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Articolo 133 Codice Penale

(R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398)

[Aggiornato al 23/02/2024]

Gravità del reato: valutazione agli effetti della pena

Dispositivo dell'art. 133 Codice Penale

Nell'esercizio del potere discrezionale indicato nell'articolo precedente [164, 169, 175, 203], il giudice deve tener conto della gravità del reato(1), desunta:

  1. 1) dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dall'oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra modalità dell'azione(2);
  2. 2) dalla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato(3);
  3. 3) dalla intensità del dolo o dal grado della colpa(4).

Il giudice deve tener conto, altresì, della capacità a delinquere(5) del colpevole [103, 105, 108; c.p.p. 220], desunta:

  1. 1) dai motivi a delinquere(6) e dal carattere del reo(7);
  2. 2) dai precedenti penali e giudiziari e, in genere, dalla condotta e dalla vita del reo, antecedenti al reato(8);
  3. 3) dalla condotta contemporanea o susseguente al reato(9);
  4. 4) dalle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo.

Note

(1) Nell'esercizio del suo potere discrezionale il giudice deve tenere cono di due diversi parametri: la gravità del reato (comma 1) e la capacità a delinquere (comma 2), che devo no essere desunti dagli indici riportati specificatamente dalla norma in esame.
(2) Il primo indice atto a valutare la gravità del reato attiene al disvalore dell'azione criminosa, che può desumersi, ad esempio, dalla natura, dalla specie del reato in esame e/o dai mezzi utilizzati. Si pensi quindi, per chiarire, al ruolo della durata della condotta tipica nei reati permanenti, ovvero alle particolari condizioni di clandestinità dell'arma nel caso di porto illegale.
(3) Relativamente a tale indice dovrà guardarsi al bene giuridico leso (ad esempio la vita nel caso di omicidio).
(4) Non è però solo il contributo oggettivo che rileva, ma anche quello soggettivo. Di conseguenza, il giudice è tenuto a valutare l'intensità del dolo, in virtù del grado di adesione volontaristica dell'agente al fatto criminoso (distinguendosi, in tal caso, tra dolo intenzionale e dolo eventuale (art. 43), della complessità del processo deliberativo (che permette di distinguere tra dolo d'impeto, nel quale la decisione di commettere il reato sorge improvvisa e viene immediatamente eseguita, e dolo di proposito, nel quale un consistente lasso temporale intercorre tra la formulazione del proposito e la sua attuazione, e dolo di premeditazione, che figura come circostanza aggravante nell'omicidio e nelle lesioni personali (art. 577), nonché del grado di consapevolezza del disvalore penale del fatto.
Per quanto attiene al grado della colpa, rilevano il livello di previsione (colpa cosciente) o di prevedibilità (colpa incosciente) dell'evento criminoso (art. 43) e il grado di esigibilità del modello comportamentale dovuto dall'agente.
(5) Non è pacifico cosa debba intendersi per capacità a delinquere. Chi sostiene la funzione retributiva della pena, la considera come l'attitudine al crimine commesso, in grado di esprimere i livello di morale partecipazione, e dunque di responsabilità. Altri, invece, propendono a considerarla l'attitudine a commettere nuovi reati, ritenendo centrale la funzione rieducativa della pena (secondo quanto previsto dall'articolo 27, c. 3, Cost.).
(6) La disposizione richiama i c.d. motivi a delinquere. Tali sarebbero quegli impulsi di natura psichica che determinano l'agire dell'uomo, e proprio questa loro caratterizzazione, ovvero l'attinenza alla sfera della psiche, porta alcuni autori a criticare il loro inserimento nella norma in esame, in quanto il giudice non avrebbe le competenze necessarie a emettere giudizi su pulsioni non manifeste.
(7) L'espressione carattere del reo ha un ampio ambito di applicazione, in quanto attiene alle diverse componenti della personalità umana, siano esse biologiche, etiche o psichiche. Tuttavia una parte della dottrina ritiene che, in tale sede, dovrebbero rilevare solo i profili innati della personalità.
(8) La valutazione diretta alla quantificazione della pena da irrogare può quindi prende in considerazione condotte e situazioni diverse da quelle strettamente inerenti al reato. Per chiarire, si fa riferimento alle generiche manifestazioni di devianza (come l'alcolismo), i precedenti giudiziari (come provvedimenti di interdizione o inabilitazione, dichiarazioni di fallimento), eventuali precedenti penali (rimane però controversa la rilevanza delle sentenze di proscioglimento per amnistia propria).
(9) Per esemplificare il riferimento è qui, ad esempio ad una lunga esitazione prima del delitto quale indice di una minor riprovevolezza dell'agire criminoso, o ad un atteggiamento particolarmente cinico nella perpetrazione di un delitto contro la persona, o alla successiva collaborazione processuale del reo.

Ratio Legis

La norma ha un'importanza fondamentale, in quanto ha la funzione di indirizzare il giudice nell'esercizio del potere discrezionale, sulla base di parametri oggettivi, legati alla gravità del reato, e soggettivi, relativi invece alla capacità a delinquere del reo. Tuttavia, nonostante l'analitica descrizione degli indici fattuali di commisurazione della pena, secondo alcuni autori la norma manca di indicare i criteri finalistici sottesi, nel senso che non è chiaro se la gravità del fatto e la capacità a delinquere vadano interpretate in chiave retributiva ovvero specialpreventiva. Si tratta di uno snodo dottrinale rilevante, stante la polivalenza dei termini utilizzati, ancora fortemente dibattuto. Secondo un'interpretazione costituzionalmente orientata, la soluzione starebbe nei binomi retribuzione-gravità del reato e specialprevenzione-capacità criminale.

Spiegazione dell'art. 133 Codice Penale

L'articolo in esame è complementare a quanto disposto dal precedente (art. 132) in tema di potere discrezionale conferito al giudice nell'applicazione e nella determinazione della pena.

La prima parte parte della norma disciplina la valutazione circa la gravità del reato e le modalità tramite le quali si è estrinsecato.

Il giudice deve quindi procedere all'analisi della natura, della specie, dei mezzi, dell'oggetto, del tempo e dal luogo del reato, unitamente ad ogni altra modalità dell'azione.

In secondo luogo il giudice deve valutare attentamente l'attitudine del soggetto a commettere reati, desumendola dai motivi a delinquere e dal carattere del reo, dalla condotta di vita del reo e dai suoi eventuali precedenti penali, dalla condotta del colpevole, anche susseguente al reato, nonché dalle condizioni familiari e sociali del reo.

Come si intuisce dalla moltitudine di parametri elencati, tale norma si rivela di fondamentale importanza ai fini dell'esercizio del potere discrezionale da parte del giudice.

