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Articolo 1136 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 31/01/2024]

Costituzione dell'assemblea e validità delle deliberazioni

Dispositivo dell'art. 1136 Codice Civile

(1)L'assemblea in prima convocazione è regolarmente costituita con l'intervento di tanti condomini che rappresentino i due terzi del valore dell'intero edificio e la maggioranza dei partecipanti al condominio.

Sono valide le deliberazioni approvate con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio(2) [1129].

Se l'assemblea in prima convocazione non può deliberare per mancanza di numero legale, l'assemblea in seconda convocazione delibera in un giorno successivo a quello della prima e, in ogni caso, non oltre dieci giorni dalla medesima. L'assemblea in seconda convocazione è regolarmente costituita con l'intervento di tanti condomini che rappresentino almeno un terzo del valore dell'intero edificio e un terzo dei partecipanti al condominio. La deliberazione è valida se approvata dalla maggioranza degli intervenuti con un numero di voti che rappresenti almeno un terzo del valore dell'edificio(3).

Le deliberazioni che concernono la nomina e la revoca dell'amministratore o le liti attive e passive relative a materie che esorbitano dalle attribuzioni dell'amministratore medesimo, le deliberazioni che concernono la ricostruzione dell'edificio o riparazioni straordinarie di notevole entità e le deliberazioni di cui agli articoli 1117 quater, 1120, secondo comma, 1122 ter nonché 1135, terzo comma, devono essere sempre approvate con la maggioranza stabilita dal secondo comma del presente articolo(4)(5).

Le deliberazioni di cui all'articolo 1120, primo comma, e all'articolo 1122 bis, terzo comma, devono essere approvate dall'assemblea con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti ed almeno i due terzi del valore dell'edificio(4)(5).

L'assemblea non può deliberare, se non consta che tutti gli aventi diritto sono stati regolarmente convocati(6).

Delle riunioni dell'assemblea si redige processo verbale da trascrivere nel registro tenuto dall'amministratore [66, 67].

Note

(1) Articolo così modificato con legge 11 dicembre 2012, n. 220.
L'articolo precedente così disponeva:
"L'assemblea è regolarmente costituita con l'intervento di tanti condomini che rappresentino i due terzi del valore dell'intero edificio e i due terzi dei partecipanti al condominio.
Sono valide le deliberazioni approvate con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio.
Se l'assemblea non può deliberare per mancanza di numero, l'assemblea di seconda convocazione delibera in un giorno successivo a quello della prima e, in ogni caso, non oltre dieci giorni dalla medesima; la deliberazione è valida se riporta un numero di voti che rappresenti il terzo dei partecipanti al condominio e almeno un terzo del valore dell'edificio.
Le deliberazioni che concernono la nomina e la revoca dell'amministratore o le liti attive e passive relative a materie che esorbitano dalle attribuzioni dell'amministratore medesimo, nonché le deliberazioni che concernono la ricostruzione dell'edificio o riparazioni straordinarie di notevole entità devono essere sempre prese con la maggioranza stabilita dal secondo comma.
Le deliberazioni che hanno per oggetto le innovazioni previste dal primo comma dell'articolo 1120 devono essere sempre approvate con un numero di voti che rappresenti la maggioranza dei partecipanti al condominio e i due terzi del valore dell'edificio.
L'assemblea non può deliberare, se non consta che tutti i condomini sono stati invitati alla riunione.
Delle deliberazioni dell'assemblea si redige processo verbale da trascriversi in un registro tenuto dall'amministratore
".
(2) In prima convocazione:
- il quorum costitutivo è dato dai due terzi del valore dell'intero edificio e dalla maggioranza dei partecipanti al condominio;
- il quorum deliberativo è pari al numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio.
(3) In seconda convocazione:
- il quorum costitutivo è dato dall'intervento di tanti condomini che rappresentino almeno un terzo del valore dell'intero edificio e un terzo dei partecipanti al condominio;
- il quorum deliberativo è pari alla maggioranza degli intervenuti con un numero di voti che rappresenti almeno un terzo del valore dell'edificio.
(4) Nel condominio si distinguono tre gruppi di affari che richiedono diverse maggioranze assembleari:
1. atti di ordinaria amministrazioni e riparazioni straordinarie di non grande entità: si applicano i primi tre commi dell'articolo in commento a seconda che si deliberi in prima o seconda convocazione;
2. atti che eccedono l'ordinaria amministrazione senza costituire innovazione: anche nella seconda convocazione è richiesto il quorum deliberativo dell'assemblea in prima convocazione;
3. innovazioni (articolo 1120, primo comma, e 1122 bis, terzo comma): sia in prima che in seconda convocazione è richiesto il quorum qualificato dato dalla maggioranza degli intervenuti ed almeno i due terzi del valore dell'edificio.
(5) Il D.L. 18 aprile 2019, n. 32 ha disposto (con l'art. 10, comma 9) che:
"In deroga agli articoli 1120, 1121 e 1136, quarto e quinto comma, del codice civile, gli interventi di recupero relativi ad un unico immobile composto da più unità immobiliari possono essere disposti dalla maggioranza dei condomini che comunque rappresenti almeno la metà del valore dell'edificio e gli interventi ivi previsti devono essere approvati con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno un terzo del valore dell'edificio."

(6) Il vizio di mancata convocazione anche di un solo condomino rende la delibera annullabile.
Ai sensi dell'art. 66 disp. att. c.c., come rinnovato nel 2012, l'avviso di convocazione, contenente specifica indicazione dell'ordine del giorno, deve essere comunicato almeno cinque giorni prima della data fissata per l'adunanza in prima convocazione, a mezzo di posta raccomandata, posta elettronica certificata, fax o tramite consegna a mano, e deve contenere l'indicazione del luogo e dell'ora della riunione. In caso di omessa, tardiva o incompleta convocazione degli aventi diritto, la deliberazione assembleare è annullabile ai sensi dell'articolo 1137 del codice su istanza dei dissenzienti o assenti perché non ritualmente convocati.

Ratio Legis

Tale disposizione si riferisce all'assemblea ordinaria, ma si reputa che essa sia applicabile anche a quella straordinaria, in mancanza di una diversa previsione.
La distinzione tra assemblea ordinaria e straordinaria si fonda sull'unico dato solo della periodicità della convocazione della prima.
La validità delle delibere dell'assemblea richiede il voto positivo di un determinato numero di condomini, soggetto a variazione in ragione dell' oggetto della decisione assembleare.

Spiegazione dell'art. 1136 Codice Civile

Condizioni per la valida costituzione dell'assemblea e condizioni per la validità delle deliberazioni

Bisogna distinguere le condizioni per la valida costituzione dell'assemblea da quelle per la validità delle deliberazioni. Naturalmente non si può parlare di validità delle seconde senza la validità della prima.

Fondamentale condizione di validità dell'assemblea è quella che tutti i condomini siano stati invitati alla riunione: qualunque maggioranza la deliberazione abbia riportato, fosse anche la totalità dei consensi degli interessati meno uno, nessuna deliberazione è valida se tutti i partecipanti non sono stati invitati alla riunione. È questo ius receptum dalla giurisprudenza, che ha espressamente stabilito nel sesto capoverso del presente articolo.

Non occorrono tuttavia delle forme particolari di convocazione, ma è sufficiente la constatazione che tutti i partecipanti siano stati posti in grado, con invito, e quindi con una dichiarazione ad essi diretta, di partecipare alla riunione e di conoscere l'argomento delle deliberazioni. La determinazione di un argomento sul quale deliberare contiene implicito l'invito a deliberare sugli argomenti che ne sono una conseguenza o sono ad esso accessori.

Ciò premesso, sia per la validità della costituzione dell'assemblea sia per la validità delle deliberazioni, il legislatore ha tenuto presente il duplice criterio del numero e dell'interesse.

Quanto alla prima, l'assemblea è regolarmente costituita quando sono presenti tanti condomini che rappresentino i due terzi del valore dell'intero edificio e la maggioranza dei partecipanti al condominio. Se non si potesse deliberare per mancanza di numero, l' assemblea di seconda convocazione deve avere luogo in un giorno successivo a quello della prima, ed in ogni caso non oltre dieci giorni dalla medesima. L'assemblea in seconda convocazione è costituita regolarmente con l'intervento di tanti condomini che rappresentino almeno un terzo del valore dell'intero edificio, e un terzo del partecipanti al condominio.

Quanto alle deliberazioni, se si tratta di assemblea in prima convocazione, occorrerà un numero di voti, che rappresentino la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio. Se si tratta di assemblea in seconda convocazione, sarà sufficiente la volontà del terzo dei partecipanti al condominio, che rappresenti allo stesso tempo almeno un terzo del valore dell'edificio.

Si fa eccezione per le deliberazioni che concernano la nomina e la revoca dell'amministratore e le liti attive e passive relative a materie che esorbitano dalle attribuzioni conferite all'amministratore medesimo, nonché per le deliberazioni che concernano la ricostruzione dell'edificio o altre riparazioni straordinarie di notevole entità. Per queste si esige sempre, si tratti di prima o di seconda convocazione dell'assemblea, un numero di voti corrispondente a quanto stabilito dal secondo comma della disposizione in esame.

Più rigorosa ancora è la norma per le deliberazioni che hanno per oggetto le innovazioni previste dal primo comma dell’ art. 1120 del c.c.: per esse occorre un numero di voti che rappresentino la maggioranza dei partecipanti al condominio e i due terzi del valore dell'edificio.

Delle deliberazioni dell'assemblea si redige processo verbale e questo va trascritto nel registro indicato nell’ art. 1129 del c.c..

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

532 Le attribuzioni dell'assemblea e la validità delle deliberazioni da essa adottate ricevono (art. 1135 del c.c. e art. 1136 del c.c.) una disciplina sostanzialmente conforme a quella che dettava il R. decreto-legge 5 gennaio 1934 (articoli 23 e 24). Per altro, riguardo alla costituzione dell'assemblea e alla validità delle deliberazioni, ho apportato alcuni ritocchi alle disposizioni dell'art. 24 del citato decreto-legge e ho stabilito che l'assemblea non può deliberare se tutti i condomini non sono stati invitati alla riunione. Contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio ciascun condomino può ricorrere all'autorità giudiziaria nel termine di trenta giorni, che decorre dalla data della deliberazione per i dissenzienti e dalla data di comunicazione per gli assenti; ma il ricorso, in conformità di quanto è disposto in tema di comunione in generale (art. 1109 del c.c.), non sospende l'esecuzione del provvedimento, salvo che la sospensione sia ordinata dall'autorità giudiziaria (art. 1137 del c.c.). Circa i regolamenti di condominio, senza variare la maggioranza qualificata richiesta per la loro approvazione dall'art. 28, primo comma, del decreto-legge più volte citato, e assoggettandone l'impugnazione alle norme stabilite, in tema di comunione in generale, per gli altri regolamenti di comunione, ho creduto opportuno renderne obbligatoria la formazione quando il numero dei condomini è superiore a dieci (art. 1138 del c.c.). La pubblicità di tali regolamenti è assicurata dalla trascrizione di essi in apposito registro, da tenersi, come si precisa nelle disposizioni di attuazione del codice, dall'associazione professionale dei proprietari di fabbricati. In questo registro devono anche essere annotate, perciò i terzi ne abbiano conoscenza, la nomina e la cessazione per qualunque causa dell'amministratore dall'ufficio (art. 1129, ultimo, comma).

Massime relative all'art. 1136 Codice Civile

Cass. civ. n. 40827/2021

In tema di assemblea di condominio, sebbene il relativo verbale dovrebbe contenere l'elenco nominativo dei condomini intervenuti, indicando assenti e dissenzienti, nonché il valore delle rispettive quote, la mancanza di tale indicazione non incide sulla validità della delibera, ove a tale incompletezza possa rimediarsi mediante un controllo "aliunde" della regolarità del procedimento. Sicché non è annullabile la deliberazione il cui verbale, ancorché non riporti l'indicazione nominativa dei condomini che hanno votato a favore, cionondimeno contenga l'elenco di tutti i condomini presenti, con i relativi millesimi e rechi, altresì, l'indicazione nominativa di quelli che si sono astenuti e di quelli che hanno votato contro, nonché del valore complessivo delle rispettive quote millesimali, consentendo tali dati di stabilire con sicurezza, per differenza, quanti e quali condomini hanno espresso voto favorevole, nonché di verificare che la deliberazione assunta abbia superato il "quorum" richiesto dall'art. 1136 c.c.

In tema di assemblea di condominio, la preventiva convocazione degli aventi diritto a parteciparvi integra un'incombenza, di regola, gravante sull'amministratore, nonché un requisito di validità di ogni deliberazione, spettando poi all'assemblea e, per essa, al suo presidente, il compito di controllare, sulla base dell'elenco di detti aventi diritto eventualmente stilato dall'amministratore, la regolarità degli avvisi di convocazione, nonché darne conto nel verbale della riunione, trattandosi di una delle prescrizioni di forma richieste dal procedimento collegiale, la cui inosservanza importa l'impugnabilità della delibera, in quanto non presa in conformità alla legge.

Cass. civ. n. 25558/2020

In tema di condominio negli edifici, la regola posta dall'art. 1136, comma 3, c.c., secondo la quale la deliberazione assunta dall'assemblea condominiale in seconda convocazione è valida se riporta un numero di voti che rappresenti il terzo dei partecipanti al condominio e almeno un terzo del valore dell'edificio, va intesa nel senso che, coloro che abbiano votato contro l'approvazione non devono rappresentare un valore proprietario maggiore rispetto a coloro che abbiano votato a favore, atteso che l'intero art. 1136 c.c. privilegia il criterio della maggioranza del valore dell'edificio quale strumento coerente per soddisfare le esigenze condominiali. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO TORINO, 24/07/2015).

Cass. civ. n. 6735/2020

Per l'atto di approvazione delle tabelle millesimali e per quello di revisione delle stesse, è sufficiente la maggioranza qualificata di cui all'art. 1136, comma 2, c.c., ogni qual volta l'approvazione o la revisione avvengano con funzione meramente ricognitiva dei valori e dei criteri stabiliti dalla legge; viceversa, la tabella da cui risulti espressamente che si sia inteso derogare al regime legale di ripartizione delle spese, ovvero approvare quella "diversa convenzione", di cui all'art. 1123, comma 1, c.c., rivelando la sua natura contrattuale, necessita dell'approvazione unanime dei condomini. (Rigetta, CORTE D'APPELLO GENOVA, 10/07/2014).

Cass. civ. n. 27159/2018

In tema di condominio, l'atto di approvazione delle tabelle millesimali, al pari di quello di revisione delle stesse, non ha natura negoziale; ne consegue che il medesimo non deve essere approvato con il consenso unanime dei condomini, essendo a tal fine sufficiente la maggioranza qualificata di cui all'art. 1136, comma 2, c.c. (Rigetta, CORTE D'APPELLO TORINO, 31/07/2013).

Cass. civ. n. 28763/2017

La partecipazione ad un'assemblea condominiale di un soggetto estraneo ovvero privo di legittimazione non si riflette sulla validità della sua costituzione e delle decisioni in tale sede assunte, sempre che tale partecipazione non abbia influito sulla maggioranza richiesta e sul "quorum" prescritto, né sullo svolgimento della discussione e sull'esito della votazione. (Cassa con rinvio, TRIBUNALE SEDE DISTACCATA DI PORTOFERRAIO, 05/07/2013).

Le delibere dell'assemblea condominiale, ove esprimano una volontà negoziale, devono essere interpretate secondo i canoni ermeneutici stabiliti dagli artt.1362 e seguenti c.c., privilegiando, innanzitutto, l'elemento letterale, e quindi, nel caso in cui esso si appalesi insufficiente, gli altri criteri interpretativi sussidiari indicati dalla legge, tra cui quelli della valutazione del comportamento delle parti. (Cassa con rinvio, TRIBUNALE SEDE DISTACCATA DI PORTOFERRAIO, 05/07/2013).

Cass. civ. n. 27163/2017

L'omessa sottoscrizione del verbale dell'assemblea condominiale ad opera del presidente non costituisce causa di annullabilità della delibera, non esistendo - neppure a seguito della novella introdotta dalla L. n. 220 del 2012 - alcuna disposizione che prescriva, a pena di invalidità, tale adempimento, dovendosi presumere che l’organo collegiale agisca sotto la direzione del presidente ed assolvendo la sottoscrizione del verbale unicamente la funzione di imprimere ad esso il valore probatorio di scrittura privata con riguardo alla provenienza delle dichiarazioni dai sottoscrittori. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione di merito che, in presenza di una clausola regolamentare impositiva dell'obbligo di nomina di un presidente dell'assemblea, aveva ritenuto invalido il verbale della riunione privo della sottoscrizione del presidente nominato, sebbene redatto sotto la direzione del medesimo).

Cass. civ. n. 23396/2017

In tema di condominio, l’avviso di convocazione dell'assemblea, ex art. 66 disp. att. c.c. (nel testo applicabile “ratione temporis”), è un atto unilaterale recettizio onde, ai fini della prova della decorrenza del termine dilatorio di cinque giorni antecedenti l’adunanza di prima convocazione, condizionante la validità delle deliberazioni, è sufficiente e necessario che il condominio dimostri la data in cui esso è pervenuto all’indirizzo del destinatario, ex art. 1335 c.c., con l’ulteriore conseguenza che, nell’ipotesi di invio dello stesso con lettera raccomandata, ove questa non sia consegnata per l’assenza del destinatario, detta data coincide con quella di rilascio dell’avviso di giacenza del plico presso l’ufficio postale, in quanto idoneo a consentirne il ritiro.

Cass. civ. n. 11375/2017

Il verbale di un'assemblea condominiale, munito di sottoscrizione del presidente e del segretario, ha natura di scrittura privata, sicché il valore di prova legale è limitato alla provenienza delle dichiarazioni dai sottoscrittori e non si estende al contenuto della scrittura medesima, per impugnare la cui veridicità non occorre la proposizione di querela di falso, potendosi far ricorso ad ogni mezzo di prova. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito, che aveva negato legittimazione all'impugnazione ex art. 1137 c.c. ad un condomino che, pur avendo evidenziato di avere espresso, in sede assembleare, voto contrario alla delibera impugnata, non aveva tuttavia articolato alcuna deduzione istruttoria volta a sovvertire le risultanze del relativo verbale che, diversamente, ne riportava l'approvazione senza dissensi).

Cass. civ. n. 8015/2017

La clausola del regolamento di condominio volta a limitare il potere dei condomini di farsi rappresentare nelle assemblee è inderogabile, in quanto posta a presidio della superiore esigenza di garantire l'effettività del dibattito e la concreta collegialità delle assemblee, nell'interesse comune dei partecipanti alla comunione, considerati nel loro complesso e singolarmente, sicché la partecipazione all'assemblea di un rappresentante fornito di un numero di deleghe superiore a quello consentito dal regolamento suddetto, comportando un vizio nel procedimento di formazione della relativa delibera, dà luogo ad un'ipotesi di annullabilità della stessa, senza che possa rilevare il carattere determinante del voto espresso dal delegato per il raggiungimento della maggioranza occorrente per l'approvazione della deliberazione.

Cass. civ. n. 10865/2016

In tema di condominio negli edifici, il criterio discretivo tra atti di ordinaria amministrazione, rimessi all'iniziativa dell'amministratore nell'esercizio delle proprie funzioni e vincolanti per tutti i condòmini ex art. 1133 c.c., ed atti di amministrazione straordinaria, al contrario bisognosi di autorizzazione assembleare per produrre detto effetto, salvo quanto previsto dall'art. 1135, comma 2, c.c., riposa sulla "normalità" dell'atto di gestione rispetto allo scopo dell'utilizzazione e del godimento dei beni comuni, sicché gli atti implicanti spese che, pur dirette alla migliore utilizzazione delle cose comuni o imposte da sopravvenienze normative, comportino, per la loro particolarità e consistenza, un onere economico rilevante, necessitano della delibera dell'assemblea condominiale.

In tema di condominio negli edifici, la delibera assembleare che abbia ad oggetto un contenuto generico e programmatico (quale, nella specie, la ricognizione del riparto dei poteri tra singoli condòmini, amministratore ed assemblea) non necessita, ai fini della sua validità, che il relativo argomento sia tra quelli posti all'ordine del giorno nell'avviso di convocazione, trattandosi di contenuti non suscettibili di preventiva specifica informativa ai condòmini e, comunque, costituenti possibile sviluppo della discussione e dell'esame di ogni altro punto all'ordine del giorno.

Cass. civ. n. 22685/2014

In tema di condominio negli edifici, la norma di cui all'art. 1136 cod. civ., secondo la quale tra l'assemblea di prima e di seconda convocazione deve passare almeno un giorno, va intesa non già nel senso che debbano trascorrere ventiquattro ore, ma che la seconda assemblea deve essere tenuta, come minimo, nel giorno successivo.

Qualora il condomino impugni la deliberazione assembleare lamentando la mancata menzione della regolarità delle convocazioni, la prova che tutti i condomini siano stati tempestivamente avvisati incombe sul condominio, non potendosi porre a carico del condomino l'onere di una dimostrazione negativa, quale quella dell'omessa osservanza dell'obbligo di convocare l'universalità dei condomini, trattandosi di elemento costitutivo della validità della delibera.

Cass. civ. n. 22047/2013

Ogni condomino ha il diritto di intervenire all'assemblea e deve, quindi, essere messo in condizione di poterlo fare, con la conseguente necessità che l'avviso di convocazione previsto dall'art. 66, ultimo comma, disp. att. c.c., nel testo previgente, quale atto unilaterale recettizio, sia non solo inviato, ma anche ricevuto nel termine, ivi stabilito, di almeno cinque giorni prima della data fissata per l'adunanza, avendo riguardo alla riunione dell'assemblea in prima convocazione. Ne consegue che la mancata conoscenza di tale data, da parte dell'avente diritto, entro il termine previsto dalla legge, costituisce motivo di invalidità delle delibere assembleari, ai sensi dell'art. 1137 c.c., come confermato dal nuovo testo dell'art. 66, comma terzo, disp. att., c.c., introdotto dalla legge 11 dicembre 2012, n. 220, a nulla rilevando, ai fini della tempestività dell'avviso, né la data di svolgimento dell'assemblea in seconda convocazione, né che la medesima data sia stata eventualmente già fissata.

Cass. civ. n. 16774/2013

Qualora una unità immobiliare facente parte di un condominio sia oggetto di diritto di usufrutto, all'assemblea che intenda deliberare l'approvazione del preventivo di spesa per il rifacimento della facciata condominiale deve essere convocato il nudo proprietario, trattandosi di opere di manutenzione straordinaria.

Cass. civ. n. 4340/2013

Nell'ipotesi di supercondominio, ciascun condomino, proprietario di alcuna delle unità immobiliari ubicate nei diversi edifici che lo compongono, è legittimato ad agire per la tutela delle parti comuni degli stessi ed a partecipare alla relativa assemblea, con la conseguenza che le disposizioni dell'art. 1136 c.c., in tema di formazione e calcolo delle maggioranze, si applicano considerando gli elementi reale e personale del medesimo supercondominio, rispettivamente configurati da tutte le porzioni comprese nel complesso e da tutti i rispettivi titolari. (Nella specie la S.C. ha ravvisato la legittimazione del singolo condomino ad impugnare la sentenza inerente all'apposizione di cancelli su area antistante e comune agli edifici del supercondominio).

Cass. civ. n. 17115/2011

Il criterio di identificazione delle quote di partecipazione al condominio, derivando dal rapporto tra il valore dell'intero edificio e quello relativo alla proprietà del singolo, esiste prima ed indipendentemente dalla formazione della tabella dei millesimi - la cui esistenza, pertanto, non costituisce requisito di validità delle delibere assembleari - e consente sempre di valutare anche "a posteriori" in giudizio se le maggioranze richieste per la validità della costituzione dell'assemblea e delle relative deliberazioni siano state raggiunte, in quanto la tabella anzidetta agevola, ma non condiziona lo svolgimento dell'assemblea e, in genere, la gestione del condominio.

Cass. civ. n. 10754/2011

In tema di validità delle delibere assembleari condominiali, sussiste il conflitto d'interessi ove sia dedotta e dimostrata in concreto una sicura divergenza tra specifiche ragioni personali di determinati singoli condomini, il cui voto abbia concorso a determinare la necessaria maggioranza ed un parimenti specifico contrario interesse istituzionale del condominio. (Principio affermato dalla S.C. con riguardo alla delibera di sistemazione del tetto e ripulitura del canale di gronda, motivatamente apprezzati nella sentenza impugnata come attività inquadrabili nella manutenzione ordinaria del fabbricato e non coinvolgenti la responsabilità del costruttore - anche condomino votante -, per presunti vizi dell'edificio, tra l'altro in assenza di specifica contestazione di difetti costruttivi).

Cass. civ. n. 21449/2010

In tema di deliberazioni dell'assemblea condominiale, ai fini della validità dell'ordine del giorno occorre che esso elenchi specificamente, sia pure in modo non analitico e minuzioso, tutti gli argomenti da trattare, sì da consentire a ciascun condomino di comprenderne esattamente il tenore e l'importanza, e di poter ponderatamente valutare l'atteggiamento da tenere, in relazione sia alla opportunità o meno di partecipare, sia alle eventuali obiezioni o suggerimenti da sottoporre ai partecipanti. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto che autorizzazione all'amministratore ad aprire un nuovo conto corrente, una volta saldato quello precedente in passivo, e di procedere ad uno sconfinamento, in quanto connessa e logicamente conseguenziale ai punti dell'ordine del giorno relativi alla nomina del nuovo amministratore ed all'avvio della nuova gestione condominiale, con l'approvazione del rendiconto relativo alle annualità pregresse, non richiedesse una indicazione analitica e separata dalla questione).

Cass. civ. n. 24132/2009

Il verbale dell'assemblea di condominio, ai fini della verifica dei "quorum" prescritti dall'art. 1136 c.c., deve contenere l'elenco nominativo dei condomini intervenuti di persona o per delega, indicando i nomi di quelli assenzienti o dissenzienti, con i rispettivi valori millesimali. Tuttavia, dovendo il verbale attestare quanto avviene in assemblea, la mancata indicazione del totale dei partecipanti al condominio non incide sulla validità del verbale se a tale ricognizione e rilevazione non abbia proceduto l'assemblea, giacché tale incompletezza non diminuisce la possibilità di un controllo "aliunde" della regolarità del procedimento e delle deliberazioni assunte.

In tema di assemblea condominiale, la funzione del presidente dell'assemblea è quella di garantire l'ordinato svolgimento della riunione e, a tal fine, egli ha il potere di dirigere la discussione, assicurando, da un lato, la possibilità a tutti i partecipanti di esprimere, nel corso del dibattito, la loro opinione sugli argomenti indicati nell'avviso di convocazione e curando, dall'altro, che gli interventi siano contenuti entro i limiti ragionevoli. Ne consegue che il presidente, pur in mancanza di una espressa disposizione del regolamento condominiale che lo abiliti in tal senso, può stabilire la durata di ciascun intervento (nella specie, dieci minuti), purché la relativa misura sia tale da assicurare ad ogni condomino la possibilità di esprimere le proprie ragioni su tutti i punti della discussione.

