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Articolo 1227 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 31/01/2024]

Concorso del fatto colposo del creditore

Dispositivo dell'art. 1227 Codice Civile

Se il fatto colposo del creditore(1) ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l'entità delle conseguenze che ne sono derivate [2055](2).

Il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza [1175, 2056](3)(4).

Note

(1) Il creditore risponde anche del concorso del fatto colposo dei propri ausiliari (1228 c.c.).
(2) La diminuzione del risarcimento non è ancorata semplicemente alla condotta del creditore bensì alla colpa di questi, con un chiaro riferimento al profilo soggettivo.
(3) Il creditore ha il dovere di non aggravare le conseguenze negative dell'inadempimento, principio che costituisce corollario del dovere di buona fede e correttezza (1175 c.c.).
(4) Nonostante il codice non lo affermi espressamente, si ritiene che il risarcimento debba essere diminuito anche dell'eventuale vantaggio tratto dal creditore dall'inadempimento, secondo la regola della compensatio lucri cum damno.

Ratio Legis

La norma è prevista allo scopo di non far gravare sul debitore le conseguenze dell'illecito che non sono a lui imputabili. Così, egli non deve rispondere quando la condotta del creditore genera danni o aggrava quelli già prodotti.

Brocardi

Diligentia
Nemo debet lucrari ex alieno damno
Quod quis ex sua culpa damnum sentit, damnum sentire non videtur

Spiegazione dell'art. 1227 Codice Civile

Nesso di causalità tra colpa e danno

Il presupposto dell'obbligo del risarcimento, che si sostanzia nella colpa del debitore, implica che tra questa ed il danno corra quel nesso di causalità necessario, di cui si è discorso commentando l’art. 1223.

Ma su quel nesso, un particolare evento può influire sì da attenuarne gli effetti; l'evento consiste nel concorso del fatto o del comportamento colposo del creditore; il debitore risponderà, perciò, delle conseguenze derivanti dalla sua colpa in misura attenuata.


Concorso del fatto colposo del creditore

L’art. 1227 consacra un principio già enunciato, nel silenzio del codice del 1865, dalla dottrina e dalla giurisprudenza.

Si ricorderà come, posto il problema se, nel caso di concorso di colpa del creditore nella determinazione del danno, sia dovuto l'intero risarcimento o se questo debba ridursi proporzionalmente, considerato che quando concorrono più cause poste in essere da soggetti diversi, essi nei rapporti interni rispondono in proporzione del grado di colpa efficiente ascrivibile a ciascuno, si era affermato che quando uno dei soggetti in colpa efficiente fosse lo stesso danneggiato, la responsabilità del danneggiante doveva ridursi in proporzione dell'efficienza della colpa del danneggiato.

Per l'esegesi dell'articolo in commento si rilevi:
a) che diminuzione della misura del risarcimento non significa elisione delle colpe e, quindi, liberazione del debitore dall'obbligo di rispondere delle conseguenze che derivano dalla sua colpa; e non può il concorso delle due colpe produrre tali effetti sia perché l’art. 1227 parla solo di diminuzione (della misura) del risarcimento, mentre nel cpv. questo è esplicitamente escluso, sia perché sussiste sempre il fatto colposo del debitore, pur se con esso abbia concorso, nella determinazione del danno, il fatto colposo del creditore. Se il danno, che il creditore afferma di aver subito, ha come causa esclusiva e determinante la sua colpa, è chiara la sua responsabilità verso il debitore, poiché per lui vale il principio: quisquis ex culpa sua damnum sentit, non intelligitur damnum sentire.
b) che quella diminuzione può essere determinata solo da un concorso di colpe (c.d. concorso di colpa comune); resta perciò escluso un concorso di colpa e dolo, poiché l'entità di questo è tale da superare quella;
c) che non è richiesta l'identità della natura delle due colpe, in quanto rilevante, ai fini dell'attenuazione degli effetti della colpa, è il concorso delle due cause efficienti del danno;
d) che, infine, il decidere sull'entità di ciascuna delle due colpe rientra nei compiti del giudice, al quale la norma in esame, con la sua duttilità, permette non solo di valutare equitativamente le posizioni delle parti, ma di ritenere sulla colpa di una di esse prevalente la colpa dell'altra.

Relazione al Libro delle Obbligazioni

(Relazione del Guardasigilli al Progetto Ministeriale - Libro delle Obbligazioni 1941)

39 Che il danno, quando non sia provato nel suo preciso ammontare, possa essere liquidato dal giudice con valu­tazione equitativa (art. 22), e principio ormai ricevuto nella­ pratica e nella scienza giuridica italiana; così com'è ricevuto l'altro principio che limita il risarcimento quando il danneggiato ha concorso a produrre la lesione o avrebbe potuto, con l'ordinaria diligenza, impedirne l'aggravamento (art. 23).
Non ho ritenuto, su quest'ultimo punto, di chiarire, come­ si suggeriva in relazione all'art. 78 del progetto della Com­missione reale, che al concorso di colpa del danneggiato debba equipararsi il concorso di colpa dei suoi commessi: tale equiparazione si desume dal rilievo che, in base al progetto da me elaborato (art. 123), ciascuno risponde della colpa dei suoi ausiliari come di un fatto proprio. Ho creduto, invece, di migliorare la formulazione dell'ar­ticolo 78 nel punto in cui esso affermava che il risarcimento deve diminuirsi in proporzione del concorso del fatto del danneggiato. Questa dizione, non accennando a colpa del danneggiato, farebbe credere che anche il fatto non colposo di chi subisce il danno è causa di diminuzione della prestazione del risarcimento: per evitare equivoci ho espressamente dichiarato che, se a produrre il danno ha contribuito lo stesso danneggiato, l'obbligazione di risarcimento è ridotta in pro­porzione della gravità della colpa di costui.

Massime relative all'art. 1227 Codice Civile

Cass. civ. n. 7777/2023

In tema di vendita di prodotto farmaceutico difettoso, il produttore del farmaco finito deve eseguire i controlli sulle materie prime e sui procedimenti di produzione (e di trasporto) impiegati in relazione alla distribuzione ed immissione nel ciclo produttivo del medicinale finale. Il mancato assolvimento di tali controlli esclude il risarcimento del danno ai sensi dell'art. 1227, comma 2, c.c. (In applicazione del principio, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva rigettato la domanda risarcitoria proposta dalla società produttrice di uno sciroppo nei confronti del produttore dell'eccipiente usato per la sua somministrazione, per la mancata prova dei controlli effettuati sulla potenziale presenza di impurezze in quest'ultimo che avevano pregiudicato l'utilizzabilità dello sciroppo).

Cass. civ. n. 5735/2023

La condotta del conduttore di un immobile ad uso diverso da quello abitativo - il quale rifiuti di traferirsi in altri locali per consentire l'esecuzione dei lavori idonei a neutralizzare un accertato pericolo di crolli, poi effettivamente verificatisi - può assumere rilievo nell'eziologia del danno ed essere ritenuta da sola sufficiente a provocarlo, ai sensi dell'art. 1227, comma 1, c.c., solo qualora il rifiuto sia ingiustificato ed il locatore possa ritenersi liberato dalla mora nell'adempimento dell'obbligazione di riparazione a seguito di formale intimazione ex art. 1207 c.c., accompagnata dalla proposta di un provvisorio trasferimento dell'attività in altro locale. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza della Corte territoriale che, pur in presenza di un ritardo del locatore nel procedere alle riparazioni, aveva ritenuto determinante nella causazione del danno il rifiuto opposto dal conduttore al trasferimento provvisorio in altri locali, senza previamente verificare se l'offerta di tale trasferimento, avanzata dal locatore, avesse formato oggetto di apposita intimazione ex art. 1207 c.c. e fosse stata ingiustificatamente rifiutata).

Cass. civ. n. 4770/2023

La rilevabilità d'ufficio del concorso di colpa della vittima di un fatto illecito, di cui all'art. 1227, comma 1, c.c., non è incondizionata, dovendo coordinarsi con gli oneri dell'allegazione e della prova; ne discende che la questione del concorso colposo è rilevabile d'ufficio, in primo grado, allorché risultino prospettati gli elementi di fatto dai quali sia desumibile la sussistenza d'una condotta colposa del danneggiato, che abbia concausato il danno e, in grado di appello, se in primo grado ne sia stato omesso il rilievo, ove la parte interessata abbia impugnato la sentenza che non ha provveduto sull'eccezione ovvero la abbia riproposta quando la questione sia rimasta assorbita.

Cass. civ. n. 1602/2023

Nell'ipotesi di licenziamento illegittimo cui consegua la tutela reintegratoria cd. "piena", di cui all'art. 18, comma 1, st.lav. riformulato - che opera quale regime speciale concernente la materia dei licenziamenti individuali - non trova applicazione la detrazione dell'"aliunde percipiendum" in quanto il comma 2 dell'articolo citato dispone che nella predetta ipotesi dal risarcimento vada dedotto esclusivamente quanto dal lavoratore percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative e non anche quanto il lavoratore "avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione", come previsto, invece, dal successivo comma 4 in materia di tutela reintegratoria cd. "attenuata". (Nella specie, la S.C. ha rigettato il motivo di ricorso con il quale il datore di lavoro aveva lamentato, avuto riguardo alla dedotta mancata iscrizione della lavoratrice al centro per l'impiego, la omessa applicazione, in sede di gravame, del principio della detraibilità dell'"aliunde percipiendum" sulla base dell'art. 1227 c.c.).

Cass. civ. n. 1386/2023

In tema di risarcimento del danno da incidente stradale, la consapevolezza della persona trasportata che il conducente sia sotto l'effetto di alcol o di altre sostanze eccitanti, pur non potendo determinare l'assoluta esclusione del suo diritto alla tutela assicurativa, ai sensi dell'art. 13 Direttiva 2009/103/CE, costituendo una esposizione volontaria ad un rischio, è idonea ad integrare una corresponsabilità del danneggiato e a ridurre, proporzionalmente, la responsabilità del danneggiante, ponendosi come antecedente causale necessario del verificarsi dell'evento ai sensi dell'art. 1227, comma 1, c.c.. (Nella specie, in applicazione dell'anzidetto principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva ritenuto sussistente il concorso di colpa del danneggiato deceduto in un sinistro stradale, per avere accettato di farsi trasportare su un veicolo guidato da un conducente sotto effetto di cocaina, nella misura quasi simbolica del 10% senza escludere in alcun modo la copertura assicurativa).

Cass. civ. n. 22717/2022

La norma di cui all'art. 2049 c.c. è finalizzata a proteggere i terzi danneggiati dalla condotta del dipendente - rispetto alla quale il preponente risponde per il cd. collegamento funzionale - e non è volta a tutelare i terzi che, in cooperazione col dipendente, abbiano cagionato danni al soggetto preponente.

Cass. civ. n. 34886/2021

In tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull'evento dannoso, in applicazione - anche ufficiosa - dell'art. 1227, comma 1, c.c., richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall'art. 2 Cost., sicché, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l'adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l'efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un'evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l'esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro. (Nella specie - relativa al caso di un uomo il quale, dopo aver scavalcato, in orario notturno, il guard-rail che delimitava la piazzola di sosta di una strada statale, era caduto in un tombino per lo smaltimento delle acque reflue, aperto e non segnalato -, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito che aveva individuato nel comportamento colposo del danneggiato la causa esclusiva dell'evento, senza verificare se fosse configurabile una concorrente responsabilità ex art. 2051 dell'ente gestore della strada, per aver lasciato il tombino aperto e privo di qualsivoglia segnalazione, tenuto conto della circostanza che il luogo in cui si trovava era comunque raggiungibile da parte degli utenti della strada).

Cass. civ. n. 33104/2021

La nozione di aspetto architettonico, la cui violazione costituisce uno dei limiti del diritto di sopraelevazione ex art. 1127, comma 3, c.c., è complementare, ancorché differente, rispetto a quella di decoro architettonico ex art. 1120 c.c., dalla quale non può prescindere, sicché anche l'intervento edificatorio in sopraelevazione deve rispettare lo stile del fabbricato e non rappresentare, rispetto al preesistente complesso, una rilevante disarmonia percepibile da qualunque osservatore, senza che occorra che l'edificio sia dotato di particolare pregio artistico, ma soltanto di una fisionomia propria, a meno che, per le modalità costruttive o le modificazioni apportate, non si trovi in stato di degrado complessivo tale da rendere ininfluente ogni ulteriore intervento. Peraltro, l'apprezzamento del giudice, da condurre in base alle caratteristiche stilistiche dell'immobile al fine di verificare l'esistenza di un danno economicamente valutabile, sfugge al sindacato di legittimità ove congruamente motivato. (Nella specie, la sopraelevazione, connotandosi come un corpo estraneo visibile per un breve tratto dalla strada e dalle finestre dei condomini attori e di altri fondi privati, è stata considerata lesiva del decoro e dell'aspetto architettonico).

Cass. civ. n. 22352/2021

L'art. 1227, comma 2, c.c., escludendo il risarcimento per il danno che il creditore avrebbe potuto evitare con l'uso della normale diligenza, impone a quest'ultimo una condotta attiva, espressione dell'obbligo generale di buona fede, diretta a limitare le conseguenze dell'altrui comportamento dannoso, intendendosi comprese nell'ambito dell'ordinaria diligenza, a tal fine richiesta, soltanto quelle attività che non siano gravose o eccezionali o tali da comportare notevoli rischi o rilevanti sacrifici. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito che, in relazione al risarcimento preteso da un ente pubblico nei confronti di un proprio dipendente per il danno patrimoniale corrispondente ai pagamenti relativi ad appalti di cui era stata accertata l'irregolarità, aveva ritenuto che la mancata proposizione, da parte dell'ente pubblico, dell'opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto nei suoi confronti dal creditore esulasse dall'ambito di applicazione dell'art. 1227, comma 2, c.c., senza tuttavia accertare in concreto se tale omissione fosse ricollegabile a una condotta negligente dello stesso danneggiato e se vi fossero effettive possibilità di accoglimento). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO ROMA, 08/01/2016).

