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Articolo 2051 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 31/01/2024]

Danno cagionato da cosa in custodia

Dispositivo dell'art. 2051 Codice Civile

Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia(1), salvo che provi il caso fortuito [1218, 1256, 2052](2).

Note

(1) Custode è colui che ha il potere di vigilanza e di controllo sulla cosa, e tale potere può essere di diritto ma anche solo di fatto. L'ipotesi contemplata dalla norma sussiste quando la cosa produca da sola un danno. Diverso è il caso in cui il danno deriva dall'opera dall'uomo: in tale frangente si applica la generale previsione di cui all'art. 2043 c.c..
(2) La giurisprudenza, così come nel caso del danno prodotto dall'incapace (2047 c.c.) ed in quello di responsabilità di genitori, tutori e precettori (2048 c.c.), è piuttosto severa nell'individuazione della prova liberatoria.

Ratio Legis

Al custode è attribuita la responsabilità in esame proprio a causa della custodia.

Brocardi

Casus fortuitus
Fortuitus casus est, qui nullo humano consilio praevideri potest

Spiegazione dell'art. 2051 Codice Civile

Evoluzione del principio, e concetto di custodia

Disposizione analoga a quella del comma 1 dell'art. 1153 del cod. civ. del 1865,; essa preclude ogni discussione sulla responsabilità del custode, presunta iuris et de iure.

La norma ha avuto una elaborazione nel suo testo. Nel 1927, ed in quello del 1936 (art. 82), si parlò di responsabilità per il danno ca­gionato dalle cose che si hanno in custodia, « a meno che non sia provato che il danno è stato cagionato da colpa del danneggiato, o dal fatto di un terzo, o da caso fortuito o da forza maggiore », e nel capoverso si che « tuttavia chi detiene, a qualunque titolo, in tutto o in parte un immobile o beni mobili nei quali si è sviluppato un incendio, non è responsabile di fronte ai terzi dei danni derivanti dall'incendio, se non sia provato che questo deve attribuirsi a colpa di lui o delle persone di cui risponde ». Responsa­bilità, quindi, secondo il detto progetto, presunta nella ipotesi generica di danno cagionato dalle cose, salvo la prova contraria, limitatamente a quattro casi espressamente indicati, e deroga nel caso dell'incendio; la colpa non si presume, ma l'onere ne è a carico del danneggiato?

Nel primo dei progetti del 1940 (art. 829) si afferma la responsabilità pei danno cagionato dalla cosa che si « detiene », tranne che si provi dal presunto responsabile che « il danno è stato cagionato da un fatto a lui non imputabile » Nel progetto del 1940 sottoposto all'esame della Commissione delle Assemblee Legislative (art. 772) si mantiene il concetto della « deten­zione », ammettendosi la prova per la liberazione se il danno sia stato cagionato da « caso fortuito ».

Occorre dunque la materiale disponibilità perché sussista la presunzione, che può vincersi solo con a dimostrazione da caso fortuito: l’irresponsabilità, se il fatto dipenda da colpa del danneggiato, deriva dai principi del diritto, il fatto del terzo, secondo la
relazione che accompagna il progetto, si considera ipotesi di forza maggiore. Per l'incendio non si detta alcuna norma speciale. La presunzione di colpa è a carico del detentore dell'immobile, o dei beni mobili nei quali l'incendio si è sviluppato, il quale, ove sia ricorso caso fortuito, o forza maggiore, o colpa del danneggiato, meglio che costui, nella cui sfera i beni non si trovano, potrà dimostrare l'intervento di tali cause a lui non imputabili.

Col testo definitivo si è ritornati al concetto della custodia in ogni caso, ed il danneggiante è ammesso a provare solo il fortuito, dal che si desume — ed il rilievo ha importanza che per il danno cagionato dalle dalla cosa non giovi al custode la dimostrazione della ignoranza dello stato di esse, della difficoltà di ripararle, o addirittura della impossibilità (gli sarebbe occorso, in tale caso, eliminarle addirittura), né gli giova la dimostrazione di non avere potuto impedire il fatto, d'avere adottato delle misure per evitare il danno. Il custode, perché tale, deve poter dimostrare qualche cosa in più: che il fatto dannoso, cioè, derivò dal fortuito, onde la inesistenza del nesso di causalità tra la sua condotta antecedente ed evento. Se questa prova 'non riesca vige la presunzione della responsabilità, che è presunzione iuris et de iure.

La voce “custodia” ha ampio significato, e va oltre i limiti della semplice detenzione: al custode, sia esso il proprietario, sia l’utente, sia pure il terzo che nessun utile ne ritragga, incombe l'obbligo e la cosa per il suo stato di costituzione, di manutenzione, e simili non arrechi danno. Si riconferma così che la responsabilità ha sempre fondamento nella colpa: colpa presunta che non ammette prova in contrario. Non il criterio del vantaggio, produttivo di una responsabilità oggettiva, perché il custode può essere tale a titolo gratuito, e senza che l'uso della cosa gli sia permesso, avendo solo l'obbligo di vigilarla. Colpa presunta, presunzione assoluta, che deriva dal fatto che, per quanto si possa acuire la mente alla ricerca di casi specialissimi, le cose in quanto tali quiescunt, e non possono esse, perché inanimate, provvedere alla propria conservazione, onde non si può scindere da esse l'operato positivo o negativo della persona.

Né il custode può chiedere di dimostrare che agendo secondo si comportò operò diligentemente, perché non mai prima il fatto dannoso si era verificato, o perché altri operò in casi consimili come lui. Gli giova unicamente la dimostrazione dello intervento del fortuito, se fu esso solo causa che dalla cosa derivasse danno, spezzandosi così ogni nesso di causalità tra comportamento del custode e danno. Esso solo, si insiste, perché se la cosa era in condizioni tali che la forza di un uragano, la violenza del vento, e simili, avrebbero potuto portarla via, con pregiudizio di terzi, ed il danno si sia verificato, non può affermarsi che manchi il nesso di causalità tra condotta ed evento.


Caso fortuito e forza maggiore. Il fortuito nella norma in esame

Non è agevole dare la nozione del fortuito: per gli antichi risie­deva nell'intervento di una forza incognita, ed esso si confondeva quasi col fato. In Roma, dopo elaborazione, il fortuito si concretò in ciò « cui humana infirmitas resistere non potest >>.

Oggi come fortuito si considera ogni evento che vada oltre la previsione secondo le speciali circostanze di tempo, di luogo 'etc. onde non determinabile a priori, ma a posteriori. Si è detto secondo le speciali contingenze perché a mano a mano che progredisce la scienza quello che ieri era fortuito, e costituiva lo imprevedibile, oggi può non essere consi­derato tale. Il fortuito si distingue dalla forza maggiore, per quanto sia diffi­cile di stabilire con esattezza i caratteri differenziali tra le due forme. Qualche scrittore la ripone nella irresistibilità, che sarebbe propria della forza maggiore, così per gli eventi naturali, incendio, terremoto, naufragio, od anche pei fatti di terzi, come la guerra, e gli atti del Sovrano.

La distinzione fatta da Mutheau è di particolare rilevanza, per quanto assai sottile: « Il caso fortuito è caratterizzato dalla impossibilità di prevedere, la forza maggiore della umana impossibilità d’impedire ».

Nella norma in esame il fortuito è comprensivo di forza maggiore ed anche del fatto del terzo, mentre pure la colpa del danneggiato vale ad eliminare la responsabilità del custode, sempre che tali fatti da soli siano sufficienti a determinare l’evento dannoso.

Relazione al Libro delle Obbligazioni

(Relazione del Guardasigilli al Progetto Ministeriale - Libro delle Obbligazioni 1941)

657 Circa i danni cagionati da cose (articolo 772) ho modificato l'articolo 1153, riportato nell'articolo 82 del progetto del 1936, nel punto in cui si richiama alle cose che si hanno in custodia, mi sono riferito invece al danno provocato dalle cose di cui si ha la detenzione considerata questo nel senso di materiale disponibilità.
Mi è parso po' inutile accennare, come aveva fatto il progetto del 1936, all'esonero da responsabilità nel caso di colpa del danneggiato o di fatto del terzo: il primo discende dai principi generali, il secondo si riduce ad un'ipotesi di fortuito.
I principi che regolano la responsabilità per danni prodotti alla cosa che si ritiene si riferiscono pure all'incendio, che il progetto del 1936 aveva ricondotto sotto la regola normale dell' onere del danneggiato di provare la colpa del danneggiante o delle persone di cui egli deve rispondere: se si pensa che l'incendio si verifica nella sfera altrui, si ha una chiara ed esatta nozione della difficoltà di una prova come quella richiesta dal progetto del 1936, mentre è più facile al detentore della cosa incendiata di provare il caso fortuito o la colpa del danneggiato.

Massime relative all'art. 2051 Codice Civile

Cass. civ. n. 10983/2023

In tema di danni da cose in custodia, poiché la responsabilità ex art. 2051 c.c. implica la disponibilità giuridica e materiale del bene che dà luogo all'evento lesivo, al proprietario dell'immobile locato sono riconducibili in via esclusiva i danni arrecati a terzi dalle strutture murarie e dagli impianti in esse conglobati, di cui conserva la custodia anche dopo la locazione, mentre grava sul solo conduttore la responsabilità per i danni provocati dagli accessori e dalle altre parti dell'immobile, che sono acquisiti alla sua disponibilità.

Cass. civ. n. 8879/2023

Con riguardo alle strade vicinali, ove le stesse siano adibite al pubblico transito, sussiste la responsabilità ex art. 2051 c.c. del Comune, la quale può aggiungersi a quella dei comproprietari dei fondi viciniori, fondata sul concorrente obbligo di custodia discendente dalla titolarità del diritto di proprietà sul bene.

Cass. civ. n. 37059/2022

In tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, ove sia dedotta la responsabilità del custode per la caduta di un pedone in corrispondenza di una sconnessione o buca stradale, l'accertamento della responsabilità deve essere condotto ai sensi dell'art. 2051 c.c. e non risulta predicabile la ricorrenza del caso fortuito a fronte del mero accertamento di una condotta colposa della vittima (la quale potrà invece assumere rilevanza, ai fini della riduzione o dell'esclusione del risarcimento, ai sensi dell'art. 1227, comma 1 o 2, c.c.), richiedendosi, per l'integrazione del fortuito, che detta condotta presenti anche caratteri di imprevedibilità ed eccezionalità tali da interrompere il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno, così da degradare la condizione della cosa al rango di mera occasione dell'evento.

Cass. civ. n. 35429/2022

In tema di responsabilità del custode ex art. 2051 c.c., il caso fortuito è costituito da ciò che è non prevedibile in termini oggettivi (senza che possa ascriversi alcuna rilevanza all'assenza o meno di colpa del custode) ovvero che rappresenta un'eccezione alla normale sequenza causale e ha idoneità causale assorbente; l'imprevedibilità è suscettibile di esaurirsi col trascorrere del tempo, che determina la perdita del carattere di eccezionalità all'accadimento.

Cass. civ. n. 21977/2022

La responsabilità del custode, ai sensi dell'art. 2051 c.c., sussiste non solo allorquando il danno scaturisca quale effetto dell'intrinseco dinamismo della cosa, ma anche laddove consegua a un'azione umana che determini l'insorgenza di un processo dannoso nella cosa medesima.

Cass. civ. n. 20943/2022

La responsabilità di cui all'art. 2051 c.c. ha carattere oggettivo, e non presunto, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell'attore del nesso di causalità tra la cosa in custodia ed il danno, mentre sul custode grava l'onere della prova liberatoria del caso fortuito, rappresentato da un fatto naturale o del danneggiato o di un terzo, connotato da imprevedibilità ed inevitabilità, dal punto di vista oggettivo e della regolarità o adeguatezza causale, senza alcuna rilevanza della diligenza o meno del custode.

Cass. civ. n. 16224/2022

Nel caso di lesioni personali occorse all'acquirente, nell'ambito di un contratto di compravendita, la responsabilità del venditore ha natura contrattuale ovvero extracontrattuale, a seconda che il pericolo per l'incolumità fisica del primo sia o meno occasionato dalle modalità di adempimento delle obbligazioni da parte del venditore medesimo.

Cass. civ. n. 16223/2022

La responsabilità ex art. 2051 c.c. del gestore di piste da sci alpino presuppone la sussistenza di un nesso causale tra la caduta dello sciatore danneggiato e la presenza di un pericolo "atipico" sulla pista, da intendersi come ostacolo difficilmente visibile e, pertanto, non facilmente evitabile anche da parte di uno sciatore diligente.

Cass. civ. n. 14732/2022

Qualora l'attore abbia invocato in primo grado la responsabilità del convenuto ai sensi dell'art. 2043 c.c., il divieto di introdurre domande nuove non gli consente di chiedere successivamente la condanna del medesimo convenuto ex artt. 2050 o 2051 c.c., a meno che egli non abbia sin dall'atto introduttivo del giudizio enunciato in modo sufficientemente chiaro situazioni di fatto suscettibili di essere valutate come idonee, perché compiutamente precisate, ad integrare la fattispecie contemplata dai detti articoli.

Cass. civ. n. 9610/2022

Nell'ipotesi di sinistro stradale determinato dalla repentina comparsa di un animale sulla carreggiata di un'autostrada, la società di gestione autostradale, titolare del potere di custodia della cosa, per vincere la presunzione di responsabilità dalla quale è gravata ex art. 2051 c.c., deve dare la prova positiva che la presenza dell'animale è stata determinata da un fatto imprevedibile ed inevitabile, idoneo ad interrompere il nesso di causalità tra l'evento dannoso e la cosa in custodia.

Cass. civ. n. 4588/2022

Le precipitazioni atmosferiche integrano l'ipotesi di caso fortuito, ai sensi dell'art. 2051 c.c. quando assumono i caratteri dell'imprevedibilità oggettiva e dell'eccezionalità, da accertarsi - sulla base delle prove offerte dalla parte onerata (cioè, il custode) - con indagine orientata essenzialmente da dati scientifici di tipo statistico (i ccdd. dati pluviometrici) di lungo periodo, riferiti al contesto specifico di localizzazione della "res" oggetto di custodia, la quale va considerata nello stato in cui si presenta al momento dell'evento atmosferico, restando, invece, irrilevanti i profili relativi alla diligenza osservata dal custode in ordine alla realizzazione e manutenzione dei sistemi di deflusso delle acque piovane.

Cass. civ. n. 37708/2021

Il proprietario o gestore di un campo da gioco è responsabile, ai sensi dell'art. 2051 c.c., degli infortuni occorsi ai fruitori di quest'ultimo, ove non alleghi e non provi l'elisione del nesso causale tra la cosa e l'evento, quale può aversi, in un contesto di rigoroso rispetto delle normative esistenti o comunque di concreta configurazione della cosa in condizioni tali da non essere in grado di nuocere normalmente ai suoi fruitori, nell'eventualità di accadimenti imprevedibili ed ascrivibili al fatto del danneggiato stesso - tra i quali una sua imperizia o imprudenza - o al fatto di terzi.

Cass. civ. n. 7553/2021

In tema di appalto, la consegna del bene all'appaltatore non fa venir meno il dovere di custodia e di vigilanza gravante sul committente, sicché questi resta responsabile, alla stregua dell'art. 2051 c.c., dei danni cagionati ai terzi dall'esecuzione dell'opera salvo che provi il caso fortuito, quale limite alla detta responsabilità oggettiva, che può coincidere non automaticamente con l'inadempimento degli obblighi contrattualmente assunti nei confronti del committente bensì con una condotta dell'appaltatore imprevedibile e inevitabile nonostante il costante e adeguato controllo (esercitato - se del caso - per il tramite di un direttore dei lavori). (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva accertato la responsabilità solidale del committente per i danni cagionati a terzi nell'esecuzione di un'opera pubblica, ritenendo irrilevante, ai fini della prova liberatoria ex art. 2051 c.c., il mero inadempimento dell'appaltatore agli obblighi contrattualmente assunti nei confronti del committente). (Rigetta, CORTE D'APPELLO NAPOLI, 15/01/2018).

Cass. civ. n. 25028/2020

Ai fini dell'ammissione al passivo fallimentare di somme iscritte a ruolo, l'eventuale notifica della cartella di pagamento (ovvero di altro atto di riscossione coattiva) da parte dell'agente della riscossione nei confronti della società "in bonis" successivamente fallita, non produce effetto novativo della natura del credito, il quale resta assoggettato alla sua specifica disciplina anche in ordine al regime prescrizionale, sicché qualora sia prevista una prescrizione più breve di quella ordinaria, non si rende applicabile il termine decennale di cui all'art. 2953 c.c., salvo che in presenza di un accertamento divenuto definitivo per il passaggio in giudicato di una sentenza. (Rigetta, TRIBUNALE BARI, 19/02/2018).

Cass. civ. n. 16636/2019

Nelle controversie aventi per oggetto il risarcimento dei danni derivanti dallo straripamento di un corso d'acqua pubblico per omessa cura o manutenzione dello stesso, ex art. 140, lett. e), del r.d. n. 1775 del 1933, spettano alla competenza dei tribunali regionali delle acque le domande in relazione alle quali l'esistenza dei danni dipenda dall'esecuzione, dalla manutenzione o dal funzionamento di un'opera idraulica, mentre restano riservate alla cognizione del giudice in sede ordinaria quelle aventi per oggetto pretese che si ricollegano solo indirettamente e occasionalmente alle vicende relative al governo delle acque, atteso che la competenza del giudice specializzato si giustifica in presenza di comportamenti, commissivi o omissivi, che implichino apprezzamenti circa la deliberazione, la progettazione e l'attuazione di opere idrauliche o comunque scelte della P.A. dirette alla tutela di interessi generali correlati al regime delle acque pubbliche. (Regola competenza).

Cass. civ. n. 9318/2019

L'inosservanza da parte della P.A., nella gestione e manutenzione dei beni che ad essa appartengono, delle regole tecniche, ovvero dei canoni di diligenza e prudenza, può essere denunciata dal privato dinanzi al giudice ordinario non solo ove la domanda sia volta a conseguire la condanna della P.A. al risarcimento del danno patrimoniale, ma anche ove sia volta a conseguire la condanna della stessa ad un "facere", giacché la domanda non investe scelte ed atti autoritativi dell'amministrazione, ma attività soggetta al rispetto del principio del "neminem laedere". Né è di ostacolo il disposto dell'art. 34 del d.lgs. n. 80 del 1998, come sostituito dall'art. 7 della l. n. 205 del 2000 - che devolve al giudice amministrativo le controversie in materia di urbanistica ed edilizia - giacché, a seguito della sentenza n. 204 del 2004 della Corte costituzionale, tale giurisdizione esclusiva non è estensibile alle controversie nelle quali la P.A. non eserciti alcun potere autoritativo finalizzato al perseguimento di interessi pubblici alla cui tutela sia preposta. (In applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto sussistente la giurisdizione del giudice ordinario con riferimento a controversia promossa dalla proprietaria di un immobile nei confronti di un comune al fine di ottenerne la condanna all'esecuzione delle opere necessarie ad eliminare la causa degli allagamenti che interessavano il proprio bene, identificata nell'insufficienza del sistema di raccolta delle acque reflue). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO BARI, 14/05/2015).

Cass. civ. n. 27248/2018

La presunzione di proprietà comune dell'impianto idrico di un immobile condominiale, ex art. 1117, n. 3, c.c., non può estendersi a quella parte dell'impianto ricompresa nell'appartamento dei singoli condomini, cioè nella sfera di proprietà esclusiva di questi e, di conseguenza, nemmeno alle diramazioni che, innestandosi nel tratto di proprietà esclusiva, anche se questo sia allacciato a quello comune, servono ad addurre acqua negli appartamenti degli altri proprietari. (La S.C. ha enunciato il detto principio in una fattispecie in cui le infiltrazioni erano state causate dalla rottura della chiave di stacco dell'acqua sita nella cucina dell'appartamento sovrastante).

Cass. civ. n. 2481/2018

L'ente proprietario di una strada si presume responsabile, ai sensi dell'art. 2051 c.c., dei sinistri riconducibili alle situazioni di pericolo immanente connesse alla struttura ed alla conformazione della stessa e delle sue pertinenze, fermo restando che su tale responsabilità può influire la condotta della vittima, la quale, però, assume efficacia causale esclusiva soltanto ove sia qualificabile come abnorme, cioè estranea al novero delle possibilità fattuali congruamente prevedibili in relazione al contesto, potendo, in caso contrario, rilevare ai fini del concorso causale ai sensi dell'art. 1227 c.c.

Cass. civ. n. 2480/2018

In tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull'evento dannoso, in applicazione - anche ufficiosa - dell'art. 1227, comma 1, c.c., richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall'art. 2 Cost., sicché, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l'adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l'efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un'evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l'esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro.

Cass. civ. n. 2477/2018

L'art. 2051 c.c., nell'affermare la responsabilità del custode della cosa per i danni da questa cagionati, individua un criterio di imputazione che prescinde da qualunque connotato di colpa operando sul piano oggettivo dell'accertamento del rapporto causale tra la cosa e l'evento dannoso e della ricorrenza del caso fortuito, quale elemento idoneo ad elidere tale rapporto causale. (In applicazione del suesteso principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che aveva escluso qualsiasi profilo di negligenza - stante la mancanza, in tesi, di qualsiasi norma che imponesse l'obbligo di recinzione di una strada statale o di vigilanza per l'eventuale attraversamento di animali - a carico dell'ANAS, ente proprietario della strada percorsa dal danneggiato con la propria autovettura e rimasto coinvolto in un incidente a causa della presenza di un bovino sulla carreggiata).

Cass. civ. n. 1257/2018

In tema di responsabilità della P.A. per danni subiti da utenti di beni demaniali, la presunzione sancita dall'art. 2051 c.c. non si applica le volte in cui non sussista la possibilità di esercitare sul bene la custodia (intesa come potere di fatto sulla cosa), possibilità da valutare non solo in base all'estensione dell'intero bene, ma anche alla luce di tutte le circostanze del caso concreto, assumendo al riguardo determinante rilievo la natura, la posizione e l'estensione della specifica area in cui si è verificato l'evento dannoso, le dotazioni e i sistemi di sicurezza e di segnalazione di pericoli disponibili. In particolare, per i parchi naturali, l'oggettiva impossibilità della custodia non può affermarsi per i sentieri escursionistici segnati, in quanto destinati alla percorrenza da parte dei visitatori in condizioni di sicurezza, né per le zone immediatamente circostanti gli stessi che costituiscono la ragione di interesse (turistico, naturale, storico o di altro tipo) della visita.

Cass. civ. n. 30775/2017

Il criterio di imputazione della responsabilità di cui all'art. 2051 c.c. ha carattere oggettivo, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell'attore del nesso di causalità tra la cosa in custodia ed il danno, mentre al custode spetta l'onere della prova liberatoria del caso fortuito, inteso come fattore che, in base ai principi della regolarità o adeguatezza causale, esclude il nesso eziologico tra cosa e danno, ed è comprensivo della condotta incauta della vittima, che assume rilievo ai fini del concorso di responsabilità ai sensi dell'art. 1227, comma 1, c.c., e deve essere graduata sulla base di un accertamento in ordine alla sua effettiva incidenza causale sull'evento dannoso, che può anche essere esclusiva.

Cass. civ. n. 26533/2017

In tema di responsabilità civile per i danni cagionati da cose in custodia, la responsabilità del custode è esclusa solo dal fortuito, che può consistere anche nel fatto del terzo quando la condotta di quest'ultimo, estranea al custode, è di per sè idonea a provocare il danno a prescindere dall'uso della cosa in custodia; ne consegue che non ricorre caso fortuito quando il vizio costruttivo abbia provocato il danno durante l'utilizzo della cosa in custodia. (Nella specie, il vizio costruttivo aveva causato l'improvvisa rottura del dispositivo di rallentamento e la conseguente caduta della cabina di un ascensore condominiale all'interno della quale si trovavano due persone).

Cass. civ. n. 25838/2017

In tema di responsabilità ex art. 2051 c.c., l’uso improprio od anomalo della cosa fonte di danno integra gli estremi del caso fortuito ed è quindi idoneo ad escludere la responsabilità del custode ma l'accertamento di tale modalità d'uso deve essere valutata in concreto ed “ex post”, non già in astratto ed “ex ante”. Ne consegue che il caso fortuito e la conseguente liberazione dalla responsabilità del custode ex art. 2051 c.c. può essere esclusa quando l'uso anomalo, ancorché originato da un comportamento volontario sia stato posto in essere all'interno di un'attività utile, necessaria ed autorizzata per finalità professionali. (Nella specie due tecnici, dovendo essere eseguiti lavori di ristrutturazione in un immobile, si sono calati attraverso un foro in un cavedio privo di ossigeno, trovando così la morte).

Cass. civ. n. 25837/2017

La condotta della vittima del danno causato da una cosa in custodia costituisce “caso fortuito”, idoneo ad escludere la responsabilità del custode ex art. 2051 c.c., ove sia colposa ed imprevedibile.

Cass. civ. n. 12027/2017

L'art. 2051 c.c. non prevede una responsabilità aquiliana, ovvero non richiede alcuna negligenza nella condotta che si pone in nesso eziologico con l’evento dannoso, bensì stabilisce una responsabilità oggettiva, che è circoscritta esclusivamente dal caso fortuito, e non, quindi, dall’ordinaria diligenza del custode. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che, pur avendo accertato che la ricorrente era caduta a causa di alcuni acini d’uva presenti sul pavimento di un supermercato, aveva escluso la responsabilità del gestore ritenendo, da un lato, che la condotta della danneggiata, consistita nel non prestare attenzione alla presenza dell’insidia, fosse stata gravemente imprudente, e perciò sufficiente da sola ad integrare il caso fortuito e, dall’altro, che sarebbe stato, invece, impossibile per il personale addetto rimuovere oggetti di dimensioni tanto piccole, sparsi verosimilmente da qualche cliente poco prima dell’infortunio).

Cass. civ. n. 11526/2017

In tema di responsabilità ex art. 2051 c.c., è onere del danneggiato provare il fatto dannoso ed il nesso causale tra la cosa in custodia ed il danno e, ove la prima sia inerte e priva di intrinseca pericolosità, dimostrare, altresì, che lo stato dei luoghi presentava un’obiettiva situazione di pericolosità, tale da rendere molto probabile, se non inevitabile, il verificarsi del secondo, nonché di aver tenuto un comportamento di cautela correlato alla situazione di rischio percepibile con l’ordinaria diligenza, atteso che il caso fortuito può essere integrato anche dal fatto colposo dello stesso danneggiato. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto eziologicamente riconducibili alla condotta del ricorrente i danni da quest’ultimo sofferti a seguito di una caduta su un marciapiede sconnesso e reso scivoloso da un manto di foglie, posto che l’incidente era accaduto in pieno giorno, le condizioni di dissesto del marciapiede erano a lui note, abitando nelle vicinanze, e la idoneità dello strato di foglie a provocare una caduta era facilmente percepibile, circostanza che avrebbe dovuto indurlo ad astenersi dal transitare per quel tratto di strada).

Cass. civ. n. 10916/2017

In tema di responsabilità civile della P.A. per la manutenzione di una strada, sotto il profilo dell'omessa predisposizione delle opere accessorie laterali alla sede stradale, la circostanza che l’adozione di specifiche misure di sicurezza non sia prevista da alcuna norma astrattamente riferibile ad una determinata strada non esime la P.A. medesima dal valutare comunque, in concreto, ai sensi dell'art. 14 del codice della strada, se quella strada possa costituire un rischio per l'incolumità degli utenti, atteso che la colpa della prima può consistere sia nell'inosservanza di specifiche norme prescrittive (colpa specifica), sia nella violazione delle regole generali di prudenza e di perizia (colpa generica). (Nella specie, in relazione ad un sinistro occorso in un tratto di strada ad elevato rischio di sbandamento dei veicoli e fiancheggiato da una scarpata, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva riconosciuto la responsabilità dell'ente locale per aver omesso di installare barriere laterali di contenimento, e ciò indipendentemente dalla sussistenza di una prescrizione in tal senso desumibile, per quel tipo di strada, dal D.M. LL.PP. n. 223 del 1992).

Cass. civ. n. 10520/2017

L’assenza di una intellegibile segnaletica stradale, laddove la circolazione possa comunque avvenire senza inconvenienti anche in mancanza di essa, rivelandosi sufficienti a regolarla le norme del codice della strada, non può ritenersi causa degli eventuali incidenti occorsi, e, quindi, non determina alcuna responsabilità dell’ente custode della strada quanto al loro verificarsi.

Cass. civ. n. 7805/2017

La responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia, di cui all'art. 2051 c.c., opera anche per la P.A. in relazione ai beni demaniali, con riguardo, tuttavia, alla causa concreta del danno, rimanendo l'amministrazione liberata dalla responsabilità suddetta ove dimostri che l'evento sia stato determinato da cause estrinseche ed estemporanee create da terzi, non conoscibili né eliminabili con immediatezza, neppure con la più diligente attività di manutenzione, ovvero da una situazione (nella specie, una macchia d'olio, presente sulla pavimentazione stradale, che aveva provocato un sinistro stradale) la quale imponga di qualificare come fortuito il fattore di pericolo, avendo esso esplicato la sua potenzialità offensiva prima che fosse ragionevolmente esigibile l'intervento riparatore dell'ente custode.

Cass. civ. n. 3216/2017

In tema di responsabilità da negligente manutenzione delle strade, è in colpa la Pubblica Amministrazione che non provveda alla manutenzione o messa in sicurezza delle aree, anche di proprietà privata, latistanti le pubbliche vie, quando da esse possa derivare pericolo per gli utenti delle strade, né ad inibirne l’uso generalizzato; ne consegue che, nel caso di danni causati da difettosa manutenzione d’una strada, la natura privata di questa non è, di per sé, sufficiente ad escludere la responsabilità dell’amministrazione comunale ove, per la destinazione dell’area e per le sue condizioni oggettive, la stessa era tenuta alla sua manutenzione.

Cass. civ. n. 19648/2016

In tema di danni cagionati dalla presenza di ostacoli sulla sede autostradale, l'obbligo del concessionario di garantire la buona manutenzione della rete viaria e di prevenire situazioni di pericolo, predisponendo le opportune protezioni e segnalazioni, non può estendersi al controllo preventivo di tutti gli automezzi che chiedano di accedere all'autostrada, con conseguente obbligo di precluderne l'utilizzazione a quelli che non offrano sufficienti garanzie di stabilità e sicurezza del carico, altrimenti compromettendosi l'obiettivo della speditezza della circolazione, consustanziale alla realizzazione ed all'uso della via, salvo che l'anomalia del mezzo o del suo carico non sia stata segnalata o sia visibile "ictu oculi", nel qual caso l'inerzia del gestore rileva in termini di "culpa in omittendo".

Cass. civ. n. 15761/2016

L'ente proprietario di una strada aperta al pubblico transito si presume responsabile, ai sensi dell'art. 2051 c.c., dei sinistri riconducibili alle situazioni di pericolo immanentemente connesse alla struttura ed alla conformazione della strada e delle sue pertinenze, indipendentemente dalla loro riconducibilità a scelte discrezionali della P.A.; su tale responsabilità può influire la condotta della vittima, la quale, però, assume efficacia causale esclusiva soltanto ove sia qualificabile come abnorme, cioè estranea al novero delle possibilità fattuali congruamente prevedibili in relazione al contesto, potendo, in caso contrario, rilevare ai fini del concorso causale ai sensi dell'art. 1227 c.c.

Cass. civ. n. 13005/2016

In materia di responsabilità da cose in custodia, la sussistenza del caso fortuito (nella specie, incendio di cassonetto dolosamente provocato dal terzo), idoneo ad interrompere il nesso causale, forma oggetto di un onere probatorio che grava sul custode, soggiacendo, pertanto, alle relative preclusioni istruttorie, ma non anche di un'eccezione in senso stretto, sicché la relativa deduzione non incorre nella preclusione fissata, per il primo grado, dall'art. 167, comma 2, c.p.c.

Cass. civ. n. 12895/2016

Ai sensi dell'art. 2051 c.c., allorché venga accertato, anche in relazione alla mancanza di intrinseca pericolosità della cosa oggetto di custodia, che la situazione di possibile pericolo, comunque ingeneratasi, sarebbe stata superabile mediante l'adozione di un comportamento ordinariamente cauto da parte dello stesso danneggiato, deve escludersi che il danno sia stato cagionato dalla cosa, ridotta al rango di mera occasione dell'evento, e ritenersi, per contro, integrato il caso fortuito. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che il sinistro subito dalla ricorrente, rovinosamente caduta uscendo da un ascensore che si era arrestato con un dislivello di circa 20 centimetri rispetto al piano, fosse causalmente attribuibile alla disattenzione della stessa ricorrente, in considerazione delle condizioni di illuminazione e della presenza di una doppia porta di apertura dell'ascensore, circostanze che avrebbero reso superabile il pericolo creato dal detto dislivello tenendo un comportamento ordinariamente cauto).

Cass. civ. n. 11802/2016

In tema di sinistro stradale, il danneggiato che agisca per il risarcimento dei danni subìti in conseguenza di una caduta avvenuta, mentre circolava sulla pubblica via alla guida del proprio ciclomotore, a causa di una grata o caditoia d'acqua, è tenuto alla dimostrazione dell'evento dannoso e del suo rapporto di causalità con la cosa in custodia, non anche dell'imprevedibilità e non evitabilità dell'insidia o del trabocchetto, né della condotta omissiva o commissiva del custode, gravando su quest'ultimo, in ragione dell'inversione dell'onere probatorio che caratterizza la responsabilità ex art. 2051 c.c., la prova di aver adottato tutte le misure idonee a prevenire che il bene demaniale presentasse, per l'utente, una situazione di pericolo occulto, nel cui ambito rientra anche la prevedibilità e visibilità della grata o caditoia.

Cass. civ. n. 287/2015

In tema di danno da insidia stradale, quanto più la situazione di pericolo connessa alla struttura o alle pertinenze della strada pubblica è suscettibile di essere prevista e superata dall'utente-danneggiato con l'adozione di normali cautele, tanto più rilevante deve considerarsi l'efficienza del comportamento imprudente del medesimo nella produzione del danno, fino a rendere possibile che il suo contegno interrompa il nesso eziologico tra la condotta omissiva dell'ente proprietario della strada e l'evento dannoso. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la decisione impugnata che, nel ravvisare la responsabilità dell'ente proprietario ex art. 2051 cod. civ., non aveva tenuto conto della natura interpoderale della strada, peraltro priva di pericoli nella fascia centrale della carreggiata, della velocità non moderata tenuta dal conducente del ciclomotore, in discesa e in corrispondenza di una strettoia e di una semicurva, nonché dell'avvenuto trasporto di un passeggero su ciclomotore omologato per una sola persona).

Cass. civ. n. 20619/2014

In tema di responsabilità per i danni cagionati da una cosa in custodia ai sensi dell'art. 2051 cod. civ., l'allegazione del fatto del terzo o dello stesso danneggiato, idonea ad integrare l'esimente del caso fortuito, costituisce una mera difesa, che deve essere esaminata e verificata anche d'ufficio dal giudice, attraverso le opportune indagini sull'eventuale incidenza causale del fatto del terzo o del comportamento colposo del danneggiato nella produzione dell'evento dannoso, indipendentemente dalle argomentazioni e richieste formulate dalla parte, purché risultino prospettati gli elementi di fatto sui quali si fonda l'allegazione del fortuito.

Cass. civ. n. 11532/2014

Il mare territoriale è cosa distinta dal lido marino, il quale soltanto rientra nel demanio marittimo e può formare oggetto di proprietà. Ne consegue che il mare, di per sé, non può costituire cosa suscettibile di "custodia" ai sensi dell'art. 2051 cod. civ., né è invocabile nei confronti della P.A., cui la legge affidi la gestione del lido marino, la relativa presunzione di responsabilità.

