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Articolo 1117 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 31/01/2024]

Parti comuni dell'edificio

Dispositivo dell'art. 1117 Codice Civile

(1)Sono oggetto di proprietà comune(2) dei proprietari delle singole unità immobiliari dell'edificio, anche se aventi diritto a godimento periodico e se non risulta il contrario dal titolo(3):

  1. 1) tutte le parti dell'edificio necessarie all'uso comune, come il suolo su cui sorge l'edificio(4), le fondazioni, i muri maestri(5), i pilastri e le travi portanti, i tetti e i lastrici solari(6), le scale, i portoni di ingresso, i vestiboli, gli anditi, i portici, i cortili(7) e le facciate;
  2. 2) le aree destinate a parcheggio nonché i locali per i servizi in comune, come la portineria, incluso l'alloggio del portiere, la lavanderia, gli stenditoi e i sottotetti destinati, per le caratteristiche strutturali e funzionali, all'uso comune(8);
  3. 3) le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere destinati all'uso comune, come gli ascensori(9), i pozzi, le cisterne, gli impianti idrici e fognari, i sistemi centralizzati di distribuzione e di trasmissione per il gas, per l'energia elettrica, per il riscaldamento ed il condizionamento dell'aria, per la ricezione radiotelevisiva e per l'accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo, e i relativi collegamenti fino al punto di diramazione ai locali di proprietà individuale dei singoli condomini, ovvero, in caso di impianti unitari, fino al punto di utenza, salvo quanto disposto dalle normative di settore in materia di reti pubbliche.

Note

(1) Articolo così sostituito dall’art. 1, L. 11 dicembre 2012, n. 220, in vigore dal 17 giugno 2013.
Le modifiche sono le seguenti:
1. i condomini sono ora qualificati come “proprietari delle singole unità immobiliari dell’edificio, anche se avente diritto a godimento periodico”;
2. all’elenco delle parti comuni sono state aggiunti: i pilastri, le travi portanti, le facciate, i sottotetti destinati per le caratteristiche funzionali all’uso comune, le aree destinate a parcheggio;
3. sono stati aggiunti questi nuovi impianti tecnologici: gli impianti di condizionamento, quelli per la ricezione radio TV e per l’accesso ad ogni genere di flusso informativo, anche satellitare o via cavo;
4. la presunzione di comunione riguarda gli impianti “e i relativi collegamenti fino al punto di diramazione ai locali di proprietà individuale dei singoli condomini, ovvero, in caso di impianti unitari, fino al punto di utenza, salvo quanto disposto dalle normative di settore in materia di reti pubbliche”.
(2) L'elencazione delle parti che si presumono comuni non è tassativa.
(3) Per titolo si intende l'atto o l'insieme di atti che hanno dato vita al condominio: può essere dato, quindi, o dal regolamento contrattuale o dal complesso degli atti di acquisto delle singole unità immobiliari o anche dall'usucapione o da un testamento.
Il titolo non potrebbe derogare alla presunzione di comproprietà in relazione alle parti comuni necessariamente condominiali, in quanto accessori indivisibili per natura o destinazione (es. le fondamenta).
(4) Il suolo su cui sorge l'edificio è il terreno su cui posano le fondamenta: non è quindi solo la superficie su cui insiste il piano terra, ma tutta la porzione di terra sita in profondità, alla base del fabbricato, comprese le fondamenta.
(5) I muri maestri sono sia quelli che costituiscono l'ossatura portante dell'edificio, sia quelli perimetrali, nonché i muri di rivestimento o di riempimento.
(6) La terrazza a livello sarà di proprietà esclusiva del proprietario dell'ultimo piano se ciò risulti dal titolo o se essa faccia parte integrante, dal punto di vista strutturale, del piano cui è annessa, così che la funzione di copertura dei piani sottostanti si profili come meramente sussidiaria.
(7) I cortili sono sia le aree scoperte comprese tra diversi corpi di fabbrica di uno o più edifici, sia i vari spazi liberi disposti esternamente alle facciate dell'edificio (es. spazi verdi).
(8) Le parti elencate al n. 2 sono suscettibili di utilizzazione individuale, poiché la destinazione all'uso collettivo è posta sul piano dell'utilità e non della necessità.
(9) L'ascensore è parte comune se installato originariamente nell'edificio; altrimenti, esso è di proprietà dei condomini che hanno sostenuto le spese di successiva installazione.

Ratio Legis

L'articolo in commento individua tre categorie di parti comuni, in ragione del loro rapporto strutturale o funzionale con l'edificio:
- parti che formano la struttura dell'edificio, in senso stretto;
- locali accessori destinati al servizio generale dello stabile;
- tutti gli impianti e le opere non indispensabili ma destinati a servizi di uso e godimento comune.

Spiegazione dell'art. 1117 Codice Civile

Categorie di parti comuni dell’edificio. Prova contraria risultante dal titolo

Secondo l'art. 1117 si può dare la prova dell’ inesistenza dello stato di comunione rispetto alle parti sopra indicate, o della limitazione di esso ad alcuni soggetti, dimostrando l'appartenenza di tali parti in proprietà isolata ad uno solo od in comunione ad alcuni soltanto dei proprietari dei diversi piani o porzioni di piani dell'edificio, in base al titolo.

Per i precedenti che hanno condotto alla formulazione dell'art. 306, per titolo deve intendersi prevalentemente (cfr. il commento all' art. 1121 del c.c.) l'atto scritto dal quale può trarre origine la proprietà di ciascuno dei singoli partecipanti all'edificio. È da escludere che il titolo ostativo alla comunione possa trovare base nel possesso esclusivo di uno dei partecipanti: il caso più frequente sarà invece quello in cui il proprietario dell'intero edificio, alienando uno o più appartamenti di esso, riservi a proprio favore la proprietà esclusiva di parti che, senza la deroga contrattuale, sarebbero diventate comuni a norma dell'art. 1117.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

526 Le cose che, se il contrario non risulta dal titolo, formano oggetto di proprietà comune sono indicate — ma l'elenco non ha carattere tassativo — nell'art. 1117 del c.c.: esse sono dichiarate indivisibili, a meno che la divisione possa farsi senza rendere a ciascun condomino più incomodo l'uso della cosa (art. 1119 del c.c.). Il diritto di ciascun condomino sulle cose comuni, sempre che il titolo non disponga altrimenti, è proporzionato al valore del piano o porzione di piano che gli appartiene (art. 1118 del c.c., primo comma). Si determina in tal modo un criterio unico per tutte le cose comuni, innovando al R. decreto-legge 15 gennaio 1934, n. 56, convertito nella legge 10 gennaio 1935, n. 8, sulla disciplina, dei rapporti di condominio delle case, il quale (art. 5), relativamente al suolo, ai locali della portineria, ai cortili, alle terrazze, ai giardini e ad altre cose comuni, disponeva che si tenesse pure conto della natura e della destinazione della cosa e, sussidiariamente, perfino dell'uso: la semplificazione della disciplina offre anche il vantaggio di renderne più agevole l'applicazione. E' precluso al condomino di sottrarsi al contributo per la conservazione delle cose che sono oggetto di proprietà comune mediante rinuncia al suo diritto sulle cose stesse (art. 1118, secondo comma), salvo, naturalmente, che la rinuncia sia consentita dagli altri partecipanti.

Massime relative all'art. 1117 Codice Civile

Cass. civ. n. 21440/2022

In tema di condominio negli edifici, l'individuazione delle parti comuni, come i lastrici solari, emergente dall'art. 1117 c.c. ed operante con riguardo a cose che, per le loro caratteristiche strutturali, non siano destinate oggettivamente al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari, può essere superata soltanto dalle contrarie risultanze dell'atto costitutivo del condominio - ossia dal primo atto di trasferimento di un'unità immobiliare dell'originario proprietario ad altro soggetto, con conseguente frazionamento dell'edificio in più proprietà individuali -, ove questo contenga in modo chiaro e inequivoco elementi tali da escludere l'alienazione del diritto di condominio, non rilevando a tal fine quanto stabilito nel regolamento condominiale, ove non si tratti di regolamento allegato come parte integrante al primo atto d'acquisto trascritto, ovvero di regolamento espressione di autonomia negoziale, approvato o accettato col consenso individuale dei singoli condomini e volto perciò a costituire, modificare o trasferire i diritti attribuiti ai singoli condomini dagli atti di acquisto o dalle convenzioni.

Cass. civ. n. 7971/2022

Ove sia accertata la comunione di un cortile sito fra edifici appartenenti a proprietari diversi ed allorché fra il cortile e le singole unità immobiliari di proprietà esclusiva non sussista quel collegamento strutturale, materiale o funzionale, ovvero quella relazione di accessorio a principale, che costituisce il fondamento della condominialità dell'area scoperta, ai sensi dell'art. 1117 c.c., l'apertura di una veduta da una parete di proprietà individuale verso lo spazio comune rimane soggetta alle prescrizioni contenute nell'art. 905 c.c. Il partecipante alla comunione del cortile non può, in sostanza, aprire una veduta verso la cosa comune a vantaggio dell'immobile di sua esclusiva proprietà, finendo altrimenti per imporre di fatto una servitù a carico della cosa comune, senza che operi, al riguardo, il principio di cui all'art. 1102 c.c., il quale non è applicabile ai rapporti tra proprietà individuali e beni comuni finitimi, che sono piuttosto disciplinati dalle norme che regolano i rapporti tra proprietà contigue od asservite.

Cass. civ. n. 35794/2021

Nel giudizio di impugnazione avverso una delibera assembleare, ex art. 1137 c.c., la questione dell'appartenenza, o meno, di un'unità immobiliare di proprietà esclusiva ad un condominio edilizio, ovvero della titolarità comune o individuale di una porzione dell'edificio, in quanto inerente all'esistenza del rapporto di condominialità ex art. 1117 c.c., può formare oggetto di un accertamento meramente incidentale, funzionale alla decisione della sola causa sulla validità dell'atto collegiale, ma privo - in assenza di esplicita domanda di una delle parti ai sensi dell'art. 34 c.p.c. - di efficacia di giudicato in ordine all'estensione dei diritti reali dei singoli, svolgendosi il giudizio ai sensi dell'art. 1137 c.c. nei confronti dell'amministratore del condominio, senza la partecipazione, quali legittimati passivi, di tutti i condomini in una situazione di litisconsorzio necessario.

Cass. civ. n. 35514/2021

In tema di condominio negli edifici, rientrano tra le parti comuni (ex art. 1117 c.c.) i cd. volumi tecnici, ossia quelli destinati a contenere gli impianti tecnici del fabbricato (quali i vani ascensore, caldaia, autoclave, contatori), per essere vincolati all'uso comune, in virtù della loro naturale destinazione o della loro connessione materiale e strumentale rispetto alle singole parti dell'edificio. Tuttavia, per stabilire la condominialità di detti beni (nella specie, vano caldaia e contatori), occorre accertare che la relazione di accessorietà ed il collegamento funzionale fra gli impianti o i servizi comuni, da un lato, e le unità in proprietà esclusiva, dall'altro, sussistessero già al momento della nascita del condominio, non rilevando il collegamento creato solo successivamente alla formazione dello stesso, dal quale potrebbe piuttosto discendere la costituzione di una servitù a carico di porzione di proprietà esclusiva.

Cass. civ. n. 27363/2021

In tema di condominio degli edifici, qualora non intervenga una volontà derogatoria degli interessati sul regime di appartenenza, i beni e i servizi elencati dall'art. 1117 c.c., in virtù della relazione di accessorietà o di collegamento strumentale con le singole unità immobiliari, sono attribuiti "ex lege" in proprietà comune per effetto dell'acquisto della proprietà dei piani o porzioni di piano; pertanto, il terrazzo a livello è oggetto di proprietà comune se il contrario non risulta dal titolo, per tale intendendosi gli atti di acquisto delle altre unità immobiliari, nonché il regolamento di condominio espressamente accettato dai singoli condomini in occasione del loro acquisto, non essendo sufficiente che la proprietà individuale risulti dal titolo di acquisto della parte che si rivendica proprietaria esclusiva del terrazzo, sicchè, in difetto di tale prova, la presunzione di condominialità spiega piena efficacia.

Cass. civ. n. 24189/2021

In tema di condominio negli edifici, l'individuazione delle parti comuni, come i cortili, risultanti dall'art. 1117 c.c. non opera con riguardo a cose che, per le loro caratteristiche strutturali, risultino destinate al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari. (Nella specie la S.C. ha cassato la pronuncia di merito che aveva omesso di accertare, attraverso l'individuazione e la verifica dell'atto di frazionamento dell'iniziale unica proprietà, se l'obiettiva destinazione primaria del cortile oggetto del giudizio fosse o meno volta al servizio esclusivo di una delle unità immobiliari ivi prospicienti).

Cass. civ. n. 24166/2021

Mentre vanno ripartite tra tutti i condomini, in proporzione al valore della quota di ciascuno, le spese che attengano a parti dell'edificio comuni o ritenute tali in base a norma regolamentare e che adempiano, attraverso le opere poste in essere, ad una funzione di prevenzione di eventi che potrebbero interessare l'intero edificio condominiale, non così accade quando l'utilità riguardi la singola proprietà esclusiva e l'intervento non possa in alcun modo servire ad uno o più condomini, non essendo gli stessi obbligati a contribuire alle spese relative. (In applicazione dell'enunciato principio, la S.C. ha cassato la decisione con la quale la corte d'appello aveva ritenuto legittima la delibera condominiale che aveva posto a carico dei condomini non proprietari le spese concernenti la progettazione e l'esecuzione dei lavori di adeguamento alla normativa antincendi di autorimesse interrate di proprietà esclusiva e dei relativi spazi di manovra, stante l'assenza per essi di utilità, e l'irrilevanza del beneficio solo indiretto ritratto).

Cass. civ. n. 10370/2021

In tema di edificio costituito da più unità immobiliari autonome, la comproprietà di una o più cose, non incluse tra quelle elencate nell'art. 1117 c.c. (quale, nella specie, un tetto avente funzione di copertura di una sola delle unità immobiliari compresa in un condominio orizzontale), può essere attribuita a tutti i condomini quale effetto dell'acquisto individuale operato con i rispettivi atti di una quota di tale bene, oppure in forza di un contratto costitutivo di comunione, ai sensi degli artt. 1350, n. 3, e 2643, n. 3, c.c., recante l'inequivoca manifestazione del consenso unanime dei condomini, espressa della forma scritta essenziale, alla nuova situazione di contitolarità degli immobili individuati nella loro consistenza e localizzazione.

Cass. civ. n. 28972/2020

La pattuizione avente ad oggetto l'attribuzione del cd. "diritto reale di uso esclusivo" su una porzione di cortile condominiale, costituente, come tale, parte comune dell'edificio, mirando alla creazione di una figura atipica di diritto reale limitato, idoneo ad incidere, privandolo di concreto contenuto, sul nucleo essenziale del diritto dei condomini di uso paritario della cosa comune, sancito dall'art. 1102 c.c., è preclusa dal principio, insito nel sistema codicistico, del "numerus clausus" dei diritti reali e della tipicità di essi. Ne consegue che il titolo negoziale che siffatta attribuzione abbia contemplato implica di verificare, nel rispetto dei criteri di ermeneutica applicabili, se, al momento di costituzione del condominio, le parti non abbiano voluto trasferire la proprietà ovvero, sussistendone i presupposti normativi previsti e, se del caso, attraverso l'applicazione dell'art. 1419 c.c., costituire un diritto reale d'uso ex art. 1021 c.c. ovvero, ancora se sussistano i presupposti, ex art. 1424 c.c., per la conversione del contratto volto alla creazione del diritto reale di uso esclusivo in contratto avente ad oggetto la concessione di un uso esclusivo e perpetuo (ovviamente "inter partes") di natura obbligatoria. (Dichiara estinto il processo, CORTE D'APPELLO BOLOGNA, 23/07/2015).

Cass. civ. n. 23316/2020

In materia di condominio, il cortile, salvo titolo contrario, ricade nella presunzione di condominialità ai sensi dell'art. 1117 c.c., essendo destinato prevalentemente a dare aria e luce allo stabile comune, senza che la presunzione possa essere vinta dalla circostanza che ad esso si acceda solo dalla proprietà esclusiva di un condomino, in quanto l'utilità particolare che deriva da tale fatto non incide sulla destinazione tipica del bene e sullo specifico nesso di accessorietà del cortile rispetto all'edificio condominiale. (Rigetta, CORTE D'APPELLO GENOVA, 22/09/2015).

Cass. civ. n. 20543/2020

.In presenza di un edificio strutturalmente unico, su cui insistono due distinti ed autonomi condominii, è illegittima l'apertura di un varco nel muro divisorio tra questi ultimi, volta a collegare locali di proprietà esclusiva del medesimo soggetto, tra loro attigui, ma ubicati ciascuno in uno dei due diversi condominii, in quanto una simile utilizzazione comporta la cessione del godimento di un bene comune, quale è, ai sensi dell'art. 1117 c.c., il muro perimetrale di delimitazione del condominio (anche in difetto di funzione portante), in favore di una proprietà estranea ad esso, con conseguente imposizione di una servitù per la cui costituzione è necessario il consenso scritto di tutti i condomini. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO ROMA, 25/01/2017).

Cass. civ. n. 18796/2020

La speciale normativa urbanistica, dettata dall'art. 41-sexies della l. n. 1150 del 1942, introdotto dall'art. 18 della l. n. 765 del 1967, si limita a prescrivere, per i fabbricati di nuova costruzione, la destinazione obbligatoria di appositi spazi a parcheggi in misura proporzionale alla cubatura totale dell'edificio, determinando, mediante tale vincolo di carattere pubblicistico, un diritto reale d'uso sugli spazi predetti a favore di tutti i condomini dell'edificio, senza imporre all'originario costruttore alcun obbligo di cessione in proprietà degli spazi in questione; pertanto, ove manchi un'espressa riserva di proprietà o sia stato omesso qualsiasi riferimento, al riguardo, nei singoli atti di trasferimento delle unità immobiliari, le aree in questione, globalmente considerate, devono essere ritenute parti comuni dell'edificio condominiale, ai sensi dell'art. 1117 c.c., con conseguente legittimazione dell'amministratore di condominio ad esperire, riguardo ad esse, le azioni contro i singoli condomini o contro terzi dirette ad ottenere il ripristino dei luoghi e il risarcimento dei danni, giacché rientranti nel novero degli atti conservativi, al cui compimento l'amministratore è autonomamente legittimato ex art. 1130, n. 4, c.c. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO L'AQUILA, 30/03/2018).

Cass. civ. n. 9383/2020

La natura del sottotetto di un edificio è, in primo luogo, determinata dai titoli e, solo in difetto di questi ultimi, può presumersi comune, se esso risulti in concreto, per le sue caratteristiche strutturali e funzionali, oggettivamente destinato, anche solo potenzialmente, all'uso comune o all'esercizio di un servizio di interesse comune; il sottotetto può considerarsi, invece, pertinenza dell'appartamento sito all'ultimo piano solo quando assolva all'esclusiva funzione di isolare e proteggere dal caldo, dal freddo e dall'umidità, e non abbia dimensioni e caratteristiche strutturali tali da consentirne l'utilizzazione come vano autonomo. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO VENEZIA, 26/05/2014).

Cass. civ. n. 3852/2020

L'individuazione delle parti comuni (nella specie, i cortili o qualsiasi area scoperta compresa tra i corpi di fabbrica, che serva a dare luce e aria agli ambienti circostanti o sia destinata a spazi verdi, zone di rispetto, parcheggio di autovetture) operata dall'art. 1117 c.c. non si limita a formulare una mera presunzione di comune appartenenza a tutti i condomini, vincibile con qualsiasi prova contraria, potendo essere superata soltanto dalle opposte risultanze di quel determinato titolo che ha dato luogo alla formazione del condominio per effetto del frazionamento dell'edificio in più proprietà individuali. (Rigetta, CORTE D'APPELLO TORINO, 10/10/2014).

Cass. civ. n. 791/2020

La fattispecie del condominio parziale, che rinviene il fondamento normativo nell'art. 1123, comma 3, c.c., è automaticamente configurabile "ex lege" tutte le volte in cui un bene risulti, per le sue obbiettive caratteristiche strutturali e funzionali, destinato oggettivamente al servizio e/o al godimento, in modo esclusivo, di una parte soltanto dell'edificio in condominio, rimanendo, per l'effetto, oggetto di un autonomo diritto di proprietà e venendo meno il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria di tutti i condomini su quel bene; ne consegue che i partecipanti al gruppo non hanno il diritto di partecipare all'assemblea relativamente alle cose di cui non hanno la titolarità e la composizione del collegio e delle maggioranze si modifica in relazione alla titolarità delle specifiche parti oggetto della concreta delibera da adottare. (Rigetta, CORTE D'APPELLO CATANIA, 12/06/2014).

Cass. civ. n. 33163/2019

In tema di condominio negli edifici, in ipotesi di controversia circa la titolarità di un locale posto nel sottosuolo del fabbricato, ricavato mediante scavo nell'area sottostante ad un appartamento, attuato con svuotamento di volume ed asportazione di terreno, deve gradatamente accertarsi se la proprietà di tale locale, preesistente al frazionamento, sia attribuita dal titolo costitutivo del condominio, ovvero sia altrimenti da riconoscersi acquisita per usucapione, o, infine, se esso, per la sua struttura, debba considerarsi non tra le parti comuni dell'edificio di cui all'art. 1117 c.c., quanto, piuttosto, destinato ad uso esclusivo, potendosi, del resto, estendere la disciplina prevista dagli artt. 840 e 934 c.c. anche ai vani sottostanti al pianterreno dell'edificio condominiale sempre che dal titolo non risulti il contrario. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO ROMA, 06/03/2015).

Cass. civ. n. 32237/2019

Il supercondominio, sorgendo "ipso iure et facto", se il titolo o il regolamento condominiale non dispongono altrimenti, unifica entro una più ampia organizzazione condominiale una pluralità di edifici, costituiti o meno in distinti condomini, legati tra loro dall'esistenza di talune cose, impianti e servizi comuni, in rapporto di accessorietà con i fabbricati; ad esso, pertanto, trova applicazione la disciplina specifica del condominio, anziché quella generale della comunione. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO PALERMO, 21/06/2017).

Cass. civ. n. 30246/2019

Il regolamento di un supercondominio, predisposto dall'originario unico proprietario del complesso di edifici, accettato dagli acquirenti nei singoli atti di acquisto e trascritto nei registri immobiliari, in virtù del suo carattere convenzionale, vincola tutti i successivi acquirenti senza limiti di tempo, non solo relativamente alle clausole che disciplinano l'uso e il godimento dei servizi e delle parti comuni, ma anche per quelle che restringono i poteri e le facoltà sulle loro proprietà esclusive, venendo a costituire su queste ultime una servitù reciproca. L'attribuzione in comproprietà di cose non ricomprese nell'art. 1117 c.c. avvenuta attraverso il predetto regolamento non costituisce un atto di liberalità, essendo tale regolamento idoneo a modificare gli effetti giuridici traslativi derivanti dal contratto di acquisto delle unità immobiliari comprese nel supercondominio. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO SEZ.DIST. DI SASSARI, 26/06/2014).

Cass. civ. n. 1422/2019

In materia di condominio degli edifici, i lucernari di pertinenza delle unità immobiliari di proprietà esclusiva, anche se inseriti nella facciata dello stabile condominiale, non rientrano fra le parti necessarie o comunque destinate all'uso comune, salvo che, per la peculiare conformazione architettonica del fabbricato, assolvano alla prevalente funzione di proteggere o di rendere esteticamente gradevole l'intero edificio. (In applicazione dell'enunciato principio, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva accertato la natura di bene comune di un lucernario di pertinenza di un appartamento sul presupposto che lo stesso contribuisse a formare la struttura architettonica dell'edificio condominiale e non in base al criterio della specifica e prevalente attitudine protettiva o decorativa dell'intero fabbricato). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO ROMA, 14/11/2017).

Cass. civ. n. 27248/2018

La presunzione di proprietà comune dell'impianto idrico di un immobile condominiale, ex art. 1117, n. 3, c.c., non può estendersi a quella parte dell'impianto ricompresa nell'appartamento dei singoli condomini, cioè nella sfera di proprietà esclusiva di questi e, di conseguenza, nemmeno alle diramazioni che, innestandosi nel tratto di proprietà esclusiva, anche se questo sia allacciato a quello comune, servono ad addurre acqua negli appartamenti degli altri proprietari. (La S.C. ha enunciato il detto principio in una fattispecie in cui le infiltrazioni erano state causate dalla rottura della chiave di stacco dell'acqua sita nella cucina dell'appartamento sovrastante).

Cass. civ. n. 22155/2018

In tema di condominio negli edifici, la circostanza che un «muro di sostegno» di un giardino di proprietà esclusiva sovrasti un sottostante terreno di proprietà condominiale, adibito a passaggio, non è di per sé sufficiente all'inclusione del muro medesimo fra le parti comuni, ai sensi dell'art. 1117 c.c., con le relative conseguenze in ordine all'onere delle spese di riparazione, atteso che la suddetta opera, per sua natura destinata a svolgere funzione di contenimento di quel giardino, e quindi a tutelare gli interessi del suo proprietario, può essere compresa fra le indicate cose comuni solo ove ne risulti obiettivamente la diversa destinazione a servizio di tutti i condomini, in quanto necessaria a consentire detto passaggio.

Cass. civ. n. 15048/2018

In tema di piani sovrapposti di un edificio appartenente a proprietari diversi, gli spazi pieni o vuoti che accedono al soffitto o al pavimento e non sono essenziali alla struttura divisoria restano esclusi dalla comunione e sono utilizzabili rispettivamente da ciascun proprietario nell'esercizio del suo pieno ed esclusivo diritto dominicale, ben potendo il possesso su di essi essere mantenuto "solo animo". (Nella specie, la S.C. ha escluso la natura condominiale dello spazio vuoto esistente fra il solaio ed il controsoffitto e ha ritenuto che il proprietario dell'appartamento sovrastante, collocando al di sotto degli assi di sostegno delle travi del suo pavimento dei tubi e delle condutture, avesse compiuto uno spoglio in danno del possesso esercitato "solo animo" dal proprietario dell'immobile sottostante).

Cass. civ. n. 11288/2018

I muri perimetrali dell'edificio in condominio, pur non avendo funzione di muri portanti, vanno intesi come muri maestri al fine della presunzione di comunione di cui all'art. 1117 c.c., poiché determinano la consistenza volumetrica dell'edificio unitariamente considerato, proteggendolo dagli agenti atmosferici e termici, delimitano la superficie coperta e delineano la sagoma architettonica dell'edificio stesso. Pertanto, nell'ambito dei muri comuni dell'edificio rientrano anche quelli collocati in corrispondenza dei piani di proprietà singola ed esclusiva e in posizione avanzata o arretrata rispetto alle principali linee verticali dell'immobile.

Cass. civ. n. 10073/2018

Ai fini della esclusione della presunzione di proprietà comune prevista dall'art. 1117 c.c. non è necessario che il contrario risulti in modo espresso dal titolo, essendo sufficiente che da questo emergano elementi univoci in contrasto con la reale esistenza di un diritto di comunione, dovendo la citata presunzione fondarsi sempre su elementi obiettivi che rivelino l'attitudine funzionale del bene al servizio o al godimento collettivo. Ne consegue che viene meno il presupposto della suddetta presunzione quando il bene, per le sue obiettive caratteristiche strutturali, serve in modo esclusivo all'uso o al godimento di una sola parte dell'immobile, oggetto di un autonomo diritto di proprietà, o risulta comunque essere stato a suo tempo destinato dall'originario proprietario dell'intero immobile ad un uso esclusivo, così da rivelare - sulla base di elementi oggettivi, secondo l'incensurabile apprezzamento del giudice di merito - che si tratta di un bene dotato di propria autonomia e perciò non destinato a servizio dell'edificio condominiale.