Cass. civ. n. 26426/2020

In tema di responsabilità medica, il paziente che ometta di fornire alcune notizie nel corso dell'anamnesi, senza ricevere specifiche richieste dal medico, non può ritenersi corresponsabile delle carenze informative, verificatesi in quella sede, che hanno poi determinato l'errore diagnostico, perché non rientra tra i suoi obblighi né avere specifiche cognizioni di scienza medica, né sopperire a mancanze investigative del professionista. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione di merito che, accertata la responsabilità dei sanitari per omessa diagnosi della condizione di portatrice sana di talassemia in capo ad una donna in stato di gravidanza, divenuta madre di due gemelle affette da talassemia "maior", aveva affermato la concorrente responsabilità di quest'ultima e del di lei marito perché, consapevoli della condizione di portatore sano in capo a quest'ultimo, si erano rivolti ai medici per assicurarsi che non fosse tale anche lei ma, pur essendo a conoscenza di una patologia ematica, definita microcitemia, tra i collaterali della donna, non ne avevano parlato durante l'anamnesi). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO FIRENZE, 20/11/2017).

Cass. civ. n. 3557/2020

L'accertamento, ai sensi dell'art. 1227, comma 1, c.c., del contributo causale della vittima all'evento dannoso, ai fini della riduzione proporzionale dell'obbligo risarcitorio, prescinde dall'età e dallo stato di incapacità naturale della stessa, non rilevando la condotta del soggetto che ne aveva la sorveglianza, sotto il profilo di una eventuale "culpa in vigilando" e/o "in educando". Infatti, tale accertamento è di tipo oggettivo e va condotto alla stregua dello standard ordinario diligente dell'uomo medio, verificando se vi sia un contrasto con una regola stabilita da norme positive e/o dettata dalla comune prudenza e senza che occorra un comportamento colposo soggettivamente imputabile della detta vittima. (Nella specie, la S.C. ha pure chiarito che la posizione del sorvegliante e degli ulteriori danneggiati diversi dalla cd. vittima primaria può assumere valore ex art. 1227, comma 2, c.c., esclusivamente ove agiscano "iure proprio"). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO ROMA, 02/08/2017).

Cass. civ. n. 3319/2020

In tema di risarcimento del danno, l'accertamento dei presupposti per l'applicabilità della disciplina di cui all'art. 1227, comma 2, c.c. - che esclude il risarcimento in relazione ai danni che il creditore (o il danneggiato) avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza - integra indagine di fatto, come tale riservata al giudice di merito e sottratta al sindacato di legittimità, se sorretta da congrua motivazione. (Rigetta, CORTE D'APPELLO VENEZIA).

Cass. civ. n. 1165/2020

L'ipotesi prevista dall'art. 1227, comma 1, c.c., riguardando il contributo eziologico del danneggiato nella produzione dell'evento dannoso, va distinta da quella disciplinata dal comma 2 dello stesso articolo la quale, riferendosi al comportamento, successivo all'evento, con il quale il medesimo danneggiato abbia prodotto un aggravamento del danno ovvero non ne abbia ridotto l'entità, attiene al danno-conseguenza. (Nella specie, la S.C., in relazione alla domanda di risarcimento del danno da "fumo attivo" proposta dai familiari di una persona deceduta per neoplasia polmonare, ha confermato la decisione di appello per la quale la circostanza che la vittima, usando l'ordinaria diligenza, avrebbe potuto evitare la condizione di dipendenza irreversibile da fumo integrava un caso di fatto proprio del danneggiato, da ricondurre all'ambito di applicazione dell'art. 1227, comma 1, c.c.). (Rigetta, CORTE D'APPELLO SALERNO, 04/04/2017).

Cass. civ. n. 1164/2020

La questione dell'eventuale concorso di colpa del danneggiato deve essere esaminata 'ufficio dal giudice di primo grado, ai fini della liquidazione del risarcimento; tuttavia, ove ne sia stato omesso il rilievo e non siano state esaminate e valutate le circostanze, dalle quali si sarebbe potuto desumere eventualmente detto concorso di colpa, la parte ha l'onere di impugnare la sentenza per tale omissione e, qualora non lo faccia, la questione resta preclusa e non può essere sollevata nell'ulteriore corso del giudizio. (Rigetta, CORTE D'APPELLO TORINO, 09/10/2017).

Cass. civ. n. 842/2020

La presunzione di colpa del conducente di un veicolo investitore, prevista dall'art. 2054, comma 1, c.c., non opera in contrasto con il principio della responsabilità per fatto illecito, fondata sul rapporto di causalità fra evento dannoso e condotta umana, e, dunque, non preclude, anche nel caso in cui il conducente non abbia fornito la prova idonea a vincere la presunzione, l'indagine sull'imprudenza e pericolosità della condotta del pedone investito, che va apprezzata ai fini del concorso di colpa, ai sensi dell'art. 1227, comma 1, c.c., ed integra un giudizio di fatto che, come tale, si sottrae al sindacato di legittimità se sorretto da adeguata motivazione. (In applicazione di questo principio, la S.C. ha ritenuto esente da censura la decisione di merito che aveva escluso ogni responsabilità del conducente del veicolo per l'investimento di una persona seduta in piena notte nel mezzo di una carreggiata su strada non illuminata). (Dichiara inammissibile, CORTE D'APPELLO MILANO, 28/02/2018).

Cass. civ. n. 515/2020

In tema di liquidazione del danno alla persona, è irrilevante il rifiuto del danneggiato di sottoporsi ad una emotrasfusione al fine di diminuire l'entità di tale danno, atteso che non sussiste alcun obbligo a suo carico di accettare questo trattamento medico, non essendo il suo rifiuto inquadrabile nell'ipotesi del concorso colposo del creditore previsto dall'art. 1227 c.c.(Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, che aveva ritenuto applicabile l'art. 1227 c.c. ad una vittima di sinistro stradale cagionato dalla colpevole condotta di un terzo, solo perché si era messa alla guida con la consapevolezza di non voler essere sottoposta, per scelta religiosa, ad emostrasfusioni). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO ROMA, 25/05/2017).

Cass. civ. n. 33771/2019

La quantificazione in misura percentuale del contributo colposo della vittima alla causazione del danno è rimessa all'accertamento del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità se correttamente motivato. (Dichiara inammissibile, CORTE D'APPELLO CATANIA, 05/05/2018).

Cass. civ. n. 3797/2019

n tema di determinazione del danno risarcibile, non assurge a fatto colposo del creditore, idoneo a ridurre o a escludere il risarcimento del danno, la circostanza che il danneggiato abbia agito tardivamente nei confronti dell'autore della violazione, quand'anche un'ipotetica tempestiva azione fosse astrattamente suscettibile di circoscrivere l'entità del pregiudizio. Invero, l'art. 1227, comma 2, c.c., che costituisce un'applicazione dell'art. 1175 c.c., pur imponendo al creditore di tenere una condotta attiva, diretta a limitare le conseguenze dannose dell'altrui comportamento, non arriva a pretendere il compimento di attività gravose o implicanti rischi, tra le quali ben può ricomprendersi l'avvio di un'azione giudiziale. (In applicazione del predetto principio, la S.C. ha cassato la decisione di merito che aveva escluso il risarcimento dei danni per la perdita della possibilità di sfruttamento commerciale di alcuni modelli ornamentali, conseguente alla registrazione e alla successiva caduta in pubblico dominio di questi ultimi, in ragione del fatto che la relativa domanda era stata proposta dopo più di cinque anni dalla registrazione in parola). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO TORINO, 03/12/2014).

Cass. civ. n. 29352/2018

In tema di risarcimento del danno, perché possa farsi luogo alla diminuzione del ristoro per concorso del creditore nella produzione del danno medesimo, è necessario che costui sia tenuto, per legge, o per contratto o per generico dovere di correttezza, ad adottare un determinato comportamento, inerente all'esecuzione del rapporto obbligatorio e idoneo a circoscrivere, se non ad escludere, gli effetti pregiudizievoli dell'inadempimento.

Cass. civ. n. 20146/2018

Ai fini della concreta risarcibilità dei danni subiti dal creditore, l'art. 1227, comma 2, c.c., nel porre la condizione dell'inevitabilità dei danni attraverso l'uso dell'ordinaria diligenza, impone al creditore anche una condotta attiva o positiva diretta a limitare le conseguenze dannose di tale comportamento; tuttavia, nell'ambito dell'ordinaria diligenza richiesta, sono ricomprese soltanto quelle attività che non siano gravose o eccezionali o tali da comportare notevoli rischi o rilevanti sacrifici.

Cass. civ. n. 19218/2018

In tema di risarcimento del danno, l'ipotesi del fatto colposo del creditore che abbia concorso al verificarsi dell'evento dannoso (di cui al primo comma dell'art. 1227 c.c.) va distinta da quella (disciplinata dal secondo comma della medesima norma) riferibile ad un contegno dello stesso danneggiato che abbia prodotto il solo aggravamento del danno senza contribuire alla sua causazione, giacché - mentre nel primo caso il giudice deve procedere d'ufficio all'indagine in ordine al concorso di colpa del danneggiato, sempre che risultino prospettati gli elementi di fatto dai quali sia ricavabile la colpa concorrente, sul piano causale, dello stesso - la seconda di tali situazioni forma oggetto di un'eccezione in senso stretto, in quanto il dedotto comportamento del creditore costituisce un autonomo dovere giuridico, posto a suo carico dalla legge quale espressione dell'obbligo di comportarsi secondo buona fede.

Cass. civ. n. 11258/2018

Una volta allegato, da parte del debitore inadempiente, il fatto colposo del creditore danneggiato, il giudice, ai sensi dell'art. 1227, comma 1, c.c., è tenuto a esaminare d'ufficio l'eventuale incidenza causale del comportamento colposo di quest'ultimo nella produzione dell'evento dannoso.

Cass. civ. n. 7515/2018

Il concorso del danneggiato nella causazione o nell'aggravamento del danno, ai sensi dell'art. 1227, commi 1 e 2, c.c., sussiste solo quando la sua condotta sia stata colposa e, cioè, irrispettosa di precetti legali, di patti contrattuali o di regole di comune prudenza.

Cass. civ. n. 2483/2018

In tema di responsabilità civile, se la vittima di un fatto illecito ha concorso, con la propria condotta, alla produzione del danno, l'obbligo risarcitorio del responsabile si riduce proporzionalmente ai sensi dell'art. 1227, comma 1, c.c., anche nel caso in cui la vittima (minore di età) sia incapace di intendere e di volere al tempo del fatto; ciò in quanto l'espressione "fatto colposo" che compare nel citato art. 1227 c.c. non va intesa come riferita all'elemento psicologico della colpa, che ha rilevanza esclusivamente ai fini di una affermazione di responsabilità, la quale presuppone l'imputabilità, ma deve intendersi come sinonimo di comportamento oggettivamente in contrasto con una regola di condotta, stabilita da norme positive e/o dettata dalla comune prudenza. L'accertamento in ordine allo stato di capacità naturale della vittima e delle circostanze riguardanti la verificazione dell'evento, anche in ragione del comportamento dalla stessa vittima tenuto, costituisce "quaestio facti" riservata esclusivamente all'apprezzamento del giudice di merito.

Cass. civ. n. 4208/2017

In materia di responsabilità civile, nell'ipotesi di concorso della condotta colposa della vittima di un illecito mortale nella produzione dell’evento dannoso, il risarcimento del danno, patito “iure proprio” dai congiunti della vittima, deve essere ridotto in misura corrispondente alla percentuale di contributo causale a quell'evento ascrivibile al comportamento colposo del deceduto, non potendosi al danneggiante fare carico di quella parte di danno che non è a lui causalmente imputabile secondo il paradigma della causalità del diritto civile, la quale conferisce rilevanza alla concausa umana colposa.

Cass. civ. n. 1295/2017

Il fatto colposo del danneggiato, rilevante ai fini dell'applicazione dell'art. 1227, comma 1, c.c., deve connettersi causalmente all'evento dannoso, non potendo quest'ultimo essere pretermesso nella ricostruzione della serie causale giuridicamente rilevante, né potendosi collegare direttamente la condotta colposa del danneggiato con il danno da lui patito; ne consegue che non ogni esposizione a rischio da parte del danneggiato è idonea a determinarne un concorso giuridicamente rilevante, all'uopo occorrendo, al contrario, che tale condotta costituisca concreta concausa dell'evento dannoso.(Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso il concorso colposo del danneggiato, deceduto in un sinistro stradale, per avere accettato di farsi trasportare su un'autovettura guidata da un conducente in stato di ebrezza, e ciò sul rilievo che la responsabilità causativa del sinistro era stata integralmente ascritta al conducente dell'altro veicolo in esso coinvolto, ma non senza sottolineare, peraltro, l'assenza di prova sia sull'effettivo superamento - da parte del guidatore trasportante - del tasso alcolico consentito, che sulla consapevolezza, in capo al trasportato, di tale circostanza, siccome notoriamente non percepibile, con immediatezza, da ogni persona di media attenzione e prudenza).

