto a formulare la proposta mediante un raggiro, un inganno, consistito nel tacere che l'immobile fosse ipotecato: si versa, quindi, in una ipotesi di annullabilità del contratto per dolo, ai sensi dell'art. 1439 del c.c. ("Il dolo è causa di annullamento del contratto quando i raggiri usati da uno dei contraenti sono stati tali che, senza di essi, l'altra parte non avrebbe contrattato").
La parte acquirente ha diritto a chiedere, quindi, che il contratto sia annullato, con restituzione di quanto versato, sia al venditore, sia all'intermediario, qualora anche questi sia stato partecipe del dolo (nello specifico, verrà annullato anche il contratto di mediazione).

Un'altra possibilità è quella di chiedere la risoluzione del contratto per inadempimento (art. 1453 del c.c.): difatti, il bene compravenduto è del tutto diverso da quello inizialmente promesso, pertanto la parte acquirente ha diritto a chiedere lo scioglimento del contratto - sia di compravendita che di mediazione - e la restituzione di quanto versato.

In ogni caso, la parte acquirente avrà diritto a chiedere il risarcimento del danno, che può consistere nel tempo e nelle energie perse per intavolare le trattative, le spese nel frattempo sostenute ed eventuali chance di guadagno perse a causa dell'inutile contrattazione (in riferimento a quest'ultimo aspetto, il "mancato guadagno" di cui parla l'art. 1223, la prova dovrà essere particolarmente rigorosa).

Va specificato, inoltre, che se la somma già pagata al venditore è stata espressamente configurata come caparra confirmatoria, la parte non inadempiente che l'ha versata ha diritto a chiedere il recesso dal contratto e la restituzione del doppio della cifra. E' una modalità diversa dalla risoluzione del contratto, perché in questo caso il risarcimento del danno è costituito dalla restituzione del doppio della caparra e la parte che recede non può chiedere ulteriori somme.

Il compratore deve quindi scegliere quale sia la soluzione che gli risulta più conveniente: spesso si sceglie il recesso, perché la restituzione della caparra avviene di diritto, senza dover dare prova di un danno effettivo.

Gabriella P. chiede
lunedì 02/02/2015 - Sicilia
“Buongiorno sono proprietaria, in Sicilia provincia di Enna, di 17,50 ettari terreni agricoli i quali li coltiva un mio fratello con la promessa che li acquisterebbe appena ha le possibilità economiche, ha avuto per 15 anni un comodato d'uso per 15 anni i quali sono scaduti nel 2009. Poiché io ho una certa età e visto che adesso si paga anche l'Imu sui terreni agricoli vorrei al più presto venderli. Io chiedo visto le sue promesse e per andargli incontro se noi facessimo un compromesso prossimo mese dandomi la metà dei soldi e l'altra metà il prossimo anno con rogito finale è fattibile? E se lui non rispetta le date il compromesso sarebbe nullo e perderebbe anche la caparra datomi? Ci sono degli articoli da poter citare in questo senso nel compromesso? Inoltre sottoscrivendo questo documento, lui è un coltivatore diretto, sarei esentata di pagare l'Imu per il 2015? Ringraziando porgo cordiali saluti”
Consulenza legale i 05/02/2015
E' possibile concludere un contratto preliminare di vendita (impropriamente detto nel linguaggio comune "compromesso") del terreno, prevedendo che metà dell'importo sia pagato subito e l'altra metà al momento del rogito, con immediata consegna del bene al promissario acquirente (il fratello, che comunque già deteneva il terreno in virtù di comodato d'uso).

Naturalmente, se il fratello non dimostra di poter pagare già la prima metà dell'importo, è consigliabile non procedere nemmeno alla firma del preliminare.

Ma se egli paga e poi, invece, non si mostra pronto ad effettuare la seconda tranche del pagamento, sarà possibile chiedere lo scioglimento del contratto preliminare per inadempimento (il contratto non è "nullo", bensì può essere risolto su richiesta della parte che non è inadempiente).
In questo caso:
- se il primo versamento è stato qualificato nel preliminare come "caparra", ai sensi dell'art. 1385 del c.c. la parte non inadempiente (la sorella) può recedere dal contratto, trattenendo la caparra;
- se invece si è trattato solo di un acconto, cioè nel contratto non è stato specificato che si trattava di una caparra, va restituito alla controparte, salvo sempre il diritto di chiedere il risarcimento del danno (che però potrebbe essere inferiore all'acconto).

Quindi, è consigliabile specificare nel compromesso che il denaro dato al momento della sua firma costituisce una caparra ai sensi dell'art. 1385 c.c. e quindi potrà essere incamerato dalla sorella laddove il fratello non adempia ai suoi obblighi.

Si desidera sottolineare che il termine "compromesso" nel linguaggio giuridico indica il contratto con il quale le parti realizzano già l'effetto, il trasferimento della proprietà, avendo già stabilito tutte le clausole contrattuali, ma si impegnano a riprodurre il consenso già raggiunto in un'altra forma, solitamente l'atto pubblico. Nel caso esposto nel quesito, si tratterebbe invece di concludere un preliminare di vendita, che non trasferisce immediatamente la proprietà al fratello.

Quanto al quesito relativo al pagamento dell'IMU, si rileva che, a seguito del Consiglio dei Ministri n. 46 del 23.1.2015, è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 19 del 24.01.2015 il D.L. n. 4 del 24.01.2015 che rivede l'IMU agricola per il 2015 con effetti anche sul 2014.
Il D.L. stabilisce che:
"1. A decorrere dall’anno 2015, l’esenzione dall’imposta municipale propria (IMU) prevista dalla lettera h) del comma 1 dell’articolo 7 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, si applica:
a) ai terreni agricoli, nonché a quelli non coltivati, ubicati nei comuni classificati totalmente montani di cui all’elenco dei comuni italiani predisposto dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT);
b) ai terreni agricoli, nonché a quelli non coltivati, posseduti e condotti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali di cui all’articolo 1 del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99, iscritti nella previdenza agricola, ubicati nei comuni classificati parzialmente montani di cui allo stesso elenco ISTAT".

Nel nostro caso, la firma del contratto preliminare di vendita immetterebbe il fratello nella mera detenzione e non nel possesso del fondo (questa è l'opinione dominante in giurisprudenza). Pertanto, mancando il requisito del "possesso" da parte del coltivatore diretto, non dovrebbe operare l'esenzione dal pagamento dell'IMU.
Lo stesso vale nel caso in cui il terreno sia concesso in comodato a un coltivatore diretto, in quanto la Risoluzione n. 2/DF del 3 febbraio 2015 del Ministero delle Finanze ha chiarito che anche chi concede il comodato (cioè il proprietario del terreno) deve avere in prima persona la qualifica di CD (coltivatore diretto) o IAP (imprenditore agricolo professionale), iscritto nella previdenza agricola: nel nostro caso, la sorella non è coltivatrice diretta, quindi non opera l'esenzione IMU.