In tema di assemblea condominiale, la sua seconda convocazione è condizionata dall'inutile e negativo esperimento della prima, sia per completa assenza dei condomini, sia per insufficiente partecipazione degli stessi in relazione al numero ed al valore delle quote. La verifica di tale condizione va espletata nella seconda convocazione, sulla base delle informazioni orali rese dall'amministratore, il cui controllo può essere svolto dagli stessi condomini, che o sono stati assenti alla prima convocazione, o, essendo stati presenti, sono in grado di contestare tali informazioni.

Cass. civ. n. 18192/2009

In tema di delibere di assemblee condominiali, non è annullabile la delibera il cui verbale, ancorché non riporti l'indicazione nominativa dei condomini che hanno votato a favore, tuttavia contenga, tra l'altro, l'elenco di tutti i condomini presenti, personalmente o per delega, con i relativi millesimi, e nel contempo rechi l'indicazione, "nominatim", dei condomini che si sono astenuti e che hanno votato contro e del valore complessivo delle rispettive quote millesimali, perché tali dati consentono di stabilire con sicurezza, per differenza, quanti e quali condomini hanno espresso voto favorevole, nonché di verificare che la deliberazione assunta abbia superato il "quorum" richiesto dall'art. 1136 c.c.

Cass. civ. n. 8449/2008

In tema di condominio degli edifici, non è previsto alcun obbligo di forma per l'avviso di convocazione dell'assemblea, sicché la comunicazione può essere fatta anche oralmente, in base al principio della libertà delle forme, salvo che il regolamento non prescriva particolari modalità di notifica del detto avviso; deve, quindi, ritenersi legittima la prassi, precedentemente non contestata, in base alla quale l'avviso di convocazione dell'assemblea condominiale, destinato ad un condomino non abitante nell'edificio condominiale, venga consegnato ad altro condomino, congiunto del primo. (Nella specie, la S.C., in applicazione del riportato principio, ha ritenuto regolare l'avvenuta consegna dell'avviso di convocazione al detto congiunto, essendo l'atto, così recapitato, pervenuto nella sfera di normale e abituale conoscibilità del destinatario e, pertanto, oggettivamente da quest'ultimo conoscibile con l'uso della normale diligenza, sua e del consegnatario designato, conformemente alla clausola generale di buona fede).

Cass. civ. n. 6926/2007

Fino a quando gli eredi non gli manifesteranno la loro qualità, l'amministratore condominiale, a conoscenza del decesso di un condomino, non è tenuto a inviare alcun avviso (né al condomino, né agli eredi impersonalmente presso l'ultimo domicilio), non avendo utili elementi di riferimento e non essendo obbligato a fare alcuna particolare ricerca.

Cass. civ. n. 1626/2007

La delibera condominiale con la quale si decide la realizzazione di un'opera edile abusiva è nulla per illiceità dell'oggetto. È altresì nulla la delibera condominiale con la quale si prenda una decisione che, se posta in esecuzione, possa pregiudicare la sicurezza del fabbricato (chiusura di spazi comuni destinati all'areazione degli appartamenti prospicienti, senza adozione di misure sostitutive atte a garantire un adeguato ricambio dell'aria). (Mass. redaz.).

Cass. civ. n. 17486/2006

In tema di impugnazione delle deliberazioni delle assemblee condominiali, l'omessa convocazione di un condomino costituisce motivo di annullamento delle deliberazioni assunte dall'assemblea, che può ottenersi solo con l'esperimento di un'azione ad hoc e nei termini di legge, mentre non può essere oggetto di eccezione nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo chiesto per conseguire il pagamento delle spese deliberate dall'assemblea.

Cass. civ. n. 14065/2005

Ove un immobile in condominio faccia parte di un'eredità non ancora accettata, il chiamato è legittimato ad intervenire alle assemblee condominiali, mentre nessuna incombenza volta a provocare la nomina di un curatore dell'eredità giacente è configurabile in capo all'amministratore del condominio, che ha invece l'obbligo di convocare all'assemblea tale curatore ove il medesimo sia stato nominato, e di tale nomina egli abbia avuto notizia.

Cass. civ. n. 4806/2005

In tema di condominio negli edifici, debbono qualificarsi nulle le delibere dell'assemblea condominiale prive degli elementi essenziali, le delibere con oggetto impossibile o illecito (contrario all'ordine pubblico, alla morale o al buon costume), le delibere con oggetto che non rientra nella competenza dell'assemblea, le delibere che incidono sui diritti individuali sulle cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini, le delibere comunque invalide in relazione all'oggetto; debbono, invece, qualificarsi annullabili le delibere con vizi relativi alla regolare costituzione dell'assemblea, quelle adottate con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale, quelle affette da vizi formali, in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari, attinenti al procedimento di convocazione o di informazione dell'assemblea, quelle genericamente affette da irregolarità nel procedimento di convocazione, quelle che violano norme richiedenti qualificate maggioranze in relazione all'oggetto. Ne consegue che la mancata comunicazione, a taluno dei condomini, dell'avviso di convocazione dell'assemblea condominiale comporta, non la nullità, ma l'annullabilità della delibera condominiale, la quale, ove non impugnata nel termine di trenta giorni previsto dall'art. 1137, terzo comma, c.c. (decorrente, per i condomini assenti, dalla comunicazione, e, per i condomini dissenzienti, dalla sua approvazione), è valida ed efficace nei confronti di tutti i partecipanti al condominio.

Cass. civ. n. 24146/2004

La delibera assembleare di destinazione di aree condominiali scoperte in parte a parcheggio autovetture dei singoli condomini e in parte a parco giochi va approvata a maggioranza qualificata dei condomini ex art. 1136, quinto comma, c.c. — con la quale possono essere disposte tutte le innovazioni dirette al miglioramento o all'uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni (art. 1120, primo comma, c.c.) — , non essendo all'uopo necessaria l'unanimità dei consensi degli aventi diritto al voto.

Cass. civ. n. 13763/2004

Per la partecipazione informata dei condomini ad un'assemblea condominiale al fine della conseguente validità della delibera adottata ( artt. 1139 e 1105, terzo comma, c.c. ), è sufficiente che nell'avviso di convocazione della medesima gli argomenti da trattare siano indicati nell'ordine del giorno nei termini essenziali per esser comprensibili, secondo un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, insindacabile in Cassazione se congruamente motivato.

Cass. civ. n. 9981/2004

Una delibera di assemblea condominiale, anche se adottata nell'interesse comune o per adempiere ad un obbligo di legge, è nulla se, per perseguire l'interesse dell'intero condominio, prevede la violazione dei diritti di proprietà esclusiva di un condomino, ed in tal caso la sua impugnazione non è soggetta ai termini di decadenza sanciti dall'art. 1137 c.c., rimanendo irrilevante che all'adozione della delibera stessa abbia partecipato anche il condomino leso senza sollevare alcuna obiezione in merito.

Cass. civ. n. 6625/2004

In tema di condominio negli edifici, la regola posta dall'art. 1136, comma terzo, c.c., secondo la quale la deliberazione assunta dall'assemblea condominiale in seconda convocazione è valida se riporta un numero di voti che rappresenti il terzo dei partecipanti al condominio e almeno un terzo del valore dell'edificio, va intesa nel senso che, coloro che abbiano votato contro l'approvazione non devono rappresentare un valore proprietario maggiore rispetto a coloro che abbiano votato a favore, atteso che l'intero art. 1136 c.c. privilegia il criterio della maggioranza del valore dell'edificio quale strumento coerente per soddisfare le esigenze condominiali (In applicazione di tale principio, la Corte ha cassato la sentenza del giudice del merito che aveva ritenuto sufficiente il raggiungimento di una maggioranza di voti favorevoli, pari ad un terzo dei presenti, unitamente alla condizione che essi rappresentassero almeno un terzo della proprietà, ritenendo del tutto irrilevante che la parte contraria alla delibera detenesse un valore della proprietà superiore a quello della maggioranza del voto personale).

Cass. civ. n. 143/2004

In tema di condominio degli edifici, e con riguardo all'assemblea dei condomini, l'incompletezza dell'ordine del giorno contenuto nell'atto di convocazione dell'assemblea stessa determina non la nullità assoluta, bensì la semplice annullabilità della relativa delibera, con la conseguenza che questa dovrà essere impugnata nel termine di trenta giorni, giusta disposto dell'art. 1137 c.c.

Cass. civ. n. 13350/2003

In materia di condominio negli edifici, la violazione del diritto di ciascun condomino di esaminare, a sua richiesta e secondo adeguate modalità di tempo e di luogo, la documentazione attinente ad argomenti posti all'ordine del giorno di una successiva assemblea condominiale, determina, in quanto incidente sul procedimento di formazione delle maggioranze assembleari, l'annullabilità della delibera di approvazione dei medesimi.

Cass. civ. n. 11943/2003

In tema di condominio negli edifici, la partecipazione ad un'assemblea di un soggetto estraneo ovvero privo di legittimazione non si riflette sulla validità della costituzione dell'assemblea e delle decisioni in tale sede assunte, qualora risulti che quella partecipazione non ha influito sulla maggioranza richiesta e sul quorum prescritto, né sullo svolgimento della discussione e sull'esito della votazione.

Cass. civ. n. 4531/2003

In tema di assemblee condominiali, è valida la delibera adottata con votazione svoltasi in maniera anche irregolare o atipica qualora risultino essere stati comunque osservati i quorum richiesti per la costituzione dell'assemblea e per il tipo di deliberazione approvata. (Nell'affermare il suindicato principio, la S.C. ha ritenuto legittima l'approvazione del bilancio consuntivo complessivo da parte delle assemblee di due distinti condomini, anziché dell'assemblea dell'unico condominio tra di essi costituendo, poiché in base alla somma del valore dei millesimi, risultavano essere stati rispettati i due quorum nel caso richiesti).

Cass. civ. n. 10683/2002

In tema di computo delle maggioranze assembleari condominiali, l'esistenza di un conflitto di interessi, reale o potenziale, tra il singolo condomino titolare del diritto di voto e il condominio stesso comporta la esclusione, dal calcolo dei millesimi, delle relative carature attribuite al condomino confliggente, così estensivamente interpretata la norma dettata, in tema di società per azioni, dall'art. 2373 c.c. (che inibisce il diritto di voto al socio in conflitto di interesse con la società), ricorrendo in entrambe le fattispecie la medesima ratio, consistente nell'attribuire carattere di priorità all'interesse collettivo rispetto a quello individuale. Ove, tuttavia, il condomino confliggente sia stato delegato all'espressione del voto da altro condomino, la situazione di conflitto che lo riguarda non è estensibile al rappresentato aprioristicamente, ma soltanto allorché si accerti in concreto che il delegante non era a conoscenza di tale situazione, dovendosi, in caso contrario, presumere che il delegante abbia, nel conferire il mandato, valutato anche il proprio interesse — non personale, ma in quanto componente della collettività — e l'abbia ritenuto conforme a quello portato dal delegato; né è applicabile, al riguardo, l'art. 1394 c.c., che prevede la legittimazione del solo rappresentato a dedurre il conflitto, giacché quest'ultimo non verte, nella specie, tra l'interesse personale del rappresentato e quello della collettività, onde ogni partecipe di questa è legittimato a farlo valere nel comune interesse.

Cass. civ. n. 3944/2002

In materia di condominio, ai fini dell'invalidità della delibera assembleare, non è configurabile un conflitto d'interessi tra il singolo condomino ed il condominio qualora venga dedotta una mera ipotesi astratta e non sia possibile identificare, in concreto, una sicura divergenza tra le ragioni personali del condomino e l'interesse istituzionale comune. (Nella specie, la S.C. ha escluso che potesse in concreto configurarsi un conflitto tra un singolo condomino e l'interesse collettivo degli altri per il solo fatto che il predetto condomino godeva di una disciplina di ripartizione delle spese comuni in misura diversa a quella proporzionale alla sua proprietà individuale).

Cass. civ. n. 1201/2002

In tema di condominio le maggioranze necessarie per approvare le delibere sono inderogabilmente quelle previste dalla legge in rapporto a tutti i partecipanti e al valore dell'intero edificio, sia ai fini del conteggio del quorum costitutivo sia di quello deliberativo, compresi i condomini in potenziale conflitto di interesse con il condominio, i quali possono (non debbono) astenersi dall'esercitare il diritto di voto. Pertanto, anche nell'ipotesi di conflitto d'interesse, la deliberazione deve essere presa con il voto favorevole di tanti condomini che rappresentano la maggioranza personale e reale fissata dalla legge ed, in caso di mancato raggiungimento della maggioranza necessaria per l'impossibilità di funzionamento del collegio, ciascun partecipante può ricorrere all'Autorità giudiziaria.

Cass. civ. n. 15476/2001

È nulla per contrarietà a norme imperative, la clausola del regolamento contrattuale del condominio prevedente che l'assemblea di un cd. supercondominio sia composta dagli amministratori dei singoli condomini o da singoli condomini delegati a partecipare in rappresentanza di ciascun condominio, anziché da tutti i comproprietari degli edifici che lo compongono, atteso che le norme concernenti la composizione e il funzionamento dell'assemblea non sono derogabili dal regolamento di condominio.

Cass. civ. n. 7849/2001

In tema di convocazione dell'assemblea condominiale deve essere convocato solo il vero proprietario della porzione immobiliare e non anche colui che si sia comportato, nei rapporti con i terzi, come condomino senza esserlo, difettando nei rapporti tra il condominio (nella specie, l'amministratore) ed i singoli partecipanti ad esso, le condizioni per l'operatività del principio dell'apparenza del diritto, strumentale essenzialmente all'esigenza di tutela dei terzi in buona fede.

Cass. civ. n. 15283/2000

L'amministratore di condominio, al fine di assicurare una regolare convocazione dell'assemblea, è tenuto a svolgere le indagini suggerite dall'ordinaria diligenza per rintracciare i condomini non più presenti al precedente recapito onde poter comunicare a tutti l'avviso di convocazione.

Cass. civ. n. 13013/2000

Le delibere condominiali, analogamente a quelle societarie, sono nulle soltanto se hanno un oggetto impossibile o illecito, ovvero che non rientra nella competenza dell'assemblea, o se incidono su diritti individuali inviolabili per legge. Sono invece annullabili, nei termini previsti dall'art. 1137 c.c., le altre delibere «contrarie alla legge o al regolamento di condominio», tra cui quelle che non rispettano le norme che disciplinano il procedimento, come ad esempio per la convocazione dei partecipanti, o che richiedono qualificate maggioranze per formare la volontà dell'organo collegiale, in relazione all'oggetto della delibera da approvare.

Cass. civ. n. 697/2000

In mancanza di una norma che disponga il contrario, non esistono limiti di orario alla convocazione di un'assemblea condominiale; né la fissazione dell'assemblea in ora notturna può ritenersi completamente preclusiva della possibilità di parteciparvi. Ne consegue che non sono applicabili, ai fini della verifica della regolare costituzione dell'assemblea e della validità delle delibere adottate in seconda convocazione, allorché, in prima, l'assemblea stessa sia andata deserta a causa dell'orario notturno, le maggioranze richieste dall'art. 1136 c.c. con riferimento alla validità delle deliberazioni adottate in prima convocazione.

In tema di delibere di assemblee condominiali, la mancata verbalizzazione del numero dei condomini votanti a favore e contro la delibera approvata, oltre che dei millesimi da ciascuno di essi rappresentati, invalida la delibera stessa, impedendo il controllo sulla sussistenza di una delle maggioranze richieste dall'art. 1136, terzo comma, c.c. (il terzo dei partecipanti al condominio). Né può essere attribuita efficacia sanante alla mancata contestazione, in sede di assemblea, della inesistenza di tale quorum da parte del condomino dissenziente, a carico del quale non è stabilito, al riguardo, alcun onere a pena di decadenza.

Nella ipotesi di convocazione di un'unica assemblea condominiale allo scopo di decidere su di una serie di questioni, alcune delle quali riguardanti solo singoli condomini - convocazione sicuramente valida, in quanto non vietata da alcuna norma -, i condomini eventualmente non legittimati a votare su di un determinato argomento che non li riguardi non possono, attraverso la partecipazione alla discussione che precede quella votazione, influire sull'esito della stessa.

Cass. civ. n. 14461/1999

È nulla — e perciò è impugnabile anche dai condomini che vi hanno partecipato — la delibera condominiale se la convocazione non indica il luogo di riunione ed esso è assolutamente incerto per la legittima aspettativa dei medesimi di un luogo diverso dal solito stante l'assoluta inidoneità di quest'ultimo. Infatti, in mancanza di indicazione nel regolamento condominiale della sede per le riunioni assembleari, l'amministratore ha il potere di scegliere quella più opportuna, ma con il duplice limite che essa sia nei confini della città ove è ubicato l'edificio e che il luogo sia idoneo, fisicamente e moralmente, a consentire a tutti i condomini di esser presenti e di partecipare ordinatamente alla discussione. (Nella specie la Suprema Corte ha ritenuto congrua la motivazione del giudice di merito sull'assoluta incertezza del luogo, non indicato nell'avviso di convocazione, e sull'inidoneità di quello solitamente adibito a sede assembleare, normalmente destinato alla raccolta dei rifiuti).

Cass. civ. n. 11526/1999

Il verbale dell'assemblea condominiale offre una prova presuntiva dei fatti che afferma essersi in essa verificati, per modo che spetta al condomino che impugna la deliberazione assembleare contestando la rispondenza a verità di quanto riferito nel relativo verbale, di provare il suo assunto.

Cass. civ. n. 985/1999

Tutti i condomini hanno diritto di esser convocati per partecipare alle delibere dell'assemblea, pur se, in mancanza di attribuzioni di quote millesimali alle unità immobiliari di cui sono titolari, non sussiste il loro obbligo nella ripartizione delle spese per la conservazione e il godimento di beni comuni, ma è onere dell'acquirente dell'unità assumere iniziative, magari anche con l'alienante, per far conoscere all'amministratore di esser il nuovo proprietario, non avendo questi l'obbligo di verificare i registri immobiliari.

Cass. civ. n. 5399/1999

In tema di condominio di edifici, qualora le tabelle millesimali allegate al regolamento condominiale contrattuale non abbiano formato oggetto di modifica con il consenso unanime di tutti i condomini ovvero con sentenza del giudice ai sensi dell'art. 69 disp. att. c.c., nonostante le variazioni di consistenza delle singole unità immobiliari per mutate condizioni dell'edificio, hanno la qualità di condomino e sono titolari dei conseguenti diritti, ivi compreso quello di essere convocato per la validità dell'assemblea e delle conseguenti delibere, solo i proprietari di unità immobiliari contemplate nelle tabelle in questione.

Cass. civ. n. 5014/1999

Nel condominio negli edifici, poiché la redazione del verbale dell'assemblea costituisce una delle prescrizioni di forma che devono essere osservate al pari delle altre formalità richieste dal procedimento collegiale (avviso di convocazione, ordine del giorno, costituzione, discussione, votazione, ecc.) e la cui inosservanza importa l'impugnabilità della delibera, in quanto non presa in conformità alla legge (art. 1137 c.c.), una volta che l'assemblea sia stata convocata, occorre dare conto, tramite la verbalizzazione, di tutte le attività compiute, anche se le stesse non si sono perfezionate e non siano state adottate deliberazioni, allo scopo di permettere a tutti i condomini, compresi quelli dissenzienti ed assenti, di controllare lo svolgimento del procedimento collegiale e di assumere le opportune iniziative. (Nella specie un condomino aveva chiesto l'accertamento dell'obbligo del condominio di rilasciargli la copia del verbale di un'assemblea e il convenuto aveva opposto il mancato svolgimento dell'assemblea in questione; la S.C., sulla base del riportato principio, ha annullato la sentenza impugnata, che aveva rigettato la domanda enunciando la tesi che quando l'assemblea non perviene ad alcuna delibera sia insussistente l'obbligo di verbalizzazione e manchi l'interesse del condomino al rilascio di una copia del verbale).

Cass. civ. n. 2837/1999

L'onere di provare che tutti i condomini sono stati tempestivamente convocati fa carico al condominio. Tale prova non può essere offerta con la dimostrazione della consegna dell'avviso a soggetti ai quali non è stato conferito uno stabile potere di rappresentanza nei confronti del condominio.

Cass. civ. n. 1208/1999

In tema di condominio di edifici, ai fini del calcolo delle maggioranze prescritte dall'art. 1136 c.c. per l'approvazione delle delibere assembleari, non si può tenere conto della adesione espressa dal condomino che si sia allontanato prima della votazione dichiarando di accettare le decisioni della maggioranza, perché solo il momento della votazione determina la fusione delle volontà dei singoli condomini creativa dell'atto collegiale. Né la eventuale conferma della adesione alla deliberazione, data dal condomino successivamente alla adozione della stessa, può valere, nella predetta ipotesi, come sanatoria della eventuale invalidità della delibera, dovuta al venir meno, per le predette ragioni, del richiesto quorum deliberativo, potendo, se mai, tale conferma avere solo il valore di rinuncia a dedurre la invalidità, senza che sia, peraltro, preclusa agli altri condomini la possibilità di impugnazione.

Cass. civ. n. 810/1999

In tema di condominio degli edifici, ai fini della validità delle deliberazioni assembleari devono essere individuati, e riprodotti nel relativo verbale, i nomi dei condomini assenzienti e di quelli dissenzienti, ed i valori delle rispettive quote millesimali, pur in assenza di una espressa disposizione in tal senso. Tale individuazione è, infatti, indispensabile per la verifica della esistenza della maggioranza prescritta dall'art. 1136, secondo, terzo e quarto comma, c.c., ai fini della validità dell'approvazione delle deliberazioni con riferimento all'elemento reale (quota proporzionale dell'edificio espressa in millesimi). Inoltre, essendo il potere di impugnazione riservato ai condomini dissenzienti (oltre che agli assenti), è necessario indicare fin dal momento della espressione del voto i partecipanti al condominio legittimati ad impugnare la deliberazione. Né mancano altre ragioni per le quali si rende necessaria la identificazione dei condomini consenzienti e di quelli dissenzienti, soprattutto ove si consideri l'interesse dei partecipanti a valutare l'esistenza di un eventuale conflitto di interessi. Dalla non conformità a legge della omissione della indicazione nominativa dei singoli condomini favorevoli e di quelli contrari e delle loro quote di partecipazione al condominio e della riproduzione di tali elementi nel relativo verbale discende la esclusione della presunzione di validità della delibera assembleare priva di quegli elementi, indispensabili ai fini della verifica della legittima approvazione della delibera stessa, e la cui non veridicità costituisce oggetto dell'onere probatorio del condomino legittimato ad impugnarla.

Cass. civ. n. 8344/1998

L'omessa indicazione di un argomento, poi deliberato, all'ordine del giorno, non può essere rilevata dal condomino dissenziente nel merito, ma che non ha eccepito l'irregolarità della convocazione.

Cass. civ. n. 6202/1998

Il criterio di identificazione delle quote di partecipazione al condominio costituito tra il rapporto del valore della proprietà singola ed il valore dell'intero edificio esiste prima ed indipendentemente dalla formazione della tabella dei millesimi e consente sempre di valutare anche a posteriori in giudizio se le maggioranze richieste per la validità della costituzione dell'assemblea e delle relative deliberazioni siano state raggiunte, in quanto la tabella anzidetta, agevola, ma non condiziona lo svolgimento dell'assemblea ed in genere la gestione del condominio.

Cass. civ. n. 5307/1998

L'acquirente di un appartamento di un edificio in condominio non può dolersi di non essere stato invitato a partecipare all'assemblea che ha deliberato in merito alle spese condominiali, finché non abbia notificato o almeno comunicato, essendo il relativo onere a suo carico, l'avvenuto passaggio di proprietà.

Cass. civ. n. 11254/1997

L'ordinamento giuscivilistico, pur non riconoscendo al condominio una sia pur limitata personalità giuridica, attribuisce, purtuttavia, ad esso potestà e poteri di carattere sostanziale e processuale, desumibili dalla disciplina della sua struttura e dai suoi organi, così che deve ritenersi applicabile, quanto al computo della maggioranza della relativa assemblea, la norma dettata, in materia di società, per il conflitto di interessi, con conseguente esclusione dal diritto di voto di tutti quei condomini che, rispetto ad una deliberazione assembleare, si pongano come portatori di interessi propri, in potenziale conflitto con quello del condominio. Ai fini della invalidità della delibera assembleare, peraltro, tale conflitto non è configurabile qualora non sia possibile identificare, in concreto, una sicura divergenza tra ragioni personali che potrebbero concorrere a determinare la volontà dei soci di maggioranza ed interesse istituzionale del condominio. (Nella specie, uno dei condomini aveva partecipato all'assemblea convocata per la nomina del nuovo amministratore nella triplice veste di condomino pro se, di amministratore uscente e di condomino delegato, votando nella sola qualità di delegato degli altri condomini. La S.C., ritenendo che, in tal caso, non potessero dirsi identificati, in concreto, due interessi in contrasto tra loro — l'uno facente capo personalmente al condomino votante, l'altro al condominio inteso come gruppo — ha confermato la sentenza del giudice di merito, che aveva escluso ogni profilo di invalidità della delibera assembleare sotto l'aspetto della violazione del principio dettato in tema di conflitto di interessi).

Cass. civ. n. 3862/1996

In tema di assemblea condominiale, la sua seconda convocazione è condizionata dall'inutile e negativo esperimento della prima, sia per completa assenza dei condomini, sia per insufficiente partecipazione degli stessi in relazione al numero ed al valore delle quote. La verifica di tale condizione va espletata nella seconda convocazione, sulla base delle informazioni orali rese dall'amministratore, il cui controllo può essere svolto dagli stessi condomini, che o sono stati assenti alla prima convocazione, o, essendo stati presenti, sono in grado di contestare tali informazioni. Pertanto, una volta accertata la regolare convocazione dell'assemblea, l'omessa redazione del verbale che consacra la mancata riunione dell'assemblea in prima convocazione non impedisce che si tenga l'assemblea in seconda convocazione, né la rende invalida.

Cass. civ. n. 3680/1995

La validità delle deliberazioni dell'assemblea condominiale, sotto il profilo della maggioranza necessaria alla loro approvazione, deve essere valutata con riguardo al loro specifico oggetto, essendo del tutto irrilevante che, nella stessa adunanza in cui esse sono state prese, sia venuto in discussione anche un argomento che richieda una maggioranza più elevata (quale, nell'ipotesi, la nomina dell'amministratore); con la conseguenza che uno o più capi della delibera, adottata in una medesima riunione, possono essere validi, in quanto richiedenti maggioranze inferiori, ed uno o più capi possono essere invalidi giacché richiedenti maggioranze superiori a quelle raggiunte.

Cass. civ. n. 1980/1995

Nella causa promossa da un condomino contro il condominio, ai sensi dell'art. 1136, comma sesto, c.c., l'assemblea del condominio, chiamata a dichiarare se debba costituirsi e resistere, non può deliberare, se non consta che sono stati invitati tutti i condomini, ivi compreso il condomino che ha promosso la causa.