Cass. civ. n. 272/2017

L’accertamento del concorso del fatto colposo del danneggiato nella produzione del danno, così come la determinazione del grado di efficienza causale di ciascuna colpa, rientrano nel potere di indagine del giudice del merito e sono incensurabili in sede di legittimità, quando siano sorretti da adeguata e logica motivazione. (Nella specie, la S.C. ha dichiarato inammissibile la censura con la quale l’appaltatore di un’opera pubblica argomentava la propria carenza di responsabilità per il concorso di colpa dell’ente appaltante, anche in ragione di una sentenza della Corte dei conti che aveva condannato per danno erariale progettista e direttore dei lavori e di cui il giudice di merito aveva, in ogni caso, tenuto conto).

Cass. civ. n. 5679/2016

In tema di responsabilità per fatto illecito doloso, l'art. 1227 c.c., concernente la diminuzione della misura del risarcimento in caso di concorso del fatto colposo del danneggiato, non è applicabile nell'ipotesi di provocazione da parte della persona offesa del reato, in quanto la determinazione dell'autore del delitto, di tenere la condotta illecita che colpisce la persona offesa, costituisce causa autonoma del danno, non potendo ritenersi che la consecuzione del delitto al fatto della provocazione esprima una connessione rispondente ad un principio di regolarità causale. (In applicazione del principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva escluso la riduzione del risarcimento del danno conseguente a lesioni personali subite all'interno di una discoteca e consumate da "buttafuori").

Cass. civ. n. 15750/2015

In tema di concorso del fatto colposo del creditore, previsto dall'art. 1227, comma 2, c.c., al giudice del merito è consentito svolgere l'indagine in ordine all'omesso uso dell'ordinaria diligenza da parte del creditore solo se sul punto vi sia stata espressa istanza del debitore, la cui richiesta integra gli estremi di una eccezione in senso proprio, dato che il dedotto comportamento che la legge esige dal creditore costituisce autonomo dovere giuridico, espressione dell'obbligo di comportarsi secondo buona fede. Il debitore deve inoltre fornire la prova che il creditore avrebbe potuto evitare i danni, di cui chiede il risarcimento, usando l'ordinaria diligenza.

Cass. civ. n. 11698/2014

L'esposizione volontaria ad un rischio, o, comunque, la consapevolezza di porsi in una situazione da cui consegua la probabilità che si produca a proprio danno un evento pregiudizievole, è idonea ad integrare una corresponsabilità del danneggiato e a ridurre, proporzionalmente, la responsabilità del danneggiante, in quanto viene a costituire un antecedente causale necessario del verificarsi dell'evento, ai sensi dell'art. 1227, primo comma, cod. civ., e, a livello costituzionale, risponde al principio di solidarietà sociale di cui all'art. 2 Cost. avuto riguardo alle esigenze di allocazione dei rischi (riferibili, nella specie, all'ambito della circolazione stradale) secondo una finalità comune di prevenzione, nonché al correlato obbligo di ciascuno di essere responsabile delle conseguenze dei propri atti. (Nella specie, in applicazione dell'anzidetto principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva ritenuto sussistente il concorso di colpa del danneggiato per aver partecipato come passeggero ad una gara automobilistica clandestina).

Cass. civ. n. 470/2014

L'esercizio dell'azione giudiziaria costituisce una mera facoltà e non un obbligo del titolare, sicché il mancato ricorso all'autorità giudiziaria per la determinazione del prezzo ai sensi dell'art. 1474 cod. civ. non integra un concorso colposo del danneggiato e non giustifica una riduzione del risarcimento ex art. 1227, primo comma, cod. civ.

Cass. civ. n. 27298/2013

Il dovere di correttezza e di normale diligenza imposto al danneggiato dall'art 1227, secondo comma, cod. civ. non lo obbliga a svolgere attività che, pur nel fine lecito di contenere l'"iter" evolutivo dei danni, incidano sulla situazione dei luoghi in senso modificativo o sostitutivo di opere e cose comunque connesse geneticamente alla precedente azione od omissione dell'autore dell'illecito. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto che, in un giudizio relativo alla responsabilità dell'appaltatore per i vizi dell'opera ex art 1668 cod. civ., non fosse possibile addebitare al committente l'aumento dei costi dei lavori occorrenti per l'eliminazione dei vizi stessi, verificatosi in corso di causa, sul rilievo che tali lavori avrebbero modificato la situazione oggetto di accertamento giudiziale e che, in conseguenza, il committente non poteva ritenersi obbligato ad eseguirli prima della conclusione del giudizio).

Cass. civ. n. 9137/2013

In tema di esclusione, ai sensi dell'art. 1227, comma secondo, cod. civ., della risarcibilità di quei danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza, grava sul debitore responsabile del danno l'onere di provare la violazione, da parte del danneggiato, del dovere di correttezza impostogli dal citato art. 1227 e l'evitabilità delle conseguenze dannose prodottesi, trattandosi di una circostanza impeditiva della pretesa risarcitoria, configurabile come eccezione in senso stretto.

Cass. civ. n. 24406/2011

La responsabilità civile per omissione può scaturire non solo dalla violazione di un preciso obbligo giuridico di impedire l'evento dannoso, ma anche dalla violazione di regole di comune prudenza, le quali impongano il compimento di una determinata attività a tutela di un diritto altrui. Tale principio trova applicazione sia quando si tratti di valutare se sussista la colpa dell'autore dell'illecito, sia quando si tratti di stabilire se sussista un concorso di colpa della vittima nella produzione del danno, ex art. 1227, comma primo, c.c.. Non può, pertanto, ritenersi corresponsabile del danno colui che, senza violare alcuna regola di comune prudenza, correttezza o diligenza, non si sia attivato per rimuovere tempestivamente una situazione di pericolo creata da terzi. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito la quale aveva escluso che un'impresa edile, danneggiata dall'esondazione d'un canale alla cui manutenzione la P.A. non aveva provveduto, potesse ritenersi corresponsabile del danno, per non avere provveduto ad innalzare l'argine del canale, nonostante la prossimità ad esso del cantiere, trattandosi di un intervento, nella specie, inesigibile nei suoi confronti).

Cass. civ. n. 10526/2011

Qualora la messa in circolazione di un veicolo in condizioni di insicurezza (nella specie, un ciclomotore con a bordo tre persone, di cui uno minore d'età, in violazione dell'art. 170 cod. strada) sia ricollegabile all'azione o omissione non solo del conducente - il quale prima di iniziare o proseguire la marcia deve controllare che questa avvenga in conformità delle normali norme di prudenza e sicurezza - ma anche del trasportato, il quale ha accettato i rischi della circolazione, si verifica un ipotesi di cooperazione colposa dei predetti nella condotta causativa del fatto evento dannoso. Pertanto, in caso di danni al trasportato medesimo, sebbene la condotta di quest'ultimo non sia idonea di per sé ad escludere la responsabilità del conducente, né a costituire valido consenso alla lesione ricevuta, vertendosi in materia di diritti indisponibili, essa può costituire un contributo colposo alla verificazione del danno, la cui quantificazione in misura percentuale è rimessa all'accertamento del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità se correttamente motivato.

Cass. civ. n. 7771/2011

L'obbligo di non aggravare il danno, imposto dall'art. 1227, comma secondo, c.c. a carico del danneggiato, impone a quest'ultimo di attivarsi per scegliere la condotta maggiormente idonea a contemperare il proprio interesse con quello del debitore alla limitazione del danno e deve ritenersi violato nel caso in cui il danneggiato trascuri di adottare tale condotta, pur potendolo fare senza sacrificio. (Nella specie, la S.C. ha confermato, sul punto, la sentenza impugnata, che aveva escluso la risarcibilità del danno patito dal committente per avere questi, sul presupposto di non poter disperdere la prova dell'inadempimento dell'appaltatore, atteso otto anni prima di eliminare i vizi da quest'ultimo causati nella realizzazione dell'immobile, senza attivarsi a richiedere un accertamento tecnico preventivo).

Cass. civ. n. 12714/2010

In tema di risarcimento del danno, l'ipotesi del fatto colposo del creditore che abbia concorso al verificarsi dell'evento dannoso (di cui al primo comma dell'art. 1227 c.c.) va distinta da quella (disciplinata dal secondo comma della medesima norma) riferibile ad un contegno dello stesso danneggiato che abbia prodotto il solo aggravamento del danno senza contribuire alla sua causazione, giacché - mentre nel primo caso il giudice deve procedere d'ufficio all'indagine in ordine al concorso di colpa del danneggiato, sempre che risultino prospettati gli elementi di fatto dai quali sia ricavabile la colpa concorrente, sul piano causale, dello stesso - la seconda di tali situazioni forma oggetto di un'eccezione in senso stretto, in quanto il dedotto comportamento del creditore costituisce un autonomo dovere giuridico, posto a suo carico dalla legge quale espressione dell'obbligo di comportarsi secondo buona fede.

Cass. civ. n. 10607/2010

In tema di responsabilità aquiliana, il nesso causale è regolato dai principi di cui agli artt. 40 e 41 c.p., per i quali un evento è da considerare causato da un altro se, ferme restando le altre condizioni, il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo (cosiddetta teoria della "condicio sine qua non"), nonché dal criterio della cosiddetta causalità adeguata, sulla base della quale, all'interno della serie causale, occorre dar rilievo solo a quegli eventi che non appaiono - ad una valutazione "ex ante" - del tutto inverosimili; a tal fine il comportamento colposo del danneggiato, quando non sia da solo sufficiente ad interrompere il nesso causale, può tuttavia integrare, ai sensi dell'art. 1227, primo comma, c.c., un concorso di colpa che diminuisce la responsabilità del danneggiante. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto sussistente una percentuale di responsabilità, a titolo di "culpa in eligendo", a carico del committente del lavoro di abbattimento di un muro per averlo affidato ad un operaio che non aveva nessuna esperienza specifica come muratore, sicché dalla maldestra esecuzione del lavoro era derivata la morte dell'operaio stesso).

Cass. civ. n. 9038/2010

In tema di risarcimento dei danni da diffamazione a mezzo della stampa, l'istanza di rettifica costituisce una facoltà attribuita all'interessato dall'art. 8 della legge 8 febbraio 1948, n. 47, ed avente la finalità di evitare che la pubblicazione offensiva dell'altrui prestigio e reputazione possa continuare a produrre effetti lesivi, ma non elimina i danni già realizzati; conseguentemente, il mancato esercizio di tale facoltà, mentre incide, ai sensi dell'art. 1227, primo comma c.c., sulla quantificazione del danno, ove si accerti che lo stesso avrebbe potuto essere attenuato con la rettifica, non rileva ai fini del secondo comma dello stesso art. 1227, atteso che la pubblicazione della rettifica non può escludere il carattere diffamatorio della dichiarazione, qualora l"'eventus damni" si sia già realizzato con la pubblicazione delle dichiarazioni offensive.

Cass. civ. n. 1002/2010

Ai fini della determinazione della riduzione del risarcimento del danno in caso di accertato concorso colposo tra danneggiante e danneggiato in materia di responsabilità extracontrattuale, occorre - ai sensi dell'art. 1227, comma primo, c.c. - porre riferimento sia alla gravità della colpa e che all'entità delle conseguenze che ne sono derivate. In particolare, la valutazione dell'elemento della gravità della colpa deve essere rapportata alla misura della diligenza violata e, solo se non sia possibile provare le diverse entità degli apporti causali tra danneggiante e danneggiato nella realizzazione dell'evento dannoso, il giudice può avvalersi del principio generale di cui all'art. 2055, ultimo comma, c.c., ossia della presunzione di pari concorso di colpa, rimanendo esclusa la possibilità di far ricorso al criterio equitativo (previsto dall'art. 1226 c.c. e richiamato dall'art. 2056 c.c.), il quale può essere adottato solo in sede di liquidazione del danno ma non per la determinazione delle singole colpe.

Cass. civ. n. 14548/2009

Quando la vittima di un fatto illecito abbia concorso, con la propria condotta, alla produzione del danno, l'obbligo del responsabile di risarcire quest'ultimo si riduce proporzionalmente, ai sensi dell'art. 1227, comma primo, c.c., anche nel caso in cui la vittima fosse incapace di intendere e di volere, in quanto l'espressione "fatto colposo" che compare nell'art. 1227 c.c. deve intendersi come sinonimo di comportamento oggettivamente in contrasto con una regola di condotta, e non quale sinonimo di comportamento colposo.

Cass. civ. n. 24320/2008

Il concorso del fatto colposo del danneggiato, che ai sensi dell'art. 1227 cod. civ esclude o limita il diritto al risarcimento, non può essere invocato allorché la vittima del fatto illecito abbia omesso di rimuovere tempestivamente una situazione pericolosa creata dallo stesso danneggiante, dalla quale - col concorso di ulteriori elementi causali - sia derivato il pregiudizio del quale si chiede il risarcimento. (Nella specie l'impresa appaltatrice dei lavori di costruzione di una autostrada, omettendo di smaltire i materiali di risulta accumulatisi nel corso dei lavori, aveva determinato l'ostruzione dei canali di scolo delle acque reflue a protezione di una linea ferroviaria, con la conseguenza che l'acqua piovana, non trovando una via di deflusso, aveva provocato una frana sui binari e l'interruzione del traffico ferroviario. La S.C., affermando il principio di cui in massima, ha confermato la sentenza di merito la quale aveva escluso una corresponsabilità del gestore la rete ferroviaria, per non avere tempestivamente ripristinato i canali di scolo).