Massimo C. chiede
lunedì 27/10/2014 - Calabria
“Ho stipulato un contratto preliminare di vendita per l’acquisto di un immobile versando una con caparra confirmatoria il 09/06/2008. Di seguito elenco 3 punti che potrebbero annullare il contratto: 1) L ’atto notarile era previsto secondo lo stesso contratto il 30/12/2009. Ma a tale data l’immobile non era pronto, infatti il certificato di agibilità è stato rilasciato solo a luglio del 2010 Nel contratto era specificato comunque che:” LA PARTE PROMITTENTE LA VENDITA SI IMPEGNA AD OTTENERE IL RILASCIO DEL CERTIFICATO DI ABITABILITA’ AL PIU’ PRESTO POSSIBILE, SENZA CHE L’EVENTUALE MANCANZA DELLO STESSO POSSA COMUNQUE INFLUIRE SULL’ACCETTAZIONE DELLA CONSEGNA DELL’IMMOBILE” . Ma sembra che questa dichiarazione sia irrilevante, vero? ( vedasi Sent. N° 25040 Corte di Cassazione – Sezione II civile – in data 27/11/2009) 2)L’attestato di certificazione energetica (ACE) obbligatorio già dal 2005 (decreto legislativo 19/08/2005, n.192), non viene allegato né se fa menzione sullo stesso contratto preliminare. 3) Nel contratto preliminare di vendita manca l’indirizzo di ubicazione dell’immobile,ma solo foglio e particelle catastali. In virtù di queste inadempienze, posso chiedere legalmente l’annullamento del contratto e la restituzione della caparra di 10.000 euro ? Dopo quasi 6 anni e mezzo dalla stipula del contratto, posso far rivalere ancora i miei diritti? O tutto potrebbe andare in prescrizione? Tenete presente che l’ ultime comunicazioni con il costruttore inerente il contratto risalgono ad ottobre/novembre 2010 grazie”
Consulenza legale i 27/10/2014
Nella vicenda narrata nel quesito si riscontra l'esistenza di un contratto preliminare inadempiuto sin dalla fine del 2009.
Analizziamo con ordine le diverse questioni proposte.

1.
La prima problematica attiene al mancato rispetto del termine previsto per la stipulazione del contratto definitivo.
Secondo la giurisprudenza, il termine fissato per la stipula del contratto definitivo non può considerarsi essenziale per il solo fatto che le parti abbiano concordato la stipula del contratto definitivo "entro e non oltre" una certa data, quando non risulti dall’oggetto del negozio o da specifiche indicazioni delle parti che queste hanno inteso considerare perduta l’utilità prefissasi nel caso di conclusione del negozio stesso oltre la data considerata (Cassazione civile , sez. II, 25.10.2010, n. 21838). Nel caso di specie, si dovrà operare una valutazione circa l'essenzialità o meno del termine.
In generale, il mancato rispetto degli accordi può portare a due esiti: la risoluzione del contratto o l’esecuzione forzata dell’obbligo (art. 2932 del c.c.), mediante emissione di una sentenza che tenga luogo del contratto definitivo (il promissario acquirente diventa in questo caso proprietario dell'immobile). In entrambi i casi è possibile chiedere il risarcimento del danno, se si è verificato un pregiudizio.
Nel primo caso, la caparra deve essere restituita al promissario acquirente; nel secondo caso, la caparra viene imputata al prezzo, che l'acquirente deve pagare per diventare proprietario.

Quindi, considerando che l'obiettivo del promissario acquirente è quello di far dichiarare la risoluzione del contratto per vedersi riconsegnare la caparra:
- se il termine era essenziale, vertendosi nella specie in ipotesi di risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 1457 del c.c., essa opera di diritto, senza necessità di diffida ad adempiere: il convenuto può essere direttamente citato in giudizio per la restituzione della caparra;
- se il termine non era essenziale, si dovrà invece inviare una diffida ad adempiere: decorso inutilmente il termine concesso per l'adempimento, il contratto sarà risolto e si dovrà convenire in giudizio la controparte per far accertare dal giudice la risoluzione e ottenere la restituzione della caparra.

Per completezza, se la parte volesse invece chiedere l'esecuzione del preliminare, si riporta questa significativa pronuncia giurisprudenziale, che sottolinea l'irrilevanza del carattere essenziale del termine: "In tema di inadempimento del contratto preliminare di compravendita immobiliare contenente un termine, non rispettato alla scadenza, per la stipulazione del definitivo, l'esercizio dell'azione di esecuzione in forma specifica, ai sensi dell'art. 2932 c. c., dell'obbligo di concludere il medesimo, non presuppone necessariamente la natura essenziale di detto termine, né la previa intimazione di una diffida ad adempiere alla controparte, essendo sufficiente la sola condizione oggettiva dell'omessa stipulazione del negozio definitivo che determina di per sé l'interesse alla pronunzia costitutiva, a prescindere da un inadempimento imputabile alla controparte stessa" (Cass. civ., sez. II, 13.5.2011 n. 10687).

La questione del ritardo nella consegna del certificato di agibilità non sembra potersi configurare, di per sé sola, come motivo di risoluzione del contratto preliminare - seppure in ritardo rispetto al termine per la stipulazione del definitivo - nella misura in cui non sia stata inoltrata alcuna ufficiale diffida ad adempiere al costruttore prima di luglio 2010.
Difatti, se leggiamo bene la sentenza della Corte di cassazione, 27.11.2009, n. 25040, notiamo che essa stabilisce, sì, che "il requisito del certificato di agibilità è essenziale, anche per costante giurisprudenza di legittimità, ai fini del legittimo godimento e della commerciabilità del bene" ma dice anche che, nel caso concreto affrontato, costituiva grave inadempimento del venditore la mancanza di quel documento al momento della diffida ad adempiere (e pertanto in quel caso il rifiuto del promissario acquirente di stipulare l'atto pubblico di trasferimento doveva ritenersi pienamente giustificato).
Quindi, la diffida da inviare al costruttore non potrà basarsi unicamente sul ritardo nell'ottenimento del certificato di agibilità, posto che questo ora esiste. Casomai, costituirà una delle voci che contribuiranno a descrivere il comportamento inadempiente del promittente venditore.

