Cassazione civile Sez. III sentenza n. 11616 del 26 ottobre 1992

(2 massime)

(massima n. 1)

Il danno per inabilità permanente non coincide automaticamente con la proporzionale riduzione del reddito di lavoro percepito dal danneggiato ma deve essere in concreto accertato, anche per via presuntiva, sulla base della differenza tra i redditi che il danneggiato, in relazione alla sua qualifica ed attività, avrebbe potuto percepire e quelli a cui deve presumersi che rimarrà ancorato a causa della menomazione riportata, escludendosi ogni confusione tra questo danno, che è strettamente legato alla effettiva riduzione della capacità di guadagno, con le altre forme di danno, quale quello biologico, nella cui valutazione assume preminente rilievo la gravità della inabilità.

(massima n. 2)

Nella liquidazione dei debiti di valore il giudice deve tenere conto dell'eventuale diminuito potere di acquisto della moneta disponendo la relativa rivalutazione fino alla data di pubblicazione della sentenza, che costituisce il momento in cui il credito dedotto in giudizio diviene liquido ed esigibile ed il cui correlativo debito si converte in debito di valuta, mentre non può tenere conto anche di eventi futuri ed ipotetici successivi alla pronuncia esecutiva, dato che il ritardo nella esecuzione di questa, concretando l'inadempimento di una obbligazione pecuniaria, può comportare, a norma dell'art. 1224 c.c., il diritto agli interessi ed al risarcimento del maggior danno, che è fondato su presupposti del tutto diversi da quelli della rivalutazione automatica del debito di valore.

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