Cass. civ. n. 24080/2008

In tema di risarcimento del danno, il fatto colposo del creditore che abbia contribuito al verificarsi dell'evento dannoso (ipotesi regolata dall'art. 1227, primo comma, c.c.) è rilevabile d'ufficio, per cui la sua prospettazione non richiede la proposizione di un'eccezione in senso proprio, costituendo mera difesa, a differenza dell'aggravamento del danno derivante dal comportamento colposo successivo del danneggiato, previsto dal secondo comma della medesima disposizione; ma quando, come nella specie, il debitore si sia limitato in primo grado ad una contestazione generale di ogni propria responsabilità, riferendo la causazione del danno interamente al danneggiato ed il giudice abbia accolto tale prospettazione, diviene onere della medesima parte, pur vittoriosa, di prospettare, a seguito dell'appello della controparte, la questione del predetto concorso, al fine di evitare che tale deduzione risulti preclusa nell'ulteriore corso del giudizio, essendo la rilevabilità d'ufficio pur sempre soggetta alle preclusioni processuali maturate.

Cass. civ. n. 14853/2007

L'assicuratore il quale, avendo stipulato una polizza fideiussoria a garanzia dell'erario, ai sensi dell'art. 38 bis del D.P.R. n. 633 del 1972, effettui un pagamento non dovuto, non può essere ritenuto in colpa, ex art. 1227, comma 2, c.c., per avere omesso di domandare giudizialmente la restituzione di quanto pagato (sempre che la restituzione fosse giuridicamente possibile), in quanto l'onere di diligenza imposto al creditore dall'art. 1227, comma 2, c.c., non si spinge fino al punto di obbligare quest'ultimo a compiere una attività gravosa o rischiosa, quale la introduzione di un processo.

L'eccezione di cui all'art. 1227, comma 2, c.c., non è rilevabile d'ufficio, e dev'essere puntualmente sollevata da chi vi abbia interesse in modo analitico e circostanziato.

Cass. civ. n. 13242/2007

Il primo comma dell'art. 1227 c.c. concerne il concorso colposo del danneggiato nella produzione dell'evento che configura l'inadempimento, quindi la sua cooperazione attiva, mentre, nel secondo comma, il danno è eziologicamente imputabile al danneggiante, ma le conseguenze dannose dello stesso avrebbero potuto essere impedite o attenuate da un comportamento diligente del danneggiato. Consegue che, in tema di risarcimento del danno, nel caso di giudizio sull'an separato da quello sul quantum le circostanze imputabili al danneggiato, idonee a determinare un suo concorso di colpa, vanno dedotte ed esaminate in sede di accertamento generico per quanto attiene sia alla loro esistenza, sia al grado della loro efficienza causale; pertanto, qualora in detto giudizio sia stato escluso il concorso di colpa del danneggiato, ogni questione sul punto non è più proponibile nel successivo giudizio.

Cass. civ. n. 13180/2007

L'art. 1227, primo comma, c.c., che prevede la diminuzione del risarcimento nei confronti del danneggiato nel caso di concorso della colpa del danneggiato alla causazione del danno, si applica al solo rapporto tra danneggiante e danneggiato, ma non nei rapporti di rivalsa tra più danneggianti responsabili in solido, in quanto soltanto sul versante esterno l'obbligazione solidale comporta l'obbligo di eseguire la prestazione dovuta nella sua totalità, mentre sul versante interno agli obbligati essa si divide tra i diversi debitori e, per quanto riguarda l'obbligazione risarcitoria derivante da illecito, la prestazione si divide tra i corresponsabili, ai sensi dell'art. 2055 c.c., in proporzione alla gravità delle colpe e all'entità delle conseguenze dannose.

Cass. civ. n. 4954/2007

In tema di concorso del fatto colposo del danneggiato nella produzione dell'evento dannoso, a norma dell'art. 1227 c.c. — applicabile, per l'espresso richiamo contenuto nell'art. 2056 c.c., anche nel campo della responsabilità extracontrattuale — la prova che il creditore-danneggiato avrebbe potuto evitare i danni dei quali chiede il risarcimento usando l'ordinaria diligenza deve essere fornita dal debitore-danneggiante che pretende di non risarcire, in tutto o in parte, il creditore. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che, in controversia relativa ai danni alla persona da sinistro stradale, aveva rilevato, sulla base del referto ospedaliero, la sussistenza del concorso colposo del danneggiato per mancato uso della cintura di sicurezza, senza che fosse stata sollevata eccezione sul punto, né formulato alcun rilievo d'ufficio, seguito da specifica indagine istruttoria). (Mass. redaz.).

Cass. civ. n. 27123/2006

In tema di risarcimento del danno, l'ipotesi disciplinata dal secondo comma dell'art. 1227 c.c., laddove esclude il risarcimento del danno che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza, costituisce oggetto di una eccezione in senso stretto, con la conseguenza che, ove il giudice d'appello l'abbia ritenuta nuova e inammissibile nel secondo grado di giudizio, in sede di legittimità il ricorrente, il quale sostenga che l'eccezione era stata sollevata nella comparsa di costituzione in primo grado, non può limitarsi a sollecitare una diversa interpretazione della suddetta comparsa, ma deve specificamente censurarla sotto il profilo della violazione delle norme ermeneutiche.

Cass. civ. n. 5677/2006

Premesso che il fatto colposo del danneggiato, idoneo a diminuire l'entità del risarcimento secondo l'art. 1227 primo comma c.c., comprende qualsiasi condotta negligente od imprudente che costituisca causa concorrente dell'evento, e, quindi, non soltanto un comportamento coevo o successivo al fatto illecito, ma anche un comportamento antecedente, purché legato da nesso eziologico con l'evento medesimo, allorquando il fatto colposo del danneggiante è antecedente al fatto illecito - cioè all'inadempimento ed alle sue conseguenze dannose nella responsabilità contrattuale ed alla condotta integrante il fatto ingiusto di cui all'art. 2043 c.c. ed alle sue conseguenze nella responsabilità extracontrattuale - la sua efficacia di concausa del danno cagionato dall'illecito, se è indubbio che possa estrinsecarsi con riferimento al danno-conseguenza della condotta di inadempimento o della condotta realizzante il fatto ingiusto, può altrettanto indubbiamente estrinsecarsi anche direttamente rispetto alla condotta costituente l'illecito, cioè può giocare ed essere apprezzata come concausa della condotta di inadempimento stesso o di quella determinativa del fatto ingiusto, id est come concausa delle relative condotte illecite.

Cass. civ. n. 1213/2006

In tema di risarcimento del danno, l'ipotesi del fatto colposo del creditore che abbia concorso al verificarsi dell'evento dannoso (art. 1227 comma primo c.c.) va distinta, anche sul piano processuale, da quella (disciplinata dal secondo comma del medesimo articolo) che prevede il verificarsi del (solo) aggravamento del danno, prodotto dal comportamento dello stesso danneggiato che non abbia, peraltro, contribuito in alcun modo alla sua causazione. Ciò in quanto, nel primo caso, il giudice deve proporsi d'ufficio l'indagine in ordine al concorso di colpa del danneggiato, mentre la seconda situazione costituisce oggetto di eccezione in senso stretto (in quanto il dedotto comportamento del creditore costituisce un autonomo dovere giuridico, posto a suo carico dalla legge quale espressione dell'obbligo di comportarsi secondo buona fede).

Cass. civ. n. 27010/2005

Il primo comma dell'art. 1227 c.c. concerne il concorso colposo del danneggiato, configurabile solamente in caso di cooperazione attiva nel fatto colposo del danneggiante (Nell'affermare il suindicato principio la S.C. ha escluso la configurabilità di un concorso colposo del danneggiato nella mera accettazione, da parte del medesimo, del trasporto su autovettura con alla guida conducente in evidente stato di ebbrezza, non assurgendo tale condotta a comportamento materiale di cooperazione incidente nella determinazione dell'evento dannoso).

Cass. civ. n. 19139/2005

In tema di responsabilità del conduttore per la ritardata restituzione del bene locato ex art. 1591 c.c., l'ordinaria diligenza richiesta al creditore dall'art. 1227, secondo comma, c.c., per evitare un suo concorso nella produzione del danno, non implica l'obbligo di compiere attività rischiose o gravose come la proposizione di un'azione di cognizione o esecutiva per ottenere il rilascio della cosa locata.

Cass. civ. n. 9898/2005

In tema di risarcimento del danno cui è tenuto il datore di lavoro in conseguenza del licenziamento illegittimo e con riferimento alla limitazione dello stesso, ex art. 1227, secondo comma, c.c., in relazione alle conseguenze dannose discendenti dal tempo impiegato per la tutela giurisdizionale da parte del lavoratore, le stesse non sono imputabili al lavoratore tutte le volte che – sia che si tratti di inerzia endoprocessuale che di inerzia preprocessuale – le norme attribuiscano poteri paritetici al datore di lavoro per la tutela dei propri diritti e per la riduzione del danno. (In applicazione di tale principio la Corte Cass., confermando la sentenza di merito, ha riconosciuto l'esistenza di analoghi poteri del datore di lavoro in ordine al promovimento del tentativo di conciliazione).

Cass. civ. n. 2855/2005

Il dovere del danneggiato di attivarsi per evitare il danno secondo l'ordinaria diligenza ex art. 1227, secondo comma, c.c., va inteso come sforzo di evitare il danno attraverso un'agevole attività personale, o mediante un sacrificio economico relativamente lieve, mentre non sono comprese nell'ambito dell'ordinaria diligenza quelle attività che siano gravose o eccezionali o tali da comportare notevoli rischi o rilevanti sacrifici.

Cass. civ. n. 2704/2005

Il principio di cui all'art. 1227 c.c. (riferibile anche alla materia del danno extracontrattuale per l'espresso richiamo contenuto nell'art. 2056 del codice) della riduzione proporzionale del danno in ragione dell'entità percentuale dell'efficienza causale del soggetto danneggiato si applica anche quando questi sia incapace di intendere o di volere per minore età o per altra causa, e tale riduzione deve essere operata non solo nei confronti del danneggiato, che reclama il risarcimento del pregiudizio direttamente patito al cui verificarsi ha contribuito la sua condotta, ma anche nei confronti dei congiunti che, in relazione agli effetti riflessi che l'evento di danno subito proietta su di essi, agiscono per ottenere il risarcimento dei danni iure proprio restando, peraltro, esclusa — ove essi avessero avuto sull'incapace un potere di vigilanza — la possibilità di far luogo ad una ulteriore riduzione del danno risarcibile sulla base di un loro concorso nella sua causazione per culpa in educando o in vigilando. (Nella specie, la Corte Cass. ha confermato la sentenza di merito che aveva proporzionalmente ridotto l'ammontare della somma da liquidare in favore dei genitori per il risarcimento del danno subito a causa della morte della figlia minore che, attraversando imprudentemente la strada, era stata investita da un'auto, tenendo conto del concorso di colpa della stessa minore, nell'accezione sopra indicata, nel provocare il danno).

Cass. civ. n. 22503/2004

In tema di equa riparazione ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89 per violazione della durata ragionevole del processo, la negligenza della parte del processo dinanzi al tribunale amministrativo regionale nella presentazione della istanza di prelievo, strumento offerto dall'ordinamento processuale per pervenire alla più sollecita discussione del ricorso, trova la sua collocazione propria, non già nella sedes materiae della liquidazione del danno (art. 1227, secondo comma, c.c.), ma nello scrutinio di adeguatezza del comportamento della parte ex art. 2, comma secondo, legge cit., tra gli elementi costitutivi del fatto generatore dell'indennizzo, rilevando cioè come comportamento oggettivo, determinante la mancata attivazione dell'organo di giustizia amministrativa, valutabile come causa, o come concausa, della non ragionevolezza del tempo trascorso; ne deriva che soltanto con la proposizione di detta istanza, ed a partire da quella data, il decorrere del tempo diventa esclusivo parametro di valutazione del comportamento dell'organo di giustizia ai fini dello scrutinio della ragionevolezza della durata del processo.

Cass. civ. n. 11414/2004

In riferimento alla responsabilità extracontrattuale da cose in custodia, quando sussiste un comportamento colposo del danneggiato che non è idoneo da solo ad interrompere il nesso eziologico tra la causa del danno e il danno stesso, esso può tuttavia integrare un concorso di colpa ai sensi dell'art. 1227, primo comma c.c., con conseguente diminuzione della responsabilità del danneggiante in proporzione all'incidenza della colpa del danneggiato.

Cass. civ. n. 10133/2004

Il concorso del fatto colposo del creditore è inconciliabile con le situazioni nelle quali operi il principio dell'apparenza del diritto, atteso che quest'ultimo, riconducibile al più generale principio dell'affidamento incolpevole (che può essere invocato, in tema di rappresentanza, dal terzo che in buona fede sia stato tratto in inganno sulla qualità del rappresentante apparente, allorquando l'apparente rappresentato abbia tenuto un comportamento colposo) presuppone che risulti sempre accertata la buona fede del terzo non dipendente da errore colpevole, circostanza quest'ultima incompatibile con un comportamento concorrente colposo dello stesso terzo, che, ove esistente, fa venir meno la situazione di affidamento. (Nella specie, relativa all'azione risarcitoria promossa da una società di leasing che aveva concluso un contratto di locazione finanziaria relativo a una imbarcazione apparentemente di proprietà di una concessionaria di vendita, la società convenuta aveva consegnato alla propria concessionaria i documenti relativi al natante oggetto del contratto, inducendo nella società di leasing il ragionevole affidamento che la concessionaria fosse proprietaria del bene. La S.C., nel confermare la sentenza di accoglimento della domanda, ha enunziato il principio di cui alla massima, respingendo i motivi di ricorso fondati sulla pretesa cooperazione colposa del creditore).