Massime relative all'art. 133 Codice Penale

Cass. pen. n. 6596/2023

Il giudizio sulla pericolosità sociale rilevante ai fini dell'applicazione di una misura di sicurezza postula la valutazione congiunta di tutte le circostanze indicate dall'art. 133 cod. pen., come prescritto dall'art. 203, comma secondo, cod. pen. (Fattispecie in cui la Corte ha annullato con rinvio la decisione che, inferendo il pericolo di recidiva unicamente dalle modalità di commissione del reato e dai disturbi psichiatrici dell'imputato, aveva applicato la misura di sicurezza di cui all'art. 219 cod. pen., senza valutare gli altri parametri indicati dall'art. 133 cod. pen.).

Cass. pen. n. 37346/2022

L'ammissione dell'imputato maggiorenne alla messa alla prova è subordinata al vaglio discrezionale del giudice di merito circa la possibilità di rieducazione e di inserimento dell'interessato nella vita sociale ed è espressione di un giudizio prognostico, insindacabile in sede di legittimità se sorretto da adeguata motivazione, condotto sulla scorta dei molteplici indicatori desunti dall'art. 133 cod. pen., inerenti sia alle modalità della condotta che alla personalità del reo, sulla cui base ritenere che l'imputato si asterrà dal commettere ulteriori reati.

Cass. pen. n. 26257/2022

In tema di reati concernenti le sostanze stupefacenti, il riconoscimento dell'ipotesi del fatto di lieve entità non implica che la pena debba essere determinata in misura corrispondente o prossima al minimo edittale, rientrando nel potere discrezionale del giudice graduarla valorizzando gli stessi indici della lievità del fatto, oltre che gli elementi di cui all'art. 133 cod. pen..

Cass. pen. n. 5622/2021

In tema di concorso di circostanze aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato o di circostanze ad effetto speciale, è richiesto al giudice uno specifico dovere di motivazione sia ove egli escluda la rilevanza della circostanza concorrente meno grave, sia ove la ritenga, dovendo essere indicate, in quest'ultimo caso, le ragioni che hanno indotto alla quantificazione dell'aumento.

Cass. pen. n. 36532/2021

È legittima la decisione che determini la pena base nel minimo edittale e contestualmente applichi nella misura minima la diminuzione per le riconosciute circostanze attenuanti generiche, in quanto non sussiste un rapporto di necessaria interdipendenza tra le due statuizioni, le quali - pur richiamandosi entrambe astrattamente ai criteri fissati dall'art. 133 cod. pen. - si fondano su presupposti diversi.

Cass. pen. n. 35534/2021

La rinuncia ai motivi d'appello non costituisce di per sé, anche per via della reintroduzione del cd. patteggiamento in appello, ragione sufficiente per il riconoscimento all'imputato delle circostanze attenuanti generiche, potendo, al più, essere valutata in rapporto alla condotta successiva al reato di cui all'art. 133, comma secondo, n. 3, cod. pen., come espressione di una ridotta capacità a delinquere, sempreché non emergano elementi di segno contrario.

Cass. pen. n. 37533/2021

La sostituzione delle pene detentive brevi è rimessa alla valutazione discrezionale del giudice ed è consentita anche in relazione a condanna inflitta a persona in condizioni economiche disagiate, poiché la prognosi di inadempimento, ostativa alla sostituzione in forza dell'art. 58, secondo comma, legge 24 novembre 1981, n. 689, si riferisce soltanto alle pene sostitutive di quella detentiva accompagnate da prescrizioni, ossia alla semidetenzione e alla libertà controllata.

Cass. pen. n. 17347/2021

In tema di concorso di circostanze del reato, il giudizio di bilanciamento ha carattere unitario e riguarda tutte le circostanze coinvolte nel procedimento di comparazione, sia quelle comuni che ad effetto speciale, in quanto la disciplina differenziata per queste ultime riguarda solo l'applicazione degli aumenti o delle diminuzioni di pena e non il concorso di circostanze attenuanti ed aggravanti. (In motivazione la Corte ha, altresì, precisato che la preclusione al bilanciamento opera solo nei casi in cui vi sia un espresso divieto di comparazione).

Cass. pen. n. 37834/2020

Ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, in base ai criteri indicati dall'art. 133, primo comma, cod. pen., che può prendere in considerazione anche le precarie condizioni economiche dell'agente al momento della commissione del reato qualora incidano sull'intensità del dolo. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto corretta l'assoluzione ai sensi dell'art. 131-bis cod. pen. dell'imputata che, a causa della grave difficoltà economica in cui versava e dell'esigenza di garantire a sé e ai figli minori una stabile situazione abitativa, aveva occupato abusivamente un alloggio di proprietà dello I.A.C.P. che aveva liberato, dopo circa un anno, appena trovato un lavoro).

Cass. pen. n. 3779/2020

In tema di applicazione della pena su richiesta, l'apprezzamento sulla congruità o meno della pena proposta non può essere espressione di un giudizio arbitrario, svincolato da qualsivoglia parametro, non solo di legittimità, ma anche di ragionevolezza, ma deve costituire l'esito di un giudizio complesso che, utilizzando i criteri previsti nell'art. 444, comma 2, cod. proc. pen., tenuto conto delle finalità della pena di cui all'art. 27 Cost., pervenga ad una valutazione di sostanziale adeguatezza del trattamento sanzionatorio concordato rispetto all'oggettiva entità del fatto in contestazione ed alla personalità dell'imputato, secondo i parametri dell'art. 133 cod. pen..

Cass. pen. n. 32381/2020

In tema di sostituzione di pene detentive brevi, la valutazione della sussistenza dei presupposti per l'adozione, ai sensi dell'art. 53, legge 24 novembre 1981 n. 689, di una pena pecuniaria in sostituzione di una detentiva, pur essendo legata ai medesimi criteri previsti dall'art. 133 cod. pen. per la determinazione della pena, non implica necessariamente l'esame di tutti i parametri contemplati nella predetta norma. (Fattispecie di guida sotto l'influenza dell'alcool, in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la decisione di rigetto dell'istanza di sostituzione sulla sola base di precedente specifico con pena sospesa).

Cass. pen. n. 36256/2020

In tema di reati fallimentari, la durata delle pene accessorie deve essere determinata in concreto dal giudice sulla base dei criteri di cui agli artt. 132 e 133 cod. pen., da parametrarsi, con specifica ed adeguata motivazione, alla funzione preventiva ed interdittiva delle stesse.

Cass. pen. n. 32511/2020

In tema di determinazione della pena nel reato continuato, non sussiste obbligo di specifica motivazione per ogni singolo aumento, essendo sufficiente indicare le ragioni a sostegno della quantificazione della pena-base, vieppiù quando non è possibile dubitare del rispetto del limite legale del triplo della pena base ex art. 81, comma primo, cod. pen., in considerazione della misura contenuta degli aumenti di pena irrogati, e i reati posti in continuazione siano integrati da condotte criminose seriali ed omogenee (nella specie plurimi delitti di furto in abitazione e ai danni di capannoni industriali).

Cass. pen. n. 33114/2020

In tema di circostanze, il giudizio di bilanciamento tra le aggravanti e le attenuanti costituisce esercizio del potere valutativo riservato al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità, ove congruamente motivato alla stregua anche solo di alcuni dei parametri previsti dall'art. 133 cod. pen., senza che occorra un'analitica esposizione dei criteri di valutazione adoperati. (Conf. n. 10379/1990, Rv. 184914; n. 3163/1988, Rv. 180654).

