Cassazione civile Sez. III sentenza n. 490 del 20 gennaio 1999

(2 massime)

(massima n. 1)

In tema di liquidazione del danno da fatto illecito, l'adozione del criterio di determinazione della somma dovuta a titolo di risarcimento del danno alla salute e di quello morale alla stregua del sistema cosiddetto del «valore di punto differenziato», criterio sempre più diffuso, ed anche auspicato al fine di evitare che la valutazione inevitabilmente equitativa del danno non patrimoniale assuma connotazioni ogni volta diverse ed imprevedibili, suscettibili di apparire arbitrarie, non costituisce, tuttavia, un dovere del giudice, il quale ben può, invece, seguire criteri correlati esclusivamente alle particolarità del caso concreto. Queste devono, comunque, essere tenute ben presenti al fine di rendere la valutazione il più possibile equa in relazione alle caratteristiche del caso di specie, anche allorché il giudice ritenga di far ricorso al sopra menzionato criterio del valore di punto differenziato.

(massima n. 2)

Nella obbligazione risarcitoria da fatto illecito, che costituisce tipico debito di valore, in cui il danaro non costituisce oggetto della prestazione, ma solo metro di commisurazione del valore perduto dal creditore, gli interessi, non già moratori, ma compensativi, costituiscono solo una delle possibili modalità liquidatorie dell'eventuale danno da lucro cessante conseguito alla ritardata corresponsione dell'equivalente monetario del danno. Ove il giudice adotti, come criterio del risarcimento del danno da ritardato adempimento, quello degli interessi, questi non possono essere calcolati dalla data dell'illecito sulla somma liquidata per il capitale, ma con riferimento ai singoli momenti - da determinarsi in concreto, secondo le circostanze del caso - con riguardo ai quali la somma equivalente al bene perduto si incrementa nominalmente, in base agli indici prescelti di rivalutazione monetaria, ovvero ad un indice medio. (In applicazione di tali principi, la S.C. ha ritenuto insindacabile la valutazione compiuta nella specie dalla corte di merito, che aveva liquidato gli interessi sugli importi non al saggio legale, vigente all'epoca, del 10 per cento in ragione di anno, ma al 5 per cento, così determinato il tasso con apprezzamento degli atti processuali e storici acquisiti).

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