Cassazione penale Sez. V sentenza n. 2416 del 4 agosto 1999

(2 massime)

(massima n. 1)

In tema di esigenze cautelari, il concreto pericolo di recidivanza può esser desunto anche dalle specifiche modalità e circostanze del fatto-reato. Invero la negativa valutazione della personalità dell'indagato ben può fondarsi sugli specifici criteri oggettivi indicati dall'art. 133 c.p. (tra i quali rientrano, appunto, la gravità del reato e le modalità della sua commissione), senza che il giudice sia tenuto a motivare singolarmente sulla ricorrenza di tutti gli elementi valutativi previsti dal predetto articolo. (Fattispecie relativa al prelievo fraudolento da parte dell'indagato di circa 70 milioni con false carte di credito di cui al reato ex art. 12 legge 5 luglio 1991 n. 197. La Cassazione, nell'enunciare il principio sopra esposto, ha rigettato il ricorso dell'indagato osservando che correttamente il giudice di merito aveva motivato in ordine alla pericolosità sociale di quest'ultimo, ponendo in evidenza l'uso, da parte di costui, di sofisticate apparecchiature di rilevante valore economico, il fatto che i prelievi erano stati compiuti in diverse località, il rinvenimento nella disponibilità dell'indagato di numerose tessere bancomat, nonché apprezzando altre circostanze che stavano a provare, tanto la reiterazione del comportamento crimoso, quanto la possibilità che esso potesse essere ripetuto un numero indefinito di volte).

(massima n. 2)

La pericolosità sociale dell'indagato, valutata ai sensi dell'art. 133 c.p., si pone come presupposto positivo per la applicazione della misura cautelare restrittiva ed impedisce la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena. Pertanto, poiché ogni provvedimento cautelare deve essere proporzionato alla entità del fatto ed alla pena che potrebbe essere irrogata, da un lato, è fatto divieto al giudice di disporre la custodia cautelare qualora ritenga possibile la applicazione del beneficio della sospensione condizionale, dall'altro, la ritenuta sussistenza delle esigenze di cui alla lett. c) dell'art. 274 c.p.c. (la necessità di contrastare, appunto, la pericolosità sociale dell'indagato) impedisce qualsiasi prognosi favorevole in ordine al futuro comportamento dello stesso ed esclude la possibilità di concessione del predetto beneficio.

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