Cass. pen. n. 23903/2020

Al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall'art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all'entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può risultare all'uopo sufficiente.

Cass. pen. n. 16508/2020

In tema di pene accessorie, il giudice è tenuto a determinare la durata dell'interdizione dai pubblici uffici, in caso di condanna per uno dei delitti di cui all'art. 317-bis cod. pen., modulandola in correlazione al disvalore del fatto di reato e alla personalità del responsabile ai sensi dell'art. 133 cod. pen., sicchè la stessa non deve necessariamente essere pari alla durata della pena principale.

Cass. pen. n. 23101/2020

In tema di misure di sicurezza personali, la pericolosità sociale rilevante per l'applicazione della misura facoltativa dell'espulsione dal territorio dello Stato di cui all'art. 235 cod. pen. consiste nel pericolo di commissione di nuovi reati e deve essere valutata tenendo conto dei rilievi peritali sulla personalità, sugli effettivi problemi psichiatrici e sulla capacità criminale dell'imputato, nonché sulla scorta di ogni altro parametro valutativo di cui all'art. 133 cod. pen..

Cass. pen. n. 14704/2020

In tema di misure di sicurezza personali, il giudizio di pericolosità del condannato richiesto per l'applicazione dell'espulsione dal territorio dello Stato deve essere effettuato sulla scorta dei parametri valutativi di cui all'art. 133 cod. pen., tenendo conto della gravità del reato e della capacità a delinquere del reo e rimanendo coerente e consequenziale rispetto al tessuto argomentativo su cui il giudice di merito ha fondato la propria decisione, onde esso può trovare implicito ma inequivoco fondamento anche nelle circostanze di fatto e nelle valutazioni personologiche effettuate ai fini del giudizio di responsabilità e della commisurazione della sanzione.

Cass. pen. n. 11992/2020

È legittima la pronuncia di diniego implicito della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, anche nel caso di concessione della sospensione condizionale della pena e di riconoscimento delle attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulle contestate aggravanti, quando il giudice, tenuto conto della gravità delle condotte e degli altri elementi di valutazione indicati dall'art. 133 cod. pen., ritenga che l'imputato non possa usufruire di ulteriori benefici. (Fattispecie in tema di rapina in concorso di quattro pizze e quattro lattine di coca-cola).

Cass. pen. n. 42121/2019

In tema di determinazione del trattamento sanzionatorio, la discrezionalità del giudice nell'applicare la diminuzione derivante dalla ritenuta ricorrenza di una o più circostanze attenuanti deve trovare giustificazione nella motivazione della sentenza e il relativo onere è tanto più intenso quanto più contenuta è l'incidenza del beneficio rispetto alla pena in concreto stabilita. (Fattispecie in cui la Corte ha annullato con rinvio la sentenza di condanna che, riconosciute all'imputato le attenuanti generiche, aveva diminuito di un ottavo la pena detentiva e di un sesto quella pecuniaria, non motivando in ordine al rilevante scostamento dalla misura massima dell'entità di tale beneficio).

Cass. pen. n. 34878/2019

In tema di sospensione del processo con messa alla prova, il giudizio in merito all'adeguatezza del programma presentato dall'imputato va operato sulla base degli elementi evocati dall'art. 133 cod. pen., in relazione non soltanto all'idoneità a favorirne il reinserimento sociale, ma anche all'effettiva corrispondenza alle condizioni di vita dello stesso, avuto riguardo alla previsione di un risarcimento del danno corrispondente, ove possibile, al pregiudizio arrecato alla vittima o che, comunque, sia espressione dello sforzo massimo sostenibile dall'imputato alla luce delle sue condizioni economiche, che possono essere verificate dal giudice ex art. 464-bis, comma 5, cod. proc. pen..

Cass. pen. n. 27964/2019

Ai sensi dell'art. 133, comma secondo, nn. 1) e 3), cod. pen., il giudice, in relazione alla concessione o al diniego delle circostanze attenuanti generiche come - in caso affermativo - alla misura della riduzione di pena, deve tenere conto anche della condotta serbata dall'imputato successivamente alla commissione del reato e nel corso del processo, in quanto rivelatrice della sua personalità e, quindi, della sua capacità a delinquere. (Fattispecie in cui la Suprema Corte ha annullato con rinvio la decisione del giudice di merito che aveva negato la concessione delle attenuanti generiche all'imputato, nonostante questi avesse proceduto, ai fini risarcitori, alla vendita di un immobile di sua proprietà ed avesse proficuamente svolto attività di volontariato a servizio di anziani).

Cass. pen. n. 27547/2019

In tema di circostanze attenuanti generiche, la confessione giudiziale, quale condotta susseguente al reato, ha una "rilevanza mediata" al fine della concessione delle stesse, ex art. 133, comma secondo, n. 3, cod. pen., da ritenersi indicatore utile nei limiti di effettiva incidenza sulla capacità a delinquere e non come mero strumento di semplificazione probatoria. (Fattispecie nella quale la Corte ha ritenuto inammissibile il motivo relativo al mancato riconoscimento della prevalenza delle circostanze attenuanti generiche in presenza di una prova già granitica della responsabilità, riscontrando la strategia meramente speculativa che aveva determinato la confessione).

Cass. pen. n. 10995/2018

Ritenuta la continuazione tra più reati, il giudice può riconoscere le attenuanti generiche secondo i parametri "oggettivi" o "soggettivi" previsti dall'art. 133 cod. pen., sicché se la concessione richiama elementi di fatto di natura oggettiva l'applicazione sarà riferita allo specifico fatto reato senza estensione del beneficio a tutti i reati avvinti dal vincolo della continuazione, mentre se gli elementi circostanziali siano riferibili all'imputato, sulla base di elementi di fatto di natura soggettiva, l'applicazione deve essere riferita indistintamente a tutti i reati uniti dal vincolo della continuazione.(In applicazione del principio la Corte ha annullato la sentenza che aveva riconosciuto le circostanze attenuanti generiche venivano riconosciute sulla base del "comportamento processuale tenuto dagli imputati, ma le aveva applicate al solo reato satellite e non alla pena base).

Cass. pen. n. 43631/2017

Ai fini dell'applicazione delle misure di sicurezza, la prognosi di pericolosità sociale non può limitarsi all'esame delle sole emergenze di natura medico-psichiatrica, ma implica la verifica globale delle circostanze indicate dall'art. 133 cod. pen., espressamente richiamato dall'art. 203 dello stesso codice, fra cui la gravità del reato commesso e la personalità del soggetto, così da approdare ad un giudizio di pericolosità quanto più possibile esaustivo e completo.