Cass. civ. n. 1033/1995

La comunicazione dell'avviso di convocazione dell'assemblea dei condomini può essere data con qualsiasi forma idonea al raggiungimento dello scopo e può essere provata anche da univoci elementi dai quali risulti che il condomino ha, in concreto, ricevuta la notizia. (Nella specie, si è ritenuta sufficiente la prova desumibile da un foglio nel quale risultava apposta la firma dei condomini per «ricevuta convocazione assemblea condominiale del 25-26 febbraio 1988»).

Cass. civ. n. 3952/1994

Per le deliberazioni dell'assemblea in seconda convocazione concernenti le materie indicate dall'art. 1136, quarto comma, c.c., tra le quali la nomina dell'amministratore, il richiamo alle maggioranze stabilite dall'art. 1136, secondo comma, c.c., non vale ad estendere il quorum costitutivo dell'assemblea in prima convocazione, ma importa che per la costituzione dell'assemblea, come per l'approvazione di esse, è richiesta una maggioranza che rappresenti almeno la metà del valore dell'edificio e che sia costituita dalla maggioranza degli intervenuti e da almeno un terzo dei partecipanti al condominio.

Cass. civ. n. 11677/1993

La disposizione dell'art. 1105 comma terzo c.c., applicabile anche in materia di condominio di edifici, la quale prescrive che tutti i partecipanti debbano essere preventivamente informati delle questioni e delle materie sulle quali sono chiamati a deliberare non comporta che nell'avviso di convocazione debba essere prefigurato il risultato dell'esame del punto da parte dell'assemblea, della discussione conseguente e dello sviluppo di questa. Pertanto, deve ritenersi compresa nell'ordine del giorno dell'assemblea convocata per l'approvazione dei lavori di sostituzione dell'impianto di riscaldamento, la decisione di accertare previamente la indispensabilità o meno dell'esecuzione dei lavori, l'idoneità di quelli preventivati, nonché la congruità dei relativi costi, incaricando all'uopo un esperto di redigere un parere tecnico su tali questioni.

Cass. civ. n. 9130/1993

In tema di assemblee condominiali, il legislatore non ha imposto particolari formalità in ordine alle modalità della votazione, sicché ai fini del calcolo delle maggioranze prescritte dall'art. 1136 c.c. deve tenersi conto del voto espresso dal condomino intervenuto tardivamente, purché non oltre la chiusura del processo verbale di cui all'art. 1136 c.c.

Cass. civ. n. 6366/1991

In tema di condominio di edifici è nulla la deliberazione assembleare che sia stata adottata dopo lo scioglimento dell'assemblea stessa e l'allontanamento di alcuni condomini, a seguito di riapertura del verbale non preceduta da una nuova rituale convocazione a norma dell'art. 66 att. c.c., risultando violate sia le disposizioni sulla convocazione dell'assemblea sia il principio della collegialità della deliberazione.

Cass. civ. n. 10611/1990

Al fine della valida costituzione dell'assemblea del condominio di edificio, la norma dell'art. 1136 sesto comma c.c. secondo la quale l'invito alla riunione dei condomini non richiede l'atto scritto o altre particolari formalità, ma può essere effettuato con qualsiasi forma o modalità idonea a portarlo a conoscenza del destinatario, comporta che la valida convocazione di uno dei comproprietari pro indiviso di piani o porzioni di piano può evincersi anche dall'avviso dato all'altro comproprietario, qualora ricorrano circostanze presuntive, affidate alla valutazione del giudice del merito, tali da far ritenere che il secondo comproprietario abbia reso edotto il primo della convocazione.

Cass. civ. n. 6671/1988

In tema di condominio degli edifici, l'art. 1136 c.c., facendo riferimento, per l'approvazione delle deliberazioni assembleari, ad un determinato numero di partecipanti al condominio ed ad un determinato valore dell'edificio rappresentato dalle rispettive quote, comporta che ogni condomino intervenuto possa esprimere un solo voto (ed analogamente va considerata la posizione degli astenuti e degli assenti), qualunque sia l'entità della quota che rappresenta ed indipendentemente dal fatto che questa sia costituita da una sola o da più unità immobiliari, stante l'autonoma rilevanza attribuita al voto personale rispetto al valore, sia pure minimo, della quota rappresentata dal singolo condominio.

Cass. civ. n. 1515/1988

In tema di convocazione dell'assemblea condominiale, le modalità per il relativo avviso (art. 1105 c.c.), che siano prescritte dal regolamento di condominio allo scopo di rafforzare la garanzia della preventiva convocazione di tutti i condomini, devono essere osservate al pari della disciplina legale nei confronti di ciascun condomino, con la conseguenza, in caso di violazione, dell'annullabilità delle deliberazioni così viziate.

Cass. civ. n. 5709/1987

La nomina del presidente e del segretario dell'assemblea di condominio non è prescritta da alcuna norma a pena di nullità, essendo sufficiente, per la validità delle deliberazioni, la maggioranza richiesta dalla legge. Pertanto, la mancata nomina di un presidente e di un segretario o l'eventuale irregolarità relativa ad essa non comportano invalidità delle delibere assembleari.

Cass. civ. n. 4316/1986

Ai fini della validità della deliberazione dell'assemblea dei condomini che abbia disposto l'esecuzione dei lavori di rifacimento della facciata dell'edificio condominiale, è necessario che il relativo argomento sia stato specificamente inserito nell'avviso di convocazione dell'assemblea, in quanto, riguardando la materia dell'amministrazione straordinaria del bene comune, non può ritenersi compreso nella dizione «varie».

Cass. civ. n. 5769/1985

In tema di condominio negli edifici, la disposizione del sesto comma dell'art. 1136 c.c. — secondo cui l'assemblea non può deliberare se non consta che tutti i condomini sono stati invitati alla riunione — implica che ogni condomino ha il diritto d'intervenire all'assemblea, e deve quindi essere messo in condizione di poterlo fare, con la conseguente necessità che l'avviso di convocazione previsto dall'ultimo comma dell'art. 66 disp. att. e trans. c.c. sia non solo inviato ma anche ricevuto nel termine (almeno cinque giorni prima della data fissata per l'adunanza) ivi previsto.

Cass. civ. n. 140/1985

Al fine della valida costituzione dell'assemblea dei condomini di un edificio, la prova che l'avviso di convocazione sia stato effettivamente consegnato al singolo condomino può essere acquisita anche con presunzioni, aventi i requisiti di gravità, precisione e concordanza stabiliti dall'art. 2729 c.c. (Nella specie, il giudice del merito aveva considerato raggiunta detta prova, rilevando che l'avviso di convocazione era stato da questi consegnato alla moglie del portiere, con funzioni di sostituta, presso lo stabile in cui si trovava il destinatario. La S.C., premesso il principio di cui sopra, ha ritenuto corretta la statuizione).

Cass. civ. n. 5073/1983

Ai fini della validità della delibera di assemblea condominiale, il quorum richiesto deve esistere al momento della costituzione dell'assemblea, e nel verbale ad essa relativo devono essere indicati gli elementi indispensabili per il riscontro della validità della costituzione assembleare senza che sia altresì necessaria la dichiarazione di regolarità dell'assemblea in relazione al totale dei millesimi rappresentati dagli intervenuti.

Cass. civ. n. 1930/1982

Quando i condomini partecipanti all'assemblea riunita in prima convocazione provvedono a deliberare, malgrado la mancanza del numero dei partecipanti e del requisito di valore richiesti per la valida costituzione dell'assemblea, è preclusa la possibilità della riunione dell'assemblea stessa in seconda convocazione (salva l'ipotesi in cui vi intervengano tutti i condomini, compresi quelli che avevano preso parte alla riunione in prima convocazione). Ne consegue che al fine della revoca della deliberazione adottata nella prima riunione, si deve procedere alla riconvocazione dell'assemblea con le forme e le modalità prescritte dall'art. 66 delle disp. att. c.c.

Cass. civ. n. 517/1982

La delibera assembleare in ordine a riparazioni straordinarie di edificio in condominio, da assumere con la maggioranza prescritta dall'art. 1136, quarto comma, c.c., ove non deleghi fiduciariamente a terzi la scelta dell'impresa cui commettere l'esecuzione dei lavori, ha come elemento essenziale ed inscindibile tale scelta, date le rimarchevoli conseguenze, nei riguardi del condominio, ricollegabili alla puntuale esecuzione o meno del contratto d'appalto, sicché, una volta designato l'appaltatore, ai sensi della norma citata, contestualmente all'approvazione dei lavori, la sostituzione del medesimo non può essere deliberata che con la stessa suindicata maggioranza.

Cass. civ. n. 15/1982

In tema di riparazioni di edificio condominiale, l'individuazione, agli effetti dell'art. 1136, quarto comma, c.c., della «notevole entità» delle riparazioni straordinarie deve ritenersi affidata, in assenza di un criterio normativo, alla valutazione discrezionale del giudice del merito, rispetto alla quale l'estremo della proporzionalità tra spesa e valore dell'edificio configura non un vincolo e limite della discrezionalità, bensì un eventuale elemento di giudizio, nel senso della possibilità per il giudice di tener conto, nei casi dubbi, oltre che dei dati di immediato rilievo, cioè dell'ammontare oggettivo della somma occorrente e del rapporto tra la stessa ed il costo delle comuni riparazioni straordinarie, anche dell'importanza economica dell'immobile, con la conseguenza della legittimità della maggiore incidenza riconosciuta all'uno piuttosto che all'altro degli elementi di giudizio e della sufficienza, ai fini dell'obbligo di motivazione, dell'indicazione delle risultanze reputate determinanti in ordine alla «notevole entità» o meno della spesa deliberata.

Cass. civ. n. 3797/1978

La norma del quarto comma dell'art. 1136 c.c., la quale richiede per la deliberazione dell'assemblea del condominio di edifici riguardante la nomina (o la revoca) dell'amministratore, la maggioranza qualificata di cui al secondo comma, pur essendo norma di carattere eccezionale, è suscettibile di applicazione estensiva all'ipotesi della deliberazione di conferma dell'amministratore, poiché le due deliberazioni hanno contenuto ed effetti giuridici eguali e differiscono soltanto nella circostanza che la conferma riguarda persona già in carica mentre la nomina riguarda persona nuova; anche per l'approvazione della deliberazione di conferma dell'amministratore è, pertanto, necessario un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti ed almeno la metà del valore dell'edificio.

Cass. civ. n. 2747/1978

La deliberazione dell'assemblea condominiale deve risultare in forma documentale, la quale è richiesta ad substantiam quando la delibera incida su diritti immobiliari, e ad probationem in tutti gli altri casi.

Cass. civ. n. 124/1978

In tema di condominio degli edifici, le disposizioni concernenti la nomina dell'amministratore, ancorché contenute nel regolamento accettato in seno agli atti di acquisto delle singole unità immobiliari, hanno natura strettamente regolamentare, e non contrattuale, in quanto sono rivolte a disciplinare l'organizzazione e la gestione dell'ente comune, senza incidere sui diritti individuali dei singoli partecipanti. La modificazione delle predette disposizioni, pertanto, non richiede il consenso di tutti i condomini, ma può essere validamente disposta con deliberazione maggioritaria dell'assemblea, ai sensi dell'art. 1136 c.c.

Cass. civ. n. 4136/1977

In tema di condominio degli edifici, al fine della regolarità della costituzione dell'assemblea e della validità delle deliberazioni da essa adottate, ai sensi dell'art. 1136 c.c., deve tenersi conto della presenza e del voto del condomino che, inizialmente intervenuto, si sia successivamente allontanato, dichiarando espressamente di accettare quanto avrebbe deciso la maggioranza.

Cass. civ. n. 4035/1977

La sanzione della nullità della delibera dell'assemblea condominiale presidia esclusivamente l'esigenza che tutti i condomini siano preventivamente informati della convocazione dell'assemblea, così da poter essere partecipi del procedimento di formazione della delibera medesima. Pertanto, salvaguardata tale esigenza, le lacune e le irregolarità del procedimento di convocazione e di informazione dei condomini (in esse compresa l'eventuale incompletezza dell'ordine del giorno) non possono che dar luogo a deliberazioni contrarie alla legge, espressamente soggette, come tali, all'impugnazione per annullamento, da proporsi nel termine di cui all'art. 1137 c.c.

Cass. civ. n. 563/1977

L'accordo con il quale tutti i condomini di un edificio stabiliscono, ai fini del calcolo della maggioranza, di considerare l'assemblea da tenersi in una data determinata come riunita in seconda convocazione, premettendo la prima, è valido non incidendo su materia sottratta alla disponibilità delle parti.

Cass. civ. n. 298/1977

La preesistenza di una regolare «tabella» allegata al regolamento di condominio, con la quale siano ripartiti in millesimi i valori dei piani o delle porzioni di piano appartenenti ai singoli condomini, non è requisito di validità delle deliberazioni condominiali, in quanto il criterio di identificazione della quota di partecipazione al condominio, costituito dal rapporto tra il valore della proprietà singola ed il valore dell'intero edificio, esiste prima e indipendentemente dalla formazione della tabella e consente sempre di valutare (se occorre, anche a posteriori), se i quorum richiesti per la validità dell'assemblea e delle relative deliberazioni siano stati raggiunti.

Cass. civ. n. 1/1977

La validità delle deliberazioni dell'assemblea condominiale non è condizionata ad una preventiva costituzione legale del condominio, ovvero alla preventiva approvazione del regolamento condominiale e delle tabelle millesimali. Invero, il condominio sorge pleno jure con la costruzione su suolo comune, ovvero con il frazionamento, da parte dell'unico proprietario o di più comproprietari pro indiviso, di un edificio, i cui piani o porzioni di piano vengano attribuiti a due o più soggetti in proprietà esclusiva; la formazione del regolamento condominiale si inserisce, a sua volta, senza alcun carattere di preliminarità nel novero delle attribuzioni demandate al potere deliberante dell'assemblea; del pari non è preliminare l'approvazione delle tabelle millesimali, poiché il criterio di identificazione della quota di partecipazione del condomino al condominio, esiste indipendentemente dalla formazione di tali tabelle e consente di valutare anche a posteriori, se i quorum richiesti per la validità dell'assemblea e delle relative deliberazioni, siano stati, o meno, raggiunti.

Cass. civ. n. 1281/1976

La necessità di dare esecuzione ad una legge imperativa che imponga la adozione di cautele o accorgimenti per evitare l'inquinamento atmosferico (L. 13 luglio 1966, n. 615) non sottrae le relative delibere dell'assemblea condominiale all'osservanza delle maggioranze previste dall'art. 1136 c.c. qualora, per eseguire in concreto il comando della legge, si debba far luogo ad innovazioni in senso tecnico, sia a causa delle opere che per diretta conseguenza dell'applicazione di quelle cautele e di quegli accorgimenti si rendono necessarie, sia a causa dello stato dei luoghi condominiali, che debbono essere convenientemente modificati per attuare quelle opere.

Cass. civ. n. 3936/1975

L'omessa trascrizione, nel verbale dell'assemblea condominiale, del rendiconto presentato dall'amministratore non comporta l'invalidità della deliberazione che ha approvato tale atto, in quanto, nel mentre siffatta trascrizione non è richiesta dalle norme sul condominio di edifici, non sono applicabili a quest'ultimo le diverse disposizioni che regolano la redazione e l'approvazione dei bilanci delle società.

Cass. civ. n. 2050/1975

L'invito di tutti i condomini alla riunione, presupposto indispensabile per la valida costituzione dell'assemblea del condominio di edifici (art. 1136, sesto comma, c.c.), non è soggetto a particolari formalità e, pertanto, è sufficiente che ciascuno dei partecipanti abbia avuto, in qualsiasi modo, notizia della convocazione. Allorché tutti i condomini di un edificio abbiano avuto tempestiva comunicazione della convocazione dell'assemblea e degli argomenti all'ordine del giorno, non ha rilevanza, al fine della validità delle delibere adottate, l'esattezza o meno dell'indicazione dell'assemblea, nell'avviso di convocazione, come ordinaria o straordinaria; tale distinzione, infatti, non ha altra giustificazione che quella di stabilire l'annualità ed obbligatorietà della prima, per la retta amministrazione del condominio, e l'eventualità e non periodicità della seconda, ma non attribuisce all'una od all'altra alcuna particolare natura o funzione. Da ciò consegue, con riferimento all'assemblea obbligatoria annuale, che nessun effetto invalidante può avere la convocazione di essa come «ordinaria», ancorché in epoca diversa da quella prescritta dal regolamento di condominio per l'assemblea ordinaria.

Cass. civ. n. 3139/1973

Ciascun condomino può prendere l'iniziativa di convocare l'assemblea soltanto nel caso di mancanza e non anche in quello di impedimento dell'amministratore. La deliberazione dell'assemblea, convocata su iniziativa di un condomino nel caso di impedimento dell'amministratore, è annullabile.

Cass. civ. n. 2812/1973

La mancata sottoscrizione del verbale da parte della persona che abbia, in un primo tempo, presieduto l'assemblea condominiale e poi, per un sopravvenuto malore, si sia allontanata, sicché il verbale sia stato sottoscritto soltanto dal presidente subentrato al primo, concreta una irregolarità formale, che non determina la nullità della deliberazione, e che pertanto deve essere dedotta nel termine perentorio di cui all'art. 1137 c.c

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Consulenze legali
relative all'articolo 1136 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

RENATO P. chiede
martedì 20/02/2024
“15/02/2024 - assemblea in seconda convocazione di un condominio composto da 24 proprietari. Ogni condomino, come da divisone catastale, risulta proprietario, per alloggio, di millesimi 125/3.
Ad assemblea erano presenti di persona o per delega 18 persone.
Regolamento condominiale (contrattuale risalente 1986) ad art. 7 alla voce validità delle delibere recita: "sono valide le deliberazioni approvate con numero di voti che rappresentano la maggioranza degli intervenuti ed almeno la metà più uno del valore millesimale di proprietà".
E' stato posto in votazione "approvazione bilancio consuntivo gestione 2022 geom. xxxxxxx rettificato". La votazione ha dato seguente esito: presenti 18 - votanti 16 in quanto due persone si sono astenute - 12 favorevoli - 4 contrari. Totale millesimi favorevoli: 500,04.
La domanda è: per approvazione vanno conteggiati tutti i presenti (compresi astenuti)?
Quanto prescritto dal regolamento (50%+1 dei valori millesimali) è ancora valido o è da ritenersi inapplicabile dopo entrata in vigore art 1136 c.c.?
Ci sono altre modalità? I millesimi vanno calcolati su tutto il complesso condominiale o solo sui presenti ad assemblea?
grazie.”
Consulenza legale i 23/02/2024
Con l’importante arresto espresso da Cass. Civ,Sez.II, n.19131 del 28.09.2015, gli Ermellini hanno prercisato:

"In tema di condominio, le maggioranze necessarie per approvare le delibere sono inderogabilmente quelle previste dalla legge in rapporto a tutti i partecipanti ed al valore dell'intero edificio, sia ai fini del "quorum" costitutivo sia di quello deliberativo…”.

Tale principio trova poi conforto da un importante addentellato normativo quale è l’ultimo comma dell’art. 1138 del c.c. che dispone: “le norme del regolamento di condominio non possono derogare in nessun caso alle disposizioni di cui all’art. 1136 del c.c.
Il regolamento quindi in tema di funzionamento della assemblea può solo limitarsi ad integrare e meglio completare le disposizioni legislative in tema di funzionamento della assemblea, ma non può mai prevedere quorum deliberativi e costitutivi differenti da quelli legislativamente previsti.

Applichiamo tale principio al caso prospettato.
L’ argomento messo ai voti riguarda l’approvazione della ratifica del rendiconto condominiale consuntivo: esso è un tipico argomento che rientra nella gestione ordinaria dello stabile. A mente dell’art 1136 del c.c., se l’assemblea si riunisce in seconda convocazione, cosa che per prassi capita sempre, essa delibera le questioni di ordinaria amministrazione con le maggioranze di cui al comma 3°: maggioranza degli intervenuti che rappresenta almeno 1/3 del valore dell’edificio, ovvero 333 millesimi.

Sulla base, quindi, di quello che viene riferito nel quesito, si può affermare che il rendiconto sia stato validamente approvato. La riunione, infatti, si è tenuta come da prassi in seconda convocazione; dal verbale risulta come il rendiconto sia stato approvato dalla maggioranza degli intervenuti (intervenuti personalmente o per delega questo poco importa), e che i componenti di detta maggioranza rappresentavano solo loro almeno la metà del valore millesimale dell’intero edificio: 500 millesimi. Si è quindi raggiunto un quorum deliberativo ben superiore rispetto a quello normativamente previsto dall’ art 1136 del c.c.: il rendiconto deve considerarsi approvato.

Sulla base della giurisprudenza reperita l’art. 1136 del c.c. è l’unica norma che si deve prendere come punto di riferimento per computare le maggioranze necessarie ad approvare gli argomenti presenti all’ordine del giorno.

M. A. chiede
lunedì 19/02/2024
“ho acquistato l'appartamento da 1 anno, nell'atto notarile sono specificati i millesimi di partecipazione alle spese condominiali (58), nella ripartizione delle spese relative al riscaldamento involontario, è applicato il criterio dei millesimi di fabbisogno, in quanto nel 2017 erano stati così deliberati. Fino ad i miei millesimi sono questi 58/1000 per spese generali e 129/1000 spese riscaldamento involontario con tabella millesimi di fabbisogno secondo UNI 10200. Ora però dal 2020 è subentrato il Dl.g.s. 73/2020 dove è possibile utilizzare il criterio dei millesimi di proprietà per la ripartizione del riscaldamento involontario. Dato che coloro che si potranno avvantaggiare di questo criterio sono 8 su 29 condomini, cioè ultimo piano e primo piano, come posso obbligare l'assemblea a deliberare la nuova tabella millesimi ?”
Consulenza legale i 21/02/2024
La lettera d) del comma 5° del D.lgs. n.102/2014, così come modificato dal successivo D.Lgs n.73/2020, ci indica come ripartire: “le spese connesse al consumo di calore per il riscaldamento, il raffreddamento delle unità immobiliari e delle aree comuni, nonché per l'uso di acqua calda per il fabbisogno domestico, se prodotta in modo centralizzato”.
Essa deve considerarsi la norma di riferimento per procedere al riparto delle spese connesse al riscaldamento del palazzo, soprattutto oggi, ove in quasi tutti gli stabili si dà per presupposto che siano presenti strumenti di misurazione che permettano di stabilire sia il complessivo consumo di calore dell’edificio nel suo complesso sia quello delle singole unità immobiliari di cui è composto. La presenza di tali strumenti di misurazione è infatti il presupposto principale per applicare i criteri di riparto previsti dal D.lgs. n.102/2014 e lo stesso testo di legge ne imponeva l’installazione negli stabili condominiali a pena di sanzioni amministrative pecuniarie.

Ad ogni modo, il criterio di riparto in questione, prevede che le spese relative al consumo di calore siano ripartite in una quota non inferiore al 50% in proporzione ai prelievi volontari di energia, da calcolarsi ovviamente con l’ausilio dei sotto contatori presenti nello stabile; la restante parte della spesa ancora non ripartita (che riguarda i prelievi di calore involontari), potrà essere suddivisa: "a titolo esemplificativo e non esaustivo
  • secondo i millesimi,
  • i metri quadri o
  • i metri cubi utili,
  • oppure secondo le potenze installate".
La norma indica solo a titolo esemplificativo alcuni criteri che potranno essere utilizzati per ripartire i consumi involontari, facendo inoltre salva la possibilità ai singoli proprietari di sottoporre alla suddivisione in base agli effettivi prelievi volontari di calore una quota di spesa superiore al 50%, riducendo allo stesso tempo quindi quella parte di spesa attribuibile ai consumi involontari.

Ovviamente tutte queste scelte discrezionali non potranno essere effettuate unilateralmente dall’amministratore nel momento in cui egli redigerà nel suo ufficio il rendiconto condominiale. La concreta attuazione dei criteri di riparto previsti dal D.lgs. n.102/2014 è demandata ai proprietari riuniti in assemblea, i quali adotteranno, all’interno dei perimetri della legge citata, le determinazioni che essi riterranno più opportune per il loro stabile, previa opportuna consultazione con un termotecnico. Il criterio di riparto scelto dai proprietari in riunione dovrà essere applicato dall’amministratore nel redigere i futuri rendiconti condominiali, e sarà approvato dall’assemblea con le maggioranze previste dall’ art. 1136 del c.c. per deliberare le questioni attinenti l’ordinaria amministrazione e la gestione delle cose comuni. Dando per presupposto che, come da prassi, ci si riunisca in seconda convocazione, la assemblea delibera le questioni di ordinaria amministrazione con la maggioranza degli intervenuti che rappresentano almeno 1/3 del valore dell’edificio.

Analizzando il quesito proposto, emerge come nel caso specifico tutta questa normativa sia ormai entrata pienamente a regine e tutte le decisioni conseguenti sono state adottate. È certamente possibile per l’assemblea ritornare sulle proprie decisioni sul tema e modificarle, a patto che venga inserito tale argomento nell’ordine del giorno di una prossima riunione di condominio e si raggiungano le maggioranze prescritte dalla legge. Se ciò non avviene, è chiaro che la minoranza dissenziente dovrà sottostare alle decisioni della maggioranza dei condomini, i quali vogliono che quanto deciso nel 2017 rimanga in vigore. Tra l’altro, si tenga presente che quanto deliberato nel 2017 non è in contrasto con le modifiche apportate dalla normativa successivamente intervenuta: la suddivisione per millesimi di fabbisogno è infatti uno dei criteri indicati dal D.Lgs n.73/2020 per ripartire i consumi involontari.

Anonimo chiede
lunedì 04/12/2023
“Buongiorno, avrei la seguente domanda relativa alla facoltà di un'assemblea condominiale di "obbligare" (il virgolettato è d'obbligo) un condomino a prendere un finanziamento.
Mi spiego meglio.

Nel nostro condominio si sta valutando di fare lavori di efficientamento energetico. La ditta appaltatrice ha previsto due modalità di pagamento: una è quella di mettere direttamente soldi cash dentro il fondo condominiale istituito ad hoc, l'altra è quella di usufruire di una finanziaria.
Qualche giorno fa c'è stato un incontro tra rappresentanti della finanziaria e i consiglieri del condominio, ed è uscita fuori la cosa seguente (messa a verbale)

D: Chi è il contraente, lato condominio, nel caso in cui sia solo una parte di esso ad aderire?
R: Il contraente è sempre il condominio - La consulente ha specificato, su precisa domanda, che l'adesione al finanziamento, affinché questo possa essere concesso dovrà essere di almeno il 70% dei condomini. Ha anche aggiunto che, laddove l'assemblea deliberi il finanziamento, potranno eventualmente non aderirvi e quindi partecipare al fondo con risorse proprie, solo coloro che lo dichiarino al momento della delibera del finanziamento stesso. Tutti gli altri saranno tenuti ad aderire al finanziamento deliberato dall'assemblea.