Cass. civ. n. 9709/2004

In tema di risarcimento del danno, il principio secondo cui la scelta del tipo di risarcimento (se in forma specifica o per equivalente) spetta al danneggiato non osta a che il danneggiante, secondo i principi generali in tema di obbligazione e fino a quando non intervenga la sentenza esecutiva, risarcisca spontaneamente il danno anche in forma diversa da quella scelta dal creditore, salva la possibilità per quest'ultimo di rifiuto, che, ove ingiustificato e determinante un aggravamento del danno, comporta tuttavia la riduzione del risarcimento dovuto, ai sensi dell'art. 1227, secondo comma, c.c

Cass. civ. n. 2422/2004

Ai fini della concreta risarcibilità di danni subiti dal creditore — che pure sia in astratto sussistente, configurandosi i danni medesimi ai sensi dell'art. 1223 c.c., come conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento — l'art. 1227, secondo comma c.c., nel porre la condizione dell'inevitabilità, da parte del creditore, con l'uso dell'ordinaria diligenza, non si limita a richiedere a quest'ultimo la mera inerzia, di fronte all'altrui comportamento dannoso, o la semplice astensione dall'aggravare, con fatto proprio, il pregiudizio già verificatosi, ma, secondo i principi generali di correttezza e buona fede di cui all'art. 1175 c.c., gli impone altresì una condotta attiva o positiva diretta a limitare le conseguenze dannose di detto comportamento, intendendosi comprese nell'ambito dell'ordinaria diligenza, all'uopo richiesta, soltanto quelle attività che non siano gravose o eccezionali o tali da comportare notevoli rischi o rilevanti sacrifici. La valutazione del comportamento del creditore è compito riservato al giudice del merito, ed è insindacabile in sede di legittimità, se sorretta da idonea motivazione. (Nella specie, in applicazione del principio di cui alla massima, estensibile — in ragione dell'art. 2056 c.p.c. — anche alle ipotesi di illecito «aquiliano» la S.C. ha confermato la decisione della corte territoriale che, con riguardo alla impugnata sentenza di condanna in via solidale della conduttrice di un appartamento, e della persona cui la stessa lo aveva dato in comodato, conservandone la disponibilità, al risarcimento dei danni al sottostante negozio di abbigliamento causati da un allagamento dovuto ad un guasto alla lavatrice in uso alla comodataria, aveva elevato la misura del concorso della danneggiata, già affermato dal giudice di prime cure, osservando che non tutta la superficie del locale risultava allagata e che la danneggiata aveva lasciato nel negozio durante tutto l'inverno capi non bagnati o scarsamente bagnati, e pervenendo alla conclusione che, se la merce fosse stata asportata, il danno sarebbe stato notevolmente inferiore).

Cass. civ. n. 18467/2003

In tema di responsabilità civile, il comportamento irregolare del danneggiato può considerarsi concausa dell'evento dannoso solo quando abbia svolto, rispetto a quest'ultimo, ruolo di antecedente causale.

Cass. civ. n. 10995/2003

In materia di responsabilità contrattuale, l'art. 1227, secondo comma, c.c., laddove esclude il risarcimento del danno che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza, pone a carico del creditore medesimo l'onere di non concorrere ad aggravare i danni derivanti dall'inadempimento con un comportamento contrario alla buona fede, nei limiti dell'ordinaria diligenza: tale obbligo di comportamento quindi non si spinge fino ad imporre al creditore di sostituirsi al debitore nell'adempimento dell'obbligazione; l'eccezione relativa al mancato adempimento di un tale onere del creditore costituisce eccezione in senso stretto, e come tale deve essere sollevata dal debitore, sul quale grava il relativo onere probatorio.

Cass. civ. n. 5511/2003

In tema di risarcimento del danno, il primo comma dell'art. 1227 c.c. attiene all'ipotesi del fatto colposo del creditore che abbia concorso al verificarsi dell'evento dannoso, mentre il secondo comma ha riguardo a situazione in cui il danneggiato sia estraneo alla produzione dell'evento ma abbia omesso, dopo la relativa verificazione, di fare uso della normale diligenza per circoscriverne l'incidenza, l'accertamento dei presupposti per l'applicabilità della suindicata disciplina integra indagine di fatto, come tale riservata al giudice di merito e sottratta al sindacato di legittimità se assistita da motivazione congrua.

Cass. civ. n. 2469/2003

In tema di concorso di colpa del creditore, l'art. 1227 c.c. ha riguardo al comportamento del creditore di un'obbligazione inadempiuta (o non ritualmente adempiuta), ma non concerne i rapporti tra coobbligati in solido né le rispettive responsabilità nell'inadempimento della comune obbligazione.

Cass. civ. n. 14592/2001

La prova che il creditore avrebbe potuto evitare i danni dei quali chiede il risarcimento usando l'ordinaria diligenza deve essere fornita dal debitore che pretende di non risarcire in tutto o in parte; egli, infatti, deducendo un controdiritto idoneo a paralizzare l'azione risarcitoria del creditore, ha l'onere di prova imposto dall'art. 2697 c.c. (In base al suddetto principio la S.C. ha confermato la pronuncia del giudice del merito che non aveva ridotto l'entità del risarcimento del danno dovuto da un datore di lavoro per licenziamenti illegittimi, respingendo la contraria eccezione del datore di lavoro che si basava sull'assunto secondo cui i lavoratori non avevano fornito la prova di aver tentato di essere assunti da altri imprenditori, in particolare iscrivendosi nelle liste del collocamento).

Cass. civ. n. 7025/2001

Con riguardo all'esimente da responsabilità, prevista dal secondo comma dell'art. 1227 c.c., il giudice del merito è tenuto a svolgere l'indagine in ordine all'omesso uso dell'ordinaria diligenza da parte del creditore, soltanto se vi sia un'espressa istanza del debitore, la cui richiesta integra gli estremi di una eccezione in senso proprio, con la conseguenza che non può essere rilevata dal giudice d'ufficio. (Nella specie la Corte ha cassato la sentenza con cui i giudici di merito hanno valutato d'ufficio, ai fini della riduzione dell'entità del danno derivante dalla diffamazione a mezzo stampa, il mancato esercizio del diritto di rettifica da parte del danneggiato).

Cass. civ. n. 4799/2001

In tema di risarcimento del danno, l'ipotesi del fatto colposo del creditore che abbia concorso al verificarsi dell'evento dannoso (primo comma dell'art. 1227 c.c.) va distinta da quella (disciplinata dal secondo comma della medesima norma) riferibile ad un contegno dello stesso danneggiato che abbia prodotto il solo aggravamento del danno senza contribuire alla sua causazione, giacché, mentre nel primo caso il giudice deve proporsi d'ufficio l'indagine in ordine al concorso di colpa del danneggiato, sempre che risultino prospettati gli elementi di fatto dai quali sia ricavabile la colpa concorrente, sul piano causale, dello stesso, la seconda di tali situazioni costituisce oggetto di una eccezione in senso stretto, in quanto il dedotto comportamento del creditore costituisce un autonomo dovere giuridico, posto a suo carico dalla legge quale espressione dell'obbligo di comportarsi secondo buona fede; ne consegue che la relativa eccezione non può essere dedotta per la prima volta nel giudizio di cassazione.

Cass. civ. n. 5883/2000

A norma dell'art. 1227 comma secondo c.c. ed al fine di escludere la risarcibilità dei danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza, vanno presi in considerazione soltanto i comportamenti tenuti dal creditore-danneggiato successivamente all'inadempimento del debitore-danneggiante ed al verificarsi del danno, restando irrilevanti i comportamenti tenuti in epoca antecedente al verificarsi dell'inadempimento.

In tema di esclusione, ai sensi dell'art. 1227 comma secondo c.c., della risarcibilità di quei danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza, grava sul debitore responsabile del danno l'onere di provare la violazione, da parte del danneggiato, del dovere di correttezza impostogli dal citato art. 1227 e l'evitabilità delle conseguenze dannose prodottesi, trattandosi di una circostanza impeditiva della pretesa risarcitoria, configurabile come eccezione in senso stretto.

Cass. civ. n. 1073/2000

L'ipotesi del concorso di colpa del danneggiato di cui all'art. 1227, primo comma c.c., non concretando un'eccezione in senso proprio ma una semplice difesa, dev'essere esaminata e verificata dal giudice anche d'ufficio, attraverso le opportune indagini sull'eventuale sussistenza della colpa del danneggiato e sulla quantificazione dell'incidenza causale dell'accertata negligenza nella produzione dell'evento dannoso, indipendentemente dalle argomentazioni e richieste della parte.

Cass. civ. n. 4633/1997

Soltanto se la condotta dell'incapace di intendere o volere, stante l'applicabilità anche in tal caso dell'art. 1227, primo comma c.c., ha contribuito a cagionare il danno dal medesimo subito, il responsabile che deve risarcirlo può eccepire il concorso di colpa del soggetto obbligato alla sorveglianza di quegli (art. 2047 c.c.).

Cass. civ. n. 2763/1997

In tema di concorso del fatto del danneggiato nella produzione dell'evento dannoso, a norma dell'art. 1227 c.c. — applicabile, per l'espresso richiamo contenuto nell'art. 2056 c.c., anche nel campo della responsabilità extracontrattuale — il risarcimento del danno deve essere proporzionalmente ridotto in ragione dell'entità percentuale dell'efficienza causale del comportamento della vittima, atteso che il danno che taluno arreca a sé medesimo non può essere posto a carico dell'autore della causa concorrente, sia per il principio che il risarcimento va proporzionato all'entità della colpa di ciascun concorrente, sia per l'esigenza di evitare un indebito arricchimento.

Cass. civ. n. 13023/1995

La norma di cui all'art. 1227, secondo comma, c.c., secondo la quale il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza non opera quando le parti abbiano preventivamente e convenzionalmente liquidato il danno causato dal ritardo.

Cass. civ. n. 10271/1995

La riduzione del risarcimento del danno per il concorso della vittima opera anche nei confronti dei congiunti che agiscono iure proprio.

Cass. civ. n. 9209/1995

In tema di responsabilità per fatto illecito doloso, la norma dell'art. 1227 c.c. (richiamata dall'art. 2056, primo comma, stesso codice) — concernente la diminuzione della misura del risarcimento in caso di concorso del fatto colposo del danneggiato — non è applicabile nell'ipotesi di provocazione da parte della persona offesa del reato, in quanto la determinazione dell'autore del delitto, di tenere la condotta da cui deriva l'evento di danno che colpisce la persona offesa, va considerata causa autonoma di tale danno, non potendo ritenersi che la consecuzione del delitto al fatto della provocazione esprima una connessione rispondente ad un principio di regolarità casuale.

Cass. civ. n. 5312/1995

In tema di risarcimento del danno, nel caso di giudizio sull'an separato da quello sul quantum le circostanze imputabili al danneggiato ed idonee a determinare un suo concorso di colpa vanno dedotte ed esaminate in sede di accertamento generico per quanto attiene sia alla loro esistenza sia al grado della loro efficienza causale; con la conseguenza che, qualora nel giudizio sull'an la parte interessata abbia prospettato elementi di fatto dai quali possa desumersi l'indicato concorso, una volta che sia stata definitivamente accertata la colpa del danneggiante, con condanna generica dello stesso al risarcimento dei danni, e si sia escluso, sia pure implicitamente, il concorso di colpa del danneggiato, ogni questione sul punto non è più proponibile nel successivo giudizio sul quantum.

Cass. civ. n. 10072/1994

In tema di risarcimento del danno nei rapporti obbligatori, nella nozione di ordinaria diligenza del creditore di cui all'art. 1227, comma 2, c.c., rientra anche il tempestivo esercizio del proprio diritto, ossia l'esercizio non differito fino al limite del termine di prescrizione, qualora il trascorrere del tempo possa determinare un incremento del danno. Ne consegue che, con riferimento alla disciplina del collocamento obbligatorio, il danno subito dall'invalido, o da altro soggetto appartenente alle categorie protette avviato al lavoro ai sensi della L. 2 aprile 1968, n. 482, a causa dell'ingiustificato rifiuto di assunzione opposto dall'imprenditore, e corrispondente alle retribuzioni non percepite, non è risarcibile, ai sensi dell'art. 1227, comma 2, c.c., nella misura in cui il danneggiato abbia trascurato di attivarsi per evitarlo, mostrando una negligenza di cui possono essere sintomi, complessivamente considerati, la mancata reiscrizione nelle liste di collocamento e l'aver lasciato trascorrere alcuni anni tra il suddetto rifiuto e l'azione giudiziaria intesa alla realizzazione del diritto all'assunzione ed al risarcimento; in tal caso la misura del danno risarcibile può essere determinata, eventualmente per sottrazione, in via equitativa ex art. 1226 c.c.

Cass. civ. n. 5766/1994

Poiché il secondo comma dell'art. 1227 c.c., nell'escludere che il creditore possa avere diritto al risarcimento dei danni che lo stesso avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza, e nel porre, quindi, sul suddetto creditore, il dovere di non aggravare con il fatto proprio e con la propria condotta il pregiudizio subito, fa esplicito riferimento all'elemento della colpa, il giudice deve prendere in considerazione non ogni comportamento che astrattamente possa aggravare il danno, ma solamente quel comportamento che eccede i limiti dell'ordinaria diligenza.

Cass. civ. n. 4332/1994

Quando un soggetto incapace di intendere e di volere, per minore età o per altra causa, subisca un evento di danno, in conseguenza del fatto illecito altrui in concorso causale con il proprio fatto colposo, l'indagine deve essere limitata all'esistenza della causa concorrente alla produzione dell'evento dannoso, prescindendo dall'imputabilità del fatto all'incapace e dalla responsabilità di chi era tenuto a sorvegliarlo, ed il risarcimento al danneggiato incapace è dovuto dal terzo danneggiante solo nella misura in cui l'evento possa farsi risalire a colpa di lui, con l'esclusione della parte di danno ascrivibile al comportamento dello stesso danneggiato.