Cass. civ. n. 3739/2018

In tema di condominio degli edifici, la presunzione legale di comunione di talune parti, stabilita dall'art. 1117 c.c., trova applicazione anche nel caso di cortile esistente tra più edifici limitrofi ma strutturalmente autonomi appartenenti a proprietari diversi, ove lo stesso sia destinato a dare aria, luce ed accesso a tutti i fabbricati che lo circondano.

Cass. civ. n. 884/2018

La disciplina del condominio degli edifici è ravvisabile ogni qual volta sia accertato in fatto un rapporto di accessorietà necessaria che lega alcune parti comuni - quali quelle elencate in via esemplificativa dall'art. 1117 c.c. - ad unità o porzioni di proprietà individuale, delle quali le prime rendono possibile l'esistenza stessa o l'uso. Pertanto, anche i proprietari esclusivi di spazi destinati a posti auto compresi nel complesso condominiale possono dirsi condomini, e quindi presumersi comproprietari (nonché obbligati a concorrere alle relative spese, ex art. 1123 c.c.) di quelle parti comuni che, al momento della formazione del condominio, si trovino in rapporto di accessorietà, strutturale e funzionale, con detti spazi.

Cass. civ. n. 30071/2017

Mentre i balconi di un edificio condominiale non rientrano tra le parti comuni, ai sensi dell'art. 1117 c.c., non essendo necessari per l'esistenza del fabbricato, né essendo destinati all'uso o al servizio di esso, il rivestimento del parapetto e della soletta devono, invece, essere considerati beni comuni se svolgono una prevalente funzione estetica per l'edificio, divenendo così elementi decorativi ed ornamentali essenziali della facciata e contribuendo a renderlo esteticamente gradevole; ne consegue che l'azione di un condomino diretta alla demolizione, al ripristino, o comunque al mutamento dello stato di fatto di tali elementi deve essere proposta nei confronti di tutti i partecipanti del condominio, quali litisconsorti necessari.

Cass. civ. n. 20287/2017

La terrazza a livello, con funzione di copertura e protezione dagli agenti atmosferici dei vani sottostanti (ancorché appartenenti, come nella specie, ad unità immobiliari rientranti in edifici autonomi, ma tra loro materialmente congiunti) deve ritenersi bene di proprietà condominiale, ex art. 1117 c.c., giacché, svolgendo la medesima funzione del lastrico solare, è necessaria all'esistenza stessa del fabbricato; né osta a tale conclusione la circostanza che ad essa si acceda da un appartamento contiguo (ubicato, nella specie, in uno degli edifici coperti ed) al cui servizio pertinenziale la terrazza è destinata, non pregiudicando tale destinazione i diritti dei condomini sulla cosa comune, ex art. 819 c.c., né essendo il regime di comunione escluso dal solo fatto che uno o più comproprietari traggano dal bene utilità maggiori rispetto ad altri ed occorrendo, al contrario, che la deroga all'attribuzione legale al condominio, con assegnazione della terrazza a livello in proprietà od uso esclusivi, risulti da uno specifico titolo, mediante espressa disposizione nel negozio di alienazione, ovvero mediante un atto di destinazione del titolare di un diritto reale, a prescindere dalla natura reale o personale del diritto così costituito.

Cass. civ. n. 17581/2017

In tema di edifici realizzati da cooperative edilizie, ove all'assegnazione dell'alloggio da parte della cooperativa segua la consegna dello stesso ai singoli assegnatari si origina, per fatto concludente, il condominio - la cui costituzione, pur presupponendo l'accordo di tutti gli interessati, non richiede alcuna forma speciale - con la conseguenza che la "legitimatio ad causam" per tutte le vicende processuali relative alla regolamentazione della gestione di beni e servizi comuni ed al recupero delle quote di spesa dovute dai singoli assegnatari per la partecipazione al godimento dei servizi di comune utilità spetta ad esso condominio ed al relativo amministratore.

Cass. civ. n. 16608/2017

Il singolo condomino non è titolare, nei confronti del condominio, di un diritto di natura sinallagmatica relativo al buon funzionamento degli impianti condominiali (nella specie, l'impianto elettrico comune), che possa essere esercitato mediante un'azione di condanna della stessa gestione condominiale all'adempimento corretto della relativa prestazione contrattuale, trovando causa l'uso dell'impianto che ciascun partecipante vanta nel rapporto di comproprietà delineato negli artt. 1117 e ss. c.c.. Ne consegue che il condomino non ha azione per richiedere la messa a norma dell'impianto medesimo, potendo al più avanzare, verso il condominio, una pretesa risarcitoria nel caso di colpevole omissione nella sua riparazione o adeguamento, ovvero sperimentare altri strumenti di reazione e di tutela, quali, ad esempio, le impugnazioni delle deliberazioni assembleari ex art. 1137 c.c., i ricorsi contro i provvedimenti dell'amministratore ex art. 1133 c.c., la domanda di revoca giudiziale dell'amministratore ex art. 1129, comma 11, c.c., o il ricorso all'autorità giudiziaria in caso di inerzia agli effetti dell'art. 1105, comma 4, c.c..

Cass. civ. n. 9986/2017

Le scale e l'androne, essendo elementi strutturali necessari all'edificazione di uno stabile condominiale e mezzo indispensabile per accedere al tetto ed al terrazzo di copertura, conservano, in assenza di titolo contrario, la qualità di parti comuni, come indicato nell'art. 1117 c.c., anche relativamente ai condomini proprietari di negozi o locali terranei con accesso dalla strada, poiché anche tali condomini ne fruiscono, quanto meno in ordine alla conservazione e manutenzione della copertura dell'edificio. Ne consegue l'applicabilità della tabella millesimale generale ai fini del computo dei "quorum" per la ripartizione delle spese dei lavori di manutenzione straordinaria (ed eventualmente ricostruzione) dell'androne e delle scale, cui anche detti condomini sono tenuti a concorrere, in rapporto ed in proporzione all'utilità che possono in ipotesi trarne.

Cass. civ. n. 5831/2017

L’area esterna di un edificio condominiale, della quale manchi un'espressa riserva di proprietà nel titolo originario di costituzione del condominio e sia stato omesso qualsiasi riferimento nei singoli atti di trasferimento delle unità immobiliari, può essere ritenuta di natura condominiale, ai sensi dell’art. 1117 c.c., in quanto soggetta alla speciale normativa urbanistica dettata dall'art. 41 sexies della l. n. 1150 del 1942, introdotto dall'art. 18 della l. n. 765 del 1967, ove venga accertato che sia destinata a parcheggio secondo la prescrizione della concessione edilizia, originaria o in variante, e che poi, in corso di costruzione, sia stata riservata a tale fine e non impiegata, invece, per realizzarvi opere di altra natura. Pertanto, spetta a chi vanti il diritto di uso a parcheggio di una determinata area, in quanto vincolata ex art. 41 sexies della l. n. 1150 cit., di provare che la stessa sia compresa nell’ambito dell’apposito spazio riservato, trattandosi di elemento costitutivo del relativo diritto.

Cass. civ. n. 5335/2017

In caso di edificio costruito da più soggetti su suolo comune, il condominio insorge al momento in cui avviene l'assegnazione in proprietà esclusiva dei singoli appartamenti; per effetto di tale assegnazione si origina, altresì, la presunzione legale di comunione "pro indiviso" di quelle parti del fabbricato che, per ubicazione e struttura, siano, in tale momento, destinate all'uso comune ovvero a soddisfare esigenze generali e fondamentali del condominio stesso, salvo che dal titolo non risulti, in contrario, una chiara ed univoca volontà di riservare esclusivamente ad uno dei condomini la proprietà di dette parti e dì escluderne gli altri. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito, che aveva affermato la natura condominiale dei sottotetti, in base alla convenzione con la quale, anteriormente alla costruzione dell'edificio, i comproprietari del suolo avevano già provveduto all'identificazione ed attribuzione dei singoli appartamenti, delimitando i confini di uno di essi con riguardo a "porzioni condominiali del sottotetto").

Cass. civ. n. 2800/2017

Ai sensi dell'art. 1117 c.c., negli edifici in condominio anche le parti poste concretamente a servizio soltanto di alcune porzioni dello stabile, in assenza di titolo contrario, devono presumersi comuni a tutti i condomini.

Cass. civ. n. 27360/2016

In tema di condominio, in considerazione del rapporto di accessorietà necessaria che lega le parti comuni dell'edificio alle proprietà singole, delle quali le prime rendono possibile l'esistenza stessa o l'uso, la condominialità non è esclusa per il solo fatto che le costruzioni siano realizzate, anziché come porzioni di piano l'una sull'altra (condominio verticale), quali proprietà singole in sequenza (villette a schiera, condominio in orizzontale), poiché la nozione di condominio è configurabile anche nel caso di immobili adiacenti orizzontalmente in senso proprio, purché dotati delle strutture portanti e degli impianti essenziali indicati dall’art. 1117 c.c.. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, che aveva escluso che la ricorrenza di un condominio - sia pure cd. minimo - in presenza di due appartamenti a schiera, facenti parte del medesimo immobile, costituito da un unico corpo di fabbrica realizzato in virtù di una sola licenza edilizia e dotato di fondamenta, strutture portanti e tetto unitari e separati tra loro in linea verticale, da terra al soffitto della mansarda, da una tramezzatura divisoria).

Cass. civ. n. 13450/2016

In tema di condominio negli edifici, il corridoio di accesso alle singole unità immobiliari si presume comune ex art. 1117, n. 1, c.c., sicché è onere del condomino che ne vanti la proprietà esclusiva indicare il titolo relativo nell'atto costitutivo del condominio.

Cass. civ. n. 6154/2016

Lo spazio sottostante il suolo di un edificio condominiale, in mancanza di un titolo che ne attribuisca la proprietà esclusiva ad uno dei condomini, va considerato di proprietà comune, per il combinato disposto degli artt. 840 e 1117 c.c., sicché, ove il singolo condomino proceda, senza il consenso degli altri partecipanti, a scavi in profondità del sottosuolo, così attraendolo nell'orbita della sua disponibilità esclusiva, si configura uno spoglio denunciabile dall'amministratore con l'azione di reintegrazione.

Cass. civ. n. 6143/2016

In tema di condominio, per accertare la natura condominiale o pertinenziale del sottotetto di un edificio, in mancanza del titolo, deve farsi riferimento alle sue caratteristiche strutturali e funzionali, sicché, quando il sottotetto sia oggettivamente destinato (anche solo potenzialmente) all'uso comune o all'esercizio di un servizio di interesse comune, può applicarsi la presunzione di comunione ex art. 1117, comma 1, c.c.; viceversa, allorché il sottotetto assolva all'esclusiva funzione di isolare e proteggere dal caldo, dal freddo e dall'umidità l'appartamento dell'ultimo piano, e non abbia dimensioni e caratteristiche strutturali tali da consentirne l'utilizzazione come vano autonomo, va considerato pertinenza di tale appartamento.

Cass. civ. n. 14697/2015

In tema di condominio negli edifici, tutti i condomini devono partecipare alle deliberazioni che concernono l'ascensore (nella specie, quella volta alla sostituzione dell'impianto), trattandosi di bene di cui si presume, agli effetti dell'art. 1117, n. 3, cod. civ., la proprietà comune in assenza di una diversa previsione contrattuale idonea a superare tale presunzione (come, nella specie, la clausola del regolamento condominiale integralmente esonerativa di alcuni partecipanti dall'onere di contribuire alle relative spese).

Cass. civ. n. 11444/2015

Il giardino adiacente l'edificio condominiale, se non è occupato e circoscritto dalle fondamenta e dai muri perimetrali, né destinato al servizio delle unità che vi si affacciano, non costituisce il "suolo su cui sorge l'edificio", né, rispettivamente, un "cortile", sicché la sua natura comune non può essere presunta a norma dell'art. 1117, n. 1, cod. civ., ma deve risultare da un apposito titolo.

Cass. civ. n. 4372/2015

Negli edifici in condominio, le scale con i relativi pianerottoli, che insistano, nella specie, su un ballatoio e servano da accesso al lastrico solare comune, costituiscono strutture funzionalmente essenziali del fabbricato e rientrano, pertanto, tra le parti che devono presumersi comuni, in forza dell'art. 1117, n. 1 cod. civ., a nulla rilevando che le suddette opere siano state materialmente realizzate da uno solo degli originari comproprietari, valendo tale circostanza solo a giustificare la pretesa dello stesso a vedersi riconoscere dagli altri condomini un contributo per le spese di installazione e manutenzione dei manufatti, e non quale titolo idoneo ad attribuirne la proprietà esclusiva al loro autore.

Cass. civ. n. 1680/2015

In tema di condominio, l'art. 1117 cod. civ. contiene un'elencazione solo esemplificativa e non tassativa dei beni che si presumono comuni poiché sono tali anche quelli aventi un'oggettiva e concreta destinazione al servizio comune, salvo che risulti diversamente dal titolo, mentre, al contrario, tale presunzione non opera con riguardo a beni che, per le proprie caratteristiche strutturali, devono ritenersi destinati oggettivamente al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari.

Cass. civ. n. 27154/2014

In tema di condominio, le gronde, i doccioni ed i canali di scarico, che convogliano le acque meteoriche dalla sommità di un edificio condominiale, costituiscono parti comuni, atteso che, svolgendo una funzione necessaria all'uso comune, ricadono tra i beni di cui all'art. 1117 cod. civ., senza che rilevi la circostanza che la copertura del fabbricato, dal quale provengano tali acque, sia costituita da tetto a falda, lastrico o terrazzo di proprietà esclusiva, né trovi applicazione il regime sulle spese stabilito dall'art. 1126 cod. civ., il quale disciplina soltanto le riparazioni o ricostruzioni del lastrico propriamente inteso.

Cass. civ. n. 19799/2014

Ai fini della configurabilità di un supercondominio, non è indispensabile l'esistenza di beni comuni a più edifici, compresi in una più ampia organizzazione condominiale, ma è sufficiente la presenza di servizi comuni agli stessi, quali, nella specie, i servizi di illuminazione, di rimozione dei rifiuti e di portineria.

Cass. civ. n. 28350/2013

Nell'ipotesi in cui un condomino risulti proprietario esclusivo della rampa di scale accedente al suo appartamento, la parte di area sottostante le scale non può ritenersi idonea a costituire con esse un'entità unica ed inseparabile, postulando il concetto di incorporazione, al pari di quello di accessione, un'unione fisica e materiale del manufatto rispetto al suolo o, in ogni caso, l'impossibilità di utilizzare il suolo stesso come entità autonoma rispetto al manufatto, ciò che non può affermarsi con riguardo ad una superficie libera sormontata da una rampa di scale.

Cass. civ. n. 27942/2013

In tema di condominio negli edifici, per lastrico solare deve intendersi la superficie terminale dell'edificio che abbia la funzione di copertura - tetto delle sottostanti unità immobiliari, comprensiva di ogni suo elemento, sia pure accessorio, come la pavimentazione, ma non estesa a quelle opere ivi esistenti che, sporgendo dal piano di copertura, siano dotate di autonoma consistenza e abbiano una specifica destinazione al servizio delle parti comuni. Ne consegue che non possono ricomprendersi nella nozione di lastrico solare i torrini della gabbia scale e del locale ascensore con la relativa copertura, i quali costituiscono distinti e autonomi manufatti di proprietà condominiale sopraelevati rispetto al piano di copertura del fabbricato.

Cass. civ. n. 8012/2012

In tema di condominio negli edifici, in base all'art. 1117 c.c., l'estensione della proprietà condominiale ad edifici separati ed autonomi rispetto all'edificio in cui ha sede il condominio può essere giustificata soltanto in ragione di un titolo idoneo a far ricomprendere il relativo manufatto nella proprietà del condominio stesso, qualificando espressamente tale bene come ad esso appartenente negli atti in cui, attraverso la vendita dei singoli appartamenti, il condominio risulta costituito. Ne consegue che, ai fini dell'accertamento dell'appartenenza al condominio di garages ubicati in un blocco edilizio separato rispetto all'edificio in cui si trovano gli appartamenti condominiali, nessun rilievo va ascritto alla presenza, tra gli allegati al regolamento di condominio, di una tabella di ripartizione delle spese dei medesimi garages tra i corrispondenti proprietari, né alla circostanza che il cortile condominiale sia da questi ultimi utilizzato per accedere al loro bene, non costituendo il regolamento un titolo di proprietà, e non facendo l'uso promiscuo di un bene presumere la contitolarità dei beni che se ne servono e da esso traggono vantaggio.

Cass. civ. n. 4430/2012

Il fabbricato condominiale è un'unità fisico-economica complessa e compiuta, che comprende sia le porzioni comuni, sia quelle di proprietà individuale, incluse le parti di mura che, sebbene perimetrali, appartengano ad un solo condomino per titolo o per specifica destinazione a sostenere una sola unità abitativa o una sua porzione. Pertanto, la locuzione "il suolo su cui sorge l'edificio", di cui all'art. 1117, n. 1, c.c., designa l'area su cui insiste il fabbricato nel suo insieme di componenti comuni e non, di talché la circostanza che una parte delle mura perimetrali sia destinata esclusivamente a delimitare e sorreggere un balcone di proprietà di un singolo condomino non esclude l'appartenenza comune della porzione di suolo su cui quella parte insiste.

Cass. civ. n. 1214/2012

In tema di aree destinate a parcheggio, la norma dell'art. 41 sexies della legge 17 agosto 1942, n. 1150, introdotta dall'art. 18 della legge 6 agosto 1967, n. 765, si limita a prescrivere, per i fabbricati di nuova costruzione, la destinazione obbligatoria di appositi spazi a parcheggi in misura proporzionale alla cubatura totale dell'edificio, determinando, mediante tale vincolo di carattere pubblicistico, un diritto reale d'uso sugli spazi predetti a favore di tutti i condomini dell'edificio, senza imporre all'originario costruttore alcun obbligo di cessione in proprietà degli spazi in questione. Pertanto, ove l'azione per il riconoscimento del diritto reale d'uso sia stata proposta da uno solo dei condomini, il giudice di merito può individuare un preciso spazio fisico per la sosta dei veicoli di proprietà del condomino istante, senza che di tale decisione possa dolersi il costruttore del complesso immobiliare, il quale potrebbe astrattamente usucapire la rimanente parte dell'area vincolata.

Cass. civ. n. 778/2012

In tema di condominio negli edifici, ai sensi dell'art. 1117, terzo comma, c.c., la proprietà dei tubi di scarico dei singoli condomini si estende fino al punto del loro raccordo con l'innesto nella colonna verticale, all'altezza di ciascun piano dell'edificio. Ne consegue che la parte della colonna di scarico che, all'altezza dei singoli piani dell'edificio condominiale, funge da raccordo tra tale colonna e lo scarico dei singoli appartamenti (braga) va qualificato come bene condominiale, proprio in relazione alla sua funzione e in quanto strutturalmente collegata al tratto verticale dello scarico, del quale costituisce parte essenziale.

Cass. civ. n. 19490/2011

In tema di condominio negli edifici, al fine di stabilire se un fabbricato minore adiacente ad altro stabile in muratura faccia parte dei beni condominiali, ai sensi dell'art. 1117 c.c., è necessario stabilire se siano sussistenti i presupposti per l'operatività della presunzione di proprietà comune, di cui a detta disposizione, con riferimento al momento della nascita del condominio, eventualmente coincidente con quello in cui il condomino che ne invochi l'applicazione abbia acquisito la proprietà di una porzione dello stabile, restando escluso che sia determinante il collegamento materiale tra i due immobili, se eseguito successivamente all'acquisto.

Cass. civ. n. 17332/2011

Al pari del condominio negli edifici, regolato dagli artt. 1117 e segg. c.c., anche il c.d. supercondominio, viene in essere "ipso iure et facto", se il titolo non dispone altrimenti, senza bisogno d'apposite manifestazioni di volontà o altre esternazioni e tanto meno d'approvazioni assembleari, sol che singoli edifici, costituiti in altrettanti condomini, abbiano in comune talune cose, impianti e servizi legati, attraverso la relazione di accessorio e principale, con gli edifici medesimi e per ciò appartenenti, "pro quota", ai proprietari delle singole unità immobiliari comprese nei diversi fabbricati.

Cass. civ. n. 17249/2011

In tema di condominio, la natura del sottotetto di un edificio è, in primo luogo, determinata dai titoli e, solo in difetto di questi ultimi, può ritenersi comune, se esso risulti in concreto, per le sue caratteristiche strutturali e funzionali, oggettivamente destinato (anche solo potenzialmente) all'uso comune o all'esercizio di un servizio di interesse comune. Il sottotetto può considerarsi, invece, pertinenza dell'appartamento sito all'ultimo piano solo quando assolva alla esclusiva funzione di isolare e proteggere l'appartamento medesimo dal caldo, dal freddo e dall'umidità, tramite la creazione di una camera d'aria e non abbia dimensioni e caratteristiche strutturali tali da consentirne l'utilizzazione come vano autonomo.

Cass. civ. n. 22466/2010

In tema di condominio, per qualificare un lastrico solare come parte comune, ai sensi dell'art. 1117, n. 1, c.c., è necessaria la sussistenza di connotati strutturali e funzionali comportanti la materiale destinazione del bene al servizio e godimento di più unità immobiliari appartenenti in proprietà esclusiva a diversi proprietari. Deve pertanto escludersi la presunzione di comunione di un lastrico solare che, nel contesto di un edificio costituito da più unità immobiliari autonome, disposte a schiera, assolva unicamente alla funzione di copertura di una sola delle stesse e non anche di altri elementi, eventualmente comuni, presenti nel c.d. "condominio orizzontale".

Cass. civ. n. 17993/2010

Il diritto di condominio sulle parti comuni dell'edificio ha il suo fondamento nel fatto che tali parti siano necessarie per l'esistenza dell'edificio stesso, ovvero che siano permanentemente destinate all'uso o al godimento comune, sicché la presunzione di comproprietà posta dall'art. 1117 c.c., che contiene un'elencazione non tassativa ma meramente esemplificativa dei beni da considerare oggetto di comunione, può essere superata se la cosa, per obbiettive caratteristiche strutturali, serve in modo esclusivo all'uso o al godimento di una parte dell'immobile, venendo meno, in questi casi, il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria, giacché la destinazione particolare del bene prevale sull'attribuzione legale, alla stessa stregua del titolo contrario. (Nella specie, la S.C. ha confermato, "in parte qua", la sentenza di merito che aveva escluso dalla comunione ai sensi dell'art. 1117 c.c. una terrazza panoramica da sempre asservita alla contigua villa padronale in funzione di belvedere panoramico, tale da conferire alla villa stessa un particolare pregio e risultarne un accessorio).

Cass. civ. n. 13883/2010

Nel caso di pluralità di edifici, costituiti in distinti condomini, ma compresi in una più ampia organizzazione condominiale (c.d. "supercondominio"), trovano applicazione le norme sul condominio negli edifici e non già quelle sulla comunione in generale, con la conseguenza che si applica la presunzione legale di comunione di talune parti, stabilita dall'art. 1117 c.c., purché si tratti di beni oggettivamente e stabilmente destinati all'uso od al godimento di tutti gli edifici, come nel caso degli impianti di acqua sino al punto in cui è possibile stabilire a quale degli edifici la conduttura si riferisca, per poi considerare cessata la comunione dal punto in cui le diramazioni siano inequivocabilmente destinate a ciascun edificio.

Cass. civ. n. 11195/2010

In tema di condominio negli edifici, per stabilire se un'unità immobiliare è comune, ai sensi dell'art. 1117, n. 2, c.c., perché destinata ad alloggio del portiere, il giudice del merito deve accertare se, all'atto della costituzione del condominio, come conseguenza dell'alienazione dei singoli appartamenti da parte dell'originario proprietario dell'intero fabbricato, vi è stata tale destinazione, espressamente o di fatto, dovendosi altrimenti escludere la proprietà comune dei condomini su di essa. Né per vincere, in base al titolo, la presunzione legale di proprietà comune delle parti dell'edificio condominiale indicate nell'art. 1117 c.c., sono sufficienti il frazionamento-accatastamento e la relativa trascrizione, eseguiti a domanda del venditore costruttore, trattandosi di atto unilaterale di per sé inidoneo a sottrarre il bene alla comunione condominiale, e dovendosi invece riconoscere tale effetto solo al contratto di compravendita, in cui la previa delimitazione unilaterale dell'oggetto del trasferimento sia stata recepita nel contenuto negoziale per concorde volontà dei contraenti.

In tema di condominio negli edifici, per tutelare la proprietà di un bene appartenente a quelli indicati dall'art. 1117 c.c. non è necessario che il condominio dimostri con il rigore richiesto per la rivendicazione la comproprietà del medesimo, essendo sufficiente, per presumerne la natura condominiale, che esso abbia l'attitudine funzionale al servizio o al godimento collettivo, e cioè sia collegato, strumentalmente, materialmente o funzionalmente con le unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli condomini, in rapporto con queste da accessorio a principale, mentre spetta al condomino che ne afferma la proprietà esclusiva darne la prova.

In tema di condominio, costituisce valutazione in fatto, sottratta al giudizio di legittimità ove adeguatamente motivata, l'accertamento da parte del giudice di merito relativo al fatto che un determinato bene, per la sua struttura e conformazione e per la funzione cui è destinato, rientri tra quelli condominiali oppure sia di proprietà esclusiva di uno dei condomini.

Cass. civ. n. 7761/2010

In tema di condominio, la collocazione delle tubazioni di un impianto idrico destinato al servizio di alcuni appartamenti dell'edificio all'interno delle mura di uno di essi comporta, in virtù del rapporto di accessorietà necessaria fra beni di proprietà esclusiva e beni comuni che caratterizza il condominio degli edifici, l'instaurazione di un rapporto di comproprietà tra i condomini titolari delle unità immobiliari servite dall'impianto, in virtù del quale il titolare dell'appartamento in cui le tubazioni sono collocate, pur non subendo limitazioni nel suo autonomo ed esclusivo godimento, ha l'obbligo di consentirne e conservarne la destinazione al servizio comune, configurandosi l'impedimento all'utilizzazione del servizio da parte degli altri comproprietari come un uso illegittimo dei poteri a lui spettanti in qualità di comproprietario. (Principio enunciato dalla S.C. in riferimento ad una fattispecie in cui il titolare dell'appartamento in cui erano collocate le tubazioni aveva chiuso la saracinesca dell'impianto).

Cass. civ. n. 14813/2008

Il condominio esiste per la sola presenza di un edificio in cui vi sia una separazione della proprietà per piani orizzontali, indipendentemente dall'approvazione di un regolamento e dalla validità del medesimo.

Cass. civ. n. 2305/2008

Ai fini della costituzione di un supercondominio, non è necessaria né la manifestazione di volontà dell'originario costruttore né quella di tutti i proprietari delle unità immobiliari di ciascun condominio, essendo sufficiente che i singoli edifici, abbiano, materialmente, in comune alcuni impianti o servizi, ricompresi nell'ambito di applicazione dell'art. 1117 c.c., (quali, ad esempio, il viale d'ingresso, l'impianto centrale per il riscaldamento, i locali per la portineria, l'alloggio del portiere ), in quanto collegati da un vincolo di accessorietà necessaria a ciascuno degli stabili, spettando, di conseguenza, a ciascuno dei condomini dei singoli fabbricati la titolarità pro quota su tali parti comuni e l'obbligo di corrispondere gli oneri condominiali relativi alla loro manutenzione.

Cass. civ. n. 730/2008

La speciale normativa urbanistica, dettata dall'art. 41 sexies della legge n. 1150 del 1942, introdotto dall'art. 18 della legge n. 765 del 1967, si limita a prescrivere, per i fabbricati di nuova costruzione, la destinazione obbligatoria di appositi spazi, a parcheggi, in misura proporzionale alla cubatura totale dell'edificio determinando, mediante tale vincolo di carattere pubblicistico, un diritto reale d'uso sugli spazi predetti a favore di tutti i condomini dell'edificio, senza imporre all'originario costruttore alcun obbligo di cessione in proprietà degli spazi in questione. Pertanto, ove manchi un'espressa riserva di proprietà o sia stato omesso qualsiasi riferimento, al riguardo, nei singoli atti di trasferimento delle unità immobiliari, le aree in questione, globalmente considerate, devono essere ritenute parti comuni dell'edificio condominiale, ai sensi dell'art. 1117 c.c. (Nel caso di specie, la Corte ha cassato con rinvio la sentenza del giudice di secondo grado che aveva condannato il condominio al rilascio di un posto macchina in favore di un condomino rilevando che il giudice di merito aveva omesso di accertare sia l'applicabilità del vincolo pubblicistico di destinazione su tutta o solo su una parte delle aree destinate a parcheggio sia, soprattutto, il regime proprietario di tali aree al fine di verificare se vi era stata una riserva di proprietà da parte del costruttore o, in mancanza se lo spazio era divenuto condominiale).