Cass. pen. n. 42737/2016

In tema di sospensione condizionale della pena, il giudice, nell'esprimere il giudizio prognostico richiesto dalla legge sul comportamento futuro dell'imputato, deve prendere in considerazione tutte le circostanze indicate dall'art. 133 cod. pen., con riguardo alla personalità dell'imputato stesso, e, qualora taluni elementi vengano ritenuti prevalenti in senso ostativo alla concessione del beneficio mentre altri inducano a propendere per un diverso esito, è necessario che dia conto, con adeguata motivazione, di tale prevalenza, al fine di consentire un controllo sull'uso del potere discrezionale esercitato. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto viziata la sentenza che aveva motivato la mancata concessione del beneficio facendo riferimento all'idoneità della prosecuzione dello stato detentivo a favorire un percorso di revisione critica della pregressa condotta criminale).

Cass. pen. n. 26557/2016

In tema di stupefacenti, il giudice dell'esecuzione che procede alla rideterminazione della pena in applicazione della disciplina più favorevole determinatasi per le c.d. "droghe leggere" per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014, non può revocare la sanzione accessoria del ritiro della patente di guida inflitta ai sensi dell'art. 85 d.P.R. 309 del 1990, disposizione attualmente in vigore nella sua originaria formulazione, né può modificare la suddetta sanzione accessoria qualora nella sentenza di condanna il giudice della cognizione abbia adeguatamente motivato il proprio convincimento in ordine alla specie e alla durata della sanzione accessoria e questa sia, in relazione alla pena principale rideterminata, conforme al parametro legale.

Cass. pen. n. 3155/2014

Deve ritenersi adempiuto l'obbligo di motivazione del giudice di merito sulla determinazione in concreto della misura della pena, allorché siano indicati nella sentenza gli elementi ritenuti rilevanti o determinanti nell'ambito della complessiva dichiarata applicazione di tutti i criteri di cui all'art. 133 cod. pen.

Cass. pen. n. 27959/2013

L'irrogazione della pena in una misura prossima al massimo edittale rende necessaria una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata, non essendo sufficienti a dare conto dell'impiego dei criteri di cui all'art. 133 cod. pen. le espressioni del tipo: "pena congrua", "pena equa" o "congruo aumento", come pure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere. (Fattispecie in cui la Corte ha annullato la pronuncia di condanna ad una pena prossima al massimo edittale per aver definito la sanzione in motivazione come "equa e proporzionata" e tale da mantenere un rapporto di "congruità" con la "gravità della condotta").

Cass. pen. n. 24213/2013

In tema di determinazione della pena, quanto più il giudice intenda discostarsi dal minimo edittale, tanto più ha il dovere di dare ragione del corretto esercizio del proprio potere discrezionale, indicando specificamente, fra i criteri oggettivi e soggettivi enunciati dall'art. 133 c.p., quelli ritenuti rilevanti ai fini di tale giudizio. (Fattispecie in cui la Corte di Appello aveva confermato la pena irrogata dal primo giudice, assumendo il massimo edittale quale parametro per il computo della diminuente del rito abbreviato, senza dare risposta ai rilievi contenuti nei motivi di appello).

Cass. pen. n. 21294/2013

La determinazione della pena tra il minimo ed il massimo edittale rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito ed è insindacabile nei casi in cui la pena sia applicata in misura media e, ancor più, se prossima al minimo, anche nel caso il cui il giudicante si sia limitato a richiamare criteri di adeguatezza, di equità e simili, nei quali sono impliciti gli elementi di cui all'art. 133 cod. pen.

Cass. pen. n. 3609/2011

Ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall'art. 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all'entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente in tal senso.

Cass. pen. n. 24476/2010

La sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria è consentita anche in relazione a condanna inflitta a persona in condizioni economiche disagiate, in quanto la prognosi di inadempimento, ostativa alla sostituzione in forza dell'art. 58, secondo comma, L. 24 novembre 1981 n. 689 ("Modifiche al sistema penale"), si riferisce soltanto alle pene sostitutive di quella detentiva accompagnate da prescrizioni, ossia alla semidetenzione e alla libertà controllata, e non alla pena pecuniaria sostitutiva, che non prevede alcuna particolare prescrizione. (Nell'enunciare tale principio, la Corte ha affermato che, nell'esercitare il potere discrezionale di sostituire le pene detentive brevi con le pene pecuniarie corrispondenti, il giudice deve tenere conto dei criteri indicati nell'art. 133 c.p., tra i quali è compreso quello delle condizioni di vita individuale, familiare e sociale dell'imputato, ma non quello delle sue condizioni economiche).

Cass. pen. n. 11920/2010

Nel giudizio volto alla commisurazione della pena e all'applicazione delle circostanze attenuanti generiche può assumere rilievo, in riferimento al parametro della capacità a delinquere, il fatto che l'imputato abbia violato una misura cautelare.

Cass. pen. n. 36245/2009

La specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata, specie in relazione alle diminuzioni o aumenti per circostanze, è necessaria soltanto se la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti essere sufficienti a dare conto dell'impiego dei criteri di cui all'art. 133 c.p. le espressioni del tipo: "pena congrua", "pena equa" o "congruo aumento", come pure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere.

Cass. pen. n. 1786/2009

Ai fini della determinazione della pena il giudice, nel valutare la gravità del danno cagionato dal reato, deve fare riferimento non soltanto a quello derivato, con relazione di diretta immediatezza, dalla lesione del bene protetto, ma anche alle conseguenze dannose indirette di tale lesione, senza però prendere in considerazione pregiudizi che si collocano in una dimensione remota rispetto all'atto lesivo. (Fattispecie relativa alla colposa causazione della morte di un arrestato da parte d'agenti di polizia, nella quale la Corte ha escluso possa assumere rilievo, ai fini di commisurazione della pena, il discredito gettato dagli stessi sulle forze dell'ordine).

Nella commisurazione della pena per il reato d'omicidio, non può assumere rilievo, per giustificare la scelta di una sanzione prossima ai limiti massimi edittali, la giovane età della vittima, in quanto il pregiudizio del bene vita non è in alcun modo graduabile in relazione all'età della persona offesa (fattispecie in tema d'omicidio colposo).

Cass. pen. n. 22632/2008

Il grado della colpa, che rileva ex artt. 43, 61, comma primo, n. 3 e 133 c.p. ai fini della personalizzazione del rimprovero che può essere mosso all'agente, e quindi della sua colpevolezza, va determinato considerando: 1 ) la gravità della violazione della regola cautelare ; 2 ) la misura della prevedibilità ed evitabilità dell'evento; 3 ) la condizione personale dell'agente; 4 ) il possesso di qualità personali utili a fronteggiare la situazione pericolosa ; 5 ) le motivazioni della condotta. Nel caso in cui coesistano fattori differenti e di segno contrario, il giudice dovrà valutarli comparativamente.

Cass. pen. n. 3288/2005

Ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche basta che il giudice del merito prenda in esame quello tra gli elementi indicati nell'articolo 133 c.p. che ritiene prevalente e atto a consigliare o meno la concessione del beneficio; anche un solo elemento che attiene alla personalità del colpevole o all'entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente per negare o concedere le attenuanti stesse.