Come ho scritto prima, il mio dubbio è il seguente: ma costringere un condomino, mediante la forma "silenzio-assenso", a prendere un finanziamento (quando è prevista comunque la possibilità di mettere direttamente i soldi nel fondo) è una cosa legittima? Non dovrebbe essere l'opposto, ovvero che si dà la possibilità al singolo condomino di accedere al finanziamento previa esplicita dichiarazione?

Un grazie in anticipo per la risposta”
Consulenza legale i 09/12/2023
Innanzitutto è necessario sgomberare il campo da un primo equivoco: l’assemblea può deliberare di sovvenzionare un qualsiasi intervento sulle parti comuni dell’edificio o la realizzazione di una innovazione accedendo al mercato del credito: quindi, per mezzo di una delibera condominiale, adottata secondo le norme di legge, è possibile obbligare il singolo proprietario a sottoscrivere un finanziamento nonostante il suo voto contrario.
Si può trarre questa conclusione dalla lettura dell’ult. co. dell’ art. 1108 del c.c. , il quale espressamente prevede la possibilità per l’assemblea dei partecipanti alla comunione ordinaria di deliberare la sottoscrizione di mutui e la iscrizione di ipoteche sulla cosa comune per garantire la restituzione di somme prese a prestito per realizzare la ricostruzione o comunque il miglioramento del cespite in comunione.
Il principio dettato dall’art.1108 del c.c. seppur pensato per la comunione ordinaria è sicuramente applicabile anche in ambito condominiale per via del rinvio alle norme della comunione dettato dall’ art. 1139 del c.c..

Posto questo iniziale punto fermo, è giusto premettere che nello scrivere il presente parere si darà per scontato che il finanziamento che si andrà a sottoscrivere non sia assistito da una qualche garanzia reale, tipicamente una ipoteca: è difficilmente pensabile infatti che un istituto bancario accetti di iscrivere una ipoteca esclusivamente su parti comuni dell’edificio, che di per se sono privi di valore commerciale, senza coinvolgere i singoli appartamenti dei condomini: ma è ovvio che l’assemblea non potrebbe mai a colpi di maggioranza costringere il singolo condomino senza il suo consenso a iscrivere una ipoteca sulla sua proprietà esclusiva.

Fatta questa precisazione il problema ora è capire quali siano le maggioranze che devono essere raggiunte durante la riunione condominiale affinché la sottoscrizione di un finanziamento da parte del condominio nel suo complesso sia validamente deliberato dai proprietari riuniti in assemblea. I quorum deliberativinecessari infatti a parere di chi scrive variano a seconda della tipologia di intervento che si vorrà realizzare per mezzo del finanziamento.
Se vi sarà la necessità di effettuare: interventi inerenti la ricostruzione dell’edificio, lavori straordinari di notevole entità, innovazioni di cui agli artt.1120 2° co e 1122 ter del c.c., (come per esempio, l’installazione di pannelli fotovoltaici o di impianti di video sorveglianza), le maggioranze richieste per approvare il finanziamento saranno quelle del 2° e 4° co. dell’art.1136 del c.c., ovvero maggioranza degli intervenuti che rappresentano almeno la metà del valore dell’edificio (quindi 500 millesimi).
Qualora vi sarà invece la necessità di realizzare innovazioni non rientranti in quelle indicate nel 2° co. dell’ art. 1120 del c.c. (ormai i casi sono piuttosto esigui), le maggioranze per deliberare il relativo finanziamento sono quelle previste dal 5° co. dell’art.1136 del c.c., quindi maggioranza dei presenti che rappresentano almeno i 2/3 del valore dell’edificio (quindi, 666 millesimi).
Ovviamente un finanziamento così deliberato verrebbe poi materialmente sottoscritto dall’amministratore di condominio in forza dei poteri a lui conferiti dall’ art. 1130 del c.c. in rappresentanza del condominio medesimo e di tutti i proprietari che lo compongono.

Al di là delle norme di legge, stante la delicatezza di quanto si vuole deliberare, è assolutamente comprensibile che la finanziaria nel caso prospettato accetti di erogare il finanziamento solo se approvato da un numero molto elevato di condomini, richiedendo quindi un quorum ben più alto di quello normalmente richiesto dalle norme del codice civile.

Quindi è giusto concludere che quello che si vuole deliberare rientra nelle facoltà dell’assemblea e non presenta criticità: anzi, paradossalmente il condomino contrario a sottoscrivere il finanziamento, perché ad esempio ha la disponibilità della cifra a lui richiesta per realizzare i lavori, sarebbe comunque obbligato a stipularlo in forza di quanto dispone il 1° co. dell’ art. 1137 del c.c.. Tale norma dispone che le delibere della assemblea adottate a norma di legge sono obbligatorie per tutti i condomini, quindi anche per coloro che hanno espresso voto contrario: questo importante principio del diritto condominiale trova alcune deroghe nel nostro ordinamento, ma tra queste non rientra la contrazione di mutui e finanziamenti da parte del condominio.

A parere di chi scrive è proprio a causa di questo paradosso che nel caso specifico ci si è inventati questo strano meccanismo di silenzio assenso: semplicemente, nessuno vuole costringere a ricorrere al mercato del credito colui che magari ha la disponibilità della somma per realizzare i lavori. Questo problema potrebbe risolversi se il finanziamento venisse sottoscritto direttamente da quel gruppo di condomini che sono effettivamente interessati ad avere il prestito, tagliando quindi fuori dalla sottoscrizione del finanziamento il condominio e il suo amministratore: in questo modo si lascerebbe liberi i proprietari che hanno la disponibilità economica di corrispondere di tasca loro nel fondo condominiale la parte di spesa di loro competenza necessaria per portare avanti i lavori.




G. P. chiede
martedì 15/08/2023
“Abito in un condominio che è in origine un palazzo comunale degli anni '50 a riscatto. Il palazzo è riscattato dai condomini da decenni ma a seguito di lavori di allaccio alla fognatura si è scoperto che il cortile (interno ma comunicante con la pubblica via) non era stato volturato e quindi di proprietà ancora comunale. Negli anni era stato costruito un casotto che contiene la caldaia del riscaldamento, fatto senza i permessi adeguati per ignoranza della reale proprietà, ai quali lo scrivente e altri due condomini si 21 non sono allacciati. A questo punto il comune ha richiesto o l' acquisto ex novo o un affitto dell' area ed anche il pagamento di una assicurazione, quest' ultima proposta è stata accettata da una maggioranza semplice che ha dato mandato all' ammin. di stipulare il contratto , oneroso per tutti i condomini.
Pensavo che per deliberare interventi su arre che non sono di proprietà condominile la procedura fosse scorretta e richiedesse l' unanimita di TUTTI i condomini perchè se così non fosse si aprono scenari grotteschi.”
Consulenza legale i 08/09/2023
Dalla descrizione dello stato di fatto presentata nel quesito, sembra che il cortile sia posto fisicamente al servizio diretto dell’edificio condominiale.
Ciò significa che solo la titolarità della proprietà è rimasta in capo al Comune ma che la sua funzione è senza dubbio quella di cortile condominiale, utilizzato e gestito come parte comune.
Si suppone che anche le spese che riguardano la manutenzione del cortile siano suddivise tra i condomini in base ai millesimi di proprietà.
Il casotto costruito sul cortile e con all’interno l’impianto di riscaldamento ha anch’esso una funzione necessaria per il Condominio, indipendentemente dal fatto che alcuni condomini abbiano il riscaldamento autonomo.

Il principio generale che vige nell’approvazione assembleare delle spese condominiali è quello dell’utilità comune.
È evidente l’utilità comune della stipula di un contratto di locazione dell’area cortilizia su cui è posta la caldaia condominiale.
A questa stregua, quindi, il contratto di locazione assume la stessa funzione di qualsiasi altro contratto con terzi che può stipulare il Condominio per la gestione/manutenzione delle parti comuni.
Si ritiene che questo tipo di delibera rientri in una questione di ordinaria amministrazione poiché prevede l’impegno per il Condominio di una spesa annuale necessaria per il godimento di una parte funzionale all’edificio; l’assemblea condominiale potrà quindi approvarla con la maggioranza semplice prevista dall’art. 1136 comma 3 del c.c.
Si segnala che, vista la specificità della questione sottoposta, un altro interprete potrebbe ritenere che la maggioranza necessaria sia quella qualificata prevista per gli atti di straordinaria amministrazione.

S. C. chiede
giovedì 27/04/2023
“Nel mio condominio di verifica la seguente situazione:
A) Amministratore in carica da 10 anni per rinnovo mandato annuale.
B) Oggi mandato scaduto ma l’amministratore non intende lasciare l’incarico.
C) condomini contrari a rinnovare l’incarico 477 millesimi della proprietà
D) condomini favorevoli a rinnovare l’incarico 380 millesimi della proprietà
E) condomini che non possono partecipare ne dare delega per l’Assemblea 147 millesimi della proprietà
F) n. 4 condomini ma che ne rappresentano 6 hanno fatto richiesta di convocazione dell’Assemblea ex art. 66 con all’OdG Nomina nuovo Amministratore con l’avvertenza che se la convocazione non venisse effettuata entro 20 giorni dall’amministratore in carica si procederebbe ad auto convocazione dell’assemblea con l’offerta richiesto.
G) l’amministratore in carica si è dichiarato già indisponibile a convocare l’assemblea è quando deciderà di convocarla metterà all’OdG Conferma Amministratore.
Quesiti:
1) i condomini di n. 4 che hanno richiesto la convocazione possono autoconvocare l’assemblea co all’ OdG Nomina nuovo amministratore?
2) la conferma per essere valida da quanti millesimi della proprietà deve essere approvata? (L’amministratore in carica sostiene un terzo dei millesimi di proprietà).
3) La situazione che si presenta è che nessuna parte a mio avviso può nominare il nuovo amministratore per la mancanza del quorum dei 500 millesimi previsti ex lege.
4 I condomini possono chiedere al Presidente del Tribunale la nomina di un Amministratore Giudiziario? Quest’ultima soluzione è quella che il sottoscritto vorrebbe conseguire.”
Consulenza legale i 11/05/2023
I co. 2° e 4° dell’art.1136 del c.c. dispongono che per giungere alla revoca del mandato dell’amministratore in carica e per la nomina di un suo sostituto sia necessario il consenso della maggioranza dei presenti alla riunione di condominio che rappresentino almeno la metà del valore dell’edificio: 500 millesimi. Sulla base di quanto si è riferito quindi non si è formato durante la riunione un consenso sufficiente per procedere alla revoca dell’attuale amministratore, quindi egli rimane legittimamente in carica, fatta salva sempre la possibilità di sue dimissioni volontarie.

Nella situazione che si è descritta però, non è possibile ricorrere al giudice affinché lo stesso possa nominare un novo professionista per mezzo di provvedimento giudiziario: tale via sarebbe percorribile, infatti, nel solo caso in cui l’ufficio di amministratore fosse per qualsiasi motivo vacante ma, per i motivi che si sono già detti, questo non è avvenuto: l’attuale amministratore allo stato attuale delle cose rimane pienamente e legittimamente in carica e quindi l’ufficio non può definirsi vacante.

Se un gruppo di condomini ha inviato una richiesta di convocazione dell'assemblea ai sensi dell’art 66 disp.att. del c.c. l’amministratore ha l’obbligo di procedere alla convocazione dell’assemblea entro 10 giorni dal ricevimento della richiesta. Se egli non procede in tal senso, i condomini sono legittimati ad autoconvocarsi fermo restando il rispetto delle altre norme previste per una corretta convocazione. In particolare dovrà essere inviato almeno 5 giorni prima del giorno fissato per l’adunanza l’ordine del giorno nel quale dovrà essere inserito tra gli argomenti la revoca dell’attuale amministratore e la nomina del suo sostituto. Se questo argomento non verrà espressamente inserito nell’ordine del giorno l’eventuale revoca dell’amministratore sarebbe infatti potenzialmente annullabile ai sensi dell’art. 1137 del c.c..

Nel caso specifico pare che alcuni condomini abbiano inviato all’amministratore in carica una richiesta di convocazione ai sensi dell’art. 66 disp.att. del c.c., concedendo però termine di 20 gg. al professionista per procedere alla convocazione dell'adunanza dei condomini, e non i canonici 10 gg. come previsto dalla norma. È una situazione piuttosto strana e insolita ma visto che il termine è più favorevole alla parte che viene onerata della convocazione (ovvero l’amministratore), si è propensi a consigliare di attendere il decorso dei 20 giorni prima di procedere ad una eventuale autoconvocazione.

Ovviamente se tale riunione autoconvocata avrà luogo, ci si dovrà assicurare di avere in tale sede il consenso sufficiente per giungere alla revoca dell’amministratore e alla sua sostituzione: diversamente, si tornerebbe alla situazione che si è descritta all’inizio del parere e il professionista rimarrebbe pienamente in carica senza la possibilità di ricorrere alla nomina per mezzo del giudice.

Vi è da dire che di questa autoconvocazione pare che non ve ne sia una effettiva necessità in quanto l’amministratore a quanto sembra è già propenso a procedere ad una convocazione della assemblea in cui verrà discussa la revoca e la sostituzione dell’attuale professionista in carica. È molto probabile che, stante il clima di sfiducia che si è venuto a creare, durante questa riunione appositamente convocata l’amministratore si presenti già dimissionario: si consiglia quindi di attendere le mosse di quest’ultimo prima di procedere ad una autonoma convocazione ai sensi dell’art 66 disp.att. del c.c.


L. A. chiede
giovedì 27/10/2022 - Piemonte
“Abito in un condominio accatastato e costituito dai seguenti immobili: (citazione tratta da regolamento condominiale redatto dal costruttore)
- piastra commerciale denominata "supermercato" ...
- edificio residenziale multipiano....suddiviso in 34 appartamenti su una scala..... (distribuito su 8 piani e denominato R232)
- edificio residenziale multipiano ... suddiviso in 47 appartamenti su due scale.... (distribuito su 11 piani e denominato R 238)

Fanno altresì parte del condominio alcuni garage di pertinenza di condomini non residenti all'interno dei due edifici residenziali sopra citati.

il presente condominio comprende alcune parti in comproprietà o con servizi di servitù.

Il regolamento condominiale prevede per la ripartizione delle spese, apposite tabelle millesimali per ogni edificio residenziale e una ripartizione delle spese, in termini percentuali, per le spese delle parti comuni. (esempio: muri contro terra:
- lotto 1: 50% supermercato 50% residenza R 232 + garage di competenza
- lotto 2: 100% R 238 + garage di competenza)

Per la gestione di tutto il complesso condominiale ci si avvale di un unico amministratore e tutte le decisioni vengono prese dall' assemblea.

Ora, in queste assemblee nel calcolo di rappresentanza dei diversi condomini e del valore dell'intero edificio, vengono solo e sempre conteggiati i millesimi riferiti alle due residenze (R232 e R238) e mai il supermercato in quanto, a detta dell'amministratore, il regolamento non prevede tabelle millesimali appositamente dedicate per il supermercato.
Il regolamento, in riferimento "all'assemblea condominiale", cita quanto segue ".... hanno diritto di partecipare all'assemblea tutti i condomini.... e in riferimento al punto "Amministrazione" prevede quanto segue "...i consiglieri saranno in numero di tre: uno nominato da R 232, uno in rappresentanza del Supermercato, uno in rappresentanza di R 238...
Quesito n. 1) tenuto conto di quanto sopra, sono valide le deliberazioni, sia ordinarie che straordinarie, finora assunte dall'assemblea dei condomini? In caso di riposta negativa, cosa è corretto fare per offrire a tutti i condomini il giusto diritto di rappresentanza alle assemblee e nel contempo agire nel rispetto delle norme di legge?

Inoltre, nell'ultima assemblea straordinaria del 08/10/2022, dove la rappresentanza e il calcolo dei 2/3 del valore dell'intero edificio è nuovamente stato calcolato avvalendosi unicamente dei millesimi delle sole 2 residenze, è stato deliberato di procedere alla rimozione graffiti e trattamento di tutti i muri perimetrali del condominio.
La delibera riporta quanto segue "l'amministratore informa i sig. condomini dei contatti intercorsi con la direzione....(del supermercato) per concordare una quota di compartecipazione alle spese per la realizzazione dei lavori che coinvolgono la facciata comune, nonostante la mancanza di millesimi a loro carico e all'indicazione sul regolamento di condominio di una percentuale di spesa a loro imputabile. Visto i numerosi rincari e l'importante aumento dei costi energetici che stanno subendo, al momento il supermercato non è nelle condizioni di pianificare e mettere a bilancio ulteriori spese al di fuori di quelle ordinarie. Per quanto sopra i condomini presenti votano per l'esecuzione completa delle opere sull'intero perimetro...."
Nella ripartizione delle spese dei lavori approvati dall'assemblea, nei termini sopra descritti, le spese pari ad un valore complessivo di € 30.800,00 sono state addebitate unicamente ai condomini delle 2 residenze e a tutti i proprietari dei garage sotterranei.
Quesito 2) E' valida la presente delibera? Qualora la delibera fosse valida, è corretta la ripartizione delle spese dei suddetti lavori? Visto che il regolamento prevede la ripartizione delle spese per quanto concerne i muri contro terra tra tutte le residenze compreso il supermercato, (come citato nella descrizione del primo quesito), per le spese dei muri perimetrali, si può fare riferimento a tale voce?


Distinti saluti.”
Consulenza legale i 08/11/2022
Per dare una risposta più precisa sarebbe necessario avere in visione l’intero regolamento contrattuale. Tuttavia già con quanto è stato citato è possibile fornire un primo parere preliminare.
Non è insolito che in un regolamento contrattuale vigente in un corpo di fabbrica complesso siano presenti delle clausole che dispongano che un certo condomino risponda di determinate voci di spesa sulla base di una quota percentuale prestabilita a priori, soprassedendo quindi alla classica suddivisione per millesimi; è parimenti possibile che tali regolamenti contengano delle clausole che esonerino certi condomini dal pagamento di determinati oneri condominiali: tutto questo non è vietato, a patto che tali clausole siano inserite in un regolamento di chiara natura contrattuale, come ad esempio nel caso descritto.

Ciò però non vuol dire che alla proprietà che si avvantaggia di tali clausole non debba essere attribuito un valore millesimale: tale valore sarà comunque necessario ai fini del funzionamento della assemblea e del calcolo delle relative maggioranze di cui all’art. 1136 del c.c. Sotto questo aspetto la giustificazione data dall’amministratore è insolita: il supermercato, infatti, per quanto si è capito, rimane un condomino a tutti gli effetti chiamato a partecipare alla vita condominiale e a pagare le relative spese. L’argomento, però, non può essere ulteriormente approfondito in assenza di un esame completo del regolamento.

Fatta questa doverosa premessa, si affronta il primo quesito. Si ritiene che le delibere adottate in passato dal condominio siano valide ed efficaci in quanto, anche se fossero affette da un qualche vizio che ne comporti la annullabilità, sono oramai decorsi i perentori termini di impugnazione previsti dall’ art. 1137 del c.c.: non si ravvisa, infatti, sulla base di quanto si è riferito, una qualsivoglia ipotesi di nullità che premetterebbe di impugnare in ogni tempo quanto già deliberato dall'assemblea.

Il discorso è differente, invece, per il secondo quesito. Ai sensi del 3° co. dell'art. 1118 del c.c. il condomino non può sottrarsi al pagamento degli oneri condominiali: è ben possibile, però, che gli altri condomini nel contesto della assemblea si accordino per accollarsi in tutto o in parte gli oneri riconducibili ad un certo proprietario. Per la piena efficacia di tali delibere è necessario però che tutti i condomini prestino il loro consenso, in quanto non sarebbe possibile a colpi di maggioranza costringere un proprietario senza il suo consenso ad assumersi un debito non suo.
Per quanto ci è dato capire, quanto deliberato alla riunione dell’08.10.2022 è stato approvato solo col voto favorevole di un gruppo di condomini presenti alla riunione e non dalla unanimità dei proprietari. Per tale motivo quanto deliberato pare essere nullo e come tale impugnabile in ogni tempo, anche oltre i rigidi termini impugnatori previsti dall’art. 1137 del c.c.


GIAN M. I. chiede
martedì 15/03/2022 - Lombardia
“Buongiorno,
Sono un Amministratore di condominio e avrei bisogno di una consulenza poiché a breve avrò assemblea straordinaria e vorrei essere sicuro della delibera in verbale.
Praticamente in due condomini che gestisco, eseguendo lo studio di fattibilità (per Bonus 110%) è emerso che sulle parti comuni vi sono diverse difformità e l'importo per sanare potrebbe essere circa sui 20.000 € o più....ovviamente alcuni condomini vorrebbero procedere a sanare altri no.
Il mio quesito è, in caso ci fosse da deliberare con apposito ordine del giorno di procedere o meno alle sanatorie condominiali quali sono le maggioranze per deliberare di procedere a sanare le difformità ? forse unanimità ?
Grazie, in attesa di un gentile riscontro, porgo
distinti saluti.”
Consulenza legale i 21/03/2022
Contrariamente a quanto si possa pensare la questione prospettata non è stata affrontata in maniera frequente dalla giurisprudenza e le poche pronunce reperite offrono solo alcuni punti fermi.

Ad ogni modo, offre molti spunti di riflessione sull’argomento Tar Lecce Sez. III n. 1111 del 15.04.2008. Con tale pronuncia la Corte leccese qualifica la richiesta di domanda di sanatoria sulla cosa comune come un atto di straordinaria amministrazione di cui all’art. 1108 del c.c. precisando che la domanda deve essere quindi autorizzata con la maggioranza dei due terzi dei partecipanti, calcolata in base alle quote di ciascuno di essi. È interessante notare come tale pronuncia escluda la necessità che l’istanza del permesso di costruire in sanatoria venga approvata dalla unanimità dei partecipanti alla comunione, equiparando tale attività ad una innovazione sul bene comune, autorizzabile quindi con il consenso dei 2/3 dei comproprietari.

“…si deve distinguere - dice il Tar Lecce - fra istanza relativa ad un edificio da realizzare ex novo e istanza di permesso di costruire in sanatoria: nel primo caso, trattandosi di una modifica essenziale del fondo, è necessaria l’unanimità dei consensi, mentre nel caso di permesso di costruire in sanatoria si tratta di rendere legali opere abusive già esistenti, le quali, in mancanza della sanatoria, esporrebbero i comproprietari alle conseguenze pregiudizievoli derivanti dall’esercizio del potere sanzionatorio che la legge attribuisce ai Comuni. Pertanto, la richiesta di permesso di costruire in sanatoria si deve considerare equiparata alle innovazioni dirette a migliorare il bene e/o a renderne più comodo o redditizio il godimento (art. 1108 c.c.), dal che discende la sufficienza del consenso dei due terzi dei comproprietari

Vi è da dire che la pronuncia citata è stata resa in una vicenda che riguardava una sanatoria da richiedere su un bene in comune tra più soggetti e non su una parte comune di un edificio condominiale. Applicando la più specifica disciplina condominiale si ritiene che un atto che ecceda la straordinaria amministrazione può essere autorizzato per mezzo di una delibera approvata con le maggioranze indicate dai comma 2° e 4° dell’art. 1136 del c.c.: maggioranza degli intervenuti che rappresentano almeno la metà del valore dell’edificio.

Stante comunque la pochezza del materiale giurisprudenziale reperito si consiglia di procedere a dare seguito a quanto deliberato dalla assemblea solo una volta decorsi i termini per impugnare indicati dall’art. 1137 del c.c. A tal fine si consiglia anche di inoltrare per mezzo di raccomandata con ricevuta di ritorno il verbale della riunione ai condomini che eventualmente risulteranno assenti.


M. C. chiede
giovedì 17/02/2022 - Lombardia
“Nel VAO del 13/06/2014 l'amministratore di condominio che avrebbe dovuto ottenere il mandato assembleare ha ottenuto solo 474,27 millesimi. l'assemblea e tantomeno l'amministratore non hanno mai provveduto a regolarizzare la nomina. Dal 2015 otteneva sempre più di 500 millesimi con la costante approvazione assembleare.
Malgrado i ragionevoli dubbi circa la legalità della sua nomina l'amministratore continua ad operare sul conto corrente prelevando anche il suo emolumento.
Senza parole ed attonito, porgo distinti saluti.”
Consulenza legale i 21/02/2022
Per l’art. 1136 del c.c. le deliberazioni assembleari aventi ad oggetto la nomina e la revoca dell’amministratore sono approvate con il voto favorevole della maggioranza dei partecipanti alla riunione che rappresentano almeno la metà del valore dell’edificio (500 millesimi). Se si osserva attentamente tale norma, si può notare come essa si riferisca ai casi nomina e revoca del professionista, ma non ai casi di sua riconferma. L’unica norma che parla di conferma dell’amministratore è il n.1) dell’art. 1135 del c.c., il quale indica tra i compiti della assemblea, quello appunto di deliberare sulla conferma dell’amministratore e sulla sua eventuale retribuzione. Il legislatore quindi sembrerebbe ad una prima lettura distinguere il momento di prima nomina e di revoca dell’organo amministrativo del condominio, dall’atto di conferma del medesimo, attribuendo solo alla prima tipologia di deliberazione l’obbligo di approvazione con la maggioranza qualificata degli intervenuti che rappresentino almeno la metà del valore dell’edificio.

Tale distinzione era ben presente anche prima della riforma del 2012 e, proprio sotto la vigenza della precedente normativa, sull’argomento si dovette registrare una spaccatura in giurisprudenza, che di fatto sussiste anche oggi. Una parte della giurisprudenza si può dire maggioritaria, sorretta da pronunce della Corte di Cassazione (Cass. Civ. n.4269/1994; Cass.Civ. n.71/1980; Cass. Civ. 3797/1978; Tribunale di Roma n.11487 del 08.08.2020; Tribunale di Catania n.1389 del 21.03.2017 e altre...) non opera la distinzione tra delibera di nomina e delibera di riconferma dell’amministratore, ritenendo che comunque in entrambi i casi per aversi approvazione occorra la maggioranza qualificata di cui all’art. 1136 4°co. del c.c.

Al contrario, un’altra parte della giurisprudenza che si può dire minoritaria (Tribunale di Palermo 29.01.2015 e Tribunale di Pavia del 23.05.1988), partendo dal dato letterale che si è sopra tratteggiato effettua una distinzione tra delibera di prima nomina dell’amministratore e delibera di sua riconferma. Tali giudici sostengono che solo per la prima nomina sarebbe necessaria l’applicazione della maggioranza qualificata di cui al 4° co. dell’art. 1136 del c.c., mentre per la riconferma sarebbe sufficiente la maggioranza semplice indicata dal 2° co. dell’art.1136 del c.c.: maggioranza degli intervenuti che rappresentano solo 1/3 del valore dell’edificio (333 millesimi).

Tutta questa premessa si è resa necessaria per far capire a chi legge che ciò che è successo nel suo condominio non è per nulla qualcosa per cui si debba rimanere attoniti, ma al contrario è una prassi che per una parte della giurisprudenza, ancorchè minoritaria, è considerata perfettamente lecita.