Cass. civ. n. 27145/2007

Affinché possa operare, ai sensi dell'art. 1117 c.c., il cosiddetto diritto di condominio, è necessario che sussista una relazione di accessorietà fra i beni, gli impianti o i servizi comuni e l'edificio in comunione, nonché un collegamento funzionale fra primi e le unità immobiliari di proprietà esclusiva. Pertanto, qualora, per le sue caratteristiche funzionali e strutturali, il bene serva al godimento delle parti singole dell'edificio comune, si presume — indipendentemente dal fatto che la cosa sia, o possa essere, utilizzata da tutti i condomini o soltanto da alcuni di essi — la contitolarità necessaria di tutti i condomini su di esso. Detta presunzione può essere vinta da un titolo contrario, la cui esistenza deve essere dedotta e dimostrata dal condomino che vanti la proprietà esclusiva del bene, potendosi a tal fine utilizzare il titolo - salvo che si tratti di acquisto a titolo originario — solo se da esso si desumano elementi tali da escludere in maniera inequivocabile la comunione. (Nella specie, la S.C. ha rigettato il ricorso avverso la sentenza della corte di appello che aveva ritenuto non superata la presunzione di comunione del muro sul quale poggiava la costruzione realizzata dal dante causa del ricorrente, non avendo quest'ultimo fornito la prova della proprietà esclusiva del muro perimetrale su cui si innestavano i manufatti edificati, a nulla rilevando che parte del detto muro «si aprisse» su un terrazzo di proprietà esclusiva del ricorrente stesso).

In tema di condominio, l'accertamento relativo alla sussistenza del legame di essenziale indissolubilità e/o di accessorietà tra il bene di proprietà singola e gli altri beni, dotati astrattamente di una propria autonomia, è demandato al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità se non affetto da vizi logici e giuridici; allo stesso giudice è demandata anche l'interpretazione dei titoli allegati per escludere il diritto di condominio e la valutazione sulla loro idoneità e sufficienza rispetto al fine dedotto.

Cass. civ. n. 17928/2007

La presunzione legale di condominialità stabilita per i beni elencati nell'art. 1117 c.c., la cui elencazione non è tassativa, deriva sia dall'attitudine oggettiva del bene al godimento comune sia dalla concreta destinazione del medesimo al servizio comune. Da ciò consegue che chi voglia vincere tale presunzione ha l'onere di fornire la prova della proprietà esclusiva, non potendo essere determinanti, a questo proposito, né le risultanze dell'eventuale regolamento di condominio, né l'eventuale inclusione del bene nelle tabelle millesimali, come proprietà esclusiva del singolo condomino.

Cass. civ. n. 15444/2007

Le scale, essendo elementi strutturali necessari alla edificazione di uno stabile condominiale e mezzo indispensabile per accedere al tetto e al terrazzo di copertura, conservano la qualità di parti comuni, così come indicato nell'art. 1117 c.c., anche relativamente ai condomini proprietari di negozi con accesso dalla strada, in assenza di titolo contrario, poiché anche tali condomini ne fruiscono quanto meno in ordine alla conservazione e manutenzione della copertura dell'edificio. (Nella fattispecie, la S.C. ha confermato la sentenza d'appello che aveva ritenuto nullo l'accordo avente ad oggetto la cessione del diritto reale d'uso del pianerottolo del quarto piano di un edificio e della sovrastante scala a chiocciola, in quanto privo del necessario consenso di tutti i condomini ed in particolare di quello dei proprietari dei negozi siti al piano terreno e con accesso alla strada).

Cass. civ. n. 11109/2007

La gronda del tetto di uno stabile condominiale costituisce bene comune, in quanto, essendo parte integrante del tetto e svolgendo una funzione necessaria all'uso comune, ricade tra i beni che l'art. 1117 n. 1 c.c. include espressamente tra le parti comuni dell'edificio; ne consegue che l'azione del condomino diretta alla demolizione della stessa, perché abusivamente eseguita da altro condomino, va proposta nei confronti di tutti i partecipanti del condominio, quali litisconsorti necessari.

Cass. civ. n. 9093/2007

In mancanza di una specifica previsione contraria del titolo costitutivo, la destinazione all'uso ed al godimento comune di taluni servizi, beni o parti dell'edificio comune, risultante dall'attitudine funzionale del bene al servizio dell'edificio, considerato nella sua unità e al godimento collettivo, fanno presumere la condominialità a prescindere dal fatto che il bene sia o possa essere utilizzato da tutti i condomini o solo da taluni di essi. (Mass. redaz.).

Cass. civ. n. 4973/2007

Il presupposto perché si instauri un diritto di condominio su un bene comune è costituito dalla relazione di accessorietà strumentale e funzionale che collega i piani o le porzioni di piano di proprietà esclusiva agli impianti o ai servizi di uso comune, rendendo il godimento del bene comune strumentale al godimento del bene individuale e non suscettibile di autonoma utilità, come avviene invece nella comunione. Detta relazione di accessorietà può sussistere anche se uno degli edifici o, al limite entrambi, non siano condomini, purché si tratti di edifici autonomi, atteso che l'art. 61 disp. att. c.c. individua l'autonomia della costruzione e non la gestione dell'edificio, come caratteristica rilevante in base alla quale l'art. 62 consente l'applicazione delle norme sul condominio alle parti, di cui all'art. 1117 c.c., rimaste comuni ai diversi edifici. In tal modo si configura, specialmente con riferimento ai nuovi complessi immobiliari, un condominio sui generis allargato, di tipo verticale, in cui ogni edificio autonomo, di proprietà esclusiva o costituente condominio, assume la figura di supercondominio, soggiacendo alla normativa condominiale. (Nella specie, la S.C. ha, integrandone la motivazione, confermato sul punto la sentenza di merito, che aveva ravvisato l'esistenza di un supercondominio con riferimento alla rete fognaria e alle cisterne d'acqua in comune in un complesso immobiliare composto da edifici a destinazione residenziale ed edifici a destinazione paralberghiera).

Cass. civ. n. 24415/2006

In tema di condominio, rientra fra i beni indicati dall'art. 1117 c.c. lo spazio vuoto (cosiddetto vuoto tecnico) esistente fra l'appartamento ubicato al piano rialzato e le fondamenta dell'edificio, in quanto lo stesso svolge la funzione di camera d'aria delle parti comuni, essendo destinato all'areazione e all'umidificazione così dei muri maestri, da quali delimitato, come delle fondamenta.

Cass. civ. n. 18255/2006

La speciale normativa urbanistica che prescrive la destinazione obbligatoria di appositi spazi a parcheggi (art. 41 sexies della legge 17 agosto 1942, n. 1150, aggiunto dall'art. 18 della legge 6 agosto 1967, n. 765, e modificato dall'art. 9 della legge 23 aprile 1989, n. 122, ed art. 26, quarto comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47) pone un vincolo pubblicistico di destinazione, che non può subire deroga negli atti privati di disposizione degli spazi stessi ed il cui contenuto è, tuttavia, limitato all'imposizione che appositi spazi siano riservati a parcheggio nelle nuove costruzioni in misura proporzionale alla cubatura totale del fabbricato, e a stabilire un nesso pertinenziale tra tali spazi e l'intero edificio. E pertanto consentito il trasferimento dell'area di parcheggio globalmente e pro indiviso agli acquirenti dei vari appartamenti, in modo che costituisca una parte comune.

Cass. civ. n. 3159/2006

In tema di condominio, qualora un'area sia oggetto di uso esclusivo da parte di alcuni comproprietari e tuttavia, pur non rientrando fra la parti elencate dall'art. 1117 c.c., sia altresì idonea — per le sue caratteristiche strutturali e funzionali — a soddisfare interessi comuni, questi ultimi prevalgono, dovendo il bene ritenersi di proprietà comune in virtù della presunzione che, in base alla norma citata, opera se non è superata dal titolo contrario; nell'ipotesi in cui, invece, il bene serva soltanto all'uso e al godimento di una parte dell'immobile, oggetto di proprietà esclusiva, l'area non può rientrare nel novero delle cose comuni. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito che, nel qualificare un «pianerottolo» come bene destinato ad uso comune, aveva omesso di accertare se lo stesso fosse vicino alle scale o presentasse comunque caratteristiche che lo rendevano necessario all'uso comune).

Cass. civ. n. 495/2006

In tema di condominio, la sentenza che, nel determinare le tabelle millesimali, consideri di proprietà comune un certo bene facente parte dell'edificio condominiale ha efficacia di giudicato implicito — fra le parti che hanno partecipato al relativo giudizio — in ordine all'accertamento della proprietà comune di detto bene, costituendo quest'ultimo l'antecedente logico-giuridico indispensabile della relativa decisione, con la conseguenza che il relativo accertamento determina il superamento della previsione, in un atto di acquisto di una proprietà singolare, dell'esclusione della comunione di quel bene.

Cass. civ. n. 15357/2005

Qualora un complesso residenziale composto da più palazzine, ciascuna con un proprio distinto condominio, abbia spazi e manufatti di godimento comune, questi debbono ritenersi soggetti al regime della comunione e non a quello del condominio, con la conseguenza che, applicandosi le regole generali della prima e non del secondo, per le innovazioni si richiede la manifestazione di volontà di tutti i partecipanti; né, d'altra parte, è configurabile la violazione dell'art. 1117 c.c. nell'ipotesi in cui più edifici siano dotati di opere comuni strutturalmente distaccate. (Nella specie, è stata ritenuta illegittima l'esecuzione da parte di un condominio di opere relative ai viali di accesso comuni a più edifici facenti parte di un complesso residenziale, sul rilievo che il medesimo non avrebbe potuto operare su parti di uso comune di edifici limitrofi ed autonomi appartenenti a diversi proprietari, fisicamente distaccate ma destinate al servizio comune dei proprietari medesimi).

Cass. civ. n. 8066/2005

In considerazione del rapporto di accessorietà necessaria che lega le parti comuni dell'edificio elencate in via esemplificativa — se il contrario non risulta dal titolo — dall'art. 1117 c.c. alle proprietà singole, delle quali le prime rendono possibile l'esistenza stessa o l'uso, la nozione di condominio in senso proprio è configurabile non solo nell'ipotesi di fabbricati che si estendono in senso verticale ma anche nel caso di costruzioni adiacenti orizzontalmente (come in particolare le cosiddette case a schiera), in quanto siano dotate delle strutture portanti e degli impianti essenziali indicati dal citato art. 1117 cod. civ; peraltro, anche quando manchi un così stretto nesso strutturale, materiale e funzionale, non può essere esclusa la condominialità neppure per un insieme di edifici indipendenti, giacché, secondo quanto si desume dagli artt. 61 e 62 disp. att. c.c. — che consentono lo scioglimento del condominio nel caso in cui un gruppo di edifici si possa dividere in parti che abbiano le caratteristiche di edifici autonomi — è possibile la costituzione ab origine di un condominio fra fabbricati a sé stanti, aventi in comune solo alcuni elementi, o locali, o servizi o impianti condominiali; dunque, per i complessi immobiliari, che comprendono più edifici, seppure autonomi, è rimessa all'autonomia privata la scelta se dare luogo alla formazione di un unico condominio, oppure di distinti condomini per ogni fabbricato, cui si affianca in tal caso la figura di elaborazione giurisprudenziale del supercondominio, al quale sono applicabili le norme relative al condominio in relazione alle parti comuni, di cui all'art. 1117 c.c., come ad. es. le portinerie, le reti viarie interne, gli impianti dei servizi idraulici o energetici dei complessi residenziali, mentre restano soggette alla disciplina della comunione ordinaria le altre eventuali strutture, che sono invece dotate di una propria autonomia, come per es. le attrezzature sportive, gli spazi d'intrattenimento, i locali di centri commerciali inclusi nel comprensorio comune. (Nella specie, la Suprema Corte ha cassato le sentenza impugnata che, nell'escludere l'applicabilità delle norme sul condominio; aveva ritenuto costituita fra i vari supercondomini una comunione ordinaria di natura convenzionale per la gestione delle parti comuni relative ad un complesso residenziale, formato da un insieme di edifici, distinti in vari blocchi, ciascuno dei quali era a sua volta formato da vari fabbricati costituiti in condominio).

Cass. civ. n. 3102/2005

Il lastrico solare, ai sensi dell'art. 1117 c.c., è oggetto di proprietà comune dei diversi proprietari dei piani o porzioni di piano dell'edificio, ove non risulti il contrario, in modo chiaro ed univoco, dal titolo (per tale intendendosi gli atti di acquisto dei singoli appartamenti, o delle altre unità immobiliari, nonché il regolamento di condominio accettato dai singoli condomini), e, quale superficie terminale dell'edificio, esso svolge l'indefettibile funzione primaria di protezione dell'edificio medesimo, pur potendo essere utilizzato in altri usi accessori, ed in particolare come terrazzo, nel qual caso anche l'uso esclusivo da parte di un solo condomino non integra violazione dell'art. 1120 c.c., non venendo comunque meno la suindicata funzione primaria.

Cass. civ. n. 962/2005

Tra le cose comuni ed i piani o le porzioni di piano può, anzitutto, sussistere un legame materiale di incorporazione che rende le prime indissolubilmente legate alle seconde ed essenziali per la stessa esistenza o per l'uso di queste, dalle quali i beni comuni (muri, pilastri, travi portanti, tetti, fondazioni, ecc.) non possono essere separati; può ravvisarsi, poi, una congiunzione tra cose che possono essere fisicamente separate senza pregiudizio reciproco, che è data dalla destinazione, la quale, a sua volta, importa un legame di diversa resistenza a seconda che le parti comuni siano essenziali per l'esistenza ed il godimento delle unità singole, nel qual caso il vincolo di destinazione è caratterizzato dalla indivisibilità, ovvero che siano semplicemente funzionali all'uso e al godimento delle stesse, nel qual caso la cessione in proprietà esclusiva può essere separata dal diritto di condominio sui beni comuni sicché la presunzione di cui all'art. 1117 c.c. risulta superata dal titolo.

Cass. civ. n. 24147/2004

Il sottotetto di un edificio, quando assolve l'esclusiva funzione di isolare i vani dell'alloggio ad esso sottostanti, si pone in rapporto di dipendenza con i vani stessi, cui serve da protezione, e non può essere, pertanto, da questi ultimi separato senza che si verifichi l'alterazione del rapporto di complementarietà dell'insieme. Conseguentemente, non essendo in tale ipotesi il sottotetto idoneo a essere utilizzato separatamente dall'alloggio sottostante cui accede, non è configurabile il possesso ad usucapionem dello stesso da parte del proprietario di altra unità immobiliare.

Cass. civ. n. 18226/2004

Il condominio si costituisce ex se ed ope iuris senza che sia necessaria deliberazione alcuna, nel momento in cui più soggetti costruiscano su un suolo comune, ovvero quando l'unico proprietario di un edificio ne ceda a terzi piani o porzioni di piano in proprietà esclusiva, realizzando l'oggettiva condizione del frazionamento che ad esso dà origine.

Cass. civ. n. 17397/2004

In tema di condominio, la trasformazione in tutto o in parte di un bene comune (nella specie, locali destinati a portineria ed alloggio del portiere) in bene di proprietà esclusiva di uno dei condomini può essere validamente deliberata — in mancanza di un valido titolo contrario alla presunzione di titolarità condominiale ex art. 1117 c.c. — soltanto all'unanimità, ossia mediante una decisione che, nella sostanza, assuma valore contrattuale.

Cass. civ. n. 14576/2004

In tema di condominio negli edifici e con riferimento ai rapporti tra la generalità dei condomini, i balconi aggettanti, costituendo un «prolungamento» della corrispondente unità immobiliare, appartengono in via esclusiva al proprietario di questa; soltanto i rivestimenti e gli elementi decorativi della parte frontale e di quella inferiore si debbono considerare beni comuni a tutti, quando si inseriscono nel prospetto dell'edificio e contribuiscono a renderlo esteticamente gradevole. Pertanto, anche nei rapporti con il proprietario di analogo manufatto che sia posto al piano sottostante sulla stessa verticale, nella ipotesi di strutture completamente aggettanti – in cui può riconoscersi alla soletta del balcone funzione di copertura rispetto al balcone sottostante e, trattandosi di sostegno, non indispensabile per l'esistenza dei piani sovrastanti – non può parlarsi di elemento a servizio di entrambi gli immobili posti su piani sovrastanti, né quindi di presunzione di proprietà comune del balcone aggettante riferita ai proprietari dei singoli piani.

Cass. civ. n. 14559/2004

In tema di condominio negli edifici, la presunzione legale di comunione di talune parti, stabilita dall'art. 1117 c.c., senz'altro applicabile quando si tratti di parti dello stesso edificio, può ritenersi applicabile in via analogica anche quando si tratti non di parti comuni di uno stesso edificio, bensì di parti comuni di edifici limitrofi ed autonomi, purché si tratti di beni oggettivamente e stabilmente destinati all'uso od al godimento degli stessi, come nel caso di cortile esistente tra pia edifici appartenenti a proprietari diversi, ove lo stesso sia strutturalmente destinato a dare aria, luce ed accesso a tutti i fabbricati che lo circondano.

Cass. civ. n. 8119/2004

In tema di condominio, il «suolo su cui sorge l'edificio» al quale fa riferimento art. 1117 c.c., è quella porzione di terreno sulla quale poggia l'intero edificio e, immediatamente, la parte infima di esso; pertanto, rientrano in tale nozione l'area dove sono infisse le fondazioni e la superficie sulla quale poggia il pavimento del pianterreno, non anche quest'ultimo. Ne consegue che i condomini sono comproprietari non della superficie a livello di campagna, bensì dell'area di terreno sita in profondità — sottostante, cioè, la superficie alla base del fabbricato — sulla quale posano le fondamenta dell'immobile.

Per l'esclusione della presunzione di proprietà comune, di cui al citato art. 1117 c.c., non è necessario che il contrario risulti in modo espresso dal titolo, essendo sufficiente che da questo emergano elementi univoci che siano in contrasto con la reale esistenza di un diritto di comunione, dovendo la citata presunzione fondarsi sempre su elementi obiettivi che rivelino l'attitudine funzionale del bene al servizio o al godimento collettivo, con la conseguenza che, quando il bene, per le sue obiettive caratteristiche strutturali, serve in modo esclusivo all'uso o al godimento di una sola parte dell'immobile, la quale formi oggetto di un autonomo diritto di proprietà, ovvero risulti comunque essere stato a suo tempo destinato dall'originario proprietario dell'intero immobile ad un uso esclusivo, in guisa da rilevare - in base ad elementi obiettivamente rilevabili, secondo l'incensurabile apprezzamento dei giudici di merito - che si tratta di un bene avente una propria autonomia e indipendenza, non legato da una destinazione di servizio rispetto all'edificio condominiale, viene meno il presupposto per l'operatività della detta presunzione.

Cass. civ. n. 3257/2004

Con l'avvenuta costituzione del condominio si trasferiscono ai singoli acquirenti dei piani o porzioni di piano anche le corrispondenti quote delle parti comuni, di cui non è più consentita la disponibilità separata a causa dei concorrenti diritti degli altri condomini, a meno che non emerga dal titolo, in modo chiaro ed inequivocabile, la volontà delle parti di riservare al costruttore originario o ad uno o più dei condomini la proprietà esclusiva di beni che, per loro struttura ed ubicazione dovrebbero considerarsi comuni. La presunzione di condominialità di beni e servizi comuni non può essere superata per via induttiva o per fatti concludenti.

Cass. civ. n. 16241/2003

Ai fini dell'inclusione nelle parti comuni dell'edificio elencate dall'art. 1117 c.c., deve qualificarsi come cortile lo spazio esterno che abbia la funzione non soltanto di dare aria e luce all'adiacente fabbricato, ma anche di consentirne l'accesso. (La Corte, nel formulare il principio summenzionato, ha ritenuto corretta la decisione del giudice di appello che aveva escluso la natura condominiale di un'area adiacente al fabbricato, rivendicata dal Condominio nei confronti dell'originario unico proprietario e costruttore, rilevando che l'area in questione non era stata mai utilizzata dai condomini ma in via esclusiva da un terzo al quale l'aveva affittata il costruttore che se ne era riservata la disponibilità).

Cass. civ. n. 14791/2003

Qualora un bene sia destinato al servizio di più edifici costituiti ciascuno in condominio si determina fra i vari partecipanti non una comunione ma una situazione che integra l'ipotesi del supercondominio al quale si applicano estensivamente le norme sul condominio degli edifici, giacché in considerazione della relazione di accessorietà che si instaura per il collegamento materiale o funzionale fra proprietà individuali e beni comuni questi ultimi non sono suscettibili, come invece nella comunione, di godimento od utilizzazione autonomi rispetto ai primi. (Omissis ).

Cass. civ. n. 10700/2003

La presunzione di comunione di cui all'art. 1117 c.c. postula la destinazione delle cose elencate in tale norma al godimento o al servizio del condominio, mentre viene meno allorché si tratti di un bene dotato di propria autonomia ed indipendenza e pertanto non legato da una destinazione di servizio rispetto all'edificio condominiale, in quanto, non trattandosi di presunzione assoluta, essa rimane vinta dalla destinazione particolare così come da un titolo contrario.

Cass. civ. n. 8304/2003

In tema di condominio negli edifici, la destinazione dei beni al comune godimento delle unità immobiliari di proprietà esclusiva è condizione di operatività della disposizione dell'art. 1117 c.c., che detti beni come di proprietà comune, mentre il titolo contrattuale, come può escludere tale qualità riconoscendo la proprietà esclusiva anche su beni appartenenti a quelli indicati nella predetta norma, così può estendere la comunione anche ad altri soggetti, la cui individuazione può essere ricollegata non alla titolarità esclusiva sulle unità immobiliari facenti parte dell'edificio in cui detti beni sono ubicati, ma ad un criterio diverso, quale quello della titolarità del diritto esclusivo su unità immobiliari facenti parte di altri corpi di fabbrica dell'unico complesso residenziale.

In tema di condominio negli edifici, salvo che il titolo contrattuale non disponga diversamente, devono considerarsi beni comuni non solo quelli espressamente indicati nell'art. 1117 c.c., ma anche quelli ad essi assimilabili in relazione alla destinazione al comune godimento o al servizio delle proprietà esclusive. Pertanto, correttamente il giudice di merito attribuisce qualità di bene comune - in quanto interessante le fondazioni, e comunque destinato al comune godimento dei condomini, quale sede ispezionabile delle stesse fondazioni e delle fognature - al vano ottenuto da uno dei condomini nell'area sottostante l'appartamento di sua proprietà esclusiva, realizzato abusivamente con svuotamento di volume ed asportazione del terreno, e adibito a cantina.

Cass. civ. n. 4528/2003

Rientrano tra le parti comuni dell'edificio (art. 1117 c.c.) e, in caso di divisione dell'edificio cui i detti spazi accedono, vi restano compresi anche se l'atto di divisione abbia omesso di inserirli tra le parti comuni, i c.d. volumi tecnici, ossia quelli destinati a contenere gli impianti tecnici del fabbricato (quali i vani ascensore, caldaia, autoclave, contatori) o altri beni comuni (quale il vano scale) e quelli insuscettibili di separato o autonomo godimento, per essere vincolati all'uso comune, in virtù della loro naturale destinazione o della loro connessione materiale e strumentale rispetto alle singole parti dell'edificio.

Cass. civ. n. 18091/2002

In tema di condominio, la natura del sottotetto di un edificio è in primo luogo determinata dai titoli e solo in difetto di questi ultimi può ritenersi comune, se esso risulti in concreto, per le sue caratteristiche strutturali e funzionali, oggettivamente destinato (anche solo potenzialmente) all'uso comune o all'esercizio di un servizio di interesse comune.

Cass. civ. n. 16292/2002

In caso di frazionamento della proprietà di un edificio, a seguito del trasferimento, dall'originario unico proprietario ad altri soggetti, di alcune unità immobiliari, si determina una situazione di condominio per la quale vige la presunzione legale di comunione pro indiviso di quelle parti del fabbricato che, per ubicazione e struttura, siano — in tale momento costitutivo del condominio destinate all'uso comune o a soddisfare esigenze generali e fondamentali del condominio stesso: ciò sempre che il contrario non risulti dal titolo, cioè che questo non dimostri una chiara ed univoca volontà di riservare esclusivamente ad uno dei condomini la proprietà di dette parti e di escluderne gli altri. (Nella specie, in ordine alla natura di quelle parti dell'edificio — i cortili, gli anditi, i portici — contemplati nell'elenco dell'art. 1117 c.c., in un caso nel quale il proprietario esclusivo di un edificio aveva con testamento istituito una persona erede universale e attribuito con legato ad altre persone singole unità immobiliari, senza stabilire alcunché circa le suddette parti dell'edificio, delle quali l'erede universale sosteneva la proprietà esclusiva ed i legatari la proprietà comune, la S.C. ha rigettato le censure alla sentenza di merito, la quale aveva ritenuto che il testamento non conteneva elementi di significato certo ed univoco idonei a superare la presunzione legale di comunione).

Cass. civ. n. 11391/2002

In tema di condominio negli edifici, l'individuazione delle parti comuni risultante dall'art. 1117 c.c. può essere superata soltanto dalle opposte risultanze di un determinato titolo e non opera con riguardo a cose che, per le loro caratteristiche strutturali, risultino destinate oggettivamente al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari (nella specie, tubazione di scarico servente solo alcune delle unità immobiliari dell'edificio).

Cass. civ. n. 6359/2002

Al fine di stabilire se sussista un titolo contrario alla presunzione di comunione di cui all'art. 1117 c.c. occorre fare riferimento all'atto costitutivo del condominio e, quindi, al primo atto di trasferimento di una unità immobiliare dall'originario unico proprietario ad altro soggetto. Pertanto, se in occasione della prima vendita della proprietà di un bene potenzialmente rientrante nell'ambito dei beni comuni è attribuita al condominio, deve escludersi che un singolo condomino abbia potuto acquisirne con atto successivo la proprietà esclusiva dall'originario unico proprietario, seppure il bene, per la conformazione dei luoghi, sia di fatto goduto ed utilizzato più proficuamente e frequentemente da tale condomino piuttosto che dagli altri.

Cass. civ. n. 583/2001

In un condominio la presunzione di comproprietà, prevista dall'art. 1117 n. 3 c.c. anche per l'impianto di scarico delle acque, opera con riferimento alla parte dell'impianto che raccoglie le acque provenienti dagli appartamenti, e, quindi, che presenta l'attitudine all'uso ed al godimento collettivo, con esclusione delle condutture (ivi compresi i raccordi di collegamento) che, diramandosi da detta colonna condominiale di scarico, servono un appartamento di proprietà esclusiva.

Cass. civ. n. 15372/2000

Per tutelare la proprietà di un bene appartenente a quelli indicati dall'art. 1117 c.c. non è necessario che il condomino dimostri con il rigore richiesto per la reivindicatio la comproprietà del medesimo, essendo sufficiente, per presumerne la natura condominiale, che esso abbia l'attitudine funzionale al servizio o al godimento collettivo, e cioè sia collegato, strumentalmente, materialmente o funzionalmente con le unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli condomini, in rapporto con queste da accessorio a principale, mentre spetta al condomino che ne afferma la proprietà esclusiva darne la prova.