Cass. civ. n. 3957/1994

L'art. 1227, primo comma, c.c., a norma del quale, quando vi è concorso di colpa del danneggiato, la responsabilità del danneggiante è diminuita secondo la gravità della colpa e l'entità delle conseguenze che ne sono derivate, si applica anche nei casi di responsabilità (presunta) del custode perché è espressione del principio che esclude la possibilità di considerare danno risarcibile quello che ciascuno procura a se stesso.

Cass. civ. n. 7872/1991

Ai fini della liquidazione del danno derivante da licenziamento illegittimo, la misura del risarcimento dovuto ai sensi dell'art. 18, L. n. 300 del 1970 (commisurato alle retribuzioni non percepite dal lavoratore per il periodo successivo al licenziamento) non può essere ridotta, in applicazione del principio di cui all'art. 1227, secondo comma, c.c., con riguardo alle conseguenze dannose riferibili al tempo impiegato per la tutela giurisdizionale da parte del lavoratore, stante l'esistenza di norme che ne regolano l'iter con la previsione di termini perentori e che consentono ad entrambe le parti in giudizio di interferire nell'attività processuale. (Nella specie, la Suprema Corte ha annullato la decisione del tribunale, adito in sede di rinvio dalla stessa corte, con cui il suddetto danno è stato liquidato in misura inferiore all'ammontare delle retribuzioni per l'intero periodo fino alla riassunzione, sul rilievo che il lavoratore aveva tutelato i propri diritti senza la dovuta tempestività in relazione ai tempi decorsi prima della impugnazione del provvedimento, della proposizione del ricorso per cassazione e della riassunzione della causa in sede di rinvio).

Cass. civ. n. 5035/1991

Il dovere di correttezza imposto dall'art. 1227 c.c. al danneggiato presuppone un'attività dalla quale certamente il danno sarebbe stato evitato o ridotto, ma non implica l'obbligo di iniziare un'azione giudiziaria o un'azione esecutiva, in quanto il creditore non è tenuto ad un'attività gravosa o implicante rischi o spese, né a provvedere ad esecuzione forzata, anche se ciò rientra nelle sue facoltà.

Cass. civ. n. 3101/1991

Il diritto del creditore di una somma di denaro al risarcimento del maggior danno subito durante la mora debendi, a norma dell'art. 1224, comma secondo, c.c., non può essere escluso o limitato, ai sensi dell'art. 1227, comma secondo, c.c., in relazione al tempo lasciato trascorrere dal creditore medesimo prima di esercitare l'azione giudiziaria, ed al conseguenziale aumento dell'entità del pregiudizio, trattandosi di effetti che spetta al debitore di evitare, adempiendo sollecitamente l'obbligazione.

Cass. civ. n. 2410/1991

L'art. 1227, secondo comma c.c., il quale esclude il risarcimento dei maggiori danni che trovano la loro origine in un comportamento colposo del creditore, non può trovare applicazione in ordine alle maggiori somme che il debitore deve corrispondere per effetto della svalutazione monetaria. Pertanto nessuna influenza può avere, a fini limitativi di quest'ultima obbligazione, il fatto che il creditore abbia trascurato di chiedere tempestivamente il risarcimento o abbia condotto con lentezza l'azione giudiziaria.

Cass. civ. n. 2384/1991

Con riguardo all'azione risarcitoria contro un medico, per lesioni personali che l'attore, all'epoca minorenne ed a carico dei genitori, abbia subito a causa di errori di diagnosi e cura commessi da detto convenuto, la configurabilità di un concorso di colpa del danneggiato, ai sensi ed agli effetti dell'art. 1227 c.c., in relazione al ritardo con cui sia stato sottoposto a nuovo ed appropriato intervento specialistico, va riscontrata esclusivamente in relazione alla colpevolezza del comportamento del minore e non di quello dei suoi genitori, tenuto conto della mancanza di autonomia decisionale del minore medesimo in ragione della dipendenza, anche economica, dai genitori obbligati a tutelare la sua salute ed a prendere le decisioni necessarie a tal fine.

Cass. civ. n. 7987/1990

Nei contratti con prestazioni corrispettive, il contraente che abbia adempiuto la propria prestazione non è tenuto, nel caso di inadempimento totale o parziale dell'altro contraente, a svolgere attività per conseguire aliunde la controprestazione, dato che gli artt. 1175, 1227 e 1375, pur prevedendo per entrambi i contraenti un dovere di correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto, sono dettati allo scopo di vietare comportamenti vessatori ed ostruzionistici, ma non possono essere intesi nel senso di trasferire a carico del creditore le obbligazione specifiche del debitore, o le conseguenze dell'inadempimento a lui imputabile.

Cass. civ. n. 6547/1990

Il dovere — imposto al creditore o al danneggiato dall'art. 1227, secondo comma, c.c. — di evitare, usando la normale diligenza, i danni che possono essere arrecati alla propria sfera giuridica dall'altrui comportamento illecito, sussiste anche se questo si protrae nel tempo, sempre che la sua osservanza non si riveli troppo onerosa e non incida in misura apprezzabile sulla propria libertà di azione; pertanto, non può esigersi che il creditore o il danneggiato, per non aggravare le conseguenze dannose che gli derivano dall'inadempimento o dal fatto illecito altrui si assoggetti ad un'attività abnorme e più onerosa di quel che comporti l'ordinaria diligenza, divenendo la sua inerzia rilevante solo quando essa sia ascrivibile a dolo o colpa.

Cass. civ. n. 2589/1988

La norma dell'art. 1227 c.c., concernente il concorso del fatto colposo del creditore, si limita a fare applicazione concreta alla colpa del danneggiato del più generale principio di causalità, ma non implica l'affermazione di un dovere primario del danneggiato di ovviare all'inerzia del responsabile, accollandosi attività straordinarie e particolarmente onerose, per limitare gli effetti dannosi determinati dall'illecita condotta altrui.

Cass. civ. n. 3408/1986

Mentre il concorso di colpa del creditore, previsto dal primo comma dell'art. 1227 c.c., può essere rilevato anche d'ufficio, nella diversa ipotesi dell'esimente contemplata dal secondo comma della stessa norma, il giudice è tenuto a svolgere l'indagine in ordine all'omesso uso dell'ordinaria diligenza da parte del creditore, soltanto se vi sia stata un'espressa istanza del debitore, in quanto in questo secondo caso la dedotta colpa del creditore costituisce inosservanza di un autonomo dovere giuridico posto dalla legge a suo carico, e la richiesta del debitore integra gli estremi di un'eccezione in senso sostanziale con cui viene fatto valere un controdiritto per paralizzare l'azione del creditore.

Cass. civ. n. 809/1986

Il dovere del creditore di cooperare, se necessario, in relazione alla natura della prestazione, all'adempimento del debitore, non costituisce vera e propria obbligazione del creditore nei confronti di quest'ultimo, ma si configura, invece, come un mero dovere strumentale rispetto all'adempimento stesso, senza che per esonerarsi dalle conseguenze della violazione del suddetto dovere il creditore possa invocare l'impossibilità sopravvenuta per causa a lui non imputabile a norma dell'art. 1218 c.c.

Cass. civ. n. 1061/1985

L'eventuale concorso del fatto colposo del creditore, idoneo — secondo la previsione dell'art. 1227 c.c. — a ridurre l'entità del risarcimento sino ad escluderlo per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza, costituisce una circostanza impeditiva della pretesa risarcitoria, per cui, in base ai principi sull'onere della prova dettati dall'art. 2697 c.c., deve essere provato da chi intende avvalersi della relativa eccezione.

Cass. civ. n. 2675/1984

In tema di risarcimento del danno il principio di irrisarcibilità dei danni evitabili con l'uso dell'ordinaria diligenza dal danneggiato trova limite nel divieto assoluto di intervento che, pur nel fine lecito di contenere l'iter evolutivo dei danni, comporti alterazione di luoghi, opere o cose comunque connessi geneticamente all'inadempimento contrattuale.

Cass. civ. n. 1594/1983

Il secondo comma dell'art. 1227 c.c., statuendo che il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza, postula che il fatto del debitore sia la causa unica ed efficiente dell'evento dannoso e che il creditore, se non fosse rimasto inerte, avrebbe potuto eliminare o attenuare le conseguenze patrimoniali.

Cass. civ. n. 4174/1982

L'osservanza degli obblighi di diligenza e di buona fede che fanno carico al creditore o al danneggiato impone a questi ultimi soltanto un comportamento corretto, rivolto a circoscrivere il pregiudizio subito e ad impedirne l'eventuale espansione, ma non anche il compimento d'attività gravose o straordinarie, come l'acquisto aliunde delle cose che avrebbero costituito l'oggetto della prestazione ineseguita, oppure l'intrapresa di iniziative tali da comportare apprezzabili sacrifici, come esborsi apprezzabili di danaro o assunzione di rischi di qualsiasi natura.

Cass. civ. n. 3031/1978

Nel giudizio diretto alla liquidazione del danno, a seguito di condanna generica, il concorso del fatto colposo del creditore è deducibile solo sotto il profilo del mancato uso dell'ordinaria diligenza nell'evitare od attenuare le conseguenze dannose della condotta del debitore (art. 1227 secondo comma c.c.), trattandosi di circostanze estranee e successive a tale condotta, ma non anche sotto il profilo del colposo concorso del creditore medesimo nella determinazione dell'evento (art. 1227 primo comma c.c.) neppure al fine di una riduzione del danno da risarcire, trattandosi di questione attinente all'accertamento delle cause produttive del danno, e demandata quindi, in via esclusiva, al giudice dell'an debeatur.

Cass. civ. n. 5029/1977

In materia di condanna generica al risarcimento del danno, la serie causale inizia, ma non si esaurisce, con il fatto o il comportamento potenzialmente dannoso del debitore stesso; essa si svolge invece in quel seguito di accadimenti, da accertarsi nel giudizio di liquidazione, che fanno assurgere quella potenzialità astratta ad attualità concreta, secondo le modalità e la misura da determinarsi caso per caso. Conseguentemente, il giudicato di condanna generica del debitore non preclude nel successivo giudizio di liquidazione l'eccezione di concorso di colpa del creditore e il relativo accertamento.

Cass. civ. n. 2194/1977

In tema di inadempimento contrattuale, affinché il debitore possa invocare una riduzione del proprio obbligo risarcitorio, per concorso di colpa del creditore, ai sensi dell'art. 1227 primo comma c.c., è necessario che il creditore medesimo sia tenuto, per legge, per contratto, o per generico dovere di correttezza, ad adottare un determinato comportamento, inerente all'esecuzione del rapporto obbligatorio ed idoneo a ridurre gli effetti pregiudizievoli dell'inadempimento.

Cass. civ. n. 1975/1977

Qualora un fatto illecito produca, in successione di tempo, due danni diversi, il risarcimento del primo ha lo scopo di ristorare per equivalente il danneggiato dal pregiudizio subito, ma non lo obbliga ad impiegare la relativa somma nell'eliminazione della possibilità del verificarsi di un ulteriore danno restando ciò a carico del danneggiante. Pertanto, la circostanza che il danneggiato non si sia adoperato a rimuovere quella causa non è di per sé ostativa alla risarcibilità del secondo danno, salva la configurabilità di un concorso di colpa del danneggiato medesimo, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 1227 c.c.

Cass. civ. n. 4291/1976

Il debitore, al fine di invocare una riduzione della propria obbligazione per fatto del creditore, ai sensi dell'art. 1227 c.c., deve dimostrare non solo la colpevolezza della condotta del creditore stesso, ma anche il nesso causale fra quella condotta e le conseguenze pregiudizievoli che si pretendono da essa derivate. Ne deriva che, ove detto comportamento colposo del creditore consista nel non essersi adeguatamente difeso, in un giudizio contro di lui promosso da terzi ed incidente sull'ammontare del credito, spetta al debitore, al fine indicato, di provare che tale negligenza abbia avuto influenza sull'esito del giudizio.

Cass. civ. n. 3445/1975

In tema di concorso del fatto colposo del danneggiato, idoneo a giustificare una diminuzione del risarcimento secondo la gravità della colpa e l'entità delle conseguenze derivatene — art. 1227, richiamato dall'art. 2056 c.c. — occorre distinguere l'ipotesi della provocazione da quella dell'azione aggressiva. La prima è irrilevante ai fini indicati, non potendo il comportamento del provocatore essere considerato causa mediata del danno a lui successivamente cagionato dal provocato. Invece, il fatto dell'aggressore danneggiato si pone rispetto all'evento dannoso in rapporto di causalità efficiente, come fattore concorrente alla sua produzione, ed è, perciò, valutabile ai fini di una ragionevole diminuzione del risarcimento.

Cass. civ. n. 1753/1973

Il comportamento del danneggiato, incapace di intendere e di volere, concorrente nella produzione del danno, può integrare il fatto colposo del creditore previsto dal primo comma dell'art. 1227 c.c., applicabile in tema di responsabilità extracontrattuale per l'esplicito richiamo contenuto nell'art. 2056. In conseguenza, in tema di eventi dannosi derivati dalla circolazione stradale, anche il fatto del minore danneggiato naturalmente incapace, che con il suo comportamento di circolazione abbia contribuito alla produzione del danno, è valutabile ai fini del principio della compensazione delle colpe e, quindi, della riduzione proporzionale del danno, consacrato nel predetto art. 1227, comma primo.