Ma al di là di tutto questo, ammesso e non concesso che la nomina dell’amministratore in data 13.06.2014 possa considerarsi irregolare, gli atti da lui compiuti in quell’anno sono giuridicamente validi in quanto sanati dalle riconferme intervenute negli anni successivi con maggioranze più elevate. Si tenga, inoltre, conto che se anche si dovesse considerare decaduto l’amministratore nell’anno 2014 (ma comunque legittimamente rimesso in carica l’anno successivo), l’organo amministrativo, ai sensi del n.8 dell’art.1129del c.c., sarebbe rimasto in carica in regime di prorogatio con l’obbligo di compiere gli atti urgenti e indefettibili. Quindi gran parte dell’attività compiuta in quel periodo dall’amministratore, comunque sanata ex post con la riconferma avvenuta negli anni successivi, sarebbe comunque valida in quanto rientrante nei compiti di un amministratore in regime di proroga.

Nicolò T. chiede
domenica 18/07/2021 - Veneto
“Se l'assemblea vota a maggioranza (1/3 valore immobile) il Superbonus e io voto contro, devo pagare poi la mia quota dei lavori di tasca mia?”
Consulenza legale i 19/07/2021
Il 1° comma dell’art. 1137 del c.c. detta un principio fondamentale per il diritto condominiale: le deliberazioni adottate dalla assemblea a norma di legge sono obbligatorie per tutti i condomini. Ovviamente anche le delibere adottate per approvare i lavori agevolabili con il Superbonus 110% non sfuggono a tale importante principio e quindi in linea generale gli oneri dei lavori dovranno essere sopportati anche dai condomini astenuti, assenti o che hanno espresso voto contrario.

Nel caso specifico, però, dobbiamo anche fare riferimento alla normativa speciale propria della agevolazione fiscale. È noto infatti che il superbonus 110% è usufruibile per mezzo di tre modalità differenti, le quali dovranno anch’esse essere scelte dalla assemblea: detrazione fiscale sulla Dichiarazione dei Redditi, sconto in fattura o cessione del credito di imposta.
Nel primo caso (detrazione fiscale) il condominio paga i lavori, e quindi i proprietari sborsano di tasca propria, ma riavranno un rimborso da usufruire in sede di dichiarazione dei redditi.
Nel secondo caso (sconto in fattura) l’impresa a cui sono stati affidati i lavori accetta di applicare uno sconto in fattura pari all’ importo del bonus usufruibile: in questo secondo caso il condominio non deve sopportare immediatamente i costi dei lavori, ma l’impresa non è obbligata ad accettare tale modalità.
L’ultima ipotesi, è la cessione del credito di imposta: il condominio cede il suo credito all’impresa, al posto del pagamento: la ditta poi, a sua volta, cede il credito agli appositi istituti (banca, Poste, etc.) per ottenere la retribuzione in denaro per i lavori eseguiti.

È ovvio che se il condominio inizierà l’iter per ottenere il superbonus ma non riuscirà ad ottenerlo per i più svariati motivi, i professionisti che hanno prestato la loro opera (si pensi, ad esempio, al tecnico edile che ha redatto lo studio di pre-fattibilità), dovrà essere pagato per il lavoro eseguito e quindi anche i condomini che hanno manifestato il loro dissenso in assemblea dovranno concorrere alla spesa sempre in virtù di quanto dispone l’art. 1137 del c.c.


Debora F. chiede
venerdì 09/04/2021 - Marche
“Dovrei fare un piccolo ampliamento in muratura al mio appartamento all'interno di un condominio. Il regolamento del mio condominio prevede che per tale tipo di operazione ci sia l'unanimità dei partecipanti al condominio. L'art.1136 c.c. richiede invece, mi pare, solo il voto favorevole dei 2/3 del condominio.
Prevale quanto stabilito dal regolamento del condominio o quanto stabilito dalla legge e quindi per fare la mia opera di ampliamento mi basterebbe il consenso dei 2/3 del condominio?
Inoltre gli oppositori si appellano all'alterazione del decoro architettonico ma non ho trovato alcuna definizione giuridica di "decoro architettonico". Che cosa si intende? Ci sono parametri specifici per valutare se un'opera è indecorosa architettonicamente?”
Consulenza legale i 21/04/2021
Innanzi tutto è giusto precisare che se l’intervento coinvolge solo le parti dell’edificio di proprietà esclusiva, l’assemblea non ha alcun potere di intervento: il proprietario può infatti eseguire in casa sua tutte i lavori che ritiene necessari. Vi è però sotto questo aspetto un limite molto preciso rappresentato dall’art.1122 del c.c. Tale articolo ci dice che nell’unità immobiliare di sua proprietà il condomino non può eseguire opere che rechino danno alle parti comuni o arrechino pregiudizio alla stabilità e al decoro architettonico dello stabile.
Se, invece, i lavori che devono eseguirsi coinvolgono anche parti in proprietà comune, si deve in linea di massima richiedere l’autorizzazione della assemblea di condominio, in particolare se si coinvolgono le parti comuni e la staticità dello stabile.
Si pone quindi il problema di capire quali maggioranze sono necessarie per addivenire alla approvazione dei lavori ed in particolare se possa trovare applicazione nel caso di specie il regolamento condominiale.

Tale documento innanzitutto, a parere di chi scrive, presenta delle criticità nella parte che è stata data in visione, in quanto introduce una disciplina in parte derogatoria a quanto previsto dagli artt. 1120 e 1136 del cc. Il regolamento ci dice che possono essere approvate alla unanimità dei partecipanti al condominio le innovazioni che arrechino pregiudizio alla stabilità e alla sicurezza del fabbricato o alterino il decoro architettonico. Il vigente 4° comma dell’art. 1120 del c.c. ci dice invece che tali tipi di innovazioni sono radicalmente vietate e non possono essere autorizzate dalla assemblea nemmeno con voto unanime. Tale disposizione non può essere derogata da una norma contraria del regolamento di condominio ciò viene chiaramente previsto dal 4° co. dell’art.1138 del c.c.
Il divieto posto dall’art. 1120 del c.c. però non è assoluto, in quanto si ritiene che una delibera adottata alla unanimità possa autorizzare lavori che alterino il decoro architettonico dello stabile.

Il vero problema in questo caso però è capire se i lavori che si intendono eseguire devono considerarsi effettivamente delle innovazioni. La giurisprudenza ha infatti chiarito che non tutti gli interventi condominiali possono considerarsi delle innovazioni, ma solo ciò che crea qualcosa di nuovo prima inesistente. “Per innovazioni delle cose comuni s'intendono, dunque, non tutte le modificazioni (qualunque opus novum), sebbene le modifiche, le quali importino l'alterazione della entità sostanziale o il mutamento della originaria destinazione, in modo che le parti comuni, in seguito alle attività o alle opere innovative eseguite, presentino una diversa consistenza materiale, ovvero vengano ad essere utilizzate per fini diversi da quelli precedenti” (Cass.Civ,, Sez.II, n. 12654 del 26.05.2006, ove sono citate numerose pronunce conformi).

Ora, un semplice allargamento dei volumi interni di un appartamento non dovrebbe comportare in linea di massima la radicale distruzione e modifica integrale delle parti comuni coinvolte, anche se per capire come concretamente si svolgerà l’intervento sulle parti comuni coinvolte, ci si deve rivolgere al progettista che ha ideato i lavori.
Se così fosse saremmo di fronte a dei semplici lavori straordinari sulle parti comuni, che devono essere approvati con le maggioranze di cui al 2° e 4° co. dell’art.1136 del c.c., ovvero la maggioranza degli intervenuti che rappresentano almeno la metà del valore dell’edificio.

E’ ovvio però che per principio generale un intervento, sia esso semplice lavoro straordinario o innovazione, che arreca pregiudizio alla staticità dello stabile deve considerarsi comunque vietato al di là di qualsivoglia autorizzazione dell’assise, ma in tutta franchezza si ritiene altamente improbabile che un progettista possa ideare un intervento che vada a pregiudicare l’ intero condominio: in questo caso, si aprirebbero problemi di responsabilità professionale prima che di diritto condominiale.

Rimane aperto il discorso della lesione del decoro architettonico. Tale essenziale bene condominiale viene spesso citato nelle norme che si occupano della materia, ma non viene mai dalle stesse definito, a ciò ci ha pensato la giurisprudenza.
Il decoro architettonico viene, infatti, definito dai giudici come l’insieme delle linee armoniche che caratterizzano l’estetica del fabbricato; si ha la sua lesione quando un determinato intervento, sia su parti comuni che su parti in proprietà esclusiva del fabbricato, comporta una loro alterazione esteticamente peggiorativa.
Il problema delle cause che hanno ad oggetto la lesione del decoro risiede nel fatto della estrema soggettività del concetto, in quanto ciò che può essere esteticamente peggiorativo per il consulente che assiste la parte in giudizio può non esserlo per il consulente di controparte o per quello nominato dal giudice. Il primo passo per capire se il progetto che si vuole realizzare comporta una modifica delle linee estetiche del fabbricato e l’eventuale spazio di manovra per eventuali contestatori è rivolgersi sempre al tecnico che ha progettato i lavori.

Giungendo alla fine del quesito possiamo rassegnare le seguenti conclusioni.
Se i lavori coinvolgono parti comuni dell’edificio, essi devono essere autorizzati dalla assemblea con un numero di voti che rappresentano la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore millesimale.

I condomini dissenzienti che ritengono i lavori lesivi del decoro potranno impugnare quanto deciso dalla assemblea entro i termini di cui all’art.1137del c.c. In questo caso il legale del condominio e del singolo proprietario unitamente al progettista dovrà valutare i margini di manovra per rispondere alle contestazioni mosse. E’ ovvio che se i lavori verranno approvati dalla unanimità dei partecipanti, si eviterà il rischio di incorrere in una lite e in un potenziale contenzioso.
Se, invece, i lavori che si intendono eseguire non coinvolgono parti comuni ma si svolgeranno all’interno della unità immobiliare in proprietà esclusiva, non è necessario richiedere alcuna autorizzazione assembleare, fermo restando i limiti di cui all’art.1122 del c.c.


Domenico D. chiede
lunedì 22/03/2021 - Marche
“Oggetto:
Stima della possibilità di impiantare una causa e della percentuale di vincita.

Descrizione:
In sede assembleare, i condomini del mio palazzo hanno discusso della possibilità di realizzare dei lavori sulle parti comuni dell'edificio avvalendosi del bonus statale al 110%
( C.1 lett. a Art. 119 del D.L. 19/5/20 n.34 passato nel cosiddetto D.Rilancio L. 17/7/20 n.77)
oppure in alternativa del bonus statale al 90% per le facciate
(C. 220 Art. 1 L. 160/2019 detta legge di Bilancio 2020, G.U. 304 Suppl.Ord. 45 30/12/2019).

Nota:
Per poter raggiungere il salto delle due classi energetiche richieste dalla legge per avvalersi del bonus statale al 110% sarà necessario realizzare un cappotto termico sull'intero edificio e cambiare in ognuno degli immobili dello stabile in questione la caldaia di riscaldamento/acqua sanitaria.

Riferimenti normativi:
Il comma 6 art.121 del D.L 19 Maggio 2020 n.34 recita:” il recupero dell'importo di cui al comma 5 è effettuato nei confronti del soggetto beneficiario di cui al comma 1…" cioè nei confronti dei condomini. Quindi esiste un rischio reale di pagare per intero tutte le spese dell'intervento edilizio, nel caso in cui per qualche motivo la procedura del bonus 110% venga rigettata dall'Agenzia delle Entrate.

Richieste:
1)Inquadrando i lavori come innovazione in base all'art. 1121 del Codice Civile (l'utilizzazione separata non è possibile) e a seguito del rischio esposto sopra, noi possiamo
opporci
ad un'eventuale decisione dell'assemblea condominiale di effettuare dei lavori per usufruire del bonus statale al 110% e che probabilità di vincita avremmo in giudizio?

2) Nel caso in cui invece si decida a maggioranza ( rispettando tutti i vincoli di legge ) di fare una manutenzione straordinaria con bonus statale al 90% , esiste qualche argomento giuridico per potersi opporre?”
Consulenza legale i 28/03/2021
Al di là della legislazione tecnica e fiscale, è importante ricordare come l’art.1137 del c.c. al 1° comma dispone che le deliberazioni della assemblea sono obbligatorie per tutti i condomini, se adottate però seguendo le procedure prescritte dal codice civile.

E’ cosa nota anche ai non addetti ai lavori, che le delibere della assemblea condominiale per essere valide devono essere adottate da determinate maggioranze prescritte dall’art. 1136 del c.c. (o da altre leggi speciali), maggioranze che variano a seconda dal tipo di decisione che deve essere adottata dall’assise.

Se una delibera è adottata con una maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge, essa potrà essere impugnata innanzi alla autorità giudiziaria nei termini indicati sempre dall’art.1137 del c.c. È importante tenere presente che se non si impugna una delibera invalida entro i termini indicati da tale articolo, nella stragrande maggioranza dei casi essa diverrà definitiva, e quindi obbligatoria per i proprietari ai sensi del 1° co. dell’art.1137 del c.c., anche se adottata con maggioranze inferiori a quelle prescritte.

Vi sono alcuni casi però, in cui una delibera è affetta da vizi talmente gravi che il legislatore ammette che possa essere contestata in ogni tempo oltre i termini indicati dall’art.1137 del c.c., quindi anche paradossalmente dopo diversi anni dalla sua adozione: questi sono i vizi di nullità della delibera condominiale.
Uno dei vizi di nullità più frequenti, è quando l’assemblea prende una decisione che va ad incidere non sulle parti comuni dell’edificio, ma sulle singole unità immobiliari in proprietà esclusiva. L’assemblea, infatti, non può a colpi di maggioranza costringere il proprietario a fare determinati lavori nella sua abitazione: per fare ciò, ci vuole necessariamente il suo consenso. Da qui scaturisce la necessità di approvare alla unanimità dei proprietari determinate delibere assembleari che prevedono lo svolgersi di alcuni lavori nelle singole abitazioni, unanimità che se mancante comporta la totale nullità di quanto deciso.

Ora per capire il senso di questa lunga premessa teorica affrontiamo nello specifico le problematiche affrontate nel quesito.

Nel condominio si vuole deliberare la realizzazione di un cappotto termico e il cambio delle caldaie nei singoli appartamenti e far rientrare tali interventi negli interventi normativi che introducono il superbonus 110%, o il bonus facciate 90%.

In merito al cappotto termico, tale tipo di intervento a parere di chi scrive, non può considerarsi innovazione ai sensi degli artt.1120 del c.c., e quindi neppure innovazione gravosa e voluttuaria ai sensi del successivo art. 1121. L’ innovazione si ha nel momento in cui si introduce nel condominio un servizio o un manufatto che prima era inesistente. Ciò non può dirsi del cappotto termico, che è un intervento volto a ristrutturare e a migliorare la facciata dello stabile che è una parte dell’edificio che, giocoforza, è sempre esistita, anzi senza di essa lo stabile non esisterebbe neppure.
La giurisprudenza in questo senso è assolutamente chiara: "per innovazioni delle cose comuni s'intendono, dunque, non tutte le modificazioni (qualunque opus novum), sebbene le modifiche, le quali importino l'alterazione della entità sostanziale o il mutamento della originaria destinazione, in modo che le parti comuni, in seguito alle attività o alle opere innovative eseguite, presentino una diversa consistenza materiale, ovvero vengano ad essere utilizzate per fini diversi da quelli precedenti” (tra le tante: Cass.Civ,Sez.II, n. 12654 del 26 maggio 2006)".

Si ritiene, quindi, che il cappotto termico, applicando la normativa ordinaria del condominio, possa essere approvato con le maggioranze di cui ai co. 2 e 4° dell’art.1136 del c.c.: maggioranza degli intervenuti che rappresentano almeno la metà del valore dell’edificio.

Ad ogni modo, ad identica conclusione si perviene anche se si volesse considerare il cappotto termico una innovazione, in quanto tale tipo di intervento rientrerebbe tra le innovazioni tese a migliorare l’efficientamento energetico dell’edificio di cui al n. 2) dell’art. 1120 del c.c.: per approvare tali lavori è comunque sempre sufficiente il quorum deliberativo di cui al 2° co. dell’art. 1136 del c.c.

In definitiva, se l’assemblea decidesse di approvare l’intervento del cappotto termico agevolando il tutto con il bonus facciate non vi sarebbe spazio per alcuna contestazione, a patto che il tutto venga approvato con le maggioranze di cui all’art. 1136 del c.c. e l’assise venga convocata seguendo le procedure prescritte dal codice civile: quanto deciso dalla assemblea diverrebbe, inevitabilmente, obbligatorio per tutti i condomini ai sensi del 1° co. dell’art. 1137 del c.c.

Il rischio poi di subire una verifica da parte della Agenzia delle Entrate è del tutto ininfluente, in quanto questo è una eventualità che si corre tutte le volte che si decide di aderire ad un bonus fiscale, ma ciò sicuramente non giustifica una impugnazione della delibera condominiale innanzi alla autorità giudiziaria.
E’ chiaro che se in sede di verifica emergessero delle responsabilità da parte dei professionisti che hanno assistito il condominio durante l’iter per l’ottenimento del bonus, si potrebbe al massimo teorizzare una ipotetica causa nei loro confronti.

Se si decidesse invece di richiedere il bonus 110%, il cappotto termico potrebbe essere approvato con un quorum deliberativo ancora più basso rispetto a quello previsto dal codice civile. Il nuovo comma 9 bis dell’art. 119 DL Rilancio prevede infatti che le deliberazioni dell'assemblea del condominio aventi per oggetto l'approvazione degli interventi agevolabili al 110% siano valide se approvate con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno un terzo del valore dell'edificio.
Secondo la normativa del 110%, si arriverebbe quindi ad approvare il cappotto termico con delle maggioranze che normalmente si applicano quando l’assemblea, riunita in seconda convocazione, deve prendere decisioni ordinarie, come, ad esempio, il cambio della impresa di giardinaggio!

È importante tener presente, però, che queste maggioranze molto basse sono previste dalla normativa del bonus 110%, poiché tale tipo di agevolazione è molto più difficile da raggiungere rispetto al bonus facciate: vi sono molte più condizionalità e step da seguire per ottenerla.
Tra queste, la condizione più famosa e la più ardua da raggiungere è quella di dover assicurare all’edificio, per mezzo dell’intervento edilizio, un balzo di due classi nella scala dell’efficientamento energetico.

Per raggiungere tale obbiettivo in un condominio, è spesso necessario effettuare ristrutturazioni che non si limitano a coinvolgere le sole parti in proprietà comune, ma che si estendono anche alle singole abitazioni dei condomini.

Questo, molto probabilmente, è il caso del condominio descritto nel quesito, in quanto si sta pensando non solo di effettuare il cappotto termico alla facciata comune, ma anche di cambiare le caldaie per il servizio di riscaldamento e acqua sanitaria, caldaie che però devono considerarsi pertinenze delle singole abitazioni e quindi in proprietà esclusiva dei singoli condomini.

Come abbiamo visto sopra, l’assemblea a colpi di maggioranza non può imporre l’esecuzione di lavori all’ interno delle singole abitazioni: una delibera in tal senso sarebbe radicalmente nulla. L’unica strada per addivenire al cambio delle caldaie è che tutti i condomini alla unanimità decidano di effettuare tale tipo di intervento; tutto ciò con buona pace delle maggioranze semplificate previste dalla legge sul bonus 110%! Ciò comporta che per bloccare l’iter di approvazione dei lavori, basterebbe che un condomino si rifiutasse di cambiare la propria caldaia nel suo appartamento.

Quindi, concludendo: se l’assemblea decidesse di approvare la realizzazione del solo cappotto termico usufruendo del bonus facciate, vi sarebbero pochi margini per una eventuale contestazione in giudizio, a patto ovviamente che il tutto venga approvato con le maggioranze di cui all’art. 1136 del c.c. che si sono già illustrate.

Se invece, si volesse optare anche per il cambio delle caldaie e l’utilizzo del bonus 110%, si avrebbe sicuramente un maggior spazio di manovra per una eventuale contestazione in quanto tale intervento non potrebbe essere approvato a maggioranza: una decisione in tal senso da parte della assemblea sarebbe facilmente impugnabile innanzi al giudice in ogni tempo. In questo secondo caso, affinché i lavori possano essere validamente approvati, vi sarebbe la necessità che tutti i condomini, e quindi anche l’autore del quesito, diano il loro assenso.


Matteo T. chiede
venerdì 15/01/2021 - Umbria
“salve, abito a Norcia e sono proprietario di un appartamento situato in una palazzina di 4 piani con in totale 8 appartamenti; questo palazzo per via del sisma del 2016 deve essere demolito e ricostruito; come in qualsiasi condominio che si rispetti l'accordo unanime è quasi un sogno, nel nostro caso siamo divisi in proprietari che vogliono rifare la struttura del palazzo in cemento armato e invece proprietari che preferirebbero una struttura xlam (legno). in questo caso la decisione sul progetto strutturale del palazzo va presa con la maggioranza sia di persone votanti che millesimi o deve essere presa all'unanimità? e nel caso ci vuole l'unanimità dei proprietari ma non si riesce ad arrivare a questa condizione come ci si deve comportare?”
Consulenza legale i 16/01/2021
Nel caso di ricostruzione dell’edificio le deliberazioni assembleari attinenti a tale argomento devono essere prese non alla unanimità, ma con il quorum deliberativo previsto dai commi 2° e 4° dell’art. 1136 del c.c.: ovvero la maggioranza degli intervenuti alla riunione che rappresentano almeno la metà del valore dell’ edificio (500 millesimi).

Dando quindi per presupposto che la compagine condominiale sia composta da otto proprietari (uno per ogni appartamento) e che tutti prenderanno parte alla assemblea (personalmente o a mezzo di persona delegata, è ininfluente), le decisioni verranno assunte con il voto favorevole di 5 partecipanti (maggioranza per teste), i quali dovranno rappresentare nel complesso dai 500 millesimi in su (maggioranza millesimale).


DONADIO D. chiede
martedì 01/12/2020 - Marche
“Oggetto: Assemblea condominiale, maggioranze assembleari in seconda convocazione. Art.1136 comma 2 c.c.;Art.1135,
comma 2, c.c.; Art.1120 comma 2 c.c.; Art.26 comma 2, L.n. 10/1991 con modifica apportata dall'Art. 28 L. 11/Dic/2012; 1117 ter e quater; sezione Unite Corte di Cassazione n.4806 del 2005.

Delibera approvata su quesito riguardante la scelta di effettuare lavori di manutenzione ordinaria localizzata o di manutenzione straordinaria sull'intero edificio (comprendente i due sotto casi del bonus facciate al 110% o al 90%) in favore della seconda opzione (ossia manutenzione straordinaria).

Condominio costituito di 21 condomini.
Millesimi totali dei partecipanti all'assemblea in seconda convocazione: 903,174.
Condomini partecipanti all'assemblea in seconda convocazione: 19.
A favore 10 (479,786 mill), contrari 8 (375,120 mill), astenuti 1 (48,268 mill).

Quesiti:
1)La delibera approvata è valida in base alle attuali maggioranze assembleari?
2) La mancanza nel verbale d'assemblea dei nominativi dei condomini favorevoli/contrari/astenuti può invalidare la delibera
in oggetto?
3) È possibile impugnare la delibera assembleare anche se sono trascorsi i 30 gg. di cui all'1137 comma 2 c.c.?”
Consulenza legale i 14/12/2020
Prima di entrare nel merito dei quorum necessari ad approvare quanto deliberato, è opportuno fare una piccola premessa.
Il verbale della riunione condominiale può essere considerato come la voce della assemblea del condominio, e il mezzo attraverso il quale l’assise esercita il suo potere di vincolare i proprietari a quanto deciso nel suo seno. Si ricorda che il 1°co. dell’art.1137 del c.c. dispone che: "Le deliberazioni prese dall'assemblea…sono obbligatorie per tutti i condomini". Diventa, quindi, fondamentale che il verbale sia redatto con estrema cura, risultando in maniera chiara e precisa il precetto (il comando) che dovrà vincolare i proprietari e a cui l’amministratore è chiamato a dare esecuzione ai sensi del n.1) dell’art. 1130 del c.c.

Nel verbale che si è dato in visione non vi è questa chiarezza e in particolare non risulta traccia di alcun comando vincolante (ovviamente si fa riferimento al punto 4 del verbale).
Da sua lettura risulta come all’ordine del giorno fosse stata messa in discussione la: “Ristrutturazione del fabbricato alla luce del nuovo decreto rilancio”. Andando ad esaminare, però, quanto verbalizzato sul punto non traspare in maniera chiara la decisione presa dal consesso. Ciò che evince dal verbale è che la maggioranza dei partecipanti alla riunione, ascoltato la relazione del tecnico e dopo accesa discussione, è favorevole "ad approfondire l’argomento relativo alla ristrutturazione totale. Pertanto l’argomento sarà discusso nella prossima assemblea". Dalla lettura di queste righe, risulta semplicemente che l’assemblea ha manifestato il desiderio di meglio approfondire il discorso sulla ristrutturazione del fabbricato e dei bonus fiscali conseguenti, rinviando, però, ogni decisione ad una prossima assemblea. In altre parole, non traspare la volontà dell’assise di procedere o non procedere alla ristrutturazione del palazzo, volontà che, invece, viene chiaramente manifestata in altri punti del verbale. Prendiamo ad esempio il punto 3 del documento, dove in maniera chiara e precisa viene riconfermato l’amministratore con la retribuzione preventivata: qui viene presa una decisione chiara, precisa, idonea a vincolare tutti i proprietari e a cui l’amministratore può dare attuazione.
Il punto 4 è una semplice decisione “programmatica” non vincolante, e quindi nella prossima riunione sarà assolutamente possibile anche decidere di non procedere alla ristrutturazione, chiudendo definitivamente il discorso.

La scelta di redigere una delibera di tale natura è assolutamente comprensibile tenendo conto dell’iter particolarmente complesso richiesto dall’art. 119 del Decreto Rilancio per ottenere il Bonus del 110%. Non si vuole in questa sede entrare nella specificità di tale agevolazione fiscale: basti solo dire che il D.L. Rilancio subordina l’ottenimento del bonus ad una serie di step (dallo studio di pre-fattibilità fino ad arrivare al conferimento del contratto alla ditta appaltatrice), ciascuno dei quali deve essere preceduto da una puntuale delibera della assemblea di condominio, volta a conferire precisi incarichi a diverse figure professionali responsabili per ciascuna fase. Nel condominio in cui vive l’autore del quesito, si può dire che siamo solo agli albori di questo lungo cammino, che può anche darsi non giunga a termine, tenuto conto dell’alta litigiosità che questa agevolazione ha portato all’interno della compagine condominiale.

Ad ogni modo la natura “programmatica” della delibera esaminata influenza anche la possibilità di impugnarla innanzi ad un giudice, possibilità che deve escludersi in radice. Questa conclusione netta deriva dal fatto che innanzitutto sono decorsi i termini di 30 giorni di cui all’art. 1137 del c.c. e non si ravvisano profili di nullità nel verbale, ma anche perché posto la natura non vincolante di quanto deliberato, l’impugnazione, se anche fosse astrattamente proponibile, sarebbe respinta per mancanza di interesse ad agire ai sensi dell’art. 100 c.p.c. La risposta al secondo punto è quindi negativa.