Cass. civ. n. 14128/2000

In tema di condominio negli edifici, l'art. 1117 c.c. individua beni, tra i quali ricomprende i cortili, che sono oggetto di proprietà comune per loro natura o destinazione, salvi la vindicatio ex titulo, ovvero l'accertamento della destinazione particolare del bene al servizio di una o più determinate unità immobiliari. Pertanto, non è necessario, ai fini del riconoscimento della proprietà collettiva sul cortile, la dimostrazione della utilità specifica che da esso tragga ciascuna delle unità dell'edificio, dovendo, al contrario, essere dimostrata la destinazione particolare del bene di cui si tratta al servizio di alcune soltanto delle unità al fine di escludere il diritto di tutti i proprietari sul bene stesso. Né è sufficiente, a tale scopo, il rilievo della mancata fruizione, da parte delle unità immobiliari prive di affaccio sul cortile, delle specifiche utilità di presa d'aria e luce o di accesso, non esaurendo dette utilità le potenzialità di sfruttamento del cortile, attinenti, tra l'altro, al parcheggio di veicoli o al deposito temporaneo di materiali durante i lavori di manutenzione delle singole unità.

Cass. civ. n. 9096/2000

Nel caso di pluralità di edifici, costituiti in distinti condomini, ma compresi in una più ampia organizzazione condominiale (cosiddetti «supercondomini»), legati tra loro dalla esistenza di talune cose, impianti e servizi comuni (quali il viale d'accesso, le zone verdi, l'impianto di illuminazione, la guardiola del portiere, il servizio di portierato, etc.) in rapporto di «accessorietà» con i fabbricati, si applicano a dette cose, impianti, servizi le norme sul condominio negli edifici, e non quelle sulla comunione in generale.

Cass. civ. n. 7730/2000

I proprietari delle unità immobiliari (nella specie, mansarde) che, per ragioni di conformazione dell'edificio, non siano servite dall'impianto di riscaldamento centralizzato non possono legittimamente vantare un diritto di condominio sull'impianto medesimo, perché questo non è legato alle dette unità immobiliari da una relazione di accessorietà (che si configura come il fondamento tecnico del diritto di condominio), e cioè da un collegamento strumentale, materiale e funzionale consistente nella destinazione all'uso o al servizio delle medesime. Il presupposto per l'attribuzione della proprietà comune in favore di tutti i compartecipi viene meno, difatti, se le cose, gli impianti, i servizi di uso comune, per oggettivi caratteri strutturali e funzionali, siano necessari per l'esistenza o per l'uso (ovvero siano destinati all'uso o al servizio) di alcuni soltanto dei piani o porzioni di piano dell'edificio.

Cass. civ. n. 7889/2000

Il cortile, tecnicamente, è l'area scoperta compresa tra i corpi di fabbrica di un edificio o di più edifici, che serve a dare luce e aria agli ambienti circostanti. Ma avuto riguardo all'ampia portata della parola e, soprattutto alla funzione di dare aria e luce agli ambienti, che vi prospettano, nel termine cortile possono ritenersi compresi anche i vari spazi liberi disposti esternamente alle facciate dell'edificio — quali gli spazi verdi, le zone di rispetto, le intercapedini, i parcheggi — che, sebbene non menzionati espressamente nell'art. 1117 c.c., vanno ritenute comuni a norma della suddetta disposizione.

Il diritto di condominio sulle parti comuni dell'edificio ha il suo fondamento nel fatto che tali parti siano necessarie per l'esistenza ovvero che siano permanentemente destinate all'uso o al godimento comune (nella specie spazio esterno al fabbricato assimilato al cortile). Di tali parti l'art. 1117 c.c. fa un'elencazione non tassativa ma meramente esemplificativa. La disposizione può essere superata se la cosa, per obbiettive caratteristiche strutturali, serve in modo esclusivo all'uso o al godimento di una parte dell'immobile, venendo meno in questi casi il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria, giacché la destinazione particolare del bene vince l'attribuzione legale, alla stessa stregua del titolo contrario. Ma principalmente la norma può essere derogata dal titolo, vale a dire da un atto di autonomia privata che, espressamente, disponga un diverso regime delle parti di uso comune.

Cass. civ. n. 4350/2000

Il cavedio — talora denominato chiostrina, vanella o pozzo luce — è un cortile di piccole dimensioni, circoscritto dai muri perimetrali e dalle fondamenta dell'edificio comune, destinato prevalentemente a dare aria e luce a locali secondari (quali ad esempio bagni, disimpegni, servizi), e perciò sottoposto al medesimo regime giuridico del cortile, espressamente contemplato dall'art. 1117, n. 1 c.c. tra beni comuni, salvo specifico titolo contrario.

Cass. civ. n. 855/2000

Per suolo di un edificio condominiale deve intendersi l'area di terreno sita in profondità su cui posano le fondamenta dell'immobile. Pertanto se questo è costruito su un pendio, le superfici situate a piano terra sono necessariamente sfalsate, e quindi è suolo comune non soltanto l'area ove poggia il vano più basso, ma anche quella coperta da ciascun locale posto al piano terra. Ne deriva che il terrapieno su cui è costruito un vano a piano terra, è comune e come tale non può esser attratto nella disponibilità esclusiva di condomino, ancorché la sua proprietà sia situata ad un livello ad esso inferiore.

Cass. civ. n. 637/2000

I balconi di un edificio condominiale non rientrano tra le parti comuni, ai sensi dell'art. 1117 c.c., non essendo necessari per l'esistenza del fabbricato, né essendo destinati all'uso o al servizio di esso. Tuttavia il rivestimento del parapetto e della soletta possono essere beni comuni se svolgono una prevalente funzione estetica per l'edificio, divenendo così elementi decorativi ed ornamentali essenziali della facciata.

Cass. civ. n. 13200/1999

La presunzione di proprietà condominiale delle scale non viene superata dal mero fatto per cui il regolamento condominiale, tra varie scale esistenti per l'accesso al lastrico di copertura, ne privilegi una, espressamente indicandola come normale via di accesso ad esso.

Cass. civ. n. 2395/1999

L'intercapedine esistente tra il piano di posa delle fondazioni di un edificio condominiale - che costituisce il suolo di esso - e la prima soletta del piano interrato, se non risulta diversamente dai titoli di acquisto delle singole proprietà, ed anzi in quelli del piano terreno e seminterrato non è neppure menzionata tra i confini, è comune, in quanto destinata alla aerazione o coibentazione del fabbricato.

Cass. civ. n. 1568/1999

La presunzione di proprietà condominiale sulle strutture essenziali all'esistenza dell'edificio, elencate nell'art. 1117 n. 1 c.c. — nella specie scale — può essere superata soltanto da un titolo, proveniente da colui che ha costituito il condominio, ovvero da tutti i condomini successivamente, nel quale si affermi la proprietà esclusiva a favore del condomino, mentre la stessa presunzione non può essere superata dal concreto accertamento della destinazione delle suddette strutture all'uso esclusivo del singolo condomino.

Cass. civ. n. 11405/1998

In tema di condominio di edifici la presunzione di proprietà comune di un bene compreso nell'elenco di cui all'art. 1117 c.c. (nella specie: pianerottolo) può essere vinta quando vi sia un titolo contrario e si tratti di beni, di fatto, destinati al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari.

Cass. civ. n. 11283/1998

In mancanza di titolo, la natura del diritto su di un manufatto dipende dalla struttura o destinazione all'uso o al servizio dei piani o delle porzioni di piano del fabbricato condominiale; pertanto se un cortile dà aria e luce a questo ed ha la funzione di consentirne l'accesso, ancorché costituisca copertura di un sottostante locale costruito fuori della, proiezione verticale dei pini sopraelevati, ha natura condominiale e perciò l'assemblea dei condomini, con la partecipazione del proprietario del locale in proporzione ai corrispondenti millesimi, è legittimata a deliberare i lavori di manutenzione necessari per la conservazione del piano di calpestio, fungente altresì da soffitto del predetto locale, mentre la ripartizione delle conseguenti spese va effettuata secondo l'omologo criterio stabilito per la terrazza a livello dall'art. 1126 c.c., sì che il proprietario di questo deve contribuire per due terzi e i condomini per un terzo.

Cass. civ. n. 11268/1998

In tema di condominio di edifici, il condomino che pretenda l'appartenenza esclusiva di un bene indicato nell'art. 1117 c.c., deve fornire la prova della sua asserita proprietà esclusiva derivante da titolo contrario consistente in un negozio o nell'usucapione.

Cass. civ. n. 9940/1998

La presunzione di comproprietà posta dall'art. 1117, n. 3, c.c. opera con riferimento alla parte dell'impianto di riscaldamento che rimane fuori dai singoli appartamenti e non pure con riferimento alle condutture che si addentrano negli appartamenti stessi e sono di proprietà dei titolari. (La S.C. ha rigettato il ricorso avverso la sentenza di merito che aveva ritenuto responsabile ai sensi dell'art. 2051 c.c. il proprietario dell'appartamento all'interno del quale erano poste le condutture che, in conseguenza del loro taglio e della fuoriuscita dell'acqua, avevano prodotto danni all'appartamento sottostante).

Cass. civ. n. 4662/1998

Le parti dell'edificio condominiale indicate dal n. 2) dell'art. 1117 c.c. e quindi anche i locali per la portineria possono essere sottratti alla presunzione di proprietà comune, ma non è sufficiente, a tal fine, che vi sia stato un atto di trasferimento degli stessi perché possa affermarsi che sia venuto meno il vincolo di destinazione derivante dalla loro natura, essendo necessario invece che sia stata assunta dal condominio una deliberazione che ne abbia esclusi dall'utilizzazione comune.

Cass. civ. n. 3667/1998

Per la comproprietà dei condomini sull'appartamento destinato ad alloggio del portiere
occorre o che esso sia contemplato tra le parti comuni nei trasferimenti delle singole unità abitative o che, per la stabilità di tale destinazione e per le caratteristiche strutturali e funzionali dell'appartamento, questo costituisca pertinenza del fabbricato.

Cass. civ. n. 3422/1998

L'art. 41 sexies della legge 17 agosto 1942, n. 1150, nel testo introdotto dall'art. 18 legge 6 agosto 1967, n. 765, ha istituito tra costruzioni e spazio per parcheggio ad essi progettualmente annessi una relazione che ha connotazioni di necessità e di indispensabile permanenza di rilievo pubblicistico e con caratteristiche di realità che nell'ipotesi in cui la costruzione sia costituita da un edificio in condominio, comporta che detti spazi ricadano fra le parti comuni ex art. 1117 c.c. quando appartengano in comunione a tutti i condomini, ovvero vengano a costituire oggetto di un diritto reale d'uso spettante ai condomini medesimi, quando la relativa proprietà competa a terzi estranei alla collettività condominiale o ad un solo dei componenti di questa. Tale disciplina non vieta la negoziazione separata delle costruzioni e delle aree di parcheggio ad esse pertinenti, ma esclude che tale negoziazione possa incidere sulla permanenza del vincolo reale di destinazione gravante sulle aree cennate.

Cass. civ. n. 1498/1998

Poiché ai sensi dell'art. 1117 c.c. n. 1 le scale, con gli annessi pianerottoli, essenziali alla funzionalità del fabbricato, sono presuntivamente di proprietà condominiale, pur se alcune rampe sono poste in concreto al servizio di singole proprietà, per dimostrarne l'appartenenza esclusiva al titolare di queste, è necessario un titolo contrario, contenuto non già nella compravendita delle singole unità immobiliari, bensì nell'atto costitutivo del condominio.

Cass. civ. n. 945/1998

La facciata di prospetto di un edificio rientra nella categoria dei muri maestri, ed, al pari di questi, costituisce una delle strutture essenziali ai fini dell'esistenza stessa dello stabile unitariamente considerato, sicché, nell'ipotesi di condominialità del fabbricato, ai sensi dell'art. 1117, n. 1, c.c., ricade necessariamente fra le parti oggetto di comunione fra i proprietari delle diverse porzioni dello stesso e resta destinata indifferenziatamente al servizio di tutte tali porzioni, con la conseguenza che le spese della sua manutenzione devono essere sostenute dai relativi titolari in misura proporzionale al valore delle rispettive proprietà.

Cass. civ. n. 10371/1997

Il locale autorimessa, anche se situato entro il perimetro dell'edificio condominiale (nella specie, nel seminterrato), non può ritenersi incluso tra le «parti comuni dell'edificio» indicate dall'art. 1117 c.c., neppure sotto l'aspetto di «parte dell'edificio necessaria all'uso comune», così che, da un canto, il condominio non può giovarsi della relativa presunzione al fine di pretendere il contributo di ogni condomino alle relative spese di manutenzione, dall'altro, sul condomino che adduca di non essere tenuto a tale contributo (per non essere comproprietario del locale) non incombe l'onere della relativa prova negativa. Al fine di accertare la esistenza, o meno, dell'obbligo del singolo condomino di sostenere, in misura proporzionale, le spese di manutenzione del detto locale occorre, pertanto, la prova positiva dell'appartenenza di esso in proprietà comune, determinante essendo, al fine anzidetto, l'esame dei titoli di acquisto dei singoli comproprietari dell'immobile.

Cass. civ. n. 3968/1997

La circostanza che la scala comune di un edificio condominiale sia utilizzata da uno dei condomini anche per accedere, tramite l'appartamento di sua proprietà sito nello stabile condominiale, ad una sua diversa proprietà sita in un edificio autonomo (e dotato di una propria scala), adiacente a quello in condominio e di più recente costruzione, non vale a far operare per detta scala, anche con riferimento a quest'ultima proprietà, la presunzione di comunione di cui all'art. 1117 c.c., il cui presupposto è la permanente ed oggettiva destinazione di determinate cose o parti al servizio e godimento collettivo, cioè di tutti i condomini (salva l'eventuale rilevanza che sotto altri profili possa avere tale situazione di assoggettamento del bene al servizio anche dell'immobile estraneo al condominio). Ne consegue che il proprietario del bene immobile estraneo al condominio non può essere chiamato, in tale veste, a partecipare alle spese di riparazione o ricostruzione delle scale condominiali.

Cass. civ. n. 5946/1996

Con riguardo ai locali destinati a portineria, la presunzione legale di comunione di cui all'art. 1117 c.c. sussiste quando gli stessi facciano parte dell'edificio condominiale, con la conseguenza che, in caso contrario, non operando la presunzione, i detti locali rientrano fra le parti comuni soltanto se siano stati costruiti su suolo risultante, in base ai titoli, di proprietà comune.

Cass. civ. n. 4392/1996

Il vincolo pertinenziale non può dipendere solo dalla relazione di servizio esistente di fatto tra i due beni, essendo necessario anche che vi sia un valido atto di destinazione del soggetto legittimato (art. 817 c.c.); ne consegue che il pavimento in vetrocemento di una galleria condominiale deve considerarsi in proprietà comune a tutti i condomini dell'edificio anche se fornisce luce al piano interrato dell'edificio medesimo quando non vi sia un titolo specifico che, sottraendolo alla proprietà comune prevista dall'art. 1117 c.c., valga a costituire il vincolo pertinenziale a vantaggio esclusivo dell'unità abitativa sottostante la galleria.

Cass. civ. n. 4391/1996

A meno che non risulti diversamente dal titolo, l'intercapedine creata dal costruttore tra il muro di contenimento del terreno che circonda i piani interrati o seminterrati dell'edificio ed il muro che delimita questi piani deve considerarsi comune ai proprietari delle unità immobiliari dell'intero edificio quando sia in concreto accertato che è destinata a fare circolare l'aria e ad evitare umidità ed infiltrazioni d'acqua sia a vantaggio dei piani interrati o seminterrati sia a vantaggio delle fondamenta e dei pilastri, che sono parti necessarie per l'esistenza di tutto il fabbricato.

Cass. civ. n. 1357/1996

A norma dell'art. 1117, n. 1, c.c., le scale di un edificio condominiale, anche se più di una e poste concretamente al servizio di parti diverse dell'edificio stesso, vanno sempre considerate, in assenza di un contrario titolo negoziale, di proprietà comune di tutti i condomini, senza che a ciò sia di ostacolo il disposto dell'art. 1123, ultimo comma, c.c., il quale, proprio sul presupposto di tale comunione, disciplina soltanto la ripartizione delle spese per la conservazione ed il godimento di esse, ispirandosi al criterio della utilità che ciascun condomino o gruppo di condomini ne trae.

Cass. civ. n. 11068/1995

Le parti dell'edificio condominiale (locali per la portineria e per l'alloggio del portiere ecc.) indicate al n. 2 dell'art. 1117 c.c. — che al pari di quelle indicate ai nn. 1 e 3 dello stesso articolo sono oggetto di proprietà comune se il contrario non risulta dal titolo — sono anche suscettibili, a differenza delle parti dell'edificio di cui ai citati nn. 1 e 3 di utilizzazione individuale in quanto la loro destinazione al servizio collettivo dei condomini non si pone in termini di assoluta necessità. Pertanto, in relazione ad esse occorre accertare nei singoli casi se l'atto che le sottrae alla presunzione di proprietà comune contenga anche la risoluzione o il mantenimento del vincolo di destinazione derivante dalla loro natura, configurandosi nel secondo caso l'esistenza di un vincolo obbligatorio propter rem fondato su una limitazione del diritto del proprietario e suscettibile di trasmissione in favore dei successivi acquirenti dei singoli appartamenti anche in mancanza di trascrizione (peraltro possibile ai sensi dell'art. 2646 c.c.).

Cass. civ. n. 7148/1995

I balconi, essendo elementi accidentali rispetto alla struttura del fabbricato e non avendo funzione portante (assolta da pilastri ed architravi), non costituiscono parti comuni dell'edificio (ai sensi dell'art. 1117 c.c.), anche se inseriti nella facciata, in quanto formano parte integrante dell'appartamento che vi ha accesso come prolungamento del piano. Conseguentemente la domanda di demolizione dei medesimi va proposta nei confronti dei condomini proprietari degli appartamenti ai quali sono annessi i balconi, sicché il contraddittorio può considerarsi integro anche se non sono stati chiamati in giudizio il condominio ovvero tutti gli altri condomini dell'edificio.

Cass. civ. n. 6036/1995

I condomini possono convenire, in forza della loro autonomia negoziale, che taluni beni costituiscano parti comuni, al fine di conferire loro una destinazione indisponibile senza il consenso di tutti e di estendere loro il regime della indivisibilità ed inseparabilità che è proprio delle parti comuni indicate dall'art. 1117 c.c. e che impedisce al singolo condomino di disporre di queste parti indipendentemente dalla sua proprietà esclusiva senza il consenso degli altri.

Cass. civ. n. 2324/1995

La norma di cui all'art. 1117 c.c., che include le scale tra le cose che si presumono comuni, ove non risulti espressamente dal titolo, non è limitata all'ipotesi di edifici divisi per piano, ma applicabile, per analogia, anche quando si tratti di edifici limitrofi appartenenti a proprietari diversi, persino se aventi caratteristiche di edifici autonomi, sempre che le cose di cui si controverte, pur insistenti sull'area di uno solo di essi (o a cavallo del confine), risultino destinate oggettivamente e stabilmente alla conservazione o all'uso di entrambi gli edifici medesimi.

Cass. civ. n. 1719/1995

Nel caso in cui cessi l'uso di un impianto di riscaldamento condominiale non viene meno per questa sola ragione il compossesso dei singoli comproprietari sulla relativa canna fumaria, sia perché è riconducibile ai poteri del titolare di un diritto reale la facoltà di mettere o non mettere in attività un impianto, sia perché la canna fumaria va considerata come un manufatto autonomo, suscettibile di svariate utilizzazioni.

Cass. civ. n. 9221/1994

In tema di condominio la presunzione di proprietà comune di ciascuna delle parti indicate nell'art. 1117 c.c. non può essere vinta se non da elementi di significato certo ed univoco, idonei a far ritenere che la parte in contestazione sia stata considerata dalla comune volontà dei contraenti oggetto della proprietà esclusiva di uno di essi.

Cass. civ. n. 7651/1994

Al tetto posto a copertura delle autorimesse esterne all'edificio condominiale — svolgente, nella sua struttura unitaria ed omogenea, una funzione di riparo e di protezione delle unità sottostanti, ciascuna delle quali costituisce pertinenza della proprietà esclusiva dei singoli condomini — è applicabile la presunzione di comunione stabilita dall'art. 1117, n. 1, c.c. con la conseguenza che esso costituisce, al pari del tetto dell'edificio condominiale, oggetto di proprietà comune e che l'amministratore del condominio è legittimato ad esercitare le azioni che lo concernono. (Nella specie, condanna del costruttore al rifacimento della impermeabilizzazione o al rimborso per eseguirla direttamente).

Cass. civ. n. 2609/1994

La disciplina del codice civile nel condominio negli edifici deve essere applicata ad ogni parte, bene e servizio comune che rientri, per la sua struttura e destinazione, tra quelli indicati dall'art. 1117 c.c., a nulla rilevando che i piani o porzioni di piano alla cui utilizzazione o migliore utilizzazione le cose servono siano compresi in un edificio unico o in edifici autonomi per effetto di successiva divisione.

Cass. civ. n. 1776/1994

L'atto costitutivo del condominio può senz'altro sottrarre al regime della condominialità, di cui all'art. 1117 c.c., i pianerottoli di accesso dalle scale ai singoli appartamenti e riservarli, in tutto o in parte, al dominio personale esclusivo dei proprietari di questi.

Cass. civ. n. 11435/1993

In un edificio in condominio le chiostrine, vale a dire i cortili interni destinati a dare aria e luce a determinati piani o porzioni di piano, attribuite per titolo in proprietà esclusiva ai proprietari dei piani superiori, raffigurano beni giuridici diversi rispetto ai muri maestri (interni) dell'edificio, che le delimitano. Questi muri, in quanto parti essenziali per l'esistenza del fabbricato, essendo destinati a sorreggere l'edificio, appartengono in proprietà comune a tutti i partecipanti al condominio, con la conseguenza che alle spese per la conservazione dei muri maestri (che delimitano le chiostrine) devono concorrere tutti i partecipanti, compresi i proprietari dei negozi siti a piano terra, ancorché essi non siano proprietari delle chiostrine) devono concorrere tutti i partecipanti, compresi i proprietari dei negozi siti a piano terra, ancorché essi non siano proprietari delle chiostrine.

Cass. civ. n. 5224/1993

Ai fini dell'individuazione delle parti comuni negli edifici in condominio e dell'applicazione della relativa disciplina giuridica, sono giuridicamente irrilevanti le circostanze che la cosa comune appartenga o meno a tutti i condomini dell'edificio e sia destinata all'uso ed al godimento di tutti gli appartamenti in esso esistenti o che i condomini abbiano determinato le rispettive quote di proprietà sulla stessa cosa comune, essendo, invece, sufficiente che quest'ultima appartenga a due o più di detti condomini e sia legata agli appartamenti di costoro da un vincolo funzionale di pertinenza.

Cass. civ. n. 3642/1993

Negli edifici in condominio, a differenza del solaio divisorio tra due piani dell'edificio, in proprietà comune ai due rispettivi proprietari, il solaio del piano terreno sottostante al relativo pavimento, costruito a livello della superficie di campagna, in quanto parte integrante del solo piano terreno, appartiene in proprietà esclusiva al proprietario del piano, alla stessa stregua del pavimento. Ne consegue che in caso di vizio costruttivo del solaio, rivelatosi inidoneo a svolgere autonomamente la funzione di sostenere l'unità immobiliare, la responsabilità per i danni che ne siano derivati alle singole proprietà individuali deve ascriversi al proprietario del piano, con esclusione di ogni responsabilità del condominio.

Cass. civ. n. 6533/1992

L'art. 41 sexies, della legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150, introdotto dall'art. 18, della L. 6 agosto 1967, n. 765 (cosiddetta legge ponte) nel prescrivere che nelle nuove costruzioni debbono essere riservati appositi spazi di parcheggio, pone un vincolo pubblicistico di destinazione di dette aree al servizio delle unità abitative dei condomini che si traduce in un diritto reale di uso dell'area di parcheggio a favore degli stessi; tale regime, che è rimasto immutato anche dopo l'entrata in vigore della L. 28 febbraio 1985, n. 47, il cui art. 26, ultimo comma, stabilisce che gli spazi anzidetti costituiscono pertinenze, non comporta, peraltro, che le aree di parcheggio, fermo restando il vincolo di destinazione, rientrino fra le parti comuni dell'edificio a norma dell'art. 1117 c.c., né che il loro godimento da parte del proprietario dell'unità abitativa debba essere gratuito, ove le dette aree siano rimaste di proprietà del costruttore o di un terzo.

Cass. civ. n. 9231/1991

Con riguardo ad edificio in condominio, una canna fumaria, anche se ricavata nel vuoto di un muro comune, non è necessariamente di proprietà comune, ben potendo appartenere ad uno solo dei condomini, se sia destinata a servire esclusivamente l'appartamento cui afferisce, costituendo detta destinazione titolo contrario alla presunzione legale di comunione.

Cass. civ. n. 5854/1991

II «sottotetto» di un edificio in condominio, non essendo incluso tra le parti comuni indicate nell'art. 1117 c.c., non costituisce — in difetto di elementi contrari desumibili dal titolo — oggetto di comunione e, poiché esso, di regola, assolve una funzione isolante protettiva (dal caldo e dal freddo) del piano più elevato, di questo costituisce normalmente una pertinenza, qualora non ne sia dimostrata una destinazione diversa.

Cass. civ. n. 1915/1991

Per vincere in base al titolo la presunzione legale di proprietà comune delle parti dell'edificio condominiale indicate nell'art. 1117 c.c. non è sufficiente il frazionamento-accatastamento e la relativa trascrizione eseguiti a domanda del venditore-costruttore della parte dell'edificio in questione, trattandosi di atto unilaterale di per sé inidoneo a sottrarre il bene alla comunione condominiale, dovendo riconoscersi tale effetto soltanto al contratto di compravendita, in cui la previa delimitazione unilaterale dell'oggetto del trasferimento sia stata recepita nel contenuto negoziale per concorde volontà di entrambi i contraenti.

Cass. civ. n. 9858/1990

In un condominio sorto dal frazionamento di un fabbricato di proprietà esclusiva la volontà del proprietario che lo ha costruito è idonea e sufficiente ad escludere dal novero delle parti comuni alcuni beni — specialmente se essi non costituiscono parti necessarie all'uso e al godimento comune — senza che sia necessario che il contrario risulti in modo espresso dal titolo, sempre che il bene, per le sue obiettive caratteristiche strutturali, serva all'uso o al godimento esclusivo di una sola parte dell'immobile che forma oggetto di un autonomo diritto di proprietà, ovvero, secondo l'incensurabile apprezzamento del giudice del merito, risulti comunque essere stato a suo tempo destinato dall'originario proprietario ad un uso esclusivo.

Cass. civ. n. 8394/1990

Per terrazza a livello deve intendersi, in un edificio condominiale, una superficie scoperta posta al sommo di alcuni vani e, nel contempo, sullo stesso piano di altri, dei quali costituisce parte integrante strutturalmente e funzionalmente, tal che deve ritenersi, per il modo in cui è stata realizzata, che è destinata non solo e non tanto a coprire una parte di fabbricato, ma soprattutto a dare possibilità di espansione e di ulteriore comodità all'appartamento del quale è contigua, costituendo di esso una proiezione all'aperto; quando ricorre tale situazione dei luoghi, la funzione della terrazza, quale accessorio rispetto all'alloggio posto allo stesso livello, prevale su quella di copertura dell'appartamento sottostante e, se dal titolo non risulta il contrario, la terrazza medesima deve ritenersi appartenente al proprietario del contiguo alloggio, di cui strutturalmente e funzionalmente è parte integrante.