Cass. pen. n. 36382/2003

La concessione o meno delle attenuanti generiche è un giudizio di fatto lasciato alla discrezionalità del giudice, sottratto al controllo di legittimità, e può ben essere motivato implicitamente attraverso l'esame esplicito di tutti i criteri di cui all'art. 133 c.p.

Cass. pen. n. 9681/2003

Ai fini dell'applicabilità della circostanza attenuante di cui all'art. 62 bis c.p., è necessario che il giudice, qualora la riconosca in relazione ad uno dei parametri indicati nell'art. 133 c.p., quale ad esempio la mancanza di precedenti penali, effettui una valutazione comparativa con gli altri parametri e indichi le ragioni che ne riconoscano il valore preminente.

Cass. pen. n. 22650/2001

Nell'ipotesi di condanna per reati punibili con pena detentiva congiunta a quella pecuniaria, la diminuzione della pena per l'applicazione di circostanze attenuanti (nella specie, generiche) deve riferirsi a entrambe le pene congiunte, ma bene può adottarsi una diversa misura di aumento o di diminuzione in relazione alla pena base pecuniaria e a quella detentiva.

Cass. pen. n. 1384/2000

In tema di esigenze cautelari la valutazione negativa della personalità dell'indagato può desumersi tenendo presenti i criteri, oggettivi e dettagliati stabiliti dall'art. 133 c.p., fra i quali sono comprese le modalità e la gravità del fatto-reato, sicché non deve essere considerato il tipo di reato o una sua ipotetica gravità, ma devono valutarsi situazioni correlate con i fatti del procedimento ed inerenti ad elementi sintomatici della pericolosità del soggetto con una motivazione fondata sulla concretezza dei fatti e non su criteri generici e/o automatici. (Nella fattispecie la Corte ha rigettato il ricorso contro l'ordinanza del tribunale del riesame dando atto che nel procedimento erano stati individuati gli atti o i comportamenti concretamente sintomatici della pericolosità dell'indagato nelle modalità dei fatti e nelle dichiarazioni della parte offesa apprezzate nella loro credibilità sia in base ad un esame della loro coerenza logica intrinseca sia attraverso riscontri oggettivi).

Cass. pen. n. 2416/1999

La pericolosità sociale dell'indagato, valutata ai sensi dell'art. 133 c.p., si pone come presupposto positivo per la applicazione della misura cautelare restrittiva ed impedisce la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena. Pertanto, poiché ogni provvedimento cautelare deve essere proporzionato alla entità del fatto ed alla pena che potrebbe essere irrogata, da un lato, è fatto divieto al giudice di disporre la custodia cautelare qualora ritenga possibile la applicazione del beneficio della sospensione condizionale, dall'altro, la ritenuta sussistenza delle esigenze di cui alla lett. c) dell'art. 274 c.p.c. (la necessità di contrastare, appunto, la pericolosità sociale dell'indagato) impedisce qualsiasi prognosi favorevole in ordine al futuro comportamento dello stesso ed esclude la possibilità di concessione del predetto beneficio.

Cass. pen. n. 5583/1999

In materia di sostituzione delle pene detentive brevi, e con riferimento ai criteri di cui agli artt. 132 e 133 c.p., il giudice non può includere nel criterio di scelta l'eventuale «convenienza», prospettata dalla parte, di vedersi infliggere la pena detentiva, intrinsecamente più grave (nella specie, l'arresto), invece di quella pecuniaria (nella specie, l'ammenda); e ciò in funzione dell'applicabilità del meccanismo di sostituzione ai sensi dell'art. 53 della legge 689/81. Ne deriva che non può configurarsi, nella fattispecie, come «carenza di motivazione» il silenzio della sentenza impugnata in ordine all'anomala richiesta avanzata, in via subordinata, dal difensore, poiché la implicita ma inequivoca risposta negativa a detta istanza si evince, dal corretto riferimento del giudice ai menzionati criteri di cui all'art. 133 c.p., e segnatamente, alla «vita anteatta del reo»: riferimento manifestamente correlato alla funzione rieducativa inerente al genere di sanzione in concreto irrogata.

Cass. pen. n. 150/1999

Nel determinare la pena, il giudice è tenuto a valutare tutti gli elementi previsti dall'art. 133 c.p., ma ciò non comporta che il relativo apprezzamento debba convergere in un'unica direzione, giacché è possibile che alcuno di tali elementi sia ritenuto di valenza tale da sopravanzare quelli di segno opposto pur verificati.

Cass. pen. n. 9120/1998

Deve ritenersi adempiuto l'obbligo di motivazione del giudice di merito sulla determinazione in concreto della misura della pena allorché siano indicati nella sentenza gli elementi ritenuti rilevanti o determinanti nell'ambito della complessiva dichiarata applicazione di tutti i criteri di cui all'art. 133 c.p.

Cass. pen. n. 9116/1998

La riabilitazione estingue le pene accessorie e ogni altro effetto penale della condanna ma non preclude la valutazione dei precedenti penali e giudiziari del riabilitato, e, in genere, della sua condotta e della sua vita, antecedenti al reato, valutazione che l'art. 133, secondo comma, n. 2, rimette al giudice, al fine dell'accertamento della capacità a delinquere del colpevole.

Cass. pen. n. 707/1998

Ai fini dell'applicabilità delle circostanze attenuanti generiche di cui all'art. 62 bis c.p., il giudice deve riferirsi ai parametri di cui all'art. 133 c.p., ma non è necessario, a tale fine, che li esamini tutti, essendo sufficiente che specifichi a quale di esso ha inteso fare riferimento. Ne consegue che il riferimento, da parte del giudice di appello, ai precedenti penali dell'imputato, indice concreto della sua personalità — in mancanza di specifiche censure o richieste della parte interessata, in sede di impugnazione, in ordine all'esame di altre circostanze di fatto inerenti ai suddetti parametri — adempie all'obbligo di motivare sul punto.

Cass. pen. n. 1455/1998

Ai sensi degli artt. 53, 56 e 58 legge 24 novembre 1981, n. 689, la conversione della pena detentiva e la scelta della sanzione sostitutiva sono rimesse al potere discrezionale del giudice del merito, il quale deve valutare i presupposti legittimanti — idoneità della sostituzione al fine del reinserimento sociale del condannato e prognosi positiva circa l'adempimento delle prescrizioni applicabili — con gli stessi criteri direttivi dettati, in via generale, dall'art. 133 c.p. In tale ambito, lo status di straniero e di disoccupato del condannato non è, di norma, valutabile, potendo essere valorizzato, in via atipica ed eccezionale, soltanto nei limiti di un negativo giudizio prognostico e, quindi, al solo fine di apprezzare il divieto normativo di conversione nell'ipotesi di presunzione di inadempimento delle prescrizioni applicabili.

Cass. pen. n. 978/1997

La determinazione della pena non va rapportata, in relazione al criterio indicato nell'art. 133 c.p., alla quantità del contributo causale della condotta dell'imputato nella produzione dell'evento, bensì al grado della colpa. Infatti, l'entità dell'apporto causale costituisce un aspetto che prescinde, non essendo omogeneo, dal grado della colpa nel suo complesso.