In merito alle maggioranze richieste per approvare le varie delibere necessarie per ottenere il Bonus 110%, il legislatore nel Decreto Rilancio, come modificato dal successivo Decreto Agosto, ha previsto dei quorum deliberativi particolarmente agevoli da raggiungere. Il nuovo co. 9 bis dell’art.119 DL Rilancio prevede che: "Le deliberazioni dell'assemblea del condominio aventi per oggetto l'approvazione degli interventi di cui al presente articolo e degli eventuali finanziamenti finalizzati agli stessi…sono valide se approvate con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno un terzo del valore dell'edificio". Come norma generale ai sensi dei co. 2°e 4° dell’art. 1136 del c.c., le ristrutturazioni di notevole entità devono essere approvati dalla maggioranza degli intervenuti che rappresentano almeno la metà del valore dell’edificio. Il legislatore emergenziale, visto anche l’articolato iter previsto per ottenere il bonus, ha derogato a tale normativa prevedendo in pratica che le delibere aventi ad oggetto gli interventi volti ad essere agevolati possono essere approvati con i quorum deliberativi ordinari per lo svolgimento della riunione in seconda convocazione previsti dal 3° co. del 1136 del c.c. Le maggioranze richieste sono state raggiunte anche se sul filo di lana. Su 19 presenti alla riunione, personalmente o per delega, 10 hanno votato a favore, per un totale di 479.786 millesimi (le legge richiede che i favorevoli rappresentino almeno 333 millesimi), mentre tra astenuti e contrari vi sono 9 condomini per un totale complessivo di 423.388 millesimi. Si è convinti che, stante i margini molto risicati, la partita potrà tranquillamente riaprirsi nelle riunioni che seguiranno o che si sono già susseguite.

Marco D. A. chiede
lunedì 01/06/2020 - Toscana
“Buongiorno.
Abito in un condominio in campagna composto da n. 5 unita' abitative - una delle quali è'all'asta.
Visto che siamo in n. 4 condomini, non abbiamo amministratore ma facciamo la contabilità, in modo trasparente, per conto nostro.
La domanda è: abbiamo una piscina condominiale e la quale richiede un intervento di ripristino consistente. Uno dei condomini ha ottenuto preventivi che vanno dalle 12000 alle 20000 euro e cioè una spesa non indifferente. Siamo in n. 2 condomini a voler posticipare il più possibile l'intervento e in n. 2 a voler intervenire subito. La piscina non è in pericolo ed è ancora utilizzabile. Visto che 1 dei condomini non è in condizione di contribuire, causa crisi COVID, e che io ho il mutuo e un figlio all'università negli USA, in questo momento, neanche io ho la possibilità di sborsare cifre del genere. La mia proposta era quella di creare un fondo per la piscina dove ognuno contribuiva 100 euro al mese e quando avremmo avuto i fondi adeguati, avremmo riparato la piscina. Questo non è stato accettato da n. 1 dei condomini che vorrebbe intervenire subito. Questo condomino, tra l'altro, ha anche detto che io sono obbligato a contribuire immediatamente perché l'inagibilità eventuale della piscina comporterebbe un danno economico al valore del suo immobile.
Domande:
1. Possono forzarmi a contribuire soldi per i quali devo cercare finanziamenti per un bene non fondamentale al funzionamento degli immobili del condominio?
2. Nel caso che n. 2 condomini vogliono posticipare e n. 2 vogliono intervenire subito e visto che non abbiamo amministratore, come possiamo procedere?”
Consulenza legale i 04/06/2020
Bisogna innanzitutto dire che i quorum deliberativi previsti dall’art. 1136 del c.c., norma disciplinante il funzionamento della assemblea di condominio, sono sempre composti da una doppia maggioranza per teste e millesimi. I lavori di ristrutturazione della piscina devono considerarsi, visto anche il notevole importo, riparazioni straordinarie di notevole entità ai sensi del 4° co. dell’art. 1136 del c.c., e come tale approvabili qualora in seno alla assise si raggiunga il quorum indicato dal 2° co. del medesimo articolo. Tale comma dispone: "Sono valide le deliberazioni approvate con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti (maggioranza per teste n.d.r.) e almeno la metà del valore dell'edificio (maggioranza per millesimi)". Dall’analisi della norma, è facile capire come per fare in modo che l’assemblea di condominio approvi dei lavori di notevole entità, è necessario che prima di tutto si raggiunga una maggioranza per teste dei presenti alla riunione; appurato che vi è una maggioranza dei presenti, si passerà poi a verificare se i condomini favorevoli ai lavori rappresentino almeno la metà del valore dell’edificio. Solo la compresenza di una maggioranza di teste e poi di millesimi comporterà l’approvazione dei lavori di ristrutturazione.

Nel caso del piccolo condominio descritto nel quesito non si riesce a raggiungere una maggioranza per teste, e quindi non ci si deve neanche porre il problema se esiste o meno una maggioranza millesimale, con l’ovvia conseguenza che i lavori di ristrutturazione della piscina non sono stati approvati. L’inesistenza di una delibera di approvazione impedisce nei fatti che i 2 condomini favorevoli possano imporre l’obbligo a chi è contrario di partecipare alla ristrutturazione della piscina. È giusto dire che se il bene comune versi in una situazione di degrado avanzato tale per cui ciò possa creare un pericolo alla incolumità o integrità di persone o cose, è opportuno che i condomini affrontino quelle spese urgenti per mettere in sicurezza il bene, ma, nel caso di specie, pare di capire che la piscina sia ancora pienamente funzionante e l’inagibilità sia solo prospettata.

E’ chiaro che la situazione di stallo all’interno dell’assise, abbastanza frequente nei piccoli condomini, deve essere superata e l’unica strada per farlo è quello di rivolgersi al giudice ai sensi del co.4° dell’art.1105 del c.c., norma applicabile al condominio per via del rinvio ad essa effettuato dall’art. 1139 del c.c. Tale norma dispone: "Se non si prendono i provvedimenti necessari per l'amministrazione della cosa comune o non si forma una maggioranza, ovvero, se la deliberazione adottata non viene eseguita, ciascun partecipante può ricorrere all'autorità giudiziaria. Questa provvede in camera di consiglio e può anche nominare un amministratore". In altri termini, uno dei due condomini favorevoli ai lavori di ristrutturazione potrà rivolgersi alla autorità giudiziaria, la quale, di fatto sostituendosi ai proprietari, deciderà quali interventi risulteranno opportuni per la piscina condominiale. Il giudice potrà anche nominare un amministratore che avrà l’esclusivo compito di attuare quanto deciso dall’organo giudicante. È chiaro che le prescrizioni previste nel provvedimento giudiziario saranno obbligatorie per tutti i proprietari.
È importante sottolineare come il procedimento descritto dal co.4° dell’art. 1105 del c.c., seppur rapido e caratterizzato da una istruttoria piuttosto scarna, deve comunque garantire un minimo di contraddittorio tra i proprietari: in quella sede, quindi, i condomini contrari ad un intervento immediato potranno far valere le loro ragioni, sostenendo la non urgenza dei lavori o modalità alternative di finanziamento.

Francesco C. chiede
martedì 22/01/2019 - Campania
“I documenti letti e commentati in Assemblea devono essere allegati al verbale acciocché tutti i condomini, anche assenti, ne siano al corrente per eventuali commenti od interventi?”
Consulenza legale i 24/01/2019
L’ultimo comma dell’art. 1136 del c.c. dispone che:” Delle riunioni dell'assemblea si redige processo verbale da trascrivere nel registro tenuto dall' amministratore. Il verbale della assemblea è il documento conclusivo della riunione, e ha la funzione determinante di manifestare la volontà dei condomini sui punti all’ordine del giorno, volontà che deve essere poi attuata dall’amministratore.
Il contenuto di tale importante documento ha come scopo quello di illustrare il resoconto della riunione condominiale, e, pertanto, in esso devono essere indicati:
- le persone che erano presenti, personalmente o per delega (elemento fondamentale per verificare se si sono raggiunti i quorum costitutivi del consesso),
- chi è stato nominato come presidente,
- chi è stato nominato dal presidente segretario chiamato a verbalizzare quanto accade durante le attività assembleari,
- l’ordine del giorno oggetto della riunione,
- su quali argomenti si è deliberato e con quali maggioranze.
In merito a questo ultimo aspetto, al fine di verificare il raggiungimento dei quorum deliberativi previsti dall’art. 1136 del c.c., è fondamentale che risulti in maniera chiara il nominativo dei soggetti che hanno votato a favore, e quelli che hanno votato contro un determinato argomento.

Non vi è alcun obbligo di allegare al verbale della assemblea i documenti letti durante il suo svolgimento. L’amministratore in quanto rappresentante dell’intera compagine condominiale è il naturale destinatario di tutta la documentazione rilevante per la vita condominiale: esso ha, pertanto, l’obbligo di conservarla presso il suo studio e di consentire a ciascun condomino di visionarla e di estrarne copia. A tal fine si invita a leggere il 2° comma dell’art 1129 del c.c.


Natalino F. chiede
lunedì 19/03/2018 - Veneto
“Buongiorno,
Chiedo gentilmente una consulenza in merito ad un’assemblea condominiale straordinaria che si terrà il giorno 23-03-2018.
Alcuni condomini hanno chiesto al condominio di rimuovere un muretto di cinta e cancello, dove all'interno sono presenti tre posti auto privati con insufficiente spazio di manovra, impedendo l'ingresso al parcheggio.
Chiedo gentilmente con quale maggioranza in seconda convocazione e necessaria per rimuovere il muretto di cinta.
Spero di avere una risposta prima della convocazione all'assemblea.
Grazie per la vostra disponibilità.
Cordiali Saluti

Consulenza legale i 22/03/2018
L’assemblea è definita come l’insieme dei condomini che si riunisce per adottare le decisioni necessarie ad organizzare e programmare la vita condominiale.
Attraverso l’assemblea si forma, infatti, la volontà del condominio.
L’atto con cui l’assemblea manifesta la sua volontà è la delibera mediante la quale l’assemblea gestisce i beni e i servizi condominiali.

L’assemblea può essere ordinaria e straordinaria. L’assemblea ordinaria viene convocata almeno una volta l’anno per l’approvazione dei conti della gestione e per le attività ordinarie del condominio.
L’assemblea straordinaria è, invece, eventuale, in quanto può essere convocata tutte le volte che è necessario decidere su questioni particolari. L’Art. 66 disposizioni di attuazione del codice civile prevede che” l’assemblea può essere convocata, oltre che annualmente in via ordinaria, anche in via straordinaria dall’amministratore o da almeno 2 condomini che rappresentino un sesto del valore dell’edificio e che ne facciano richiesta”.
Tuttavia la Giurisprudenza ha chiarito che è privo di rilievo il fatto che la delibera sia stata adottata in un’assemblea straordinaria piuttosto che in una ordinaria, giacché non esistono differenze tra le competenze di questi due tipi di assemblea. Piuttosto è la differenza tra la prima e la seconda convocazione ad assumere rilievo perché richiede maggioranze costitutive e deliberative diverse.

Alla luce di quanto detto, nel caso in esame, occorre che, ai sensi dell'art. 1136 del codice civile, l’assemblea sia costituita con l’intervento di tanti condomini che rappresentino almeno un terzo del valore dell’intero edificio e un terzo dei partecipanti al condominio.
Per la validità della delibera occorre la approvazione della maggioranza degli intervenuti con un numero di voti che rappresentino almeno un terzo del valore dell’edificio.
Riteniamo, infatti, che la rimozione del muretto di cinta e del cancello, che si rende necessaria per agevolare l’ingresso al parcheggio, siano lavori rientranti nel concetto di “modificazioni”, ossia quei lavori che mirano a rendere più comodo il godimento della cosa comune, lasciandone immutate la consistenza e la destinazione. Pertanto è sufficiente la maggioranza sopra citata e non la maggioranza qualificata, ossia il numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno i due terzi del valore dell’edificio, così come richiesta nel caso di innovazioni e di opere di manutenzione straordinaria di notevole entità

Stefano V. chiede
domenica 31/12/2017 - Valle d'Aosta
“Salve.
Vorrei venire a conoscenza della regolamentazione su chi ha il diritto di voto in assemblea condominiale ( il condominio è situato in provincia di Treviso ed è composto da 36 unità ).
possono votare solo i proprietari dell'unità immobiliare o anche le mogli o le conviventi non proprietarie ?

Distinti Saluti
Stefano V.”
Consulenza legale i 02/01/2018
L’assemblea è il luogo in cui si forma la volontà condominiale che si cristallizza attraverso le delibere che vengono assunte.

Le delibere, per avere validità, devono essere approvate con le maggioranze previste dalla normativa in materia.

L’assemblea in prima convocazione è regolarmente costituita con l’intervento di tanti condomini che rappresentano i due terzi del valore dell’intero edificio e la maggioranza dei partecipanti.

Sono valide le deliberazioni approvate con un numero di voti che rappresentino la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio.

L’assemblea in seconda convocazione è regolarmente costituita con l’intervento di tanti condomini che rappresentino almeno un terzo del valore dell’intero edificio e un terzo dei partecipanti al condominio.

La deliberazione è valida se approvata dalla maggioranza degli intervenuti con un numero di voti che rappresenti almeno un terzo del valore dell’edificio.

Chi può partecipare all’assemblea?

All’assemblea condominiale, secondo l’art. 1136, 6° comma, c.c., devono essere invitati a partecipare tutti gli aventi diritto.

Chi sono gli aventi diritto?
I proprietari.

Per poter partecipare all’assemblea occorre essere proprietari effettivi di almeno una unità immobiliare.

Quando condomino è una società o un ente, deve essere convocato il legale rappresentante.

Se l’unità immobiliare appartiene in proprietà indivisa a più persone, queste hanno diritto a un solo rappresentante nell’assemblea.

A chi spetta il diritto di voto?

Il diritto di voto spetta ai proprietari.

Il conduttore, invece, ha diritto di intervenire in assemblea e di votare, in luogo del proprietario dell’appartamento locato, nelle delibere relative alle spese e alle modalità di gestione dei servizi di riscaldamento e di condizionamento d’aria.

Ha poi diritto di intervenire in assemblea e di votare l’usufruttuario negli affari che attengono all’ordinaria amministrazione e al semplice godimento delle cose e dei servizi comuni.

Il proprietario o gli altri soggetti tenuti a partecipare e a votare, possono intervenire a mezzo di rappresentante munito di delega scritta.

Concludendo, quindi, hanno diritto di voto in assemblea solo i proprietari e, per alcune materie, il conduttore e l’usufruttuario.

La moglie, la convivente o anche un soggetto estraneo al condominio potranno partecipare e votare in luogo del proprietario ma solo se da quest’ultimo delegati.

La delega dovrà però essere conferita in forma scritta.

Simone B. chiede
giovedì 12/10/2017 - Veneto
“Sono in un condominio composto da 22 appartamenti, mio padre che risiede in questo edificio è invalido civile con gravità ex art. 3 comma.3 Legge 104/1992, con provvedimento definitivo, per problemi di salute e per menomazioni permanenti che comportano deficit funzionali motori e deambulatori. Abbiamo richiesto l'installazione di un nuovo ascensore per disabili ma la maggioranza dei condomini è contraria. Esiste già un vecchio ascensore preesistente che serve i 5 piani, che ha 50 anni, funziona ancora ma non è adatto al trasporto di disabili a causa delle ristrette dimensioni, un nuovo ascensore adatto ai disabili sarebbe installabile utilizzando l'attuale tromba dell'ascensore e recuperando gli spazi con nuove tecnologie di contrappesi, portandolo senza nuove opere murarie ad una dimensione adatta al trasporto di un disabile con carrozzina e del suo accompagnatore. Ciò premesso chiedo, nell'ambito della soluzione della medesima problematica, se un ascensore nuovo per disabili sia da considerarsi innovazione e quale sia la maggioranza necessaria all'approvazione della delibera assembleare, se e come chiedere la convocazione di una assemblea straordinaria e con quali maggioranze necessarie ai fini della validità della delibera. Chiedo infine se in estrema ratio sia possibile installarlo completamente a proprie spese, precludendone l'uso agli altri condomini se non partecipano per la loro parte, installando una chiave od un transponder per l'utilizzo.”
Consulenza legale i 19/10/2017
In materia ogni considerazione deve partire dall’art. 2 della Legge n. 13/1989, sull’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati, il quale prevede che “Le deliberazioni che hanno per oggetto le innovazioni da attuare negli edifici privati dirette ad eliminare le barriere architettoniche [… ]sono approvate dall'assemblea del condominio, in prima o in seconda convocazione, con le maggioranze previste dall'articolo 1136, secondo e terzo comma, del codice civile. […] Resta fermo quanto disposto dagli articoli 1120, secondo comma, e 1121, terzo comma, del codice civile.
Tale norma è stata poi ripresa dall’art. 1120 c.c., così come modificato a seguito dell’entrata in vigore della L. 220/2012, che ne ha riprodotto sostanzialmente il contenuto.

Dunque, in base al menzionato art. 1136 c.c. le decisioni per questo tipo di interventi devono essere assunte dall’assemblea condominiale, in prima convocazione con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti ed almeno la metà del valore dell'edificio; ed in seconda convocazione, a maggioranza degli intervenuti con un numero di voti che rappresenti almeno un terzo del valore dell'edificio, ferma la validità della seduta.

Diverso è il discorso se l’innovazione occupa in tutto od in parte uno spazio comune, oppure altera l’utilizzo che del bene comune si faceva.
Se, ad esempio, l’installazione dell’ascensore avesse occupato un androne prima deputato al servizio di portierato, non si ricadrebbe più nell’ambito di applicazione della Legge n. 13/1989 e dell’art. 1120 c.c., ma nella diversa disciplina prevista dall’art. 1117 ter c.c. che richiede una delibera presa a maggioranza di quattro quinti dei partecipanti al condominio che rappresentino i quattro quinti del valore dell'edificio. Ed addirittura occorrerebbe l’unanimità qualora gli interventi (art. 1120 pen. comma)
1) possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato
2) ne alterino il decoro architettonico
3) rendano talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino.
” (art. 1120 pen. comma)

In questo caso l’ascensore occupa il medesimo spazio del precedente più piccolo e dunque non appare ravvisabile nessun motivo per cui si debba rendere necessario un consenso più ampio di quello individuato dall’art. 1136 c.c. .

In assenza della maggioranza richiesta dalle disposizioni testé richiamate, potrà comunque eseguire l'intervento a sue spese, imputando a sé tutte le agevolazioni fiscali e le detrazioni previste per questo tipo di intervento, ma senza poter impedire l’utilizzo dell’ascensore agli altri condomini.
Peraltro tale impedimento, oltre a contravvenire al divieto posto dall’art. 1102 c.c., sarebbe anche controproducente. Infatti, a ben vedere, non solo dovrebbe addossarsi tutti i costi per l’adeguamento dell’ascensore, ma dovrebbe altresì sostenere da solo anche la manutenzione e le spese inerenti il suo funzionamento, che non sarebbero più ripartibili in base ai millesimi.

Per quanto attiene alla convocazione straordinaria dell’assemblea condominiale, bisogna far riferimento ancora all’art. 1120 c.c., il quale al 4° comma prevede che “L'amministratore è tenuto a convocare l'assemblea entro trenta giorni dalla richiesta anche di un solo condomino interessato all'adozione delle deliberazioni di cui al precedente comma”: pertanto occorrerà semplicemente farne domanda all’amministratore.

Manfredi G. chiede
martedì 30/05/2017 - Campania
“Locali commerciali con sei luci a fronte strada di edificio condominiale. Strada in lieve pendenza. L'accesso ai locali è stato da decenni assicurato da una delle luci iniziali a quota + 20 cm sul marciapiede stradale. Il proprietario dei locali ristruttura i locali dando accesso agli stessi da una luce più centrale posta a quota + 60 cm sul marciapiede stradale. Per assicurare l'accesso anche ai disabili ha previsto la realizzazione sul marciapiede di un passetto della larghezza di 1,50 mt con rampa e gradini, che impegna il fronte del fabbricato per circa 6-7 metri. I condomini sostengono che l'intervento sul prospetto del fabbricato ne mortifica il decoro. Il proprietario dei locali può realizzare senza dar conto ai condomini, con la sola autorizzazione amministrativa per l'utilizzo del marciapiede, il passetto innanzi descritto ? Il condominio quali azioni può attivare?”
Consulenza legale i 05/06/2017

L'intervento da lei descritto rappresenta un'opera volta all'abbattimento delle barriere architettoniche negli edifici privati.

La normativa a cui far riferimento per dare risposta al suo quesito è quella dettata dalla legge n. 13 del 9 gennaio 1989 ("Disposizioni per favorire il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati").

L'art. 2 di tale legge prevede, in particolare, che "le deliberazioni che hanno per oggetto le innovazioni da attuare negli edifici privati dirette ad eliminare le barriere architettoniche (...), nonché la realizzazione di percorsi attrezzati e l'installazione di disposizione di segnalazione atti a favorire la mobilità dei ciechi all'interno degli edifici privati, sono approvate dall'assemblea del condominio, in prima o in seconda convocazione, con le maggioranze previste dal secondo comma dell'art. 1120 del codice civile".

Quest'ultima disposizione rimanda, a sua volta, al secondo comma dell'art. 1136 c.c., il quale stabilisce che sono valide le deliberazioni dell'assemblea di condominio che sono approvate "con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio".

L'art. 2 sopra citato stabilisce, inoltre, che, in caso di rifiuto del condominio di deliberare gli interventi volti alla rimozione delle barriere architettoniche, "i portatori di handicap o chi ne esercita la tutela o la potestà, possono installare, a proprie spese, servoscala nonché strutture mobili o facilmente rimovibili e possono anche modificare l'ampiezza delle porte d'accesso, al fine di rendere più agevole l'accesso agli edifici e alle rampe dei garage".

Va precisato, inoltre, che ai fini dell'applicazione di quest'ultima disposizione, non è necessario che il disabile risieda nel condominio , essendo sufficiente che lo stesso debba recarsi nell'edificio per ragioni di famiglia, di lavoro, di cura, ecc. (Tribunale di Milano, sentenze del 22.03.1993 e del 19.09.1991).

Deve, tuttavia, osservarsi, che la giurisprudenza di merito (Tribunale di Bologna, sentenza del 16.02.2010), ha precisato, altresì, che la legge sopra citata, pur prevedendo maggioranze assembleari più basse rispetto a quelle normalmente previste per le innovazioni nelle parti comuni dell'edificio condominiale, fa salve, comunque, "le disposizioni in materia non solo di sicurezza, ma anche di decoro architettonico", il quale, dunque, "negli edifici antecedenti l'entrata in vigore della legge - prevale sul diritto alla mobilità dei disabili".
Nel caso di specie, dunque, riteniamo che l'intervento in questione possa essere realizzato previa deliberazione dell'assemblea di condominio, con le maggioranze di cui all'art. 1136, secondo comma, c.c.

Occorrerebbe, invero, conoscere la data di costruzione dell'edificio, in quanto, se l'edificio fosse stato costruito anteriormente al 1989, la legge in materia di abbattimento delle barriere architettoniche non consentirebbe, comunque, di eseguire l'intervento che fosse effettivamente lesivo del decoro architettonico dell'edificio stesso.

Nel caso in cui non venissero rispettate le anzidette disposizioni, il condominio potrebbe agire in giudizio e chiedere la rimessione in pristino dell'edificio, nonché il risarcimento del danno subito.


Antonino B. chiede
giovedì 23/02/2017 - Sardegna
“L'assemblea condominiale ha deliberato, all'unanimità presenti 15 condomini su 31 e con 562 millesimi di proprietà, sulla riscossione di un credito di un ex condomino, pari ad alcune centinaia di euro, decidendo "dopo un'ampia discussione" e, "viste le problematiche ed i rischi", che la cosa comporta, per l'abbandono della procedura. Vero è che il credito è già prescritto e l'amministratore a conclusione di altro processo, si era impegnato a riscuotere quel credito, ma per altri due tre anni ha sempre rinviato la riscossione, promettendo solo di farlo - per motivi clientelari, perché aveva preteso di riscuotere quei soldi da me e lo avevo citato-- facendo prescrivere anche quella quota che era ancora esigibile.
La domanda è la seguente? Con quella maggioranza si poteva deliberare l'abbandono del credito? In diverso caso, nel corso della medesima iniziativa processuale si può introdurre la domanda di condanna dell'amministratore a rifondere il credito non riscosso, a me nella quota che mi compete, o nell'intera misura a favore dell'intero condominio? Considerato che i crediti, nelle loro quote condominiali inevase sono giunti a prescrizione a cavallo, anzi tutte, prima della entrata in vigore della riforma ma l'amministratore mai ha dato segno di aver svolto alcuna attività per riscuotere, anche successivamente alla riforma, può essere richiesta, da me, la sua revoca nel corso del medesimo processo o serve una azione separata? Azione in volontaria giurisdizione ed esclusa dalla mediazione?”
Consulenza legale i 01/03/2017
Per rispondere alla prima domanda occorre aver riguardo all’art. 1136 cod. civ., il quale stabilisce i quorum costitutivi e deliberativi dell’assemblea condominiale.
Dal quarto comma dell’articolo in questione, più precisamente, si evince la distinzione tra liti relative a materie che rientrano nelle attribuzioni dell’amministratore (condominio) e liti che hanno ad oggetto, invece, materie esorbitanti dalle attribuzioni di quest’ultimo.

Ebbene, è l’art. 1130 cod. civ. che elenca in maniera analitica i poteri e gli obblighi dell’amministratore di condominio, tra i quali anche “3) riscuotere i contributi ed erogare le spese occorrenti per la manutenzione ordinaria delle parti comuni dell’edificio e per l’esercizio dei servizi comuni”. In questa materia, in particolare, l’amministratore è legittimato (art. 63 disp. att. cod. civ.) “senza bisogno di autorizzazione” dell’assemblea, a richiedere un decreto ingiuntivo contro i condomini morosi.

E’ quindi pacifico che l’amministratore, per il recupero dei crediti condominiali, abbia assoluta libertà e soprattutto autonomia di azione, per cui può nominare un legale e promuovere il giudizio anche senza autorizzazione dell’assemblea (la quale, tuttavia, dovrà essere relazionata in proposito ed alla quale egli dovrà comunque rendere il conto). In buona sostanza, per iniziare una lite in ordine al recupero credito di un condominio l’amministratore non deve munirsi di deliberazione (o delibera) assembleare.

In tuti i casi, al contrario, in cui si debba decidere se promuovere o resistere a liti che non riguardino le materie elencate nell’art. 1130 cod. civ., l’assemblea dovrà intervenire con una decisione e potrà farlo con la maggioranza prescritta dal secondo comma dell’art. 1136 cod. civ., ovvero “maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio”.