Cass. civ. n. 7831/1990

Con riguardo al rivestimento del fronte della soletta dei balconi di un edificio in condominio, la loro natura di beni comuni in quanto destinati all'uso comune a norma del terzo comma dell'art. 1117 c.c. ovvero pertinenze ad ornamento dell'appartamento di proprietà esclusiva, ove i balconi sono siti, va accertata in base al criterio della loro precipua e prevalente funzione in rapporto all'appartamento di proprietà esclusiva e alla struttura e caratteristica dell'intero edificio. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione del merito, in cui si era riconosciuta la natura di parti comuni ai suddetti manufatti, «frontalini» di marmo, con riguardo alla esclusa loro funzione protettiva od ornamentale dei balconi ed alla rilevata efficacia decorativa dell'intero edificio nonché all'utilizzazione come «gocciolatoi»).

Cass. civ. n. 6472/1990

La mera circostanza che il costruttore di un fabbricato condominiale, il quale, prima di vendere i singoli alloggi, nel destinare delle aree a parcheggio ai sensi e nel vigore dell'art. 18 della L. 6 agosto 1967, n. 765, se ne sia riservato la proprietà, come il fatto che i successivi atti di vendita non contengano espressa menzione del trasferimento anche della comproprietà delle aree medesime, non è sufficiente a superare la presunzione di inclusione delle dette aree fra beni comuni, posta dall'art. 1117 c.c.

Cass. civ. n. 5162/1990

Il lastrico solare quale superficie terminale dell'edificio esercita l'indefettibile funzione primaria di protezione dell'edificio medesimo, pur potendo essere utilizzato in altri usi accessori, come quello del terrazzo. L'anzidetta funzione accessoria del lastrico solare a terrazza in uso esclusivo di un solo condomino, come non fa venir meno la sua destinazione primaria all'uso comune, così in mancanza di un titolo contrario lascia inalterata la presunzione di proprietà comune di cui all'art. 1117 c.c.

Cass. civ. n. 3483/1990

In tema di condominio degli edifici, la presunzione di comunione, di cui all'art. 1117 c.c., opera anche con riguardo a cose oggettivamente e stabilmente destinate al servizio di edifici vicini autonomi, insistenti su un'area appartenente ai proprietari di uno solo dei diversi immobili, solo allorquando l'area e gli edifici siano appartenuti ad una stessa persona — od a più persone pro indiviso — nel momento della costruzione della cosa o del suo adattamento o trasformazione all'uso comune, mentre nel caso in cui l'area sulla quale siano state realizzate le opere destinate a servire i due edifici sia appartenuta sin dall'origine ai proprietari di uno solo di essi, questi ultimi acquistano per accessione la proprietà esclusiva delle opere realizzate sul loro fondo, ancorché le stesse siano state realizzate, per un accordo intervenuto tra tutti gli interessati, anche con il contributo economico dei proprietari degli altri edifici.

Cass. civ. n. 9/1990

Nel condominio degli edifici la disciplina delle parti comuni, o presuntivamente dichiarate tali dall'art. 1117 c.c., è informata ai principi dell'indivisibilità e della loro inseparabilità, in ragione della loro destinazione al relativo servizio, da quelle di pertinenza esclusiva dei condomini, sicché, non potendo il singolo condomino, senza il consenso degli altri condomini, unilateralmente disporre delle parti comuni in modo autonomo ed indipendente da quelle di sua proprietà esclusiva, il cedente di una porzione di piano di sua esclusiva proprietà non può riservare a sé il diritto di comproprietà e quindi l'uso di parti comuni destinate al complesso condominiale (nella specie, diritto al parcheggio nell'autorimessa comune), con la conseguenza che, essendo inopponibile al condominio l'anzidetta riserva di proprietà, egli, ormai terzo rispetto al condominio, non è più legittimato a partecipare alle assemblee né ad impugnarne le deliberazioni.

Cass. civ. n. 3862/1988

La presunzione legale di proprietà comune di alcune parti dell'edificio in condominio, che si sostanzia sia nella destinazione all'uso comune del manufatto, sia nell'attitudine oggettiva al godimento collettivo, dispensa il condominio dalla prova del suo diritto ed in particolare dalla cosiddetta probatio diabolica, con la conseguenza che quando un condomino pretenda l'appartenenza esclusiva di uno dei beni indicati nell'art. 1117 c.c. (la cui elencazione non è tassativa) è onere dello stesso condomino, onde vincere detta presunzione, dare la prova della sua asserita proprietà esclusiva, senza che a tal fine sia sufficiente il suo titolo di acquisto ove lo stesso non contenga in modo chiaro ed inequivocabile elementi utili ad escludere la condominialità del bene.

Cass. civ. n. 9644/1987

Nel condominio di edifici — in mancanza di una specifica contraria previsione del titolo costitutivo — la destinazione all'uso e al godimento comune, nella quale si sostanzia la presunzione legale di proprietà comune di talune parti dell'edificio in condominio, deve risultare da elementi obiettivi, e cioè dalla attitudine funzionale del bene al servizio dell'edificio, considerato nella sua unità, e al godimento collettivo, prescindendo dal fatto che il medesimo sia o possa essere utilizzato da tutti i condomini. Per contro quando il bene, per obiettive caratteristiche strutturali e funzionali, serva in modo esclusivo al godimento di una parte dell'edificio in condominio, la quale formi oggetto di un autonomo diritto di proprietà, viene meno il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria di tutti i condomini, giacché la destinazione particolare vince la presunzione legale di comunione, alla stessa stregua di un titolo contrario.

Cass. civ. n. 2824/1986

Il sottottetto di un edificio può considerarsi pertinenza dell'appartamento sito all'ultimo piano solo quando assolva l'esclusiva funzione di isolare e proteggere l'appartamento stesso dal caldo, dal freddo e dall'umidità, tramite la creazione di una camera d'aria, e, quindi, non anche quando abbia dimensioni e caratteristiche strutturali tali da consentirne l'utilizzazione come vano autonomo (deposito, stenditoio, ecc.). In quest'ultima ipotesi l'appartenenza va determinata in base al titolo, e, in sua mancanza, poiché il sottotetto non è compreso nel novero delle parti comuni dell'edificio, essenziali per la sua esistenza (tetto, muri maestri, suolo ecc.) o necessarie all'uso comune, la presunzione di comunione ex art. 1117, n. 1, c.c. è applicabile solo quando il sottotetto risulti in concreto, per le caratteristiche strutturali e funzionali, sia pure in via potenziale, oggettivamente destinato all'uso comune, o all'esercizio di un servizio d'interesse comune.

Cass. civ. n. 176/1986

Gli elementi decorativi del balcone di un edificio in condominio (nella specie, aggiunte sovrapposte con malta cementizia, viti di ottone e piombi ai pilastrini della balaustrata) svolgendo una funzione decorativa estesa all'intero edificio, del quale accrescono il pregio architettonico, costituiscono, come tali, parti comuni ai sensi dell'art. 1117, n. 3, c.c., con la conseguenza che la spesa per la relativa riparazione ricade su tutti i condomini.

Cass. civ. n. 3882/1985

Per «suolo su cui sorge l'edificio», con riferimento al quale l'art. 1117 n. 1 c.c. stabilisce una presunzione di comunione, deve intendersi quell'area dove sono infisse le fondazioni e che si trova sotto il piano cantinato più basso. Ne consegue che i vani ubicati sopra il «suolo», nel senso indicato, ancorché sotto il livello del circostante piano di campagna, possono presumersi comuni non in forza dell'estensibilità al sottosuolo della disciplina relativa al suolo, ma solo se ed in quanto risultino obiettivamente destinati all'uso ed al godimento comune, secondo le altre previsioni contenute nel citato articolo.

Cass. civ. n. 145/1985

In tema di condominio negli edifici, la circostanza che un «muro di sostegno» di un giardino di proprietà esclusiva sovrasti un sottostante terreno di proprietà condominiale, adibito a passaggio, non è di per sé sufficiente all'inclusione del muro medesimo fra le parti comuni, ai sensi dell'art. 1117 c.c., con le relative conseguenze in ordine all'onere delle spese di riparazione, atteso che la suddetta opera, per sua natura destinata a svolgere funzione di contenimento di quel giardino, e quindi a tutelare gli interessi del suo proprietario, può essere compresa fra le indicate cose comuni solo ove ne risulti obiettivamente la diversa destinazione a servizio di tutti i condomini, in quanto necessaria a consentire detto passaggio.

Cass. civ. n. 5315/1984

Elemento indispensabile per poter configurare l'esistenza di una situazione condominiale è rappresentato dalla contitolarità necessaria del diritto di proprietà sulle parti comuni dell'edificio, in rapporto alla specifica funzione di esse di servire per l'utilizzazione e il godimento delle parti dell'edificio medesimo. Pertanto, anche in presenza di più edifici strutturalmente autonomi, ciascuno appartenente a un unico soggetto, è dato profilare una situazione condominiale, allorché tali edifici fruiscano, per la loro utilizzazione e il loro godimento, di opere comuni anche se strutturalmente distaccate (portineria, garage, parco, viali d'accesso eccetera). (Nella specie, si è esclusa l'applicazione delle norme che disciplinano il condominio, perché il corpo di fabbrica, costituito dall'edificio, e quello destinato ad autorimessa erano strutturalmente indipendenti, cioè autonomi in senso statico e funzionale e non avevano il comune alcuna delle parti elencate nell'art. 1117 c.c.

Cass. civ. n. 4625/1984

La presunzione di proprietà comune posta dall'art. 1117 c.c. si applica per analogia anche ai cortili che si trovino fra edifici strutturalmente autonomi ed appartenenti a proprietari diversi e siano obiettivamente destinati a dare aria e luce ai fabbricati che li fronteggiano. Né tale presunzione può essere vinta, nel silenzio del titolo di acquisto della porzione immobiliare, dalla mera possibilità di accesso al bene comune in favore di uno solo dei condomini o proprietari dei singoli edifici, in quanto l'utilità particolare che da siffatta circostanza deriva non incide sulla destinazione tipica e normale del bene, che è di dare aria e luce ai circostanti edifici.

Cass. civ. n. 4825/1983

In tema di condominio degli edifici, il titolo contrario, ai sensi dell'art. 1117 c.c., idoneo a superare la presunzione di comunione di una porzione di fabbricato compresa nell'elencazione della norma medesima, non può essere ravvisato in atti relativi alla proprietà del terreno, anteriori alla costruzione di detto fabbricato e di detta porzione.

Cass. civ. n. 2864/1983

La comunione, anche del suolo, di cui all'art. 1117 c.c., postula che su uno stesso suolo insistano diversi piani o porzioni di piani costituenti un unico edificio, onde le costruzioni fra loro separate, ancorché su suolo originariamente del medesimo proprietario, non rientrano nella previsione della citata norma e delle presunzioni di comunione ivi poste con la conseguenza che con il loro trasferimento viene alienato pure il suolo sul quale esse sorgono, a meno che l'alienante non costituisca soltanto un diritto di superficie in favore dell'acquirente (ai sensi dell'art. 952 c.c.) riservandosi, al momento della vendita, la proprietà del suolo su cui l'immobile insiste. (Nella specie, il S.C., enunciando il surriportato principio, ha cassato la decisione di merito che aveva ritenuto operante la presunzione di comunione del suolo ex art. 1117 c.c. nel caso di appartamenti costruiti su suolo originariamente comune, ma reciprocamente del tutto autonomi, avendo ciascuno di essi propri accessi, proprie scale, propri muri maestri e propri tetti).

Cass. civ. n. 1632/1983

Poiché l'edificio condominiale comprende l'intero manufatto che va dalle fondamenta al tetto, e quindi anche i vani scantinati compresi tra le fondamenta stesse, ed il suolo su cui sorge l'edificio, oggetto di proprietà comune ai sensi dell'art. 1117 c.c. è non la superficie, a livello del piano di campagna, che viene scavata per la posa delle fondamenta, bensì quella porzione del terreno su cui viene a poggiare l'intero edificio, e, immediatamente, la parte infima dello stesso. Di conseguenza, anche per stabilire a chi spetti la proprietà di un locale dell'edificio condominiale, sottostante al piano terreno, deve farsi riferimento, non alle ordinarie norme poste dagli artt. 840 e 934 c.c., ma a quelle che regolano la proprietà condominiale, divisa per piani orizzontali, gradatamente accertandosi al predetto fine: a) se il titolo, esplicitamente o implicitamente, attribuisca a taluno la proprietà esclusiva; b) se, tacendo il titolo, la proprietà esclusiva possa riconoscersi ugualmente in quanto acquisita per usucapione; c) se, non potendo neanche accamparsi l'usucapione, il locale, per la sua struttura, non possa considerarsi tra le parti dell'edificio necessarie all'uso comune o tra le cose destinate ad un servizio o al godimento comune, e debba viceversa considerarsi destinato ad uso esclusivo.

Cass. civ. n. 776/1982

In tema di parti comuni dell'edificio condominiale, nella nozione di muri maestri di cui all'art. 1117 c.c. rientrano i pannelli esterni di riempimento fra pilastri in cemento armato, i quali — ancorché la funzione portante sia assolta principalmente da pilastri ed architravi — sono anch'essi eretti a difesa degli agenti atmosferici e fanno parte della struttura e della linea architettonica dell'edificio. Né siffatta condominialità viene esclusa dall'essere addossato ad essi il muro di altro fabbricato costruito in aderenza, restando ciascuno degli edifici delimitato, difeso e strutturalmente delineato dal proprio muro, con la conseguente autonomia giuridica della disponibilità che su ciascuno hanno i diversi nuclei di condomini, senza alcun ingerenza dell'uno sul muro dell'altro.

Cass. civ. n. 647/1982

La presunzione di comunione di cui all'art. 1117 c.c., riguarda gli edifici in condominio per piani orizzontali e non è applicabile al fine di dimostrare la comunione di un cortile esistente fra edifici appartenenti a proprietari diversi, e destinato all'uso e godimento di uno solo degli edifici quanto all'accesso a questo ed al godimento anche dell'altro edificio quanto all'aria e alla luce. Pertanto in tale ipotesi, chi invoca la comunione ha l'onere di provarne i fatti costitutivi.

Cass. civ. n. 510/1982

L'avvenuta costruzione di un edificio, del quale siano proprietari più soggetti, è sufficiente — ancorché non sia ancora intervenuto il rilascio del certificato di abitabilità dei singoli appartamenti — per l'esistenza del condominio, con la conseguente applicabilità delle norme (artt. da 1100 a 1139 c.c.) ad esso relative, costituendo la nomina dell'amministratore, l'approvazione del regolamento e la determinazione delle quote millesimali soltanto strumenti per la gestione degli interessi comuni e l'osservanza degli obblighi connessi al preesistente rapporto di comunione, che di essi costituisce la fonte, salve eventuali modifiche od integrazioni pattizie.

Cass. civ. n. 319/1982

Poiché il condominio negli edifici — con la conseguente presunzione di comunione delle parti comuni di cui all'art. 1117 c.c. — viene ad esistenza per la sola circostanza che la proprietà di piani o di porzioni di piano di un medesimo edificio appartenga a più titolari in proprietà esclusiva, è irrilevante, al fine di escludere tale condominio — e quindi la comunione dei muri maestri e del tetto — l'esistenza di distinti ingressi e l'assenza di locali comuni.

Cass. civ. n. 318/1982

La presunzione di proprietà comune dei cortili, dettata dall'art. 1117 c.c. in materia di condominio, è applicabile anche nel caso in cui un cortile sia circondato da edifici appartenenti a proprietari diversi. A vincere la presunzione di comunione — la quale trae origine dal silenzio del titolo — è necessario che il titolo contrario — vale a dire l'attribuzione di proprietà esclusiva ad una o a più determinate persone — risulti in modo non equivoco.

Cass. civ. n. 4861/1981

In un edificio condominiale, a differenza del solaio divisorio di due piani, che funge da sostegno del piano soprastante e da copertura di quello sottostante, l'aggetto costituito da un balcone o terrazzo appartiene esclusivamente al proprietario dell'unità immobiliare corrispondente.

Cass. civ. n. 3105/1981

L'applicabilità delle norme sul condominio, in dipendenza della consistenza fisica e funzionale di un determinato complesso edilizio, prescinde dalla circostanza che i proprietari delle singole unità immobiliari si siano o meno resi conto della condominialità del fabbricato nonché dal momento in cui la stessa sia stata espressamente riconosciuta.

Cass. civ. n. 4782/1978

Il lastrico solare di un edificio condominiale, che sia stato venduto dal costruttore ed originario proprietario dell'intero edificio come area interamente edificabile, in forza di valido titolo opponibile agli acquirenti delle altre unità immobiliari, non rientra fra le parti comuni, secondo la previsione dell'art. 1117 c.c. In tale ipotesi, pertanto, l'assemblea del condominio, ancorché in sede di approvazione del regolamento, non può disciplinare e limitare il diritto di costruire sul lastrico, senza il consenso del relativo proprietario.

Cass. civ. n. 2868/1978

Il solaio esistente fra i piani sovrapposti di un edificio è oggetto di comunione fra i rispettivi proprietari per la parte strutturale che, incorporata ai muri perimetrali, assolve alla duplice funzione di sostegno del piano superiore e di copertura di quello inferiore, mentre gli spazi pieni o vuoti che accedano al soffitto od al pavimento, e non siano essenziali all'indicata struttura (nella specie, conglomerato cementizio per sottofondo di pavimentazione e protezione termica), rimangono esclusi dalla comunione e sono utilizzabili rispettivamente da ciascun proprietario nell'esercizio del suo pieno ed esclusivo diritto dominicale (nella specie, per la collocazione di tubi di raccordo di servizi).

Cass. civ. n. 2475/1978

I muri perimetrali di un edificio condominiale sono oggetto di proprietà comune anche nelle parti in cui delimitano un piano ottenuto con la sopraelevazione dello stabile, perché anche in quelle parti essi adempiono strutturalmente a una funzione che interessa tutti i partecipanti al condominio.

Cass. civ. n. 2248/1978

Titolo idoneo a vincere la presunzione di comunione, di cui all'art. 1117 c.c., non è l'atto di acquisto del singolo appartamento condominiale, bensì il negozio posto in essere da colui o da coloro, che hanno costituito il condominio dell'edificio. Infatti questo negozio, rappresentando la fonte comune dei diritti dei condomini, ne determina l'estensione e le limitazioni reciproche e può spiegare efficacia tra le parti.

Cass. civ. n. 839/1978

I muri perimetrali dell'edificio in condominio — i quali, anche se non hanno natura e funzioni di muri maestri portanti, delimitano la superficie coperta, determinando la consistenza volumetrica dell'edificio unitariamente considerato, proteggendolo dagli agenti termici e atmosferici, e ne delineano la sagoma architettonica — sono da considerare comuni a tutti i condomini anche nelle parti che si trovano in corrispondenza dei piani di proprietà singola ed esclusiva e quando sono collocati in posizione, avanzata o arretrata, non coincidente con il perimento esterno dei muri perimetrali esistenti in corrispondenza degli altri piani, come normalmente si verifica per i piani attici.

Cass. civ. n. 4986/1977

Ai sensi dell'art. 1117 c.c., il portone d'ingresso, che sia strutturalmente e funzionalmente destinato al servizio di due corpi di fabbrica, appartenenti a proprietari diversi, ma costituenti un'unica entità immobiliare, deve presumersi oggetto di comunione dei predetti proprietari, ancorché costruito da uno solo di essi, se il contrario non risulti dal titolo. La disciplina del condominio degli edifici, infatti, trova applicazione anche con riguardo ai fabbricati che si sviluppano con una pluralità di proprietà individuali in senso verticale, anziché orizzontale.

Cass. civ. n. 3486/1977

In un edificio condominiale, l'area costituita dalla proiezione delle scale, sulle verticali in alto e in basso, si presume comune, a norma dell'art. 1117 c.c., e tale presunzione può essere vinta soltanto da un titolo contrario, il quale non è ravvisabile nella generica riserva dell'originario proprietario di apportare al fabbricato le modifiche murarie che avesse ritenuto opportune, contenuta nel regolamento condominiale.

Cass. civ. n. 3380/1977

Costituisce cortile lo spazio scoperto circondato dai corpi di fabbrica di uno stesso edificio o da più fabbricati contermini, che sia destinato, nell'ambito di un rapporto condominiale o implicante, comunque, una disciplina, a carattere interno, di interessi comuni od omogenei, a fornire, in via primaria, aria e luce agli edifici che vi si affacciano ed a servire, in via complementare, da disimpegno per le esigenze degli immobili che lo circondano, consentendo il traffico delle persone e, in via eventuale, dei veicoli. Costituiscono, invece, intercapedini, le zone di rispetto fra diversi edifici prescritte al fine di regolare, con una disciplina a carattere esterno, il contemperamento degli interessi contrapposti di proprietari vicini, nell'ambito del rapporto di vicinato e non di comunione. Le dette intercapedini, dirette a soddisfare esigenze di igiene e di sicurezza pubblica o privata, svolgono, diversamente dai cortili, la funzione di assicurare aria e luce, solo in via subordinata e nei limiti inderogabili del rispetto delle distanze fra costruzioni.

Cass. civ. n. 2183/1977

Dovendosi, ai fini della presunzione di comunione di cui all'art. 1117 c.c., considerare come suolo su cui poggia l'edificio la superficie sulla quale è collocato il pavimento del piano terra, per il combinato disposto di detta norma e dell'art. 840 dello stesso codice devono ritenersi di proprietà comune, indipendentemente dalla loro attuale destinazione a servizi di interesse collettivo o dalla possibilità di siffatta utilizzazione, ed in mancanza di titolo che ne attribuisca la proprietà esclusiva a singoli condomini, i vani e gli spazi, posti tra i muri perimetrali del fabbricato condominiale, sottostanti al piano terreno o, nel caso di vani di pianterreno ad altezza diversa tra loro, sottostanti ai singoli vani a piano terra (e non già, in questa seconda ipotesi, solo lo spazio sottostante al vano dell'edificio posto a quota più bassa).

Cass. civ. n. 1486/1977

Nel caso in cui un cortile sia racchiuso tra edifici appartenenti a proprietari diversi e, per la sua ubicazione, appaia destinato all'uso e al godimento di alcuni soltanto degli edifici che lo delimitano, in mancanza di titoli validi, la presunzione iuris tantum di condominio opera solo ed esclusivamente a favore di questi.

Cass. civ. n. 1030/1977

L'art. 1117 n. 3, c.c., elenca, in via del tutto esemplificativa, le opere, le installazioni e i manufatti di qualunque genere che servono all'uso comune e che il legislatore ha voluto comuni ai proprietari dei diversi piani o porzioni di piano di un edificio, facendo salva la diversa volontà di detti proprietari o del loro autore; conseguentemente, un forno sistemato su un pianerottolo comune, in difetto di un titolo che ne attribuisca la proprietà esclusiva ad uno dei proprietari, ben può ritenersi destinato all'uso e al godimento comune, come accessorio di parti od opere comuni, da presumersi del pari comune.

Cass. civ. n. 1027/1977

In difetto di titolo contrario, ove un'area dell'edificio condominiale debba presumersi di proprietà comune, per effetto della utilità che i condomini ne traggono, la medesima presunzione deve valere anche per la scala (dell'edificio stesso) che ad essa dà accesso.

Cass. civ. n. 14/1977

La presenza su un'area condominiale (nella specie, cortile) di un manufatto legittimamente riservato all'uso particolare ed esclusivo del singolo compartecipante non è di per sé elemento sufficiente, in difetto di specifica prova, a far ritenere che anche il suolo sottostante a quel manufatto sia sottratto al godimento degli altri compartecipanti (nella specie, con riguardo all'utilizzazione di un canale di scarico).

Cass. civ. n. 4237/1976

In tema di condominio di edificio, il titolo contrario, idoneo ad escludere dalla comunione un bene oggettivamente destinato all'uso comune (art. 1117 c.c.), è soltanto l'atto costitutivo del condominio medesimo, ovvero un successivo atto modificativo, cui abbiano partecipato tutti i condomini. Al fine indicato, pertanto, può ritenersi operante la clausola del contratto di compravendita del singolo appartamento solo se ed in quanto riportata in tutti gli atti di acquisto degli altri appartamenti.

Cass. civ. n. 3111/1976

La norma di cui all'art. 1117 c.c., nel fissare la presunzione di comunione di alcune parti dell'edificio condominiale, ove il contrario non risulti dal titolo, opera sul piano probatorio, non su quello sostanziale, con la conseguenza che va applicata nei giudizi pendenti sotto il suo vigore, ancorché riguardanti edifici in precedenza costruiti.

Cass. civ. n. 3084/1976

Nel caso di edifici limitrofi, di diversa proprietà, la presunzione (art. 1117 c.c.) di comunione di una parte immobiliare destinata permanentemente al loro uso (ex portone, androne), ma insistente su suolo di appartenenza esclusiva del proprietario di uno degli edifici, opera soltanto se l'indagine sui titoli di proprietà conduca a ritenere che la destinazione permanente al servizio degli edifici limitrofi sia stata posta in essere nel momento in cui il suolo e gli edifici appartenevano ad una stessa persona, od a pia persone pro indiviso, e non ne sia stata prevista la soppressione all'atto del frazionamento.

Cass. civ. n. 1371/1976

Affinché un singolo condomino possa presumersi comproprietario di una determinata parte comune di un edificio condominiale è necessario che, al momento della formazione del condominio, sussistesse un rapporto di accessorietà, strutturale e funzionale, tra tale parte comune e la singola porzione immobiliare — nell'originaria sua conformazione — poi pervenuta al detto condomino, talché potesse allora configurarsi l'attitudine, anche se non estrinsecatasi, della prima ad essere usata in funzione del godimento della seconda; tale presunzione non ricorre qualora l'indicata attitudine funzionale non esistesse al momento del frazionamento dell'edificio in proprietà diverse e si sia realizzata solo successivamente, a seguito di trasformazione apportata alla porzione immobiliare di proprietà singola.

Cass. civ. n. 4299/1974

I pianerottoli, quali componenti essenziali delle scale comuni, sono per presunzione di legge — salvo diverso titolo — comuni tra tutti i condomini. Essi non possono essere, quindi, incorporati nell'appartamento di proprietà esclusiva del singolo condomino, in quanto tale incorporazione costituisce un'alterazione della destinazione della cosa comune ed un'utilizzazione esclusiva di essa, lesiva del concorrente diritto degli altri condomini.

Cass. civ. n. 4119/1974

La comproprietà delle parti comuni dell'edificio indicate nell'art. 1117 c.c. sorge nel momento in cui più soggetti divengono proprietari esclusivi delle varie unità immobiliari che costituiscono l'edificio, sicché per effetto della trascrizione dei singoli atti di acquisto di proprietà esclusiva — i quali comprendono pro quota, senza bisogno di specifica indicazione, le parti comuni — la situazione condominiale è opponibile ai terzi dalla data dell'eseguita formalità.

Cass. civ. n. 2180/1974

Poiché l'esclusione, dal novero delle cose in condominio, di alcune di quelle parti dell'edificio che sono presunte di proprietà comune, incide sulla costituzione o modificazione di un diritto reale immobiliare (con la conseguenza che l'esclusione stessa deve risultare ad substantiam da atto scritto), il titolo al quale si richiama la norma dell'art. 1117 c.c. non può essere che un atto scritto. All'uopo, se non è necessario che l'esclusione anzidetta sia dichiarata espressamente, è pur sempre indispensabile, al fine di vincere la presunzione di proprietà comune stabilita dalla legge, che il «contrario» (e cioè l'attribuzione in proprietà esclusiva ad uno dei condomini) risulti in modo chiaro ed inequivoco; è necessario, cioè, che dal titolo emergano elementi tali da essere in contrasto con l'esercizio del diritto di condominio. E tale indagine è demandata all'incensurabile apprezzamento dei giudici del merito.

Cass. civ. n. 841/1974

Il suolo ed il sottosuolo, che a norma dell'art. 1117 n. 1 c.c. è presunto comune tra i condomini di un edificio — salvo titolo contrario — è soltanto quello occupato e circoscritto dalle fondamenta e dai muri perimetrali esterni dell'edificio; il suolo adiacente o circostante può rientrare fra le cose comuni soltanto per diverso titolo, potendo trovarsi in rapporto di accessorietà o di pertinenza con l'edificio stesso.