Cass. civ. n. 999/2014

Il principio secondo cui, ricorrendo la fattispecie della responsabilità da cosa in custodia, il comportamento colposo del danneggiato può - in base ad un ordine crescente di gravità - o atteggiarsi a concorso causale colposo (valutabile ai sensi dell'art. 1227, primo comma, cod. civ.), ovvero escludere il nesso causale tra cosa e danno e, con esso, la responsabilità del custode (integrando gli estremi del caso fortuito rilevante a norma dell'art. 2051 cod. civ.), deve a maggiore ragione valere ove si inquadri la fattispecie del danno da insidia stradale nella previsione di cui all'art. 2043 cod. civ. (In applicazione di tale principio, la S.C., confermando la sentenza impugnata, ha ritenuto che il comportamento del soggetto danneggiato - transitato a piedi in una strada talmente dissestata da obbligare i pedoni a procedere in fila indiana - avrebbe dovuto essere improntato ad un onere di massima prudenza in quanto la situazione di pericolo di caduta era altamente prevedibile, ritenendo, pertanto, che l'evento lesivo in concreto verificatasi, conseguente all'inciampo in un tombino malfermo e mobile, fosse da ricondurre alla esclusiva responsabilità del soggetto danneggiato).

Cass. civ. n. 23584/2013

Ai sensi dell'art. 2051 c.c., allorché venga accertato, anche in relazione alla mancanza di intrinseca pericolosità della cosa oggetto di custodia, che la situazione di possibile pericolo, comunque ingeneratasi, sarebbe stata superabile mediante l'adozione di un comportamento ordinariamente cauto da parte dello stesso danneggiato, deve escludersi che il danno sia stato cagionato dalla cosa, ridotta al rango di mera occasione dell'evento, e ritenersi, per contro, integrato il caso fortuito.

Cass. civ. n. 22755/2013

L'ente proprietario di una strada aperta al pubblico transito ha l'obbligo di provvedere alla relativa manutenzione (artt. 16 e 28 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. F; art. 14 del D.L.vo 30 aprile 1992, n. 285; per i Comuni, art. 5 del R.D. 15 novembre 1923, n. 2506) nonché di prevenire e, se del caso, segnalare qualsiasi situazione di pericolo o di insidia inerente non solo alla sede stradale ma anche alla zona non asfaltata sussistente ai limiti della medesima, posta a livello tra i margini della carreggiata e i limiti della sede stradale ("banchina"), tenuto conto che essa fa parte della struttura della strada, e che la relativa utilizzabilità, anche per sole manovre saltuarie di breve durata, comporta esigenze di sicurezza e prevenzione analoghe a quelle che valgono per la carreggiata. (Nella specie la S.C. ha ritenuto responsabile l'ANAS di un incendio che si era propagato dall'erba secca falciata e accumulata su una banchina stradale e non asportata)

Cass. civ. n. 15882/2013

In tema di danni determinati dall'esistenza di un cantiere stradale, qualora l'area di cantiere risulti completamente enucleata, delimitata ed affidata all'esclusiva custodia dell'appaltatore, con conseguente assoluto divieto su di essa del traffico veicolare e pedonale, dei danni subiti all'interno di questa area risponde esclusivamente l'appaltatore, che ne è l'unico custode. Allorquando, invece, l'area su cui vengono eseguiti i lavori e insiste il cantiere risulti ancora adibita al traffico e, quindi, utilizzata a fini di circolazione, denotando questa situazione la conservazione della custodia da parte dell'ente titolare della strada, sia pure insieme all'appaltatore, consegue che la responsabilità ai sensi dell'art. 2051 c.c. sussiste sia a carico dell'appaltatore che dell'ente. (Nel caso di specie, la Corte – essendo risultata l'area interessata dai lavori non interdetta al pubblico – ha riconosciuto la persistenza dell'obbligo di custodia in capo al Comune proprietario della stessa, escludendo, altresì, che ai fini dell'esonero dalla responsabilità potessero assumere rilievo le disposizioni di cui all'art. 2 della legge 25 maggio 1978, n. 230 ed all'art. 2 della legge 12 giugno 1984, n. 227, trattandosi di norme che, nel prevedere interventi di risanamento della rupe di Orvieto e del colle di Todi, non stabiliscono alcun esonero di responsabilità dei Comuni interessati, ma soltanto l'attivazione da parte della Regione Umbria per l'esecuzione dei progetti necessari ad evitare il movimento franoso e a sollecitare il pieno recupero delle due zone, di particolare rilievo artistico e ambientale).

Cass. civ. n. 15302/2013

In materia di circolazione stradale, la conformità delle strade o delle autostrade alle leggi ed alla tecnica costruttiva non vale ad escludere ogni responsabilità del proprietario o dell'ente gestore qualora, nonostante una tale conformità, l'opera presenti insidie o pericoli per l'utilizzatore, responsabilità che può sussistere anche a fronte di modalità di utilizzazione improprie o colpose. (In applicazione di tale principio la Corte ha annullato con rinvio la decisione della corte territoriale che aveva escluso la responsabilità dell'ente gestore di un'autostrada per un sinistro occorso ad un pedone che, nell'attraversare in orario notturno le due carreggiate dell'autostrada, era precipitato nel vuoto, non essendosi accorto che si trattava di viadotto).

In materia di circolazione stradale, ai fini dell'accertamento della responsabilità del proprietario o dell'ente gestore della strada, a fronte di comportamenti anomali dell'utilizzatore, occorre che l'individuazione delle misure esigibili e la valutazione delle rispettive responsabilità sia condotta sulla base di vari parametri, quali il grado di prevedibilità dei comportamenti temerari o pericolosi, la loro frequenza e la maggiore o minore facilità di compierli, la natura e la praticabilità delle misure di prevenzione e l'entità degli oneri tecnici, economici e di ogni genere, inerenti alla loro adozione, circostanze queste da valutarsi comparativamente alla gravità dei danni che si possono verificare nel caso in cui tali misure non vengano adottate.

Cass. civ. n. 15096/2013

In tema di danni da cose in custodia, ai fini della configurabilità della responsabilità ex art. 2051 c.c. è sufficiente la sussistenza del rapporto di custodia con la cosa che ha dato luogo all'evento lesivo, rapporto che postula l'effettivo potere sulla cosa, e cioè la disponibilità giuridica e materiale della stessa, che comporti il potere dovere di intervento su di essa, e che compete al proprietario o anche al possessore o detentore. La disponibilità che della cosa ha l'utilizzatore non comporta, invece, necessariamente il trasferimento in capo a questi della custodia, da escludere in tutti i casi in cui, per specifico accordo delle parti, o per la natura del rapporto, ovvero per la situazione fattuale determinatasi, chi ha l'effettivo potere di ingerenza, gestione ed intervento sulla cosa, nel conferire all'utilizzatore il potere di utilizzazione della stessa, ne abbia conservato la custodia. (Nella specie, la S.C. ha annullato la decisione della corte territoriale che aveva affermato la responsabilità per i danni subiti dal terzo proprietario di un immobile sottostante un giardino, in capo al condominio che ne godeva in forza di un titolo negoziale, quest'ultimo ponendo a carico del condomino la sola manutenzione ordinaria dello spazio verde e lasciando la manutenzione straordinaria al proprietario costruttore).

Cass. civ. n. 11946/2013

In tema di danno da insidia stradale, la concreta possibilità per l'utente danneggiato di percepire o prevedere con l'ordinaria diligenza la situazione di pericolo occulto vale ad escludere la configurabilità dell'insidia e della conseguente responsabilità della P.A. per difetto di manutenzione della strada pubblica, dato che quanto più la situazione di pericolo è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l'adozione delle normali cautele da parte del danneggiato, tanto più incidente deve considerarsi l'efficienza del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso.

Cass. civ. n. 10096/2013

Non ogni situazione di pericolo stradale integra l'insidia, ma solo quella che concretizza un pericolo occulto, vale a dire non visibile e non prevedibile, e la prova della non visibilità ed imprevedibilità di detto pericolo, costituendo elemento essenziale dell'insidia, grava su chi ne sostiene l'esistenza.

Cass. civ. n. 7125/2013

A norma dell'art. 2051 c.c., incombe sul danneggiato l'onere di provare il nesso causale tra la cosa e il danno subìto, dovendo costui dimostrare che l'evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa, ma non anche che esso sia l'effetto dell'assenza di presidi antinfortunistici (Nel caso di specie, la Suprema Corte ha annullato con rinvio la sentenza con cui il giudice di merito aveva rigettato la domanda risarcitoria proposta ai sensi della citata disposizione, sul presupposto che il soggetto danneggiato - sebbene avesse fornito prova tanto dell'evento dannoso, costituito da una rovinosa caduta dallo scalone monumentale di un edificio, quanto delle peculiari condizioni della cosa che lo ha provocato, trattandosi di scala di per sé scivolosa, in ragione della sua conformazione curvilinea e dei suoi gradini in pietra lucida - avrebbe dovuto anche dimostrare che a cagionare la caduta era stata la mancanza di presidi antinfortunistici, essendo la scala non assistita da corrimano e priva di antisdrucciolo sulla pedana degli scalini).

Cass. civ. n. 6306/2013

La responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia è oggettivamente configurabile qualora la cosa custodita sia di per sè idonea a sprigionare un'energia o una dinamica interna alla sua struttura, tale da provare il danno (scoppio di una caldaia, esalazioni venefiche da un manufatto, ecc.). Qualora per contro si tratti di cosa di per sè statica e inerte e richieda che l'agire umano, ed in particolare quello del danneggiato, si unisca al modo di essere della cosa, per la prova del nesso causale occorre dimostrare che lo stato dei luoghi presenti peculiarità tali da renderne potenzialmente dannosa la normale utilizzazione (buche, ostacoli imprevisti, mancanza di guard-rail, incroci non visibili e non segnalati, ecc.). (Nel caso di specie, il danneggiato non aveva dimostrato che la situazione dei luoghi era tale da giustificare l'invasione con l'autovettura della corsia di marcia opposta).

Cass. civ. n. 6101/2013

La responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia, di cui all'art. 2051 c.c., opera anche per la P.A. in relazione ai beni demaniali, con riguardo, tuttavia, alla causa concreta del danno, rimanendo l'amministrazione liberata dalla medesima responsabilità ove dimostri che l'evento sia stato determinato da cause estrinseche ed estemporanee create da terzi, non conoscibili né eliminabili con immediatezza, neppure con la più diligente attività di manutenzione, ovvero da una situazione (nella specie, una macchia d'olio, presente sulla pavimentazione stradale, che aveva provocato la rovinosa caduta di un motociclista) la quale imponga di qualificare come fortuito il fattore di pericolo, avendo esso esplicato la sua potenzialità offensiva prima che fosse ragionevolmente esigibile l'intervento riparatore dell'ente custode.

Cass. civ. n. 2660/2013

La responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia, prevista dall'art. 2051 c.c., ha carattere oggettivo, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell'attore del verificarsi dell'evento dannoso e del suo rapporto di causalità con il bene in custodia: una volta provate queste circostanze, il custode, per escludere la sua responsabilità, ha l'onere di provare il caso fortuito, ossia l'esistenza di un fattore estraneo che, per il suo carattere di imprevedibilità e di eccezionalità, sia idoneo ad interrompere il nesso causale. Tuttavia, nei casi in cui il danno non sia l'effetto di un dinamismo interno alla cosa, scatenato dalla sua struttura o dal suo funzionamento (scoppio della caldaia, scarica elettrica, frana della strada o simili), ma richieda che l'agire umano, ed in particolare quello del danneggiato, si unisca al modo di essere della cosa, essendo essa di per sé statica e inerte, per la prova del nesso causale occorre dimostrare che lo stato dei luoghi presentava un'obiettiva situazione di pericolosità, tale da rendere molto probabile, se non inevitabile, il danno. (Nel caso di specie, il danneggiato aveva inciampato in un cordolo, lasciato dagli operai che stavano eseguendo lavori stradali, andando a sbattere contro un mucchio di pietre).

Cass. civ. n. 22898/2012

La responsabilità del custode di cui all'art. 2051 cod. civ,. è esclusa dal comportamento imprudente della vittima che, pur potendo prevedere con l'ordinaria diligenza una situazione di pericolo dipendente dalla cosa altrui, vi si esponga volontariamente. (Nella specie, un medico in servizio in un ospedale aveva invocato la responsabilità ex art. 2051 c.c. nei confronti dell'azienda datrice di lavoro, allegando di avere riportato lesioni in conseguenza di un caduta causata allorché, in ora notturna, era inciampato nella coperta sporgente da uno dei letti di degenza, sistemati in un corridoio scarsamente illuminato; la Corte, affermando il principio di cui alla massima, ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso la responsabilità della ASL).

Cass. civ. n. 1769/2012

La responsabilità del custode di cui all'art. 2051 c.c., di natura oggettiva, non può escludersi per il solo fatto che la vittima abbia usato la cosa fonte di danno volontariamente ed in modo abnorme (ferma restando, in tal caso, la valutazione della sua condotta come concausa del danno, ai sensi dell'art. 1227, comma primo, c.c.), quando tale uso, benché non conforme a quello ordinario, è reso possibile dalla facile accessibilità alla cosa medesima. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza di merito, la quale aveva escluso la responsabilità ex art. 2051 c.c., dell'albergatore per i danni patiti da una minorenne in gita scolastica, che, scavalcando il balcone della sua stanza ed avventuratasi su un solaio di copertura a pari livello non calpestabile per assumere stupefacenti, era caduta nel vuoto).

Cass. civ. n. 23562/2011

La discrezionalità, e la conseguente insindacabilità da parte del giudice ordinario, dei criteri e dei mezzi con cui la P.A. realizzi e mantenga un'opera pubblica trova un limite nell'obbligo di osservare, a tutela della incolumità dei cittadini e dell'integrità del loro patrimonio, le specifiche disposizioni di legge e regolamenti disciplinanti detta attività, nonché le comuni norme di diligenza e prudenza, con la conseguenza che dall'inosservanza di queste disposizioni e di dette norme deriva la configurabilità della responsabilità della stessa P.A. per i danni arrecati a terzi. (Fattispecie in cui la S.C. ha confermato la decisione dei giudici di merito che avevano affermato la corresponsabilità dell'ANAS in relazione alle lesioni occorse ad un motociclista per effetto di caduta di massi su percorso stradale per non aver detto ente provveduto alla realizzazione di opere protettive di contenimento ed alla segnalazione del pericolo mediante apposizione di idonei cartelli).

Cass. civ. n. 21508/2011

L'ente proprietario di una strada aperta al pubblico transito si presume responsabile, ai sensi dell'art. 2051 c.c., dei sinistri riconducibili alle situazioni di pericolo connesse in modo immanente alla struttura o alle pertinenze della strada stessa, indipendentemente dalla sua estensione, salvo che dia la prova che l'evento dannoso era imprevedibile e non tempestivamente evitabile o segnalabile. (Nella specie la S.C. ha confermato la decisione con cui il giudice di merito aveva statuito la responsabilità dell'ente per i danni derivati dal mancato intervento manutentivo diretto alla rimozione, dalla sede stradale, del fango e dei detriti trasportati da piogge torrenziali, la presenza dei quali, dopo tali precipitazioni, rappresentava fattore di rischio conosciuto o conoscibile).

Cass. civ. n. 15723/2011

Le regole di comune prudenza e le disposizioni regolamentari in tema di manutenzione delle strade pubbliche non impongono al gestore, in base al rapporto di custodia, o comunque al principio del "neminem laedere", l'apposizione di una recinzione dell'intera rete viaria, mediante guard-rail, anche nei tratti oggettivamente non pericolosi, al fine di neutralizzare qualsivoglia anomalia nella condotta di guida degli utenti. (Nella specie, la S.C., in applicazione di tale principio, ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso ogni responsabilità dell'ANAS, in relazione ad un sinistro stradale mortale occorso ad un soggetto il quale, mentre era alla guida della sua auto, era uscito di strada, rovinando nella sottostante scarpata, sul presupposto che l'incidente fosse stato determinato non dalla mancata apposizione del guard-rail sul tratto di strada rettilineo, ma dalla condotta anomala ed imprevedibile del conducente).

Cass. civ. n. 15389/2011

La disciplina di cui all'art. 2051 cod. civ. è applicabile agli enti pubblici proprietari o manutentori di strade aperte al pubblico transito in riferimento a situazioni di pericolo derivanti da una non prevedibile alterazione dello stato della cosa; detta norma non dispensa il danneggiato dall'onere di provare il nesso causale tra cosa in custodia e danno, ossia di dimostrare che l'evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa, mentre resta a carico del custode, offrire la prova contraria alla presunzione "iuris tantum" della sua responsabilità, mediante la dimostrazione positiva del caso fortuito, cioè del fatto estraneo alla sua sfera di custodia, avente impulso causale autonomo e carattere di imprevedibilità e di assoluta eccezionalità.

Cass. civ. n. 15375/2011

In tema di danno da insidia stradale, il solo fatto che sia dimostrata l'esistenza di una anomalia sulla sede stradale è di per sé sufficiente a far presumere sussistente la colpa dell'ente proprietario il quale potrà superare tale presunzione solo dimostrando che il danno è avvenuto per negligenza, distrazione od uso anomalo della cosa da parte della stessa vittima. A tal fine, il giudice di merito dovrà considerare che quanto più la situazione di pericolo era prevedibile e superabile con le normali cautele da parte del danneggiato, tanto più incidente deve considerarsi sul piano causale il comportamento di quest'ultimo. (Nella specie un automobilista era deceduto fuoriuscendo dalla sede stradale, precipitando nel canale di scarico delle acque di una vicina centrale elettrica. La Corte, applicando l'enunciato principio, ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso la responsabilità dell'ente proprietario della strada, sul presupposto che lo stato di dissesto, la mancanza di barriere, nonché di segnaletica di pericolo, non apparissero dotate di autonoma efficienza causale rispetto all'incidente, essendo piuttosto risultata determinante la repentina e non necessaria manovra di guida della vittima verso il margine opposto della strada).

L'insidia stradale non è un concetto giuridico, ma un mero stato di fatto, che, per la sua oggettiva invisibilità e per la sua conseguente imprevedibilità, integra una situazione di pericolo occulto. Tale situazione, pur assumendo grande importanza probatoria, in quanto può essere considerata dal giudice idonea a integrare una presunzione di sussistenza del nesso eziologico con il sinistro e della colpa del soggetto tenuto a vigilare sulla sicurezza del luogo, non esime il giudice dall'accertare in concreto la sussistenza di tutti gli elementi previsti dall'art. 2043 c.c.. Pertanto, la concreta possibilità per l'utente danneggiato di percepire o prevedere con l'ordinaria diligenza l'anomalia, vale altresì ad escludere la configurabilità dell'insidia e della conseguente responsabilità della P.A. per difetto di manutenzione della strada pubblica.

Cass. civ. n. 11016/2011

La responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia, prevista dall'art. 2051 c.c., ha carattere oggettivo, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell'attore del verificarsi dell'evento dannoso e del suo rapporto di causalità con il bene in custodia, senza che rilevi al riguardo la condotta del custode, posto che funzione della norma è quella di imputare la responsabilità a chi si trova nelle condizioni di controllare i rischi inerenti alla cosa, intendendosi custode chi di fatto ne controlla le modalità d'uso e di conservazione, e non necessariamente il proprietario o chi si trova con essa in relazione diretta, salva la prova, che incombe a carico di tale soggetto, del caso fortuito, inteso nel senso più ampio di fattore idoneo ad interrompere il nesso causale e comprensivo del fatto del terzo o dello stesso danneggiato. Per le autostrade, destinate alla percorrenza veloce in condizioni di sicurezza, l'apprezzamento relativo all'effettiva possibilità del controllo induce a ravvisare la configurabilità, in genere, di un rapporto di custodia per gli effetti di cui all'art. 2051 c.c.; ove non sia applicabile la responsabilità di cui alla norma citata, per l'impossibilità in concreto dell'effettiva custodia del bene, l'ente proprietario risponde dei danni subiti dall'utente ai sensi dell'art. 2043 c.c., essendo in questo caso a carico del danneggiato l'onere di provare l'anomalia del bene, mentre spetta al gestore provare i fatti impeditivi della propria responsabilità, quali la possibilità, in cui l'utente si sia trovato, di percepire o prevedere con l'ordinaria diligenza la predetta anomalia. (Nella specie, applicando il riportato principio, in relazione ad un sinistro occorso a seguito della manovra necessitata dall'attraversamento di un animale in autostrada, la S.C. ha affermato che, dimostrata la presenza di un animale idoneo all'intralcio alla circolazione, non spetta all'attore in responsabilità, tanto nella tutela offerta dall'art. 2051 c.c. che in quella di cui all'art. 2043 c.c., provarne anche la specie, che semmai andrà dedotta e dimostrata dal convenuto, nel caso la società di gestione dell'autostrada, quale indice di ricorrenza di un caso fortuito).

Cass. civ. n. 6677/2011

In tema di responsabilità extracontrattuale ex art. 2051 c.c., al fine di provare il rapporto causale tra la cosa in custodia e il danno, l'attore deve allegare un elemento intrinseco o estrinseco come fatto costitutivo idoneo a radicare il nesso eziologico senza, però poter modificare nel corso del giudizio l'allegazione iniziale, indicando prima un fattore intrinseco e, successivamente, un fattore estrinseco, atteso che non è consentito mutare il tema d'indagine. Tuttavia, nell'ipotesi in cui nel corso dell'istruttoria del primo grado emergano altre condizioni, intrinseche o estrinseche alla cosa in custodia, che si pongano come mere specificazioni della domanda, esse potranno essere esaminate dal giudice, non integrando un fatto costitutivo nuovo. (Nella specie, la S.C. ha cassato la pronuncia dei giudici di merito che non avevano considerato, in ordine ad una caduta da una scala dovuta alla scivolosità del terreno, l'assenza di strisce antiscivolo, emersa in sede di deposizione testimoniale, quale elemento ricollegabile all'allegazione principale relativa al nesso causale).

Cass. civ. n. 5910/2011

La norma dell'art. 2051 c.c., che stabilisce il principio della responsabilità per le cose in custodia, non dispensa il danneggiato dall'onere di provare il nesso causale tra queste ultime e il danno, ossia di dimostrare che l'evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa.

Cass. civ. n. 4495/2011

A carico dei proprietari o concessionari delle autostrade, per loro natura destinate alla percorrenza veloce in condizioni di sicurezza, è configurabile la responsabilità per cosa in custodia, disciplinata dall'art. 2051 c.c., essendo possibile ravvisare un'effettiva possibilità di controllo sulla situazione della circolazione e delle carreggiate, riconducibile ad un rapporto di custodia. Ne consegue, ai fini della prova liberatoria, che il custode è tenuto a fornire, per sottrarsi alla responsabilità civile, la necessità di distinguere tra le situazioni di pericolo connesse alla struttura o alle pertinenze dell'autostrada da quelle provocate dagli utenti o da una repentina ed imprevedibile alterazione dello stato della cosa in quanto, solo nella ricorrenza di queste ultime, potrà configurarsi il caso fortuito tutte le volte che l'evento dannoso si sia verificato prima che l'ente proprietario o gestore abbia potuto rimuovere, nonostante l'attività di controllo e la diligenza impiegata al fine di garantire la tempestività dell'intervento, la straordinaria ed imprevedibile situazione di pericolo determinatasi. (Nella fattispecie la S.C. ha cassato la sentenza di secondo grado che, in applicazione dell'art. 2043 c.c. piuttosto che dell'art. 2051 c.c., aveva ritenuto il fondo stradale ghiacciato un evento imprevedibile ed infrequente in una giornata invernale soleggiata).

Cass. civ. n. 11592/2010

La responsabilità da cose in custodia ex art. 2051 c.c. sussiste qualora ricorrano due presupposti: un'alterazione della cosa che, per le sue intrinseche caratteristiche, determina la configurazione nel caso concreto della cd. insidia o trabocchetto e l'imprevedibilità e l'invisibilità di tale "alterazione" per il soggetto che, in conseguenza di questa situazione di pericolo, subisce un danno. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva rigettato la domanda di risarcimento dei danni riportati da un'inquilina di un edificio a seguito di una caduta causata da acqua piovana infiltratasi dalla finestra, ritenendo prevedibile l'evento, in quanto lo stesso si era verificato in un condominio e aveva coinvolto un'inquilina ivi abitante da anni e, quindi, a conoscenza di tutte le caratteristiche dell'immobile).

Cass. civ. n. 5658/2010

In tema di responsabilità civile per danni cagionati da cose in custodia, per aversi caso fortuito occorre che il fattore causale estraneo al soggetto danneggiante abbia un'efficacia di tale intensità da interrompere il nesso eziologico tra la cosa custodita e l'evento lesivo, ossia che possa essere considerato una causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento. (Nella specie, la S.C. ha affermato che una pioggia di eccezionale intensità può costituire caso fortuito in relazione ai danni riportati dai proprietari di appartamenti inondati da acque tracimate a causa di tale evento, a condizione che l'ente preposto provi di aver provveduto alla manutenzione del sistema di smaltimento delle acque nella maniera più scrupolosa e che, nonostante ciò, l'evento dannoso si è ugualmente determinato).

Cass. civ. n. 24428/2009

L'insidia è una situazione di fatto che, per la sua oggettiva invisibilità e per la sua conseguente imprevedibilità (secondo la valutazione del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità se non per vizi logici o giuridici), integra pericolo occulto ed é configurabile anche con riferimento al danno cagionato da cosa in custodia (art. 2051 c.c.): in tale ipotesi ha solo l'effetto di caratterizzare in fatto l'oggetto concreto dell'onere della prova a carico del custode, poiché questo é tenuto a dimostrare, per liberarsi dalla responsabilità, l'insussistenza del nesso eziologico tra il suo potere di fatto sulla cosa, che ha prodotto o nell'ambito del quale si è prodotta l'insidia, ed il danno, in quanto determinato da cause non conoscibili né eliminabili con sufficiente immediatezza da parte sua, neppure con la più efficiente attività di vigilanza e manutenzione.

Cass. civ. n. 8157/2009

La disciplina di cui all'art. 2051 c.c. è applicabile agli enti pubblici proprietari di strade aperte al pubblico transito in riferimento alle situazioni di pericolo immanentemente connesse alla struttura o alle pertinenze della strada, essendo peraltro configurabile il caso fortuito in relazione a quelle provocate dagli stessi utenti, ovvero da una repentina e non specificamente prevedibile alterazione dello stato della cosa che, nonostante l'attività di controllo e la diligenza impiegata allo scopo di garantire un intervento tempestivo, non possa essere rimossa o segnalata, per difetto del tempo strettamente necessario a provvedere. Ai fini del giudizio sulla prevedibilità o meno della repentina alterazione della cosa, occorre aver riguardo, per quanto concerne in particolare i pericoli derivanti da situazioni strutturali e dalle caratteristiche della cosa, al tipo di pericolosità che ha provocato l'evento di danno e che, ove si tratti di una strada, può atteggiarsi diversamente, in relazione ai caratteri specifici di ciascun tratto ed agli eventi analoghi che lo abbiano in precedenza interessato. (Nella specie, a causa di una frana verificatasi a monte di una strada pubblica, un masso aveva colpito una vettura che transitava in quel momento, determinando la morte di una persona e il ferimento grave di un'altra. La S.C., nel cassare la sentenza che aveva confermato il rigetto della domanda di risarcimento proposta, ha affermato che la Corte di merito aveva erroneamente apprezzato l'applicabilità dell'art. 2051 c.c. non in relazione al tratto di strada interessato, ma all'estensione delle zone montuose sovrastanti le strade dell'intera regione, ed aveva condotto l'indagine sulla responsabilità della P.A. in relazione ai criteri di imputazione propri dell'art. 2043 c.c., anziché dell'art. 2051 c.c., al quale è estraneo ogni apprezzamento dell'elemento soggettivo della colpa, essendo la responsabilità del custode esclusa solo dal fortuito).

Cass. civ. n. 5741/2009

Ai fini dell'attribuzione della responsabilità prevista dall'art. 2051 cod. civ sono necessarie e sufficienti una relazione tra la cosa in custodia e l'evento dannoso nonché l'esistenza dell'effettivo potere fisico su di essa da parte del custode, sul quale incombe l'obbligo di vigilarla e di mantenere il controllo onde evitare che produca danni a terzi. Ne consegue che il custode convenuto è onerato di offrire la prova contraria alla presunzione "iuris tantum" della sua responsabilità mediante la dimostrazione positiva del caso fortuito, cioè del fatto estraneo alla sua sfera di custodia, avente impulso causale autonomo e carattere di imprevedibilità e di assoluta eccezionalità. Nell'eventualità della persistenza dell'incertezza sull'individuazione della concreta causa del danno, rimane a carico del custode il fatto ignoto, in quanto non idoneo ad eliminare il dubbio in ordine allo svolgimento eziologico dell'accadimento.

Cass. civ. n. 993/2009

In tema di danno causato da cose in custodia, costituisce circostanza idonea ad interrompere il nesso causale e, di conseguenza, ad escludere la responsabilità del custode di cui all'art. 2051 cod. proc. civ., il fatto della vittima la quale, non prestando attenzione al proprio incedere, in un luogo normalmente illuminato, inciampi in una pedana (oggettivamente percepibile) destinata all'esposizione della merce all'interno di un esercizio commerciale, con successiva sua caduta, riconducendosi in tal caso la determinazione dell'evento dannoso ad una sua esclusiva condotta colposa configurante un idoneo caso fortuito escludente la suddetta responsabilità del custode.

Cass. civ. n. 20427/2008

La responsabilità del custode disciplinata dall'art. 2051 c.c. costituisce una ipotesi di responsabilità oggettiva e non di colpa presunta. Il danneggiato, pertanto, per ottenere il risarcimento da parte del custode, deve dimostrare unicamente l'esistenza del danno e la sua derivazione causale dalla cosa. Al custode, per contro, per andare esente da responsabilità non sarà sufficiente provare la propria diligenza nella custodia, ma dovrà provare che il danno è derivato da caso fortuito.

La responsabilità oggettiva prevista dall'art. 2051 c.c. è invocabile anche nei confronti della P.A., per i danni arrecati dai beni dei quali essa ha la concreta disponibilità, anche se di rilevanti dimensioni. Tale responsabilità resta esclusa solo dalla prova, gravante sulla p.a., che il danno sia stato determinato da cause estrinseche ed estemporanee create da terzi, le quali nemmeno con l'uso della ordinaria diligenza potevano essere tempestivamente rimosse, così integrando il caso fortuito previsto dalla predetta norma quale scriminante della responsabilità del custode. (Nella specie, il giudice di merito aveva escluso la responsabilità della p.a. per i danni subiti da un trattore agricolo finito in un avvallamento della strada, ritenendo non potersi affermare con certezza se il manto stradale avesse ceduto a causa del peso del trattore, o se piuttosto non fosse stato quest'ultimo a finire per imperizia nell'avvallamento preesistente. La S.C., affermando il principio di cui alla massima, ha cassato con rinvio tale decisione).

Cass. civ. n. 15042/2008

Affinché la P.A. possa andare esente dalla responsabilità di cui all'art. 2051 c.c., per i danni causati da beni demaniali, occorre avere riguardo non solo e non tanto all'estensione di tali beni od alla possibilità di un effettivo controllo su essi, quanto piuttosto alla causa concreta (identificandosene la natura e la tipologia) del danno. Se, infatti, quest'ultimo è stato determinato da cause intrinseche alla cosa (come il vizio costruttivo o manutentivo), l'amministrazione ne risponde ai sensi dell'art. 2051 c.c.; per contro, ove l'amministrazione sulla quale incombe il relativo onere dimostri che il danno sia stato determinato da cause estrinseche ed estemporanee create da terzi (come ad esempio la perdita o l'abbandono sulla pubblica via di oggetti pericolosi), non conoscibili né eliminabili con immediatezza, neppure con la più diligente attività di manutenzione, essa è liberata dalla responsabilità per cose in custodia in relazione al cit. art. 2051 c.c. (Nella specie, in cui il giudice di merito aveva ritenuto che l'amministrazione comunale non fosse responsabile del danno patito da un passante inciampato in un marciapiede sconnesso, sul presupposto che l'art. 2051 c.c. non potesse essere applicato nell'ipotesi di danni causati da beni demaniali, la S.C. ha cassato tale decisione, formulando il principio di cui in massima).

Cass. civ. n. 12449/2008

In tema di responsabilità della P.A. ex art. 2051 c.c. per i beni demaniali, i criteri di imputazione della responsabilità devono tener conto
della natura e della funzione dei detti beni, anche a prescindere dalla loro maggiore o minore estensione, considerato che, mentre il custode di beni privati risponde oggettivamente dei danni provocati dal modo di essere e di operare del bene, sia in virtù del principio cuius commoda eius incommoda sia perché può escludere i terzi dall'uso del bene e, quindi, circoscrivere i possibili rischi di danni provenienti dai comportamenti altrui, per contro, il custode dei beni demaniali destinati all'uso pubblico è esposto a fattori di rischio potenzialmente indeterminati, a causa dei comportamenti degli innumerevoli utilizzatori che non può escludere dall'uso del bene e di cui solo entro certi limiti può sorvegliare le azioni. Ne consegue che, per i beni da ultimo indicati, all'ente pubblico custode vanno addossati, in modo selettivo, solo i rischi di cui egli può essere tenuto a rispondere, in relazione ai doveri di sorveglianza e di manutenzione razionalmente esigibili, in base a criteri di corretta e diligente gestione, tenuto conto della natura del bene e della causa del danno. (Nella specie la S.C., confermando la sentenza impugnata, ha affermato che il manifesto strappato e gettato per terra, su cui il ricorrente era scivolato, rappresentava uno degli elementi di rischio occasionali, episodici ed inevitabili nell'immediatezza che esimono il custode da responsabilità, come caso fortuito derivante dal comportamento di terzi, qualora il custode dimostri di non averli potuti tempestivamente eliminare, neppure con un'efficiente e diligente organizzazione dell'attività di sorveglianza e di manutenzione).

Cass. civ. n. 11227/2008

La responsabilità per i danni cagionati da una cosa in custodia ex art. 2051 c.c. si fonda non su un comportamento od un'attività del custode, ma su una relazione intercorrente tra questi e la cosa dannosa e, poiché il limite della responsabilità risiede nell'intervento di un fattore, il caso fortuito, che attiene non ad un comportamento del responsabile ma alle modalità di causazione del danno, si deve ritenere che, in tema di ripartizione dell'onere della prova, all'attore compete provare resistenza del rapporto eziologico tra la cosa e l'evento lesivo, mentre il convenuto, per liberarsi, dovrà provare l'esistenza di un fattore, estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere quel nesso causale e, cioè, un fattore esterno (che può essere anche il fatto di un terzo o dello stesso danneggiato) che presenti i caratteri del fortuito e, quindi, dell'imprevedibilità e dell'eccezionalità. Peraltro, quando il comportamento colposo del danneggiato non è idoneo da solo ad interrompere il nesso eziologico tra la causa del danno, costituita dalla cosa in custodia, ed il danno, esso può, tuttavia, integrare un concorso colposo ai sensi dell'art. 1227, primo comma, c.c. con conseguente diminuzione della responsabilità del danneggiante secondo l'incidenza della colpa del danneggiato. (Nella specie la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza impugnata che, pur riconoscendo che la caduta dell'attore costituiva diretta conseguenza della condizione del pavimento reso scivoloso dall'acqua piovana introdotta da chi entrava nei locali di un ufficio giudiziario, aveva ritenuto che il comportamento del danneggiato fosse stato idoneo da solo a produrre l'evento omettendo, tuttavia, di valutare se la condotta dell'infortunato avesse assunto, per acquistare l'efficacia liberatoria del caso fortuito, i caratteri dell'eccezionalità e dell'imprevedibilità e omettendo, altresì, di valutare se il detto comportamento, benché inidoneo da solo a interrompere il nesso eziologico tra la cosa in custodia e il danno, potesse integrare un concorso colposo ai sensi dell'art. 1227, primo comma, c.c.).

