Cassazione penale Sez. II sentenza n. 1154 del 31 marzo 1994

(2 massime)

(massima n. 1)

In materia di misure cautelari personali, l'indagine che il giudice di merito (quello che ha applicato la misura, ed il tribunale del riesame) è tenuto a compiere - che deve necessariamente riflettersi nella motivazione, per formulare il giudizio prognostico in ordine alla pericolosità sociale dell'indagato a norma dell'art. 274 lett. c) c.p.p. - deve tener conto degli elementi enunciati nell'art. 133 c.p. concernenti la gravità del fatto, e la capacità a delinquere. Da tali elementi, a carattere oggettivo, detto giudice deve giungere, con motivazione adeguata e congrua, esente da vizi logici ed errori di diritto, alla formulazione della prognosi di pericolosità sociale dell'indagato o imputato a salvaguardia della collettività, che deve tradursi nella dichiarazione di una concreta probabilità che egli commetta gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l'ordine costituzionale, ovvero delitti di criminalità organizzata, o della stessa specie di quello per cui si procede, qualora il soggetto sia lasciato o restituito in libertà.

(massima n. 2)

In tema di esigenze cautelari di cui all'art. 274 lett. c) c.p.p. - ai fini dell'applicabilità delle misure cautelari personali - per quel che concerne i «gravi delitti», l'aggettivazione «grave» - a riguardo, quanto meno sotto il profilo sintattico, dei delitti con uso di armi o altri mezzi di violenza personale - è da riferire a tutte le categorie di reati enumerate nella disposizione e, quindi, anche a quelli di attentato all'ordine (rectius: ordinamento) costituzionale, di criminalità organizzata e, infine, della stessa specie «di quello per cui si procede». Infatti nella carenza di un parametro legislativo, «gravi delitti» devono ritenersi quelle fattispecie penali in relazione alla commissione delle quali è consentita (a parte la verifica di ogni altro requisito) l'applicazione della massima misura di cautela personale limitativa della libertà ex art. 280 del codice di rito.

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