Cassazione penale Sez. II sentenza n. 10491 del 25 luglio 1989

(2 massime)

(massima n. 1)

Si configura il delitto di estorsione anche nell'ipotesi in cui taluno, essendo a conoscenza del furto di una cosa, usi di siffatta conoscenza come mezzo di pressione morale sull'animo del derubato, richiedendogli l'esborso di danaro per farlo rientrare in possesso della refurtiva; in tal caso infatti la costrizione richiesta per l'integrazione del suddetto delitto è determinata dalla minaccia implicita, contestuale alla stessa richiesta di pagamento, essendo il derubato consapevole del fatto che l'omesso versamento si tradurrebbe nella perdita definitiva del bene sottrattogli (fattispecie in tema di tentativo).

(massima n. 2)

Colui che, per i legami con l'autore del furto, conduca le trattative rivolte a far ottenere al derubato la restituzione della refurtiva contro il pagamento di una somma, ben può ritenersi responsabile di estorsione, ovvero di concorso in essa, quando agisca anche nell'interesse del ladro, contribuendo in tal caso con la sua condotta all'opera di pressione nei confronti del derubato (fattispecie in tema di tentativo).

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