2.
L'attestato di prestazione energetica (APE) dal 6 giugno 2013 è andato a sostituire l'attestazione di certificazione energetica (ACE).
Nella formulazione originaria, il terzo comma dell'art. 6 del d.lgs. 19 agosto 2005, n. 192 prevedeva che, nel caso di compravendita dell'intero immobile o della singola unità immobiliare, l'attestato di certificazione energetica fosse allegato all'atto di compravendita, in originale o copia autenticata. L'art. 15 sanciva come la violazione dell'obbligo comportasse la nullità del contratto. Questa norma così forte non ebbe di fatto pratica applicazione, mancando le linee guida nazionali per la certificazione energetica degli edifici: con il d.lgs. 311/2006 era stata pertanto introdotta una disciplina transitoria, che prevedeva l'obbligo del direttore dei lavori di un attestato di qualificazione energetica sostitutivo dell'ACE.
Dopo una serie di altre modificazioni legislative, che hanno portato ad una grande confusione in materia, con l'inserimento anche di normativa regionale, attualmente, l'art. 6 del d.lgs. 192/2005, al comma terzo, prevede che nei contratti di compravendita immobiliare, negli atti di trasferimento di immobili a titolo oneroso e nei nuovi contratti di locazione di edifici o di singole unità immobiliari soggetti a registrazione venga inserita apposita clausola con la quale l'acquirente o il conduttore dichiarano di aver ricevuto le informazioni e la documentazione, comprensiva dell'attestato, in ordine alla attestazione della prestazione energetica degli edifici e che copia dell'attestato di prestazione energetica debba essere altresì allegata al contratto. Il mancato rispetto della norma comporta una sanzione amministrativa, che può essere anche molto onerosa. Non è più prevista la nullità del contratto.

Nel nostro caso, quindi, la mancata produzione dell'APE comporta certamente, dal punto strettamente civilistico, un inadempimento grave agli obblighi del venditore, che si somma agli altri comportamenti negligenti del costruttore, nonché le conseguenze amministrative di cui all'art. 6 sopraccitato.

3.
La legge, come spesso, accade, non regolamenta nel dettaglio il contenuto che deve avere ogni tipo di contratto, ma chiede solo, genericamente, che l'oggetto dello stesso sia determinato o determinabile (art. 1346 del c.c.), cioè che non possano sorgere dubbi circa il bene che si sta compravendendo. La giurisprudenza, in applicazione di questo principio generale, ha deciso nel senso della determinatezza (o determinabilità) dell'oggetto della vendita che contenga il semplice riferimento al numero di mappale ai fini dell'identificazione del bene immobile (v. Cass. Civ. n. 6166/06).
Quindi, nel nostro caso, la mancata indicazione dell'indirizzo non è rilevante.

Infine, quanto alla questione della prescrizione, l'azione di risoluzione del contratto per inadempimento si prescrive nell'ordinario termine decennale, quindi, il promissario acquirente è ancora in tempo per far valere i suoi diritti.

Massimo chiede
domenica 23/02/2014 - Sicilia
“Salve,vorrei esporre il seguente caso:
ho concordato solo verbalmente con un concessionario, quindi senza firmare nessun contratto, l'acquisto di un auto (per altro auto già immatricolata del tipo a km zero), versando contestualmente un acconto di euro 250,00 per il quale mi è stata rilasciata ricevuta con oggetto "impegno di acconto su auto xy"; inoltre il concessionario ha trattenute per se una fotocopia della mia carta di identità.
L'accordo verbale riguardava esclusivamente il valore da corrispondere per l'acquisto e nessun altra condizione.
Successivamente, nel giro di pochi giorni, per motivi personali decidevo di non acquistare più l'auto dandone comunicazione telefonicamente al concessionario, il quale mi comunicava che avrebbe trattenuto l'acconto.

Vorrei chiedere:

A) Il concessionario può avanzare altre richieste risarcitorie per eventuali costi sostenuti o danni subiti (ad esempio danno per mancata vendita del veicolo, oppure costi di servizi per predisporre l'auto alla vendita etc…)?
B) In caso di risposta affermativa alla domanda A, stante il caso particolare, è necessario effettuare una comunicazione scritta nella quale comunico ce non intendo procedere all’acquisto? Ed in tal caso che requisiti deve avere tale comunicazione?
C) Posso chiedere comunque di riavere l'acconto non avendo firmato nessun contratto?
Cordiali saluti”
Consulenza legale i 28/02/2014
L'automobile è un bene mobile registrato (art. 815 del c.c.): poiché la legge prevede una specifica disciplina solo per la compravendita di beni immobili (art. 1350 del c.c.) e di navi e aeromobili (artt. 249 e 864 cod. nav.), il contratto con cui l'autovettura viene compravenduta è a forma libera, ossia non deve rivestire la forma scritta.

E' ben possibile, quindi, che l'acquisto di una vettura avvenga sulla base di un accordo solo verbale.
Affinché si possa ritenere concluso un contratto, deve avvenire uno scambio di proposta ed accettazione che siano complete, non mancanti di alcun elemento essenziale, individuati dall'art. 1325 del c.c.. Oltre all'accordo, deve sussistere una
causa del negozio - che nella compravendita è tipizzata -, nonché un oggetto e (se richiesta dalla legge) una determinata forma.
Nel caso di specie, l'accordo verbale concluso tra le parti sembra essere completo di tali elementi essenziali e pertanto il contratto può considerarsi validamente concluso. E' del tutto irrilevante il fatto che, a fini di pubblicità, il trasferimento del bene debba poi essere trascritto presso il Pubblico Registro Automobilistico (P.R.A.), considerato che non è richiesto il deposito di un atto scritto di compravendita, risultando sufficiente una dichiarazione unilaterale di vendita con firma autenticata del venditore, redatta sul retro del certificato di proprietà.

Il fatto che l'acquirente abbia deciso senza alcuna valida motivazione di non concludere il contratto può essere configurato come un grave inadempimento ai sensi dell'art. 1455 del c.c., che dà diritto alla parte non inadempiente di chiedere l'esecuzione del contratto (nel caso di specie, pagamento del prezzo da parte dell'acquirente), o in alternativa la risoluzione del contratto, nonché il risarcimento del danno (art. 1453 del c.c.).

Si può, quindi, ipotizzare che il venditore possa intentare un'azione per chiedere l'esecuzione dell'accordo o la risoluzione del contratto e il ristoro dei danni subiti: egli, però, dovrà dare prova dell'esistenza del contratto, prova che si configura come particolarmente ardua se il negozio si è concluso solo verbalmente e magari esclusivamente tra i due soggetti, in assenza di testimoni o altre prove (scambio di corrispondenza, etc.) che possano suffragare la tesi del venditore. Il compratore potrebbe, ad esempio, sostenere che l'accordo prevedesse un suo diritto di ripensamento entro alcuni giorni... Com'è chiaro, è difficile dare prova del reale contenuto del contratto, sia per una parte che per l'altra.