Cass. civ. n. 4279/2008

Nel caso in cui l'evento di danno sia da ascrivere esclusivamente alla condotta del danneggiato, la quale abbia interrotto il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno, si verifica un'ipotesi di caso fortuito che libera il custode dalla responsabilità di cui all'art. 2051 c.c. Il giudizio sull'autonoma idoneità causale del fattore esterno ed estraneo deve essere adeguato alla natura e alla pericolosità della cosa, sicché quanto meno essa è intrinsecamente pericolosa e quanto più la situazione di possibile pericolo è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l'adozione delle normali cautele da parte dello stesso danneggiato, tanto più incidente deve considerarsi l'efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino ad interrompere il nesso eziologico tra cosa e danno e ad escludere, pertanto, la responsabilità del custode. Peraltro il dovere del custode di segnalare il pericolo connesso all'uso della cosa si arresta di fronte ad un'ipotesi di utilizzazione impropria la cui pericolosità è talmente evidente ed immediatamente apprezzabile da chiunque, tale da renderla del tutto imprevedibile, sicché l'imprudenza del danneggiato che abbia riportato un danno a seguito di siffatta impropria utilizzazione, integra un caso fortuito. (Nella specie la S.C., ha confermato la sentenza di merito che, in relazione ad un infortunio occorso al ricorrente danneggiato nel tuffarsi in un lago da un pontile di attracco per imbarcazioni, aveva escluso il nesso di causalità tra il detto pontile e l'incidente in questione e ascritto l'evento lesivo esclusivamente al comportamento dell'attore).

Cass. civ. n. 390/2008

In tema di responsabilità extracontrattuale, con riferimento al cosiddetto caso di insidia o trabocchetto del manto stradale, in esso ricomprendendosi i pertinenti marciapiedi, la parte danneggiata, in presenza di un fatto storico qualificabile come illecito ai sensi dell'art. 2043 c.c., ha l'onere della prova degli elementi costitutivi di tale fatto, del nesso di causalità, del danno ingiusto e della imputabilità soggettiva, mentre l'ente pubblico, preposto alla sicurezza dei pedoni e detentore del dovere di vigilanza tra l'altro sulla sicurezza dei tombini che possono aprirsi sui marciapiedi, ha l'onere di dimostrare o il concorso di colpa del pedone o la presenza di un caso fortuito che interrompe la relazione di causalità tra l'evento ed il comportamento colposamente omissivo dell'ente stesso.

Cass. civ. n. 17377/2007

In materia di responsabilità da cosa in custodia, sempre che questa non sia esclusa dall'oggettiva impossibilità per l'ente pubblico proprietario o gestore di esercitare sul bene quel potere di governo in cui si estrinseca la custodia, il giudice, ai fini dell'imputabilità delle conseguenze del fatto dannoso, non può arrestarsi di fronte alla natura giuridica del bene o al regime o alle modalità di uso dello stesso da parte del pubblico, ma è tenuto ad accertare, in base agli elementi acquisiti al processo, se la situazione di fatto che la cosa è venuta a presentare e nel cui ambito ha avuto origine l'evenienza che ha prodotto il danno, sia o meno riconducibile alla fattispecie della relativa custodia da parte dell'ente pubblico. Ove tale accertamento risulti compiuto con esito positivo, la domanda di risarcimento va giudicata in base all'applicazione della responsabilità da cosa in custodia, dovendo valutarsi anche l'eventuale concorso di colpa del danneggiato ai sensi dell'art. 1227 c.c. (Nella specie la S.C. ha cassato con rinvio la decisione del giudice di merito che si era arrestata alla considerazione che l'incidente stradale sarebbe stato causato dall'eccessiva velocità mantenuta dal conducente, senza valutare la situazione in concreto del guard-rail e della sua conformazione e se la stessa richiedesse l'apprestamento di soluzioni idonee ad evitare, in caso di fuoriuscita di un veicolo, il verificarsi di danni alla persona).

Cass. civ. n. 14609/2007

In tema di responsabilità da cose in custodia, la presunzione sancita a carico del custode dall'art. 2051 c.c. è esclusa quando la produzione del danno sia stata causalmente determinata dalla sola condotta del terzo, che, in quanto evento imprevedibile ed eccezionale — non riconducibile, perciò, al dinamismo proprio della cosa — abbia le caratteristiche del caso fortuito che esclude la responsabilità del custode. (Nella specie,è stata rigettata la domanda di risarcimento dei danni derivanti all'abitazione dell'attore dalle acque provenienti dal fondo del convenuto, avendo la S.C., nel confermare la decisione impugnata, ravvisato il caso fortuito nella realizzazione da parte del terzo di un muro che, impedendo il naturale deflusso delle acque, aveva provocato l'accumulo, nel sovrastante fondo del convenuto, delle acque tracimate poi nel terreno dell'attore).

Cass. civ. n. 2563/2007

La responsabilità prevista dall'art. 2051 c.c. per i danni cagionati da cose in custodia ha carattere oggettivo e, ai fini della sua configurabilità, è sufficiente che sussista il nesso causale tra la cosa in custodia e l'evento dannoso, indipendentemente dalla pericolosità attuale o potenziale della cosa stessa (e, perciò, anche per le cose inerti) e senza che rilevi al riguardo la condotta del custode e l'osservanza o meno di un obbligo di vigilanza. La responsabilità del custode, in base alla suddetta norma, è esclusa in tutti i casi in cui l'evento sia imputabile ad un caso fortuito riconducibile al profilo causale dell'evento e, perciò, quando si sia in presenza di un fattore esterno che, interferendo nella situazione in atto, abbia di per sé prodotto l'evento, assumendo il carattere del c.d. fortuito autonomo, ovvero quando si versi nei casi in cui la cosa sia stata resa fattore eziologico dell'evento dannoso da un elemento o fatto estraneo del tutto eccezionale (c.d. fortuito incidentale), e per ciò stesso imprevedibile, ancorché dipendente dalla condotta colpevole di un terzo o della stessa vittima. (Nella specie, la S.C., sulla scorta dell'enunciato principio, ha confermato la sentenza impugnata rilevandone l'adeguatezza della motivazione con riferimento all'esclusione della responsabilità da custodia di una società gestrice di un impianto di sci per le lesioni occorse ad uno sciatore conseguenti alla collisione, durante la discesa, con un casotto in muratura per il ricovero di un trasformatore dell'energia elettrica necessaria per il sistema di risalita posto in prossimità della pista, sul presupposto dell'accertata assenza del nesso di causalità tra la cosa e l'evento, invece determinato, così configurandosi un'ipotesi di caso fortuito, dalla condotta colposa della medesima vittima che non aveva osservato una velocità adeguata al luogo e che si era, perciò, imprudentemente portato fino al margine estremo dei piazzale di arrivo, risultato comunque sufficientemente ampio, senza riuscire ad adottare manovre di emergenza idonee ad evitare l'urto contro il predetto ostacolo).

Cass. civ. n. 2308/2007

La disciplina di cui all'art. 2051 c.c. si applica anche in tema di danni sofferti dagli utenti per la cattiva ed omessa manutenzione delle autostrade da parte dei concessionari, in ragione del particolare rapporto con la cosa che ad essi deriva dai poteri effettivi di disponibilità e controllo sulle medesime, salvo che dalla responsabilità presunta a loro carico i concessionari si liberino fornendo la prova del fortuito, consistente non già nella dimostrazione dell'interruzione del nesso di causalità determinato da elementi esterni o dal fatto estraneo alla sfera di custodia (ivi compreso il fatto del danneggiato o del terzo), bensì anche dalla dimostrazione – in applicazione del principio di c.d. vicinanza alla prova – di aver espletato, con la diligenza adeguata alla natura e alla funzione della cosa, in considerazione delle circostanze del caso concreto, tutte le attività di controllo, di vigilanza e manutenzione su di essi gravanti in base a specifiche disposizioni normative e già del principio generale del neminem laedere di modo che il sinistro appaia verificatosi per fatto non ascrivibile a sua colpa. (Nella specie, la S.C., sulla scorta dell'enunciato principio, ha rigettato il ricorso proposto e confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto configurabile la responsabilità da omessa custodia a carico del concessionario gestore di autostrada con riferimento ad incidente verificatosi per la presenza sulla sede autostradale di un cane che aveva tagliato la strada al veicolo del controricorrente sopraggiungente, con conseguente sbandamento e ribaltamento dello stesso in virtù della collisione con i cordoli laterali e la produzione di lesioni personali, senza che la ricorrente, sulla quale incombeva il relativo onere, fosse riuscita a dimostrare che l'immissione dell'animale era riconducibile ad ipotesi di caso fortuito, quale l'abbandono del cane in una piazzola dell'autostrada ovvero il taglio vandalico della rete di recinzione od, ancora, il suo abbattimento in conseguenza di precedente incidente, per il quale non era stato possibile intervenire tempestivamente adottando le necessarie cautele).

Cass. civ. n. 24211/2006

È configurabile una ipotesi di concorso causale nell'evento da parte del custode, per il titolo di cui all'art. 2051 c.c., e di altro soggetto, per il normale titolo di responsabilità generica ai sensi dell'art. 2043, atteso che all'addebito concorsuale dei distinti titoli di responsabilità non osta il non avere dato il custode la prova liberatoria della ricorrenza del caso fortuito, poiché tanto comporta soltanto che egli non possa sottrarsi alla responsabilità per il titolo di sua pertinenza, ma non che l'evento dannoso non possa essere stato concausato anche dal fatto di un terzo. L'incompatibilità fra l'affermazione di una responsabilità del custode per mancata prova liberatoria e l'affermazione del concorso di una responsabilità ai sensi dell'art. 2043 c.c. è, infatti, concepibile solo allorquando il fatto del terzo responsabile ai sensi di questa norma assuma efficienza causale esclusiva nella produzione dell'evento, sì da rendere irrilevante il contributo causale derivante dalla cosa oggetto della custodia e da assumere, rispetto ad esso, le caratteristiche del fortuito.

Cass. civ. n. 21244/2006

In tema di responsabilità da custodia, facendo eccezione alla regola generale di cui al combinato disposto degli artt. 2043 e 2697 c.c., l'art. 2051 c.c. determina un'ipotesi caratterizzata da un criterio di inversione dell'onere della prova, ponendo a carico del custode la possibilità di liberarsi della presunzione di responsabilità a suo carico mediante la prova liberatoria del fortuito, risultando a tale stregua agevolata la posizione del danneggiato, rimanendo sul custode il rischio del fatto ignoto.

Cass. civ. n. 20825/2006

Il dovere di controllo e di custodia posto dall'art. 2051 c.c. sussiste anche in relazione alle cose inerti e prive di un proprio dinamismo (nella specie, un campo da tennis), ben potendo essere anch' esse idonee, in concorso con altri fattori causali, a cagionare danno.

Cass. civ. n. 16770/2006

Dalla proprietà pubblica del Comune sulle strade (e sulle relative pertinenze, come i marciapiedi) discende non solo l'obbligo dell'Ente alla manutenzione, ma anche quello della custodia con conseguente operatività nei confronti dell'Ente stesso della presunzione di responsabilità ai sensi dell'art. 2051 c.c., ove sussista omissione di vigilanza al fine di impedire che i lavori su di essa effettuati costituiscano potenziale fonte di danno per gli utenti. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio l'impugnata sentenza che, con riguardo ad un'azione risarcitoria promossa da un pedone per le lesioni conseguenti ad una caduta su un tratto del marciapiede di una strada comunale sconnesso in prossimità di un tombino coperto da foglie, non aveva adeguatamente motivato circa l'estensione del marciapiedi e la sua collocazione all'interno dell'abitato, non considerando la possibile imputabilità del sinistro alla difettosa messa in opera del tombino ed escludendo, altresì, ma con argomentazioni insufficienti ed inidonee, la configurazione dei presupposti per la sussistenza dell'imprevedibilità della situazione di pericolo).

Cass. civ. n. 15779/2006

In tema di risarcimento del danno, con riferimento alla responsabilità per danno cagionato da cose in custodia dall'ente proprietario di strade demaniali, configurandosi il rapporto di custodia di cui al citato articolo 2051 c.c. come relazione di fatto tra un soggetto e la cosa, tale da consentirne «il potere di governo» (da intendersi come potere di controllarla, di eliminare le situazioni di pericolo che siano insorte e di escludere i terzi dal contatto con la cosa), solo l'oggettiva impossibilità di esercitare tali poteri vale ad escludere quel rapporto per gli effetti di cui alla norma in questione, che configura la responsabilità del custode come oggettiva, salva la prova del fortuito, da intendersi come fatto idoneo ad interrompere il nesso causale fra la cosa e l'evento produttivo del danno e da provarsi dal custode. Figura sintomatica della sussistenza dell'effettivo potere di controllo su una strada del demanio stradale è rappresentato dall'essere la stessa ubicata all'interno della perimetrazione del centro abitato (art. 41 quinquies legge 17 agosto 1942 n. 1150, come modificato dall'art. 17 della legge 6 agosto 1967 n. 765; art. 4 D.L.vo 30 aprile 1992 n. 285; art. 9 D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380); mentre l'eventuale comportamento colposo dello stesso soggetto danneggiato nell'uso del bene demaniale (sussistente quando egli ne abbia fatto uso senza la normale diligenza o con affidamento soggettivo anomalo) può valere ad escludere la responsabilità della P.A. se sia tale da interrompere il nesso causale tra la cosa e l'evento produttivo del danno, ovvero può atteggiarsi come concorso causale colposo ai sensi dell'articolo 1227, primo comma, c.c. con conseguente diminuzione della responsabilità del custode in proporzione all'incidenza causale del comportamento del danneggiato. (Nella specie, relativa alla domanda di danni esperita nei confronti del Comune da una passante che era caduta nello scendere dal marciapiede riportando lesioni, la S.C. ha accolto il ricorso della medesima avverso la sentenza della corte di merito che le aveva negato il risarcimento; ha conclusivamente affermato la S.C. che la corte territoriale si era discostata dai criteri di cui all'enunciato principio, laddove aveva ritenuto che al demanio stradale non fosse in via generale applicabile il criterio d'imputazione della responsabilità di cui all'articolo 2051 c.c.).

Cass. civ. n. 15383/2006

In relazione ai danni verificatisi nell'uso di un bene demaniale, tanto nel caso in cui risulti in concreto configurabile una responsabilità oggettiva della P.A. ai sensi dell'art. 2051 c.c., quanto in quello in cui risulti invece configurabile una responsabilità ai sensi dell'art. 2043 c.c., l'esistenza di un comportamento colposo dell'utente danneggiato (sussistente anche quando egli abbia usato il bene senza la normale diligenza o con un affidamento soggettivo anomalo sulle sue caratteristiche) esclude la responsabilità della P.A., qualora si tratti di un comportamento idoneo ad interrompere il nesso eziologico tra la causa del danno ed il danno stesso, mentre in caso contrario esso integra un concorso di colpa ai sensi dell'art. 1227, primo comma, c.c., con conseguente diminuzione della responsabilità del danneggiante (e, quindi, della P.A.) in proporzione all'incidenza causale del comportamento stesso.

In tema di danni determinati dall'esistenza di un cantiere stradale, qualora l'area di cantiere risulti completamente enucleata, delimitata ed affidata all'esclusiva custodia dell'appaltatore, con conseguente assoluto divieto su di essa del traffico veicolare e pedonale, dei danni subiti all'interno di questa area risponde esclusivamente l'appaltatore, che ne è l'unico custode. Allorquando, invece, l'area su cui vengono eseguiti lavori e quindi insiste il cantiere, risulti ancora adibita al traffico e, quindi, utilizzata a fini di circolazione, denotando questa situazione la conservazione della custodia da parte dell'ente titolare della strada, sia pure insieme all'appaltatore, consegue che la responsabilità ai sensi dell'art. 2051 c.c. (in concreto non escludibile a carico dell'ente per le dimensioni necessariamente ridotte dell'area adibita a cantiere) sussiste sia a carico dell'appaltatore che dell'ente, salva l'eventuale azione di regresso di quest'ultimo nei confronti del primo a norma dei comuni principi sulla responsabilità solidale di cui al secondo comma dell'art. 2055 c.c., sulla base anche degli obblighi di segnalazione e manutenzione imposti dalla legge per opere e depositi stradali (art. 21 del D.L.vo n. 285 del 1992), nonché di quelli eventualmente discendenti dalla convenzione di appalto.

La presunzione di responsabilità per danni da cosa in custodia, di cui all'art. 2051 c.c., non si applica agli enti pubblici per danni subiti dagli utenti di beni demaniali ogni qual volta sul bene demaniale, per le sue caratteristiche, non risulti possibile — all'esito di un accertamento da svolgersi da parte del giudice di merito in relazione al caso concreto — esercitare la custodia, intesa quale potere di fatto sulla stessa. L'estensione del bene demaniale e l'utilizzazione generale e diretta delle stesso da parte di terzi, sotto tale profilo assumono, soltanto la funzione di circostanze sintomatiche dell'impossibilità della custodia. Alla stregua di tale principio, con particolare riguardo al demanio stradale, la ricorrenza della custodia dev'essere esaminata non soltanto con riguardo all'estensione della strada, ma anche alle sue caratteristiche, alla posizione, alle dotazioni, ai sistemi di assistenza che li connotano, agli strumenti che il progresso tecnologico appresta, in quanto tali caratteristiche assumono rilievo condizionante anche delle aspettative degli utenti. Ne deriva che, alla stregua di tale criterio, mentre in relazione alle autostrade (di cui già all'art. 2 del D.P.R. n. 393 del 1959, ed ora all'art. 2 del D.L.vo n. 285 del 1992), attesa la loro natura destinata alla percorrenza veloce in condizioni di sicurezza, si deve concludere per la configurabilità del rapporto custodiale, in relazione alle strade riconducibili al demanio comunale non è possibile una simile, generalizzata, conclusione, in quanto l'applicazione dei detti criteri non la consente, ma comporta valutazioni ulteriormente specifiche. In quest'ottica, per le strade comunali — salvo il vaglio in concreto del giudice di merito — circostanza eventualmente sintomatica della possibilità della custodia è che la strada, dal cui difetto di manutenzione è stato causato il danno, si trovi nel perimetro urbano delimitato dallo stesso comune.

Cass. civ. n. 10040/2006

In materia di responsabilità civile, per aversi insidia (o trabocchetto) idonea a configurare la responsabilità della P.A. ai sensi dell'art. 2043 c.c. in caso di verificazione di un incidente, occorre non solo l'oggettiva invisibilità, ma anche l'imprevedibilità del pericolo, restando esclusa la presunzione di responsabilità di cui all'art. 2051 c.c. nei confronti della P.A. per quelle categorie di beni demaniali, quali le strade pubbliche, che sono oggetto di utilizzo generale e diretto da parte di terzi, poiché in questi casi non è possibile un efficace controllo ed una costante vigilanza da parte della P.A. tale da impedire l'insorgere di cause di pericolo per i cittadini. (Nella specie, relativa ad incidente automobilistico avvenuto su strada comunale, in applicazione dei principi di cui sopra la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva affermato la corresponsabilità dell'ente locale assumendo che lo stesso poteva sapere della possibilità di dilavamenti di ghiaia da una strada privata alla sede della strada pubblica, a seguito di violenti temporali.)

Cass. civ. n. 5445/2006

In materia di responsabilità civile da manutenzione di strade pubbliche statali, l'insidia o trabocchetto determinante pericolo occulto non è elemento costitutivo dell'illecito aquiliano ex art. 2043 c.c. sicché della prova della relativa sussistenza non può onerarsi il danneggiato, risultandone altrimenti, a fronte di un correlativo ingiustificato privilegio per la P.A., la posizione inammissibilmente aggravata, in contrasto con il principio cui risulta ispirato l'ordinamento di generale favore per colui che ha subito la lesione di una propria posizione giuridica soggettiva giuridicamente rilevante e tutelata a cagione della condotta dolosa o colposa altrui, che impone a chi questa mantenga di rimuovere o ristorare, laddove non riesca a prevenirlo, il danno inferto. A tale stregua l'insidia o trabocchetto può ritenersi assumere semmai rilievo nell'ambito della prova da parte della P.A. di avere, con lo sforzo diligente adeguato alla natura della cosa e alle circostanze del caso concreto, adottato tutte le misure idonee a prevenire che il bene demaniale presenti per l'utente una situazione di pericolo occulto ed arrechi danno, al fine di far valere la propria mancanza di colpa o, se del caso, il concorso di colpa del danneggiato. (Nell'affermare il suindicato principio, con riferimento a strada provinciale la cui banchina, invasa per un tratto dalla ruota di un autocarro, aveva ceduto al peso con conseguente ribaltamento del veicolo e morte del conducente, la S.C. ha confermato la sentenza del giudice di merito che aveva fatto discendere dalla mancanza di adeguata segnalazione la sussistenza di un'insidia e la responsabilità della Provincia per l'incidente accaduto, rigettando la censura dell'amministrazione ricorrente la quale, contestando la configurabilità dei ravvisati obblighi di segnalazione a suo carico, deduceva poter essere nella fattispecie la propria responsabilità affermata solamente all'esito della prova, da fornirsi per converso da parte dei danneggiati nella specie, la moglie ed i figli del defunto-, della esistenza nel caso di un'insidia o trabocchetto).

Cass. civ. n. 26997/2005

Il concorso del fatto colposo del danneggiato è astrattamente compatibile con la responsabilità della P.A. in caso di insidia o trabocchetto stradale, ma si riflette non già sulla esistenza della causalità giuridica e, quindi, sulla configurabilità dell'insidia bensì solo sulla entità del risarcimento, in quanto non è configurabile, in astratto, un'interruzione del nesso causale in virtù della mera circostanza che l'utente abbia tenuto, a sua volta, un comportamento irregolare, dovendo l'esclusione del rapporto di causalità essere, per converso, valutata in concreto, nell'esclusiva sede del giudizio di merito.

Cass. civ. n. 14749/2005

La presunzione di responsabilità di cui all'art. 2051 c.c. non è applicabile nei confronti della P.A. per quelle categorie di beni demaniali, quali le strade pubbliche, che sono oggetto di utilizzo generale e diretto da parte di terzi, poiché in questi casi non è possibile un efficace controllo ed una costante vigilanza da parte della P.A. tale da impedire l'insorgere di cause di pericolo per i cittadini. Tuttavia, quanto alle autostrade, per loro natura destinate alla percorrenza veloce in condizioni di sicurezza, cui si è ammessi dietro pagamento di un «corrispettivo », la possibilità del controllo consente di configurare un rapporto di custodia ai sensi dell'art. 2051 c.c., distinguendo però le situazioni di pericolo connesse alla struttura o alle pertinenze dell'autostrada da quelle provocate dagli stessi utenti ovvero da una repentina e non prevedibile alterazione dello stato della cosa, potendosi in questa seconda tipologia di casi ravvisare il caso fortuito tutte le volte che l'evento dannoso presenti i caratteri della imprevedibilità e della inevitabilità, in quanto l'insidia nonostante l'attività di controllo e la diligenza impiegata allo scopo di garantire un intervento tempestivo, non possa essere rimossa o segnalata, per difetto del tempo strettamente necessario a provvedere. (Fattispecie relativa a sinistro causato in autostrada da un cartello di segnalazione, apposto in occasione di un incidente tra veicoli, rovesciatosi sulla sede stradale. In applicazione dei principi di cui sopra la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva respinto la domanda del danneggiato ).

Cass. civ. n. 1655/2005

Il custode, per liberarsi dalla presunzione di responsabilità per il danno cagionato dalla cosa deve provare che esso si è verificato per caso fortuito tale da impedirgli di prevenire l'evento dannoso o di ridurne le conseguenze, dovendo altrimenti rispondere almeno per la parte di danni che avrebbe potuto evitare. Ne consegue che il fato del terzo, essendo idoneo ad escludere la responsabilità ex art. 2051 c.c., solo se dotato di efficacia causale autonoma rispetto alla sfera di azione del custode, deve avere i caratteri dell'imprevedibilità e dell'inevitabilità, i quali non ricorrono nel fatto che il custode può prevenire esercitando i poteri di vigilanza che gli competono.

Cass. civ. n. 11414/2004

In riferimento alla responsabilità extracontrattuale da cose in custodia, quando sussiste un comportamento colposo del danneggiato che non è idoneo da solo ad interrompere il nesso eziologico tra la causa del danno e il danno stesso, esso può tuttavia integrare un concorso di colpa ai sensi dell'art. 1227, primo comma c.c., con conseguente diminuzione della responsabilità del danneggiante in proporzione all'incidenza della colpa del danneggiato.

Cass. civ. n. 6516/2004

In tema di responsabilità civile della pubblica amministrazione per la manutenzione di una strada, sotto il profilo dell'omessa predisposizione delle opere accessorie laterali alla sede stradale, occorre l'oggettiva imprevedibilità ed invisibilità del pericolo che le misure cautelari miravano a controllare, e ciò rimane senz'altro escluso in presenza di una condotta abnorme dell'utente della strada, che alteri il normale sviluppo causale, assumendo efficacia causale esclusiva nel verificarsi dell'evento dannoso. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che addebitava la responsabilità dell'incidente stradale a seguito del quale il conducente era uscito di strada dopo aver cozzato contro la barriera protettiva costituita solo da una rete metallica sostenuta da paletti in legno, precipitando dal cavalcavia ove si trovava sulla sottostante autostrada esclusivamente alla velocità eccessiva da quest'ultimo tenuta per impegnare la curva e non perciò alla mancanza di guard-rail).

Cass. civ. n. 2062/2004

La responsabilità per i danni cagionati da una cosa in custodia ex art. 2051 c.c. si fonda non su un comportamento od un'attività del custode, ma su una relazione intercorrente tra questi e la cosa dannosa e, poiché il limite della responsabilità risiede nell'intervento di un fattore, il caso fortuito, che attiene non ad un comportamento del responsabile ma alle modalità di causazione del danno, si deve ritenere che, in tema di ripartizione dell'onere della prova, all'attore compete provare l'esistenza del rapporto eziologico tra la cosa e l'evento lesivo, mentre il convenuto, per liberarsi, dovrà provare l'esistenza di un fattore, estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere quel nesso causale e, cioè, un fattore esterno (che pub essere anche il fatto di un terzo o dello stesso danneggiato) che presenti i caratteri del fortuito e, quindi, dell'imprevedibilità e dell'eccezionalità. (Nel caso si specie, la S.C. ha ritenuto che la corte di merito avesse fatto corretta applicazione di tale principio, ritenendo non configurabile la responsabilità ex art. 2051 c.c. del proprietario di un terreno situato a monte per il movimento franoso di detriti e fango che si erano riversati su alcuni terreni a valle, ritenendo che la frana si fosse verificata per l'intervento di alcuni fattori aventi il carattere del fortuito, quali la natura geomorfologica del terreno).

Cass. civ. n. 16527/2003

Il giudizio sulla pericolosità delle cose inerti deve essere condotto alla stregua di un modello relazionale, in base al quale la cosa venga considerata nel suo normale interagire con il contesto dato, sicché una cosa inerte in tanto può ritenersi pericolosa in quanto determini un alto rischio di pregiudizio nel contesto di normale interazione con la realtà circostante. (Nella specie, la sentenza impugnata, confermata dalla S.C. aveva escluso la responsabilità di un Comune in relazione al danno riportato da una persona che aveva urtato contro un ramo di un albero collocato sul ciglio di una strada, in condizioni di visibilità)

Cass. civ. n. 472/2003

La responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia (art. 2051 c.c.) ha carattere oggettivo e pertanto perché possa configurarsi in concreto è sufficiente che sussista il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno arrecato, senza che rilevi la condotta del custode e l'osservanza o meno di un obbligo di vigilanza; il nesso di causalità deve essere escluso quando il danno sia ascrivibile al caso fortuito. Sia l'accertamento in ordine alla sussistenza della responsabilità oggettiva che quello in ordine all'intervento del caso fortuito che lo esclude involgono valutazioni (quali il dispiegarsi dei vari fattori causali, la ricerca dell'effettivo antecedente dell'evento dannoso, l'indagine sulla condotta del danneggiante e del danneggiato, le modalità di causazione del danno, ecc.), che come tali sono riservati al giudice del merito, il cui apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici.

Cass. civ. n. 11268/2002

Nella gestione di un albergo il titolare deve adottare tutte le misure idonee a rendere innocuo l'uso di una scala di collegamento tra i vari piani, vigilando costantemente la cosa non in forme generali, ma tenendo conto della possibile inesperienza, immaturità o diminuita abilità delle persone che devono farne uso.

Cass. civ. n. 10641/2002

La responsabilità per i danni cagionati da una cosa in custodia ex art. 2051 c.c. si fonda non su un comportamento od un'attività del custode, ma su una relazione intercorrente tra questi e la cosa dannosa e, poiché il limite della responsabilità risiede nell'intervento di un fattore, il caso fortuito, che attiene non ad un comportamento del responsabile ma alle modalità di cauzione del danno, si deve ritenere che, in tema di ripartizione dell'onere della prova, all'attore compete provare l'esistenza del rapporto eziologico tra la cosa e l'evento lesivo, mentre il convenuto, per liberarsi, dovrà provare l'esistenza di un fattore, estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere quel nesso causale e, cioè, un fattore esterno (che può essere anche il fatto di un terzo o dello stesso danneggiato) che presenti i caratteri del fortuito e, quindi, dell'imprevedibilità e dell'eccezionalità. Peraltro, quando il comportamento colposo del danneggiato non è idoneo da solo ad interrompere il nesso eziologico tra la causa del danno, costituita dalla cosa in custodia, ed il danno, esso può, tuttavia, integrare un concorso colposo ai sensi dell'art. 1227, primo comma, c.c. con conseguente diminuzione della responsabilità del danneggiante secondo l'incidenza della cosa del danneggiato.

Cass. civ. n. 4308/2002

In tema di danno prodotto da cose in custodia, l'esclusiva condotta colpevole del danneggiato è equiparabile al caso fortuito ed esclude, pertanto, la responsabilità del proprietario della cosa, da cui il danno deriva, agli effetti sia dell art. 2051 che dell'art. 2043 c.c.

Cass. civ. n. 203/2002

L'ente pubblico proprietario di una strada extraurbana ha l'obbligo di mantenere in buono stato di manutenzione anche la zona non asfaltata, posta a livello tra i margini della carreggiata stradale e i limiti della sede stradale — definita «banchina» dal previgente codice della strada (art. 2 del D.P.R. 15 giugno 1959, n. 393) — perché, pur essendo essa normalmente destinata ai pedoni, in caso di necessità su di essa possono temporaneamente spostarsi i veicoli, per manovre di breve durata o di emergenza. Pertanto detto ente ha altresì l'obbligo di segnalare qualsiasi situazione di pericolo o di insidia inerente alla medesima, pena, in caso contrario, la responsabilità in ordine ai danni derivatine.

Cass. civ. n. 10687/2001

Per il risarcimento del danno cagionato da cose in custodia, l'art. 2051 c.c., non richiedendo la prova della esistenza di una specifica, intrinseca pericolosità della cosa in sé, non prevede, peraltro, un esonero, per il danneggiato, dall'onere di dimostrare la esistenza di un efficace nesso di causale tra la res e l'evento.

Cass. civ. n. 6767/2001

In tema di responsabilità da cose in custodia, la presunzione di colpa stabilita dall'art. 2051 c.c., superabile solo con la prova del caso fortuito ovvero della colpa del danneggiato, presuppone la dimostrazione della esistenza del nesso causale tra cosa in custodia e fatto dannoso, con la conseguenza che, anche in presenza di insidia o trabocchetto — concetti propri della diversa ipotesi contemplata dall'art. 2043 c.c., specie in materia di responsabilità della P.A. —, la situazione di pericolo occulto richiede, per costituire fonte di responsabilità, l'accertamento della efficienza causale nella determinazione dell'evento dannoso, accertamento demandato al giudice del merito, la cui valutazione, ove congruamente motivata, è insindacabile in Cassazione.

Cass. civ. n. 4480/2001

La responsabilità ex art. 2051 c.c. non richiede necessariamente che la cosa sia suscettibile di produrre danni per sua natura, cioè per suo intrinseco potere, in quanto anche in relazione alle cose prive di un proprio dinamismo il danno può verificarsi in conseguenza dell'insorgere in esse di un processo dannoso provocato da elementi esterni.

Cass. civ. n. 2331/2001

Ai fini della responsabilità prevista dall'art. 2051 c.c. il danneggiato deve provare il nesso eziologico tra la cosa in custodia e il danno, che sussiste o se il nocumento è stato causato dal dinamismo connaturato alla cosa o se in essa è insorto un agente dannoso, ancorché proveniente dall'esterno. Pertanto, se egli afferma di esser caduto da una scala per la presenza sui gradini di materiale scivoloso, deve provare l'esistenza di tali elementi, perché configurano il fatto costitutivo della domanda — restando poi al giudice di merito valutare se la cosa, nella sua globalità e non nelle singole parti specificamente pericolose, sia potenzialmente lesiva e perciò se l'evento verificatosi ne è conseguenza normale — che, in quanto tale, non può essere modificato dal danneggiato in corso di giudizio, come nel caso in cui il medesimo successivamente attribuisca invece la sua caduta all'intrinseca pericolosità dei gradini perché non adeguatamente visibili.

Cass. civ. n. 584/2001

In tema di danni da cose in custodia, il profilo del comportamento del custode è estraneo alla struttura della fattispecie normativa di cui all'art. 2051 c.c. ed il fondamento della responsabilità è costituito dal rischio che grava sul custode per i danni prodotti dalla cosa che non dipendano da fortuito.

Cass. civ. n. 13337/2000

Il dovere del custode di segnalare il pericolo connesso all'uso della cosa si arresta di fronte ad un'ipotesi di utilizzazione impropria, la cui pericolosità sia talmente evidente ed immediatamente apprezzabile da chiunque, tale da renderla del tutto imprevedibile, sicché l'imprudenza del danneggiato che abbia riportato un danno a seguito di siffatta impropria utilizzazione integra il caso fortuito per gli effetti di cui all'art. 2051 c.c.

Cass. civ. n. 6616/2000

In tema di danni causati da cose in custodia, l'art. 2051 c.c. non richiede necessariamente che l'idoneità lesiva dipenda dalla natura stessa di tali cose in quanto anche allorché questi siano prive di un proprio dinamismo sussiste un dovere di custodia e controllo quando il fortuito o l'effetto dell'azione umana possa prevedibilmente intervenire come causa esclusiva o come concausa nel processo obiettivo di produzione dell'evento dannoso provocando lo sviluppo di un agente, di un elemento o di un carattere che conferiscano alla cosa la idoneità suddetta. (Nella specie si è ritenuto che da tale principio correttamente il giudice di merito ha tratto la conseguenza che se è vero che l'acido solforico contenuto in un recipiente di vetro, privo di idonea chiusura, non produce nocumento se nessuno lo tocca, è altrettanto vero che deve essere previsto come accadimento del tutto normale che un recipiente di tal genere, se lasciato incustodito in luoghi passaggio di persone, possa per un qualsiasi motivo rompersi lasciando fuoriuscire il liquido altamente pericoloso).

Cass. civ. n. 10703/1999

In tema di responsabilità per danno cagionato da cose in custodia, le misure di precauzione e salvaguardia imposte al custode del bene devono ritenersi correlate alla ordinaria avvedutezza di una persona e perciò non si estendono alla considerazione di condotte irrazionali, o comunque al di fuori di ogni logica osservanza del primario dovere di diligenza, con la conseguenza che non possono ritenersi prevedibili ed evitabili tutte le condotte dell'utente del bene in altrui custodia, ancorché colpose. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso la responsabilità ex art. 2051 c.c. dell'ente pubblico proprietario di una strada per i danni subiti da un utente di essa sulla base di un apprezzamento sia delle condizioni stradali che del corrispondente comportamento colposo del danneggiato).