Cass. civ. n. 299/1974

La qualità di condomino di un edificio ha come indefettibile presupposto la proprietà di un piano o di una porzione di piano in cui l'edificio risulti diviso. A tal fine, non rileva tanto l'esistenza di un atto pubblico di trasferimento della proprietà frazionata di una parte dell'edificio condominiale — questione che può riguardare, se mai, il problema dell'opponibilità della qualità di condomino nei confronti di terzi — quanto l'esistenza di un negozio effettivamente traslativo di tale diritto, anche se concluso per mezzo di semplice scrittura privata.

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Consulenze legali
relative all'articolo 1117 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

D. D. S. chiede
giovedì 29/02/2024
“Gent.mo Avvocato,
con la presente volevo esporle una questione condominiale.
Circa 20 anni fa, gli allora condomini hanno venduto tutti i diritti loro spettanti sul lastrico solare (secondo piano) ad una impresa edilizia (oggi non più esistente) che ha sopraelevato le mura perimetrali e costruito delle mansarde. Lastrico solare (unita immobiliare nell’atto di vendita) che risultava distinta al Nuovo Catasto Edilizio Urbano.

Dall' atto di vendita emerge:

1) I proprietari dei lastrici solari qui acquistati hanno diritto di sopralzo per la costruzione di un solo altro piano compreso ed avranno facoltà di effettuare trasformazioni e adattamenti al fine di rendere le nuove costruzioni abitabili, anche mediante creazione di finestre, cappuccine, lucernari e terrazzini, allacciandosi agli impianti comuni del fabbricato, ove tecnicamente possibile, nonché eseguire opere sulle parti comuni interessate, senza peraltro alternarne la destinazione; il tutto previa autorizzazioni di legge. Ma senza dover chiedere il benestare o dovere compensi di sorta agli altri condomini.

2) È compresa nella cessione, altresì, la proporzionale quota di comproprietà sull’area coperta dello stabile. Nelle fondazioni, nei muri e nel tetto. Gli acquirenti restano pertanto autorizzati ad eseguire tutti i lavori per la costruzione dei nuovi enti e locali che siano consentiti dalla legge e dai regolamenti edilizi, con riguardo anche alle condizioni statiche dell’attuale edificio e dovranno rispondere di ogni danno, cagionato a chicchessia, nella esecuzione dei lavori o comunque derivante dal sopralzo. La rimozione del tetto per la esecuzione dei lavori e la sua ricostruzione sopra i locali che gli acquirenti andranno ad erigere, dovrà essere effettuata a tutte cure e spese degli acquirenti stessi.

3) Ciascuna porzione immobiliare in contratto viene venduta ed acquistata pro quota a corpo e non a misura, nello stato di fatto in cui si trova, con tutti gli inerenti diritti, accessori, pertinenze, servitù e prelazioni cosi come appartenuta a ciascuna parte venditrice per titoli e possesso.

4) Il possesso ed il godimento di ciascuna porzione immobiliare in contratto si intendono trasferiti a ciascuna parte acquirente per tutte le conseguenze utili ed onerose con decorrenza dalla data odierna.


Dopo circa 20 anni, oggi, il tetto, nel caso di agenti atmosferici piovosi estremi presenta delle infiltrazioni. I proprietari attuali delle mansarde vogliono rifare il tetto (anziché ripararlo) ed è in discussione la suddivisione dei costi. L'amministratore ritiene per millesimi mentre il resto del condominio sostiene almeno una suddivisione dei costi 1/3 e 2/3. Sebbene parte del tetto ricade sulle scale, ed ha certamente natura condominiale, i condomini contestano anche l'uso esclusivo di quello che è un sottotetto di fatto abitabile (mansarda), e quindi un miglioramento di coibendazione o isolamento che sarebbe in primis a vantaggio dei condomini che vivono la mansarda.
Alla luce di quanto riportato, cosi come quanto riportato nell’atto di vendita, le vorrei chiedere quale suddivisione dei costi andrebbe applicata. E quali tipo di interventi i condomini sono tenuti ad eseguire (riparazione o rifacimento)?
Voglio inoltre specificare che non esiste un regolamento condominiale che ha mai definito tale questione.

Cordialmente”
Consulenza legale i 08/03/2024
Da quello che si è potuto capire, anche attraverso un successivo confronto con l’autore del quesito, allo stato attuale la copertura dello stabile condominiale è data da un tetto a falde. Tale tetto è stato edificato in epoca successiva alla costruzione del palazzo, nel momento in cui gli allora condomini hanno ceduto ad una impresa edile i loro diritti insistenti sul lastrico solare condominiale, impresa che ha poi provveduto ad erigere in sostituzione del lastrico un nuovo piano mansardato, e a ricoprire poi l’intero stabile con l’attuale tetto a falde.

Analizzando la giurisprudenza sul punto possiamo dire che da un punto di vista giuridico la successiva costruzione del piano mansardato ha dato origine ad una fattispecie a formazione progressiva, in forza del quale man mano che il nuovo piano veniva eretto, i suoi proprietari (in un primo momento l’impresa costruttrice, poi successivamente i suoi acquirenti) divenivano comproprietari ai sensi dell’art.1117 del c.c. degli impianti e servizi comuni esistenti nel palazzo; nel contempo i già proprietari esistenti estendevano automaticamente i loro diritti di comproprietà sulle nuove parti condominiali che venivano aggiunte all’edificio a seguito della costruzione del nuovo piano. In particolare, ai sensi dell’art. 1117 del c.c. vecchi e nuovi condomini divenivano tutti comproprietari del tetto che veniva necessariamente edificato in sostituzione del lastrico.
La giurisprudenza è granitica nel precisare come il condominio sia una fattispecie che sorge di fatto e automaticamente nel momento in cui l’originario ed unico proprietario dell’edificio (solitamente il suo costruttore), inizi a cedere dei suoi piani o porzioni di piano a soggetti differenti di modo tale che nel palazzo si arrivi ad avere la coesistenza di parti in proprietà esclusiva a tali acquirenti e parti in proprietà comune a tutti (in questo senso recentemente Cass.Civ.,Sez.II, n.32857 del 27.11.2023).

La presunzione di condominialità prevista dall’art.1117 del c.c. può essere derogata da una diversa disposizione prevista dai rogiti notarili di vendita dei singoli appartamenti, i quali possono del tutto legittimamente prevedere che determinate parti dell’edificio abitualmente comuni siano attribuite in proprietà esclusiva ad un singolo condomino. Il caso più frequente e anche normativamente previsto dall’art. 1126 del c.c., è quello del lastrico solare, ma nulla vieta che anche il tetto o una porzione di esso venga attribuito in proprietà o in uso esclusivo ad un singolo condomino. Tuttavia, nel caso di specie non pare che questo sia avvenuto, anzi, a quanto pare, nel rogito che ha portato alla cessione del lastrico condominiale alla impresa edile, si dice espressamente che il tetto di futura edificazione diverrà un bene comune a tutti i condomini, ribadendo di fatto quanto previsto ieri come oggi dal codice civile. Esso quindi una volta edificato è divenuto automaticamente di comproprietà di tutti i condomini, sia quelli già esistenti che quelli successivamente sopravvenuti, e gli eventuali lavori di manutenzione straordinaria che lo riguardano devono essere sopportati da tutti i condomini in proporzione ai millesimi di proprietà.

Ovviamente l’assemblea di condominio nell’ambito dei poteri a lei attribuiti dalla legge potrà decidere e deliberare in assoluta autonomia quali sono gli interventi più opportuni in base alla situazione in cui versa il tetto condominiale.

L. T. chiede
mercoledì 21/02/2024
“Ho la proprietà di una unità immobiliare + posto auto esclusivo risultante da atto Notarile in un condominio con regolamento contrattuale molto ben fatto : solo pochi posti auto ricavati nel giardino. Le unità immobiliari sono più dei posti auto. Alcuni hanno garage accatastati.
Adesso il comune apre un procedimento amministrativo che impone l'accatastamento pena invio segnalazione Agenzia delle Entrate.
Ma come si può accatastare un posto auto su suolo condominiale?”
Consulenza legale i 27/02/2024
Occorre premettere che le parti comuni di un condominio, quali il vano scale o il vano ascensore o anche i cortili, sono escluse dall’accatastamento.

Diverso è, invece, il discorso relativo ai parcheggi auto, ancorché scoperti e ricadenti su area condominiale, qualora oggetto di un diritto d’uso esclusivo come sembrerebbe desumersi dall’atto notarile allegato in cui si legge “viene attribuito all'unità abitativa del piano primo qui compravenduta il diritto di uso esclusivo di un posto auto sito sulla porzione sud-ovest del cortile quale contraddistinto con il n. l (il primo da est)”.

In questa ipotesi, e sempre che il posto auto non sia oggetto di un uso indistinto e comune come potrebbe essere eventualmente previsto dal Regolamento condominiale, esso dovrà essere accatastato come Categoria C/6.

Le consigliamo di rivolgersi pertanto ad un tecnico abilitato che possa coadiuvarla nella presentazione e gestione della pratica di accatastamento.



L. C. chiede
sabato 18/11/2023
“Buonasera,
Scrivo per una consulenza in merito all’accesso in area condominiale comune (cortile interno con qualche posto auto privato non di mia proprietà) con accesso carraio

L’atto di acquisto recita:

nella corte comune di cui al mappale [omissis] non sono consentite la sosta, il parcheggio ed il lavaggio di automezzi

Gentilmente vi chiedo: è possibile entrare per carico scarico in quanto c’è un accesso carraio e sono parti comuni?

Parte comune perché scritto nel rogito, dove viene acquistata anche quota proporzionale del suddetto cortile
Non si intende sosta lasciare l’auto incustodita per un tempo più o meno lungo e il parcheggio, ma l’utilizzo del cortile per carico scarico della spesa o altro.
Il mio vicino può fotografarmi all’interno dell’auto mentre mio marito effettua carico scarico?

Se vi servono altri dettagli sono a disposzione

Grazie e buona serata”
Consulenza legale i 24/11/2023
L’atto di compravendita dell’immobile oggetto del presente quesito riporta che sono espressamente vietate la sosta, il parcheggio ed il lavaggio di automezzi.

Il Codice della Strada definisce all’art. 157 del Codice della strada la sosta come la sospensione del veicolo protratta nel tempo con possibilità di allontanarsi dallo stesso.

Poiché esiste però l’accesso carraio, si ritiene che, in assenza di disposizione contraria, i condomini abbiano il diritto di passo pedonale e di passo carraio sul cortile condominiale indicato come parte comune.

È però necessario consultare anche cosa ci sia scritto nel regolamento condominiale.

Il regolamento infatti, anche se approvato con la maggioranza prescritta dall’art. 1138 del c.c. e dall’art. 1136 del c.c. e quindi con natura assembleare, può disciplinare le modalità di uso dei beni comuni come ad esempio vietarne un determinato utilizzo (Cass. civ. n. 29838/2023).

Nel caso di specie, in conclusione, a meno che esista un regolamento che vieti espressamente l’accesso carraio nel cortile comune per i condomini che non possiedono un posto auto, si ritiene che i condomini possano entrare nel cortile per il tempo necessario per scaricare o caricare la propria autovettura.

F. G. chiede
giovedì 16/11/2023
“Abito un condominio di 4 appartamenti al 1 piano. Ai miei genitori al piano terra diedi il consenso a voce per saldare delle pensiline per proteggere dalla pioggia i loro balconi che sporgevano più fuori di circa mezzo metro,alle ringhiere dei miei balconi davanti al frontalino. I miei genitori morirono, io mi dimenticai di toglierle.I nuovi proprietari subentrati nel 2006 a cui dissi che si dovevano eliminare, mi promisero di toglierle ma hanno temporeggiato per 11 anni. Nel 2017 ho inviato loro una raccomandata invitandoli a rimuoverle.Fino ad oggi non l'hanno fatto.Voglio eliminarle io, perchè mi hanno fatto molte scortesie e molti danni e sono molto scostumati. Le pensiline non sono menzionate o precisate tra le servitù indicate nel rogito notarile. Inoltre mi causano danni provocando crepe nei frontalini. Essi dicono che è un loro diritto acquisito, addirittura che sono proprietà del condominio. Noi non abbiamo amministratore perché non è obbligatorio. So che i balconi aggettanti sono interamente di mia proprietà. Desidero sapere quali sono i miei diritti. Posso toglierle da solo? e se le tolgo da solo, possono farmi causa? Vi Allego le foto dei miei balconi con le pensiline).Non si tenga conto della finestratura sul muretto che è stata fatta nel 2021 abusivamente e per cui denunciai i proprietari all'antiabusivismo.
Vi chiedo di rispondermi in modo comprensibile da tutti,senza termini tecnici, grazie.”
Consulenza legale i 21/11/2023
La vicenda va affrontata chiarendo se il balcone ed in particolare il sottobalcone (anche detto cielino) debba considerarsi una parte dell’edificio in proprietà esclusiva oppure un bene condominiale.
Un principio che ormai può definirsi acquisito nel nostro diritto condominiale ritiene che il balcone debba considerarsi una parte dell’edificio che rientra nel diritto di proprietà esclusiva del singolo condomino in quanto naturale pertinenza del suo appartamento (tra le tante pronunce Cass. Civ. n.14576 del 04.07.2004).
Nello specifico il cielino è quella parte del balcone immediatamente sottostante alla soletta di calpestio del balcone: anche tale parte ormai viene considerata un elemento che rientra nel diritto di proprietà del singolo condomino, salvo che per i suoi aspetti decorativi che concorrono a determinare la facciata del fabbricato e quindi il suo decoro architettonico, bene quest’ultimo che rientra nelle competenze condominiali (Cass.Civ. n30071/2017).

Si segnala anche il fatto che vi sono parecchie pronunce nella Cassazione che sostengono come il condomino del piano di sotto non possa agganciare la propria tenda da sole utilizzando il cielino del balcone del condomino del piano di sopra: i giudici giungono a tale conclusione proprio facendo leva sul principio in base al quale anche il sottobalcone sia una parte dell’edificio che rientra nella proprietà esclusiva del singolo e non un bene comune a tutti i condomini. (es. Cass.Civ., Sez.II, n.15913 del 17.07.2007).

Per tali motivi si ritiene che l’autore del quesito possa rimuovere in assoluta autonomia le pensiline oggetto del presente quesito, senza quindi richiedere la autorizzazione degli altri proprietari: esse infatti sono agganciate ai balconi del suo appartamento, i quali come si è già detto devono considerarsi di sua esclusiva proprietà.
Se il condomino del piano terra dovesse muovere delle ipotetiche opposizioni si potrebbe anche sostenere che tali pensiline ledano il decoro architettonico del fabbricato e pertanto si è deciso di rimuoverle per evitare future ed ipotetiche contestazioni sotto questo aspetto da parte degli altri condomini. A sostegno di tali argomentazioni si consiglia di conservare il materiale fotografico e video fornito a corredo del presente parere.



F. R. chiede
domenica 05/11/2023
“Buongiorno, vi espongo il mio quesito riguardante il tetto dell'abitazione dove vivo. Io abito in una unità abitativa di otto appartamenti, quattro sotto e quattro sopra, io abito sopra, da un po di tempo la mia vicina continua a dire che quelli che abitano sopra sono i proprietari di una porzione del tetto, questo gli è stato detto da un amministratore suo amico, mentre io e tutti gli altri insistiamo a dire che il tetto è condominiale anche perchè sul mio rogito non c'è scritto niente del genere, neppure sul contratto condominiale, ed il tetto copre tutta l'unità abitativa senza interruzioni.Volevo sapere da voi chi ha ragione al riguardo, anche perchè si prende il diritto di farsi la manutenzione della sua porzione di tetto all'insaputa di tutti
gli altri condomini senza le dovute autorizzazioni scritte.vorrei inviarvi la fotografia dell'immobile in questione per avere una più chiara situazione.
distinti saluti”
Consulenza legale i 06/11/2023
L’art.1117 del c.c. inserisce il tetto tra le parti comuni dell’edificio a meno che non vi sia un titolo che disponga diversamente.
Nel caso specifico non pare vi siano titoli che attribuiscono il tetto od una sua porzione alla proprietà esclusiva di un singolo condomino: a quanto pare, nulla viene detto nei rogiti di acquisto e nulla viene specificato nel regolamento di condominio, il quale comunque per derogare a quanto dispone l’art.1117 del c.c. dovrebbe avere natura contrattuale.
Per tale motivo si deve concludere che il tetto dell’edificio deve considerarsi una sua parte comune con tutto ciò che questo comporta: in particolare ogni manutenzione riguardante il tetto dovrà essere deliberata dalla maggioranza dei proprietari riuniti in assemblea, opportunamente convocata a norma di legge.



S. A. B. chiede
martedì 03/10/2023
“Condominio orizzontale con facciata comune e facciate con giardini privati. Come vengono ripartite le spese per la manutenzione delle facciate, visto che nelle parti private ognuno si è comportato applicando condizionatori tettoie, luci, e cavi a vista per alimentare i pannelli solari personali, TUTTO SENZA MAI DISCUTERNE IN ASSEMBLEA? Mentre per la parte comune si è rispettato il decoro urbano.”
Consulenza legale i 11/10/2023
Stante la descrizione del complesso edile descritto non tutte le facciate possono considerarsi di proprietà condominiale. Sicuramente non ricadono tra i beni comuni ex art. 1117 del c.c. e quindi non possono essere oggetto di una qualche sorta di sindacato da parte della assemblea dei proprietari quelle facciate proprie dei singoli corpi di fabbrica e dei giardini privati in proprietà esclusiva. Rimane invece di proprietà condominiale la facciata comune propria dell’intero complesso edile: ma solo quest’ ultimo manufatto può definirsi condominiale e comune, e solo lui può essere fatto oggetto di discussione assembleare, ad es. per la manutenzione ordinaria o straordinaria.
Quindi il comportamento che si è tenuto finora è assolutamente corretto in quanto la collettività dei proprietari non ha alcun potere in merito alla gestione delle singole proprietà esclusive autonome e delle loro facciate: ogni delibera in questo senso sarebbe gravemente nulla.

L’unico modo per ricondurre ad un certo ordine “visivo” le facciate delle singole abitazioni private sarebbe quello di fare ricorso al concetto di decoro architettonico. Tuttavia, se certamente il decoro architettonico è un concetto assolutamente previsto e normato in relazione al condominio “classico”, ovvero il classico stabile in cui vi sono ricompresi degli appartamenti privati, lo stesso non può dirsi per complessi edili come quelli descritti nel quesito, anzi in questo caso la sua ammissibilità è discussa tra gli operatori del dirtto.
Vi sono alcune pronunce della Cassazione che hanno vagamente fatto cenno a questa possibilità in relazione a fattispecie simili a quella descritta come ad es. il condominio parziale (Cass.Civ. n.17875 del 23.07.2013), ma, a parte qualche teorizzazione da parte di alcuni studiosi della materia, non vi è un riconoscimento ufficiale del decoro architettonico in relazione al contesto urbano in cui una singola proprietà è inserita.

Non è detto però che in un caso come quello descritto non si possa imbastire una qualche causa facendo leva su questo concetto grazie magari alla iniziativa personale di un condomino volenteroso. Certamente questo condomino dovrebbe procurarsi delle accurate foto del complesso che raffigurino la situazione delle facciate delle unità abitative autonome; è necessario poi che tali foto vengano valutate da un perito il quale vada ad accertare come la situazione attuale di dette facciate alteri in maniera importante l’armonia architettonica dell’intero contesto urbano. Ovviamente è infine necessario un avvocato che ben argomenti la vicenda e provi a fare una applicazione estensiva dell’istituto del decoro architettonico spingendo la sua applicazione ben oltre al singolo corpo di fabbrica, ma riferendolo all’ aspetto urbano dell’intero condominio orizzontale. Affinché poi tutto questo possa avere un valore giuridico è necessario che il condomino volenteroso coinvolga tutti i proprietari del complesso prima in un procedimento di mediazione, e poi in un successivo ipotetico contenzioso: in un caso come quello descritto infatti si dubita fortemente che possa sussistere la legittimazione passiva dell’amministratore di condominio.


A. S. chiede
martedì 11/07/2023
“Buongiorno,
desidero chiedere un Vs parere sul seguente quesito:
siamo un condominio composto da 28 condomini in cui vi sono canne fumarie nate per accogliere caldaie a camera aperta!
Ad oggi un solo condomino ha avuto la necessità di sostituire la vecchia caldaia e lo ha fatto attraverso lo scarico in facciata (dopo aver chiesto l’ok all’amministratore!).

Per tale motivo, diversi condomini stanno pensando di adeguare le canne fumarie alle nuove caldaie a condensazione.
Almeno quattro condomini (tra cui il sottoscritto) non siamo d’accordo nell’essere obbligati a questa importante spesa, la quale riguarderebbe non solo il rifacimento delle canne fumarie ma anche la sostituzione della ns caldaia a camera aperta ancora funzionante e a norma per gli scarichi (abbiamo ricevuto anche l’ispezione del tecnico del comune!).

Chiedo un Vs cortese parere (con riferimenti di legge/sentenze) su quest’ultimo punto, ovvero se la legge tutela il/i condomini “dissenzienti”, esonerandoli da tale obbligo (anche se votato a maggioranza) in quanto, viceversa, si potrebbe determinare una violazione dell’utilizzo di un bene (caldaia) all’interno della proprietà esclusiva.

Chiedo, altresì, nel caso in cui la maggioranza intendesse dar corso a tali lavori, quale sarebbe la probabilità di successo (e i costi) di una ns decisione di andare in giudizio.

Grazie e saluti”
Consulenza legale i 17/07/2023
Il n.3) dell’art.1117 del c.c. ci dice che devono considerarsi condominiali le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere destinati all'uso comune come, ad esempio, gli impianti per la distribuzione del gas. La natura condominiale cessa tuttavia nel momento in cui l’impianto arriva al punto di diramazione per poi immettersi nelle singole unità immobiliari in proprietà esclusiva, o in caso di impianti unitari, fino al punto di utenza. L’impianto, quindi, dal punto di diramazione (o di utenza), cessa di essere condominiale per divenire di proprietà esclusiva del singolo condomino.

Un ulteriore principio assolutamente granitico del nostro diritto condominiale riguarda l’ambito di competenza della assemblea. Tale organo collegiale è infatti competente a deliberare a colpi di maggioranza solo interventi straordinari ed innovazioni che riguardano le parti comuni dell’edificio. In altre parole, l’assemblea a colpi di maggioranza non può certo costringere il singolo proprietario a compiere interventi all’interno del proprio appartamento, i quali potranno essere effettuati solo con il suo consenso.

Il caso che è stato prospettato è sicuramente un tipico caso di scuola del diritto condominiale ed è un tipico esempio dei principi che sono stati sopra richiamati.
La canna fumaria è un bene sicuramente condominiale, e certamente l’assemblea ai sensi del n. 4) dell’art. 1135 del c.c. è competente a deliberare opere di ristrutturazione su tale impianto, previa contestuale istituzione di un fondo spese pari all’importo dei lavori che dovranno realizzarsi. Tali lavori potranno essere deliberati con le maggioranze di cui al 2° e 4° comma dell’art. 1136 del c.c., ovvero maggioranza degli intervenuti che rappresentino almeno la metà del valore dell’edificio: 500 millesimi. Se durante la riunione condominiale si raggiungerà tale quorum deliberativo e la decisione della assemblea verrà adottata nel rispetto delle altre norme di legge, essa, ai sensi del 1° co. dell’ art. 1137 del c.c., diverrà obbligatoria per tutti i condomini, anche quindi per la minoranza dissenziente che vi dovrà sottostare.

Tuttavia, per i principi che si sono detti sopra, l’assemblea non può certo obbligare il gruppo di condomini dissenzienti a cambiare la propria caldaia in quanto questa, essendo all’ interno della abitazione privata (o sul punto di diramazione dell’impianto), è una parte in proprietà esclusiva e solo il singolo proprietario può decidere se, come e quando effettuare un intervento manutentivo su di esso.
Per tale motivo, se a livello tecnico la sostituzione della caldaia interna all’appartamento diviene una condizione indispensabile per addivenire alla ristrutturazione della canna fumaria, negare del tutto legittimamente il proprio consenso a tale sostituzione porterà con ogni probabilità al blocco dei lavori, al di là di quanto deliberato dall'assemblea. Per i medesimi motivi l’assemblea non può deliberare ristrutturazioni che comportino l’obbligo di andare a sostituire impianti e manufatti presenti all’ interno delle singole abitazioni e quindi una delibera di questo tipo potrebbe essere oggetto di impugnazione entro i termini di legge.

Si precisa che quanto detto è valido se gli impianti attualmente installati nello stabile sono in regola con le vigenti normative in materia di sicurezza, salute pubblica ed efficientamento energetico e la loro sostituzione non sia resa obbligatoria proprio per rispettare la predetta normativa.
In questa sede non è possibile quantificare i costi legali per procedere all'impugnazione della delibera assembleare a cui si è fatto riferimento. Si può dire che le spese legali varieranno se la vicenda si chiuderà già in fase precontenziosa all’interno di un procedimento di mediazione (tentativo obbligatorio visto la materia condominiale), oppure si dovrà procedere a radicare un giudizio innanzi al giudice competente.


P. D. chiede
lunedì 26/06/2023
“Sono Proprietario di un negozio (senza balconi).
Chiedo di sapere se per lavori di “Messa In Sicurezza” dei balconi del palazzo, il pagamento spetta ai singoli proprietari o all’intero condominio in base alle quote millesimali. I lavori sono iniziati nel 2018, sospesi causa rifacimento manto stradale e poi causa Covid, e terminati nel 2021, ed a causa di questi imprevisti il preventivo di 50.000 euro è diventato un consuntivo di 136.000 euro. Purtroppo non ho impugnato il verbale che è arrivato lo scorso gennaio. Vorrei mostrarvi le foto della situazione iniziale per avere il vostro parere su ci dovrebbe pagare i lavori, se l’intero condominio o i singoli proprietari degli appartamenti con balcone. Grazie.”
Consulenza legale i 27/06/2023
La natura giuridica dei balconi è stata a lungo dibattuta in giurisprudenza, ma oggi sicuramente sul punto si sono raggiunti diversi punti fermi.
La giurisprudenza della Corte di Cassazione oggi pare piuttosto ferma nel dire che il balcone aggettante, in quanto naturale prolungamento della unità immobiliare a cui accede, deve considerarsi una parte in proprietà esclusiva del singolo proprietario, rimanendo condominiale solo quelle parti del manufatto che sono essenziali per determinare le linee architettoniche dello stabile.
Questo ovviamente ha un risvolto molto pratico in quanto ogni lavoro di ristrutturazione e rifacimento del balcone deve essere sopportato esclusivamente dal singolo proprietario e non ripartito tra tutti i condomini per millesimi. Rimangono invece ancora di competenza condominiale quegli interventi che attengono agli aspetti estetici dei parapetti e delle ringhiere in quanto direttamente rientranti nella tutela del decoro architettonico dell’edificio, bene di assoluta natura condominiale.

Venendo al caso concreto, si può dire che con ogni probabilità la maggior parte dei costi relativi ai lavori di messa in sicurezza dei balconi, dovranno essere sostenuti dai singoli proprietari dei balconi medesimi: forse il proprietario del negozio dovrà sostenere, unitamente agli altri condomini, i costi relativi alla rifinitura di detti lavori (es. tinteggiatura ringhiere) in quanto tesi anche a preservare il decoro dello stabile.


Anonimo chiede
mercoledì 17/05/2023
“Vi allego foto di corridoietto che accede a fondino - sottoterrazzo mio, come risulta dall'atto di compravendita, risalente al 1999, con cancelletto che ho chiuso per ragioni anche di sicurezza in quanto, come visibile, vi affacciano le finestre del mio appartamento. Il condomino dell'appartamento superiore mi contesta il fondino scrivendo che è sul sedime del palazzo, quindi comune, soprattutto il fatto che ho chiuso il cancelletto con lucchetto, il quale non ci era perché non vi abitava nessuno. Nei millesimi redatti dal 2006 il corridoio risulta mio terrazzo e il condomino per fare dei lavori nel suo appartamento, è entrato nel corridoietto inserendo fili della luce sotto il cordolo sopra le mie finestre senza dirmi niente.
Cosa devo rispondere?”
Consulenza legale i 23/05/2023
L’art. 1117 del c.c. indica i beni che devono essere considerati condominiali: come specifica chiaramente la medesima norma però i beni in essa elencati devono considerarsi comuni se non è previsto diversamente dal titolo. Se, quindi, il fondino esterno che lei ha recintato le viene espressamente attribuito in proprietà esclusiva nel rogito di acquisto del 1999, esso non può considerarsi condominiale ma al contrario è una pertinenza del suo appartamento e come tale bene di sua proprietà esclusiva.