Sembra comunque possibile sostenere, facendo ricorso a presunzioni, che il contratto di acquisto di una automobile, specie se la controparte è un concessionario, ossia un professionista, di prassi è concluso in forma scritta e che quindi, non sussistendo alcun documento sottoscritto dalle parti, le stesse abbiano solo intrapreso delle trattative che sono state interrotte dal compratore. E' pur sempre possibile ipotizzare un risarcimento del danno precontrattuale (art. 1337 del c.c.), ma esso non può mai essere pari all'importo dell'intera automobile, visto che il contratto non si sarebbe mai perfezionato.

Nel caso di specie, quindi, poiché anche il venditore può avere delle buone ragioni da tutelare, è consigliabile trovare un accordo bonario, magari concedendogli di trattenere l'acconto in cambio della rinuncia a qualsiasi azione nei confronti dell'acquirente. La transazione (art. 1965 del c.c.) dovrebbe essere redatta per iscritto e sottoscritta da entrambe le parti.

Roberto A. chiede
sabato 11/01/2014 - Lombardia
“Buongiorno,
in data 05-08-2013 ho disposto un bonifico di 2600€ per "pagamento caparra confirmatoria" (come scritto sul contratto) per l'anticipo di una cucina.
Nell'unico contratto firmato (e scambiato via mail con il fornitore) non si evincono le condizioni di recesso.
Ad oggi, non essendo soddisfatto del servizio del fornitore, vorrei procedere al recesso e farmi restituire la somma di 2600€, è possibile?
Specifico che la consegna prevista della cucina era stabilita per FEBBRAIO 2014 (presente sul contratto) e che gli accordi presi con il fornitore erano di:
- Valore totale confermato cucina + fornitura e installazione: 26.600€ iva inclusi da saldare in 3 step:
1) Acconto tramite bonifico: 2600€ (v. sopra)
2) 2° acconto ordine definito: 10.700€ - come da scambio mail ero in attesa di ricevere risposte via mail ad alcune domande entro settembre per poter definire i materiali e mandare avanti l'ordine definito" (con relativo pagamento 2° acconto) per mettere in produzione la cucina per cui erano previsti 65gg dal rilievo.
Per tutto agosto, settembre, ottobre e novembre non ho mai ricevuto nessuna risposta ne chiamata da parte del mio fornitore.
In data 30 Novembre ho mandato una nuova mail di sollecito senza ottenere risposta.
In data 6 Dicembre ho fatto un nuovo inoltro mail a cui ho ottenuto la risposta del fornitore che era molto preso e che mi avrebbe risposto nella settimana successiva.
Ad oggi, non ho ancora ottenuto nessuna risposta.

Prima di poter intervenire in maniera più diretta nei confronti del fornitore vorrei capire se mi spetta di diritti ottenere l'annullamento del contratto e riottenere la caparra versata.”
Consulenza legale i 02/02/2014
Nel caso esposto si ravvisa la conclusione di un contratto di prestazione d'opera o di appalto, avente ad oggetto la fornitura ed installazione di una cucina. Non trattandosi di una cucina preesistente (i.e.: di un modello già concepito e prodotto in precedenza), il committente ha concordato con la ditta la facoltà di scelta in relazione ad alcuni aspetti dell'opera, quale, ad esempio, il tipo di materiali da utilizzare. Il termine per la consegna della cucina è stato concordato per iscritto tra le parti per febbraio 2014.

Verificato che il termine di consegna non può essere ad oggi rispettato, e atteso che nel contratto non si rinviene alcuna clausola relativa al recesso o alla risoluzione del contratto per il caso di ritardo, si deve, quindi, capire se la ditta che avrebbe dovuto fornire la cucina si trovi in una situazione di inadempimento tale da giustificare un recesso della parte committente, con restituzione di quanto già versato.

Ai sensi dell'art. 1385 del c.c., se al momento della conclusione del contratto una parte dà all'altra, a titolo di caparra, una somma di danaro (oppure, dice la legge, una quantità di altre cose fungibili):
- in caso di adempimento, la caparra deve essere restituita o imputata alla prestazione dovuta;
- in caso di inadempimento della parte che ha ricevuto la caparra, l'altra può recedere dal contratto ed esigere il doppio della caparra (nella situazione speculare, se l'inadempiente è colui che ha dato la caparra, chi l'ha ricevuta ha diritto a trattenerla). In alternativa, la parte che non è inadempiente può domandare l'esecuzione o la risoluzione del contratto, mentre il risarcimento del danno segue le norme generali.
Il vantaggio dato dalla caparra confirmatoria è quello di consentire alla parte non inadempiente di trattenere la caparra, o di esigere il doppio di quella versata, senza dover dimostrare di aver subito un danno effettivo.

Importante è ricordare che la somma di denaro consegnata al momento della conclusione di un contratto non può assumere la qualifica di "caparra" se ciò non è espressamente stabilito dalle parti. Anche la giurisprudenza segue l'ormai consolidato orientamento per il quale, affinché la dazione di una somma di denaro valga quale caparra confirmatoria, è necessaria una espressa formulazione della stessa in tali termini, configurandosi altrimenti un semplice acconto della prestazione (v. tra le molte Cass. civ., 30 gennaio 1980, n. 727).

Nel nostro caso, nel contratto sottoscritto da entrambe le parti si legge che la somma di € 2.600,00 è una "caparra confirmatoria"; mentre, nella fattura emessa dalla ditta la stessa somma è qualificata come "anticipo". Si ritiene che l'espressione utilizzata nel contratto sia quella alla quale si deve fare riferimento per la soluzione del quesito: difatti, il contratto regolarmente costituito tra le parti ha valore di legge tra le stesse (art. 1372 del c.c.), mentre la fattura commerciale era e resta un documento prodotto unilateralmente da una delle parti, privo pertanto di quella forza vincolante propria solo del contratto.

Appurato, quindi, che di caparra confirmatoria si tratta, si deve analizzare il comportamento della ditta nei confronti del committente. Questi, com'era sua facoltà, ha inoltrato all'azienda una comunicazione con alcune domande di chiarimento relative ai materiali da utilizzare. La società, però, ha omesso per mesi di dare risposta al cliente, senza alcuna apparente giustificazione, rendendosi così colpevole della impossibilità di consegnare la cucina finita entro i termini concordati.
Solo in dicembre, dopo ben 4 mesi dalla richiesta di chiarimenti, la ditta riscontrava il cliente con una comunicazione dai contenuti generici e certamente non risolutiva.