Cass. civ. n. 8997/1999

Il fondamento della responsabilità ex art. 2051 c.c. per il danno cagionato dalle cose che si hanno in custodia è costituito dalla violazione dell'obbligo di sorveglianza, il quale presuppone, però, che il terzo danneggiato abbia un titolo per entrare in legittima relazione con la cosa. Siffatto titolo non può essere rappresentato da un preteso «diritto di accesso alla natura», che si vuole consistere nella libertà di accedere, senza recare danni alle colture esistenti, nel fondo altrui che non sia chiuso, al fine di svolgervi attività escursionistiche, ricreative o simili. Un tale generalizzato diritto non sussiste, infatti, nell'ordinamento vigente, che si limita a prevedere, di volta in volta, nel codice civile ed in leggi speciali, particolari limiti alla proprietà per garantirne la funzione sociale, senza, svuotare, peraltro, di ogni contenuto la pienezza ed esclusività del diritto di proprietà. Pertanto, nel caso in cui taluno abusivamente acceda all'altrui proprietà, esula la responsabilità per danni cagionati dalle cose in custodia ex art. 2051 c.c., mentre sussisterebbe la generale responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c., ove sia configurabile la esistenza sul fondo di un pericolo imprevedibile dal quale il proprietario dello stesso, che non lo abbia chiuso, non abbia adempiuto l'obbligo di preservare l'incolumità dei passanti. Peraltro, ove, come nella specie, la relativa domanda ex art. 2043 c.c., proposta nel giudizio di primo grado, non sia stata riproposta in appello, non è ammissibile nel giudizio per cassazione.

Cass. civ. n. 6121/1999

Per aversi imputazione degli effetti dannosi a norma dell'art. 2051 c.c. è necessario che il danno si sia verificato nello sviluppo di un agente insito nella cosa e che il soggetto convenuto abbia per il rapporto con la cosa l'obbligo di vigilare e di tenerla sotto controllo, in guisa da impedire che produca danni ai terzi. Pertanto, non è rilevante, al fine di escludere la responsabilità ex art. 2051 c.c., che il processo dannoso sia stato provocato da elementi esterni, quando la cosa sia obiettivamente suscettibile di produrre danni, indipendentemente dal comportamento volontario di colui che se ne serve.

Cass. civ. n. 10759/1998

La presunzione di responsabilità di cui all'art. 2051 c.c. non opera nei confronti della P.A. per danni cagionati a terzi da beni demaniali sui quali è esercitato un uso ordinario, generale e diretto da parte dei cittadini, quando l'estensione del bene demaniale renda impossibile l'esercizio di un continuo ed efficace controllo che valga ad impedire l'insorgenza di cause di pericolo per i terzi. Tali principi sono applicabili nell'ambito del demanio stradale nel quale debbono intendersi comprese le scarpate, sia che costituiscano sostegno di una strada sovrastante, sia che a loro volta sovrastino un'altra strada, dovendo le scarpate considerarsi parti delle strade medesime.

Cass. civ. n. 10247/1998

Gli enti pubblici che hanno la gestione e l'obbligo di manutenzione di strade ordinarie non sono tenuti a realizzare, in ogni caso, tutte le strutture accessorie ad esse (quali ad es. canali di scolo delle acque, reti di protezione per caduta massi, ecc.) né tutte le misure cautelari (muretti laterali, guard-rails, segnalazioni luminose ai bordi stradali ecc.) dipendendo l'esigenza di adottare tali misure dalle caratteristiche e dalla natura di ciascuna strada, secondo una valutazione discrezionale della pubblica amministrazione, la quale pertanto potrà dotare di dette protezioni solo alcune parti di una strada e non altre, purché la soluzione di continuità dell'opera protettiva sia visibile per l'utente e purché l'opera, per come in concreto realizzata, non costituisca essa stessa un'insidia e cioè una situazione di pericolo così non visibile e non prevedibile.

Cass. civ. n. 9915/1998

Costituisce insidia o trabocchetto per gli utenti della strada, tale da rendere la P.A. cui ne spetta la gestione e la manutenzione responsabile dei fatti lesivi, quella costituita da segnali erronei o contraddittori nel caso ponga gli utenti nella impossibilità di discernere tempestivamente il segnale valido, e di regolare, di conseguenza, la propria condotta di guida. Il funzionamento di un impianto semaforico può pertanto dare luogo a responsabilità dell'amministrazione tutte le volte che tale funzionamento sia difettoso per erroneità o contraddittorietà dei segnali, e così viene a realizzarsi una situazione di insidia nel caso in cui il semaforo segni verde per i veicoli provenienti da una direzione di marcia, e proietti luce intermittente o non proietti alcuna luce perché spenta per i veicoli provenienti da altra direzione di marcia.

Cass. civ. n. 5989/1998

Nell'esercizio del suo potere discrezionale inerente alla esecuzione e manutenzione di opere pubbliche la P.A. incontra limiti derivanti sia da norme di legge, regolamentari e tecniche, sia da regole di comune prudenza e diligenza, prima fra tutte quella del neminem laedere in ossequio alla quale essa è tenuta a far sì che l'opus publicum (in particolare una strada aperta al pubblico transito) non integri per l'utente gli estremi di una situazione di pericolo occulto (cosiddetta insidia o trabocchetto). Tale situazione ricorre, in particolare, quando lo stato dei luoghi è caratterizzato dal doppio e concorrente requisito della non visibilità oggettiva del pericolo e della non prevedibilità subiettiva del pericolo stesso.

Cass. civ. n. 5796/1998

Il fatto colposo del danneggiato integra gli estremi del fortuito idoneo a superare ai sensi dell'art. 2051 c.c. la presunzione di responsabilità del custode della cosa per i danni che essa sia suscettibile di produrre di per sé o per insorgenza in essa di agenti dannosi, soltanto quando sia dotato di autonomo impulso causale e sia per lo stesso custode, imprevedibile ed inevitabile.

Cass. civ. n. 2850/1998

Non ogni irregolarità del manto stradale nella specie per protuberanze determinate dalle radici di piante costituisce insidia o trabocchetto, tale da configurare la responsabilità della P.A., ai sensi dell'art. 2043 c.c., se si verifica un incidente, ma occorrono altresì l'oggettiva invisibilità e la soggettiva imprevedibilità del pericolo, da provare dal danneggiato, nel giudizio di merito.

Cass. civ. n. 2470/1998

L'elemento soggettivo dell'insidia, ai fini della sussistenza della responsabilità extracontrattuale della pubblica amministrazione nei confronti dell'utente di opere pubbliche, concretandosi nella non prevedibilità del pericolo, non è a priori escluso dalla consapevolezza dell'esistenza dello stesso, essendo necessario l'accertamento in concreto della rappresentazione psicologica dell'ubicazione del punto pericoloso.

Cass. civ. n. 7742/1997

Sussiste l'insidia, fondamento della responsabilità risarcitoria ex art. 2043 c.c. della P.A. per i danni riportati da un utente di una strada in cui sono in corso dei lavori, anche se il pericolo è segnalato, ma non è visibile, sì che permane l'imprevedibilità di esso, con riferimento alla sua ubicazione. (Nella specie il cantiere era transennato con nastro catarifrangente, ma i circostanti ammassi di pietre e la buca, luogo dell'infortunio, non erano illuminati con apposite lampade).

Cass. civ. n. 4196/1997

La presunzione di colpa prevista dall'art. 2051 c.c. per i danni cagionati dalle cose in custodia, gravante su colui che esercita il potere fisico sulla cosa stessa, costituisce estrinsecazione del dovere di vigilare e di tenere la cosa sotto controllo in guisa da impedire che produca danni a terzi. L'operatività della presunzione — limitata ai danni prodotti nell'ambito del dinamismo proprio della cosa o in conseguenza dell'insorgere in essa di un processo dannoso anche se provocato da elementi esterni — postula la dimostrazione del fortuito, comprensivo del fatto del terzo e della colpa dello stesso danneggiato, cioè di un atto dotato di impulso causale autonomo ed avente carattere di inevitabilità. (Nella specie, la S.C. ha escluso l'applicabilità dell'art. 2051 c.c. e ritenuto applicabile l'art. 2043 stesso codice nel caso di infortunio subito per caduta su una scala interna di un esercizio pubblico resa viscida dalla caduta di gelato).

Cass. civ. n. 340/1996

La responsabilità della P.A. per danni conseguenti a difetto di manutenzione delle strade è configurabile quando risulti violato il limite posto alla discrezionalità amministrativa dalla norma primaria e fondamentale del neminem laedere e, particolarmente, quando le strade a causa delle condizioni nelle quali sono tenute presentino per l'utente che fa ragionevole affidamento sulla loro apparente regolarità una situazione di pericolo occulto, in relazione al carattere obiettivo della non visibilità ed a quello subiettivo della non prevedibilità.

Cass. civ. n. 265/1996

La presunzione di responsabilità per danni cagionati dalla cosa in custodia, di cui all'art. 2051 c.c., non si applica agli enti pubblici, ogni qual volta il bene, sia esso demaniale o patrimoniale, per le sue caratteristiche (estensione o modalità di uso) è oggetto di una utilizzazione generale e diretta da parte di terzi che limita in concreto la possibilità di custodia e vigilanza sulla cosa. (Nel caso di specie la Corte ha escluso la applicabilità di questo principio alla fattispecie concreta e l'affermata responsabilità dell'Enel per danni cagionati in conseguenza della caduta di un fulmine su di un trefolo e sulla fune di guardia di una linea elettrica ad alta tensione, osservando che si trattava di oggetti in uso esclusivo dell'ente per la gestione della linea).

Cass. civ. n. 2189/1975

Il caso fortuito è un elemento imprevisto ed imprevedibile che, inserendosi in un determinato processo causale e soverchiando ogni possibilità di resistenza e di contrasto da parte delle forze dell'uomo, rende inevitabile il compiersi dell'evento.

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Consulenze legali
relative all'articolo 2051 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

Anonimo chiede
sabato 02/03/2024
“Riporto ciò che ho letto sul vs.sito: Cass.civ. n. 10983/2023. In tema di danni da cose in custodia, poiché la responsabilità ex art. 2051 c.c implica la disponibilità giuridica e materiale del bene che dà luogo all'evento lesivo, al proprietario dell'immobile locato sono riconducibili in via esclusiva i danni arrecati a terzi dalle strutture murarie e dagli impianti in esse conglobati, di cui conserva la custodia anche dopo la locazione, mentre grava sul solo conduttore la responsabilità per i danni provocati dagli accessori e dalle altre parti dell'immobile, che sono acquisiti alla sua disponibilità.
La mia domanda è: dei danni a terzi (caduta di calcinacci per infiltrazioni dal pavimento) conseguenti a omessa o insufficiente manutenzione di un balcone aggettante di appartamento concesso in comodato, è responsabile il proprietario o il comodatario, nel caso in cui il proprietario abbia libero accesso e possibilità di controllo sull'immobile? Grazie mille.”
Consulenza legale i 12/03/2024
L’art. 2051 c.c. integra una forma di responsabilità extracontrattuale, che trova la sua fonte non in un contratto, quindi in un accordo tra le parti, bensì in un fatto illecito. In particolare, viene in considerazione la violazione di un dovere di custodia della cosa.
Ora, rispetto ai presupposti di tale responsabilità, la giurisprudenza (Cass. Civ., Sez. VI - 3, ordinanza 21/01/2021, n. 1108) ha chiarito che la responsabilità ex art. 2051 c.c. presuppone la sussistenza di un "effettivo potere di governo della cosa". Pertanto, è necessario che sia ravvisabile la figura del custode, il quale deve possedere i seguenti requisiti:
  • una effettiva e non occasionale disponibilità, sia essa materiale che giuridica, della cosa;
  • il potere di controllare la cosa;
  • la capacità di modificare la situazione di pericolo venutasi a creare;
  • il potere di escludere qualsiasi terzo dall'ingerenza sulla cosa.

Occorre dunque verificare caso per caso se il comodatario (per quanto qui interessa) possa essere considerato titolare di un simile potere/dovere di custodia.
Con specifico riferimento al comodato, sempre la Cassazione (Sez. III Civile, sentenza 30/06/2015, n. 13363) ha affermato quanto segue: “"Custode" ex art. 2051 c.c. e quindi responsabile del danno causato dalla cosa, è chiunque abbia un potere anche solo di fatto sulla cosa fonte di danno. La custodia può essere esercitata sia da una persona sola, sia da più persone, anche in virtù di titoli diversi: e si parla in tal caso di cocustodia. Una ipotesi di cocustodia si verifica nel caso giustappunto di locazione o comodato, quando il danno sia derivato da parti della cosa rispetto alle quali non possa dirsi che il locatore od il comodatario [rectius, il comodante] si siano completamente spogliati di ogni potere di vigilanza e controllo”.
La stessa sentenza da ultimo citata ricorda anzi il “generale principio per il quale il comodante non è affatto esonerato per i danni causati dalla cosa data in comodato”.

Alla luce dei principi espressi dalla giurisprudenza, dunque, occorre verificare se, in concreto, permanga (anche) un potere/dovere di custodia in capo al proprietario. Si tenga presente, in proposito, che sempre la Suprema Corte (Cass. Civ., Sez. II, ordinanza 10/12/2020, n. 28197) ha chiarito, sia pur con riferimento alla locazione di immobile, che “rimane in capo al proprietario la responsabilità per i danni arrecati dalle strutture murarie e dagli impianti in esse conglobati, delle quali conserva la disponibilità giuridica e, quindi, la custodia”.

R. A. chiede
venerdì 01/03/2024
“Se l'importo del valore a nuovo di un immobile condominiale assicurato con polizza globale fabbricato non viene aggiornato e in caso di sinistro la compagnia di assicurazione liquida il danno applicando la proporzionale, chi è responsabile? La differenza non liquidata dalla compagnia chi la dovrà pagare?”
Consulenza legale i 08/03/2024
Quando si subiscono dei danni all’immobile di cui si è proprietari, è necessario individuare quali siano le cause per imputare la responsabilità al soggetto corretto.
Nel caso di specie pare che sia certa la responsabilità del Condominio per i danni causati ad un condomino.
La responsabilità del Condominio trova il suo fondamento nell’art 2051 c.c. che disciplina la responsabilità oggettiva del soggetto che ha il bene in custodia.
L’Assicurazione paga i danni al danneggiato in forza di un rapporto contrattuale che ha con l’assicurato, in questo caso il Condominio, ma non per questo è obbligato al suo posto.
In caso, quindi, di mancata copertura assicurativa per una parte dei danni subiti, il danneggiato dovrà chiedere la differenza al Condominio che sarà tenuto a risarcirlo per il maggior danno.

S. B. chiede
venerdì 26/01/2024
“Buongiorno, spiego brevemente il mio problema. A dicembre 2022 si sono rotte le tubazioni del riscaldamento del condominio che passano sopra il mio box, ed è fuoriuscita acqua mista a calcare che ha danneggiato la carrozzeria dell'auto ivi parcheggiata. Il danno fu notificato immediatamente all'Amministratore del condominio (con foto). La riparazione è costata Euro 4475.61. I soldi per la riparazione sono stati pagati da me: l'Amministratore mi scrisse di fare così in attesa di ricevere il rimborso da parte dell'assicurazione condominiale. dopo apertura del sinistro, ad ottobre 2023 ho ricevuto un rimborso di Euro 2239.01. Ad oggi, la quota non rimborsata (Euro 2236.6) è rimasta a mio carico. È corretto che sia cosi? Oppure dovrebbe essere distribuita su tutti i condomini (me incluso) in proporzione ai millesimi in quanto guasto da parti comuni? Ho inviato all'amministratore foto del danno, fattura per la riparazione e lettera di rimborso da parte della Compagnia Assicurativa ma, ad oggi, sono stato ignorato sull'argomento. Mi potete dare un parere? Grazie”
Consulenza legale i 01/02/2024
Il condominio risponde dei danni causati dai beni comuni in forza di quanto disposto dall’art. 2051 del c.c., disciplinante la responsabilità derivante dalle cose in custodia.

Per tale motivo è una prassi frequentissima (per non dire “quasi obbligatoria”) stipulare una assicurazione che ha il compito proprio di tenere indenne il condominio (e quindi i suoi proprietari) da questa tipologia di sinistri.

Bisogna tenere ben presente che da un punto di vista giuridico la stipula di una assicurazione non comporta la traslazione della responsabilità del sinistro in capo alla compagnia assicurativa: il compito della compagnia è solo quello di pagare il danno conseguenza del sinistro in sostituzione del suo responsabile. Tuttavia, in virtù di precise clausole contrattuali presenti in polizza, durante la fase stragiudiziale di liquidazione la compagnia agisce anche in nome per conto del danneggiante. Il medesimo discorso può dirsi nel caso in cui la vicenda, per i motivi più disparati, dovesse approdare nelle aule giudiziarie: sovente il legale della compagnia assicurativa rappresenta anche il danneggiante, nel caso in cui le rispettive posizioni processuali non dovessero risultare incompatibili.

Trattando il caso specifico, possiamo dire che l’autore del quesito ha subito un danno derivante da un bene condominiale: in forza di quanto previsto dall’art. 2051 del c.c. di tale danno ne risponde il condominio e in maniera del tutto corretta l’amministratore ha attivato la copertura assicurativa. Il quesito non fornisce elementi sufficienti per capire le ragioni che hanno portato la compagnia a liquidare un danno molto inferiore a quello effettivamente lamentato, ma fatto sta che questo è la liquidazione che la compagnia, e di riflesso quindi il condominio, ritiene dovuta.

Posto che comunque il soggetto giuridico che è chiamato a rispondere del danno rimane il condominio (e quindi i proprietari che lo compongono,, ciascuno in proporzione ai suoi millesimi di proprietà), all’autore del quesito, se desidera provare a recuperare l’intero danno patito, non rimane altra strada che trattenere la somma offerta dalla compagnia come acconto sul maggior danno subito, e con l’ausilio di un legale citare in giudizio il condominio in qualità di responsabile del danno patito ai sensi dell'art. 2051 del c.c. per il recupero della differenza. Sarà poi compito del condominio nell’ambito della sua difesa coinvolgere nella controversia anche la propria compagnia assicurativa.
Ovviamente, se ci verranno forniti ulteriori elementi, rimaniamo a disposizione per fornire i chiarimenti necessari a comprendere se vale la pena portare avanti un tale tipo di contenzioso.

L. M. chiede
giovedì 21/12/2023
“Buongiorno, desidero una vostra consulenza legale su quanto descritto in appresso.
In un appartamento di mia proprietà, dove alloggio periodicamente, perché ubicato in altra città rispetto alla mia residenza, si é verificata un'abbondante infiltrazione di acqua, dovuta ad errore dell'impresa incaricata di ristrutturare l'appartamento sovrastante, che ha provocato profonda umidità con estese macchie nei soffitti e lungo le pareti ad eccezione dell'ingresso causando danni a mobili, arredi, dipinti e quadri.
L'impresa ha ammesso verbalmente l'errore e si é messa a disposizione per effettuare le necessarie riparazioni.
Appena venuto a conoscenza dell'accaduto, ho convocato la proprietaria e il direttore dei lavori mostrando le conseguenze dell'imperizia dell'impresa che ne hanno preso atto.
In realtà, é venuto il marito della proprietaria, che é avvocato il quale non ha eccepito alcunché di fronte alla mia constatazione e affermazione riguardo alla responsabilità diretta di sua moglie in un clima di apparente serenità.
Rientrato nella mia residenza, ho inviato a sua moglie - come concordato con il predetto avvocato - una lettera raccomandata a.r. in cui riepilogo i fatti e fornisco linee guida per gestire assieme la situazione entrando nei dettagli quanto alle cose da fare e alle spese da sostenere presupponendo la diretta responsabilità della proprietà dell'appartamento nei miei confronti (e non dell'impresa alla quale la danneggiante si potrà rivolgere in autonomia per il risarcimento essendo io danneggiato estraneo ai loro rapporti).
Il ripetuto avvocato ha risposto con altrettanta lettera raccomandata a.r. dichiarando che la responsabilità ricade, invece, esclusivamente sull'impresa; in pratica, "tirandosi fuori dal caso".
Chiedo un vostro parere al riguardo, allegando - per vostro otrientamento - le lettere raccomandate richiamate.
Grazie.”
Consulenza legale i 27/12/2023
L’ art. 2051 del c.c. dispone che ciascuno è responsabile del danno causato dalle cose che ha in custodia, salvo provare il caso fortuito.
Tale fattispecie di responsabilità civile è frequentemente applicata in ambito condominiale soprattutto nel caso di danno da infiltrazioni provenienti da appartamenti ricompresi nei piani sottostanti. Il motivo di questo è rappresentato dal fatto che la giurisprudenza interpreta il rapporto di custodia intercorrente tra colui che deve rispondere del danno causato dalla cosa e la cosa medesima in senso molto ampio: per principio ormai granitico e assolutamente acquisito infatti è sicuramente custode dell’appartamento il suo legittimo proprietario, oppure per fare un altro esempio, l’amministratore di condominio rispetto alle parti comuni dell’edificio.

Affinchè però possa essere contestata una responsabilità ai sensi dell’art. 2051 del c.c. la giurisprudenza in maniera altrettanto granitica, partendo dal dato letterale della norma in commento, richiede anche che il danno lamentato sia conseguenza diretta del bene in custodia.
Un esempio classico di responsabilità da cose in custodia ex art 2051 del c.c. è il danno da infiltrazioni derivato dallo scoppio di una tubatura ricompresa nell’appartamento sovrastante: questo è un tipico caso di scuola di danno che deriva dal bene, nello specifico il tubo dell’appartamento, e quindi potrebbe essere il suo proprietario (o il condominio, se il tubo è un bene comune) a doverne rispondere ai sensi dell’art. 2051 del c.c.

A quanto pare di capire la dinamica del sinistro descritto nel quesito è pacificamente ammessa da tutte le parti coinvolte: essa però non sembra configurare una responsabilità del proprietario dell’appartamento sovrastante ai sensi dell’art. 2051 del c.c., questo per il semplice motivo che il danno lamentato non è stato causato dalla cosa in se, ma da una negligenza commessa da una impresa appaltatrice che stava realizzando dei lavori nello stabile e che ha coinvolto l’appartamento del piano superiore. Tale negligenza, tra le altre cose pare sia stata ammessa pacificamente anche dalla stessa ditta che stava intervenendo nello stabile.

Per tale motivo è assolutamente comprensibile la difesa della proprietà dell’appartamento soprastante che devia le responsabilità a lei contestate verso chi pare essere la vera causa del danno: ovvero la negligenza commessa dalla impresa edile, la quale con ogni probabilità, sarà lei (o la sua assicurazione) che risarcirà i danni commessi, tenendo nel contempo manlevata da ogni richiesta risarcitoria la proprietà dell’appartamento soprastante.
La lettera di controparte non deve però essere vista con ostilità: essa rientra in una comprensibile strategia difensiva in una vicenda che con ogni probabilità si chiuderà rapidamente in sede stragiudiziale eventualmente con il coinvolgimento della compagnia assicurativa condominiale e della ditta che ha eseguito i lavori.


A. N. chiede
sabato 02/12/2023
“L'edificio nel quale è costituito un condominio, uno dei quattri lati dell'edificio è servito da due pluviali, che hanno lo scarico fuori norma (cioè, anzichè scaricare l'acqua meteorica verso l'aperto devono farla proseguire nel sottosuolo tramite una aggiunta di tubo) per intervento di un condomino che intendeva non far scorrere troppa acqua nella propria corte. Nella parte alta dei detti pluviali, sotto la sporgenza del solaio, lateralmente al congiugimento con gli imbuti di raccolta acque meteoriche (da una terrazza di proprietà privata), si sono manifestati danni da distacco dell'intonaco, che sospetto provocati da un non scorrevole smaltimento delle acque meteoriche a causa degli predetti scarichi (per me) fuori norma. Allo stesso livello nell'appartamento, all'interno dell'edificio, il soffitto in una stanza si è gonfiato ed è prossimo al distacco. In altri parti si sono manifestate macchie da umidità e goccioliolamenti. Quale normativa è applicabile per obbligare il condominio a rimettere a norma gli scarichi non più a vista? Laddove gli scarichi sono a norma non si sono verificati danni.”
Consulenza legale i 05/12/2023
Quanto descritto è un classico caso di risarcimento del danno in ambito condominiale. I proprietari degli appartamenti che hanno subito un danno dal sistema pluviale non a norma potranno radicare un contenzioso sicuramente nei confronti del condominio nella persona dell’amministratore pro tempore, ma molto probabilmente anche nei confronti del proprietario che beneficia di tale irregolarità, invocando nello specifico gli artt. art. 2043 del c.c. e 2051 del c.c. Ovviamente un contenzioso di questo tipo dovrà essere sorretto da adeguato materiale probatorio ed in particolare da una perizia di parte che certifichi da un lato l’irregolarità del sistema di scolo delle acque reflue presente nel palazzo e dall’altro dimostri come questa irregolarità abbia causato il danno lamentato. Ovviamente la perizia dovrà anche preoccuparsi di quantificare questo danno stabilendo l’importo dei lavori necessari per ripristinare la regolarità dell’intonaco.

E giusto precisare infine che queste tipologie di contenzioso si risolvono solitamente in gran parte in sede stragiudiziale prima di addivenire ad un vero e proprio giudizio: tuttalpiù si dovrà radicare una procedura di mediazione ai sensi del D.Lgs n.28/10.
È molto probabile che una volta ricevuta la lettera di contestazione da parte del legale dei condomini danneggiati l’amministratore dello stabile coinvolga nella vicenda anche la compagnia assicurativa del condominio.


A. S. chiede
lunedì 16/10/2023
“Buongiorno,
sono proprietario da oltre 50 anni di un appartamento al piano attico con ampie terrazze la cui proprietà è condominiale ma l'uso da parte mia è esclusivo. In fase di costruzione emersero molti difetti di costruzione e di impermeabilizzazione che obbligarono l'allora Cooperativa, titolare dell'immobile a cambiare costruttore perchè il precedente nel frattempo era fallito. Fra una chiacchiera e l'altra il palazzo è stato abbandonato per 4 anni (dal 1964 al 1968) finchè è stato ultimato e gli appartamenti sono stati consegnati nel 1969. Nel 1974 il proprietario sottostante il mio appartamento ha cominciato a lamentare problemi di infiltrazioni nei soffitti di tre locali, sono stati fatti interventi di tutti i tipi finchè, c'è stata una causa civile che ha visto la Cooperativa soccombente, è stato richiesto nel 1980 l'intervento di un Commissario Governativo (il palazzo era stato costruito con un mutuo sovvenzionato dallo Stato) che, avendo i poteri del CDA della Cooperativa ha imposto la realizzazione di ulteriori lavori sul terrazzo del mio appartamento. La suddivisione delle spese fu fatta dal commissario in base ai millesimi di proprietà perchè trattavasi di manutenzione non dovuta a vetustà ma a difetti di fabbricazione.
Successivamente sono stati fatti altri interventi sparsi nel tempo per ripristinare i soffitti che presentavano "sfondellamenti" causati dalla ruggine che nel frattempo aveva invaso tutti i ferri dei travetti dei solai costruiti "in opera" ma con scarsissimo cemento e privi di qualsiasi tipo di isolamento, soggetti quindi a "ponte termico" che ha continuato nel tempo a peggiorare le cose.
Dopo diversi interventi di "rattoppo" dei solai (ripartiti in base ai millesimi di proprietà (una volta in parti uguali)), si è deciso di fare un lavoro "serio" di ripristino e rinforzo di tutti i solai con un costo che supererà i 200 mila euro, somma che si sperava di mitigare con qualche superbonus (pare che dovremmo rientrare nel Sismabonus ma non essendo ancora cominciati i lavori, credo che la percentuali diminuiranno sempre di più a seconda della fine dei lavori.
A fine maggio scorso un'assemblea ha deciso di ripartire tutte queste spese in base agli articoli 1125 e 1126 caricando me e il sottostante , danneggiati come gli altri dalla difettosa costruzione, di una percentuale enorme di spese.
Ho visto sentenze di cassazione che sostengono che se i lavori non sono dovuti a vetustà l'articolo 1126 non si può applicare ma va applicato il 2051 che addebita al "proprietario" il costo per non aver "risolto" il problema (cosa molto difficile da fare con i rattoppi).
Ora il mio dubbio è se si addivenisse ad un accordo per l'applicazione dell'articolo 2051 la somma da pagare sarebbe ripartita in base ai millesimi di proprietà o addebitata totalmente a sottoscritto che sono solo ll'utilizzatore finale ma nn il proprietario. Per finire dispongo di molta documentazione che atesta quanto da me indicato nella presente).
Vi ringrazio per l'attenzione”
Consulenza legale i 19/10/2023
La giurisprudenza in maniera assolutamente costante sostiene ormai da anni il principio secondo il quale gli artt. 1125 e 1126 del c.c., disciplinanti la suddivisione delle spese per la ricostruzione dei soffitti delle volte e dei solai e della copertura data dal lastrico solare ai piani sottostanti, cedono il passo alle norme sul risarcimento del danno ed in particolare alla responsabilità delle cose in custodia di cui all’art. 2051 del c.c. nel momento in cui si accerta che il danno derivante agli appartamenti sottostanti non è dovuta alla vetustà del fabbricato e al naturale scorrere del tempo ma ad una omessa manutenzione del bene da parte di colui che può considerarsi suo custode.

Il concetto di custode utilizzato dal legislatore nell’art. 2051 del c.c. è molto più ampio di quello comunemente inteso. Esemplificando può definirsi custode del bene ai sensi dell’art. 2051 del c.c. colui che ha un rapporto di controllo e di sorveglianza sul bene da cui il danno è direttamente derivato: rientra sicuramente in questa definizione il condomino a cui è stato attribuito l’uso esclusivo del lastrico ai sensi dell’art. 1126 del c.c. In questo senso, quindi, il fatto che il lastrico solare venga attribuito in uso esclusivo ad un singolo proprietario può portare alla esclusione del condominio, dei proprietari che lo compongono e del suo amministratore da ogni responsabilità in caso di danni derivanti dalla incuria nella manutenzione del lastrico medesimo. Di conseguenza, ammettere che i danni da infiltrazione presenti nel palazzo siano causati dalla incuria in cui versa il lastrico solare, avrebbe come ovvia conseguenza che colui a cui è attribuito il diritto di uso del medesimo dovrebbe sobbarcarsi interamente il pagamento.

La verità è che nelle vicende come quelle descritte non è sempre è facile né sempre possibile capire con chiarezza quando il danno da infiltrazioni sia causato dalla normale vetustà della copertura e delle altre parti comuni del condominio, e quando invece sia causato dalla incuria manutentiva di chi aveva la custodia di tali parti dell’edificio ai sensi dell’art. 2051 del c.c. Quanto appena detto è più che altro una questione che riguarda i periti nominati dalle parti o dal giudice in un ipotetico contenzioso: quello che ci si sente di dire è che in una vicenda come quella descritta, caratterizzata da diversi interventi nel corso degli anni, è molto difficile che qualsiasi tecnico incaricato di fornire una perizia sul punto possa dare una risposta definitiva e certa. Si deve tenere inoltre presente che la responsabilità di tutto parrebbe essere riconducibile ad un difetto originario di costruzione, ma ogni azione diretta nei confronti della impresa costruttrice dello stabile è ormai compromessa dal decorso di ogni termine prescrizionale.

Per questi motivi si ritiene che l’importo dei lavori debba essere suddiviso facendo applicazione delle norme del diritto condominiale ed in particolare degli artt. 1125 e 1126 del c.c., ove applicabili.

S. C. chiede
mercoledì 16/08/2023
“Nel sottotetto da poco ristrutturato e recuperato ad abitazione mediante la realizzazione di un nuovo tetto, su una palazzina condominiale, si manifestano alcune infiltrazioni d'acqua su una parete. Si presume che ciò sia addebitabile alla cattiva esecuzione delle opere di scolo delle acque meteoriche che interessano la copertura del tetto. Il tetto è un bene condominiale, tanto che tutti i condomini hanno contribuito economicamente, in ragione dei rispettivi millesimi, alla realizzazione del nuovo tetto. Vorrei sapere se l'azione nei confronti dell'impresa esecutrice dei lavori deve essere intrapresa dal condominio o singolarmente dal condomino proprietario dell'alloggio realizzato nel sottotetto. Oppure se quest'ultimo deve agire in giudizio nei confronti del condominio, affinché esso abbia titolo per agire nei confronti dell'impresa.”
Consulenza legale i 08/09/2023
In linea generale, quando un appartamento subisce delle infiltrazioni derivanti da una parte comune condominiale, il proprietario ha titolo per agire in giudizio nei confronti del Condominio che svolge un ruolo di custode sui beni comuni ex art. 2051 c.c.
Nel caso di specie, però, il tetto condominiale è stato recentemente rifatto e solo a seguito di questi lavori si sono verificate infiltrazioni nell’appartamento sottostante, adibito ad abitazione privata, sembra di capire nell’ambito dello stesso appalto.
L’individuazione della legittimazione attiva e passiva per ottenere il risarcimento dei danni necessita di un’analisi approfondita del contratto di appalto e dell’individuazione del committente, delle opere commissionate e delle cause dei danni.

Non è chiaro se il Condominio sia stato l’unico committente dei lavori nel loro complesso, sia per il recupero del sottotetto (poi alienato ad un terzo) che per il rifacimento del tetto.
Se così fosse il Condominio avrebbe il titolo per agire nei confronti dell’impresa appaltatrice per responsabilità contrattuale per non avere quest’ultima eseguito i lavori a regola d’arte.

Per il singolo condomino, che non è stato parte nel contratto di appalto, invece, si aprono diverse possibilità di azione.
Può agire direttamente nei confronti dell’impresa come terzo danneggiato ai sensi dell’art. 2043 del c.c. in quanto l’appaltatore ha un’autonomia nello svolgimento della propria opera con mezzi e modalità autodeterminate (Cass. civ. n. 20557/2014).
Se invece fosse anch’esso committente dei lavori avrebbe titolo per agire per responsabilità contrattuale esattamente come il Condominio.
Può agire però anche nei confronti del Condominio qualora risultasse che i danni sono stati causati anche da una culpa in vigilando e/o in eligendo di quest’ultimo, nello specifico nei confronti dell’Amministratore quale rappresentante dell’ente di gestione (Cass. civ. n. 20557/2014; Cass. civ. n. 20322/2021; Cass. civ. n. 24058/2022).

Si consiglia quindi di analizzare la documentazione con l’ausilio di un legale e valutare la possibilità di introdurre un Accertamento Tecnico Preventivo ai sensi dell’art. 696 del c.p.c. e art. 696 bis del c.p.c..
In questo modo verrebbe eseguita una consulenza tecnica prima dell’introduzione del giudizio di merito, in contraddittorio tra le parti interessate, così da verificare effettivamente quali siano le cause delle infiltrazioni e decidere se citare solo l’impresa o anche il Condominio.
Qualora dovesse risultare che le cause siano da ricondursi solo ad una mala esecuzione dei lavori, il singolo condomino che ha subito le infiltrazioni, e anche il Condominio, potranno introdurre un’azione giudiziaria nei confronti dell’impresa esecutrice, per lo stesso titolo se entrambe parti del contratto d’appalto, in caso contrario, a titolo diverso come già descritto.

Se, invece, dovesse emergere anche una responsabilità condominiale per i motivi suindicati, il proprietario del nuovo appartamento danneggiato dovrà chiamare in causa anche il Condominio.

Si consiglia di rivolgersi ad un legale il prima possibile per evitare di incorrere nella decadenza delle azioni nei confronti dell’appaltatore e la prescrizione del diritto ai sensi degli art. 1667 del c.c. e art. 1669 del c.c..

