Cassazione civile Sez. III sentenza n. 7507 del 4 giugno 2001

(3 massime)

(massima n. 1)

In contrapposizione all'art. 2043 c.c., che fa sorgere l'obbligo del risarcimento dalla commissione di un «fatto» doloso o colposo, il successivo art. 2055 considera, ai fini della solidarietà nel risarcimento stesso, il «fatto dannoso», sicché, mentre la prima norma si riferisce all'azione del soggetto che cagiona l'evento, la seconda riguarda la posizione di quello che subisce il danno, ed in cui favore è stabilita la solidarietà. Ne consegue che l'unicità del fatto dannoso richiesta dal ricordato art. 2055 per la legittima predicabilità di una responsabilità solidale tra gli autori dell'illecito deve essere intesa in senso non assoluto, ma relativo al danneggiato, ricorrendo, pertanto, tale forma di responsabilità pur se il fatto dannoso sia derivato da più azioni o omissioni, dolose o colpose, costituenti fatti illeciti distinti, ed anche diversi, sempreché le singole azioni o omissioni abbiano concorso in maniera efficiente alla produzione del danno, e senza che, con tale principio, contrasti la disposizione dell'art. 187 cpv c.p., la quale, con lo statuire per i condannati per uno stesso reato l'obbligo in solido al risarcimento del danno, non esclude ipotesi diverse di responsabilità solidale di soggetti che non siano colpiti da alcuna condanna o che siano colpiti da condanna per reati diversi o che siano taluni colpiti da condanna e altri no (principio affermato in tema di responsabilità solidale tra fautore dell'incidente, che aveva causato lesioni personali al danneggiato, ed il medico, che aveva provveduto alle conseguenti relative cure sanitarie).

(massima n. 2)

La liquidazione del risarcimento di danni futuri comporta la detrazione, sulla somma assegnata al danneggiato, di interessi a scalare per il periodo di pagamento anticipato del capitale, detrazione da calcolarsi con riferimento al momento dell'effettiva corresponsione della somma (o, in mancanza, al momento della liquidazione della stessa), e non anche con riguardo alla data del fatto illecito.

(massima n. 3)

Nel caso di lesioni personali seguite da trattamento sanitario che, in luogo di determinarne la guarigione, le abbiano aggravate (o abbiano addirittura provocato la morte del paziente), l'eventuale negligenza o imperizia dei medici non esclude, di per sé, il nesso di causalità tra la condotta lesiva dell'agente e l'evento finale, poiché la colpa del sanitario, ancorché grave, non pub ritenersi causa autonoma ed indipendente rispetto al comportamento dell'autore dell'illecito che, provocando il fatto lesivo, ne abbia reso necessario l'intervento. L'intervento medico è, difatti, vicenda sicuramente tipica e prevedibile, mentre lo stesso errore professionale, non potendo, di per sé, ritenersi fatto del tutto imprevedibile o inverosimile, si inserisce del tutto legittimamente nella serie causale originata dall'azione offensiva rispetto alla quale costituisce, dunque, momento normale di evoluzione, poiché le modalità con cui i sanitari operano non realizzano quella situazione di sufficienza causale sopravvenuta nella determinazione dell'evento dalla quale il legislatore fa dipendere l'esclusione del rapporto di causalità rispetto a tutti gli antecedenti comunque riferibili all'evento.

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