La giurisprudenza di legittimità in tema di caparra confirmatoria e inadempimento è approdata ad alcune conclusioni che appaiono condivisibili. Con sentenza n. 3954/2008, la Corte di cassazione ha precisato che la valutazione circa l'inadempimento che dà diritto alla restituzione della caparra va "operata alla stregua di un duplice criterio, applicandosi in primo luogo un parametro oggettivo, attraverso la verifica che l'inadempimento abbia inciso in misura apprezzabile nell'economia complessiva del rapporto (in astratto, per la sua entità e, in concreto, in relazione al pregiudizio effettivamente causato all'altro contraente), sì da dar luogo ad uno squilibrio sensibile del sinallagma contrattuale. L'indagine va poi completata mediante la considerazione di eventuali elementi di carattere soggettivo, consistenti nel comportamento di entrambe le parti (come un atteggiamento incolpevole o una tempestiva riparazione, ad opera dell'una, un reciproco inadempimento o una protratta tolleranza dell'altra), che possano, in relazione alla particolarità del caso, attenuare il giudizio di gravità, nonostante la rilevanza della prestazione mancata o ritardata".

Successivamente, la Suprema Corte si è nuovamente così espressa: "ai fini della legittimità del recesso ex art. 1385 c.c. come della risoluzione, non è sufficiente l'inadempimento ma occorre anche la verifica circa la non scarsa importanza ai sensi dell'art. 1455 c.c., dovendo il giudice tenere conto della effettiva incidenza dell'inadempimento sul sinallagma contrattuale e verificare se, in considerazione della mancata o ritardata esecuzione della prestazione, sia da escludere per la controparte l'utilità del contratto alla stregua dell'economia complessiva dello stesso".

In altre parole, è necessario analizzare la condotta di chi si presume inadempiente e verificare se la stessa rivesta il carattere di "non scarsa importanza" previsto dalla legge. Questa è una valutazione squisitamente di merito, che deve essere operata da un giudice sulla base di un quadro completo circa i fatti avvenuti, ma su cui si può ipotizzare quanto segue.

Nel caso di specie, nel comportamento della ditta fornitrice, reticente ed omissivo rispetto ai doveri assunti con il contratto, sembra configurarsi appieno un inadempimento contrattuale, tale da rendere operativa la norma dell'art. 1385 c.c. (in base alla quale la parte non inadempiente acquista il diritto di recedere dal contratto, esigendo che gli venga corrisposto il doppio dell'importo versato quale caparra confirmatoria).
Anche se il termine di febbraio 2014 non potesse essere considerato "essenziale" ai sensi dell'art. 1457 del c.c. (in caso positivo, dimostrando che oltre tale termine la prestazione sarebbe divenuta inutile, la parte non inadempiente avrebbe avuto diritto alla risoluzione del contratto), il fornitore è comunque venuto meno ai doveri di buona fede e correttezza nell'esecuzione del contratto (artt. 1175 e 1375 c.c.), ignorando le legittime richieste di chiarimento del cliente: di fatto, ogni attività è stata bloccata per colpa della ditta, che - si presume, visto che non sono neppure stati chiariti i materiali da utilizzare - non ha forse nemmeno mai iniziato a costruire la cucina.
Si ritiene, quindi, sia sorto per il cliente il diritto di recesso, che potrà esercitare con l'espressa richiesta che venga riconsegnata il doppio della caparra confirmatoria già corrisposta.

Davide chiede
martedì 07/12/2010

“In data 14/06/2010 ho firmato un contratto di acquisto di un'auto con data di consegna 28/10/2010, depositando una caparra confirmatoria di 1550€. Ad oggi la macchina non è ancora arrivata e non arriverà prima della prossima settimana. Considerando che in data 12/12/2010 saranno 45 gg. oltre il termine di consegna e che, da contratto, oltre questo termine posso recedere, è legittimo richiedere la restituzione del doppio della caparra? E, se si, possono rifiutarsi di farlo?
Grazie.”

Consulenza legale i 07/12/2010

In caso di omessa osservanza del termine essenziale, qualora la parte inadempiente sia la parte che ha ricevuto la caparra, l'altra parte è legittimata a recedere dal contratto e ad esigere il doppio della caparra stessa. Addirittura la dichiarazione di recesso può considerarsi implicitamente contenuta nella domanda di condanna alla restituzione del doppio della caparra (così anche Cass. 94/2032).

Secondo il prevalente orientamento, domandata l'esecuzione del contratto o la sua risoluzione per inadempimento, il richiedente potrebbe comunque trattenere la caparra ricevuta in quanto la stessa, pur perdendo la funzione di liquidazione convenzionale del danno da inadempimento, conserverebbe una funzione di garanzia dell'adempimento dell'obbligazione risarcitoria. Non è questo il caso di specie in quanto la parte inadempiente è la parte che ha ricevuto la caparra, la quale è tenuta, ai sensi dell'articolo in commento, a consegnare il doppio della stessa.


PASQUALE chiede
lunedì 15/11/2010
“Ho firmato una proposta di acquisto per un automobile versando una caparra. Per motivi personali privati non posso più ritirare l’automobile. Il concessionario, oltre a trattenersi la caparra, può chiedere ulteriori rimborsi?
Inoltre, al momento della firma, il venditore invece di rilasciarmi la “copia cliente”, in cui sul retro sono riportate le condizioni contrattuali, mi è ha rilasciato la “copia d’archivio” in cui non appaiono le condizioni contrattuale sul retro e al posto della firma dell’acquirente c’è la sigla ed il timbro del rivenditore. Per questo motivo posso invalidare il contratto e tenermi la caparra?
Grazie”
Consulenza legale i 23/11/2010

Nel caso di specie, il contratto di vendita appare concluso avendo il compratore già sottoscritto il contratto di acquisto dell’automobile. Solo da attenta lettura del documento contrattuale si potrà desumere se la dazione di denaro da parte del compratore possa essere configurata come caparra confirmatoria o penitenziale.

Nel primo caso, l’art. 1385 del c.c. insegna che se la parte che ha dato la caparra è inadempiente (come nel caso in esame), l’altra può recedere dal contratto, trattenendo la caparra.
Nel secondo caso, il compratore potrebbe esercitare il suo diritto di recesso, in relazione al quale la caparra versata costituirebbe corrispettivo. Il recedente perderebbe la caparra data (art. 1386 del c.c.
Il risultato pratico sembra, quindi, il medesimo. In realtà appare più conveniente configurare la caparra come penitenziale, cui consegue l’immediato scioglimento del contratto per recesso, perché verrebbe paralizzata la domanda di adempimento del venditore. In caso contrario (configurazione come caparra confirmatoria), il venditore potrebbe preferire l’esecuzione o la risoluzione del contratto, con possibilità di chiedere un risarcimento del danno secondo le regole generali.