M. G. chiede
mercoledì 26/07/2023
“Buongiorno.
A seguito delle avverse condizioni meteo, verificatsi lunedì 24 Luglio 2023, che si sono abbattute sull'abitazione dove sono affittuario, in provincia di YYY a XXX, primo piano, il pannello fotovoltaico che avevo installato con una configurazione Off-Grid, senza alciuna connessione alla rete, con potenza inferiore a 800W per la quale non sono necessari alcun permesso come specificato nel DM 2 Marzo 2018, si è strappato, volando via e provocando danno a due auto in sosta in suolo pubblico.
Non essendo proprietario dell'abitazione non posseggo alcuna assicurazione ne per la stessa abitazione, ne per responsabilità vero terzi.
Sono responsabile dei danni provocati dal pannello fotovoltaico che si è strappato a causa dell'evento atmosferico fortuito?
Grazie per la vostra preziosa risposta”
Consulenza legale i 31/07/2023
L’art. 2051 del c.c. dispone che: "Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito".
Innanzitutto è quindi importante capire quale sia la cosa che può considerarsi rilevante per la responsabilità tratteggiata dall’art. 2051 del c.c. La giurisprudenza in maniera costante (tra le tante, Cass.Civ. n.21977/2022) ha chiarito che ai fini della norma che si sta commentando non è necessario che la cosa (sia essa un bene mobile o immobile) debba essere necessariamente pericolosa (es. un coltello da cucina o un’arma), ma è sufficiente, che essa, in forza di un elemento esterno divenga dinamica: il danno infatti che la norma tende a colpire è quello che è causato dal dinamismo del bene stesso, e non quel danno causato da un individuo servendosi di quell’oggetto.
È ovvio che l’evento atmosferico del 24.07.23 è quell’elemento esterno che ha reso i pannelli fotovoltaici dei beni dinamici, i quali precipitando sulle vetture sottostanti hanno poi causato il danno lamentato.

Per l’art. 2051 del c.c. risponde del danno causato dal bene dinamico, colui che era custode di tale bene. Sempre per giurisprudenza assolutamente dominante, custode della cosa non è solo il proprietario della stessa ma anche colui che ne ha la detenzione qualificata: per detenzione qualificata si intende la possibilità in capo al custode di escludere terzi soggetti esterni dalla ingerenza sul bene, sia antecedentemente alla produzione del danno sia in concomitanza alla manifestazione del danno medesimo.

Comunemente la giurisprudenza ritiene che il contratto di locazione sia un atto idoneo a far sorgere in capo al conduttore questa detenzione qualificata, ma vi sono sotto questo aspetto delle precisazioni da fare.
La recente Cass.Civ.,Sez.III n. 10983 del 26.04.2023 ha infatti precisato che: "In tema di danni da cose in custodia… al proprietario dell'immobile locato sono riconducibili in via esclusiva i danni arrecati a terzi dalle strutture murarie e dagli impianti in esse conglobati, di cui conserva la custodia anche dopo la locazione, mentre grava sul solo conduttore la responsabilità per i danni provocati dagli accessori e dalle altre parti dell'immobile, che sono acquisiti alla sua disponibilità".
Essendo l’impianto fotovoltaico un bene evidentemente conglobato nell’unità immobiliare locata non è assolutamente scontato quindi che possa considerarsi custode di tale manufatto l’inquilino dell’appartamento, dovendosi piuttosto ritenere che permanga in capo al locatore la responsabilità per il danno cagionato dai pannelli fotovoltaici a causa delle avverse condizioni atmosferiche.

Ad ogni modo, se anche si volesse addebitare al conduttore una qualche responsabilità ex art 2051 del c.c., vi sarebbero anche argomentazioni per sostenere la sussistenza dell’esimente del caso fortuito.
In linea generale per caso fortuito si intende un evento talmente raro da non potersi in alcun modo prevedere e tale che non si possa pretendere al danneggiante di tenerne conto, oppure un evento che in una specifica occasione abbia prodotto conseguenze dannose del tutto anomale ed abnormi rispetto a quelle che è solito produrre, che non si può pretendere siano state da qualcuno anche solo previste come possibili.
Ora, come è facile intuire da questa definizione, non sempre un forte temporale, anche se importante, è idoneo in sé e per sé a far scattare la sussistenza del caso fortuito, in quanto esso è un fenomeno atmosferico che può solitamente accadere: bisogna però tener conto del particolare momento storico e climatico che si sta vivendo, il quale ha visto affacciarsi anche sulla nostra penisola eventi atmosferici molto violenti sicuramente insoliti e differenti rispetto al passato. Ciò potrebbe sicuramente essere di aiuto per sostenere il verificarsi del caso fortuito, e più specificatamente ricorrendo ai dati pluviometrici presenti nella zona in cui si è verificato il sinistro.
Cass. Civ.,Sez.III, con Ord. n.4588 dell’ 11.02.2022 ha precisato infatti: "Le precipitazioni atmosferiche integrano l'ipotesi di caso fortuito, ai sensi dell'art. 2051 c.c. quando assumono i caratteri dell'imprevedibilità oggettiva e dell'eccezionalità, da accertarsi - sulla base delle prove offerte dalla parte onerata (cioè, il custode) - con indagine orientata essenzialmente da dati scientifici di tipo statistico (i ccdd. dati pluviometrici) di lungo periodo, riferiti al contesto specifico di localizzazione della "res" oggetto di custodia…"
Se quindi analizzando i dati pluviometrici di zona dovesse emergere la particolare eccezionalità dell’evento atmosferico che ha portato al distacco dei pannelli fotovoltaici e quindi al danno, vi sarebbero delle possibilità per poter sfuggire alla responsabilità da cose in custodia prevista dall’art. 2051 del c.c.


P. D. chiede
venerdì 21/07/2023
“Lamento continue infiltrazioni d’acqua dal bagno del piano superiore (3 in un anno) che mi costringono al disagio, oltre di dover riparare/sostituire e riverniciare ogni volta il controsoffitto del mio bagno, a presenziare la mia abitazione per i necessari sopralluoghi, o a dover chiamare una persona di mia fiducia a farlo, per svariati giorni ogni volta che si verifica tale inconveniente, sia durante la ricerca del danno che durante la fase di riparazione. Il proprietario del piano superiore si offre ovviamente di rimborsarmi le sole spese di riparazione e riverniciarura del controsoffitto, ma per me il danno maggiore (economico e personale) è quello di dover lasciare la mia attività (faccio il commerciante) oppure di dover pagare qualcuno di fiducia per stazionare a casa mia a presenziare i lavori, come ho già scritto. Oltre al fatto di avere gli operai in casa ogni volta, e oltre al fatto di dover ripulire l’intera casa al termine dei lavori, in quanto le polveri raggiungono ogni angolo dell’abitazione.
Ciò dipende dal fatto che l’impianto dell’appartamento da cui provengono le perdite è ormai vetusto e ciclicamente si rompe qualche tubo.
Come è possibile risolvere questo problema legalmente, visto che il proprietario di tale appartamento non sembra intenzionato a rinnovare l’impianto del suo bagno?”
Consulenza legale i 24/07/2023
In base a quanto da lei descritto vi sarebbero gli estremi per intraprendere un’azione legale, il problema principale è capire verso chi intraprendere tale azione: non è così scontato, infatti, che il soggetto a cui si dovrà avanzare la richiesta risarcitoria sia necessariamente il vicino del piano di sopra.
È necessario infatti capire se l’infiltrazione trova causa veramente in tubature in proprietà esclusiva al condomino del piano di sopra oppure in tubature di proprietà condominiale.

La domanda risarcitoria infatti potrà essere avanzata ai sensi dell’art. 2051 del c.c. norma che disciplina la responsabilità derivante da cose nella nostra custodia. Ai fini dell’art. 2051 del c.c. infatti può definirsi custode anche il proprietario del bene da cui il danno è derivato. In ambito condominiale, quindi, se il danno è derivato da un bene ricompreso nell’appartamento del singolo proprietario, sarà lui a dover rispondere del danno derivato dal bene in sua custodia, se, al contrario, il danno è derivato da un bene condominiale, ne dovrà rispondere il condominio nella persona del suo amministratore pro tempore.
La certezza sull’origine delle infiltrazioni potrà essere ottenuta commissionando una piccola perizia sulle infiltrazioni, documento che ovviamente verrà utilizzato dal legale a supporto delle pretese avanzate.

Una volta fatto ciò, rivolgendosi ad un legale si potrà inviare una prima lettera di messa in mora, la quale dovrà essere inviata sia al condomino del piano superiore sia all’amministratore. Al di là infatti del soggetto a cui dovrà essere imputata una eventuale richiesta danni, è comunque opportuno informare l’amministratore della nostra iniziativa in quanto egli potrà coinvolgere nel contenzioso l’assicurazione condominiale, nella quale solitamente sono quasi sempre presenti clausole che coprono i danni da infiltrazioni come quelle descritte.
Nell’ ambito del contenzioso descritto poi si potrà ottenere un provvedimento che costringa il proprietario, se rimarrà recalcitrante, ad effettuare lavori che pongano una definitiva parola fine all’ infiltrazioni.
È giusto anche precisare che sia in giudizio che nell’eventuale procedimento assicurativo che verrà attivato sarà molto difficile poter richiedere un danno superiore a quanto effettivamente speso per ripristinare i locali nella situazione antecedente al danno. Ogni danno lamentato in giudizio, infatti dovrà essere oggetto di puntale prova da parte di chi ha incardinato il contenzioso e difficilmente si potrà raggiungere una prova degli altri disagi lamentati nel quesito.



ELISA C. chiede
martedì 11/10/2022 - Toscana
“Il mio vicino ha costruito la propria casa direttamente sul confine col mio giardino. Adesso lamenta problemi di infiltrazione d'acqua chiedendo di allontanare anche una siepe al di sotto dei 50 cm ma chiaramente aderente al suo muro di casa.
Prima del giardino, quando venne costruita la casa, era già presente un orto. Può adesso imputarmi danni per problemi di infiltrazione d'acqua per la presenza del giardino/siepe? può impormi di fare dei lavori nella mia proprietà per impermeabilizzare il muro?”
Consulenza legale i 17/10/2022
Un caso del tutto analogo a quello che qui si propone è stato affrontato in diverse occasioni dalla Corte di Cassazione, la quale è giunta alla conclusione secondo cui dei danni provocati da infiltrazioni risponde sempre il proprietario del giardino, anche se il muro di confine non è stato sufficientemente impermeabilizzato, dovendosi ritenere irrilevante il comportamento del danneggiato sia in ordine alle modalità costruttive che per la mancata manutenzione (in questi termini si è da ultimo pronunciata Cass. civ., Sez. III, Sent. n. 15730 del 27.07.2015).

In particolare, la Suprema Corte, confermando quanto statuito dai giudici di merito, ritiene applicabile alla fattispecie concreta in esame la disposizione di cui all’art. 2051 c.c., norma che disciplina la responsabilità da cose in custodia, sancendo la responsabilità del proprietario del giardino individuato come fonte delle infiltrazioni.
Tale forma di responsabilità, inoltre, presenta un carattere oggettivo, e ciò comporta che:
a) il danneggiato deve limitarsi a provare il danno subito ed il rapporto di causalità con il bene in custodia (ciò per cui è sufficiente una semplice perizia tecnica);
b) il proprietario del giardino, invece, può evitare di incorrere in responsabilità solo dimostrando il caso fortuito.

Trattandosi di responsabilità oggettiva, diventa irrilevante la circostanza che il proprietario del giardino possa essere all’oscuro delle modalità costruttive del muro confinante, in quanto avrebbe dovuto eventualmente accertarsi di ciò nel momento in cui ha piantumato in prossimità della fabbrica del vicino, facendosi eventualmente carico della sua impermeabilizzazione.

Pertanto, in adesione a tale orientamento giurisprudenziale (dal quale, difficilmente, il giudice di merito investito della controversia si discosterebbe) non può che consigliarsi di rimuovere o allontanare la fonte delle infiltrazioni (la siepe) ovvero di soddisfare le richieste del vicino, provvedendo ad effettuare a proprie spese la richiesta impermeabilizzazione.


D. R. chiede
lunedì 20/06/2022 - Piemonte
“Spett. studio Brocardi,

avrei gentilmente bisogno di un Vs parere riguardo il seguente fatto:

può la porta basculante del box auto, come da foto, rimanere sempre aperta?

Il garage è in uso ad inquilino non proprietario ma in affitto.

Il condominio è composto da 5 appartamenti più locale per attività commerciale (2 di mia proprietà, 1 altra proprietà, 2 più locale attività commerciale di proprietà del costruttore) più 6 garage, il costruttore che è anche proprietario del box si occupa dell’amministrazione, abbiamo regolamento contrattuale.

Io chiedo che la basculante venga chiusa mentre l’inquilino la vorrebbe sempre aperta, il perché è altra storia.

Alcune mie considerazioni che non so se supportate da leggi, sicuramente dal buon senso:
1. come da foto allegata a me sembra che:
a) la basculante sia potenzialmente pericolosa, si pensi ad esempio a venti forti, ormai purtroppo molto frequenti, che potrebbero sradicarla dalla sede con pericolo per persone e danni per cose.
b) la basculante aperta si estende oltre la proprietà privata ed entra negli spazi comuni limitandone gli usi, si pensi ad esempio alla posa di una scala per la pulizia del canale che si vede in foto, che non potrebbe essere fatta in modo agevole e senza pericoli.

2. il proprietario del box potrebbe forse semplicemente chiedere all’inquilino che ha in custodia il suo bene, quindi dovrebbe custodirlo “come un buon padre di famiglia” di tenere la basculante chiusa per evitare appunto problemi a persone e cose altrui e danneggiamenti al proprio bene, non credo che l’inquilino si possa opporre.
In caso di problemi con persone o cose, il proprietario che NON ha avvisato l’inquilino di chiudere la basculante sarebbe responsabile?

3. si potrebbe mettere ulteriore articolo sul regolamento, che come dicevo è contrattuale, che le porte dei box debbano rimanere chiuse.
Naturalmente dovrà esserci voto unanime.
Non credo che tale articolo sarebbe in contrasto con qualche legge.

Nel ringraziarVi porgo cordiali saluti”
Consulenza legale i 23/06/2022
Il box auto, di cui la basculante ne è un ovvio elemento accessorio, deve considerarsi al pari dei singoli appartamenti, come porzione dell’edificio condominiale di proprietà esclusiva del singolo proprietario. Da ciò deriva che l’assemblea non può costringere il condomino a chiudere la basculante del suo garage: parimenti, non vi sono gli estremi per inserire nel regolamento del condominio una clausola che ne imponga la chiusura. Nessun estraneo può "mettere il becco" su come il proprietario conduce la sua proprietà: se egli gradisce tenere spalancata la porta di ingresso del suo appartamento o del suo garage è libero di farlo!

Rimane però fermo il fatto che se dal comportamento tenuto dal proprietario nella conduzione dei suoi beni in condominio dovessero derivare dei danni a terzi, agli altri condomini, alle loro proprietà o alle parti comuni dell’edificio, di tali danni il proprietario ne dovrebbe rispondere secondo le norme sul risarcimento ed in particolare ai sensi degli artt. 2043 e 2051 del c.c.

Se l’immobile è condotto in locazione, di tali danni ne risponderebbe il conduttore che è custode del bene in virtù del contratto di locazione che legittima la sua presenza nell’appartamento.


Fabio D. P. chiede
domenica 13/03/2022 - Abruzzo
“Ho un'attività all'interno di un centro commerciale consorziato ovvero sono tutti soci di una cooperativa, in un'attività (negozio) di un socio della cooperativa è divampato un incendio provocando danni. Io volevo sapere se per i danni a terzi (non soci della cooperativa) ne risponde solo il socio che ha generato il danno oppure la responsabilità può essere estesa a tutti i soci?”
Consulenza legale i 17/03/2022
Ai sensi dell’art. 2051 del c.c. ciascuno è responsabile dei danni prodotti dalla cosa che ha in custodia o di cui sia proprietario, a meno che non dimostri che l'evento si sia verificato per un caso fortuito, ossia un evento imprevedibile e inevitabile.
Il titolare del bene deve adottare tutte le misure possibili per evitare che tale oggetto possa procurare danni a terzi, a prescindere dal fatto che tali danni dipendano o meno dalla propria volontà.

In un caso comparabile a quello esposto nel quesito, secondo la Corte di Cassazione (Cass. Civ., n. 23945/2009), bisogna chiarire chi è stato il vero artefice della condotta colpevole che ha generato le fiamme; pertanto, in caso di danni derivati a terzi dall’incendio sviluppatosi in un immobile condotto in locazione, la responsabilità si configura a carico sia del proprietario che del conduttore allorché nessuno dei due sia stato in grado di dimostrare che la causa autonoma del danno subito dal terzo è da ravvisare nella violazione, da parte dell’altro, dello specifico dovere di vigilanza diretto ad evitare lo sviluppo nell’immobile dell’agente dannoso.
Ne consegue che, ove sia rimasta ignota la causa dello sviluppo dell’incendio, la responsabilità civile per i danni conseguenti ridonda non a carico del terzo, bensì del proprietario e del conduttore.
La presunzione di responsabilità del custode può essere superata solo con la prova del caso fortuito.

Nel caso esposto, non è chiaro chi sia il proprietario dell’immobile e chi il conduttore; in ogni caso il fatto che il “gestore” dell’attività sia socio della cooperativa non è rilevante ed essa, nonché i suoi soci, non sono responsabili soltanto per la mera sussistenza di detto rapporto sociale.

Ciò che rileva, infatti, è la condizione di proprietario o di conduttore dell’immobile; come si è già detto, la responsabilità per danni a terzi sarà ascrivibile tanto al proprietario dell’immobile da cui è scaturito l’incendio, quanto al conduttore dello stesso, salvo che uno dei due sia in grado di dimostrare il caso fortuito, ovvero che la causa autonoma del danno subito dai terzi sia da ravvisare nella violazione, da parte dell’altro, del proprio specifico dovere di vigilanza.
In ogni caso, generalmente ogni attività commerciale è dotata di un’assicurazione per danni a terzi, pertanto sarà la compagnia a compiere dette valutazioni e a risarcire eventuali danni.


Giorgio B. chiede
domenica 05/12/2021 - Friuli-Venezia
“Il mio ente commerciale, chiuso e da un anno in vendita, ha subito una "abbondante" infiltrazione d'acqua per un rubinetto dimenticato aperto per giorni. Danni al controsoffitto, impianto elettrico, pareti, pavimento, ecc. 18.000 euro di preventivi per le riparazioni. Il danneggiante ha una polizza "rc/t conduttore di alloggi". A 9 mesi dal sinistro, la sua Assicurazione offre 8.300 euro di risarcimento dicendo che il danno viene valutato sull' "usato". Dovrei quindi aggiungere 10 mila euro per riparare un danno causato da altri! Il Condominio ha 40 anni, il mio ente nel 2017 è stato valutato 137 mila euro.
Quest'anno l'ho messo in vendita a 99.000 euro. Ho letto che "il debito di valore risponde ad una concezione di valore funzionale". Il risarcimento deve coprire tutte le spese per renderlo funzionale come prima del sinistro.
E' così? C'é una legge o sentenza che confermi ciò? Se sarà il caso, dovrei far causa all'Assicurazione o a chi mi ha danneggiato?”
Consulenza legale i 14/12/2021
L’art. 2043 del c.c. stabilisce che “qualunque fatto doloso o colposo che cagioni ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.

È corretto affermare che il risarcimento del danno debba essere integrale, nel senso che lo stesso ha lo scopo di ripristinare lo status quo ante, ovvero ristabilire la situazione precedente all’illecito. La funzione del risarcimento del danno è, infatti, compensativo-reintegratoria ed è, quindi, esatto ritenere che il danneggiante debba riportare il danneggiato nella stessa situazione in cui si trovava prima del fatto illecito, poiché il risarcimento copre sia il “danno emergente” che il “lucro cessante”, in quanto conseguenze immediate e dirette dell’illecito, ai sensi dell’art. 1223 del c.c.. Questo è quanto stabilito dalla legge in via generale per l’illecito “extracontrattuale” (cagionato al di fuori di un rapporto obbligatorio, da un terzo danneggiante). Nel caso che occupa si tratta, più in particolare, di un danno cagionato da “cose in custodia”, ai sensi dell’art. 2051 del c.c..

Tuttavia, è necessario considerare anche l’applicazione di un altro principio fondamentale in materia di responsabilità civile, in virtù del quale è precluso dalla legge produrre, a favore del danneggiato, un indebito arricchimento derivante dall’illecito. Non è possibile, in altre parole, che, dal fatto illecito, si generi una “overcompensation”, che si verifica allorquando, attraverso il risarcimento, si finisce per incrementare indebitamente il patrimonio del danneggiato.
La regola del risarcimento "integrale", quindi, va contemperata con quella per cui è preclusa la creazione di un indebito profitto per il soggetto danneggiato, così come affermato anche dalla giurisprudenza (si veda, sul punto, Cass. III Sez. Civ., sentenza 5 giugno 2012, n. 8992, la quale afferma che “funzione tipica del risarcimento, qualunque ne sia la forma, è di porre il patrimonio del danneggiato nelle medesime condizioni in cui si sarebbe trovato, se il fatto dannoso non si fosse prodotto (Cass. 16.12.1988 n. 6856; Cass. 18.7.1989 n. 3352); [...] Corollario di detta funzione del risarcimento è che esso non può creare in favore del danneggiato una situazione migliore di quella in cui si sarebbe trovato se il fatto dannoso non fosse avvenuto, immettendo nel suo patrimonio un valore economico maggiore della differenza patrimoniale negativa indotta dallo stesso (Cass. 9.4.1980 n. 2281; Cass. 7.10.1961 n. 2047”).

Calando tali principi generali nel caso concreto, è sicuramente possibile affermare che il danneggiante, per tramite della sua assicurazione, sia tenuto a ripristinare il buono stato di manutenzione dell’immobile, riparando il danno e riportando l’ente commerciale danneggiato dall’infiltrazione nello stato in cui si trovava prima dell’illecito.
Non potendo sapere, in mancanza di una approfondita analisi della documentazione, se il "quantum" offerto dall’assicurazione sia effettivamente congruo, è però opportuno sottolineare fin d’ora che l’orientamento della Corte di Cassazione in tema di danno da infiltrazioni si conforma ai principi appena esposti e sancisce come, anche in tale specifico ambito, il danneggiante sia sì tenuto al ripristino di tutto quanto deteriorato, ma senza vedersi addossato il maggior costo del miglioramento dell’immobile, rispetto allo stato in cui si trovava precedentemente.
A tal proposito, la Corte di Cassazione, III Sez. Civ., con la sentenza 23 giugno 2015 n. 12920, occupandosi di un caso simile, ha stabilito che:
  • Il ristoro del danno subìto deve comprendere non solo la porzione di parete interessata dalle infiltrazioni, ma l’intera parete danneggiata, allorquando il danno propaghi i suoi effetti negativi anche su parti dell’immobile non direttamente danneggiate “non potendo essere idoneo ad eliminare integralmente il danno da infiltrazioni un intervento che non preveda l'integrale rifacimento delle finiture di rivestimento di tutte le pareti e dei soffitti degli ambienti danneggiati, ma tocchi solo alcune delle pareti delle stanze danneggiante”;
  • tuttavia, il risarcimento non può in nessun caso comprendere il costo relativo al miglioramento del bene, poiché si verrebbe in tal caso a creare, in capo al danneggiato, una situazione di indebito arricchimento a spese del danneggiante, come potrebbe accadere nel caso in cui la parete danneggiata dall’infiltrazione versasse già in un non ottimale stato di manutenzione.
Nel caso di specie, le spese per le opere di rifacimento del pavimento, dell’impianto elettrico, del controsoffitto e delle pareti, che vadano oltre l’effettivo danno subito, non potranno, quindi, essere poste a carico del danneggiante.

Inoltre, ai fini della valutazione in merito all'opportunità di esperire una causa giudiziale nei confronti dell’assicurazione, è utile considerare come il preventivo fornito, per quanto verosimilmente congruo ed effettivo, costituisce comunque una valutazione “di parte”, che dovrebbe necessariamente fare i conti, nel corso dell’istruttoria di un eventuale giudizio, con il preventivo di danno formulato dalla compagnia di assicurazione, e poi anche con la valutazione eventualmente formulata dal consulente tecnico d’ufficio nominato dal Tribunale, che terrebbe conto dello stato di conservazione complessivo dell’immobile.

In ogni caso, prima di intraprendere una causa dagli esiti incerti, che andrebbe comunque incardinata nei confronti del danneggiante, chi intende proporre in giudizio una domanda di pagamento, a qualsiasi titolo, di somme non eccedenti cinquantamila euro, deve esperire il procedimento di negoziazione assistita, che costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale.

FRANCESCO C. chiede
martedì 30/11/2021 - Puglia
“Sono il proprietario di un locale a piano terra appartenente ad un condominio. Sulla mia verticale insistono 4 appartamenti. la colonna montante della fogna che serve i 4 condomini e 2 locali (collettore verticale) una volta raggiunto il livello terra attraversa il mio locale e quello del mio vicino esattamente a metà del tramezzo che divide i due locali a piano terra. Nel mio locale come in quello adiacente (vi è un bagno ed un lavandino i cui scarichi si allacciano con una braga alla colonna montante nel tratto piano che attraversando a livello terra il tramezzo tra i 2 garage raggiunge il tronocone della fogna comunale in strada. Sotto il mio locale c’è una rampa con dei locali adibiti a garage. Si è notato un paio di mesi fa’un gocciolamento nella rampa sotto la mia proprietà che porta ai garage sottostanti. Quindi si è deciso in accordo con l’amministratore di fare una ricerca guasti a partire dal mio locale. Premetto che il mio locale era stato ristrutturalo completamente l'anno scorso (rifacimento del pavimento del bagno, dell’antibagno e degli intonaci). Mi hanno divelto c.ca 20 piastrelle del locale, poi mi hanno rotto il bagno senza trovare il guasto. Poi hanno intercettato nell’antibagno il collettore orizzontale che porta gli scarichi del collettore verticale negli impianti di fogna comunale ed hanno scoperto che la braga era rotta. Ora mi chiedono i danni
1) il mio vicino che ha a spalla un bagno perchè pieno di umidità e
2) due garage sottostanti perchè hanno gli intonaci ammalorati
3) ed inoltre dovrei provvedere a spese mie a riaggiustare il mio locale ed il mio bagno
4) ed infine dovrei provvedere alla riparazione / sostituzione della braga.
La braga e’ una biforcazione che collega l’impianto fogna condominiale con le singole utenze. Preciso che la braga non si è rotta nell’unione con il il tubo proveniente dal mio impianto ne nell’unione con il collettore comune agli altri condomini ma in una zona che normalmente non dovrebbe rompersi vedi disegno. C’e proprio una taglio/fessura nel PVC che costituisce la braga. Io presumo che la rottura sia dovuta ad assestamenti del tramezzo che sovrastava la stessa braga.
Vi chiedo di aiutarmi a capire di chi è la responsabilità della rottura della braga IN QUEL PUNTO. CHI paga i danni ? devo fare causa al condominio?
Vorrei inviare pdf e foto come faccio?

Consulenza legale i 03/12/2021
Il n. 3 dell’art. 1117 del c.c. ci dice che devono considerarsi comuni gli impianti idrici e fognari fino al punto di diramazione ai locali di proprietà individuale dei singoli condomini, ovvero in caso di impianti unitari, fino al punto di utenza. Banalizzando possiamo dire che i tubi dell’impianto idrico del nostro edificio condominiale divengono di nostra esclusiva proprietà nel momento in cui entrano nella nostra abitazione, rimanendo condominiali quando collocati negli spazi comuni del palazzo. Questa differenza non è di poco conto, soprattutto nel momento in cui vi sono delle rotture negli impianti come quelle descritte nel quesito.

L’art. 2051 del c.c., spesso protagonista nelle diatribe condominiali, disciplina la responsabilità da cose in custodia. Secondo tale articolo ciascuno è responsabile delle cose che ha in custodia, salvo la prova del caso fortuito. La giurisprudenza ha chiarito che la responsabilità da cose in custodia sussiste nel momento in cui si verificano due presupposti: vi è un rapporto di custodia tra il bene e un soggetto fisico e il danno è derivato direttamente dal bene oggetto della custodia. Ai fini dell’art. 2051 del c.c. il concetto di custode della cosa è molto ampio e al suo interno rientra in prima battuta chi è proprietario del bene. Sicuramente, quindi, il proprietario della singola unità abitativa è proprietario dei tubi installati nel suo appartamento, ma chi è il custode ai sensi dell’art. 2051 del c.c. della parte dell’impianto che rimane condominiale? La giurisprudenza in più arresti ha chiarito che ai fini dell’art. 2051 del c.c. il custode dei beni condominiali è l’amministratore, e questo in forza del fatto che ai sensi di quanto previsto dal n.4 dell’art. 1130 del c.c. tra le sue attribuzioni più importanti vi è quella di compiere gli atti conservativi sulle parti comuni del palazzo.

Alla luce di quanto detto, per capire a chi (condominio o singolo proprietario) possono essere addebitati i danni causati dalle rotture descritte, è necessario far periziare da un tecnico i locali coinvolti e verificare la dinamica del danno. Se, infatti, da tale perizia risulterà che la rottura è derivata da tubi che in forza delle normative citate devono considerarsi in proprietà esclusiva al singolo condomino ecco che dovrà essere lui a rispondere dei danni, se, viceversa, la rottura ha avuto origine dalla parte dell’impianto che deve considerarsi comune, sarà il condominio che dovrà rispondere dei danni, ovviamente facendo entrare in gioco l’assicurazione condominiale.

Per completezza, si precisa che il problema descritto appartiene anche in egual modo ai vicini di casa che pretendono i danni dall’autore del quesito. Affiche questi possano agire nei suoi confronti infatti avranno appunto l’onere di dimostrare in giudizio la dinamica del danno, onere che potrà essere assolto solo per mezzo di una perizia tecnica da richiedere durante lo svolgersi del giudizio.


Anonimo chiede
sabato 16/10/2021 - Lazio
“Una associazione gestisce un parco privato preso in affitto. All’interno del parco, nel quale facciamo accedere solo i tesserati abbiamo realizzato dei giochi con materiale naturale legno e di scarto gomme. Abbiamo quindi realizzato un’altalena un dondolo una torre con 3 pali legati tra loro da 3 copertoni ecc. Ogni gioco ha un cartello con un disegno che illustra i pericoli di un uso scorretto. L’area ha due cartello nei quali abbiamo scritto che i bambini devono essere sotto la stretta sorveglianza dei genitori e che i giochi non rispettano la normativa UNI ISO in termini di sicurezza. I tesserati firmano un regolamento e una manleva in caso di danni cagionati al frequentatore dell’area giochi. Volevo sapere se queste azioni fatte per minimizzare il rischio sono sufficienti a tutelare il presidente dell’associazione contro terzi.”
Consulenza legale i 24/10/2021
La questione può essere affrontata sia sotto l’aspetto civile che quello penale.

Sotto il profilo civile, si osserva quanto segue.
Il proprietario del parco giochi (o comunque chi lo mette a disposizione) è responsabile per eventuali danni che possano essere diretta conseguenza dell’uso degli attrezzi/giochi. La circostanza che i bambini debbano essere sorvegliati dai genitori non è sufficiente infatti ad escludere del tutto la responsabilità di chi mette a disposizione i giochi.
La responsabilità sarà esclusa soltanto laddove l’eventuale danno occorso ai bambini sia dovuto esclusivamente all’omessa sorveglianza da parte dei genitori o comunque a un fattore del tutto eccezionale tale da escludere il nesso di causalità (ad esempio, il genitore si allontana e lascia che il figlio si arrampichi su uno scivolo e cada dalla scala).
Di contro, qualora il danno sia derivato direttamente dall’utilizzo del gioco (che, ad esempio, rompendosi ha cagionato una ferita al bambino) sarà responsabilità del proprietario dell’area giochi in base all’art. 2051 del codice civile.
In merito a tale aspetto, la seguente massima della Corte di Cassazione (sentenza n.20415 del 2009 ) relativa proprio ad un sinistro che si è verificato a causa dello scivolo di un parco giochi comunale (che il soggetto custode sia pubblico o privato non ha rilevanza) è sicuramente esplicativa e merita di essere riportata per intero:
“Per escludere la responsabilità da cosa in custodia a norma dell'art. 2051 c.c., il custode ha l'onere di provare che l'evento è stato cagionato da fatto estraneo ad essa - che può dipendere anche dalla condotta colpevole di un terzo o della stessa vittima (c.d. fortuito incidentale) - del tutto eccezionale, secondo il principio della regolarità e probabilità causale in quelle circostanze di tempo e di luogo, si da essere imprevedibile, e perciò inevitabile. Pertanto, non qualsiasi uso improprio o anomalo della cosa in custodia rispetto alla sua destinazione funzionale configura il caso fortuito, perchè se invece la condotta concorrente del terzo nella causazione dell'evento non è assolutamente imprevedibile ex ante, persiste il nesso di causalità con la cosa e la sua funzione (Cass. 2563/2007), salva la limitazione del risarcimento del danno per gli effetti dell'art. 1227 c.c., da valutare dal giudice di merito (Cass. 11227/2008). Quindi, poichè funzione dell'art. 2051 c.c. di imputare la responsabilità a chi si trova nelle condizioni di controllare i rischi ad essa inerenti (Cass. 4279/2008 e 20317/2005) - e questa è la ragione per cui, ai fini della responsabilità del custode per l'evento dannoso, è sufficiente che il danneggiato provi il nesso causale con la cosa custodita, indipendentemente dalla pericolosità attuale o potenziale della stessa - il dovere del custode di segnalare il pericolo connesso all'uso improprio - da parte del terzo o del danneggiato - della cosa si arresta soltanto al caso in cui la pericolosità dell'anomala utilizzazione di essa, intesa come fattore causale esterno (Cass. 15429/2004), sia talmente evidente ed immediatamente apprezzabile da chiunque, da renderla del tutto imprevedibile e perciò inevitabile (Cass. 20334/2004, 25029/2008) . Pertanto, incontroverso che l'evento dannoso occorso alla S. è stato cagionato dallo scivolo situato nella villa comunale, per escludere la responsabilità del Comune, custode di esso, non è sufficiente che il Comune abbia provato le buone condizioni di manutenzione dello stesso e l'uso improprio del predetto gioco da parte della S., salita aggrappandosi ai tubolari sottostanti il piano in lamiera predisposto per la discesa anzichè dalle apposite scalette, dovendo altresì il Comune dimostrare che tale utilizzazione era assolutamente inusuale, sia da parte dei minori che delle persone adulte, e quindi imprevedibile, si che la condotta della S. ha interrotto il nesso causale tra lo scivolo e l'amputazione del dito che la parte sottostante della lamiera di esso ha provocato, e che di conseguenza l'evento non era evitabile mediante l'adozione di opportune cautele, come ad esempio il divieto di tale uso improprio, ovvero il rivestimento dei tubolari sottostanti la lamiera con materiale di gomma o comunque non tagliente.”

Ciò posto, per quanto attiene alla manleva che viene fatta sottoscrivere ai tesserati, si osserva quanto segue.

L’art. 1229 del codice civile stabilisce espressamente che è nullo qualsiasi patto che esclude o limita preventivamente la responsabilità del debitore per dolo o per colpa grave nonché qualsiasi patto preventivo di esonero o di limitazione di responsabilità per i casi in cui il fatto del debitore e dei suoi ausiliari costituisca violazione di obblighi derivanti da norme di ordine pubblico.
Orbene, un parco giochi in qualche modo può incidere anche sull’incolumità fisica dei clienti, quindi se ne può dedurre il riferimento a norme di ordine pubblico.
Inoltre, l’art. 5 c.c. in materia di atti di disposizione del proprio corpo va interpretato nel senso che è nulla qualunque pattuizione volta a limitare la responsabilità (anche solo colposa) di chi incida sull’integrità fisica altrui.
Dunque la sottoscrizione di una clausola che escluda preventivamente la responsabilità per danni (essenzialmente fisici) deve ritenersi nulla e non idonea ad escludere la responsabilità del titolare (in questo caso il presidente dell’associazione).