Ciò premesso ed illustrato, nel caso di specie si è trattato di decisione avente ad oggetto non la promozione dell’azione di recupero del credito ma l’abbandono della medesima se già iniziata (dal quesito non si comprende bene questo particolare) o la rinuncia ad intraprendere ogni iniziativa in merito.
In tal eventualità, si ritiene che la delibera assembleare sia assolutamente necessaria, in quanto si tratta di una decisione che va, in qualche modo, in direzione contraria a quella della legge, la quale – specie dopo la riforma – ha “spinto” per l' obbligatorietà del recupero crediti condominiali (investendo l’amministratore in questa materia di ampie responsabilità e doveri, oltre che di poteri di iniziativa) e per la rapidità nell’attivare le iniziative necessarie (l’azione va iniziata entro 6 mesi dalla chiusura dell’esercizio, art. 1129, comma 9, cod. civ.).
In questo senso, non si può ritenere che la delibera in oggetto riguardi materia che rientra nelle attribuzioni dell’amministratore e sarà quindi necessario il rispetto dei quorum sopra indicati: maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio.

Dando per scontato (il quesito non lo dice) che il quorum costitutivo fosse valido (presumibilmente trattavasi di assemblea in seconda convocazione), nella fattispecie in esame sembrerebbe che sia stato rispettato sia il requisito del valore della proprietà che quello del numero (addirittura unanimità degli intervenuti) e quindi la decisione è stata validamente presa.

Non sono chiare le successive domande laddove nello specifico si dice “nel corso della medesima iniziativa processuale” o “può essere richiesta, da me, la sua revoca nel corso del medesimo processo”.
Va detto che l’amministratore ha una precisa responsabilità in caso di inerzia nel recupero del crediti del condominio. Esiste una specifica norma che la sancisce qualora l’azione giudiziaria sia già stata intrapresa: “Costituiscono, tra le altre, gravi irregolarità: (…) 6) qualora sia stata promossa azione giudiziaria per la riscossione delle somme dovute al condominio, l'aver omesso di curare diligentemente l'azione e la conseguente esecuzione coattiva;” (1129, comma 12, n. 6), e “l'amministratore è tenuto ad agire per la riscossione forzosa delle somme dovute dagli obbligati entro sei mesi dalla chiusura dell'esercizio nel quale il credito esigibile è compreso”.
Ciò significa che l’assemblea, in caso di colpevole e grave inerzia dell’amministratore nell’intraprendere le suddette azioni, potrà legittimamente revocare quest’ultimo con la stessa maggioranza già vista (maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio), senza bisogno di ricorrere all’autorità giudiziaria.

Se, invece, il dissenso rispetto all’operato dell’amministratore e la volontà di revocarlo è riconducibile solo ad uno o più condomini, questi ultimi, sempre ai sensi dell’art. 1129 cod. civ., comma 11, potranno ricorrere all’autorità giudiziaria per far valere le irregolarità nel mandato e chiedere la revoca dell’amministratore ed il risarcimento del danno.
Attenzione che il ricorso all’autorità giudiziaria è sempre subordinato alla previa convocazione e deliberazione dell’assemblea avente pari oggetto.

Trattandosi di un procedimento di volontaria giurisdizione – ovvero il diritto non ha natura contenziosa, in quanto semplicemente sostitutivo della volontà assembleare, per l'esigenza di assicurare una rapida ed efficace tutela dell'interesse alla corretta gestione dell'amministrazione condominiale (tra le tante, si veda sul punto Cass. Civ., n. 20907/2004) – la norma stabilisce che il ricorrente ha diritto, in caso di vittoria, al rimborso delle spese legali da parte del condominio (il quale poi potrà rivalersi sull’amministratore stesso).

Nel giudizio per il recupero del credito nei confronti di un condomino moroso non è possibile inserire altresì la domanda di responsabilità e risarcimento danni nei confronti dell’amministratore: è evidente, infatti, che si tratta di giudizi che hanno parti diverse ed oggetto diverso e che quindi vanno tenuti distinti; in particolare, l’azione di recupero del credito condominiale è promossa dal condominio in persona dell’amministratore (che evidentemente non può chiedere, in subordine, la propria condanna per responsabilità) mentre l’altra è promossa da uno o più condomini nei confronti dell’amministratore.

Ugualmente l’azione per revocare il mandato all’amministratore dovrà essere promossa distintamente rispetto a quella di recupero del credito.
Sulla possibilità di chiedere la rifusione del credito non riscosso all’amministratore, si potrà certamente quantificare il danno lamentato anche nella misura, tra le altre eventuali voci, del credito non recuperato dalla controparte.

La richiesta di revoca dell'amministratore anche da parte di un singolo condomino conferisce al rito in esame e ad al conseguente provvedimento giudiziale carattere tipicamente cautelare.
Sulla necessità di esperire preliminarmente il procedimento di mediazione esiste, purtroppo, una sola pronuncia, emessa dal Tribunale di Padova: sentenza 3/12/2014.
La questione non era semplice da risolvere, perché da un lato il decreto sulla Mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali (art. 5, comma 1-bis, D.Lgs n. 28/2010) indica, genericamente, la materia condominiale come soggetta alla mediazione, mentre, dall’altro, la stessa norma (art. 5, comma 4, lettera f, D.Lgs n. 28/2010) sottrae a tale procedura i procedimenti in camera di consiglio (come quello appunto sopra menzionato per la revoca dell’amministratore), il che farebbe pensare che, proprio per via della specialità del procedimento camerale, la mediazione obbligatoria non si debba applicare.

Secondo il Tribunale patavino, invece, bisogna tenere conto del contenuto della riforma intervenuta nel 2012 in materia condominiale, la quale ha introdotto un articolo – il 71 quater delle disp. att. del codice civile - che richiama l’obbligo di mediazione in materia di condominio, riferendosi a tutte le disposizioni “del libro III, titolo VII, capo II, del codice e degli articoli da 61 a 72 delle presenti disposizioni per l’attuazione del codice”.
Trattandosi di richiamo generale, pare non esserci dubbio sul fatto che la mediazione debba valere per qualsiasi tipo di procedimento in materia condominiale, a prescindere dalla procedura.
Pertanto, oltre alle questioni che attengono al condominio in senso stretto (come le liti tra condomini e condominio sulle parti comuni) sono da ricomprendersi anche quelle relative alla responsabilità dell’amministratore, all’impugnazione delle delibere assembleari, alla riscossione dei contributi condominiali, alla modifica delle tabelle condominiali, all’infrazione dei regolamenti condominiali, come anche alla revoca dell’amministratore.

William R. chiede
venerdì 19/08/2016 - Veneto
“Posseggo quota indivisa di una casa, con mio fratello di cui detengo su tale quota la maggioranza millesimale.
Mio fratello ha comprato per intero un appartamento nello stesso stabile probabilmente superando i miei millesimali.
Di tale stabile, con ingresso a parte , esiste un altro proprietario che rientra nel perimetro del tetto le cui quote millesimali non sono conosciute.
Non è mai stato formato un condominio, per anni la manutenzione era stata fatta solo dai miei genitori.
Mio fratello vuole intervenire sul tetto, rappresentandomi dei lavori inferiori a quelli individuati, ciò gli veniva eccepito e chiarito.
Tali lavori implicano la demolizione dell’intero tetto, dal che stante la nuova normativa si dovrebbe formare un cordolo in C.A. coinvolgendo anche un “recente” tetto per collegare l’intera struttura. Il tetto inoltre poggia ora su dei mattoni forati “bricchetti “. mal disposti, per oltre un metro di altezza che ci dicono non sono idonei a sostenere la struttura in C.A. e i futuri carichi. Inoltre il fabbricato presenta lesioni da cedimenti differenziati di fondazione, che con i nuovi carichi potrebbero incrementarsi.
Mio fratello insiste sul tetto, che a parere dello scrivente potrebbe divenire un intralcio per un eventuale intervento definitivo ( la casa ha solai di legno e strutture fatiscenti e le sostituzioni delle strutture sono agevoli dalla parte alta del fabbricato priva di tetto )
Le alternative, coinvolgendo il terzo proprietario, sembrano essere solo due :
1) coinvolgere un impresario, in una progettazione congiunta, consolidando le fondazioni e le strutture sino ad arrivare al tetto pagandolo in parte con permuta e in parte con denari.
2) in mancanza della possibilità di cui al punto 1 ( non trovando un costruttore interessato e / o avendo opposizioni dal terzo proprietario ) la soluzione sembra la messa in sicurezza dell’immobile, consolidamento delle fondazioni , l’alleggerimento delle strutture interne in attesa di tempi migliori, il rifacimento del tetto verrebbe impedito dai carichi aggiuntivi previsti dal nuovo cordolo in C.A. dalla muratura non portante della parte superiore del tetto .

Personalmente, se non si trova la soluzione di cui la punto 1 ( considerando i tempi che corriamo ) si debba intervenire con la messa in sicurezza, ma non si può fare il tetto per le questioni già evidenziate. Sono perplesso sul da farsi, non essendo agevole ormai il confronto con mio fratello, che non sembra recepire realmente il contesto o….

In considerazione di quanto prospettato, mi sarebbe gradito avere dei chiarimenti circa i miei dovere e quelli delle controparti.
In particolare se si possa essere obbligati a rifare l’intera struttura comprensiva di tetto o se sia sufficiente la messa in sicurezza dell’immobile come prospettata anche lasciando accesso all’acqua piovana .

In alternativa ipotetica chiedere al giudice la divisione forzata dell’immobile verticalmente ( sembra possibile con nuove scale ) in modo da poter intervenire nel modo desiderato senza trovarsi vincolato con mio fratello, ma anche questo implica la costruzione di un muro divisorio che attraversa probabilmente solai da demolire.

Mio fratello sembrerebbe disposto a chiedere l’autorizzazione edilizia o concessione depositando un progetto ( di per se molto costoso ), vendendo su progetto ( in questi tempi – in città ci sono cantieri sospesi da anni in attesa di compratori ) ma ciò si scontra con un eventuale accordo con un costruttore , che potrebbe non gradire una tale progettazione e renderebbe difficile la permuta

Questo è il contesto, dal punto di vista giuridico come porsi ? Quali sono i miei diritti ? Quali i mie doveri ?

Porgo distinti saluti”
Consulenza legale i 06/09/2016
Anche se non esiste un regolamento condominiale e le parti non hanno mai ragionato in quest’ultima logica, non c’è dubbio che siamo di fronte ad un condominio vero e proprio, composto da tre parti: una è rappresentata dal vicino che ha ingresso in B, una seconda è rappresentata dalla proprietà indivisa tra i due fratelli che hanno ingresso in A e la terza dal fratello che possiede un appartamento in via esclusiva.

Quando, come nel caso di specie, i condomini sono tre non è obbligatoria l’adozione di un regolamento di condominio né la nomina di un amministratore, ma ciò non esclude, come già detto, che il condominio esista e che ad esso vadano applicate le regole dettate dal codice civile in proposito (art. 1117 e seguenti del cod. civ.).

Nel condominio il diritto di ciascun condomino sulle parti comuni è proporzionale al valore dell’unità immobiliare che gli appartiene (art. 1118 cod. civ.) e ciascuno, sempre in proporzione al valore della sua proprietà, è tenuto alle spese per la conservazione e per il godimento delle parti comuni.
Il tetto e le strutture portanti sono, evidentemente, parti comuni.

L’art. 1136 cod. civ. richiede che le decisioni riguardanti la “ricostruzione dell’edificio” oppure “riparazioni straordinarie di notevole entità”, così come gli interventi volti a migliorare la sicurezza dell’edificio stesso, devono essere adottate dai condomini secondo la seguente regola: “sono valide le deliberazioni approvate con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio”.
Nel caso di specie, è indispensabile, ad avviso di chi scrive, elaborare della tabelle millesimali, dal momento che nessuno dei condomini è al corrente del valore preciso della sua proprietà rispetto all’intero immobile.
Si badi bene che le tabelle millesimali costituiscono semplicemente ed esclusivamente un modo di determinazione dei criteri di riparto delle spese condominiali, per cui la loro adozione non è obbligatoria: “La preesistenza di tabelle millesimali non è necessaria per il funzionamento e la gestione del condominio, non solo ai fini della ripartizione delle spese ma neppure per la costituzione delle assemblee e la validità delle deliberazioni” (Cassazione civile, sez. II, 19/07/2012, n. 12471): le parti possono, quindi, adottare un diverso criterio decisionale per la gestione del bene comune.

Tuttavia, in caso di dissenso (e si tratta di ipotesi purtroppo frequente, che ricorre anche nella fattispecie concreta al nostro esame), quando non sia possibile raggiungere un accordo, ciascun condomino ha il diritto di rivolgersi al Giudice per ottenere una pronuncia che consenta di raggiungere una maggioranza, anche attraverso l’elaborazione di tabelle millesimali.

Ciò detto, per riassumere:
- il condomino/fratello che possiede l’appartamento in via esclusiva acquisito da una parente non potrà imporre le proprie decisioni agli altri ma dovrà necessariamente porre la questione “ai voti”;
- dovendo intervenire su tetto e strutture portanti e poiché la finalità è esclusivamente quella, par di capire, della messa in sicurezza dell’immobile, andranno raggiunte determinate maggioranze;
- se i condomini concorderanno su un criterio decisionale diverso da quello previsto dalla legge, potranno decidere in base a quest’ultimo; diversamente, in caso di disaccordo, sarà inevitabile che uno di essi si rivolga all’Autorità Giudiziaria per il raggiungimento di una decisione oppure per chiedere l’adozione di tabelle millesimali, elaborare le quali troveranno applicazione i criteri del valore della proprietà secondo gli articoli del codice civile sopra richiamati.

Nel quesito si ipotizza la divisione a metà dell’immobile sulla verticale con un muro (anche se non risulta chiaro quali parti dell’immobile verrebbero separate l’una dall’altra), mantenendo però – così pare di capire – il tetto e le strutture portanti in comune.
Tuttavia, una divisione meramente “materiale” dell’immobile non risolverebbe probabilmente i problemi rappresentati: in primo luogo, infatti, se il fratello continuasse, anche dopo la divisione, ad insistere per l’intervento sul tetto o sulle strutture portanti, si dovrebbe comunque tenere in debito conto della volontà anche degli altri condomini e i contrasti permarrebbero, perché le parti descritte riguardano parti comuni necessarie dell’immobile.

Nel caso, invece, in cui l’edificio venisse sì “diviso” per il lungo in altezza, ma non inserendo un muro divisorio – così da mantenere adiacenti le due parti separate – quanto piuttosto attuando una vera e propria separazione tra la parte sinistra e la parte destra (per intendersi) dell’immobile, si verrebbero di fatto a creare due edifici distinti in tutto e per tutto, con due nuovi condomìni.

In questo caso, si tratterebbe in entrambi i casi di condominio cosiddetto “minimo”, ovvero composto da due soli partecipanti.
La giurisprudenza ha ormai da tempo affermato che anche in tale ultimo caso si applica il principio maggioritario, per cui – nel caso non si riesca a raggiungere l’unanimità dei consensi, ), ciascuno dei condomini avrà diritto di rivolgersi al Giudice affinché venga adottata una decisione definitiva: “(…) Resta, peraltro, possibile, ove non si raggiunga l'unanimità e non si decida, poiché la maggioranza non può formarsi in concreto, il ricorso all'autorità giudiziaria, ai sensi del combinato disposto degli art. 1105 e 1139 c.c.” (Cassazione civile, sez. VI, 03/04/2012, n. 5288).

A proposito delle norme citate da quest’ultima sentenza, l’ultimo comma dell’art. 1105 cod. civ., in particolare, recita: “Se non si prendono i provvedimenti necessari per l'amministrazione della cosa comune o non si forma una maggioranza, ovvero se la deliberazione adottata non viene eseguita, ciascun partecipante può ricorrere alla autorità giudiziaria. Questa provvede in camera di consiglio e può anche nominare un amministratore.
Come si vede, anche la divisione materiale dell’immobile non aiuterebbe, nel senso che non libererebbe uno dei due fratelli dall’onere di ottenere l’approvazione degli altri condomini.

Anonimo chiede
martedì 23/02/2016 - Lazio
“Buongiorno,
prima di proporre i miei quesiti, espongo sinteticamente la sequenza temporale degli eventi:
1) Prima dell'assemblea del OMISSIS sono state convocate 5 o 6 assemblee aventi all'o.d.g. l'approvazione del capitolato tecnico per lavori di manutenzione straordinaria.
In tutte le assemblee non è stato mai raggiunto il quorum del 50% richiesto dal 2° comma dell'art. 1136 c.c., né per numero di intervenuti, né, ovviamente, per m/m di proprietà.
2) Al punto 1. dell'o.d.g. dell'assemblea del OMISSIS veniva posta nuovamente l'approvazione dello stesso capitolato tecnico.
I proprietari favorevoli raggiungevano soltanto i 385 m/m.per cui il punto 1. non veniva approvato.
3) Al punto 2. dell'o.d.g. della stessa assemblea veniva posta l'apertura di un conto corrente per lavori straordinari.
Non essendo stato approvato il punto 1., tale punto non avrebbe, ovviamente, neanche potuto essere discusso.
Viceversa, veniva aperta la discussione.
In mezzo a una bolgia infernale, l'amministratore verbalizzava autonomamente: L'assemblea dei condomini delibera e autorizza l'amministratore ad aprire un nuovo conto corrente che servirà solo ed esclusivamente all'accantonamento volontario dei lavori straordinari.
Si allega al verbale la stampa del bilancio di simulazione accantonamento spese lavori di euro OMISSIS e relativo stato di riparto tra i condomini che i presenti approvano, fermo restando che alla scadenza del OMISSIS l'intero importo dovrà essere interamente e obbligatoriamente versato.
Unico contrario OMISSIS ( lo scrivente ) che lascia l'assemblea alle ore OMISSIS.
4) In data OMISSIS ho inviato una racc.ta A/R all'amministratore motivando le ragioni del mio voto contrario, ossia :
a) mancanza del quorum deliberativo relativamente al punto 1. all'o.d.g.;
b) essendo venuto meno il punto 1., inammissibilità della discussione del punto 2.,poiché, in base al punto 4) dell'art.1135 c.c., la costituzione del fondo speciale è ammessa soltanto in relazione a lavori straordinari approvati;
c) quello che era stato subdolamente presentato come un " esercizio di simulazione"
si è trasformato nel verbale in un "obbligo di versamento " entro il OMISSIS."
5) Sono state successivamente indette altre 5 o 6 assemblee allo scopo di far approvare lo stesso capitolato dei lavori.
Le maggioranze raggiunte sono state costantemente intorno ai 350 m/m.
6) È stata convocata una nuova assemblea per il OMISSIS avente al punto 1. all'o.d.g.:
" Approvazione Modalità Attuativa delibera del OMISSIS per avvio lavori e apertura conto corrente condominiale ".
A questo punto, i miei quesiti sono i seguenti :
1) Non essendo stata mai raggiunta la maggioranza del 50% per l'esecuzione dei lavori straordinari in nessuna delle numerose assemblee, come è possibile porre all'o.d.g. la modalità attuativa di una delibera illegittima, in quanto relativa a una discussione inammissibile per i motivi su richiamati ?
2) Poiché l'approvazione del punto 1. dell'assemblea del OMISSIS è assolutamente certa perché sostenuta dal solito " zoccolo duro " di 350-400 m/m, ossia la totalità dei presenti a esclusione del sottoscritto, come posso fare perché vengano rispettate le disposizioni di legge ?
3) È opportuno che partecipi alla prossima assemblea, sapendo di essere l'unico contrario?
4) Se l'unica strada percorribile è quella del ricorso all'autorità giudiziaria, potete cortesemente indicarmi quali potrebbero essere le modalità e i prevedibili costi ?
OMISSIS”
Consulenza legale i 01/03/2016
In merito al quesito proposto, che attiene alla regolarità della delibera assembleare concernente l’approvazione del fondo per l'accantonamento volontario dei lavori straordinari, dal contenuto del verbale si può evincere una sorta di riferimento implicito ai lavori per i quali il fondo veniva disposto. Si legge, altresì, che i condomini procedevano all’approvazione fatta eccezione per il dissenso espresso dall’OMISSIS, unico contrario. Nonostante infatti la prima votazione concernente l’approvazione dei lavori straordinari non avesse raggiunto il quorum deliberativo, l’assemblea procedeva ugualmente alla discussione del secondo punto all’ordine del giorno relativo al fondo per sostenere le spese.
Tale irregolarità avrebbe determinato un vizio di legittimità della delibera assembleare sub specie di annullabilità, rientrando in un’ipotesi che la giurisprudenza prevalente ritiene pertanto causa di annullabilità.
Sul punto merita di essere, infatti, menzionata la pronuncia a Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 4806 del 2005 secondo cui devono qualificarsi nulle le delibere prive degli elementi essenziali, le delibere con oggetto impossibile o illecito (contrario all'ordine pubblico, alla morale o al buon costume), le delibere con oggetto che non rientra nella competenza dell'assemblea, le delibere che incidono sui diritti individuali sulle cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini, le delibere comunque invalide in relazione all'oggetto. Devono, invece, qualificarsi annullabili le delibere con vizi relativi alla regolare costituzione dell'assemblea, quelle adottate con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale, quelle affette da vizi formali, in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari, attinenti al procedimento di convocazione o di informazione dell'assemblea, quelle genericamente affette da irregolarità nel procedimento di convocazione, quelle che violano norme che richiedono qualificate maggioranze in relazione all'oggetto.
Le delibere affette dai vizi descritti devono essere impugnate con atto di citazione. Nel primo caso (nullità) l’impugnazione può essere fatta in ogni tempo, nel secondo (annullabilità) bisogna rispettare i termini previsti dall'articolo 1137 c.c. ovvero 30 giorni dalla data della delibera per i dissenzienti, come nel caso di specie. Una volta decorso il suddetto termine per l’impugnazione, la delibera annullabile si consolida e diventa inoppugnabile.
Dalla descrizione della vicenda si evince che la prossima assemblea si terrà il prossimo 17.3 e si consiglia pertanto di parteciparvi fattivamente, specie al fine di verificare l’eventuale sussistenza di irregolarità e vizi che possano legittimare un’impugnazione.
In ogni caso, l’impugnativa di fronte all’autorità giudiziaria deve essere preceduta dal tentativo di obbligatorio di conciliazione previsto dal “decreto del fare” (D.L. 21 giugno 2013, n. 69, convertito in Legge 9 agosto 2013, n. 98), il quale ha reintrodotto la Mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali obbligatoria quale condizione di procedibilità delle domande concernenti le controversie condominiali. Durante la pendenza del tentativo di conciliazione il termine di cui all’art.1137 c.c. viene sospeso dal momento in cui l'organismo di mediazione comunica al convenuto l'istanza di mediazione. Esperito negativamente il tentativo di conciliazione ci si potrà rivolgere all’autorità giudiziaria con atto di citazione innanzi il tribunale del luogo dove si trova il condominio. Sarebbe possibile procedere, inoltre, con un normale ricorso d'urgenza ex art. 700 cpc chiedendo la sospensione della delibera nulla o annullabile sussistendone i presupposti del fumus boni iuris ed del periculum in mora.
Nel caso in cui si volesse procedere per vie legali, si consiglia di rivolgersi ad un professionista concordando un preventivo per le spese giudiziali da sostenere.

Angelo V. chiede
mercoledì 17/02/2016 - Veneto
“Condominio di 4 famiglie, costruito su pilastri scoperti, due appartamenti al primo piano (450 millesimi) e due al secondo con mansarda (550 millesimi).
Nel 2005 si passò a riscaldamento autonomo: in tale occasione il soffitto del piano terra, con il consenso di tutti, fu cappottato con polistirolo a spese dei due del primo piano.
Nel 2010 si intervenne sulla copertura per eliminare infiltrazioni al secondo piano, con sostituzione della fascia bassa delle tegole e il montaggio di nuove grondaie e pluviali.
L'opera fu spesata da tutti in base ai millesimi e giudicata soddisfacente.
In seguito entrambi gli appartamenti del secondo piano furono venduti ed i nuovi proprietari diedero luogo a ristrutturazioni senza informare gli altri sull'operato, cosa peraltro probabilmente non necessaria.
Oggi i due intendono presentare in assemblea un progetto di rifacimento della copertura, ritenuta vetusta, con installazione di pannelli isolanti e un sistema di ventilazione forzata nell'intercapedine per un importo di circa 50000 €.
Ritengono non indispensabile l'impianto di ventilazione, che vorrebbero installare a loro spese, ma necessario operare sul resto a spese di tutti i condomini per ragioni di salubrità (uno si lamenta del troppo caldo in estate, l'altro del troppo freddo in inverno, non pensano di rinforzare le pompe di calore già in essere).
Possiedono la maggioranza dei millesimi, ma non delle teste perché i due del primo piano non sono favorevoli alla spesa non riscontrando alcun problema per le temperature, grazie all'efficacia degli impianti di condizionamento a suo tempo installati).
Basta essere due contro due per bloccare la cosa? Se fosse proposto di dividere le spese a suo tempo sostenute per la cappottatura a piano terra si dovrebbe accettare di ripartire le nuove spese?”
Consulenza legale i 24/02/2016
In relazione alle decisioni da assumere in condominio il codice civile conosce maggioranze diverse, potendosi distinguere sia in ordine alla convocazione (assemblea di prima o seconda convocazione) sia in ordine alla materia che ne costituisce oggetto. In particolare, l'art. 1136 del c.c. prevede, ai primi due commi, il quorum costitutivo e deliberativo dell'assemblea di prima convocazione; il successivo comma 3 li disciplina per l'assemblea di seconda convocazione; i commi 4 e 5 riguardano le maggioranze richieste per deliberare su particolari materie.

Tra tali materie l'art. 1136 co. 4 c.c. annovera le deliberazioni riguardanti "riparazioni straordinarie di notevole entità", senza però chiarire quali esse siano. Si tende a ritenere che il concetto di "straordinarietà" faccia riferimento ad interventi imprevisti, dovuti ad eventi inattesi. Tuttavia, nell'ambito di dette riparazioni si possono ricondurre anche gli interventi che, pur se non imprevisti, siano di notevole entità: dunque si tratta di stabilire cosa si intenda con tale ultima locuzione. Essa richiama immediatamente il parametro del costo da sostenere per l'opera ma secondo la Cassazione quando il giudice è chiamato a verificare se un intervento sia qualificabile come di notevole entità, egli può rifarsi anche ad altri elementi, quali le caratteristiche del condominio e la spesa che andrà effettivamente a gravare sui singoli: "l'individuazione, agli effetti dell'articolo 1136, quarto comma, cod. civ. (approvazione con maggioranza degli intervenuti rappresentanti metà del valore dell'edificio), della «notevole entità» delle riparazioni straordinarie è rimessa, in assenza di un criterio normativo, alla valutazione discrezionale del giudice di merito (al quale chi deduce l'illegittimità della delibera deve fornire tutti gli elementi utili per sostenere il suo assunto); il giudice, d'altro canto, può tenere conto senza esserne vincolato, oltre che dell'ammontare complessivo dell'esborso necessario, anche del rapporto tra tale costo, il valore dell'edificio e la spesa proporzionalmente ricadente sui singoli condomini (cfr. Cass. 6/11/2008 n. 26733)" (Cass. 25145 del 2014; v. anche Cass. 810 del 1999).