Cass. pen. n. 4884/1997

Nell'ipotesi di patteggiamento, incidente sull'applicazione di una pena pecuniaria, non sussiste violazione della legge penale — denunziata con riferimento all'applicazione della pena in misura superiore al massimo edittale, ma comunque in conformità al consenso raggiunto tra le parti — qualora non risulti la non operatività dell'art. 133 bis c.p. (valutazione delle condizioni economiche del reo) che consenta l'aumento fino al triplo della pena pecuniaria.

Cass. pen. n. 2631/1996

In tema di esigenze cautelari, l'art. 274 lett. c) c.p.p., come modificato dall'art. 3 legge 8 agosto 1995 n. 332 non impedisce di trarre il pericolo concreto di reiterazione dei reati della stessa specie cioè lesivi dell'interesse protetto e dello stesso valore costituzionale anche dalle specifiche modalità e circostanze del fatto, considerate nella loro obiettività. La valutazione negativa della personalità dell'indagato può desumersi tenendo presenti i criteri, oggettivi e dettagliati stabiliti dall'art. 133 c.p., fra i quali sono comprese le modalità e la gravità del fatto-reato, sicché non deve essere considerato il tipo di reato o una sua ipotetica gravità, ma devono valutarsi situazioni correlate con i fatti del procedimento ed inerenti ad elementi sintomatici della pericolosità del soggetto su una motivazione fondata sulla concretezza dei fatti e non su criteri generici e/o automatici.

Cass. pen. n. 2439/1996

In tema di esigenze cautelari per l'adozione di misure coercitive personali, la prognosi idonea a fondare il giudizio di probabile reiterazione della condotta criminosa risulta correttamente formulata quando il giudice abbia dato rilievo sia alla particolare significazione di dati sintomatici di natura oggettiva, sia alla personalità dell'indagato, enucleando, dalla condotta complessiva dello stesso e da tutti gli altri parametri enunciati nell'art. 133 c.p. rilevanti nel caso specifico, gli elementi concreti di valutazione da porre a fondamento dell'ordinanza che dispone la misura.

Cass. pen. n. 8156/1996

In tema di commisurazione della pena, quando questa venga compresa tra il minimo e il medio edittale, la motivazione non deve necessariamente svilupparsi in un esame dei singoli criteri elencati nell'art. 133 c.p., essendo sufficiente il riferimento alla necessità di adeguamento al caso concreto.

Cass. pen. n. 4790/1996

Ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche è sufficiente che il giudice di merito prenda in esame quello, tra gli elementi indicati dall'art. 133 c.p., che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno la concessione del beneficio; ed anche un solo elemento che attiene alla personalità del colpevole o all'entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente per negare o concedere le attenuanti medesime.

Cass. pen. n. 4606/1996

La concessione della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale è subordinata unicamente alla valutazione positiva delle circostanze indicate nell'art. 133 c.p., restando precluso ogni altro diverso criterio di giudizio. Pertanto, è illegittimo il rifiuto del beneficio detto basato sulla considerazione che la pubblicità insita nella menzione della condanna può costituire un monito per l'imputato, sconsigliandolo in futuro dal commettere ulteriori reati.

Cass. pen. n. 11513/1995

L'adempimento dell'obbligo della motivazione in ordine alla determinazione della pena ed alla scelta della sanzione non può essere assolto con il mero richiamo all'art. 133 c.p. (gravità del reato: valutazione agli effetti della pena) ma è necessario che siano enunciati, seppur sinteticamente, gli elementi giustificativi della scelta. Tale onere, tuttavia, con riguardo al giudizio di appello, deve essere correlato con il principio dell'integrazione delle motivazioni delle sentenze di primo e di secondo grado. Deve peraltro aggiungersi che l'uso di espressioni sintetiche quali «alla luce dei criteri ex art. 133 c.p.» o «pena congrua» è giustificato quando viene irrogata una pena molto vicina al minimo edittale, giacché non essendo, in tale caso, necessaria una analitica enunciazione dei criteri.

Cass. pen. n. 4959/1995

In sede di esecuzione il giudice è tenuto — ai fini dell'applicazione e della revoca del condono in caso di reato continuato — ad individuare il reato più grave, allorché ciò non sia stato fatto in sede di cognizione. Tale individuazione va compiuta sulla base di criteri previsti dall'art. 133 c.p., tra i quali rientra quello della gravità del danno. (Fattispecie in tema di richiesta di revoca di condono concesso ai sensi del D.P.R. n. 394 del 1990. Affermando il principio la Corte di cassazione ha annullato l'ordinanza della corte di appello, in funzione di giudice dell'esecuzione, che aveva ritenuto di non poter individuare — tra i meri reati di ricettazione uniti dal vincolo della continuazione — quello più grave, e di dovere pertanto, in forza del principio del favor rei stabilire che la pena detentiva base si riferisce a uno dei reati di ricettazione commesso prima del 24 dicembre 1990).

Cass. pen. n. 4385/1995

Poiché il comma 2 bis dell'art. 275 c.p.p. nella sua nuova formulazione, a seguito della L. 8 agosto 1995, n. 332, sancisce che la misura della custodia cautelare non può essere disposta ove con la sentenza possa essere concessa la sospensione condizionale della pena, il Gip, richiesto della misura restrittiva, deve compiere un giudizio prognostico valutando i fatti e la personalità dell'indagato secondo i criteri di cui all'art. 133 c.p. Solo ove tale valutazione sia negativa - e di tutto ciò è necessario dare atto nella motivazione - sarà possibile emettere il provvedimento impositivo.

Cass. pen. n. 9781/1995

I benefici di legge non possono essere negati in considerazione «della assenza di resipiscenza processuale» dell'imputato che non consente una prognosi favorevole. Infatti, l'esercizio del diritto di difendersi — in cui finisce per sostanziarsi l'assenza della resipiscenza processuale — non può essere assunto ai sensi dell'art. 133 c.p. come elemento in base al quale dedurre una futura capacità a delinquere. (Nella specie, relativa ad annullamento con rinvio, la Suprema Corte ha altresì ritenuto incomprensibile l'accenno — anch'esso per motivare il diniego — alla qualifica dell'imputato, semplice gestore di un distributore di carburante).

Cass. pen. n. 6034/1995

Il giudice di merito — per adempiere all'obbligo della motivazione nel determinare la misura della diminuzione della pena in conseguenza dell'applicazione di circostanze attenuanti — esercita una tipica facoltà discrezionale e perciò non è tenuto ad una analitica enunciazione di tutti gli elementi presi in considerazione, ma può limitarsi alla sola enunciazione dell'elemento o degli elementi resisi determinanti per la soluzione adottata. Conseguentemente, anche l'uso di espressioni come «pena congrua», «pena equa», «congrua riduzione», «congruo aumento» o il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere dell'imputato sono sufficienti a far ritenere che il giudice abbia tenuto presente, sia pure globalmente, i criteri dettati dall'art. 133 c.p. per il corretto esercizio del potere discrezionale conferitogli dalla norma in ordine al quantum della pena.