Dal punto di vista penale, nessuno degli accorgimenti esposti nel quesito sono idonei a elidere – o anche solo ad attenuare – il rischio connesso a ipotetici eventi di rilevanza penale; ciò per diverse ragioni, che si cercherà di spiegare in modo semplice, pur afferendo temi di rilevanza penale estremamente complessi.

In primo luogo, il consenso dell’avente diritto (che è una circostanza che potrebbe “giustificare” la commissione di determinati fatti di rilevanza penale proprio perché agli stessi vi acconsente la ipotetica persona offesa dal reato ), secondo giurisprudenza costante, non può avere ad oggetto interessi giuridici di rilievo, come l’integrità fisica o la salute.
Per tale ragione, eventuali manleve saranno del tutto irrilevanti in caso di lesioni subite.

In secondo luogo, si noti che, sempre secondo giurisprudenza costante, il gestore di un parco divertimenti (pur rudimentale che sia) assume una posizione di garanzia (dedotta dal comma secondo dell’art. 40 c.p.) rispetto ai soggetti che lo frequentano. Ciò vuol dire che questi è responsabile per ogni fatto di rilevanza penale che si verifichi, a meno che non dimostri di aver adottato ogni cautela atta ad impedire il verificarsi di particolari eventi lesivi.
Si tratta di una ipotesi di responsabilità penale particolarmente complessa da evitare in considerazione del fatto che, spesso, la giurisprudenza richiede, per la prova liberatoria, una diligenza assoluta (e spesso irragiungibile, come dimostrano i molteplici casi di responsabilità del datore di lavoro per sinistri occorsi ai propri lavoratori).

Ora, a valle del ragionamento sopra esposto è facile dedurre che tale diligenza di certo non potrà essere ritenuta sussistente nel caso di specie, sia per il fatto che si tratta di giochi “rudimentali” sia per il fatto che gli stessi non rispettano la normativa UNI ISO in termini di sicurezza: tale ultima circostanza, in particolare, sarà già da sola idonea a ritenere sussistente la penale responsabilità del gestore.

Andrea B. -. P. chiede
martedì 20/07/2021 - Veneto
“Può un condomino costruire una pensilina lunga 7 o 8 metri atta a coprire tutti le porte finestre dei suoi vani che permettono di uscire sulla terrazza di sua proprietà?
Nel caso la forza del vento divelti l'opera trascinandola e arrecando danno a terzi, le responsabilità ricadono sull'intero condominio che ha dato autorizzazione all'esecuzione dell'opera o a carico del solo proprietario?”
Consulenza legale i 26/07/2021
L’art. 1122 del c.c. dispone il divieto per il condomino di realizzare sulle parti dell’edificio in proprietà esclusiva o a lui attribuite in uso esclusivo opere che possano pregiudicare l’utilizzo delle parti comuni dell’edificio o pregiudicare la sua sicurezza, stabilità e decoro.

Ragionando, quindi, al contrario, se l’intervento descritto nel quesito rimane nei confini indicati dalla norma citata e non va a limitare l’utilizzo da parte degli altri proprietari dei beni e servizi condominiali e non crea pregiudizio alla costruzione nel suo complesso, esso, da un punto di vista del diritto condominiale, è sicuramente lecito.

E’ chiaro che la pensilina rimane un bene in proprietà esclusiva di chi la realizza e pertanto il suo proprietario ai sensi dell’art. 2051 del c.c. è responsabile di ogni danno da essa causata a cose e persone anche non necessariamente facenti parte del condominio. Ovviamente anche il costo di realizzazione dell’opera rimane ad esclusivo carico di chi la realizza: le gestione del condominio e gli altri proprietari non devono essere coinvolti in nessun caso.



Vitantonio G. chiede
sabato 22/05/2021 - Veneto
“Spett.le BROCARDI
OGGETTO: richiesta consulenza.
Buongiorno
norma di riferimento: art.2051 c.c. Ritenuto il caso concreto esponendo associabile in qualche modo alla “CUSTODIA”.

I fatti per un vostro parere per orientarmi nell'affrontare la vicenda:

1) in data 14.09.2018 ho sottoscritto un preventivo per la ristrutturazione del tetto di 140 mq. - considerato anche quale “contratto” non essendo tale documento mai stato chiesto in modo specifico;

2) tra un motivo e l'altro, la esecuzione dei lavori è stata concordata tra le varie ditte operanti in cantiere, per appalti diversi, dalla terza decade del mese di marzo 2019;

3) la ditta appaltatrice dei lavori YYYYYY per il rifacimento del tetto ha avviato i lavori di competenza, con la rimozione della copertura nei giorni 30.04.2019 e 01.04.2019, completandola, divenendone il 30.04.2019, se non al momento della sottoscrizione del preventivo 14.09.2018, la “custode”, almeno io credo.

4) nei giorni 2,3,4 e 5 aprile, il comune di VVVVV è stato interessato da forti piogge; la casa rimasta, senza copertura, è stata oggetto di abbondanti infiltrazioni con conseguente allagamento di due piani;

5) la Direzione Lavori, messa di ciò a conoscenza dalla committenza, ha inviato in data 05.04.2019 alla ditta appaltatrice YYYYYYY un ordine di servizio (all.1)
Tale ORDINE DI SERVIZIO, a quanto pare ha funto da fattore (diciamo) SCATENANTE.

6) Infatti la ditta stessa YYYYYYY, che prima per nove mesi, dal 08.07.2018 data di redazione del preventivo, si era comportata come se tutto andasse bene
in data 07.04.2019 ha risposto alla D.L. (all.2) con varie motivazioni, come potrà leggersi,
- indicando altri soggetti tenuti a rispondere di quanto accaduto;
- ha comunicato che NON era stato messo in condizioni di redigere il POS;
- che il preventivo/contratto inter partes doveva ritenersi “annullato”;
- che per procedere ai lavori doveva prima redigersi UN NUOVO preventivo con stipula di un CONTRATTO (mai richiesto prima);
Salvo altro come si leggerà.
Sulla base delle motivazioni, mai portate a conoscenza prima della parte committente, la YYYYYYY HA POSTO FINE AL RAPPORTO UNILATERALMENTE, come si evince dall'all. 2.

DANNI
DALLA CONDOTTA DELLA DITTA YYYYY affidataria dei lavori sono conseguiti dei danni:
- lavori per il ripristino delle pareti fortemente dilavate;
- danni da nolo GRU: per un lavoro eseguibile normalmente in 15/20 giorni al massimo la gru è stata mantenuta per 53 gg. e pagata per 60 gg.;
- la rottura del rapporto ha comportato la ricerca di altra ditta in sua sostituzione con ripetizione dell'attività di competenza della D.L.; maggiori costi;
salvo altri danni conseguenti alla condotta della YYYYYY.

VIOLAZIONE NORME SULLA SICUREZZA DEI CANTIERI
In base alla risposta (all.2) della ditta appaltatrice YYYYY alla D.L., la stessa NON AVREBBE DOVUTO AVVIARE I LAVORI in quanto NON era nelle condizioni prescritte dal D.lgs. N.81/2008.
Come da articoli reperiti:
- il POS va presentato dalla ditta affidataria dei lavori almeno 15 giorni prima dell'ingresso in cantiere al coordinatore per la esecuzione;
- per la mancata o incompleta elaborazione del POS vanno applicate sanzioni....(economiche e detentive).
- la stipulazione del contratto di appalto/subappalto è reso NULLO e i lavori cessano.

Per effetto della citata normativa il contratto stipulato il 14.09.2018 NON era più eseguibile; ed è rimasto tale per volontà esclusiva della YYYYY la quale non ha corretto né offerto di correggere la sua posizione; per procedere ai lavori ha proposto quale condizione essenziale un nuovo contratto; un nuovo inizio entro 5 giorni dalla proposta, peraltro irrispettoso dei tempi richiesti per redigere il POS, almeno 15 giorni prima dell'accesso in cantiere.
Salvo altre condizioni non convenienti.

Il contratto/preventivo INTERROTTO redatto il 08.07.2018 e sottoscritto il 14.09.2018 conteneva una clausola che ne consentiva la modifica che di seguito si riporta:
“””La ditta si riserva la facoltà di modificare delle voci del preventivo per migliorare il lavoro finito.
Il preventivo è a misura a fine lavori si redigerà una contabilità secondo le reali misure in cantiere e sarà contabilizzato la quantità effettivamente realizzata.”””

Non c'era bisogno di un nuovo contratto, che il sottoscritto non ha accettato, perchè appunto ce n'era già uno, bastava modificarlo.
Peraltro, per quello che può valere, la ditta appaltatrice NON si è rivolta direttamente al sottoscritto per negoziare i termini del nuovo contratto ma alla D.L. mai delegata in tal senso.

Domande:
1) se il contratto di appalto 8.7.2018 deve ritenersi NULLO ai sensi dell'art.26,5°c. D.Lgs 9.4.2008 n.81 – per mancata redazione del POS da parte della ditta affidataria dei lavori “IPSILON”;
2) come considerare giuridicamente la ROTTURA/CESSAZIONE del contratto da parte della DITTA “IPSILON”, dopo 9 mesi dall'impegno, mentre aveva già dato in parte esecuzione (rimozione della copertura), lasciando l'opera incompiuta, per imporre al fine di proseguire i lavori, come potrà leggersi, un altro contratto, (vedi terminologia parte finale evidenziata in giallo “all. 2”,) NON accettato perchè c'era già un contratto in esecuzione; le trattative peraltro avviate con altri soggetti e quindi con esclusione della parte committente; salvo altri motivi
3) la sorte dei danni provocati dalla ditta “IPSILON”, prima della rottura unilaterale del rapporto.”
Consulenza legale i 07/06/2021
Per rispondere al primo dei quesiti posti, occorre comprendere se la vicenda descritta nel quesito rientri o meno nel raggio di applicazione dell’art. 26 del D. Lgs. n. 81/2008.
Ora, la norma in questione, che stabilisce una serie di obblighi a carico del datore di lavoro, riguarda l’ipotesi di “affidamento di lavori, servizi e forniture all'impresa appaltatrice o a lavoratori autonomi all'interno della propria azienda, o di una singola unità produttiva della stessa, nonché nell'ambito dell'intero ciclo produttivo dell'azienda medesima, sempre che abbia la disponibilità giuridica dei luoghi in cui si svolge l’appalto o la prestazione di lavoro autonomo”. In altri termini, si riferisce ai casi di cosiddetta esternalizzazione (outsourcing).
Come ha chiarito la giurisprudenza (Cass. Pen., Sez. IV, sent. 09/11/2015, n. 44792), “la ratio della norma è quella di tutelare i lavoratori appartenenti ad imprese diverse che si trovino ad interferire le une con le altre per lo svolgimento di determinate attività lavorative e nel medesimo luogo di lavoro”: si parla, infatti, di “rischi interferenziali".
Sempre secondo la pronuncia in questione, “l'interpretazione del concetto di "interferenza", da cui sorgono gli obblighi di coordinamento e cooperazione, come ricavabili dal D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 26, comma 1, lett. a) e b) e comma 3, con riferimento alla posizione del committente, ed al comma 2, lett. a) e b) stesso decreto, con riferimento alla posizione dell'appaltatore e del subappaltatore, non viene definita dal D.Lgs. n. 81 del 2008, ma una sua definizione normativa la si può rinvenire nella Determinazione n. 3/2008 dell'Autorità per la Vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, che la intende come "circostanza in cui si verifica un contatto rischioso tra il personale del committente e quello dell'appaltatore o tra il personale tra imprese diverse che operano nella stessa sede aziendale con contratti differenti".
Nel nostro caso, sembrerebbero esservi i presupposti per l’applicazione della norma, dal momento che, stando alla corrispondenza intercorsa, nel cantiere erano operanti almeno due ditte: si tratta però di una circostanza che va verificata.
Peraltro, la previsione di nullità dei contratti, di cui al comma 5 dell’art. 26 in esame, non è riferita al piano operativo per la sicurezza, ma alla specifica indicazione dei “costi delle misure adottate per eliminare o, ove ciò non sia possibile, ridurre al minimo i rischi in materia di salute e sicurezza sul lavoro derivanti dalle interferenze delle lavorazioni”.
Il piano operativo per la sicurezza è definito dall’art. 89, lett. h) D. Lgs n. 81/2008 ome “il documento che il datore di lavoro dell'impresa esecutrice redige, in riferimento al singolo cantiere interessato”; i contenuti del POS sono quelli riportati nell’allegato XV al D. Lgs. n. 81/2008.
La redazione del piano operativo per la sicurezza, ai sensi dell’art. 96 del D. Lgs n. 81/2008, costituisce un preciso obbligo dei “datori di lavoro delle imprese affidatarie e delle imprese esecutrici, anche nel caso in cui nel cantiere operi una unica impresa, anche familiare o con meno di dieci addetti”. Inoltre, ai sensi dell’ultimo comma della norma ora in esame, la redazione del piano operativo di sicurezza costituisce, limitatamente al singolo cantiere interessato, "adempimento alle disposizioni” di cui - per quanto qui specificamente interessa - all’art. 26, comma 5.
Chiaramente, se il contratto è nullo, si considera tamquam non esset (“come se non ci fosse”), e non può essere convalidato, salvo che la legge lo consenta espressamente (art. 1423 c.c.).
Si pone, in tal caso, il problema di stabilire la sorte dei lavori già eseguiti e, soprattutto, dei danni cagionati dalla ditta Y, che risulta aver dapprima iniziato e, poi, inopinatamente interrotto i lavori sul tetto, lasciando l’immobile privo di copertura ed esposto alle precipitazioni atmosferiche.
Ci chiediamo, allora, se a carico della ditta Y sia configurabile una posizione di “custodia”, tale da determinare l’applicabilità dell’art. 2051 c.c., come prospettato nel quesito.
Naturalmente l’art. 2051 c.c. è norma riguardante la responsabilità extracontrattuale, cui facciamo ricorso proprio sul presupposto (da verificarsi) della nullità del contratto.
In proposito, la giurisprudenza ha precisato che “la responsabilità ex art. 2051 c.c. si fonda sulla possibilità di riscontrare a carico del chiamato a rispondere del danno un effettivo potere di governo della cosa sussumibile nel concetto di custodia rilevante ai fini della richiamata norma. Elemento costitutivo della domanda risarcitoria è, infatti, in primo luogo la ricorrenza della figura del custode, cioè del titolare di una effettiva e non occasionale disponibilità, sia essa materiale che giuridica, della cosa, che abbia il potere di controllare la cosa, la capacità di modificare la situazione di pericolo venutasi a creare, il potere di escludere qualsiasi terzo dall'ingerenza sulla cosa” (Cass. Civ., Sez. VI - 3, ordinanza 21/01/2021, n. 1108).
Ed ancora, secondo Cass. Civ., Sez. III, 10/02/2003, n. 1948 “in tema di danni da cose in custodia, ai fini della configurabilità della responsabilità ex art. 2051 c.c. è sufficiente la sussistenza del rapporto di custodia con la cosa che ha dato luogo all'evento lesivo, rapporto che postula l'effettivo potere sulla cosa, e cioè la disponibilità giuridica e materiale della stessa che comporti il potere-dovere di intervento su di essa, e che compete al proprietario o anche al possessore o detentore”.
Dunque la giurisprudenza pone l’accento sulla sussistenza di un potere anche “fisico” sulla cosa, che possiamo certamente ravvisare nel nostro caso. Ricordiamo, peraltro, che l’art. 2051 c.c., secondo l’orientamento giurisprudenziale più recente, introduce una forma di responsabilità oggettiva, in cui cioè si prescinde dalla dimostrazione della colpa del responsabile: si veda Tribunale Roma, Sez. XII, sentenza 20/03/2018 (“la responsabilità del custode disciplinata dall'art. 2051 c.c. costituisce una ipotesi di responsabilità oggettiva e non di colpa presunta. Il danneggiato, pertanto, per ottenere il risarcimento da parte del custode, deve dimostrare unicamente l'esistenza del danno e la sua derivazione causale dalla cosa. Al custode, per contro, per andare esente da responsabilità non sarà sufficiente provare la propria diligenza nella custodia, ma dovrà provare che il danno è derivato da caso fortuito”).
Certamente, il ricorso all’art. 2051 c.c. rende più agevole la prova per il danneggiato; ad ogni modo, nel nostro caso, anche qualora si dovesse invocare l’art. 2043 c.c. (norma generale sulla responsabilità da fatto illecito), non sarebbe difficile dimostrare la colpa della ditta Y che, dopo aver rimosso la copertura del tetto, avrebbe quantomeno dovuto, prima di abbandonare il cantiere (per motivazioni legate a divergenze sul contratto), provvedere a proteggere l’immobile dall’eventualità - tutt’altro che remota - di precipitazioni ed altri eventi atmosferici avversi.
Ma anche nell’ipotesi in cui non sussista la dedotta nullità del contratto, la responsabilità della ditta Y per i danni causati dalla rimozione della copertura del tetto sussisterebbe comunque, ai sensi delle norme generali sulla responsabilità del debitore per inadempimento (artt. 1223 e ss. c.c.).
Quanto all’abbandono del cantiere da parte della ditta Y (sempre sul presupposto dell’esistenza di un contratto valido e non nullo), possiamo affermare, alla luce di quanto riferito e delle informazioni in nostro possesso, che si configuri un inadempimento contrattuale della medesima ditta appaltatrice, la quale risulta avere abbandonato il cantiere.
Vale però la pena evidenziare, anche in previsione di una futura strategia difensiva, che nella risposta all’ordine di servizio la ditta Y afferma (non sappiamo quanto fondatamente) che “sono state apportate delle modifiche alla stratigrafia della copertura in corso d’opera”. Ora, è sicuramente impropria e giuridicamente errata l’espressione ivi utilizzata, “il preventivo è annullato”; inoltre, dalla missiva non si evince chi avrebbe apportato tali modifiche. Si tratta tuttavia di una questione da approfondire, per verificare se rientri nella disciplina delle “variazioni” prevista dal codice civile, in particolare agli artt. 1660 (“variazioni necessarie del progetto”) e 1661 (“variazioni ordinate dal committente”).

Vittorio C. chiede
venerdì 02/10/2020 - Puglia
“Rovinosa caduta dalla bici per insidia stradale con intervento ambulanza chiamata dai soccorritori e trasporto al pronto soccorso. Dopo una quindicina di giorni inviata raccomandata a.r. non solo al Comune interessato ma anche al Comando della Polizia Locale (VV.UU.) "affinché potesse effettuare i necessari accertamenti non solo per verificare in modo inoppugnabile la dinamica dell'accaduto, ma anche per "rimuovere" la situazione di pericolo!! ((trattavasi di una rotaia del Tram particolarmente sporgente). Ora il Comune mi richiede i testimoni. All'atto della caduta dalla bici, per qualche tempo ho perso lucidità per cui non ho avuto la possibilità di raccogliere generalità testi. Ai VV.UU. ho indicato genericamente il personale di una vicina sartoria. POSSO PRETENDERE DAI VV.UU. L'ESITO DEI LORO ACCERTAMENTI?? Posso ottenere risarcimenti senza testi?
Vi invierò copia della mia racc. a.r. inviata ai Vigili dopo che avrete "registrata" questa mia richiesta. Cordiali saluti”
Consulenza legale i 08/10/2020
Al fine di dare una esaustiva risposta al quesito sono necessarie alcune precisazioni circa la portata della responsabilità da cosa in custodia ex art. 2051 c.c., alla quale deve ricondursi la fattispecie in esame.
La norma citata, ai fini della risarcibilità del danno, non richiede che il bene costituisca un'insidia, ossia un pericolo non visibile e prevedibile, attenendo semmai questo aspetto alla evitabilità del danno da parte del danneggiato (Cassazione civile, sez. III, 27 marzo 2020, n. 7578)
Invero, l’art. 2051 c.c. stabilisce che il custode possa liberarsi della responsabilità su di lui gravante nel caso riesca a provare il caso fortuito, ossia che il danno è stato causato da un evento straordinario ed imprevedibile.
Secondo la giurisprudenza formatasi in casi assimilabili a quello di specie, il caso fortuito può consistere anche nella condotta incauta del danneggiato, che non abbia impiegato l’ordinaria diligenza (Cassazione civile, sez. VI, 05 ottobre 2020, n. 21323).

Questa distinzione, apparentemente semplice, ha in realtà un fondamentale risvolto sul piano probatorio, nel senso che al danneggiato spetta soltanto provare il nesso di causalità tra la cosa in custodia ed il danno, mentre al custode compete l'onere di dimostrare l'inidoneità in concreto della situazione a provocare l'incidente, o la colpa del danneggiato, o altri fatti idonei a interrompere il nesso causale tra le condizioni del bene e il danno (Cassazione civile sez. VI, 30 ottobre 2018, n. 27724; Cassazione civile, sez. III, 09 maggio 2017, n. 11225; Cassazione civile sez. III, 31 ottobre 2017, n. 25837 ed i numerosi precedenti ivi citati).
In breve, che la cosa fonte di danno fosse "insidiosa" (ovvero oggettivamente pericolosa e soggettivamente non percepibile) è circostanza che può rilevare sul piano processuale della prova della colpa della vittima, non sul piano sostanziale della sussistenza della responsabilità del custode. Ciò vuol dire che tanto maggiore era la prevedibilità del pericolo, tanto minore sarà la scusabilità della condotta della vittima, e viceversa (Cassazione civile, sez. III, 19 febbraio 2008, n. 4279).

Nella fattispecie, quindi, né oggi e né in un eventuale futuro giudizio, al fine di vedersi riconosciuto il risarcimento, è necessario dedurre dei testimoni, ma è a rigore sufficiente dimostrare di aver subito un danno e che esso è stato causato da un bene oggetto della custodia del Comune.
Sarà poi l’Ente a dover documentare di essere in tutto o in parte esente da responsabilità, provando l’esistenza di un caso fortuito.
Ovviamente, però, ogni prova aggiuntiva che è possibile “recuperare” a sostegno della propria richiesta risarcitoria aumenterà le probabilità che essa possa essere accolta.
Nulla vieta, quindi, (ed anzi sarebbe consigliabile) acquisire gli accertamenti svolti dalla Polizia Locale e delle dichiarazioni eventualmente da questa raccolte.
In conclusione, sembra che i passi seguiti fino ad ora siano corretti, posto che vi è stata una contestazione dei fatti tempestiva e circostanziata ai soggetti competenti e che sono stati già prodotti i documenti attestanti il ricovero e lo stato dei luoghi, oltre a indicare elementi concreti per l’individuazione di eventuali testimoni (il riferimento al personale di una vicina sartoria).


Mauro G. chiede
lunedì 11/05/2020 - Liguria
“Buongiorno, ecco il quesito:
il condomino che abita l'appartamento sopra il mio ha causato con un uso scriteriato dell'innaffiamento dei vasi di fiori che tiene sul terrazzo, lo scrostamento del pavimento sottostante il suo citato terrazzo (che sarebbe poi sovrastante il mio). La conseguenza è che, a parte il lato estetico, continuano a cadere sul mio terrazzo pezzi di intonaco. Premesso che detto condomino risulta anche in arretrato con il pagamento delle rate di amministrazione, il problema è che è praticamente impossibile potergli parlare perché tale inquilino vive quasi stabilmente in Svizzera, non so esattamente dove. Ogni tanto il figlio viene a ritirare la posta ma non è possibile prevedere quando. Io sarei del parere di fare comunque una raccomandata A/R con l'invito a provvedere a sistemare la parte sovrastante il mio terrazzo ma vi sarei grato di un parere e magari, se possibile, anche di un fac-simile di lettera da inviargli a tale scopo.
Vi ringrazio per l'attenzione e porgo i miei più cordiali saluti.


Consulenza legale i 16/05/2020
La caduta di calcinacci provenienti dal balcone sporgente soprastante è un caso molto frequente nella vita del condominio: non sempre però è chiaro capire chi deve rispondere di eventuali danni derivanti dalla predetta caduta. La giurisprudenza oramai unanime e costante considera il balcone aggettante, ovvero quello che sporge dalla facciata dello stabile, come una pertinenza della abitazione a cui accede e quindi una parte in proprietà esclusiva del singolo proprietario, rimanendo solo di competenza del condominio gli elementi decorativi della zona centrale e la zona sottostante del manufatto.

In merito alla parte sottostante del balcone, anche detta cielino, un filone della giurisprudenza risalente nel tempo ma ancora attualissimo, valorizzando il fatto che essa sia un elemento essenziale della facciata dello stabile, attribuisce alla intera compagine condominiale le spese per il suo rifacimento, ristrutturazione o ritinteggiatura (in questo senso si può citare Cass. Civ., sez.II, sentenza n. 1361 del 18.03.1989). Vi è da dire, però, che in epoca più recente si inizia a far strada un altro filone all’interno della Cassazione che ritiene, al contrario, il cielino una parte in proprietà esclusiva del singolo condomino in quanto sottostante della zona di calpestio del balcone, zona che viene considerata senza ombra di dubbio come naturale prolungamento della singola unità abitativa (in questo senso si può citare Cass. Civ.,sez.II, n. 14756 del 30.07.2004).

Dato questo quadro generale, possiamo dire che se la caduta di calcinacci provenienti dal cielino dal balcone soprastante, è causata dal naturale invecchiamento del fabbricato, per porre rimedio al problema deve essere chiamato in causa l’amministratore del condomino, in qualità di custode delle parti comuni dell'edificio ai sensi dell'art. 2051 del c.c Il professionista nell’ambito dei suoi poteri, deve mettere in sicurezza la zona, se la caduta può causare danni a cose e persone, e deve al più presto convocare l’assemblea di condominio, affinché i proprietari, riuniti nell’assise, possano prendere tutte le decisioni necessarie per dare una soluzione definitiva al problema.
Il discorso cambia radicalmente nel caso in cui la caduta dei calcinacci derivi, invece, dalla incuria del proprietario nel mantenere efficiente e in buono stato le parti del balcone, che sono indiscutibilmente di sua competenza. in questo senso si pensi, ad esempio, alla zona di calpestio, la soletta, che è proprio la parte immediatamente sovrastante al cielino.

Vista l’incertezza nel capire effettivamente chi deve rispondere della caduta dei calcinacci, si consiglia in questa fase iniziale del contenzioso di inviare una lettera raccomandata sia al proprietario dell’appartamento soprastante sia all’amministratore del condominio. Per quanto riguarda l’invio della lettera raccomandata al proprietario è importante individuare con esattezza dove lo stesso risiede all’interno del territorio elvetico, eventualmente accedendo all’Aire (l’Anagrafe degli Italiani residenti all’ estero), per poi inviare una raccomandata estera alla residenza così individuata.

MARCELLO M. chiede
venerdì 13/03/2020 - Lombardia
“Oggetto: Palazzo di 2 piani con 6 condomini e lastrico solare diviso in due proprietà con gli appartamenti sottostanti.
Da molti anni, in uno dei due terrazzi, a causa di completo abbandono, una selva di piante selvatiche ed erbe più svariate hanno proliferato sebbene gli altri condomini continuassero a sollecitare la manutenzione/pulizia della pavimentazione. Una documentazione fotografica è stata eseguita nel corso degli anni. Dopo la morte della vecchia proprietaria di uno dei due appartamenti, a distanza di circa 3 anni sempre nel più completo abbandono, appartamento e terrazzo sono stati venduti ed il nuovo proprietario, accorgendosi di macchie/umidità nel soffitto richiede il rifacimento del terrazzo. Faccio presente che il condominio non ha un amministratore ufficiale e non tiene assemblee regolari. Stante la situazione sopra esposta, è giusto che la divisione delle spese di rifacimento sia come da codice civile (1/3 e 2/3)?”
Consulenza legale i 15/03/2020
Per rispondere al quesito dobbiamo tenere distinta la vicenda risarcitoria dalla suddivisione delle spese per riparare i danni al lastrico solare.
Secondo quanto riferito, siamo di fronte ad una importante parte dell’edificio, il lastrico solare, che necessita di lavori di manutenzione. L’art.1126 del c.c. ci dice che quando l’uso del lastrico solare non è comune a tutti i condomini, quelli che ne hanno l'uso esclusivo sono tenuti a contribuire per un terzo nella spesa delle riparazioni o ricostruzioni del lastrico: gli altri due terzi sono a carico di tutti i condomini dell'edificio o della parte di questo a cui il lastrico solare serve in proporzione del valore del piano o della porzione di piano di ciascuno. L’art.1126 del c.c., trova applicazione anche nel caso di piccoli condomini di soli sei partecipanti: pertanto, è utilizzando tale norma che gli attuali proprietari dovranno ripartire tra loro gli oneri di ristrutturazione.

Chiarito questo primo aspetto, se ne deve affrontare un secondo, in quanto è molto probabile che le macchie di umidità provenienti dal lastrico siano state causate dalla assenza di manutenzione e dalla incuria in cui tale parte dell’edificio è stata lasciata dai precedenti proprietari, i quali ne avevano a suo tempo l’uso esclusivo.
Se attraverso una perizia tecnica si riuscisse a dimostrare che vi è un nesso causale tra le macchie di umidità e lo stato di abbandono in cui è stato lasciato il lastrico, il condominio nel suo complesso potrebbe citare in giudizio gli eredi della precedente proprietaria al fine di vedere accertata in capo ad essa la responsabilità di cui all’art. 2051 del c.c. e per l’effetto farsi tenere indenne dai suoi eredi da quanto sborsato per il rifacimento della copertura.

L’art. 2051 del c.c. dispone, infatti, che ciascuno è responsabile dei danni causati dalle cose che ha in custodia. Ai fini di tale norma, rientra sicuramente nel concetto di custode della cosa, chi ha l’utilizzo esclusivo del lastrico solare condominiale: nel caso specifico poteva sicuramente considerarsi custode la precedente utilizzatrice del lastrico poi deceduta. Nel caso in cui vi sia stato il decesso del soggetto che aveva la custodia del bene, l'obbligo di risarcire il danno si trasferisce in capo agli eredi di quest'ultimo.

La responsabilità di cui all’art. 2051 del c.c. non può, però estendersi automaticamente anche al successivo acquirente. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con l’importante arresto n. 2951 del 16.02.2016, hanno chiarito che nel caso di danni alla proprietà, il diritto di credito al risarcimento non si trasferisce con la cessione della unità immobiliare al nuovo proprietario, ma rimane in capo all’originario venditore, proprietario quando la condotta dannosa è stata posta in essere.
Applicando tale importante principio al caso prospettato, dato per scontato che la precedente proprietaria omettendo di prendersi cura del lastrico solare ha causato un danno agli altri condomini, è agli eredi di quest’ultima che deve essere rivolta ogni richiesta risarcitoria, e non all’attuale utilizzatore esclusivo del lastrico, il quale, per quanto ci è dato sapere, si è subito attivato per ripristinare l’efficienza della copertura dell’edificio, e, pertanto, contro di lui non può muoversi alcun rimprovero ai sensi dell’art. 2051 del c.c.



Anonimo chiede
lunedì 02/12/2019 - Lombardia
“Buongiorno,
mi riferisco alla prima parte della mia precedente consultazione n. Q201923423 del 6.6.2019 alla quale avete risposto che

" L'azione dovrà essere portata avanti soltanto da chi lamenta di aver subito dei danni e contro i relativi proprietari, i quali saranno da ritenere responsabili ex art. 2051 del c.c. dei danni che il cedimento del terreno di quel cortile ha causato ad uno dei muri perimetrali del proprio garage.
Come dice la norma appena menzionata, trattasi di responsabilità da cose in custodia, basata sulla relazione di custodia che intercorre tra la "cosa" che ha cagionato il danno ed il soggetto che sarà chiamato a rispondere dello stesso, ove nel concetto di cosa in custodia deve farsi rientrare qualsiasi elemento inanimato, mobile o immobile, pericoloso o meno, dal momento che ogni cosa può essere in grado, in certe circostanze, di produrre danni. "

Allego ora il testo della relazione peritale che ho fatto eseguire da un architetto e Vi chiedo:

- da questo rapporto tecnico RISULTA CHIARAMENTE e SUFFICIENTEMENTE il NESSO CAUSALE tra lo STATO DEL CORTILE (e cioè lo svuotamento/erosione e abbassamento di circa 20 cm del sottosuolo del cortile del vicino intorno ai miei muri) e il CEDIMENTO CON CREPE nei miei muri ? Se sì, posso procedere a far riparare i muri e quindi, o nello stesso tempo, chiedere validamente un risarcimento (totale, parziale?) per danni?

- il vicino potrebbe invocare con ragione un eventuale caso fortuito o comunque l'assenza di sua responsabilità per il fatto che l'erosione e l'abbassamento del sottosuolo del suo cortile sono dovuti anche all'abbondanza e alla violenza delle piogge degli ultimi 10/15 anni (che ormai, secondo me, sono da tempo ampiamente previsibili)?


Ringrazio e invio cordiali saluti”
Consulenza legale i 11/12/2019
L’elaborato tecnico allegato al quesito è una consulenza stragiudiziale di parte. Stragiudiziale, perché formatasi al di fuori di un giudizio, senza l’intervento di un giudice terzo e di un consulente da questi nominato; di parte, perché redatta, appunto, da un tecnico incaricato da una delle parti della (potenziale) controversia, senza contraddittorio con gli altri soggetti interessati Su questo aspetto torneremo tra poco.
Ora, la relazione in questione appare dettagliata, circostanziata, motivata; senz’altro, dalla stessa si desume chiaramente che, a parere del tecnico incaricato, le fessurazioni riscontrate nell’edificio, indice di un cedimento strutturale della muratura, sono dovute ad un abbassamento del livello del suolo, a sua volta causato da notevoli infiltrazioni d’acqua.
Dalla relazione emerge altresì che l’area interessata dalle infiltrazioni e dal conseguente abbassamento “è costituita da porzione di cortile scoperto e portico di pertinenza dell’unità immobiliare, identificata con il mappale n. … sub 3, di proprietà dei signori …, e da una parte dell’andito comune”.
Dunque il nesso causale tra lo stato del cortile e le crepe nei muri dell’immobile appare ben esplicitato nella perizia.
Quanto al modo più opportuno di procedere, vanno svolte alcune considerazioni.
Il primo passo da compiere (se già non è stato fatto) è quello di invitare gli altri proprietari interessati, alla luce delle risultanze della perizia, a compiere i necessari lavori di consolidamento e sollevamento del terreno interessato.
In caso di rifiuto, contestazioni o atteggiamento non collaborativo dei proprietari confinanti, il fatto di procedere unilateralmente ad eseguire i lavori di consolidamento, sulla base della sola (per quanto attendibile) perizia di parte, presenta due ordini di problemi.
Il primo e principale problema riguarda la possibilità di eseguire lavori su suolo altrui senza il necessario consenso dei proprietari.
Il secondo deriva da considerazioni di natura per così dire procedurale: infatti, come precisato in apertura, la relazione tecnica in questione si è formata al di fuori di un procedimento formalizzato e di un vero contraddittorio. Infatti, anche se gli altri proprietari in qualche modo sono stati giocoforza coinvolti negli accertamenti e nei saggi effettuati (dovendosi accedere anche alla loro proprietà), la perizia rimane pur sempre un atto di parte.
Normalmente, in casi simili, si può procedere con un accertamento tecnico preventivo, che consiste in sostanza nell’espletamento di una consulenza tecnica da parte di un perito d’ufficio, ossia nominato dal giudice, in cui le parti possono naturalmente nominare propri consulenti di fiducia che intervengano alle operazioni peritali e formulino, se necessario, le proprie osservazioni. L’accertamento tecnico preventivo ha la funzione di “fotografare” lo stato di fatto esistente, e “può” comprendere anche valutazioni in ordine alle cause e ai danni relativi all'oggetto della verifica (art. 696 del c.p.c.). Inoltre il codice prevede (art. 696 bis del c.p.c.) anche un accertamento tecnico preventivo con funzione conciliativa.
L’accertamento tecnico preventivo comporta inevitabilmente dei costi, e delle tempistiche che non saranno, però, certamente quelle di un giudizio ordinario; d’altra parte, presenta il vantaggio di non essere “attaccabile” sotto il profilo della mancanza di contraddittorio tra le parti, per cui risulta anche maggiormente attendibile in un successivo giudizio rispetto ad una “semplice” perizia di parte.

