Cassazione civile Sez. III sentenza n. 8970 del 10 settembre 1998

(4 massime)

(massima n. 1)

Il bene «salute» ed il bene «vita» costituiscono beni distinti e tutelati in forma distinta. Mentre infatti il primo ammette una forma di tutela risarcitoria, il secondo no, in quanto, essendo strettamente connesso alla persona del suo titolare, non se ne può concepire la autonoma risarcibilità quando tale persona abbia cessato di esistere. Ne consegue che, in caso di morte di un individuo causata dall'altrui atto illecito, ove la morte sia contestuale all'azione dannosa, nulla è dovuto agli eredi a titolo di risarcimento jure successionis del danno biologico sofferto dal loro dante causa, in quanto questi non ha mai subito alcun «danno biologico» rigorosamente inteso.

(massima n. 2)

Il danno patrimoniale subito dai familiari di una casalinga deceduta in conseguenza dell'altrui atto illecito, e consistente nella perdita delle prestazioni domestiche erogate dalla propria congiunta, può essere legittimamente liquidato facendo riferimento non al reddito di una collaboratrice domestica, ma al triplo della pensione sociale.

(massima n. 3)

Nel caso in cui due coniugi decedano, per effetto dell'altrui atto illecito, la ideale quota di reddito che ciascuno di essi destinava all'altro può essere ricompresa nel calcolo del danno patrimoniale subito dai figli soltanto ove il giudice possa ritenere, anche in base a presunzioni semplici, che tale quota - ove uno dei coniugi fosse sopravvissuto - sarebbe stata destinata a pro dei familiari superstiti.

(massima n. 4)

Nel liquidare il danno patrimoniale subito dagli eredi di persona deceduta in conseguenza dell'altrui atto illecito, danno pari alla perdita della quota di reddito che il defunto destinava stabilmente alla propria famiglia, il giudice di merito - quand'anche intenda liquidare tale danno in via equitativa, ex art. 1226 c.c. - ha l'onere di indicare in base a quali criteri e secondo quali calcoli è pervenuto a determinare il reddito da porre a base del calcolo liquidatorio (nella specie, la S.C. ha cassato la decisione del giudice del merito il quale, dopo avere accertato l'esistenza del danno, lo aveva liquidato con la formula «appare equo fissare il presunto reddito in lire 25.000.000», senza indicare come avesse determinato tale cifra.

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