Cass. civ. n. 1616/1973

L'art. 1227 c.c. il quale enunciando un principio di ordine generale deve ritenersi estensibile anche alla fattispecie prevista dall'art. 844 c.c., disciplina due ipotesi distinte: il primo comma concerne il rapporto fra causa ed evento, regolando il concorso di colpa del danneggiato nella produzione dell'evento, al fine di una riduzione proporzionale del risarcimento; il secondo comma concerne il rapporto fra evento e danno, ossia il contenuto dell'obbligazione di risarcimento, che può essere negato se il creditore avrebbe potuto evitare il danno usando l'ordinaria diligenza, ossia quando il processo produttivo dell'evento dannoso si sia esaurito e subentri una autonoma condotta colposa del danneggiato, il cui pregiudizio si presenti cosa come conseguenza ulteriore a lui esclusivamente addebitabile.

Cass. civ. n. 1652/1971

La distinzione tra il creditore che agisce iure proprio ed il creditore che agisce iure hereditario è irrilevante per il debitore responsabile, posto che egli è tenuto a rispondere del danno soltanto nella misura in cui lo ha cagionato, non essendo danno indennizzabile quello risentito da una persona che vi ha dato causa.

Cass. civ. n. 4080/1968

Poiché, nei confronti del danneggiato, tutti coloro che concorsero alla produzione dell'evento dannoso sono tenuti solidalmente al risarcimento, la questione del concorso di colpa del genitore del minore, danneggiato per fatto illecito, non ha alcuna rilevanza, quando il genitore agisca in giudizio, non per far valere un diritto proprio al risarcimento, ma il diritto del figlio minore, che detto risarcimento ha diritto ad ottenere integralmente da ciascuno degli autori dei vari comportamenti illeciti che concorsero alla produzione dell'evento.

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ALBERTO G. chiede
lunedì 05/08/2019 - Emilia-Romagna
“Prima di esporre il mio quesito circa l’utilizzo delle parti comuni condominiali, di seguito riporto alcune premesse.
1) Il mio garage ha l’accesso dall’interno, quindi esco aprendo elettricamente la basculante senza poter vedere se qualcuno è all’esterno
2) Il sottoscritto, in data 6 giugno c.a., è quello che per miracolo ha evitato di investire un bambino di due anni, sulla macchinina elettrica, che mi sono trovato davanti al paraurti anteriore destro mentre stavo per uscire dal garage (un altro bambino della stessa età era poco più distante). Arrabbiato, visto che nessuno oltre ai bambini era presente, con l’auto ho proseguito per uscire dal condominio, fintanto che ho incontrato i genitori di uno dei bambini davanti al loro garage (ubicato su di un lato condominiale diverso rispetto a quello del mio garage) che parlavano con un altri condomini; quindi sono sceso dall’auto e in modo concitato ho a loro illustrato quanto appena successo aggiungendo che i genitori devono seguire i propri figli: al tal punto uno dei condomini ha detto che avevo ragione ed io sono ripartito.
3) In altre due occasioni ho fatto presente ad uno dei due padri che il figlio transitava con il triciclo davanti al mio garage, cosicché ho telefonato all’amministratore per denunciare l’accaduto e l’amministratore mi ha detto che avrebbe inviato una lettera ai padri dei due bambini (allegato n.1)
4) Uno dei genitori dopo aver ricevuto la lettera dell’amministratore quando mi ha incontrato mi ha detto che sarei stato contattato dal loro avvocato, cosa che ad oggi non è ancora avvenuta. I genitori ai quali è stata inviata la lettera, hanno singolarmente incontrato gli altri condomini per spiegare la loro versione dei fatti. In seguito a ciò i genitori con figli piccoli si sono accordati per attendermi, con fare intimidatorio e con la presenza di altri condomini quali spettatori, sul passo carraio condominiale per parlarmi. Quando sono uscito mi sono fermato e ho detto a loro quanto accaduto e che nessun genitore era presente al momento del fatto, in quanto si trovavano davanti al loro garage. Ho chiesto conferma al condomino che al momento del fatto ha detto che avevo ragione, ma ha negato tutto. Poi mi hanno risposto che i bambini hanno diritto di giocare nell’ area cortiliva e che anche il regolamento condominiale al riguardo non dice nulla: io ho aggiunto che il gioco è un diritto purché nel rispetto della sicurezza degli stessi bambini
5) A tal punto ho installato sul parabrezza della mia auto una dash cam, il cui utilizzo non è vietato dalle norme purché nel rispetto della privacy.
6) Ipotizzo che i genitori abbiano consultato un legale. Poi hanno protestato con l’amministratore per avere ricevuto una tale lettera, presumo adducendo che era la mia parola contro la loro, cosicché l’amministratore ha inviato una seconda lettera a tutti i condomini (allegato n.2) deresponsabilizzando le famiglie dei due bambini e comunicando la convocazione di una prossima assemblea condominiale avente ad oggetto la sicurezza nel giocare in un'area di transito e manovra auto del cortile condominiale.
7) Recentemente, ho notato un comportamento intimidatorio da parte di un amico di uno dei due padri, in quanto mentre uscivo dal passo carraio mi fissava e si posizionava con il proprio cane quasi al centro della strada senza spostarsi come per ostruirmi il passaggio (allegato n.3 filmato video).
Ora in preparazione della prossima assemblea, ancora da convocare, espongo i miei quesiti.
Il primo riguarda l'indicazione di sentenze giurisprudenziali che vietano il gioco nelle sopraddette aree di transito e manovra degli autoveicoli. Si precisa che, il regolamento condominiale (all.n4.art.3) parla genericamente di area cortiliva e cita l’area di manovra senza specificarne l’area stessa e senza disporre nulla al riguardo. Tuttavia per la sua conformazione strutturale ritengo che si tratti di un'area destinata esclusivamente al transito e alla manovra delle auto, come si può desumere dalla planimetria allegata (all.n.5). Appurato che trattasi di area di manovra e transito auto così come definita anche dall’amministratore nella seconda lettera del 10 luglio, chiedo se posso ottenere per motivi di sicurezza il divieto di gioco, anche senza la maggioranza prevista dalla legge per un tale divieto. Difatti secondo le mie conoscenze ogni decisione riguardante i minori deve tenere conto del loro preminente interesse, quindi la loro incolumità e sicurezza ritengo sia preminente rispetto al loro diritto di gioco. In caso contrario chiedo se il mio dissenso al gioco per motivi di sicurezza, fatto mettere a verbale possa ridurre o escludere la mia responsabilità derivante in caso di non augurabile incidente. Infine se posso ottenere dall’amministratore di far mettere a verbale chi è contrario o favorevole al gioco dei bambini nell’area di transito e manovra auto, o se prima è necessario chiedere all’amministratore di inserire tale quesito nell’ordine del giorno. E’ probabile che i condomini interessati a garantire il gioco dei bambini conferiscano delega ad un avvocato per l’intervento in assemblea. In tal ipotesi cosa consigliate? Devo anch’io delegare un avvocato, oppure rivolgermi ad un legale solo per un’eventuale impugnazione della delibera?
Allegati: n.5”
Consulenza legale i 27/08/2019
La vicenda descritta deve essere esaminata tenendo ben distinti l’aspetto condominiale e l’utilizzo delle parti comuni, dalle conseguenze che possono derivare da un eventuale incidente che coinvolge un minore dedito al gioco.
  1. La tutela della destinazione d’uso delle parti comuni dell’edificio.
Dall’analisi del regolamento condominiale (che viene presunto di natura assembleare in assenza di uno specifico chiarimento sul punto da parte dell’autore del quesito), ed in particolare del suo art. 3 rubricato:” Parti, cose ed impianti di proprietà ad uso comune ed indivisibile”, si evince molto chiaramente come venga tenuta ben distinta l’area di manovra (lettera “e” dell’art.3) dall’area cortiliva (lettera “a” art. 3). Anche nelle planimetrie allegate al quesito si parla genericamente di area cortiliva antistante ai singoli box auto, non essendo indicato in alcun modo l’area di manovra.
La differenza non è di poco conto, in quanto l’attività di gioco bimbi di per sé può essere vietata solo nell’area di manovra strettamente considerata, in quanto attività contraria alla naturale destinazione di tale area comune: un’area di manovra, infatti, per sua stessa natura è destinata all’attività di transito dei veicoli e non al gioco dei bambini.
E’ il caso di citare l’art. 1102 del c.c., norma generale sulla comunione che trova amplissima applicazione anche in ambito condominiale, il quale dispone che il partecipante alla comunione, ovvero il condomino, non possa utilizzare la cosa comune in modo tale da alterarne la destinazione economica.
La tutela delle destinazioni d’uso trova poi una specifica e rafforzata tutela nella normativa condominiale come riformata dalla L.n.220/2012, la quale ha introdotto particolari novità sul tema. Il nuovo art. 1117 quater del c.c. dispone, infatti, che in caso di attività dei proprietari che incidano in modo sostanziale sulle destinazioni d’ uso,l’amministratore o anche autonomamente il singolo partecipante al condominio, possono diffidare l’esecutore di tali condotte vietate, chiedendo che le stesse vengano cessate immediatamente. Nel caso in cui tale invito non trovi riscontro nei fatti, l’amministratore o il singolo condomino possono chiedere la convocazione dell’organo assembleare affinché la stessa deliberi sulle azioni da intraprendere per far cessare eventuali usi impropri delle parti comuni dell’edificio, anche attraverso il ricorso alla autorità giudiziaria. Su tali delibere l’assemblea si pronuncia con le maggioranze di cui al 2° comma dell’art 1136 del c.c. (maggioranza degli intervenuti che rappresentano almeno la metà del valore dell’edificio: 500 millesimi).

Tale norma si aggiunge ai poteri che sono già riconosciuti all’amministratore di condominio nella tutela e gestione delle cose comuni; l’amministratore, infatti, secondo quanto prevede il 1° comma n.2) dell’art.1130 del c.c., ha tra i suoi numerosi compiti quello di:” disciplinare l'uso delle cose comuni e la fruizione dei servizi nell'interesse comune, in modo che ne sia assicurato il miglior godimento a ciascuno dei condomini;”. Rientra quindi perfettamente nelle sue attribuzioni, l’adozione di un provvedimento ex art. 1133 del c.c., con il quale l’organo esecutivo del condominio vieti utilizzi della cosa comune che ne alterino la sua funzione naturale.

La normativa appena citata non può di per sé trovare applicazione automatica nell’area cortiliva antistante ai box auto. L’attività ludica dei bambini non è di per sé contraria alla natura stessa di un’area cortiliva, se non impedisce agli atri condomini di godere e di fare parimenti uso di tale spazio comune. La Cassazione con un principio ormai granitico e più volte ribadito in vari ambiti della vita condominiale, ha chiarito che l’art. 1102 del c.c. non obbliga tutti i partecipanti alla comunione a fare un uso qualitativamente identico del bene comune: fermo restando il rispetto della destinazione d’uso, il bene comune può essere usato anche in maniera difforme da ciascun condomino purché, come si è già detto, agli altri partecipanti non sia impedito l’utilizzo e il godimento del bene. Famosa in questo senso è la pronuncia Cass. Civ. Sez. II, n. 12873 del 16.06.2005 che ammette l’uso turnario del cortile condominiale come area di parcheggio.
L’unico modo quindi per impedire il gioco dei bambini nell’area cortiliva sarebbe quello di introdurre espressamente tale divieto nel regolamento di condominio; una tale tipologia di clausola, però, per non essere affetta da nullità, e quindi impugnabile da ciascun condomino in ogni momento oltre i rigidi termini perentori previsti dall’art.1137 del c.c., deve essere approvata da tutti i proprietari all’unanimità, poichè va ad incidere sui diritti che ciascun comproprietario ha sulle parti comuni dell’edificio, escludendo una altrimenti legittima modalità di utilizzo dell’area cortiliva.

Dando per scontato che il regolamento dato in visione sia di natura assembleare, è ben possibile però per l’assemblea dei proprietari approvare con le maggioranze di cui agli artt. 1138 3°comma e 1136 2° comma (maggioranza degli intervenuti che rappresentano almeno la metà del valore dell’edificio) una modifica del regolamento di condominio, che, seppur non escluda espressamente la possibilità di giocare nel cortile comune, possa meglio disciplinare l’uso di tale parte condominiale, in modo tale che i singoli usi a cui la stessa può essere destinata possano meglio convivere tra loro. Per completezza di esposizione si precisa che qualora il regolamento di condominio fosse di natura contrattuale e non assembleare, qualsiasi modifica allo stesso dovrà essere approvata con la unanimità dei partecipanti al condominio.

Spiegate le differenze giuridiche che intercorrono tra un’area di manovra e un’area cortiliva, è opportuno precisare che il concetto di destinazione d’uso non è rigidamente predeterminato dalla legge, ma esso deve essere riempito e contestualizzato sulla base di ogni singola situazione concreta; inoltre, nel condominio oggetto del quesito, seppur queste due parti comuni vengano elencate in maniera distinta, esse non trovano una netta distinzione nello stato dei luoghi.
È ben possibile quindi per ciascun condominio convenire in giudizio gli altri condomini e il condominio nella persona dell’amministratore pro-tempore al fine di vedere accertato dall'autorità giudiziaria: il confine tra area di manovra e area cortiliva, o in subordine la specifica destinazione d’uso ex art. 1102 del c.c. di tali parti comuni e nello specifico della area cortiliva attorno ai box auto. E’ opportuno sottolineare come tale tipologia di controversia, in quanto vertente in materia condominiale, dovrà prima di tutto essere preceduta da un tentativo obbligatorio di conciliazione ex D.Lgs. n. 28/2010 e necessiterà oltre alla assistenza di un legale anche dell’ausilio di un consulente tecnico di parte. L’ausilio di un tecnico sarà infatti indispensabile sia in sede di mediazione che nel successivo eventuale giudizio per capire e delineare il confine tra area di manovra e area cortiliva o in subordine delineare l’effettiva destinazione d’uso di tali parti comuni.