Tuttavia, qualora gli interventi da eseguire per ovviare al pericolo riguardino - come nel nostro caso - la proprietà altrui, e laddove non vi sia accordo tra le parti, l’accertamento tecnico preventivo potrebbe non rivelarsi lo strumento più utile per risolvere il problema.
Altro strumento processuale - e si tratta anche in questo caso di procedimento cautelare - è la denuncia di danno temuto, di cui all’art. 1172 del c.c., il quale prevede che “il proprietario, il titolare di altro diritto reale di godimento o il possessore, il quale ha ragione di temere che da qualsiasi edificio, albero o altra cosa sovrasti pericolo di un danno grave e prossimo alla cosa che forma l'oggetto del suo diritto o del suo possesso, può denunziare il fatto all'autorità giudiziaria e ottenere, secondo le circostanze, che si provveda per ovviare al pericolo”. Nel caso in esame sussisterebbero tutti i presupposti per utilizzare questo tipo di azione, all’esito della quale il giudice, in caso di accoglimento, ordinerebbe agli altri proprietari di effettuare gli interventi necessari per eliminare la situazione di pericolo.
Normalmente, comunque, anche in questa sede il giudice nominerà un consulente tecnico d’ufficio.
Quanto al risarcimento del danno (comprendente innanzitutto le spese necessarie per eliminare il pericolo e per riparare i danni; ogni altro eventuale pregiudizio andrà rigorosamente provato), esso dovrà essere chiesto mediante un giudizio ordinario.
Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, si consiglia dunque di tentare di raggiungere in tempi brevi un accordo per l’esecuzione dei lavori secondo le indicazioni fornite dalla perizia di parte; in mancanza, sarà indispensabile rivolgersi ad un legale per stabilire un’idonea strategia difensiva.


Quanto alla questione della configurabilità del caso fortuito, in ipotesi ravvisabile nella violenza delle precipitazioni, ad avviso di chi scrive i vicini non potrebbero invocarlo per esimersi dalle loro responsabilità di custodia ex art. 2051 del c.c.
Infatti la giurisprudenza ha chiarito che “il criterio di imputazione della responsabilità di cui all'art. 2051 c.c. ha carattere oggettivo, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell'attore del nesso di causalità tra la cosa in custodia ed il danno, mentre al custode spetta l'onere della prova liberatoria del caso fortuito, inteso come fattore che, in base ai principi della regolarità o adeguatezza causale, esclude il nesso eziologico tra cosa e danno” (Cass. Civ., Sez. VI-3, ordinanza n. 30775/2017).
Ora, le violente precipitazioni atmosferiche, peraltro ripetute e sempre più frequenti nel corso degli ultimi anni, non integrano gli estremi del caso fortuito, da intendersi come quel “fattore estraneo che, per il suo carattere di imprevedibilità e di eccezionalità, sia idoneo ad interrompere il nesso causale” (definizione contenuta in Cass. Civ., Sez. III, sentenza n. 2660/2013).

Sebastiano D. chiede
sabato 14/09/2019 - Campania
“Salve, ho acquistato un appartamento in un condominio circa tre anni fa, con un terrazzo e terrapieno di esclusiva proprietà. Un condomino, dopo due anni dall'acquisto del suddetto immobile, lamenta delle infiltrazioni d'acqua nel suo garage, provenienti sia dal terrapieno che dal terrazzo di mia proprietà. Si precisa che, nel momento in cui ho acquistato l'immobile, ho provveduto ad eliminare il problema delle infiltrazioni, difatti ho impermeabilizzato sia il terrazzo che muro di contenimento del terrapieno, anche se, il vecchio proprietario prima di vendere l'immobile l'aveva già impermeabilizzato.
Ebbene, il condomino ritiene che devo riparare tutti i danni presenti nel garage.
La domanda che vi rivolgo è la seguente. In caso di danni derivanti da infiltrazione causata dal vecchio proprietario, li deve pagare l'acquirente? Si evidenzia, che il condomino non ha mai agito nei confronti del vecchio proprietario.”
Consulenza legale i 18/09/2019
I danni da infiltrazioni in condominio sono una classica fattispecie rientrante nell’ambito di applicazione dell’art. 2051 del c.c., disciplinante il danno cagionato da cose in custodia.
Tale norma dispone che: "Ciascuno è responsabile delle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito".
Perché scatti la responsabilità di cui all’articolo in esame vi deve essere la concomitanza di due elementi: il danno prodotto deve essere causalmente riconducibile alla cosa, sia essa mobile o immobile (in questo senso la giurisprudenza in passato ha parlato anche di dinamismo dell’oggetto); vi deve essere un rapporto di custodia tra il soggetto chiamato a rispondere dei danni e il bene. Sotto questo ultimo aspetto il rapporto di custodia descritto dalla norma è molto ampio. Rientrano in tale concetto sia tutti quei contratti che hanno tra i loro effetti la costituzione di una detenzione qualificata con il bene (per esempio: la locazione o il comodato), ma anche la stessa proprietà dell’oggetto.

Ai fini dell’art. 2051 del c.c., quindi, qualora le infiltrazioni provenienti dall’appartamento soprastante, che non sono altro che l’elemento dannoso proveniente dalla cosa, si siano verificate antecedentemente alla vendita, del danno causato alle unità abitative sottostanti risponde il precedente proprietario; qualora, invece, successivamente alla vendita, si verifichino ulteriori fenomeni di infiltrazione, ecco che chiamato a risponderne diviene il successivo acquirente.
A solo titolo di completezza, si precisa che qualora le infiltrazioni derivino non da unità immobiliari in proprietà esclusiva, ma da parti dell’edificio in proprietà comune dei danni, sempre ai sensi dell’art. 2051 del c.c., risponde la compagine condominiale nel suo complesso, e l’amministratore aprirà il sinistro presso la compagnia assicurativa del condominio.

L’acquirente chiamato a rispondere ex. art 2051 del c.c. dai proprietari delle unità immobiliari sotto stanti dei danni da infiltrazioni provenienti dal proprio appartamento, può chiamare in causa il precedente proprietario per vedersi da lui sollevato da tale responsabilità?

Ai sensi dell’art. 1490 del c.c.: "Il venditore è tenuto a garantire che la cosa venduta sia immune da vizi che la rendano inidonea all'uso a cui è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore". In questo caso l’acquirente potrà chiedere al giudice ex art.1492 del c.c., alternativamente, o la risoluzione del contratto, oppure la riduzione del prezzo, fermo restando la possibilità di richiedere il risarcimento danni a lui derivati (per esempio i danni che ha dovuto sopportare a seguito delle infiltrazioni provenienti dal suo appartamento).

Vi è da dire, però, che nel caso di vendita di un immobile da privato, lo stesso viene acquistato dal compratore con la clausola: “visto e piaciuto” nello stato di fatto e di diritto in cui si trova. Ciò limita la garanzia di cui all’art. 1490 del c.c. ai soli vizi occulti o comunque a quelli non rilevabili dal compratore con l’ausilio della ordinaria diligenza.
Nel caso descritto non possiamo di certo parlare di vizi occulti in quanto, secondo quanto riferito, i problemi di impermeabilizzazione del terrazzo e del terrapieno erano ben noti al nuovo proprietario, prova ne sia che lo stesso si è attivato per eliminare lui stesso il problema delle infiltrazioni.

Ora posto questo, il consiglio che si può dare a chi ci legge è quello di rivolgersi ad un tecnico edile al fine di capire prima di tutto se i nuovi fenomeni di infiltrazione provengano effettivamente dalla sua proprietà, posto che in epoca recente la stessa è stata interessata da un ennesimo lavoro di impermeabilizzazione. Se così fosse, la seconda domanda da porre al tecnico sarebbe quella di capire se i lavori commissionati sono stati eseguiti dalla impresa appaltatrice a regola d'arte. Ai sensi degli artt. 1667 e 1668 del c.c., se non sono decorsi ancora due anni dalla realizzazione dei lavori, e i vizi,cioè le infiltrazioni, vengono denunciati alla impresa appaltatrice entro 60 giorni dal loro manifestarsi, il committente può pretendere che l’impresa esecutrice dei lavori elimini i vizi a sue spese, o che quanto a lei corrisposto sia proporzionalmente ridotto, salvo il risarcimento del danno per colpa dell’appaltatore.

FAZIO R. chiede
lunedì 10/06/2019 - Liguria
“un condomino è proprietario -per regolamento contrattuale-di porzione di marciapiede utilizzata per parcheggio privato - confinante con area condominiale per l'accesso a pubblica via, trafficata da molte autovetture.

L'accesso alla strada (in curva) è privo di visuale dal lato destro, mentre sul lato sinistro, confinante con marciapiede di proprietà privata di del singolo condomino, è reso pericoloso da un paletto e catena, posto anni or sono a cinta del predetto marciapiede di proprietà privata. Nei giorni scorsi -di notte-una condomina ha dovuto portare il proprio bimbo con ambulanza al pronto soccorso. Nella concitazione la signora è inciampata nella catena di cui sopra. Fortunatamente senza conseguenze.SI CHIEDE se esista norma che possa fare rimuovere il paletto con catena dato il pericolo che causa ai condomini e sostituire le catene - vere trappole - con dissuasori a parcheggiare nella proprietà privata.”
Consulenza legale i 13/06/2019
La porzione di marciapiede, bene che di per sé potrebbe considerarsi condominiale ai sensi dell’art.1117 del c.c., in virtù di un titolo contrario (il regolamento contrattuale) è stato riservato in proprietà esclusiva ad un determinato condomino.
L’art. 832 del c.c. descrive la proprietà di un bene (in questo caso il marciapiede) come un diritto pieno ed assoluto: il proprietario ha, infatti, la possibilità di godere e disporre della cosa oggetto del diritto in maniera, appunto, piena ed esclusiva, sempre però nei limiti previsti dalle norme dell’ordinamento giuridico.
Tra le facoltà che vengono riconosciute al proprietario l’art. 841 del c.c., prevede la possibilità di chiudere in qualunque tempo il fondo di sua proprietà utilizzando la tipologia di recinzione più idonea alla situazione dei luoghi.

Fatta questa premessa, non esiste una norma giuridica che possa imporre ad un proprietario di rimuovere il paletto a catena per il solo fatto che esso possa apparire astrattamente pericoloso: tale oggetto, per quanto ci è dato sapere non reca un effettivo danno o un imminente pericolo né alle parti comuni dell’edificio, né alle parti in proprietà esclusiva, né alle persone che frequentano il palazzo.

Vi è da dire però, che in quanto proprietario dell’area di marciapiede e della relativa sua recinzione il condomino ne diventa automaticamente custode ai sensi dell’art. 2051 del c.c.
Secondo tale importante norma del nostro sistema di responsabilità extracontrattuale, ciascuno è responsabile delle cose che ha in custodia, salvo la prova liberatoria del caso fortuito. In altre parole se la presenza del paletto con catena causa un danno a terzi (siano essi condomini o anche semplici passanti), il proprietario può essere chiamato a risponderne.
Perché possa contestarsi una responsabilità ai sensi dell’art.2051 del c.c., devono sussistere questi elementi:

  1. un rapporto di custodia tra il bene e un determinato soggetto qualificato: non è il caso, in questa sede di dilungarsi su questo importante elemento della norma, ci si limita a ribadire che il proprietario rientra tra i soggetti custodi, chiamato dalla legge a fare in modo che la cosa di sua proprietà non arrechi danni agli altri consociati;
  1. il nesso causale tra la cosa e l’evento lesivo: il danno deve provenire direttamente dall’oggetto sotto custodia. Un esempio chiarificatore è proprio quello riportato nel quesito: la condomina che inciampa nella catena usata per la recinzione dell’area privata;
  1. dall’evento lesivo, infine devono derivare dei pregiudizi patrimoniali o non patrimoniali per chi lo subisce: riprendendo l’esempio fatto nel punto precedente, si pensi al fatto che dall’evento inciampo della condomina sia derivati alla stessa una storta con conseguenti danni di tipo medico e perdita dei giorni di lavoro.
Sussistendo tutti questi tre elementi il proprietario del paletto potrebbe essere chiamato in causa per rispondere dei danni causati dall’oggetto che la legge pone sotto la sua custodia, circostanza che potrebbe indurlo, finalmente, a cambiare tipologia di recinzione alla sua area privata.

Per completezza, si accenna al fatto che il soggetto chiamato in causa ai sensi dell’art. 2051 del c.c. al fine di sottrarsi dalla responsabilità da cosa in custodia è chiamato a provare (onere probatorio veramente complesso) il caso fortuito e la forza maggiore, ovvero un avvenimento imprevedibile ed incerto che va a spezzare il nesso causale tra la cosa in custodia e l’evento dannoso.
La giurisprudenza che si è occupata in particolare di infortunistica sul lavoro, ha precisato che idoneo a fondare il caso fortuito o forza maggiore potrebbe essere anche un comportamento sconsiderato dello stesso soggetto che ha subito il danno.
Riportando tale ragionamento nel contesto descritto nel quesito, si pensi al caso di una donna che cammina in maniera piuttosto incerta per via di scarpe dotate di tacchi particolarmente alti ed inciampa inavvertitamente nella catena di recinzione.
È chiaro ovviamente che le circostanze che sono state riportate nel presente quesito devono considerarsi meramente esemplificativo: nel momento in cui si verifica un sinistro, le circostanze del fatto devono essere rigorosamente valutate col l’ausilio di un avvocato e di un medico legale.


LAURA M. chiede
giovedì 18/10/2018 - Liguria
“RICHIESTA DI CONSULENZA DANNI SOFFITTO
nello studio del mio appartamento è crollato il soffitto (sopra c'è un terrazzo) è marcito il cemento armato e il ferro è tutto arrugginito. Dopo varie lettere e telefonate, l'amministratore ha chiesto un parere legale a uno studio legale di Genova, il quale fa riferimento agli articoli 1125 e 2025 e alla cassazione del 07.06.1978 e 08.09.2011 e conclude dicendo che il costo della riparazione è da imputarsi a me e al condomino sovrastante. Io non sono d'accordo dato che il danno consiste nel distacco del controsoffitto che ha lasciato a nudo la soletta sovrastante in cemento armato marcita e il predetto studio legale dice che il danno non è stato causato da infiltrazioni di acqua meteorica, il danno sarebbe stato generato da vetustà in ferro della nervatura della soletta che ha deformato le tavole di aggrappaggio del controsoffitto, detta armatura in ferro risulta in parte aggredita da fenomeni corrosivi deformando la struttura del controsoffitto, io invece dico che la vetustà del cemento armato marcito e il ferro arrugginito ha fatto crollare il controsoffitto, ritengo inoltre che la predetta struttura sia parte essenziale del caseggiato dato che questa soletta in cemento armato prosegue alle stanze accanto a sinistra e destra le quali hanno sempre il terrazzo del condomino sopra a me.
Ritengo che la riparazione sia da imputarsi al condominio e quella eventualmente del controsoffitto con stucchi decorativi a me.

Consulenza legale i 02/11/2018
Prima di addentrarsi nei ragionamenti giuridici che necessariamente la vicenda descritta dal quesito richiede, è opportuno precisare alcuni aspetti in vista dell’inevitabile contenzioso che o si sta già sviluppando o si svilupperà a breve stante la delicatezza della vicenda.

Ogni valutazione circa le cause che hanno portato al crollo del soffitto e del controsoffitto deve essere rinviata ad apposite indagini peritali effettuate da professionisti esperti, e non possono essere compiute né in questa sede, né autonomamente da parte dell’autore del quesito. Le indagini peritali avranno, infatti, un ruolo determinante sia nel probabile sbocco giudiziario della vicenda, sia nella fase precontenziosa instaurata dai legali delle parti con i vari metodi di ADR previsti dal nostro ordinamento.
I periti, infatti, attraverso le loro analisi influenzeranno inevitabilmente le valutazioni dei legali prima e del giudice poi, risultando determinanti nel capire se il crollo sia avvenuto per negligenza del singolo proprietario, o sia piuttosto da attribuire a responsabilità dell’intera compagine condominiale. Se non è già stato fatto, si invita quindi l’autore del quesito ad affiancare al legale, la cui assistenza diventa imprescindibile, anche un buon perito di parte (ingegnere, perito edile o similari).

Fatta questa doverosa premessa, si tenterà di fornire un parere legale sulla base degli elementi forniti dal quesito.
Il condominio negli edifici ex. artt.1117 e ss. del c.c, è un fenomeno giuridico che si caratterizza per il fatto che in una medesima costruzione vi sono parti in proprietà esclusiva e parti in proprietà comune a tutti i condomini. Proprio per questa necessaria commistione tra parti comuni e parti in proprietà esclusiva, in caso di danni all’edificio risulta non sempre agevole distinguere il confine in cui termina l’obbligo di intervento dell’amministratore e inizia quello del singolo proprietario e, conseguentemente, in caso di danni, dove inizia la responsabilità dell’uno per terminare quella dell’altro.

La norma che chiama a rispondere l’amministratore di condominio, e di riflesso l’intera compagine condominiale, oppure il singolo proprietario, in caso di danni derivanti dalla rovina parziale o totale di parti dell’edificio è l’art. 2051 c.c., il quale disciplina la responsabilità da cose in custodia.
Tale articolo chiama a rispondere il custode, dei danni causati dalla cosa che egli ha sotto la propria disponibilità. Uno dei presupposti imprescindibili per poter essere chiamati a rispondere civilisticamente ai sensi di questa norma è che vi sia una detenzione qualificata tra la cosa che ha causato il danno e il suo custode. Tale rapporto di detenzione qualificata viene interpretato dalla giurisprudenza in maniera estensiva, e vi rientrano pertanto sia il proprietario di un immobile, sia l’amministratore di uno stabile condominiale.

Come si è già detto, nell’edificio in condominio vi è la coesistenza nel medesimo stabile di parti in comproprietà tra tutti i condomini e parti in proprietà esclusiva ai singoli individui. Questa commistione, sul piano della responsabilità di cui all’art 2051 del c.c. comporta che l’edificio condominiale sia di fatto soggetto alla detenzione qualificata di più custodi. Da una parte, infatti, vi è l’amministratore di condominio, chiamato, in forza del proprio ufficio, a vigilare sulla efficienza e funzionalità delle parti comuni dell’edificio; dall’altra vi sono i singoli proprietari chiamati ad assicurare il buon stato manutentivo del loro appartamento, ma anche, come vedremo, chiamati a vigilare in quanto comproprietari, sullo stato manutentivo delle parti comuni dell’edificio qualora l’amministratore sia negligente sul punto.
Sul tema che si è appena tentato di tratteggiare, è intervenuta sia la giurisprudenza penale, occupandosi del reato di cui all’art 677 c.p., sia la giurisprudenza civile.
La Cass. Pen., Sez. I, del 14.02.2018 n. 16894, pur occupandosi principalmente di materia penale, svolge nella motivazioni della sentenza che si andrà a citate importanti considerazioni anche sul piano civilistico, rilevanti nel caso di specie.
Ci dice infatti:” Se, ai sensi dell'art. 1130, comma 1° nn. 3 e 4 ed in assenza di contrarie disposizioni regolamentari, incombe sull'amministratore il dovere di erogare le spese da destinare alle opere di manutenzione ordinaria ed alla conservazione delle parti e dei servizi comuni dell'edificio, dovere che si estende anche al potere di ordinare l'esecuzione di lavori di manutenzione straordinaria che siano urgenti secondo la previsione dell'art. 1135 cod. civ., comma 2, il singolo condomino non è esentato da responsabilità per la sola presenza ed a ragione delle attribuzioni conferite per legge all'amministratore, in quanto, quando questi è impedito dall'intervenire per mancanza di fondi o per altre cause non imputabili alla sua volontà, l'obbligo grava su ciascun partecipante.
Tale obbligo è invece, esclusivo del condomino quando il pericolo interessi soltanto la sua proprietà individuale o comunque si realizzi nel suo perimetro interno ed imponga un'immediata rimozione delle conseguenze del deterioramento edilizio con l'eliminazione di parti non strutturali o di rivestimento che minaccino distacco e precipitazione al suolo, oppure con l'interdizione dell'utilizzo o dell'accesso all'immobile… e ciò a prescindere dalla realizzazione dei lavori - più impegnativi, dispendiosi e complessi sul piano esecutivo, burocratico e finanziario - necessari per rimuovere la causa del pericolo o della rovina che se, come nel caso in esame, coinvolgano la ristrutturazione della copertura del fabbricato ed il rifacimento di sue parti strutturali, vanno approntati dalla comunione condominiale.”

In altre parole, secondo la Cassazione Penale, il singolo proprietario non solo è chiamato a sostituirsi all’amministratore nella manutenzione delle parti comuni qualora quest’ultimo sia impossibilitato non per sua colpa ad effettuarne la manutenzione, ma deve altresì porre in essere tutte quelle precauzioni per evitare che un eventuale pericolo di crollo trovi la sua causa scatenante nel perimetro del suo appartamento, anche se vi è la necessità di effettuare lavori maggiormente complessi che coinvolgano le parti comuni dell’edificio e siano, conseguentemente, a carico di tutti i proprietari.
Sul solco di questa giurisprudenza si inserisce anche la Cassazione civile in materia di responsabilità ex art.2051 del c.c., ed in particolare la Cass. Civ, Sez. II, n.18420 dell’ 08.09.2011, citata dall’autore del quesito, la quale ha statuito che:” In tema di condominio di edifici, la ripartizione delle spese per la manutenzione, ricostruzione dei soffitti, delle volte e dei solai secondo i criteri dell'art. 1125 cod. civ., riguarda le ipotesi in cui la necessità delle riparazioni non sia da attribuirsi ad alcuno dei condomini, mentre quando il danno sia ascrivibile a singoli condomini trova applicazione il principio generale secondo cui il risarcimento dei danni è a carico di colui che li ha cagionati. Sicché, l'art. 2051 c.c. oltre a tutelare i terzi estranei, è applicabile nei rapporti tra i condomini".

Applicando concretamente al caso di specie le pronunce che si sono citate, si ritiene che poco importa se il crollo sia avvenuta per la vetustà dell’edificio o per infiltrazioni della pioggia, che a ben vedere sono comunque una conseguenza derivante dalla età dell’immobile. Il proprietario della unità abitativa doveva comunque, negli anni, attuare all’interno della sua proprietà quelle soluzioni edilizie che avrebbero evitato il crollo del soffitto. Ed in ogni caso anche se tale crollo sia derivato dalla incuria di parti comuni, egli era tenuto non solo ad avvisare per iscritto l’amministratore del condominio della situazione precaria dell’edificio, ma se la situazione fosse stata particolarmente grave doveva attivarsi in prima persona affinché si addivenisse ad una messa in sicurezza, anche provvisoria, della parte di edificio pericolante.

In conclusione, si consiglia all’autore del quesito di porsi di fronte al problema da un altro punto di vista. Invece di chiedersi come le spese di riparazione devono essere ripartite, dovrebbe chiedersi: negli anni ho apportato al mio appartamento tutti gli accorgimenti per evitare il crollo del soffitto? Ho avvisato l’amministratore della situazione in cui si trovavano alcune parti portanti dello stabile? Se l’amministratore è stato assente o negligente sul punto, cosa ho fatto io come comproprietario per evitare che la rovina di strutture portanti del palazzo causassero danni alla mia proprietà?
Se, infatti, si riuscirà a dimostrare in giudizio di aver fatto come proprietario tutto ciò che era necessario per impedire che la vetustà o la infiltrazione d’acqua piovana portasse nel tempo al crollo del soffitto, ecco che si avranno buone possibilità di ribaltare le conseguenze risarcitorie sull’altro soggetto chiamato a rispondere di eventuali danni: l’amministratore.


L. B. chiede
domenica 22/07/2018 - Lombardia
“Buongiorno,
abito a Bindo di Cortenova, un paesino di montagna di 150 abitanti in Valsassina provincia di Lecco.
La mia casa dal 1996 ,come altre due vicine, ad oggi è stata allagata 3 volte e continuerà ad allagarsi se non si faranno delle opere di protezione .
A monte del paese c’è una vasca per il convogliamento dell’acqua di scolo della montagna larga tre metri e lunga una decina di metri , coperta da una griglia. Da qui parte un tubo interrato di 50 cm di diametro che poi scorre anche sotto il giardino e il box di casa mia. La parte di montagna interessata che scarica l’acqua in questo rigagnolo è molto ridotta e al massimo sono due chilometri quadrati.
Il problema sorge quando arrivano le bombe d’acqua che trascina rami e foglie dalla montagna, i quali otturano la griglia posta sopra la vasca di raccolta, oppure il tubo non riesce a contenerla tutta , così l’acqua fuoriesce , si riversa sulla strada comunale e dopo aver percorso un centinaio di metri arriva in una piazza comunale . (sempre via Cimone )
Questa piazza ha dalla parte a est la possibilità di defluire tutta l’acqua che arriva da nord, ma il problema è che la parte a est (dove c’è una vasca di raccolta e tubo di scarico del diametro di un metro è a quota 477,03 s.l.m. ,mentre a ovest ( dove a 50 metri c’è casa mia ) la quota è 446,87 s.l.m. ( 16 cm più bassa ) a sud si innalza e fa da diga.
Così tutta l’acqua dalla piazza si riversa dapprima nella casa confinante con la mia, e poi supera il muretto di cinta di mia proprietà, (alto non più di 50 cm ) e invade casa mia, che purtroppo fa da diga sugli altri tre lati e l’acqua prima di trovare altri sbocchi (per invadere altre case ) deve superare il metro d’altezza.
Io potrei innalzare il muretto di recinzione già esistente e di mia proprietà , di circa 50/60 cm e così avrei risolto il problema per non farla più entrare , ma in questo modo si allagherebbero altre abitazioni .
Il sindaco, tecnico comunale e assessore alle opere pubbliche chiamati anche nel corso dell’ultimo allagamento ci avevano promesso verbalmente che avrebbero messo una griglia sulla strada per raccogliere l’acqua che scende, ma a tutt’oggi dopo un anno nulla è stato fatto.
Il tecnico comunale, ora da me interpellato dopo un anno dall’ultimo evento, per sapere quando avrebbero messo la griglia mi ha risposto che non serve perché raccoglierebbe pochissima acqua e poi siamo obbligati a ricevere l’acqua in quanto le nostre case sono a una quota più bassa rispetto alla piazza e il Comune non può fare opere per tutti i cittadini.
Non ha però tenuto conto : che normalmente l’acqua già passa nel tubo di proprietà comunale posto sul mio terreno, che se esce dalla vasca di raccolta qualche problemino di contenimento può esserci, che la piazza ha la pendenza al contrario, che il comune è tenuto al “neminem laedere”, che non è acqua che arriva in modo naturale da un fondo superiore, che ……………
Le mie domande sono : può il Comune, a conoscenza dei fatti, ignorare il problema, oppure è obbligato a porre rimedio, altrimenti perseguibile e obbligato a pagare i danni ?
In alternativa posso innalzare il muretto senza avere problemi giuridici coi vicini se nuovamente allagati ?
Spero di essere stato chiaro e in attesa di una Vs. cortese risposta invio
Cordiali Saluti”
Consulenza legale i 30/07/2018
La norma da prendere come riferimento per risolvere il presente quesito è l’art. 2051 del c.c., secondo cui ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito.
La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha più volte ribadito, anche in tempi recenti, l’applicabilità della norma in questione a fattispecie analoghe a quella oggetto del quesito, vale a dire in caso di danni causati ad una proprietà privata per effetto dell’allagamento di una strada, o simile, a sua volta conseguente ed eventi atmosferici (nubifragio o comunque precipitazioni piovose di elevata intensità).
Particolarmente “calzante” rispetto al caso in esame si rivela l’ordinanza n. 18856/2017 della Corte di Cassazione, Sez. VI Civile, che ha rilevato quanto segue:
- devono considerarsi “custodi” tutti i soggetti, pubblici o privati, che hanno il possesso o la detenzione (legittima o anche abusiva) della cosa. In tale ottica, sono sicuramente custodi i proprietari della cosa, gravati da obblighi di manutenzione e controllo della cosa custodita;
- ai sensi dell’art. 14 del C.d.S., gli enti proprietari delle strade sono tenuti a provvedere: a) alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade, delle loro pertinenze e arredo, nonché delle attrezzature, impianti e servizi; b) al controllo tecnico dell'efficienza delle strade e relative pertinenze; c) alla apposizione e manutenzione della segnaletica prescritta;
dunque, a carico degli Enti proprietari è senz'altro configurabile la responsabilità per cosa in custodia disciplinata dall'art. 2051 c.c. , in ragione del particolare rapporto con la cosa che ai medesimi deriva dalla disponibilità e dai poteri di effettivo controllo sulla stessa: anche questo costituisce orientamento costante nelle pronunce della Cassazione;
- pertanto, secondo un principio da ritenersi anch’esso consolidato nella giurisprudenza di legittimità, il proprietario o il custode (e per custode deve intendersi anche il possessore, il detentore e il concessionario) risponde ex art. 2051 c.c. dei danni conseguenti ad omessa o insufficiente manutenzione;
- il custode, a sua volta, può liberarsi da questa forma di responsabilità presunta a suo carico solo fornendo la prova del caso fortuito.
Da tali premesse deriva quanto segue.
Il danneggiato che, invocando la responsabilità del custode, chiede il risarcimento del pregiudizio sofferto in conseguenza dell'omessa o insufficiente manutenzione della cosa in custodia o di sue pertinenze, ha l’onere, secondo le regole generali in tema di responsabilità civile, di provare che i danni subiti derivano dalla cosa, in relazione alle circostanze del caso concreto. Tale prova consiste nella dimostrazione del verificarsi dell'evento dannoso e del suo rapporto di causalità con la cosa in custodia, e può essere data anche con presunzioni.

Nel caso in esame, appare difficile sostenere la sussistenza del caso fortuito, dal momento che, stando a quanto riferito nel quesito, il fenomeno c.d. delle “bombe d’acqua” e comunque il verificarsi di precipitazioni di rilevante violenza ed intensità non costituisce, nella zona in questione, evento isolato e imprevedibile: anzi si ripete con una certa frequenza e regolarità da alcuni anni, tanto da essere riconosciuto anche dal Comune il quale si era, anzi, inizialmente impegnato ad attivarsi per risolvere il problema.
Ora, la giurisprudenza della Cassazione appena citata ha anche affermato che, con riferimento ai danni cagionati da precipitazioni atmosferiche, deve escludersi l'ipotesi del caso fortuito in presenza di fenomeni meteorologici anche di particolare forza e intensità, protrattisi per tempo molto lungo e con modalità tali da uscire fuori dai canoni normali, allorquando il danno trovi origine nell'insufficienza delle adottate misure volte ad evitarne l'accadimento, e in particolare del sistema di deflusso delle acque meteoriche.
In altre parole, le cosiddette “bombe d’acqua” ed altri fenomeni analoghi non possono più considerarsi eventi eccezionali ed imprevedibili, tali da esonerare l’Ente custode da responsabilità per i danni da allagamento, conseguenti ad una cattiva o comunque insufficiente manutenzione e alla mancata adozione di tutte le misure e cautele necessarie a scongiurare danni quale quello lamentato nel quesito.
Si raccomanda, in ogni caso, essendo in gioco valutazioni di tipo tecnico e non solamente giuridico, di astenersi dall’intraprendere alcuna iniziativa in sede giudiziale senza prima essersi rivolti ad un consulente tecnico di fiducia, il quale potrà redigere apposita relazione evidenziando in particolare il nesso di causalità tra il difetto di manutenzione da parte del Comune e i danni subiti dalla proprietà del cliente, nonché le misure in concreto adottabili al fine di evitare il protrarsi del pericolo.
In questo caso è anche possibile valutare l’opportunità del ricorso alla procedura di denuncia di danno temuto, prevista dall’art. 1172 del c.c. Si tratta di un provvedimento di natura cautelare, che presuppone una valutazione sommaria da parte del giudice sia della fondatezza delle richieste del ricorrente (fumus boni iuris) sia del c.d. periculum in mora (rischio di un ulteriore pregiudizio nel ritardo), e che consentirebbe di ottenere un provvedimento in tempi più rapidi rispetto a quelli di un giudizio ordinario.
Tale rimedio è stato pacificamente ritenuto esperibile anche nei confronti della P.A. in casi analoghi a quello oggetto del quesito.
In proposito la Cassazione a Sezioni Unite, con ordinanza n. 26108/2007, ha espressamente statuito che l’inosservanza, da parte della P.A., nella gestione e manutenzione dei beni che ad essa appartengono, delle regole tecniche, ovvero dei canoni di diligenza e prudenza, può essere denunciata dal privato dinanzi al giudice ordinario non solo ove la domanda sia volta a conseguire la condanna della P.A. al risarcimento del danno patrimoniale, ma anche ove sia volta a conseguire la condanna della stessa ad un "facere", giacché la domanda non investe scelte ed atti autoritativi dell'amministrazione, ma attività soggetta al rispetto del principio del "neminem laedere".
Si sconsigliano invece, allo stato attuale, iniziative unilaterali quali l’innalzamento del muro di recinzione, che solleverebbe problemi sia da un punto di vista amministrativo (eventuale necessità di titolo abilitativo), sia questioni in materia di rapporti con i proprietari confinanti.

Marco D. M. chiede
lunedì 10/07/2017 - Lazio
“Buongiorno, sono proprietario di un terreno agricolo in zona urbana che vorrei destinare a una sorta di parco-agricolo per dare al quartiere uno spazio verde fruibile. Un misto tra attività agricola urbana e parco pubblico (o meglio privato aperto al pubblico). Volevo sapere: in attesa di creare l'attività o l'organizzazione sociale/societaria destinata alla gestione del parco (parzialmente a scopo di lucro e parzialmente no), posso temporaneamente far accedere liberamente i residenti di zona (che non hanno un'area verde a disposizione) lasciando i cancelli aperti in determinati orari anche solo per dare loro la possibilità di un punto di aggregazione (fare passeggiate, pic nic ecc.) senza chiedere soldi ma indirettamente aprendolo al pubblico e senza permessi del comune? e se si come mi posso tutelare contro eventuali danni infortuni ad esempio il bambino che cade e si fa male? (basta una dichiarazione di manleva?).
A rigor di logica limitando la libertà di accesso ad un limitato gruppo di persone (corrispondenti ad esempio ai soli residenti di un quartiere) sarebbe come se amici venissero a trovarmi a casa mia...”
Consulenza legale i 19/07/2017
La risposta al suo quesito richiede l'esame della fattispecie, sia dal punto di vista urbanistico-amminisitrativo, sia dal punto di vista civilistico.

a) Dal punto di vista urbanistico-amministrativo, la destinazione di un terreno agricolo ad attività turistico-ricettiva, rappresenta un "cambio di destinazione urbanisticamente rilevante", ai sensi dell'art. 23 del Testo Unico dell'Edilizia. Ciò significa che tale cambiamento di destinazione d'uso richiede il preventivo rilascio del Permesso di costruire.
Nel caso di specie, dunque, laddove nel suo terreno venisse a circolare un numero indeterminato di soggetti, si ritiene che sussista il rischio di una segnalazione al Comune relativa all'abusiva utilizzazione del terreno in questione, che ancora non è destinato a "parco".

b) dal punto di vista civilistico, si ritiene di dover aderire alle osservazioni da lei svolte: il terreno è di sua proprietà e, dunque, lei può consentirne a chiunque l'accesso.
Certamente si pone, tuttavia, un problema di responsabilità in caso di eventuali sinistri che dovessero verificarsi in danno degli "ospiti".