Quanto alla mancata consegna del documento contrattuale, se questo fosse stato costituito da condizioni generali di contratto (art. 1341 del c.c.), è bene ricordare che le clausole non conosciute dal contraente non predisponente (alla conoscenza è equiparato il caso della mancata conoscenza dovuta ad omessa ordinaria diligenza) non sono efficaci. Il predisponente ha il preciso onere di rendere conoscibili le condizioni generali alla controparte: si potrebbe valutare, alla luce degli accadimenti, se tale onere è stato assolto. Ad esempio, il venditore potrebbe averle spiegato oralmente il contenuto delle condizioni generali: la conoscenza effettiva delle medesime da parte del destinatario sanerebbe la mancata consegna del documento contrattuale completo (peraltro copia di esso può sempre essere richiesta in un secondo momento).


Flavio chiede
martedì 12/10/2010
“Salve, sono Flavio da Torino, le pongo il mio caso: in qualità di compratore, dopo vari rapporti con il venditore solo tramite via mail, dove il venditore più volte dichiarava che il bene mobile (motociclo), era destinato a me, io gli versavo con bonifico bancario pari a euro 1000,00 , la stessa somma poi, mi veniva restituita in quanto a suo dire, rimandava sempre a me la vendita in quanto sopraggiunti problemi di natura logistica (l'auto guasta).
Dopo circa 10 giorni il venditore mi informava che il problema all'auto era stato risolto e contestualmente aveva venduto la moto a terza persona.
Alla luce delle vendita della moto, posso richiedere al venditore il doppio della caparra che avevo versato?
Ho conservato le mail e naturalmente ci sono tracce del mio bonifico bancario.
In attesa di una risposta Vi porgo i mia cordiali saluti.”
Consulenza legale i 12/10/2010

In estrema sintesi, ciò che occorre capire è come deve essere qualificato il bonifico bancario di Euro 1000,00 che è stato fatto. Perché dia diritto alla restituzione del doppio occorrerebbe poterlo "targare" come caparra confirmatoria e non, invece, come acconto sul prezzo. Si rende necessario, pertanto, analizzare lo scambio mail e vedere se da questo emerge qualcosa di preciso in questa direzione.


A. R. F. chiede
martedì 13/06/2023
“La mia domanda è questa:
un liquidatore mette all’asta (privata non giudiziale) dei terreni, detenuti da un affittuario detentore del diritto di prelazione agrario. Una persona si aggiudica l’asta e in base all’avviso di vendita, versa una caparra. Poi il liquidatore comunica al conduttore detentore del diritto di prelazione, dell’avvenuta aggiudicazione (si badi bene, si parla di asta privata e non giudiziale, dove non è possibile esercitare il diritto di abitazione). Il conduttore manifesta di voler esercitare il suo diritto di prelazione agrario. Ora l’aggiudicatario dell’asta, venutolo a sapere, decide di non aspettare i 6 mesi e chiede di poter avere indietro la caparra. Il liquidatore si oppone e riferisce all’aggiudicatario che con la manifestazione della sua rinuncia, ha perso la caparra, poiché il conduttore non ha ancora comprato i terreni, potendo benissimo non riuscire a comprarli. Passati i 6 mesi, il conduttore però compra i terreni. Tuttavia, il liquidatore non restituisce la caparra all’aggiudicatario, poiché l’aggiudicatario si era ritirato prima che l’affittuario riuscisse a comprare i terreni. Infatti il liquidatore afferma che l'aggiudicatario avrebbe dovuto aspettare la fine dei 6 mesi e constatare se il conduttore fosse riuscito a comprare i terreni, ma poiché si è ritirato prima, non ha diritto alla restituzione della caparra.
Purtroppo nell’avviso d’asta, il liquidatore non aveva specificato se l’aggiudicatario fosse obbligato ad attendere i 6 mesi, oppure era libero di poter recedere e richiedere la restituzione della caparra, qualora il conduttore avesse esercitato il suo diritto di prelazione agrario, ma non fosse però riuscito ancora a comprare i terreni.

La domanda è questa: può l’aggiudicatario di un’asta privata, che ha versato una caparra, recedere e richiedere la caparra indietro, qualora un conduttore eserciti il suo diritto di prelazione, sebbene però il conduttore non abbia ancora comprato i terreni?

Si richiede cortesemente una risposta corredata da riferimenti normativi ed orientamenti giurisprudenziali, possibilmente di legittimità.”
Consulenza legale i 21/06/2023
Alla figura del liquidatore giudiziale viene fatto riferimento nel Codice della Crisi di impresa, ed in particolare all’25 septies, il quale a sua volta richiama le disposizioni di cui al successivo art. 114 e gli artt. da 2919 a 2929 c.c.
Di particolare rilievo, per quanto qui interessa, è l’art. 114, il quale al suo primo comma, dopo aver disposto che il Tribunale nomina il liquidatore e “determina le altre modalità della liquidazione”, aggiunge che lo stesso tribunale “dispone che il liquidatore effettui la pubblicità prevista dall’art. 490, primo comma, del codice di procedura civile e fissa il termine entro cui la stessa deve essere eseguita”.

Ad eccezione del citato art. 490 del c.p.c., nessun richiamo, né espresso e neppure indiretto, viene fatto alle altre norme che il codice di procedura civile detta in materia di vendita forzata, dal che se ne deve dedurre che sarà soltanto al contenuto dell’avviso di vendita, predisposto dal liquidatore in forza dei poteri attribuitigli dal Tribunale ed adeguatamente pubblicizzato (come appunto vuole l’art. 114 Codice della Crisi d’impresa), che occorre fare riferimento per risolvere la questione che qui viene posta.
Tale avviso, infatti, assimilabile per molti profili all’ordinanza di vendita di competenza del giudice dell’esecuzione, costituisce, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale (si veda da ultimo Cass. Sez. III civ. sentenza n. 05.10.2018 n. 24570), lex specialis della vendita che si intende realizzare.
In quanto tale, comprende, perciò, la descrizione del bene in vendita; l’eventuale distinzione dei beni in lotti; le indicazioni per l’individuazione del prezzo base della vendita; l’offerta minima, ovvero quell’ importo-soglia idoneo a legittimare la partecipazione alla vendita; le forme di pubblicità ritenute necessarie, insieme al tempo consentito per la loro effettuazione; il termine (non inferiore a novanta né superiore a centoventi giorni) per la presentazione delle offerte irrevocabili d’acquisto; l’importo della cauzione e la modalità del suo pagamento; il termine e la modalità per il versamento del c.d. “saldo prezzo”.
La indicata dimensione “normativa” di tale avviso, che determina la fase di liquidazione del bene, implica la puntuale ottemperanza a ciascuna delle regole in essa contenute.