Stante il forte livello di conflittualità che si è venuto a creare intorno alla vicenda e le incertezze presenti nel regolamento condominiale, forse il ricorso alla autorità giudiziaria, per quanto non costituisca una soluzione rapida al problema, potrebbe essere maggiormente consigliata rispetto ad una modifica al regolamento condominiale: la sentenza, infatti, chiarirebbe una volta per tutte i confini e le destinazioni d’uso delle singole parti comuni, obbiettivo che non necessariamente si raggiungerebbe con una semplice modifica al regolamento di condominio.
Per chiudere questo paragrafo è opportuno precisare che la presenza in assemblea del legale non sempre è produttiva e comunque, a parere di chi scrive, è opportuno rivolgersi ad un proprio legale nel momento in cui si ha la certezza che gli altri condomini hanno fatto lo stesso. Solitamente un professionista serio non compare in assemblea di punto in bianco ma quanto meno fa precedere il suo intervento da una lettera inviata all’amministratore di condominio o, se del caso, anche direttamente all’autore del quesito.

  1. Le conseguenze in caso di sinistro stradale.
L’altro aspetto che il quesito richiede di essere trattato, sono le responsabilità che deriverebbero da un eventuale incidente che coinvolge i minori dediti ad attività ludiche nell’area cortiliva. Non essendo fortunatamente in presenza di un sinistro già avvenuto, in questa sede si possono solo dare alcuni chiarimenti generici e consigliare alcune regole di condotta.
Innanzitutto è opportuno precisare alcuni aspetti di fondo. Anche se si riuscisse ad introdurre un divieto di gioco nell’area cortiliva (o tramite sentenza o tramite modifica al regolamento condominiale), ciò, di per sé, non comporterebbe un automatico esonero di responsabilità, nel caso in cui durante le attività di manovra per far uscire l’autovettura dal proprio box auto, si causasse l’incauto ferimento di un minore.
Non può pretendersi inoltre un automatico esonero da tale responsabilità adducendo il fatto che i minori sono soggetti alla vigilanza e custodia dei loro genitori, vigilanza e custodia che se non effettuata in maniera corretta comunque comporta delle conseguenze penali e civili per chi esercita la patria potestà. Importante in questo senso, da un punto di vista di responsabilità civile, è l’art. 2048 co.1 del c.c. il quale ha la funzione fondamentale di traslare le conseguenze dannose del fatto illecito commesso dai minori non emancipati sui genitori o sul tutore.
Questa norma, però, non esonera da responsabilità in maniera automatica chi eventualmente ferisce un minore mentre è intento ad effettuare una manovra con la propria autovettura.
La norma che deve essere tenuta presente e che entra maggiormente in gioco in queste fattispecie è l’art. 1227 del c.c., il quale trova applicazione anche nella disciplina della responsabilità extracontrattuale in virtù del rinvio operato dall’art. 2056 del c.c. Il combinato disposto di tali due articoli non fa altro che introdurre nella disciplina della responsabilità civile il principio del concorso di condotte colpose. Secondo tale principio, se il danno è stato provocato dal concorso di condotte illecite sia del danneggiante, ma anche del soggetto che ritiene di aver subito un danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa tenuta dal danneggiato e l’entità delle conseguenze che da esse sono derivate.
Supponendo, quindi, il ferimento di un bambino intento al gioco nel cortile condominiale nel momento in cui si è intenti a compiere le manovre necessarie per far uscire l’autovettura dal proprio box auto, per capire come suddividere le varie responsabilità tra il guidatore dell’auto e il genitore del minore (il quale risponde, come abbiamo detto poco prima, ex art. 2048 del c.c.), si dovrà valutare le singole condotte tenute dai soggetti coinvolti.

Per rendere maggiormente chiaro il discorso fin qui fatto, sia consentito fare alcuni esempi pratici della vita di tutti i giorni. Supponiamo che una mattina siamo piuttosto di fretta, entriamo nel nostro garage, saliamo in auto e senza prestare particolare attenzione a chi in quel momento sosta nell’area cortiliva, usciamo con una velocità piuttosto sostenuta andando ad investire il minore che in quel momento giocava tranquillamente con la macchinetta elettrica, non adeguatamente sorvegliato dai genitori.
In una situazione come quella descritta una forte percentuale di responsabilità potrebbe essere riconosciuta al conducente dell’autovettura, e ciò indipendentemente dal fatto che vi fosse un divieto di giocare in quella parte comune, o che il minore non fosse adeguatamente vigilato dai propri genitori: certo, anche ai genitori verrà riconosciuta una parte di colpa, ma comunque minore rispetto a quella del conducente dell’autovettura.
Facciamo un altro esempio: mentre ci apprestiamo ad uscire con la nostra autovettura dal box auto usando ogni cautela che la situazione del luogo richiede in quel momento, il bambino intento a giocare vicino all’area di manovra, lasciato in quel preciso momento incustodito dai genitori, di cui però avevamo constato la presenza nel luogo, compie un movimento inconsulto, repentino e, soprattutto imprevedibile, che comporta l’inevitabile collisione con la nostra autovettura. Nel caso descritto sicuramente la maggior percentuale di danno (forse la quasi totalità) verrà attribuita al minore, e quindi i danni conseguenti verranno traslati sui genitori ex. art. 2048 del c.c., i quali non hanno adeguatamente sorvegliato il figlio.

In mezzo ai due esempi fatti vi è una casistica infinita portata dalla casualità della vita che necessariamente non possiamo analizzare in maniera astratta in questa sede: bisogna tenere presente che sulla base delle dinamiche di ogni sinistro si arriverà ad una distribuzione delle responsabilità nei termini che si sono sopra descritti.
Seppur chi scrive non si occupa di diritto penale, ci si sente di dire che i principi che si sono detti trovano applicazione, a grandi linee, anche in quel ramo del diritto e quindi entrano in gioco anche, e soprattutto, nel caso di sinistri dagli esiti mortali o comunque gravi che necessitano l’intervento della autorità giudiziaria.

In conclusione, in caso di sinistro o scontro col minore, più che un divieto di gioco nell’area cortiliva, che comunque potrebbe avere una sua influenza, seppur minima, nel gioco di distribuzione delle responsabilità che si è descritto, ciò che può metterci al sicuro da eventuali conseguenze legali è la massima prudenza durante le attività di manovra e la possibilità di documentare, per quanto ci è possibile, l’accaduto. Sotto questo aspetto l’acquisto di una dash camera è senz’altro da consigliarsi.

I. P. chiede
martedì 06/09/2022 - Valle d'Aosta
“Buongiorno a tutti,
In occasione di una grandinata improvvisa, avvenuta qualche mese fa al mattino, abitando in un condominio di 4 affittuari e con relativi garages disposti uno accanto all altro, mio papà accorgendosi dell inizio della grandine è sceso dal letto per portare via la macchina in un posto coperto ma poiché iniziava a cadere grandine grossa (+di 3cm di diametro), ha posteggiato la sua vettura di traverso tra il suo garage e quello della vicina per proteggere l'auto parzialmente grazie al balcone soprastante.
La grandinata è durata sui 3/5 minuti e ad evento pressoché terminato è scesa la vicina per portare via l'auto.
Dopo pochi giorni è venuta a lamentarsi dicendo che a causa della vettura di traverso non ha potuto mettere in garage la sua per proteggerla neppure con delle coperte che erano all'interno del garage, chiedendoci per farla breve il totale del danno come da preventivo effettuato oltre alla minaccia di denuncia con rischio a suo dire di costi ben superiori per noi rispetto alla sua richiesta.
Sapendo che:
-il suo garage non poteva ospitare totalmente l'auto poiché all interno è presente un stoccaggio di un bancale di pellet
-che l'auto della vicina non è mai stata normalmente messa in garage
-che l'auto non risulta essere assicurata contro gli eventi atmosferici nonostante gli eventi imprevisti sempre più devastanti
-che mio papà era nei paraggi dell'auto per eventualmente spostare l'auto a richiesta
-che mio papà ha agito di istinto appena sveglio per proteggere la sua auto nonostante fosse assicurata
-che comunque aveva possibilità di accedere al garage tramite una porta interna per eventualmente prendere le eventuali coperte
-che comunque avrebbe potuto riparare parzialmente l'auto come ha fatto mio papà mettendo l'auto a sua volta in corrispondenza dei successivi 2 garages inutilizzati
-che l'auto è un utilitaria del 2005
-che noi abbiamo offerto la metà del danno a fine lavori eseguiti (quindi 450)
-che lei in data odierna quasi con l'atteggiamento di farci un favore si è detta d'accordo a chiudere la questione con 600 euro per non volerci denunciare poiché siamo vicini di casa ecc. ecc.
Vi chiedo quindi gentilmente un parere in merito alla questione e sulla pratica da adottare (es. pagamento dopo riparazione effettiva, diciture da specificare per far si che non abbia più nulla a pretendere in merito) per non avere problemi futuri in caso il vostro parere vada nella direzione del risarcimento diretto e con quale cifra.
Purtroppo, dovendo dare una risposta al più presto Vi chiedo se potete fare l'analisi nel più breve tempo possibile rimanendo comunque disponibile ad integrare il costo della prestazione qualora sia necessario.
Con l'occasione Vi ringrazio anticipatamente e rimanendo in attesa di Vs riscontro e a disposizione auguro una buona giornata!
Saluti

Consulenza legale i 22/09/2022
Considerate tutte le osservazioni poste, e alla luce della dinamica dei fatti, emerge come effettivamente sussista una parziale responsabilità del soggetto in questione per aver ostruito il passaggio alla proprietà privata della vicina di casa.
In tal senso, l’art. 2043 del c.c. stabilisce infatti che: “Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.

In effetti, il comportamento di colui che ha impedito alla vicina di casa, proprietaria del garage, di usufruire dello stesso per proteggere la propria autovettura integra senza dubbio un “danno ingiusto”, di carattere prettamente patrimoniale, ma pur sempre un danno. Tale danno, inoltre, ai sensi dell’art. 1223 del c.c., deve porsi come conseguenza immediata e diretta del comportamento (fatto colposo) del soggetto. In questo caso, il padre del richiedente, con un po’ di imprudenza, non ha pensato che avrebbe - con la propria condotta - potuto cagionare delle conseguenze dannose in capo alla proprietaria del garage. Tale condotta si è posta come antecedente causale diretto rispetto al danno cagionato all'autovettura della vicina che, a quanto pare, è rimasta esposta alla grandinata proprio per non aver trovato protezione nel garage al quale era - di fatto - impedito un agevole accesso.

Allo stesso tempo, è anche vero che la proprietaria sembra non abbia comunque cercato di riparare l’autovettura in alcun altro modo e non risulta, da quanto narrato nel quesito, che la stessa si sia adoperata, durante la grandinata, per chiedere all’occupante di spostare l'autovettura che ostruiva il passaggio. Se l’avesse fatto, probabilmente, il danno non si sarebbe verificato, poiché l’auto sarebbe stata spostata, eliminando l’intralcio, e consentendo alla proprietaria di parcheggiare la propria auto all’interno del garage.
Non è dato sapere le motivazioni per le quali la signora non si sia attivata in tal senso ma, se così ha fatto, sussiste senza un dubbio un “concorso di colpa” ai sensi e per gli effetti di cui al comma 1 dell’art. 1227 del c.c.. Tale disposizione prevede che “Se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l'entità delle conseguenze che ne sono derivate.

Quindi, essendoci un concorso di colpa, è configurabile una proporzionale riduzione del risarcimento in astratto dovuto, che può essere realisticamente ed equitativamente determinato nella misura di metà del preventivo esibito dalla signora (somma corrispondente ai € 450 indicati nel quesito).

Inoltre, non è realisticamente ipotizzabile una “denuncia” da parte della signora, non essendo configurabili, nel caso che occupa, profili penali di sorta. La danneggiata potrebbe al più proporre un atto di citazione dinanzi al Giudice di Pace (vista l'esiguità della somma richiesta), che dovrebbe - in ogni caso - essere preceduto da un invito alla negoziazione assistita (art. 3 del d.l. n. 132 del 2014). In ogni caso, in un'ottica costi benefici, si ritiene che non sarebbe conveniente - per la vicina danneggiata - la proposizione di una causa, visto comunque l’esiguo valore del danno e, di conseguenza, della somma richiesta.

Nel caso ci si determinasse alla dazione di un importo pro bono pacis, si consiglia di redigere una scrittura privata (firmata dal danneggiante e dal danneggiato) che, oltre ai dati di entrambe le parti, contenga:
  • nelle premesse: un breve sunto dell’accaduto, per punti;
  • nel corpo: la dichiarazione della volontà di raggiungere una soluzione transattiva che contemperi gli interessi di entrambe le parti, a reciproca e tombale soddisfazione delle reciproche pretese;
  • l’importo che ci si impegna a corrispondere a titolo di risarcimento del danno, determinato in misura equitativa, tenuto conto della responsabilità del danneggiante e del concorso di colpa del danneggiato;
  • la dichiarazione che null’altro si avrà più a pretendere reciprocamente, di qui in avanti, per il danno occorso all’auto di proprietà di _______ targa _______ causa evento atmosferico (grandine) verificatosi in data_________.
Tutto ciò sottoscritto e datato.