Dunque, nel caso di specie, si tratterà di indagare se l'opera possa essere ricondotta alla straordinaria manutenzione di notevole entità. A riguardo, una spesa complessiva, per il lavoro, di 50.000,00 €, da ripartire tra tutti, appare consistente ma, come detto, si dovrà accertare se essa possa indurre ad includere l'intervento nel concetto di "riparazione di notevole entità", in base ai parametri di cui sopra. Se si ritiene che l'opera sia qualificabile come tale, la deliberazione di essa è soggetta alla maggioranza di cui all'art. 1136 co. 4 c.c., il quale stabilisce che è sempre necessaria "la maggioranza stabilita dal secondo comma del presente articolo". A sua volta, quest'ultimo dispone che "sono valide le deliberazioni approvate con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno metà del valore dell'edificio". Si tratta di un quorum "doppio", previsto come regola per l'assemblea di prima convocazione, e previsto allo scopo di evitare che possano realizzarsi meccanismi di sopraffazione ad opera di pochi (pochi condomini che detengano molti millesimi rispetto a molti che ne detengano pochi). La Suprema Corte ha peraltro affermato che il richiamo al secondo comma non si estende anche al primo (il secondo comma prevede un quorum deliberativo che presuppone quello costitutivo del primo comma): "Per le deliberazioni dell'assemblea in seconda convocazione concernenti le materie indicate dall'art. 1136, comma 4, c.c., tra le quali la nomina dell'amministratore, il richiamo alle maggioranze stabilite dall'art. 1136, comma 2 c.c., non vale ad estendere il quorum costitutivo dell'assemblea in prima convocazione, ma importa che per la costituzione dell'assemblea, come per l'approvazione di esse, è richiesta una maggioranza che rappresenti almeno la metà del valore dell'edificio e che sia costituita dalla maggioranza degli intervenuti e da almeno un terzo dei partecipanti al condominio" (Cass. 3952/1994, Cass. 901/1980). Dunque, nel caso in esame, è necessario che entrambi i condomini che intendono opporsi partecipino all'assemblea, perché altrimenti i due condomini del secondo piano potrebbero validamente deliberare l'opera di sostituzione del tetto.

Alla luce di ciò, si può ritenere che se l'opera prospettata è riconducibile al concetto di riparazione straordinaria di notevole entità ex art. 1136 co. 4 c.c., i due condomini del primo piano possano insieme opporsi, in sede di delibera assembleare, alla decisione in modo efficace. Infatti, pur se quelli del secondo piano detengono la maggioranza dei millesimi (550) essi non detengono la maggioranza delle "teste", che vengono indicate in quesito come due contro due.

Peraltro, qualora l'opera di manutenzione straordinaria non fosse ritenuta di notevole entità ma opera straordinaria di "normale entità", essa sarebbe comunque soggetta, in seconda convocazione, ai quorum di cui all'art. 1136 co. 3 c.c.: quorum costitutivo di 1/3 del valore dell'edificio e 1/3 dei partecipanti al condominio e quorum deliberativo della maggioranza degli intervenuti con un numero di voti che rappresenti almeno 1/3 del valore dell'edificio. Dunque, anche in tale ipotesi i condomini del primo piano, presenti in assemblea, potrebbero validamente impedire la delibera (mancanza della maggioranza degli intervenuti, sempre considerando le teste come due contro due).

Quanto alla possibilità che venga prospettato di mediare, dividendo le spese per il tetto e quelle sostenute per la cappottatura a piano terra, tale soluzione potrebbe rappresentare un buon compromesso se si decidesse di acconsentire alla sostituzione del tetto. A riguardo, ci limitiamo ad alcune considerazioni. La posa di una nuova copertura potrebbe presentare dei vantaggi, quali l'aumento di valore dell'edificio (e dei singoli appartamenti) ed eventuali risparmi energetici per l'intero immobile (a questo proposito sarà da valutare anche la possibilità di recupero delle somme spese, secondo le apposite procedure, per cui nel caso si consiglia di contattare in via preventiva un tecnico). Non ultima, la possibilità di mantenere buoni rapporti di vicinato, che sono senza prezzo. Di tutti questi elementi, quindi, si potrà tenere conto nella scelta del comportamento da adottare.

Giancarlo M. chiede
venerdì 05/02/2016 - Sardegna
“Vorrei conferma che, in caso di assemblea condominiale in 1° convocazione andata deserta, solo se l'accaduto risulta verbalizzato con data in cui si sarebbe dovuta svolgere, allora e solo allora, in 2° convocazione si potranno applicare per la regolare costituzione i quorum di 1/3 dei condomini+1/3 del valore millesimale e non quelli del 50%+1 dei condomini +1/2 del valore.
Grazie anticipate per la risposta.”
Consulenza legale i 15/02/2016
Nell'ambito delle assemblee condominiali la legge regola sia il c.d. quorum costituivo che quello deliberativo.

In relazione al quorum costitutivo, l' art. 1136 c.c. al co. 1 prevede per l'assemblea di prima convocazione l'intervento di tanti condomini che rappresentino 2/3 del valore dell'edificio e la maggioranza dei partecipanti al condominio. Per l'assemblea di seconda convocazione, invece, la stessa norma al successivo comma 3 prevede quale quorum costitutivo l'intervento di tanti condomini che rappresentino almeno 1/3 del valore dell'edificio e 1/3 dei partecipanti al condominio.
Quanto ai quorum deliberativi, invece, la disposizione distingue varie ipotesi, a seconda delle materie trattate: è corretto discorrere di "maggioranze" più che di una sola "maggioranza" (v. art. 1136 co. 1-5). Particolari ipotesi sono previste anche in leggi speciali, mentre vi sono alcune decisioni che non possono essere assunte se non all'unanimità.

La possibilità che l'assemblea di prima convocazione non raggiunga il numero legale è espressamente contemplata dal legislatore, che all'uopo prevede quella di seconda convocazione. Invero, trattasi di evento molto frequente (ed infatti accade sovente che la prima convocazione indichi già anche la data della seconda). Succede spesso anche che si decida di non redigere alcun verbale dell'assemblea di prima convocazione. Questa scelta, alla luce della recente riforma del condominio, sembra da ritenersi non più conforme a legge.

La riforma (l. 220/2012, in vigore dal 18/6/2013), infatti, ha modificato l'ultimo comma dell'art. 1136 c.c. che oggi dispone che "Delle riunioni dell'assemblea si redige processo verbale da trascrivere nel registro tenuto dall'amministratore". Prima della riforma a dover essere verbalizzate non erano le "riunioni" ma le "deliberazioni". Da cui la tesi secondo la quale, in mancanza di delibere per assenza o insufficiente partecipazione dei condomini, non era necessario alcun verbale della relativa assemblea (v. Cass. 3682/1996). Oggi, con la novella, sembra che il legislatore abbia inteso che sia sempre necessario redigere verbale dell'avvenuta assemblea, anche se questa sia andata deserta. Tale opinione era già stata avallata dalla Cassazione in passato: "Nel condominio negli edifici, poiché la redazione del verbale dell'assemblea costituisce una delle prescrizioni di forma che devono essere osservate al pari delle altre formalità richieste dal procedimento collegiale (avviso di convocazione, ordine del giorno, costituzione, discussione, votazione, ecc.) e la cui inosservanza importa l'impugnabilità della delibera, in quanto non presa in conformità alla legge (art. 1137 c.c.), una volta che l'assemblea sia stata convocata, occorre dare conto, tramite la verbalizzazione, di tutte le attività compiute, anche se le stesse non si sono perfezionate e non siano state adottate deliberazioni, allo scopo di permettere a tutti i condomini, compresi quelli dissenzienti ed assenti, di controllare lo svolgimento del procedimento collegiale e di assumere le opportune iniziative. (Nella specie un condomino aveva chiesto l'accertamento dell'obbligo del condominio di rilasciargli la copia del verbale di un'assemblea e il convenuto aveva opposto il mancato svolgimento dell'assemblea in questione; la S.C., sulla base del riportato principio, ha annullato la sentenza impugnata, che aveva rigettato la domanda enunciando la tesi che quando l'assemblea non perviene ad alcuna delibera sia insussistente l'obbligo di verbalizzazione e manchi l'interesse del condomino al rilascio di una copia del verbale)" (Cass. 5014 del 1999).

In conclusione, sulla base delle osservazioni svolte, si ritiene che la riforma del condominio rafforzi la tesi, già espressa prima della novella, per cui la legge prescrive di redigere verbale di assemblea anche se la stessa non abbia raggiunto il numero legale.

Antonio R. chiede
venerdì 16/10/2015 - Toscana
“Fabbricato composto da appartamenti e negozi.
Vi è il portiere (figura A4) con alloggio (48 ore settimanali) che svolge servizio di vigilanza, custodia, pulizia, ritiro posta, ecc.
Al regolamento di condominio redatto dal costruttore dell’immobile, regolarmente registrato, vi sono allegate tre tabelle per le spese: la “A” per assicurazione fabbricato, onorario amministratore, ecc.; la “B” per le spese di portierato (stipendio, contributi, ecc.) e la “C” per le spese relative alla scala e all’ascensore.
Articoli del regolamento di condominio che trattano dei problemi relativi al portierato e validità assemblee:
Art. 5 – L’abitazione del portiere, l’androne, l’ascensore con i relativo macchinario ed il locale che alloggia il macchinario stesso, sono comuni a tutti i condomini proprietari degli appartamenti.
Art. 20 – I condomini agiscono collettivamente a mezzo di assemblea la quale delibera a maggioranza, avendo ciascun condomino il voto in proporzione dei valori indicati nella tabella A.
- OMISSIS -
L’assemblea può adunarsi straordinariamente in qualunque altra epoca a richiesta di almeno cinque condomini, ovvero dall’amministratore del condominio.
Nel caso che nella prima riunione non venissero raggiunti i due terzi dei valori di cui alla tabella A si procederà alla seconda convocazione nella quale si delibererà validamente qualunque sia il numero degli intervenuti.

Si terrà un assemblea con all’ordine del giorno: “Riduzione servizio di portierato da 48 a 24 ore settimanali”.
Chiedo:
- l’ art. 20 del regolamento di condominio è contro-legge?
- Nel caso in questione quale tabella prendere in considerazione per la costrizione dell’assemblea e per deliberare, la “A” o la “B” ?
- In seconda convocazione, per la regolarità della costituzione dell’assemblea quanti millesimi occorrono e quanti condomini devono essere presenti ?
- Per la validità della deliberazione quanti millesimi occorrono e quanti condomini devono votare (numero voti) ?
- Qualora il lavoratore rifiutasse di accettare di lavorare 24 ore a settimana, l’amministratore può licenziarlo e assumere altra persona?”
Consulenza legale i 16/10/2015
Tabella da applicare per calcolare i voti necessari alla delibera di riduzione del servizio di portierato

L'art. 20 del regolamento condominiale conferisce il diritto di voto in base alla tabella A, cioè a quella che determina i millesimi di proprietà. La norma appare del tutto legittima. Difatti, la tabella B (ma anche la C, a rigor di logica) ha il solo scopo di ripartire le spese relative al servizio di portierato, tenendo conto - si immagina - del più o meno intenso utilizzo fatto da ciascun condomino.
Le decisioni relative alle parti comuni, invece, vanno prese sulla base delle quote di proprietà: a stabilirlo è l'art. 1118 c.c., che sancisce "Il diritto di ciascun condomino sulle parti comuni, salvo che il titolo non disponga altrimenti, è proporzionale al valore dell'unità immobiliare che gli appartiene".
Di conseguenza, appare corretto che nel calcolo dei voti necessari alla delibera di riduzione del servizio di portierato si applichi la tabella sulla proprietà generale, la A.

Maggioranze e quorum assembleari

L'art. 1136 c.c. stabilisce che:
- in prima convocazione, l'assemblea è regolarmente costituita con l'intervento di tanti condomini che rappresentino i due terzi del valore dell'intero edificio e la maggioranza dei partecipanti al condominio: sono valide le deliberazioni approvate con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio;
- in seconda convocazione, l'assemblea è regolarmente costituita con l'intervento di tanti condomini che rappresentino almeno un terzo del valore dell'intero edificio e un terzo dei partecipanti al condominio. La deliberazione è valida se approvata dalla maggioranza degli intervenuti con un numero di voti che rappresenti almeno un terzo del valore dell'edificio.

Il quorum e la maggioranza richiesta in seconda convocazione dalla legge, può essere modificata con un regolamento condominiale? La risposta è negativa. L'art. 1138 c.c. stabilisce espressamente al comma quarto che le norme del regolamento non possono in nessun caso derogare di alcuni articoli, tra cui è ricompreso proprio l'art. 1136.
Ne consegue che la parte di regolamento che recita "Nel caso che nella prima riunione non venissero raggiunti i due terzi dei valori di cui alla tabella A si procederà alla seconda convocazione nella quale si delibererà validamente qualunque sia il numero degli intervenuti" risulta inapplicabile.

Per deliberare circa la riduzione dell'orario di lavoro del portiere si ritiene sufficiente una decisione assunta dall'assemblea con le maggioranze assembleari ordinarie previste dall'art. 1136 c.c., sopra richiamate.

Rifiuto del portiere di vedersi ridurre l'orario di lavoro e licenziamento

Poiché il portiere ha un regolare contratto di lavoro, la riduzione dell'orario di lavoro deve avvenire con l'accordo tra questi e il condominio: in mancanza di consenso del portiere, la delibera, anche se regolarmente emessa dall'assemblea, non può essere attuata.

Se il portiere non risulta disponibile a ridurre il proprio orario, e non sussistano comportamenti del lavoratore tali da giustificare un licenziamento, il condominio non può procedere al licenziamento del portiere. Il d.lgs. 25 febbraio 2000, n. 61, art. 3, stabilisce che "La disponibilità allo svolgimento del rapporto di lavoro a tempo parziale ai sensi del comma 7 richiede il consenso del lavoratore formalizzato attraverso uno specifico patto scritto, anche contestuale al contratto di lavoro, reso, su richiesta del lavoratore, con l’assistenza di un componente della rappresentanza sindacale aziendale indicato dal lavoratore medesimo. L'eventuale rifiuto dello stesso non integra gli estremi del giustificato motivo di licenziamento". Lo stesso principio è accolto dal d. lgs. n. 81/2015 (c.d. Jobs Act) che ha abrogato il d.lgs. 61/2000.

Solo l'abolizione completa del servizio di portierato può motivare un licenziamento per causa oggettiva: al lavoratore dovrà essere dato il preavviso previsto dal CCNL di riferimento.

Nel caso di specie, è quindi consigliabile raggiungere un'intesa con il portiere, per non rischiare ritorsioni legali in caso di licenziamento per il rifiuto di passare a un contratto a tempo parziale

Annibale C. chiede
venerdì 11/02/2011 - Lazio

“Se nello stesso condominio un condomino ha più appartamenti, in base all'art 1136 del codice civile, quanti voti vale la sua presenza all'assemblea condominiale? Tanti voti quanti il numero degli appartamenti che possiede oppure uno, in base alla sua presenza? Grazie e cordiali saluti.”

Consulenza legale i 11/02/2011

Nelle votazioni dell'assemblea condominiale rileva sia il numero di millesimi posseduti che quello dei condomini presenti.
Il condomino proprietario di più appartamenti ha diritto ad esprimere un solo voto, secondo il principio " ad ognuno un voto".


G. M. chiede
mercoledì 02/11/2022 - Emilia-Romagna
“Oggetto: posa di un impianto fotovoltaico per uso proprio, sul tetto comune.
Sono a chiedere un chiarimento relativamente ad una problematica che mi procura dubbi e incertezze…riguarda la dicitura …..farne parimenti uso.
L’art. 1102 stabilisce infatti che ciascun condomino può usare gli spazi comuni a patto che non ne modifichi la destinazione e non impedisca agli altri condomini di farne parimenti uso.
Riguardo a quanto viene detto all’art. 1102 mi chiedo quindi come dovrebbe essere suddivisa la superficie del tetto fruibile per la posa del fotovoltaico.
C’è chi dice che detta superficie
1 deve essere suddivisa per n. condomini in parti uguali…es.: se 100 mq disponibili per 10 condomini, spettano 10 mq. di superficie di tetto cadauno
2 viene anche detto che la superficie può essere suddivisa per mm di proprietà, spettano mq di superficie ripartiti per i millesimi di proprietà
Viene anche specificato che per la divisone della superficie fruibile non deve considerarsi la consistenza della proprietà, cioè i millesimi, quindi vale il primo punto di cui sopra ?
A riguardo, anche leggendo diverse sentenze e diverse indicazioni autorevoli, che si trovano innumerevoli in rete, dove vengono riportate entrambe valide le due soluzioni, che mi sembrano contrastanti, i miei dubbi non solo non si risolvono, ma al contrario mi rendono più contrastato è incerto su come dovrei ragionare per un appropriato dimensionamento dell’impianto che vorrei installare… superficie in parti uguali o per millesimi di proprietà.
Grazie per la cortese attenzione”
Consulenza legale i 09/11/2022
La norma di legge per la questione in oggetto è l’art. 1122 bis c.c. che afferma il diritto dei condomini ad installare gli impianti per la produzione dell’energia da fonti rinnovabili sul lastrico solare o su ogni altra idonea superficie comune e sulle parti di proprietà individuale dell’interessato.

Nel caso in cui l’intervento vada a modificare parti comuni – come è il caso dell’impianto posizionato sul lastrico solare comune - è necessario comunicarlo all’amministratore il quale trasmetterà la notizia all’assemblea che potrà prescrivere, con la maggioranza degli intervenuti ed almeno i due terzi del valore dell’edificio (art. 1136 comma 5), le modalità alternative di esecuzione, imporre cautele a salvaguardia della stabilità, sicurezza e decoro architettonico e ripartirà l’uso del lastrico solare e delle altre superfici comuni.

L’unico limite stabilito dalla legge per questa ripartizione è la salvaguardia delle diverse forme di utilizzo previste dal regolamento di condominio o in qualunque atto.

Si tenga presente che l’art. 1118 del c.c. stabilisce che il diritto di ciascun condomino sulle parti comuni è proporzionale al valore dell’unità immobiliare di sua proprietà salvo che il titolo disponga diversamente.

In linea generale, quindi, si può ritenere che il criterio da applicare per la suddivisione del lastrico solare per il posizionamento del fotovoltaico, sia il medesimo che viene utilizzato per assegnare i diritti sulle parti comuni – e di conseguenza per la ripartizione delle spese - all’interno del condominio.
La suddivisione in millesimi è senza dubbio corretta e può essere sottoposta per l’approvazione da parte dell’assemblea con la maggioranza indicata nell’art. 1136 comma 5.

A parere dello scrivente, però, l’assemblea, può deliberare di suddividere il lastrico solare in maniera diversa, ad esempio, in parti uguali in base al numero di unità immobiliari.
L’art. 1123 del c.c. stabilisce che il criterio legale del valore della proprietà ai fini della ripartizione delle spese condominiali, possa essere modificato con una convenzione tra le parti approvata all’unanimità (Cass. Civ. 6010/2019, Cass. Civ. 21086/2022).
Si ritiene, quindi, che, in via cautelativa e per analogia con l' art. 1123 del c.c., sia opportuno ottenere una delibera assembleare all’unanimità per la suddivisione del lastrico solare in base al numero di unità immobiliari.

La fattispecie trattata è norma speciale rispetto all’art. 1102 del c.c. che, pur rimanendo principio basilare dei rapporti tra partecipanti alla comunione, viene derogata dalla disposizione dell’art. 1122 bis c.c. che permette di adibire una parte comune per un uso esclusivo in relazione all’apposizione di un impianto di energia da fonti rinnovabili e limitatamente all’ampiezza della superficie deliberata dall’assemblea.

A. M. chiede
lunedì 17/10/2022 - Sardegna
“Pre.mo Studio
Sono proprietario di appartamento al piano terra in un condominio di 4 piani con altre 10 proprietà. Il mio appartamento é totalmente autonomo dal condominio, con ingresso separato, servizi esclusivi (luce, acqua) ed autonomi, non partecipo alle spese comuni del condominio (pulizie parti comuni, ascensore, energie condominiali etc .. ), ma solo a quelle di carattere generale.
Il mio appartamento é corredato di un posto auto e di una giardino, non accessibile da alcuna parte del piano terreno del condominio, di mia ESCLUSIVA PROPRIETA', come da atto notarile di acquisto. Peraltro, l'appartamento fu acquistato non dalla ditta costruttrice dell'immobile, ma dal proprietario persona fisica che aveva in godimento tale proprietà.
L'appartamento ha una superficie catastale di 78 mq, il cortile ed il posto auto raggiungono insieme circa 35 mq. Ciò nonostante, il valore millesimale del mio appartamento é indicato come 111/1000, come si rileva dal regolamento del condominio, il secondo valore per importanza dopo l'attico nell'intero condominio. Ho regolarmente pagato sempre le quote a me spettanti, però ora ritengo che la mia proprietà e soprattutto il cortile e il posto auto non debbano essere conteggiate nei valori millesimali, ovvero tali valori sono sempre stati conteggiati in eccesso a mio carico.
Se la mia tesi é corretta, debbo richiedere o posso richiedere la revisione dei millesimi e richiedere il risarcimento delle quote oltremodo ingiustamente pagate ? La revisione millesimale a chi va richiesta ? Cosa può fare l'amministratore del condominio in questa singolare vertenza ?
Grazie per la vostra risposta. Se il mio quesito non é chiaro, posso fornirvi eventuali altre delucidazioni.
Ho provveduto al pagamento della consulenza richiesta.

Consulenza legale i 24/10/2022
Il caso qui prospettato riguarda la richiesta di un condomino, proprietario di un appartamento a piano terra, di un giardino e posto auto all’interno di un Condominio, sulla possibilità di far revisionare le tabelle millesimali allegate al Regolamento di Condominio al fine di avere una riduzione delle spese condominiali.
È utile, in primo luogo, l’analisi delle norme che regolano la complessa materia.
Secondo il Codice Civile, ciascun condomino ha diritto sulle parti comuni proporzionalmente al valore dell’unità immobiliare e questo diritto è irrinunciabile (art. 1118 del c.c.).
Il condomino inoltre non può sottrarsi all’obbligo di contribuire alle spese per la conservazione delle parti comuni (art. 1118 comma 3) e tali spese sono sostenute in misura del valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione (art.1123 c.c comma 1).
Il valore proporzionale di ciascuna unità immobiliare è espresso in millesimi nella tabella che viene allegata al regolamento di condominio (art. art. 68 delle disp. att. c.c. ).
Per quanto riguarda l’onere economico gravante sulla proprietà, esso può essere modificato seguendo due strade differenti:
1) con una convenzione tra le parti sulla ripartizione delle spese che deve essere approvata all’unanimità dai condomini e che deroghi al criterio legale del valore della proprietà come stabilito dall’art. 1123 c.1 (Cass. Civ. 6010/2019, Cass. Civ. 21086/2022);
2) con la revisione delle tabelle millesimali di proprietà con le modalità previste dall’art. 69 disp. att. c.c.
In linea generale, detto articolo stabilisce che la modifica delle tabelle in deroga al regime legale deve essere approvata dall’assemblea all’unanimità.
È però possibile la revisione delle tabelle con la maggioranza qualificata (maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio) prevista dall’art. 1136 c.2 c.c., quando ha “funzione solo ricognitiva di quanto stabilito dalla legge quindi dell'esattezza delle operazioni tecniche di calcolo della proporzione tra la spesa ed il valore della quota o la misura dell'uso” (Cass. Civ. 3401/2021, Cass. Civ. 6735/2020).
Nello specifico, l’art 69 disp. att c.c., stabilisce che questa maggioranza sia necessaria nei casi in cui risulti che la tabella sia conseguenza di un errore o quando per le mutate condizioni di una parte dell’edificio per sopraelevazione o incremento o diminuzione di superfici o di unità immobiliari, il valore proporzionale anche di un solo condomino è alterato per più di 1/5.
In questo caso il costo è sostenuto da chi ha dato luogo alla variazione e legittimato passivo in giudizio è il solo amministratore che ha l’obbligo di darne notizia senza indugio all’assemblea a pena di revoca e all’obbligo del risarcimento degli eventuali danni.
Per il caso di specie è necessario fare una premessa: nel calcolo dei millesimi della proprietà sono ricompresi tutti gli elementi intrinseci (quali la metratura) e tutti gli elementi estrinseci (quali l’esposizione) e le pertinenze, tra cui anche i giardini esterni di proprietà esclusiva che contribuiscono senza dubbio ad aumentare il valore dell’immobile “in quanto consentono un migliore godimento dei singoli appartamenti al cui servizio ed ornamento sono destinati in modo durevole, determinando un accrescimento del valore patrimoniale dell'immobile” (Cass. Civ. 21043/2017).
Inoltre, l’appartamento oggetto della questione fa parte di un complesso condominiale che, pur essendo autonomo come ingresso e come impianti dal resto del Condominio, è sovrastato da altri 4 piani dell’immobile che gli funge da tetto e copertura.
Essendo quindi strutturalmente connesso al Condominio, il proprietario dell’appartamento dovrà partecipare in ogni caso alle spese condominiali anche se proporzionalmente all’uso che potrà farne (art. 1123 c. 2 c.c.).
Avendo impianti e ingresso autonomi, il condomino correttamente non paga null’altro che le spese di carattere generale del Condominio.
Si ritiene quindi che una modifica della modalità di ripartizione delle spese con convenzione tra tutti i condomini (ai sensi dell’art. 1123 c.1) non abbia ragion d’essere poiché il condomino già non contribuisce al mantenimento dei singoli costi delle parti comuni.
Potrebbe invece essere effettuato da un tecnico il ricalcolo delle tabelle millesimali per verificare che effettivamente i millesimi di proprietà siano stati calcolati correttamente.
Nel caso ci fosse stato un errore di calcolo, le tabelle potranno essere modificate con la maggioranza qualificata prevista dall’art. 1136 c.2 c.c. e, in caso non fosse possibile
l’approvazione assembleare e fosse necessario adire in giudizio il Condominio, la legittimazione passiva spetterebbe all’Amministratore ai sensi dell’art 69 c. 2 disp att. c.c. come sopra indicato.
Si sottolinea che la sentenza di modifica delle tabelle millesimali ha natura costitutiva e non dichiarativa e quindi non ha effetto retroattivo.
Non potranno quindi essere annullate le precedenti delibere e non sarà possibile richiedere quanto pagato se non con un’azione di indebito arricchimento ai sensi dell’art. 2041 del c.c. (Cass. Civ. 4844/2017, Corte d’Appello Roma n. 1825/2021).
Nel caso in cui non ci fosse stato nessun errore nella redazione delle tabelle, la ripartizione delle spese in considerazione dei millesimi come previsto dalla legge, potrà essere modificata solo con l’approvazione dell’assemblea all’unanimità.
Si ritiene non sia opportuno rivolgersi all’autorità giudiziaria in caso di rifiuto dell’assemblea di modificare le tabelle poiché, non essendoci alcuna violazione di legge, un’azione giudiziaria avrebbe esito negativo.

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