Cass. pen. n. 560/1995

Il giudizio sulla concedibilità del beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale è subordinato esclusivamente alla valutazione delle circostanze di cui all'art. 133 c.p., sicché resta precluso ogni altro criterio di valutazione. In particolare, non è giustificato il diniego in base alla considerazione che l'iscrizione può costituire una remora per il compimento di altri reati da parte del colpevole. Tale motivazione, infatti, è erronea perché l'annotazione della condanna non costituisce un fattore dissuasivo da illeciti futuri, mentre la norma dell'art. 175 c.p. è diretta proprio al raggiungimento dell'effetto opposto, che è quello di favorire il ravvedimento del condannato mediante l'eliminazione di talune conseguenze del reato, che possano compromettere o intralciare la sua possibilità di lavoro.

Cass. pen. n. 11355/1994

Ai sensi del comma 2 dell'art. 133 c.p. i precedenti penali e giudiziari del reo rilevano ai fini della determinazione della capacità a delinquere del colpevole e possono essere presi in considerazione per la commisurazione della pena, nel senso che la condotta di vita pregressa, indenne da condanne, si proietta in modo favorevole sulla personalità del soggetto ed orienta in senso positivo, per il colpevole stesso, il potere discrezionale del giudice nella determinazione in concreto della sanzione penale.

Cass. pen. n. 9924/1994

In tema di armi, l'attenuante della lieve entità del fatto di cui all'art. 5 della L. 2 ottobre 1967, n. 895 è facoltativa, come è dato desumere dal verbo «possono» usato dal legislatore in detta norma; ne deriva che la sua concessione non viene legata solo all'esame sulla qualità o quantità delle armi o munizioni ma deve essere commisurata a tutti i parametri dell'art. 133 c.p. cui deve riferirsi il giudice ogni qualvolta fa uso di un potere discrezionale. (Nella fattispecie la Cassazione ha ritenuto corretto l'operato dei giudici di merito che avevano negato la concessione della suddetta attenuante tenuto conto che si trattava di detenzione di arma «clandestina» da parte di soggetto dedito al «traffico di stupefacenti»).

Cass. pen. n. 2692/1994

Quando è remoto nel tempo il fatto delittuoso per il quale viene disposta la misura de libertate, la motivazione del provvedimento cautelare dev'essere svolta anche con riferimento ai criteri di cui all'art. 133 c.p., valutando la condotta tenuta dall'indagato fra il momento della consumazione del reato e quello dell'adozione del provvedimento stesso, sia ai fini delle esigenze cautelari che della misura da applicare in concreto.

Cass. pen. n. 6329/1994

Il riconoscimento di una o più circostanze attenuanti non comporta la diminuzione della pena nella misura massima possibile, potendo e dovendo il giudice determinare la pena in concreto (compresa la misura della diminuzione per effetto delle attenuanti) secondo i criteri stabiliti nell'art. 133 c.p.

Cass. pen. n. 1154/1994

In materia di misure cautelari personali, l'indagine che il giudice di merito (quello che ha applicato la misura, ed il tribunale del riesame) è tenuto a compiere - che deve necessariamente riflettersi nella motivazione, per formulare il giudizio prognostico in ordine alla pericolosità sociale dell'indagato a norma dell'art. 274 lett. c) c.p.p. - deve tener conto degli elementi enunciati nell'art. 133 c.p. concernenti la gravità del fatto, e la capacità a delinquere. Da tali elementi, a carattere oggettivo, detto giudice deve giungere, con motivazione adeguata e congrua, esente da vizi logici ed errori di diritto, alla formulazione della prognosi di pericolosità sociale dell'indagato o imputato a salvaguardia della collettività, che deve tradursi nella dichiarazione di una concreta probabilità che egli commetta gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l'ordine costituzionale, ovvero delitti di criminalità organizzata, o della stessa specie di quello per cui si procede, qualora il soggetto sia lasciato o restituito in libertà.

Cass. pen. n. 549/1994

In mancanza di elementi macroscopicamente rivelatori di incongruità, per eccesso o per difetto, il giudizio in ordine alla ritenuta congruità della pena patteggiata nei limiti di cui all'art. 27 terzo comma della Costituzione può dirsi adeguatamente motivato, quando il giudice si limiti ad esplicitare la propria valutazione in tal senso, allorché risulti dal contesto dell'intera decisione che, nella valutazione complessiva, egli ha tenuto presenti quegli elementi che possono assumere rilevanza determinante, come le circostanze del reato e la condizione personale dell'imputato.

Cass. pen. n. 1305/1994

Allorquando la determinazione della pena da infliggere al condannato è quantificata a livelli che si discostano dai minimi edittali, sia per la quantificazione della pena per il reato base, che per quella per l'aumento per continuazione, in presenza di unificazione dei fatti di reato ex art. 81 c.p., il giudice deve specificare dettagliatamente le ragioni che lo hanno indotto a tale decisione, al fine di rendere possibile il controllo della motivazione sottesa alla deliberazione sul punto.

Cass. pen. n. 1121/1993

Il giudizio sulla congruità della pena richiesta dalle parti va riferito alle peculiarità oggettive e soggettive della fattispecie contestata, in base ai criteri indicati dagli artt. 133 e 133 bis c.p., e non già alla gravità, in astratto, del reato contestato, la cui valutazione è rimessa al legislatore e alla disciplina sanzionatoria, minima e massima, da questi ritenuta adeguata.

Cass. pen. n. 5787/1993

Il giudice non è tenuto a dar conto di tutti gli elementi di cui all'art. 133 c.p. nell'ambito della valutazione della fattispecie criminosa sottoposta al suo esame, al fine del giudizio di valenza tra attenuanti ed aggravanti e della gradazione della pena, bensì unicamente di quelli, tra essi, cui specificamente si riferisce.

Cass. pen. n. 2280/1993

Ai fini della determinazione dei criteri di irrogazione della pena, non occorre nella motivazione una «parte spaziale autonoma» essendo sufficiente che i relativi criteri siano indicati nell'intero corpo della decisione.

Tra i criteri direttivi per la determinazione della pena il giudice deve tener conto della necessità della rieducazione: è quindi necessario valutare la personalità dell'imputato e le sue inclinazioni soggettive con riferimento alla capacità a delinquere, intesa come l'attitudine del soggetto a commettere nuovi reati (definizione prognostica).

Cass. pen. n. 15/1993

Ai fini del puntuale adempimento dell'obbligo di motivazione, anche in ordine alla scelta e al dosaggio della sanzione, non è sufficiente il mero richiamo all'art. 133 c.p., senza l'indicazione degli elementi giustificativi, con particolare riguardo a quello psicologico e alla condotta, durante e dopo la commissione del reato, la cui valutazione è essenziale per l'equa commisurazione della pena al caso concreto, in conformità all'art. 3 della Costituzione. (Fattispecie in tema di incauto acquisto: la Suprema Corte ha ritenuto viziata da illogicità e contraddittorietà la sentenza con la quale il pretore, pur avendo riconosciuto la gravità del fatto e la pericolosità dell'imputato, e malgrado la richiesta del pubblico ministero di infliggere la sanzione detentiva, aveva applicato la pena pecuniaria, senza motivare adeguatamente il trattamento sanzionatorio particolarmente lieve).