Questo le dà ovviamente la facoltà ai sensi dell’art. 841 del c.c., di poter recintare il fondo ed impedire l’accesso agli altri condomini con un lucchetto, salvo garantire il passaggio se sono vigenti nel palazzo servitù di natura condominiale o a favore di specifici appartamenti. Tutto questo però non pare essersi verificato nel caso specifico. Ad ogni modo, per un parere più approfondito e preciso sarebbe necessario effettuare una ispezione ipotecaria del fondino presso la Conservatoria competente tesa a chiarire la natura condominiale o meno del cespite. L’ispezione ipotecaria potrà essere commissionata ad un visurista, figura che solitamente collabora con studi legali e notarili.


A. B. chiede
venerdì 05/05/2023
“Buongiorno,
sono proprietario di un alloggio al secondo piano sito in un condominio.
È un alloggio mansardato (sotto tetto) che dispone di n.6 “terrazzini a livello” a cielo aperto (lastrici solari che fungono da tetto per gli alloggi sottostanti), e nella parte finale, verso l’esterno fuori muro perimetrale, per riportare architettonicamente i balconi veri e propri di forma circolare, per adempiere alla funzione ornamentale dell'intero condominio, in quanto svolgono una funzione decorativa estesa ad esso, sono stati formati dei frontalini (minuscoli balconcini in marmo) la cui lunghezza di aggetto al centro è di cm.30 + cm.5 di sporgenza per l’acqua.
Gli inquilini degli alloggi di sotto non lamentano infiltrazione di acqua; ergo non credo si debba intervenire ai sensi dell’art. del codice civile 1126, al contempo la parte verticale del frontalino e i 30 cm. sottostanti sono continuamente esposti agli agenti atmosferici che inevitabilmente nel tempo hanno determinato fenomeni di degrado e, soprattutto, un pericolo di caduta di frammenti di intonaco e muratura.
Da quello che ho capito, in riferimento alla documentazione letta, la differenza sostanziale di responsabilità è in riferimento al fatto se il frontalino risulta una funzione decorativa estesa al condominio, quindi ritenuto frontalino decorativo (come da mio avviso si evince), o elemento non decorativo cui responsabili di eventuali danni cagionati dalla caduta di frammenti di intonaco e muratura potrebbero causare.
L’amministratrice, una degli 11 condomini, proprietaria di un alloggio con la maggioranza millesimale, dopo averla avvertita verbalmente due o tre volte del problema, non è mai intervenuta, neanche in un contraddittorio per addivenire ad una risoluzione soddisfacente.
Su una pagina del Vostro sito (purtroppo come da Vostra indicazione non posso indicare) ho letto: “per decoro architettonico si intende l’insieme delle linee armoniche che caratterizzano l’estetica del fabbricato” ma la domanda è comunque d’obbligo: potreste indicarmi chi stabilisce se i frontalini sopra descritti sono o non sono elementi decorativi architettonici?”
Consulenza legale i 09/05/2023
Innanzitutto è necessario precisare che i 6 manufatti a cui si fa riferimento nel quesito non sono per nulla dei terrazzini a livello, ma sono al contrario dei piccoli balconi aggettanti in quanto sporgenti dalla facciata dello stabile, e questo lo si può tranquillamente evincere dall’esame del materiale fotografico dato a corredo. Saremmo di fronte a delle terrazze livello nel caso in cui detti manufatti fossero incassati nello stesso corpo del fabbricato condominiale, ma così non è, come si evince chiaramente dalle foto. Ciò è estremamente rilevante soprattutto per determinare chi deve sostenere gli oneri per la loro manutenzione e ristrutturazione. Per giurisprudenza assolutamente costante e granitica infatti il balcone aggettante è una parte dell’edificio che deve considerarsi pertinenza dell’appartamento a cui accede e pertanto non può essere un bene condominiale: esso rimane in proprietà esclusiva al singolo condomino il quale è ovviamente chiamato a sopportarne le spese di manutenzione (tra le tante Cass.Civ. n.637/00 Cass.Civ. n.1156/2015 Cass.Civ n.14576/04; Cass.Civ.587/11). Non trova quindi in alcun modo applicazione nel caso specifico l’ art. 1126 del c.c.

Sempre la giurisprudenza (tra le tante Cass.Civ. n.218/11; Cass.Civ. n.21641/17) ha chiarito come il rifacimento dei parapetti e degli elementi decorativi dei balconi aggettanti sono a carico dell’intera compagine condominiale, e quindi possono considerarsi a tutti gli effetti beni comuni ex art. 1117 del c.c., quando essi abbiano natura decorativa e concorrono a determinare le linee estetiche ed architettoniche del fabbricato.
Nel caso specifico, stante la particolarità delle linee estetiche del palazzo, è evidente come le ringhiere di questi balconcini aggettanti siano parte integrante del decoro architettonico dell’edificio e quindi la loro manutenzione e ristrutturazione deve essere sopportata dall’ intera compagine condominiale.

Al contrario, le spese di rifacimento e la manutenzione della zona di calpestio di questi balconcini, anche nella sua parte sottostante, spettano esclusivamente al proprietario della unità immobiliare a cui accedono.


A. C. chiede
giovedì 02/03/2023 - Lazio
“Buongiorno, sono già stato vostro cliente nel passato. Mi rivolgo a voi per un parere per mio genero.
Lui vorrebbe acquistare dai condomini della sua scala (scala B) (dove è proprietario di 1 appartamento) i millesimi del locale lavatoio e stenditoio che insistono all’ultimo piano della sua scala. Il condominio in totale è composto di 5 scale,segnatamente A,B,C,D,E., ognuna delle quali all'ultimo piano è dotata di lavatoi e stenditoi, ma oramai non vengono più utilizzati da nessuno. L'amministratrice del condominio sostiene che anche per acquistare i millesimi del solo locale lavatoio e stenditoio di una sola scala c'è bisogno dell'assenso dei condomini di tutto il palazzo, a me invece sembra che basterebbe l'adesione dei soli condomini della sua scala.
Aggiungo inoltre che, essendo tutti giovani nel palazzo, quasi tutti hanno l’ipoteca del mutuo sulle case e mi chiedo se l’ipoteca si estenda anche alle parti comuni come lavatoi e stenditoi. In caso di risposta affermativa, credo che sarebbe un’impresa titanica ottenere l’assenso di tutte le Banche coinvolte per enucleare i millesimi dalla garanzia ipotecaria …
Ringrazio anticipatamente e porgo cordiali saluti.

Consulenza legale i 09/03/2023
L’art. 1117 comma 2 del c.c. elenca i locali lavanderia e stenditoi come parti comuni del Condominio, salvo che sussista un titolo contrario.
Per l’alienazione delle parti comuni è quindi necessario che ci sia il consenso di tutti i proprietari a pena di nullità dell’atto.
Nel caso di specie, sono presenti all’interno del Condominio cinque scale differenti ed ognuna di esse all’ultimo piano ha il locale lavatoio e stenditoio.
L’art.1123 comma 3 del c.c. stabilisce che quando ci sono più scale e beni destinati a servire solo una parte dell’edificio, l’onere delle spese per la manutenzione grava su chi ne trae utilità.
La legge, quindi, distingue tra la titolarità della proprietà del bene comune, in capo a tutti i partecipanti del Condominio, e la modalità di ripartizione dei costi del bene, gravanti su chi usufruisce del bene destinato solo ad una parte di edificio.
Si ritiene, quindi, che i locali condominiali che si vogliono acquistare, essendo di proprietà di tutti i condomini indipendentemente dall’appartenenza o meno alla scala interessata, devono essere alienati con il consenso di tutti i condomini.
L’unico elemento da verificare e di cui non sia ha conoscenza, è che il regolamento condominiale non assegni in via esclusiva la titolarità di detti spazi ai proprietari degli appartamenti delle singole scale.
In quel caso il consenso necessario si limiterebbe ai soli condomini della scala interessata.

Per quanto riguarda l’iscrizione di ipoteca sulle parti comuni, si espone quanto segue.
Poiché la titolarità del diritto di proprietà di un appartamento facente parte di un Condominio, fa sorgere in automatico il diritto alla proprietà sulla parte comune condominiale in quanto pertinenza, si ritiene che l’iscrizione di ipoteca su tali parti non abbia ragion d’essere.
Il bene ipotecato che viene venduto per il soddisfacimento del credito garantito è quello di proprietà esclusiva.
Chi lo acquista diventerà proprietario anche delle parti comuni in proporzione ai propri millesimi.
Inoltre la legge stabilisce che l’ipoteca è indivisibile e sussiste per intero sopra tutti i beni vincolati (art. 2809 del c.c.).
Si ritiene quindi che non sia ammissibile un’ipoteca iscritta solo su una porzione di bene comune poiché la stessa insisterebbe su tutta la parte condominiale indivisa.
Si ritiene, in ogni caso, che sia necessario verificare se i locali che si vogliono acquistare siano già accatastati individualmente e se su essi gravino o meno ipoteche.

G. M. chiede
mercoledì 01/03/2023 - Emilia-Romagna
“Buongiorno.
Io abito in un supercondominio con 8 corpi scala, tipo fabbricato a schiera.
Attualmente il fabbricato è oggetto di riquaificazione energetica (superbonus).
Nelle facciate del fabbricato sono presenti parecchie terrazze con tendoni che a a causa dell'inspessiento dei muri, con il cappotto esterno, non possono essere rimontati.
Necessitano nuovi tendoni perchè si sono ristrette le dimensioni delle aperture.
l'Amministratore in assemblea ha sostenuto che le spese per l'acquisto dei nuovi tendoni devono essere ripartite tra tutti i condomini in base ai millesimi generali.
Devono pagare tutti anche quelli che non hanno i tendoni, come il sottoscritto?
Le chiedo se questa cosa è legittima dal momento che i tendoni sono di proprietà privata di ciascun appartamento.
Avrei bisogno di una risposta da presentare in assemblea.
Grazie.

Consulenza legale i 07/03/2023
Sinceramente si rimane stupiti dall'affermazione dell’amministratore di condominio, in quanto la tenda da sole è pacificamente considerata un accessorio del singolo appartamento e pertanto un bene in proprietà esclusiva, che ciascun condomino può scegliere se installare o meno: le spese di installazione e manutenzione di tale manufatto sono quindi esclusivamente e per intero a carico del singolo proprietario. Questo principio all’oggi non è mai stato messo in discussione.
Forse chi amministra si confonde con il decoro architettonico dell’edificio, il quale a differenza dei tendoni dei balconi, deve considerarsi di interesse condominiale e il cui rispetto si riflette sul montaggio delle tende da balcone.

È infatti parimenti pacifico in giurisprudenza come sia legittima una delibera della assemblea condominiale che prescriva tassativamente le caratteristiche estetiche e costruttive delle tende da sole, delibera pienamente opponibile agli altri proprietari i quali, ai sensi del 1° co. dell’art. 1137 del c.c., sono chiamati poi a rispettarla nel momento in cui dovranno installare il manufatto (tra le tante: Tribunale di Monza del 16.11.1990). Quanto detto però non trasforma la tenda del terrazzo in un bene condominiale al pari, ad esempio, dei muri maestri o del tetto. Come già detto i tendoni rimangono beni in proprietà esclusiva e pertanto ogni condomino dovrà sopportare per intero le spese di montaggio della sua tenda nel suo balcone di proprietà: il montaggio dovrà rispettare tuttavia le caratteristiche estetiche e funzionali prescritte dalla assemblea anche in funzione dei successivi interventi eseguiti sul palazzo, e questo nel rispetto del decoro architettonico dell’edificio.


F. G. chiede
mercoledì 22/02/2023 - Toscana
“Salve ho dei problemi di confini. La mia famiglia è proprietaria di un piccolo pezzetto di terra dal 1929 in cui in varie fasi è stata edificata una costruzione con 2 fondi a piano terreno e una casa al primo piano. Nel 1981 l’appartamento sopra fu ceduto con atto notarile riportato in allegato ( insieme a lettera avvocato dell'altra parte e mappe).
La casa al primo piano è stata poi ceduta al proprietario 2, che a sua volta nel 2017 ha rivenduto al proprietario 3 che è l’attuale titolare.
Quest’ultimo ha fatto delle rivendicazioni sul terreno in quanto al catasto attuale non sono segnate le pertinenze sui fondi posizionati a pian terreno (pratica che in teoria doveva essere fatta a suo tempo dal geometra che oggi non ha più nulla).
Le pertinenze in questione sono state sempre impiegate in funzione delle attività a pian terreno come punto di appoggio prima di un forno e poi di un bar (sempre attivo).
L'attuale proprietario rivendica dei diritti sulla condomionalità delle pertinenze, cosa mai avvenuta prima dai suoi predecessori. Come posso risolvere?”
Consulenza legale i 10/03/2023
Per inquadrare correttamente la fattispecie del presente quesito è necessario analizzare quale sia il momento in cui sorge un Condominio.
Il Codice civile si limita ad elencare quali sono le parti comuni di un edificio all’art. 1117 c.c. ma nulla dice in relazione a quando il Condominio inizia a esistere.
La giurisprudenza ha ripetutamente affermato il principio per cui il Condominio sorge “ipso iure et de facto” nel momento in cui il costruttore o l’unico proprietario dell’edificio alieni anche una sola unità immobiliare, così utilizzabile in maniera autonoma e separata dalle altre (Cass. civ. n. 9361/2021, Cass. civ. n. 19829/2004).
In questo caso, quindi, i beni elencati nell’art. 1117 c.c. diventano ex lege di proprietà comune proprio grazie al loro carattere di accessorietà all’unità immobiliare di cui è stata acquistata la proprietà esclusiva (Cass. civ. n. 27363/2021).
Solo l’esistenza di un titolo contrario può superare questa presunzione di comunione (Cass. civ. n. 3852/2020).

È chiaro, quindi, che si è costituito un Condominio, seppure minimo, nel momento in cui il proprietario di tutto l’immobile ha alienato nel 1981 l’appartamento al primo piano.
L’area al piano terra di cortile e spazio per parcheggio e manovra sembra quindi ricadere nella presunzione di bene condominiale ai sensi dell’art.1117 c.c.

C’è però un elemento non trascurabile e che deve essere soggetto ad un’attenta analisi interpretativa della volontà delle parti al momento della stipula dell’atto di compravendita nel 1981.
In tale documento, infatti, viene così riportato: “fa altresì parte della compravendita la proprietà del lastrico solare sovrastante il fondo al piano terreno che resta di proprietà della parte venditrice”.
Non è chiaro se la parte che resta di proprietà della venditrice è solo quella sottostante il lastrico solare – e quindi l’unità immobiliare ora adibita a bar - oppure tutto il fondo al piano terreno, compresa quindi l’area esterna.
Ciò cambia radicalmente la questione: nel primo caso l’area di pertinenza dell’immobile è diventata parte comune e il nuovo acquirente del primo piano può usufruirne in quanto condomino, sostenendone anche le spese; nel secondo caso invece, la riserva di proprietà del fondo al piano terreno lascia intendere che anche le parti esterne a servizio dell’immobile sono rimaste di proprietà dell’alienante nell’atto del 1981 e quindi che l’odierna controparte non può reclamare nulla.

Per capire quale fosse la volontà delle parti bisogna valutare in concreto il loro comportamento complessivo anche successivamente alla conclusione del contratto ai sensi dell’ art. 1362 del c.c..
A parere dello scrivente, il fatto che il primo acquirente del primo piano dell’immobile non abbia mai richiesto di utilizzare gli spazi esterni e i proprietari del piano terreno abbiano sempre usato come unici titolari l’area senza chiedere di ripartire le spese di gestione, fa presumere che l’intenzione fosse di mantenere il diritto di proprietà esclusiva anche sulle parti accessorie all’immobile proprio per poterci svolgere le attività commerciali in totale libertà.

Si ritiene, quindi, che si possa argomentare con la controparte che dal titolo del 1981 risulta che tutto il fondo al piano terreno è rimasto di proprietà di colui che ha venduto, tenendo però presente che l’atto non è esplicito a tal punto da poter incontrovertibilmente superare la presunzione di parti comuni prevista dall’art. 1117 c.c.
In altre parole, non è detto che in caso di controversia giudiziaria il Giudice possa interpretare i fatti e i documenti nella stessa maniera qui esposta.

G. P. chiede
domenica 12/02/2023 - Campania
“Buongiorno,
un fabbricato (piano terra e primo) è interamente di mia proprietà, tranne un piccolo vano di altro proprietario al piano terra che occupa solo una parte dell’intera superficie sia in orizzontale che in verticale.
Il fabbricato è diviso in due sub di mia proprietà (uno abitazione piano primo ed uno pertinenza cantinato piano terra), ed in un altro sub al piano terra di altro proprietario.
Il mio sub abitazione (più grande) ed il sub dell'altro proprietario (molto più piccolo), condividono solo parzialmente parti comuni (mura perimetrali e portanti, fondamenta, mentre i lastrici solari sono distinti), cioè solo un'ala è comune (più piccola), parte del mio sub abitazione al piano 1 e sub dell'altro proprietario al piano terra, mentre un'altra ala (più grande) è interamente mia (piano 1 e cantinato piano terra).
Io sostengo che non tutto l'edificio è un condominio (tra l'altro minimo di due), ma solo l'ala in comune (con condominio verticale), perchè l'ala più grande interamente di mia proprietà (come da titoli) non riceve nessuna utilità dalla cosa comune, ed ovviamente anche l’ala comune non riceve nessuna utilità dall’altra ala interamente di mia proprietà. Tra le due ali non esistono ingressi, scale, impianti, scolo acque, comuni. Anche i lastrici solari sono due: uno piccolo copre la verticale in comune ed uno distinto e separato e più grande copre la verticale di mia proprietà. L’unica parte in comune tra le due ali è un muro portante interno.
Il problema nasce dal fatto che occorre sistemare mura perimetrali e portanti (non quello interno sopra citato) e tetto della parte in comune, mentre l’ala non in comune non abbisogna di tali interventi. Quindi io sostengo che le spese vanno ripartite in riferimento alle quote millesimali che devono riflettere i beni in comune, quindi nel mio caso le quote millesimali non possono riflettere l’intera mia proprietà ma solo la parte in comune.
Di contro se io dovessi affrontare lavori su mura perimetrali, portanti, lastrico, sull’ala di mia completa proprietà, l’altro proprietario non è tenuto a sostenerle per quota parte, in quanto quelle strutture non sono di nessuna utilità alla parte comune.
Ho cercato di essere il più chiaro possibile, e mi scuso fin d’ora se non lo fossi stato.
Ho ragione? Grazie.”
Consulenza legale i 15/02/2023
Il quesito è assolutamente chiaro e da un punto di vista giuridico e legale le considerazioni in esso contenute sono assolutamente condivisibili e in linea con la giurisprudenza della Corte di Cassazione.

La disciplina del condominio negli edifici è ravvisabile ogni qualvolta sia accertato in fatto un rapporto di accessorietà necessaria che lega alcune parti comuni, come ad esempio quelle elencate dall’art.1117 del c.c., ad unità e porzioni di proprietà individuale, delle quali le prime rendono possibile l’esistenza stessa o l’uso.
Quindi, affinché una parte di un edificio possa considerarsi condominiale, non è sufficiente che esso sia presente nell’elenco di cui all’art.1117 del c.c., la quale indica una semplice presunzione di condominialità vincibile in giudizio con prova contraria, ma è necessario che il giudice verifichi in concreto se nell’edificio per cui si è in causa la parte ritenuta comune abbia questo rapporto di accessorietà nei confronti delle singole unità immobiliari in proprietà esclusiva.
Dunque, quando il bene, anche se rientrante nell’elenco di cui all’art.1117 del c.c., per obbiettive caratteristiche strutturali e funzionali, serve in modo esclusivo al godimento di una parte dell’edificio condominiale, la quale, come nel caso specifico, forma oggetto di un autonomo diritto di proprietà, non può considerarsi comune e quindi applicarsi ad esso la normativa condominiale (Si veda tra le tante Cass.Civ.,Sez.II n.884/2018; Cass.Civ.,Sez.II, n. 10073/2018).

Sulla base di quanto riferito, l’ala più grande non riceve alcuna utilità dall’ala più piccola dello stabile complessivo: viene quindi a mancare quel rapporto di accessorietà richiesto dalla giurisprudenza affinché un bene possa considerarsi condominiale.

È consigliabile, tuttavia, affiancare il presente parere legale a quello di un tecnico edile che possa confermare se a livello costruttivo e strutturale le due parti del complesso sono effettivamente autonome, e non ricevono una utilità specifica l’una dall’altra: se così non fosse, ovviamente, le conclusioni sarebbero radicalmente diverse, dovendosi infatti applicare la disciplina di cui agli artt. 1117 e ss. del c.c.

Rimane parimenti un compito del tecnico edile fornire un parere in merito alla redazione delle tabelle millesimali, da redigersi ovviamente sulla base delle caratteristiche costruttive dello stabile.


M. R. chiede
martedì 06/12/2022 - Lombardia
“Buongiorno,

abito in un condominio formato da due palazzine, la A con 12 unità e la B con 8 unità. nel 2018 abbiamo dovuto rifare entrambi i tetti con preventivo separato ma unica delibera per l'esecuzione dei lavori. nel corso dei lavori un proprietario della palazzina B, imprenditore, è fallito e l'appartamento è andato all'asta senza che il proprietario pagasse la sua quota delle spese straordinarie. Oggi si propone che la quota dell'insoluto venga divisa tra proprietari della palazzina A e B anche se l'insolvente è della palazzina B. Aggiungo che noi non abbiamo alcun passaggio, box o proprietà sotto la palazzina B e quindi il tetto è di pieno godimento dei proprietari di tale palazzina. L'amministratrice dice che l'art. 1123 dice che la competenza delle spese è a carico dei condomini della palazzina B senonché la delibera dei lavori è stata unica. Io che vivo nella palazzina A mi sono opposto al pagamento delle spese che penso siano pendenti verso i soli proprietari della palazzina B in quanto solo loro godono del tetto sotto il quale ci sono i loro appartamenti. Grazie, Saluti”
Consulenza legale i 14/12/2022
Il tetto di un edificio condominiale rientra tra i beni comuni come previsto dall’ art.1117 c.c., a meno che non risulti il contrario in modo chiaro ed univoco, dal titolo di acquisto dei singoli appartamenti o dal regolamento condominiale approvato da tutti i condomini (Cass. civ. 8593/2022, Cass. civ. n. 4060/1995).

Nel caso di specie sono presenti due edifici distinti, entrambi facenti parte dello stesso Condominio e si pone il problema di come suddividere la quota di spese straordinarie, rimaste insolute, per il rifacimento del tetto della palazzina B, relative ad un’unità immobiliare in vendita all’asta.

A tal proposito si osserva quanto segue.
La presunzione di comunione del tetto è stata esclusa nei casi in cui il Condominio sia costituito da più unità immobiliari autonome tali da dar vita ad un “condominio orizzontale” (Cass. civ. n. 10370/2021; Cass. civ. n. 22466/2010).
Il principio alla base di queste pronunce giurisprudenziali è la necessità, affinché si possa ritenere il bene comune a tutti i partecipanti, della sussistenza di “connotati strutturali e funzionali comportanti la materiale destinazione del bene al servizio e godimento di più unità immobiliari appartenenti in proprietà esclusiva a diversi proprietari”.
È facilmente applicabile il medesimo principio anche alla fattispecie in esame in cui il Condominio è costituito da due edifici distinti.
In questo caso il tetto di ogni palazzina è un bene comune per i proprietari sottostanti per cui svolge la funzione di copertura.
Le spese per gli interventi su di esso, quindi, dovranno essere sostenute solo da questi e non da tutti i condomini.

Anche l’analisi dell’art. 1123 del c.c. viene a sostegno di questo principio.
L’art. 1123 c.c. comma 1 del c.c. stabilisce che le spese sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione.
I commi seguenti dell’articolo invece stabiliscono che se il bene comune serve i condomini in misura diversa, le spese saranno ripartite in base all’uso che ciascuno può farne (art. 1123 c.c. comma 1) oppure che in caso in cui una parte comune serve solo una parte dell’immobile, le spese saranno sostenute dai condomini che ne traggono utilità (art. 1123 c.c. comma 1).
Da quest’ultima disposizione è nata la figura del “Condominio parziale” di matrice giurisprudenziale.
Ciò accade quando alcune parti o servizi comuni dell’edificio appartengano o servano solo ad alcuni partecipanti.
Ne deriva quindi un’implicazione riguardo alla gestione e imputazione delle spese perché non sussiste il diritto di tutti i condomini di partecipare all’assemblea e deliberare sui beni o servizi di cui non hanno la titolarità e di conseguenza nemmeno il dovere di pagare le spese.

I condomini di ciascuna palazzina avrebbero dovuto deliberare autonomamente i lavori per il tetto del proprio edificio con la composizione e la maggioranza necessaria per l’approvazione calcolate sulla titolarità effettiva e non sul totale del Condominio (Cass. civ. n. 791/2020, Cass. civ. n. 23851/2010).

Nonostante pare che questo non sia stato fatto e siano stati approvati i lavori con un’unica delibera per tutto il Condominio, a nostro parere i costi dei rifacimenti dei due tetti dovranno rimanere in ogni caso separati.
Le rate straordinarie del costo dei lavori approvate dall’Assemblea si basano su due preventivi differenti per ciascun edificio il che implica che, ragionevolmente, anche le spese siano state suddivise autonomamente per ciascun edificio.
Il Condominio, quindi, ha approvato spese diverse e autonome per ciascuna palazzina per il rifacimento del proprio tetto e i partecipanti rimangono obbligati al pagamento dell’importo approvato relativo alla propria copertura e non certo a quella dell’altro edificio.

Si ritiene, in ogni caso, che l’Assemblea debba deliberare su come assorbire la quota non pagata relativa all’immobile andato all’asta non potendo essere suddivisa sugli altri condomini senza un’approvazione specifica.
In questo caso l’Assemblea avrà il diritto di stabilire come coprire il debito nella maniera che ritiene più opportuna anche, eventualmente, derogando ai principi di legge come stabilisce l’art. 1123 c.c. comma 1 del c.c.