Nello specifico, lei, in qualità di proprietario e possessore del terreno, assume la qualità di "custode" dello stesso (essendo lei il soggetto che ha il potere di vigilanza e di controllo su quell'area), ai sensi dell'art. 2051 c.c.

In caso di sinistro, dunque, il danneggiato potrebbe opporle la "responsabilità da cosa in custodia", di cui alla succitata disposizione.

In tal caso, lei potrebbe andare esente da responsabilità solamente laddove riuscisse a dimostrare che il sinistro si è verificato per "caso fortuito", vale a dire per "l'esistenza di un fattore estraneo che, per il suo carattere di imprevedibilità e di eccezionalità, sia idoneo ad interrompere il nesso causale" (Cass. civ., sentenza n. 2660/2013).

Ad ogni modo, come precisato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione (Cass. civ., sentenza n. 7125/2013), è il danneggiato che dovrà provare la sussistenza di tale "nesso causale" tra la cosa e il danno subito, dovendo il medesimo provare che l'evento dannoso si è verificato a causa della particolare condizione, potenzialmente lesiva, dei luoghi (ad esempio, per la presenza di un qualche pericolo o insidia).

Così, ad esempio, la sua responsabilità dovrà dirsi esclusa anche in caso di "comportamento imprudente della vittima che, pur potendo prevedere con l'ordinaria diligenza una situazione di pericolo dipendente dalla cosa altrui, vi si esponga volontariamente" (Cass. civ., sentenza n. 22898/2012).

Sul punto, peraltro, non si ritiene che possa essere risolutiva la sottoscrizione di una "dichiarazione di manleva", essendo lei proprietario del terreno, il quale non è adibito a uso pubblico: al massimo, potrebbe valutare la possibilità di stipulare una polizza di assicurazione, che la copra per eventuali danni cagionati a terzi.

Mario B. chiede
lunedì 20/02/2017 - Emilia-Romagna
“buona sera
l'amministratore del condominio, senza avvertimento in alcun modo, ha fatto effettuare dalla ditta "Alfa", specialista in canne fumarie, un sopralluogo tecnico in alcune abitazioni del fabbricato condominiale per conoscere le cause che hanno provocato un'ampia macchia di umidità in prossimità della colonna montante dei camini singoli e di proprietà all'interno dell'appartamento del 3zo ed ultimo piano.
La ditta ha effettuato la verifica iniziando dall'abitazione del 2do piano la cui canna fumaria è allacciata ad un'altra colonna montante e che esclude la macchia; all'abitazione del 1mo piano la canna fumaria è allacciata ad un'altra colonna montante che esclude una formazione della macchia; all'abitazione del piano rialzato (di mia proprietà) che utilizza la propria caldaia con canna fumaria, ove la ditta ha riscontrato la causa del formarsi della macchia all'interno dell'appartamento del 3zo piano.
ho provveduto ad eseguire i lavori di ripristino chiaramente a mie spese, ma anche la somma fattura di euro 243 fatturata dalla ditta "Alfa" è stata intestata e addebitata a me, che a sua volta il sottoscritto ha ritenuto opportuno ripartirla, in considerazione del lavoro e del tempo impiegato per il sopralluogo in 1/3 del citato importo cioè euro 81.
chiedo se è così o diversamente.
grazie
cordiali saluti
Distinti saluti”
Consulenza legale i 27/02/2017
Principio applicabile al caso di specie è quello secondo cui, nel caso in cui si renda necessario ripristinare dei danni ascrivibili ad uno od alcuni dei partecipanti al condominio, sussiste l’obbligo del responsabile di assumere il relativo onere.

Trattasi di un principio che non impedisce all’assemblea, fino a quando il singolo condomino non abbia riconosciuto la propria responsabilità o essa non sia stata accertata in sede giudiziale o stragiudiziale, di ripartire le relative spese tra tutti i condomini secondo le regole generali (art. 1123 c.c.), ossia in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, fermo restando il diritto degli stessi condomini di agire, singolarmente o per mezzo dell’amministratore, contro il condomino ritenuto responsabile al fine di ottenere il rimborso di quanto anticipato una volta accertatane la responsabilità.

Essendo stato qui accertato, invece, che la macchia di umidità in prossimità della colonna montante dei singoli camini, così come quella all’interno dell’appartamento del terzo piano, è da ricollegare alla canna fumaria della caldaia dell’unità abitativa del piano rialzato, non saranno più le norme in materia di condominio a regolare la materia, bensì quelle dettate dal codice civile in materia diresponsabilità da fatto illecito.
Anche nel regime del condominio degli edifici, infatti, trova applicazione l’art. 2051 del codice civile, dove l'ente condominio, in veste di custode dei beni e dei servizi comuni, è obbligato ad adottare tutte le misure necessarie affinché le cose comuni non rechino pregiudizio ad alcuno, rispondendo conseguentemente dei danni da queste cagionati sia a terzi che agli stessi condomini; trattasi di una ipotesi di responsabilità presunta, per cui sarà onere del condominio custode tentare di provare il caso fortuito.
Così, volendo fare un esempio, ai sensi dell'art. 1117c.c. le tubazioni sono di proprietà comune fino al punto di diramazione alla singola unità immobiliare privata, dove la conduttura è predisposta al servizio esclusivo della porzione di proprietà individuale; trattandosi di beni di proprietà comune, il condominio può essere chiamato a rispondere ex art. 2051, c.c. in presenza di infiltrazioni dannose dovute a difettosità od omessa manutenzione delle condutture, gravando sullo stesso, in qualità di custode, l'obbligo di mantenerle e conservarle in maniera tale da evitare la produzione di eventi dannosi.

In tal senso si è espressa la Cassazione sez. II, 15 marzo 1994, n. 2454, affermando che dalla comproprietà delle cose, dei servizi e degli impianti comuni nascono per i condomini delle obbligazioni propter rem, con la conseguenza che la responsabilità per i danni derivanti alle unità immobiliari in proprietà esclusiva dalle cose comuni grava su tutti i condomini, essendo questi tenuti alla manutenzione delle cose comuni, con l'obbligo di adottare tutte le cautele idonee a scongiurare i pregiudizi, di cui saranno responsabili ove vengano a verificarsi.
L’ente condominio, oltre che obbligato a risarcire il danno, è anche obbligato, qualora la situazione dannosa sia potenzialmente produttiva di ulteriori danni, a rimuovere le cause dello stesso.

Questi sono i principi generali valevoli per i casi di danni riconducibili a difetto di manutenzione e conservazione delle parti comuni dell’edificio condominiale ed ove custode è l’ente condominio.

Simmetricamente, tali principi troveranno applicazione con riferimento al singolo condomino nell’ipotesi in cui si accerti che un danno sia conseguenza della omessa o insufficiente custodia di beni di proprietà individuale.
Infatti, custode è colui il quale ha la disponibilità non solo materiale, ma giuridica e quindi il potere di fatto o di diritto sulla cosa ed è in condizione di controllare i rischi inerenti alla cosa stessa.
Il dovere di custodire, inoltre, riguarda non solo le cose intrinsecamente pericolose, ma anche quelle che possono divenirlo, dovendo allora il custode rimuovere le cause del pericolo.

A questo punto, onde determinare con precisione quali sono le spese che dovranno gravare sul condomino responsabile del danno, non potrà che farsi riferimento a quelli che sono gli elementi costitutivi dell’illecito in generale.
Da questo punto di vista si dice comunemente che la fattispecie dell’illecito è costituita da un elemento oggettivo e dall’elemento soggettivo del dolo o della colpa.

Sotto il profilo oggettivo è innanzitutto necessario un comportamento umano, che può essere commissivo, ma anche omissivo (è quest’ultimo quello ricorrente nel caso che ci riguarda, ossia omesso controllo della canna fumaria).
Tale umano comportamento deve poi aver causato un danno che la norma qualifica come ingiusto.
Infine, tra fatto (comportamento) ed effetto (danno) deve ravvisarsi il c.d. nesso di causalità, ossia il fatto deve essere stato causa efficiente dell’effetto e così averlo causato.

Pertanto, dalla mancata sorveglianza sul danno che la canna fumaria stava provocando all’appartamento del terzo piano ed in prossimità della colonna montante, ne è derivata la necessità di effettuare prima il controllo tecnico disposto dall’amministratoresulle colonne montanti delle canne fumarie e, individuata la fonte del danno, di procedere successivamente alle necessarie riparazioni.
Sussistendo, dunque, uno stretto nesso di causalità tra la fonte del danno e le opere occorse per eliminarlo, ivi compreso il preliminare accertamento tecnico, tutte le spese da ciò conseguenti non potranno che farsi gravare sul proprietario del piano rialzato.

In tal senso può argomentarsi in via analogica da Cass. n. 1690 del 2000 la quale, nel decidere su chi gravano le spese legali necessarie per sostenere un giudizio intrapreso dal Condominio contro un condomino, ha affermato il principio secondo il quale tra le spese che devono esser regolate in seguito alla definizione del processo sono ricomprese quelle che la parte abbia sostenuto anteriormente all’inizio del medesimo e ad esso collegate da un nesso di pertinenza e rilevanza, tra cui quelle, di ufficio e di parte, sostenute nella fase di accertamento tecnico preventivo.

Ebbene, si ritiene che anche tra le spese relative alla ditta incaricata di effettuare gli accertamenti e quelle necessarie per eliminare il danno sussista un nesso di pertinenza, dovendo pertanto tutte gravare sul condomino tenuto ad eliminare le macchie di umidità, né si può legittimamente obiettare che l’amministratore abbia agito di sua iniziativa senza dare alcun avvertimento sull’accertamento che stava per fare eseguire, in quanto ciò rientra proprio nelle attribuzioni su di lui gravanti per legge, ed in particolare nel suo dovere di compiere gli atti conservativi relativi alle parti comuni dell’edificio di cui all’art. 1130 n. 4 del codice civile.

Livio L. chiede
mercoledì 04/05/2016 - Lazio
“vengo investito da una esplosione da fuga di gas gpl,dell appartamento adiacente il mio. ho diritto ad un risarcimento?”
Consulenza legale i 12/05/2016
Esiste senza dubbio il diritto al risarcimento, sia che si tratti di solo danno materiale all’appartamento investito dall’esplosione sia che si tratti – in alternativa o in aggiunta - di danno alla persona (il vicino di casa che abbia subìto, per effetto dell’esplosione, danni alla salute ed all’integrità fisica di qualunque tipo).

Si tratta del tipico caso di cui all’art. 2051 del codice civile, ovvero ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito.

La nozione di “custode” di cui alla norma citata ha trovato in giurisprudenza una definizione molto ampia: è colui che ha l’effettivo potere materiale sulla cosa e che può escludere i terzi dall’ingerenza sulla cosa stessa.

Nel caso – come si presume sia nella fattispecie in esame – si tratti di appartamento condominiale, la circostanza che quest’ultimo sia locato oppure no è irrilevante ai fini della richiesta risarcitoria: normalmente la denuncia va inoltrata al proprietario dell’immobile (locatore), che è quasi sempre il “custode” del bene (sarà quest’ultimo poi, eventualmente, a rivalersi sul proprio conduttore nei casi – individuati dalla giurisprudenza – in cui si possa ritenere invece che la disponibilità della cosa che ha cagionato il danno fosse nella esclusiva disponibilità di quest’ultimo).

Nel caso, poi, come nella fattispecie in esame, si tratti di impianti, il proprietario di un immobile è titolare di una specifica posizione di garanzia nei confronti dei terzi, ovvero è tenuto ad assicurarsi che gli impianti in questione vengano adeguatamente revisionati, che siano in piena efficienza e privi di carenze funzionali e strutturali.

La responsabilità prevista e disciplinata dall’art. 2051 codice civile ha carattere oggettivo, ovvero è sufficiente che esista il nesso di causa-effetto tra cosa e danno, senza che sia necessario dimostrare il dolo o la colpa del custode, il quale si potrà liberare solo dimostrando il caso fortuito, ovvero – in buona sostanza – l’imprevedibilità dell’evento.

Secondo la giurisprudenza, nei casi in cui non sia possibile individuare la causa dello scoppio, che rimane ignota, concorre, unitamente alla responsabilità del custode ai sensi dell’art. 2051 cod.civ., altresì quella del produttore-distributore delle bombole di gas ai sensi dell’art. 2050 del cod. civ. (responsabilità derivante dall’esercizio di attività pericolose), che non può sostenere di essersi liberato nel momento in cui vi è stata la consegna della bombola in capo all’utente finale.

Su questi temi si veda la pronuncia del Tribunale di Milano del 15 giugno 2000, per la quale: “Nell'ipotesi di crollo di palazzina in seguito a fuoriuscita di metano a monte del contatore all'interno di una singola utenza, possono operare cumulativamente, nel caso in cui non si fornisca la prova della causa dello scoppio e questa rimanga pertanto ignota, la presunzione di responsabilità posta dall'art. 2050 c.c. a carico dell'esercente l'attività di distribuzione del gas e quella a carico dell'utente, quale custode ai sensi dell'art. 2051 c.c., fatto salvo il diritto di regresso dell'esercente l'attività pericolosa nei confronti dell'utente eventualmente responsabile della omessa attività di manutenzione e controllo (nella specie: è stata affermata la concorrente e solidale presunzione di responsabilità tra l'azienda erogatrice del gas, che non ha provato di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno, ed i custodi dell'appartamento nel quale era avvenuta l'esplosione, non essendo stata fornita da questi ultimi la prova del caso fortuito, comprensivo del fatto di terzi.”; la stessa sentenza afferma poi: “Costituisce obbligo del custode di un appartamento, indipendentemente dall'assunzione contrattuale di tale obbligo da parte della azienda distributrice del gas, verificare periodicamente lo stato di manutenzione degli impianti a gas, comprensivi anche delle tubature, al fine di evitare le conseguenze della fuoriuscita di gas. Siffatto obbligo di custodia, in relazione alla manutenzione dell'impianto del gas, sussiste anche in capo al proprietario dell'appartamento concesso in locazione o in uso, in quanto la temporanea perdita della disponibilità del bene per effetto della locazione non fa venir meno l'obbligo di vigilanza e di esecuzione degli interventi atti ad evitare che dall'immobile possano derivare danni a terzi. Pertanto in caso di scoppio per fuoriuscita di metano e conseguente crollo di palazzina la presunzione di responsabilità del conduttore ai sensi dell'art. 2051 c.c. concorre con quella solidale del proprietario per i danni provocati a terzi dall'omessa custodia dell'immobile” (conforme Cassazione civile, sez. III, 4 giugno 1998, n. 5484).

Si evidenzia che se il responsabile ha stipulato (com’è auspicabile) idonea polizza assicurativa per la responsabilità civile nei confronti dei terzi, la strada del risarcimento potrebbe essere, in qualche modo, più agevole, dal momento che quando riceve la richiesta di danno, il responsabile la inoltra alla propria compagnia assicurativa e quest’ultima apre una pratica di sinistro la quale, presumibilmente (salvo contestazioni dovute a particolari condizioni di polizza restrittive) si chiuderà con la liquidazione di un determinato importo direttamente a favore del danneggiato, senza che quest’ultimo debba assumere particolari ed ulteriori iniziative.

Diversamente, qualora non vi fossero coperture assicurative, il danneggiato potrà comunque richiedere il risarcimento del danno, ma se la controparte non riscontrasse positivamente la richiesta, avrà l’onere di citare quest’ultima avanti all’Autorità Giudiziaria affinché accerti i fatti e le responsabilità e disponga con sentenza il risarcimento.

Nel caso in cui si apra un procedimento giudiziario, in virtù di quanto sopra illustrato, il proprietario convenuto in giudizio chiamerà presumibilmente in causa il produttore-rivenditore della bombola perché venga accertata, eventualmente, la sua responsabilità nella causazione dell’evento dannoso: tale responsabilità – a seconda della dinamica dei fatti – potrà essere esclusa, riconosciuta come concorrente con quella del proprietario dell’appartamento oppure del tutto esclusiva: “L'attività di raccolta e distribuzione del gas, anche in bombole, è attività pericolosa e tale pericolosità non viene meno nel momento in cui la bombola passa nella disponibilità dell'utente consumatore finale; ne consegue che le regole probatorie sono quelle contenute nell'art. 2050 c.c., con la precisazione che la presunzione di colpa di cui alla citata norma presuppone il previo accertamento dell'esistenza del nesso eziologico, la cui prova incombe al danneggiato, tra l'esercizio dell' attività pericolosa e l'evento dannoso, rimanendo poi a carico del danneggiante l'onere di provare di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno.” (Cassazione civile, sez. III, 26 luglio 2012, n. 13214).

Da ultimo, ma non meno importante, in caso di danni alla persona potrà essere configurabile a carico dei responsabili civili altresì una responsabilità penale per il reato di lesioni colpose ex art. 582 del codice penale, il quale tuttavia – attenzione – è perseguibile a quereladella persona offesa e, conseguentemente, va denunciato entro e non oltre tre mesi dall’evento dannoso.

Renato C. chiede
sabato 18/01/2014 - Lazio
“Montaggio tende da sole sul balcone: in caso di caduta accidentale dell'operaio, chi ne risponde?
Proprietario casa o ditta?”
Consulenza legale i 28/01/2014
La normativa in tema di sicurezza sul lavoro (d.lgs. 81/2008, successivamente modificato dal d.lgs. 106/09) ha introdotto una serie di principi circa la corretta gestione degli adempimenti previsti per legge che coinvolge, oltre ai lavoratori e al datore di lavoro, anche il committente delle opere.

Il committente è colui che commissiona gli interventi di una o più ditte, o di lavoratori autonomi, come l'elettricista e l'idraulico. Spesso il lavoro va svolto nella propria abitazione o in un condominio: committente sarà quindi, rispettivamente, il proprietario della casa (o l'usufruttuario, ad esempio) e il condominio.

L'art. 15 del d.lgs. 81/2008 indica una serie di misure generali di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro, che anche il committente è tenuto a rispettare (ai sensi dell'art. 90 del T.U. Sicurezza): ad esempio, la valutazione dei rischi per la salute e sicurezza; l’eliminazione dei rischi e, ove ciò non sia possibile, la loro riduzione al minimo; la sostituzione di ciò che è pericoloso con ciò che non lo è, o è meno pericoloso; etc.

E' chiaro che la situazione presenta risvolti diversi a seconda che l'operaio che svolge i lavori presso una abitazione privata sia dipendente di una azienda con struttura organizzata, con cui il committente conclude un contratto di appalto (verbale o scritto che sia), o il privato si affidi direttamente all'artigiano o al lavoratore autonomo, che svolga l'attività prevalentemente da solo.

Nel primo caso, il committente, anche se esonerato da specifici compiti inerenti alla progettazione dei sistemi di sicurezza, ha comunque la responsabilità di valutare la regolarità e l'affidabilità dell'impresa incaricata. Per far ciò, egli è tenuto ad esaminare una serie di documenti relativi all'impresa, come, banalmente, l'iscrizione alla Camera di Commercio e il DURC (che attesta la regolarità contributiva della ditta), oltre a tutti quelli elencati all'art. 90 del d.lgs 81/2008. Di conseguenza, può essere ravvisata in capo al committente - anche di lavori di modesta entità - la responsabilità circa la verifica dei sistemi di sicurezza (impalcature, imbragatura, etc.) utilizzati nel concreto dall'operaio che svolge l'opera presso la sua abitazione. Il citato articolo 90 prevede una serie di sanzioni penali e amministrative per il mancato ottemperamento agli obblighi previsti in capo al committente (o al responsabile dei lavori).

Nel secondo caso, quando il committente si affida a un artigiano, un lavoratore autonomo o un dipendente di ditta che fa lavoretti "extra" dopo il lavoro, il proprietario di casa è tenuto ad ancora maggiore diligenza. Difatti, i giudici della Suprema Corte hanno dichiarato che al proprietario compete di vigilare se il soggetto stia utilizzando sistemi infortunistici idonei alla prestazione che è chiamato ad adempiere. Con sentenza del 21 settembre 2009 n. 36581, la Cassazione ha condannato il proprietario-committente per omicidio colposo dell'operaio, morto per infortunio occorso in occasione dello svolgimento dei lavori commissionati, il quale aveva omesso di adottare idonee misure di protezione. In particolare, "l'avere utilizzato le prestazioni lavorative della vittima nelle descritte condizioni costituiva circostanza che imponeva alla Corte di merito di verificare se (il committente-privato) avendo commissionato un lavoro pericoloso, dovesse o meno vigilare affinché le opere da realizzare fossero poste in essere in condizioni di sicurezza e nel rispetto della normativa antinfortunistica. I giudici del merito non potevano non accertare se (l'esecutore) fosse persona munita di capacità tecnica e professionale proporzionata al tipo di attività commissionata".
Anche con sentenza del 1 dicembre 2010 n. 42465, la Cassazione ha sancito la responsabilità per omicidio colposo del committente in caso di morte di un lavoratore causata dalla caduta da un’impalcatura, posta all’interno di un'abitazione.

Quanto detto vale sotto il profilo penalistico-amministrativo.
Dal punto di vista civilistico, può sempre ipotizzarsi una responsabilità del proprietario di casa per custodia (art. 2051 del c.c.), scaturente dalla mancata vigilanza di una cosa su cui si abbia un effettivo "potere fisico", che implica l'onere di accertarsi che dalla cosa stessa non derivi danno ad altri. Si pensi al caso in cui l'operaio sia scivolato perché la mancata manutenzione di un muro o di una pavimentazione da parte del proprietario abbia causato la caduta di una scala. Naturalmente, affinché il proprietario sia tenuto a risarcire il danno, deve sussistere un nesso causale tra la cosa e l’evento dannoso, che può essere interrotto anche dal mero comportamento colposo del danneggiato, ascrivibile ad esempio al mancato uso dell’ordinaria diligenza (per es., l'operaio posiziona la scala senza accertarsi della scivolosità di un pavimento - si parla in senso tecnico di "prova liberatoria", che deve essere molto rigorosa).

Infine, laddove possa essere individuata una specifica colpa in capo al proprietario, il quale abbia cagionato un danno al lavoratore mentre questi operava presso la sua abitazione, può sempre ipotizzarsi anche una responsabilità civile generica, ai sensi dell'art. 2043 del c.c.. Si pensi, ad esempio, al caso in cui il proprietario abbia causato con un suo comportamento negligente la caduta dell'operaio da una scala.

Tutto ciò premesso, al quesito proposto non può essere data risposta certa, in quanto andrebbe esaminata con estrema attenzione tutta la vicenda concreta. Tuttavia, è bene che il proprietario di casa-committente ricordi che anche in capo a sé può sorgere una responsabilità, addirittura penale, per gli incidenti che possono capitare ai lavoratori prestanti attività presso la propria abitazione.

Giorgio P. chiede
martedì 29/10/2013 - Veneto
“Il condomino che abita sopra il mio appartamento ha l'abitudine di lavare la terrazza con candeggina (detiene un cane) e questa, scaricandosi con l'acqua attraverso lo scarico della terrazza è colata sugli infissi della mia porta finestra danneggiandoli (scoloritura, scrostamento, sporcamento). Ho diritto al risarcimento di tali danni, richiedendoli al condomino "lavatore"?”
Consulenza legale i 06/11/2013
Nel caso descritto si individua una ipotesi di stillicidio, vietata dall'art. 908 del c.c.. Seppure esistesse una servitù di stillicidio costituita per destinazione del padre di famiglia ex art. 1062 del c.c. (derivante dal fatto che l'originale proprietario dell'intero palazzo - di regola, il costruttore - avesse così predisposto lo scolo delle acque piovane e tale situazione di fatto fosse rimasta tale al momento della vendita degli appartamenti e quindi della costituzione del condominio), sicuramente tale servitù non consentirebbe di versare nel terrazzo dell'appartamento sottostante sostanze tossiche come la candeggina. Sul punto v. Cass. civ., sez. II, 28.3.2007 n. 7576: "lo stillicidio sia delle acque piovane sia, a maggior ragione, di quelle provenienti dall'esercizio di attività umane (come, ad es., dallo sciorinio di panni stesi mediante sporti sul fondo alieno) può essere legittimamente esercitato soltanto se trovi rispondenza specifica in un titolo costitutivo di servitù ad hoc".

Oltre a poter chiedere che il vicino interrompa immediatamente i lavaggi con candeggina o che comunque ponga rimedio alla caduta al piano inferiore, raccogliendo in altro modo il liquido che utilizza per lavare il suo terrazzo, si ravvisa anche la possibilità di chiedere un risarcimento del danno derivante dallo stillicidio della candeggina.

La competenza per le cause relative a rapporti tra proprietari di immobili adibiti a civile abitazione in materia di immissioni di fumo o di calore, esalazioni, rumori, scuotimenti etc. che superino la normale tollerabilità è del Giudice di Pace (art. 7 del c.p.c.): egli potrà condannare altresì al risarcimento del danno che abbia valore inferiore a 5.000 euro.
Qualora, tuttavia, il danno agli infissi risultasse superiore a tale soglia (relativa alla competenza del giudice di pace per cause relative a beni mobili), ci si potrà rivolgere al Tribunale chiedendo il risarcimento del danno ai sensi dell'art. 2051 del c.c.. Per escludere la propria responsabilità il danneggiante è tenuto a provare che il danno è derivato da caso fortuito, comprensivo del fatto del terzo o della colpa del danneggiato: circostanza che nel caso di specie va senza dubbio esclusa, con conseguente piena responsabilità del vicino danneggiante.

Carlo M. chiede
venerdì 16/11/2012 - Lombardia

“Ho di recente subito un sinistro causato da un pneumatico di camion abbandonato in 3 corsia sull'autostrada Brescia Padova. Ritenete che per questo caso possa avvalermi dell'art. 2051 del Codice Civile? Pensate sia utile per supportare la pratica di risarcimento dei danni subiti nei confronti di soc. autostrade?
Cordiali saluti.”

Consulenza legale i 16/11/2012

L'art. 2051 del c.c. disciplina le ipotesi di danno cagionato da cose in custodia, indicando che "ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito".

La norma in analisi pone una vera e propria presunzione di responsabilità in capo a colui che si trovi in rapporto di custodia con la cosa che cagiona l'evento lesivo in via diretta, rapporto che postula l'effettivo potere sulla stessa, e cioè la sua disponibilità giuridica e materiale, con il conseguente potere di intervento su di essa.

Inoltre, nell'ambito del quesito posto, è bene ricordare che gli enti proprietari delle strade, ai sensi dell'art. 14 del d.lgs. 1992, n. 285 devono provvedere alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade, delle loro pertinenze e arredo, al loro controllo tecnico e alla apposizione e manutenzione della segnaletica prescritta. Si tratta quindi di un obbligo derivante dal mero fatto di essere proprietari.

Infine, in tema di autostrade, per loro natura destinate alla percorrenza veloce in condizioni di sicurezza, cui si è ammessi dietro corrispettivo, la possibilità di controllo in capo all'ente proprietario consente di configurare un rapporto di custodia ai sensi dell'art. 2051 del c.c., distinguendo però le situazioni di pericolo connesse alla struttura o alle pertinenze dell'autostrada, da quelle provocate dagli stessi utenti ovvero da una repentina e non prevedibile alterazione dello stato della cosa, potendosi delineare il caso fortuito ogni qual volta in cui l'evento dannoso presenti i caratteri di imprevedibilità e della inevitabilità, in quanto l'insidia, nonostante l'attività di controllo e la diligenza impiegata allo scopo di garantire un intervento tempestivo, non possa essere rimossa o segnalata, per il difetto del tempo strettamente necessario (Cass. Civ. sez III, 13.7.2005, n. 14749).

Pertanto, sarà utile sicuramente invocare la responsabilità dell'ente autostradale ex art. 2051 del c.c., consapevoli del fatto che lo stesso ente potrebbe invocare il caso fortuito come prova liberatoria per andare esente dall'addebito di tale responsabilità.


Sandra chiede
lunedì 04/10/2010
“Ho subito un danno grave (distacco di calcinacci) al soffitto del mio terrazzo pertinente il mio appartamento;danno causato da infiltrazioni d'acqua tramite pavimentazione dal terrazzo del proprietario soprastante. Ci sono infiltrazioni già da anni. Deve pagare i danni a me il proprietario dell'appartamento soprastante il mio? considerando che non è stato sicuramente un caso fortuito ma bensì incuria? Grazie.”
Consulenza legale i 24/10/2010

Nel caso di specie trova applicazione l'art. 2051 del c.c.: "DANNO CAGIONATO DA COSE IN CUSTODIA. Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito".

Nella categoria generale degli eventi dannosi cagionati da cose in custodia rientrano anche quelli riconducibili a fattori estranei al comportamento umano che abbiano diretta fonte nelle intrinseche caratteristiche lesive di una parte del fabbricato. L'art. 2051 c.c. pone una vera e propria presunzione di responsabilità in capo a colui che ha in custodia la cosa che ha cagionato il danno. Perché tale presunzione trovi applicazione è necessario: 1) che la cosa sia causa diretta del danno; 2) che colui che è chiamato a rispondere del danno abbia un effettivo potere fisico sulla cosa, in modo che gli sia consentito di controllare i rischi ad essa inerenti.

Ricorrendo tali presupposti è irrilevante che il danno sia stato causato da vizi od anomalie insorti nella cosa prima dell'inizio del rapporto di custodia.

Mancando il caso fortuito, nel caso di specie il proprietario dell'appartamento soprastante a quello danneggiato sarà tenuto al risarcimento del danno.


Roberta D. M. chiede
domenica 23/05/2021 - Veneto
“Sono proprietaria di un appartamento in condominio e di una cantina che è posta sotto parte del giardino condominiale. Cantina danneggiata da infiltrazioni d'acqua provenienti attraverso la guaina di copertura del giardino.
Fino ad oggi per le spese di sfalcio dell'area verde condominiale è stata utilizzata la ripartizione per millesimi.
Alla prossima riunione condominiale ai primi di giugno l'amministratore proporra' all'assemblea il ripristino della guaina del giardino condominiale che crea il danno alla mia cantina, imputando a me gran parte della spesa (2/3 della spesa) in quanto a suo parere trattasi di lastrico solare. Attendo cortese vostro chiarimento su tale sua convinzione di divisione della spesa, che non mi trova d'accordo.
E sulle modalità di conteggio danni per ripristino interno del mio locale cantina, da mesi inutilizzabile per continua infiltrazione. E i cui pochi beni conservati non saranno più utilizzabili.
Aggiungo che l'acqua che si è infiltrata e che ha danneggiato la mia cantina nel frattempo sta scendendo nel sottostante garage condominiale. È ne ha bagnato il soffitto dell'area di manovra.”
Consulenza legale i 27/05/2021
La Corte di Cassazione, con diverse sentenze, ha stabilito che in caso di infiltrazioni provenienti da cortili e giardini condominiali sovrastanti garage o cantine in proprietà esclusiva, per la ripartizione delle spese tra la intera compagine condominiale e i singoli proprietari deve trovare applicazione analogica l’art. 1125 del c.c., in luogo dell’art. 1126 del c.c.
"In materia di condominio, qualora si debba procedere alla riparazione del cortile o viale di accesso all'edificio condominiale, che funga anche da copertura per i locali sotterranei di proprietà esclusiva di un singolo condomino si deve…procedere ad un'applicazione analogica dell'art. 1125 c.c., il quale accolla per intero le spese relative alla manutenzione della parte della struttura complessa identificantesi con il pavimento del piano superiore, a chi con l'uso esclusivo della stessa determina la necessità della inerente manutenzione, in tal senso verificandosi un'applicazione particolare del principio generale dettato dall'art. 1123 c.c.,comma 2 (Cass.Civ.,Sez.II n. 10858 del 05.05.2010)".

I giudici fanno discendere l’applicazione dell’art. 1125 del c.c. dal fatto che il giardino o il cortile condominiale sono solitamente utilizzati da tutti i proprietari: l’usura, quindi, che ha portato alle infiltrazioni nelle unità sottostanti, è stata causata da tutti i condomini indistintamente.
L’applicazione analogica dell’art. 1125 del c.c. comporta che le spese di manutenzione e rifacimento della guaina impermeabilizzante dell’area condominiale devono essere a carico di tutti i condomini, con esclusione dei proprietari delle cantine e garage sottostanti; al contrario le spese di rifacimento e manutenzione del soffitto di detti locali devono essere corrisposte dai proprietari degli stessi, i quali non possono chiedere il rimborso al condominio.

La situazione trova una diversa soluzione nel caso in cui le infiltrazioni non sono derivate dalla normale usura dell’area cortiliva sovrastante, ma da una cattiva manutenzione della stessa da parte della compagine condominiale, vuoi perché l’assemblea si rifiuta di deliberare opere di manutenzione necessarie, vuoi perché lo stesso amministratore ha omesso di effettuare quelle azioni di vigilanza sulle cose comuni che sono proprie delle sue funzioni (su questo ultimo aspetto si veda la parte finale del parere).
Il condominio è infatti custode ai sensi dell’art.2051 del c.c. delle parti comuni dell’edificio e, nel caso di specie, del giardino; in forza di tale norma, pertanto, risponde dei danni derivanti alle proprietà sottostanti, dalla incuria e dalla cattiva manutenzione dello stesso.
Nel caso in cui dovesse trovare applicazione l’art 2051 c.c., cadono tutti i principi di suddivisone congiunta delle spese che si sono esposti nel paragrafo precedente. In questo caso in qualità di soggetto danneggiante, il condominio dovrebbe risarcire i proprietari delle unità sottostanti, dei danni derivanti dalla omessa manutenzione della proprietà condominiale sovrastante, rispondendo anche di tutti i lavori necessari per la rimessa in pristino delle cantine.
Per capire se le infiltrazioni che hanno causato i danni alle cantine sottostanti rientrano nel primo, o nel secondo caso che si è descritto, è opportuno, anche ai fini assicurativi, individuare le origini delle stesse, effettuando sullo stabile ed in particolare sull’area cortiliva una perizia tecnica.

Il quesito non offre sufficienti elementi per capire se siamo di fronte all’applicazione dell’art. 1125 del c.c. piuttosto che in un caso da responsabilità da cose in custodia di cui all’art. 2051 del c.c. Sicuramente ciò che si comprende è che le infiltrazioni non erano un fenomeno sporadico, ma al contrario le stesse risultavano essere frequenti e copiose, tant’è che le stesse non solo hanno reso inservibile la cantina dell’autrice del quesito ma stanno inoltre compromettendo altre parti comuni dell’edificio.
Il n. 4) dell’art. 1130 del c.c. ci dice che tra i compiti dell’amministratore rientra quello di porre in essere tutti gli atti conservativi relativi alle parti comuni dell’edificio. Il successivo 2°co. dell’art. 1135 del c.c. dispone inoltre che l’amministratore non può ordinare lavori di manutenzione straordinaria sulle parti comuni, salvo che gli stessi rivestano carattere di urgenza: in questo ultimo caso però deve riferirne nella prima assemblea utile.

Sulla base delle norme citate discende che l’amministratore a fronte della grave situazione in cui versava la copertura del giardino condominiale, aveva l’obbligo di incaricare una impresa affinchè mettesse in sicurezza la copertura evitando che le infiltrazioni causassero ulteriori danni; per fare ciò non era necessaria una preventiva convocazione della assise, assise che comunque l’amministratore doveva convocare nel più breve tempo possibile.

Se l’amministratore non si è attivato in tal senso ha compiuto una grave negligenza professionale la quale, oltre a giustificarne la revoca dall’ incarico, potrebbe essere messa a fondamento per una eventuale richiesta di risarcimento danni in sede giudiziale.

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