Cass. pen. n. 2501/1992

Qualora il giudice, esercitando il potere discrezionale riconosciutogli dalla legge, ritenga di dover apportare alla pena fissata per il reato più grave un notevole aumento a titolo di continuazione, nel caso in cui all'imputato siano state concesse le attenuanti generiche in riferimento all'art. 133 c.p., è necessaria una specifica motivazione sul punto.

Cass. pen. n. 2240/1991

Il principio costituzionale delle finalità rieducative della pena (art. 27, terzo comma Cost.), che informa tutto il sistema penale e non soltanto la fase dell'esecuzione, si riflette sul meccanismo delineato nell'art. 133 c.p., orientando il potere discrezionale del giudice. Ne consegue che la commisurazione della pena non può prescindere dalle «necessità rieducative» da determinare in relazione alla gravità del reato e alla personalità dell'imputato.

Cass. pen. n. 15811/1990

Ai fini della determinazione della pena il giudice deve procedere ad una valutazione complessiva del fatto e della personalità dell'autore, categorie di elementi che, se pure sono indicate in due parti separate della stessa disposizione, (art. 133 c.p.), molto spesso si integrano. Nell'ipotesi in cui gli elementi negativi di valutazione siano particolarmente rilevanti è superfluo procedere ad un esame dettagliato di quelli positivi, specialmente quando taluni di questi presentino scarso significato.

Cass. pen. n. 2696/1990

I criteri legali ai quali il giudice deve attenersi nella scelta tra minimo e massimo della pena edittale sono quelli della retribuzione (gravità complessiva del fatto) e della prevenzione sociale (capacità a delinquere in termini di attitudine del reo a commettere crimini).

Cass. pen. n. 14414/1990

La regola per cui non può tenersi conto due volte dello stesso elemento a favore o contro il colpevole non si applica quando tale elemento non è l'unico rilevabile dagli atti oppure non sia ritenuto dal giudice il solo prevalente e lecito e venga in considerazione per fini diversi, come, ad esempio, al fine di determinare la pena base e di stabilire se concedere o negare una circostanza attenuante. Legittimamente, pertanto, il giudice può valutare gli stessi elementi (nella specie gravità del fatto e precedenti penali dell'imputato) una prima volta per negare le attenuanti generiche e una seconda volta per determinare la misura della pena.

Cass. pen. n. 12488/1990

Nella determinazione del trattamento sanzionatorio il giudice gode di una discrezionalità vincolata, per cui deve dar ragione dei criteri legali che sono sintetizzabili nella retribuzione (gravità complessiva del fatto) e nella prevenzione sociale (capacità a delinquere in termine di attitudine del reo a commettere crimini). (Nella fattispecie il giudice del merito ai fini della quantificazione della pena teneva conto soltanto della gravità del fatto, senza valutare gli elementi soggettivi che concorrono alla valutazione della capacità a delinquere in riferimento all'esigenza di difesa della società. La S.C. in applicazione del detto principio annullava per vizio di motivazione).

Cass. pen. n. 11402/1990

La valutazione della sussistenza dei presupposti per l'adozione di una misura sostitutiva è legata agli stessi criteri già previsti dalla legge per la determinazione della pena e cioè non può prescindere da quelli individuati dall'art. 133 c.p., dai quali va tratto il giudizio prognostico positivo cui la legge subordina la stessa possibilità della sostituzione. Ne consegue che è legittimo il diniego, operato dal giudice del merito, di sostituire la pena detentiva con quella pecuniaria della specie corrispondente, a colui che per le condizioni soggettive, quali i precedenti penali, non ne è ritenuto meritevole dal predetto giudice.

Cass. pen. n. 6790/1990

Per condotta successiva al reato, rilevante ai fini dell'art. 133 c.p., va considerato qualcosa di ulteriore e diverso rispetto alla mera cessazione della continuazione, che può essere dipesa anche da cause diverse dalla ridotta pericolosità del soggetto.

Cass. civ. n. 1546/1990

In tema di sanzioni amministrative, i criteri di determinazione della sanzione, stabiliti dall'art. 11 della L. 24 novembre 1981 n. 689, pur non identificandosi interamente con quelli previsti dall'art. 133 c.p., rispecchiano, tuttavia, anch'essi la natura essenzialmente punitiva della sanzione stessa e sono, quindi, affidati, nell'applicazione ai casi singoli, alla valutazione discrezionale dell'autorità amministrativa, ancorché soggetta al controllo del giudice (art. 23 legge cit.). Nell'esercizio di tale potere di controllo, il giudice può fare riferimento — in mancanza di elementi tali da determinare un giudizio particolarmente favorevole per il trasgressore — al criterio adottato dall'art. 16 legge cit. (che prevede il pagamento in misura ridotta pari alla terza parte del massimo della sanzione prevista per la violazione commessa o, se più favorevole, al doppio del minimo della sanzione edittale), che può essere legittimamente utilizzato ove l'infrazione non abbia caratterizzazioni specifiche che possano indurre ad apprezzarla con maggior o minor rigore.

Cass. pen. n. 2218/1990

In tema di determinazione della pena, il giudice, in osservanza al disposto di cui all'art. 133 c.p., trae elementi di valutazione anche dalla considerazione della personalità del giudicabile, quale si manifesta nel tempo posteriore alla consumazione del reato e durante il processo. Ne consegue che, se l'imputato non ha il dovere di rispondere alle domande postegli e di confessarsi autore del reato contestatogli, pure l'esercizio di tale diritto non può risolversi in un divieto per il giudice di trarre conclusioni da quell'atteggiamento, sia al fine della quantificazione della pena (base), che a quello della (eventuale) concessione delle attenuanti generiche; le quali, come possono essere accordate per ravvedimento del reo, allo stesso modo possono essere negate a causa del comportamento processuale del giudicabile, che manifesti una personalità negativa.

Cass. pen. n. 10276/1989

Nel determinare l'entità della pena si deve tener conto della capacità a delinquere del colpevole, desunta dai precedenti penali e giudiziari, e della condotta del reo antecedente, contemporanea e susseguente al reato. Pertanto, qualunque sentenza di condanna, anche relativa ad un fatto successivo rispetto a quello in decisione, è idonea a qualificare la personalità e la pericolosità del soggetto, rivelandone la sua persistenza nel delitto.

Cass. pen. n. 56/1989

In tema di determinazione della misura della pena, il giudice del merito, con la enunciazione, anche sintetica, della eseguita valutazione di uno (o più) dei criteri indicati nell'art. 133 c.p., assolve adeguatamente all'obbligo della motivazione, infatti, tale valutazione rientra nella sua discrezionalità e non postula un'analitica esposizione dei criteri adottati per addivenirvi in concreto.

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