E’ proprio in tale ottica che va analizzato il contenuto dell’avviso di vendita in oggetto, dalla lettura del quale è possibile ritenere del tutto legittima la scelta che il liquidatore ha deciso di perseguire.
Più precisamente depongono a favore di tale soluzione le seguenti parti dell’avviso d’asta:
a) Pag. 3:
Per ciò che attiene allo stato di possesso del complesso immobiliare si dà atto che i terreni sono attualmente concessi in affitto…..
Si precisa, altresì, che la vendita è soggetta al vincolo della prelazione agraria a favore dell’affittuario, al quale sarà notificata l’aggiudicazione…”

b) Pag. 5:
4) l’offerta è irrevocabile, salvo che:
- Il liquidatore disponga la gara tra gli offerenti;
- Siano decorsi 120 (centoventi) giorni dalla sua presentazione ed essa non sia stata accolta;…

c) Pag. 6:
Il liquidatore comunicherà immediatamente all’aggiudicatario la propria adesione all’offerta con la sottoscrizione del verbale di aggiudicazione, che costituirà perfezionamento del contratto preliminare di vendita…
…….
c)l’aggiudicatario deve versare la differenza del prezzo, dedotta la sola cauzione già prestata, entro un termine massimo di 120 (centoventi) giorni dalla data di aggiudicazione….con avvertimento che in mancanza si procederà a norma dell’art. 587 c.p.c.
….
d)nei 120 (centoventi) giorni successivi all’aggiudicazione, espletata la procedura per la notifica dell’invito ad esercitare il diritto di prelazione agraria…”.

Ebbene, dalla lettura delle parti sopra riportate se ne desume che lo schema seguito è quello della configurazione dell’offerta avanzata dai singoli offerenti come proposta irrevocabile d’acquisto, dalla quale ne consegue, a seguito della formalizzazione dell’aggiudicazione (con la sottoscrizione del relativo verbale), la conclusione di un contratto preliminare di vendita.
In quanto proposta irrevocabile d’acquisto, vale per essa il disposto di cui all’art. 1329 del c.c., il quale dispone al suo primo comma che la sua revoca non può avere alcun effetto per il tempo in cui ci si è obbligati a mantenerla ferma (nel caso di specie 120 giorni).
Inoltre, costituendo la formalizzazione del verbale di aggiudicazione conclusione di un contratto preliminare di vendita, varranno per tale fase le norme che il codice civile detta per detta fattispecie negoziale, ed in particolare l’art. 1385 del c.c., nella parte in cui dispone che se la parte che ha dato la caparra si rende inadempiente, l’altra può recedere dal contratto ritenendo la caparra (meccanismo sostanzialmente analogo al dettato dell’art. 587 del c.p.c., rubricato “Inadempienza dell’aggiudicatario”).

Pertanto, sussistendo un diritto di prelazione (di cui veniva dato esplicitamente atto nell’avviso d’asta) ed essendo stato espressamente precisato in detto avviso che il verbale di aggiudicazione (avente natura di preliminare di vendita) andava notificato al prelazionario, l’aggiudicatario avrebbe dovuto mantenere ferma la sua proposta per tutto il tempo indicato nel bando di vendita, con la conseguenza che la manifestazione della volontà di recedere prima dello scadere di tale termine deve intendersi quale volontà di non voler adempiere all’obbligo assunto, con inevitabile applicazione della disciplina di cui all’art. 587 c.p.c. (analoga a quella dettata dal secondo comma dell’art. 1385 c.c.).

F. M. chiede
martedì 02/05/2023
“Buona sera, espongo di seguito il mio quesito.

Tizio stipula un preliminare per l'acquisto di un immobile di Caia che vive all'estero. dopo la firma del preliminare di compravendita, Tizio asserisce di aver effettuato il pagamento con bonifico ed esibisce anche un documento "distinta di bonifico" per l'estero con l’Iban di Caia, ma di fatto questa caparra confirmatoria non viene mai versata. Per cui si desume che il documento trasmesso via Wathsapp a Caia è falso. Nonostante i numerosi solleciti e le innumerevoli promesse di corrispondere la caparra Tizio non la versa. Intanto, Caia trova un nuovo acquirente per il proprio immobile, ma a prezzo inferiore… Quindi, la venditrice invia la comunicazione di risoluzione del contratto preliminare sottoscrito con Tizio per suo grave inadempimento, non avendo quest’ultimo versato la caparra nonostante le varie promesse e, successivamente, procede con la vendita dell’immobile a Sempronio, ripeto, ad un prezzo inferiore.

Ora Caia vuole fare causa a Tizio per ottenere il pagamento della caparra confirmatoria che lei avrebbe avuto diritto di trattenere per indempimento di tizio ed il risarcimento del danno subito.

Cosa suggerite per la soluzione della vicenda?
Grazie, buona serata”
Consulenza legale i 11/05/2023
Ai sensi dell’art. 1385 del c.c., “Se al momento della conclusione del contratto una parte dà all'altra, a titolo di caparra, una somma di danaro o una quantità di altre cose fungibili, la caparra, in caso di adempimento, deve essere restituita o imputata alla prestazione dovuta. Se la parte che ha dato la caparra è inadempiente, l'altra può recedere dal contratto, ritenendo la caparra; se inadempiente è invece la parte che l'ha ricevuta, l'altra può recedere dal contratto ed esigere il doppio della caparra”.
La caparra confirmatoria è espressione di una prassi consistente nel consegnare un bene a dimostrazione della serietà dell'impegno assunto.
Il primo e secondo comma della norma ne regolano l'operatività, rispettivamente, in ordine allo svolgimento fisiologico del rapporto ed in ordine allo svolgimento patologico, stabilendo che deve essere imputata alla prestazione o trattenuta in via di autotutela.
In base al terzo comma, la parte non inadempiente può anche non valersi del meccanismo contemplato dalla caparra ed agire per il risarcimento del danno ma, in tal caso, secondo le regole ordinarie.

Nel caso che occupa, come correttamente osservato, Caia, di fronte all’inadempimento di Tizio, avrebbe dovuto teoricamente poter recedere, se la caparra fosse stata materialmente consegnata, trattenendo la caparra versata da Tizio. Avrebbe anche potuto - in realtà - convenire in giudizio Tizio per l’esecuzione coattiva, ovvero per ottenere la firma del contratto definitivo (rectius: una sentenza che tenesse luogo del consenso mancato) ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2932 del c.c..
Tuttavia, nel frattempo, Caia ha rinvenuto altro e diverso acquirente disposto a concludere fattivamente l’affare per un prezzo, però, inferiore.

A questo punto, è senz’altro interesse di Caia convenire in giudizio Tizio per fare dichiarare la risoluzione del contratto preliminare al fine di ottenere, oltre allo scioglimento del contratto, il risarcimento dei danni subiti, così come prevede l’art. 1453 del c.c. Tale disposizione, infatti, prevede che "Nei contratti con prestazioni corrispettive, quando uno dei contraenti non adempie le sue obbligazioni, l'altro può a sua scelta chiedere l'adempimento o la risoluzione del contratto, salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno".
Più nello specifico, il danno di cui si consiglia di chiedere il risarcimento, a latere della risoluzione del preliminare, non è tanto quello corrispondente alla caparra confirmatoria mai versata bensì, se maggiore, quello corrispondente alla differenza tra il prezzo a cui l’immobile era stato inizialmente compravenduto - attraverso la stipula del primo contratto preliminare - e quello a cui è stato poi venduto successivamente, a causa dell’esclusivo comportamento inadempiente del promissario acquirente.
Tale, infatti, è la conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento della controparte, qualificabile quale pregiudizio risarcibile ai sensi dell’art. 1223 del c.c..

A fini di completezza, si ricorda che chi intenda proporre in giudizio una domanda di pagamento - a qualsiasi titolo - di somme non eccedenti cinquantamila euro, è tenuto preventivamente ad esperire un tentativo di negoziazione assistita, ai sensi del D.L. 132/2014.

L.O. chiede
giovedì 18/11/2021 - Lazio
“Avvocati, vorrei sapere se le parole sotto riportate sono contro legge.


Preliminare di compravendita immobile con riserva della proprietà sito in______, Foglio______particella_____sub____cat____ tra: _________ E _______________
================le parti concordano quanto segue: ====================
1) euro ______ al concedente alla firma del presente con l’assegno di c/c ………………………… Salvo buon fine.
2) euro ________ alla firma atto notarile con assegno circolare bancario intestato al concedente;
3) euro _______ mensili per 120 (centoventi) mesi da versare sul codice Iban _________ intestato__________il giorno …………. di ogni mese.
4) il conduttore il 17 Giugno e il 17 Dicembre di ogni anno verserà al venditore, tramite bonifico come per le rate, euro-------- per rimborso Imu;
5) “In caso d'inadempimento del venditore, l'acquirente rinuncia sin d'ora ad adire le vie legali, per ottenere il risarcimento dell'eventuale danno, conseguenza immediata e diretta del suddetto inadempimento”.
6) “Le parti concordano che in caso d'inadempimento dell'acquirente, il venditore non sarà tenuto a restituire le rate riscosse che saranno interamente trattenute a titolo di penale.
Poiché l'acquirente, al momento dell'acquisto, ha versato la caparra confirmatoria pari a euro xxxxxxxxx, in caso d'inadempimento dell'acquirente, il venditore, oltre a trattenere il suddetto importo a titolo di penale, avrà diritto di trattenere anche la caparra confirmatoria, fermo restando l'eventuale ulteriore risarcimento danni”.”
Consulenza legale i 26/11/2021
Esaminiamo le clausole contrattuali nello stesso ordine in cui vengono riportate nel quesito.
La prima, che prevede una rinuncia - da parte del solo acquirente - ad “adire le vie legali” è - almeno in astratto - una tipica clausola vessatoria ai sensi del secondo comma dell’art. 1341 c.c.; più precisamente, comporta una “limitazione di responsabilità” a favore di una sola parte.
La caratteristica fondamentale di questo tipo di clausole è che, per poter essere efficaci, devono essere “specificamente approvate per iscritto”: in altre parole, per la loro approvazione non basta la semplice firma apposta in fondo al contratto, ma devono essere firmate nuovamente a parte (indicandole specificamente).
Tuttavia, va precisato che la disciplina delle clausole vessatorie, contenuta nel comma 2 della norma che stiamo esaminando, si applica nel caso in cui le clausole contrattuali siano state predisposte da uno dei contraenti, e in modo tale da favorire proprio il contraente che le ha predisposte.
Riassumendo, nel nostro caso sarebbe utile esaminare il testo del contratto, per comprendere meglio se si tratta di condizioni contrattuali predisposte unilateralmente (cioè da un solo contraente) e, in tal caso, se siano state specificamente approvate per iscritto.
Inoltre, anche nel caso in cui non si rientri nell’ambito di applicazione dell’art. 1341, comma 2 c.c., occorre tenere presente quanto stabilito dall’art. 1229 c.c., secondo cui non tutte le clausole di limitazione sono comunque valide: sono nulle, infatti, quelle che escludono o limitano preventivamente la responsabilità del debitore per dolo o per colpa grave, o nel caso di violazione di obblighi derivanti da norme di ordine pubblico
La seconda clausola sottoposta al nostro esame richiede innanzitutto una spiegazione su cosa si intenda per “penale” e per “caparra confirmatoria”.
La clausola penale è prevista dagli artt. 1382 e ss. c.c.: si tratta, appunto, della clausola con cui le parti pattuiscono che, in caso d'inadempimento o di ritardo nell'adempimento, uno dei contraenti è tenuto a una determinata prestazione (ad es. pagare una somma di denaro). L'effetto della penale è quello di limitare il risarcimento alla prestazione promessa, a meno che non sia stata pattuita la risarcibilità del danno ulteriore. Inoltre, la penale è dovuta indipendentemente dalla prova del danno.
In ogni caso, l’art. 1384 c.c. attribuisce al giudice il potere di ridurre la penale, se l'obbligazione principale è stata eseguita in parte oppure se l'ammontare della penale è manifestamente eccessivo.
Invece la caparra confirmatoria è prevista dall’art. 1385 c.c.: si tratta della somma di denaro che una parte consegna all’altra al momento della conclusione del contratto, con l’accordo che, in caso di adempimento, dovrà essere restituita o imputata alla prestazione dovuta. In sostanza, come spiega la norma stessa, se la parte che ha dato la caparra è inadempiente, l'altra può recedere dal contratto trattenendo la caparra; se inadempiente è invece la parte che l'ha ricevuta, l'altra può recedere dal contratto ed esigere il doppio della caparra.
Tuttavia, secondo l’opinione prevalente (indirettamente confermata anche da Cass. Civ., Sez. II, sent. 10/05/2012, n. 7180), nel caso in cui il contratto preveda sia la caparra confirmatoria, sia la clausola penale, le stesse non sono cumulabili, nel senso che la parte non inadempiente non potrà pretendere entrambe.
Ad ogni modo, rimane pur sempre il menzionato potere del giudice di ridurre la penale il cui importo risulti manifestamente eccessivo (considerando in questo caso anche il versamento della caparra confirmatoria).
Per un esame più approfondito sarebbe senz’altro opportuna la lettura dell’intero testo contrattuale: tuttavia, già dalle clausole che abbiamo letto in questa sede, appare evidente un significativo squilibrio delle posizioni contrattuali, nettamente a vantaggio del venditore e a sfavore dell'acquirente.

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