M. F. M. chiede
lunedì 10/10/2022 - Lazio
“Nel balcone dell'appartamento di proprietà di mio figlio, a causa dell'ammaloramento di alcune parti della relativa pavimentazione con conseguenti zone di ristagno dell'acqua piovana, sono stati fatti lavori per determinare più appropriate pendenze tali da assicurarne il regolare deflusso. Nell'occasione, a maggior tutela della propria privacy ma anche allo scopo di non rendere visibile il lieve dislivello ( 1,5 cm circa) dato dalla evidenza della nuova pavimentazione sovrapposta nella sua porzione di balcone, rispetto alla pavimentazione originaria che, senza soluzione di continuità, riveste anche la porzione di balcone dell'appartamento confinante, é stato eretto, partendo da terra fino a pareggiare tutta l'altezza della parte muraria divisoria bassa tra detti balconi, un sottile muretto ( 90cm x 50cm x 10cm circa), non visibile dall'esterno dell'edificio, appoggiato, dal versante del balcone di proprietà, sul pannello metallico basso divisorio comune tra i 2 balconi confinanti .
La vicina asserisce che questo piccolo manufatto é un abuso, che modifica una parte comune condominiale, diminuendo il precedente pieno godimento del suo balcone, anche come sua vista e filtraggio di aria libera prospettica laterale su quello confinante (di mio figlio) e ne pretende l'abbattimento immediato. Ho letto gli artt. 1117 e ss del c.c e il regolamento condominiale che vi allego, ma non rinvengo come tale pannello metallico divisorio basso che separa i 2 balconi, possa rientrare tra le parti comuni, visto che é ad esclusivo uso delle 2 proprietà confinanti. Ma anche come tale, non comprendo come mio figlio, non poteva servirsene, appoggiando questo piccolo muretto sullo stesso, non venendosi a creare alcuna alterazione nel godimento e uso del balcone confinante, ma anche sotto il profilo del decoro estetico e architettonico oltre che della sicurezza dell'edificio condominiale. Sin dal momento della realizzazione del muretto e più volte successivamente, ho proposto alla signora di mandarle a mie spese degli operai per rifinire al meglio la piccola cornice di muretto che lei scorge dal suo versante, appena dietro il pannello, ma non ne vuole sapere e asserisce che il muretto va solo abbattuto. Questa soluzione é per mio figlio economicamente onerosa e, sentito il geometra, rischiosa, potendo avere ripercussioni sulla nuova pavimentazione e impermeabilizzazione, sul regolare deflusso della acque piovane e di pulizia, sullo stesso pannello divisorio e sulle porzioni di mura comuni su cui lo stesso é ora ancorato. Aggiungo che per l'intera buona stagione la signora si rilassa quotidianamente su una sdraio collocata e sempre lasciata a mò di postazione fissa a circa 1m dal pannello/muretto divisorio pur disponendo di almeno altri 10 m di superficie di balcone in direzione opposta dove non confina con altri balconi. Vi sarò grato se potrete darmi un vostro parere legale.”
Consulenza legale i 17/10/2022
In tutta sincerità allo stato attuale della vicenda si ha difficoltà a rispondere al quesito proposto con un parere giuridicamente articolato. Il motivo di ciò è che le accuse che la vicina muove verso il “muretto della discordia” sono piuttosto disarticolate e confusionarie.
In linea generale possiamo dire che la zona di calpestio del balcone su cui è stato installato il muretto divisorio non è un bene comune a tutto il condominio ma tuttalpiù potrebbe essere considerato bene comune ai due vicini di piano. Tra l’altro, tale bene potrebbe anche essere comodamente diviso tracciando un muretto lungo il confine delle due proprietà: cosa che a quanto pare già è presente e comunque è stata fatta con la realizzazione del muretto.

Non sorprende che nel regolamento di condominio non vi sia alcun riferimento alle zone di calpestio, che sono parti del balcone tradizionalmente considerate come naturale prolungamento dell’appartamento al quale accedono e quindi parti in proprietà esclusiva al singolo condominio.
Posta questa premessa possiamo dire che l’opera, per quanto ci è stato descritto, appare perfettamente in linea con la normativa condominiale, a condizione che essa non sconfini nella proprietà del balcone della vicina.

Anche da un punto di vista della lesione al decoro architettonico il muretto non pare possa destare particolare criticità. La giurisprudenza ha più volte precisato, infatti, che per aversi lesione al decoro architettonico è necessario che l’innovazione che si è realizzata arrechi una considerevole alterazione delle linee del fabbricato, che si concretizzano poi in una svalutazione economica delle proprietà in condominio: non pare proprio che con l’edificazione di tale muretto si sia arrecato un tale danno alla facciata dello stabile, tenendo conto anche del fatto che esso non è visibile dall’esterno.

La verità è che le accuse che vengono mosse dalla vicina appaiono allo stato attuale confusionarie ed incomplete, fatte, forse, nella speranza di mettere paura più che per giungere ad una azione realmente concreta.

Si consiglia, quindi di mantenere ferma la propria posizione facendo presente che non si ha intenzione di rimuovere quanto realizzato: si vedrà poi se la vicina si rivolgerà ad un legale (circostanza allo stato attuale delle cose assolutamente non scontata), e se il professionista incaricato poi riterrà opportuno muovere contestazioni più precise e puntuali a cui si potrà opporre una congrua difesa.

Se, ovviamente, nel momento in cui si scrive si è andati oltre alle semplici accuse verbali e si è già ricevuto una missiva da parte del legale di controparte si rimane a disposizione per fornire una risposta più puntuale sulla base delle contestazioni in essa presenti.


William F. chiede
mercoledì 17/08/2022 - Lombardia
“Buongiorno,
avrei bisogno di un parere sull'inquadramento giuridico di una situazione relativa alla palazzina in cui vivo.

Siamo 4 unità abitative, pertanto non soggette ad obbligo di condominio. Tempo fa tra "condomini" è nata una discussione circa l'assicurazione delle parti comuni. Si era proposto di passare a una polizza "globale fabbricati" a copertura delle parti comuni ma uno dei quattro ha sollevato il punto che la sua polizza sulla sua unità abitativa comprendeva anche l'estensione alle parti comuni per la quota di competenza.

Il mio quesito è il seguente: come si inquadra da un punto di vista giuridico questa situazione? E' possibile e contemplato dalle normative che su un unico bene (parti comuni) sussistano 4 polizze distinte e totalmente indipendenti cioè che ogni condomino assicuri un'estensione della propria unità abitativa?

Grazie in anticipo.”
Consulenza legale i 31/08/2022
Il Codice Civile non contiene una definizione espressa di “condominio”. Tuttavia, come dice la parola stessa, il condominio costituisce una particolare forma di comunione su di un bene immobile nella quale coesistono parti di proprietà esclusiva e parti di proprietà comune.
Nel caso che occupa, essendoci quattro unità abitative distinte, e di proprietà di diversi soggetti, e alcune parti comuni, è possibile parlare tecnicamente di condominio.
Peraltro, essendo solamente quattro le unità abitative, non è necessaria la nomina di un amministratore. L’art. 1129 del c.c., dopo la riforma attuata con la legge 220/2012, ha infatti reso obbligatoria la nomina dell’amministratore quando i condomini sono più di otto. Allo stesso modo, non è nemmeno necessario adottare un regolamento condominiale. L’adozione del regolamento condominiale è infatti obbligatoria solo negli stabili in cui il numero di condomini sia superiore a dieci (art. 1138 comma 1 c.c.).
Per la legge (art. 1117 del c.c.) sono parti comuni dell’edificio condominiale:
  • tutte le parti dell’edificio necessarie all’uso comune, come il suolo su cui sorge l’edificio, le fondazioni, i muri maestri, i pilastri e le travi portanti, i tetti e i lastrici solari, le scale, i portoni di ingresso, i vestiboli, gli anditi, i portici, i cortili e le facciate;
  • le aree destinate a parcheggio nonché i locali per i servizi in comune, come la portineria, incluso l’alloggio del portiere, la lavanderia, gli stenditoi e i sottotetti destinati, per le caratteristiche strutturali e funzionali, all’uso comune;
  • le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere destinati all’uso comune, come gli ascensori, i pozzi, le cisterne, gli impianti idrici e fognari, i sistemi centralizzati di distribuzione e di trasmissione per il gas, per l’energia elettrica, per il riscaldamento ed il condizionamento dell’aria, per la ricezione radiotelevisiva e per l’accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo, e i relativi collegamenti fino al punto di diramazione ai locali di proprietà individuale dei singoli condomini, ovvero, in caso di impianti unitari, fino al punto di utenza, salvo quanto disposto dalle normative di settore in materia di reti pubbliche.

L’assicurazione sulle parti comuni è senza ombra di dubbio un valido strumento per tutelare il condominio e i singoli condomini. Infatti, se dovesse verificarsi un incidente che cagioni danni a terzi e che sia riferibile a una delle aree comuni del condominio (p.e. scale), l’assicurazione interverrà al posto del condominio per pagare i danni.
La normativa italiana, tuttavia, nulla dice in merito all'obbligo di sottoscrivere una polizza condominiale.
Di conseguenza, si può ritenere che non sia obbligatorio stipulare una polizza globale fabbricati per i condomini.
L’obbligo potrebbe, semmai, essere imposto dal regolamento condominiale, che può indicare espressamente la necessità di una polizza volta a coprire i danni all’edificio e quelli causati a persone e cose terze. Se neanche il regolamento dispone nulla in merito, la decisione può comunque essere presa dai condomini riuniti in assemblea (Cassazione n. 15872 del 06/07/2010).
Nel caso che occupa, tuttavia, non risulta esistere un regolamento condominiale che imponga la stipulazione di una polizza assicurativa condominiale.
In ogni caso, per rispondere al quesito posto, è possibile affermare che nulla osta alla stipulazione di diverse polizze private, relative a ciascun condomino, che si estendano anche alle parti comuni. Stipulare una “polizza globale fabbricati” condominiale è infatti una facoltà, ma non un obbligo.
Altra possibilità potrebbe essere quella di stipulare una polizza globale fabbricati tra i tre condomini consenzienti, con esclusione di chi possiede già la propria polizza privata. I condomini che hanno partecipato alla sottoscrizione della "polizza globale fabbricati", saranno coperti dalla stessa; il condomino "escluso", sarà coperto dalla propria assicurazione privata, se e nella misura in cui si estenda alle parti comuni.
Per esemplificare: se dovesse verificarsi un incidente relativo alle parti comuni (un danno a terze parti), ciascun condomino risponderà in linea generale ai sensi dell'art. 2055 del c.c.. Se il condomino ha sottoscritto una polizza assicurativa privata che si estende anche alle parti comuni, potrà essere coperto dalla polizza assicurativa per l'eventuale risarcimento del danno procurato a terzi relativamente alla sua quota. Altrimenti, risponderà “di tasca propria”.
Coloro che hanno sottoscritto, invece, la "polizza globale fabbricati" condominiale, saranno logicamente tutti coperti da quest'ultima.

E. A. chiede
martedì 10/05/2022 - Toscana
“Buonasera
PREMESSO CHE:
- sono proprietario di appartamento posto al piano terra e con ingresso autonomo direttamente sull'esterno del palazzo (con proprio numero civico),
- il Condominio comprende altri 8 appartamenti ubicati ai piani 1°, 2° e 3° il cui relativo accesso è permesso grazie a scala ubicata in luogo distaccato dal mio appartamento,
- sono stati deliberati interventi di manutenzione a detta scala e il posizionamento di ex novo contatore dedicato al rilevamento dei consumi per l'illuminazione della stessa,
CONSIDERATO CHE:
- pur essendo ovviamente tale scala 'bene in comune' è evidente come la stessa 'serva' unicamente i piani 1,2, e3°
- Non sussiste terrazzo o lastrico solare condominiale ne' mia propria antenna privata che giustifichi un mio interesse ad usufruire della scala (cosa che peraltro in 3 anni di proprieta' non ho mai fatto),
- Non sussiste alcun regolamento condominiale che determini le modalità' del riparto delle spese condominiali SONO PERTANTO A RICHIEDERE:
Vs parere legale su quale sia la formula più rispettosa delle norme del Codice Civile in merito al riparto di tali spese relative alla manutenzione delle scale e della relativa illuminazione (contatore e future bollette).

Gli artt. 1123 e 1124 del cc, secondo me sono ben chiari (riparto unicamente tra i condomini che si servono delle scale e quindi appartamenti al 1°, 2° e 3° piano) per 1/2 rispetto al valore e per 1/2 in considerazione dell'altezza dal suolo), ma la cosa parrebbe non condivisa da detti condomini (che in totale hanno la maggioranza dei millesimi) e non decisa
dall'Amministratrice del Condominio, Resto a disposizione di ulteriori eventuali chiarimenti/documentazione ed in attesa Vs. determinazione legale porgo i miei più' cordiali saluti.”
Consulenza legale i 18/05/2022
Ad avviso di chi scrive, è necessario partire da un presupposto leggermente differente rispetto a quello prospettato nel quesito.
Sulla base di quanto viene descritto infatti, non è assolutamente scontato ritenere che l’autore del quesito possa considerarsi comproprietario della scala, bene che rimane sicuramente comune agli altri proprietari del condominio.

Ma partiamo con ordine. L’art. 1117 del c.c., come è noto, indica al suo n.1 le scale tra le parti comuni dell’edificio. La giurisprudenza in maniera costante ha però chiarito una circostanza fondamentale in merito a tale norma: il fatto che una determinata parte di un edificio sia di per sé elencata dall’art.1117 del c.c., non comporta che essa deve considerarsi di per sé un bene comune. In altre parole, l’art. 1117 del c.c. detta semplicemente una presunzione di condominialità che può essere tranquillamente vinta fornendo prova contraria.
La giurisprudenza che si sta esaminando, che può definirsi assolutamente costante, precisa infatti che una parte dell’edificio (come ad esempio le scale) può considerarsi comune quando vi sia un nesso di accessorietà tra tale bene e la singola unità immobiliare in proprietà esclusiva: in forza di tale nesso l’esistenza del bene comune è necessario per garantire un miglior godimento e utilizzo al singolo proprietario del suo appartamento. Tuttavia quando tale nesso non esiste, ad esempio per determinate caratteristiche costruttive dell’edificio, il bene non può considerarsi comune, anche se astrattamente elencato nell’art. 1117 del c.c. (Si veda ad esempio tra le tante in questo senso Cass.Civ.,Sez.II, n.10073/2018).
Solitamente le scale sono un bene comune e quindi elencate dall’art.1117 del c.c. proprio perché necessarie ed indispensabili per raggiungere i piani dell’edificio e quindi i singoli appartamenti in proprietà esclusiva, ma nel caso di specie il nesso di accessorietà descritto dalla giurisprudenza pare mancare.

Infatti, sulla base di quanto viene riferito, la scala protagonista del quesito non solo non è assolutamente necessaria per raggiungere l’appartamento al piano terra, il quale ha un ingresso autonomo, ma non è neppure necessaria per raggiungere altre parti comuni dell’edificio legate da un rapporto accessorietà con la proprietà dell’autore del quesito. Per tale motivo, si deve concludere che la scala è un bene comune ai soli proprietari degli appartamenti siti ai piani superiori e quindi, ai sensi dell’ultimo comma dell’art.1123 del c.c., solo tale gruppo di condomini deve partecipare agli oneri manutentivi ordinari e straordinari riconducibile a tale bene comune.

Si precisa, inoltre, che la conclusione a cui si è giunti è resa ancora più agevole dal fatto che, per quanto ci è dato sapere, non esiste un regolamento di condominio che ponga espressamente le scale tra i beni comuni a tutti i proprietari del complesso.

B. B. chiede
venerdì 06/05/2022 - Emilia-Romagna
“Tema: “ SPESE CONDOMINIALI O PERSONALI ? ” sviluppato su tre esempi, da valutare singolarmente, tenendo conto del principio posto alla base del termine “spesa condominiale” e cioè: l’utilità comune.

Nel controllare le spese condominiali degli ultimi anni, ho riscontrato che in alcuni casi l’Amministratore addebita costi di natura condominiale ai singoli condòmini, anziché dividerli in base ai millesimi. Questo, secondo me, contrasta con il presupposto di base che recita: “sono considerati condominiali tutti i beni e i servizi che per loro natura sono destinati ad essere utilizzati dal complesso dei condòmini, non risultando tali beni di proprietà esclusiva di qualcuno”.

1) Centrale Termica (spese di conduzione, ricambi, eccetera).
In tema di “spese condominiali o personali”, questa voce presenta molte novità nei fabbricati di ultima generazione. Da noi, l’Amministratore ha risolto la questione considerando tutti i costi d’esercizio della C.T. (Contratto annuo per l’accudienza; Eventuali pezzi di ricambio; Forza motrice; Trattamento delle acque), alla stessa stregua del consumo di gas metano e di conseguenza tutti i costi (fissi e di consumo), vengono imputati ai “consumi volontari” (salvo il 5% per dispersione). Secondo me questa impostazione non è corretta e sostengo che solo il costo del gas metano (variabile dipendente) possa con certezza essere ripartito in base ai Kwh consumati, mentre tutti gli altri costi della C.T. (variabili indipendenti) devono essere ripartiti in base ai millesimi. A tal proposito è bene ricordare che ogni proprietario nell’acquistare l’appartamento ha acquistato anche una quota della C.T. la quale, per svolgere la sua funzione (fornire acqua calda e riscaldamento), deve essere sempre attiva, pronta ed efficiente. Questa costante funzionalità ha dei costi d’esercizio, quelli sopraelencati in parentesi, che non sono influenzati dai consumi.

2) Cassetta di contabilizzazione posta in prossimità dell’appartamento (ricambi).
In questo caso, l’Amministratore addebita tutte le spese al singolo condomino. A me sembra invece che tali cassette siano un naturale prolungamento della Centrale Termica, del cui servizio rappresentano l’atto finale (contabilizzazione dei consumi) e quindi le spese rientrano nella fattispecie di cui al punto 1). A queste cassette, infatti, accedono manutentori della C.T. che rispondono direttamente all’Amministratore; nello svolgimento del loro compito; a volte sono costretti a sostituire qualche pezzo ammalorato per consentire il completamento del servizio che, essendo di “utilità comune”, comporta una ripartizione del costo basata sui millesimi. Anche (e soprattutto) la sostituzione dei contatori, secondo me, rientra nella fattispecie poiché il loro corretto funzionamento è di “utilità comune” (infatti, l’eventuale disfunzione di un contatore, ad esempio, in termini di costi, ricade su tutti i condòmini e quindi la sua sostituzione deve essere gestita a livello condominiale, a tutela di tutti).

3) Videocitofono (ricambi).
Non è più il semplice campanello individuale, oggi è un impianto tecnologicamente evoluto con una centralina (unica) a beneficio di tutti i condòmini: un vero e proprio bene/servizio condominiale e quindi le spese per la sua conservazione e buon funzionamento vanno suddivise in base ai millesimi: d’altronde, la costante funzionalità dell’impianto non può essere “finanziata” da singoli condòmini in modo del tutto casuale (e questo vale anche per i punti di cui sopra). Anche in questo caso, ovviamente, intervengono tecnici gestiti dall’Amministratore e non da tecnici personali di singoli condòmini.
L’unica spesa personale di questo impianto può essere l’eventuale cambio dell’etichetta.

Le vostre risposte, con richiami a leggi vigenti, dovrebbero consentirmi di sottoporre la mia tesi alla votazione dell’assemblea e ottenere la modifica dei criteri di imputazione.

Grazie e cordiali saluti”
Consulenza legale i 13/05/2022
1) Centrale Termica (spese di conduzione, ricambi, eccetera).
Ci si sente di condividere le considerazioni espresse sul punto, a cui francamente rimane da aggiungere ben poco. Le spese di manutenzione ordinaria o straordinaria attengono alla proprietà dell’impianto e non al consumo della forza calore e come tale devono essere ripartite in proporzione alle singole quote di comproprietà dei condomini e non in base al livello di consumo di ciascuna famiglia che abita nei singoli appartamenti. In questo senso è piuttosto chiara anche Cass.Civ. n.1420 del 27.01.2004,la quale ha precisato che tutte le spese che attengono alla integrazione dell’ impianto comune e alla conservazione del suo valore capitale:”… interessano i condomini quali proprietari dell’impianto, a cui carico la legge (articolo 1123 primo comma Cc) pone l’obbligo di concorrere alle spese, configurando a carico di essi obbligazioni propter rem, che, nascendo dalla contitolarità del diritto reale sull’impianto comune, sono dovute in proporzione della quota che esprime la misura della appartenenza.”
Applicando tali principi le spese di manutenzione della centrale termica devono essere ripartite attraverso la tabella millesimi generali e non in proporzione al consumo della forza calore effettuato durante l’anno da ciascun proprietario.


2-3) Cassetta di contabilizzazione posta in prossimità dell’appartamento (ricambi)- Videocitofono (ricambi).

I punti 2 e 3 possono essere trattati congiuntamente, ma in questo caso non è possibile dare sostegno alle ragioni dell’autore del quesito

Il n.3 dell’art. 1117 del c.c. detta un principio estremamente importante in merito agli impianti condominiali, che il legislatore ha ripreso dalla giurisprudenza che è in questo senso è sempre stata costante.

Gli impianti, secondo la norma in esame, devono considerarsi condominiali fino al punto di diramazione ai locali in proprietà individuale dei singoli condomini, o, in caso di impianti unitari fino al punto di utenza.

Ulteriormente banalizzando, la parte dell’impianto che sta all’esterno dell’appartamento è da considerarsi condominiale, mentre la parte che entra nella nostra abitazione diviene in proprietà esclusiva.

Applicando tale principio all’impianto citofonico, deve essere addebitato al singolo condominio la sostituzione del risponditore installato all’interno dei locali in proprietà individuale, devono essere ripartite ai sensi dell’art. 1123 del c.c. e in base alle tabelle generali i lavori che attengono ad esempio alla manutenzione della pulsantiera esterna all’edificio o i fili di collegamento ai singoli punti di utenza.

In merito agli apparecchi di contabilizzazione posti in prossimità dell’appartamento essi rappresentano proprio il punto di utenza del singolo impianto unitario costituendo il punto di snodo tra la parte condominiale e la parte in proprietà individuale dell’impianto. Per tale motivo essi devono considerarsi di proprietà individuale e i costi per la loro manutenzione e sostituzione devono essere sopportati dal singolo proprietario.


P. W. chiede
lunedì 02/05/2022 - Sicilia
“Stiamo facendo la ristrutturazione di una casa bifamiliare. (Mi avete già aiutato con la tabella F del terrazzo a livello a gennaio) Io sono a pianterreno.
Ci sono dei pensiline attorno al edificio di circa 25cm che sono conteggiate nelle spese commune e con questo sono d’accordo.
Quello di sopra ha due balcone con pensiline che coprono completamente i balconi di circa 1metro e mezzo. Ho il dubbio se queste fanno parte di spese commune o individuale in quanto non coprono altro che i balconi. Si come non è una spesa indifferente vorrei avere un parere legale da portare al amministratore
Ho delle foto per dimostrare meglio.”
Consulenza legale i 06/05/2022
L’art. 1117 del c.c. individua i beni che possono considerarsi comuni, se non risulta una disposizione contraria nei rogiti di acquisto delle unità immobiliari in proprietà esclusiva oppure dal regolamento di condominio.
La giurisprudenza ha chiarito a più riprese come l’elencazione racchiusa nell’art. 1117 del c.c. non abbia un carattere tassativo: è ben possibile, infatti, che parti dell’edificio non espressamente previste dall’art.1117 del c.c. possano considerarsi comuni quando vi sia un legame di accessorietà e strumentalità funzionale tra la porzione di piano in proprietà esclusiva e gli impianti e servizi comuni. In forza di tale legame, il godimento del bene comune condominiale diviene utile se non necessario per il godimento della parte di piano in proprietà esclusiva (tra le tante: Cass.Civ.,Sez.II, n.008844/2018).

In parole semplici per capire se le pensiline descritte nel quesito siano beni comuni condominiali o beni in proprietà esclusiva del proprietario dell’appartamento del piano di sotto, dobbiamo domandarci se esse svolgono una qualche utilità per tutte o alcune delle unità immobiliari ricomprese nel condominio agevolando o assicurando un loro miglior godimento o utilizzo da parte dei rispettivi proprietari.

La risposta a tale domanda non può essere trovata da un legale, ma ci si deve rivolgere ad un tecnico edile come ad esempio ad un geometra: se si trovasse infatti un tecnico che certificasse in una perizia che tali pensiline non hanno una reale funzione condominiale si potrebbe contestare l’addebito delle spese necessarie per la loro ristrutturazione.
Tuttavia, pur non essendo un geometra, si ha il sospetto che tali pensiline siano necessarie per un efficiente scolo delle acque meteoriche del palazzo e che esse assolvano ad una funzione condominiale e debbano pertanto considerarsi comuni a tutti i proprietari: ma come già detto, tale affermazione deve essere confermata o tranquillamente smentita da un tecnico.


F. M. chiede
sabato 26/02/2022 - Sardegna
“Nel 2019 mi sono aggiudicato all’Asta un appartamento + terrazzo, posto all'ultimo piano di un fabbricato residenziale di 3 piani fuori terra. L'intero appartamento è sovrastato da un lastrico solare ad uso esclusivo del soggetto pignorato (da me acquistato), che la CTU del Tribunale con annessa perizia tecnica ha ritenuto fosse di proprietà condominiale, in quanto nell'ultimo atto di trasferimento della proprietà datato 1972, non veniva fatta alcuna menzione in merito allo stesso lastrico solare.
Nel stesso 2019, preciso di aver effettuato un accertamento di conformità, per sanare e regolarizzare una parziale difformità, in quanto non è stato costruito un sottotetto sul lastrico solare come previsto da un progetto datato 1972, ma realizzata una “terrazza a livello” delimitata da un parapetto ad uso esclusivo dell’appartamento sottostante (da me acquistato).
In occasione della richiesta di concessione di un mutuo, ho acquisito l'atto precedente datato 1971 (primo atto), con il quale il proprietario del piano terra commette ai futuri acquirenti (che poi hanno venduto al soggetto pignorato), l'appalto per la costruzione del piano del 1° 2° e 3°, ed esclude in maniera inequivocabile la condominialità del lastrico e dei giardini al piano terra.
Specifica inoltre che a costruzione ultimata, come per legge verrà costituito un condominio sulle parti e servizi comuni della casa, a eccezione del lastrico solare di copertura, che veniva trasferito in proprietà esclusiva ai nuovi acquirenti. Questi ultimi, una volta realizzato l'intero fabbricato, hanno venduto gli appartamenti del piano 2° e 3°, senza indicare nei rogiti notarili il diritto di riserva per sopraelevazione ma solo il diritto di costruire in appoggio/aderenza, in quanto proprietari dei terreni confinanti. Infine metto in evidenza che nel Decreto di Trasferimento del Tribunale si fa menzione del solo fabbricato con annesse pertinenze, senza indicazioni specifiche.
Ora domando:
seppur vero che la Corte Suprema di Cassazione civile, sez. II, 04/07/2017, (ud. 31/05/2017, dep.04/07/2017) n. 16414, ricordava anzitutto che il lastrico solare deve essere inserito esplicitamente tra le «parti comuni» elencate dall'articolo 1117 del Codice civile, e altrettanto vero che la proprietà dello stesso può essere esclusa soltanto da uno specifico titolo in forma scritta, che s.e. è quello datato 1971. Pertanto chiedo cortesemente un vs. parere legale in merito alla proprietà della perinenza del lastrico solare, ora terrazza. Possibilmente con riferimenti di Normativi - Sentenze”
Consulenza legale i 09/03/2022
L’art.1117 del c.c. nel testo successivo alla riforma del 2012 indica espressamente tra le parti comuni del condominio il lastrico solare (si veda il n.1 dell’art. 1117 del c.c.). Tale importante norma ci ricorda anche che la presunzione di condominialità per i beni da essa elencata non opera se il titolo disponga diversamente, ovvero se nei rogiti di acquisto dei singoli appartamenti o nel regolamento contrattuale del costituito condominio venga convenuto che il lastrico solare è attribuito in proprietà o in uso esclusivo ad un singolo condomino.

Per rispondere al quesito in maniera esaustiva e puntuale si dovrebbe avere in visione i due rogiti che vengono menzionati: ovvero quello del 1971 e quello del 1972. Chi scrive però ha il forte sospetto che il rogito del 1971 fosse incentrato sul mero obbligo di costruire un determinato edificio, ma esso non aveva l’effetto di per se di trasferire sugli acquirenti del secondo e terzo piano la proprietà di un bene che ancora nei fatti non era stato edificato. Tale affermazione è comprovata dal successivo rogito del 1972 che, a quanto riferito, si preoccupa di trasferire materialmente la proprietà delle unità immobiliari precedentemente costruite. In altri termini con il primo rogito del 1971 i futuri acquirenti assumevano il mero obbligo di costruire, mentre è con il successivo del 1972 che acquistavano materialmente la proprietà di quanto edificato.

Tale differenza non è sicuramente di poco conto, in quanto con il rogito del 1971 le parti hanno semplicemente convenuto le caratteristiche principali del successivo edificio, e in quella sede si è convenuto che dopo la sua costruzione la proprietà del lastrico solare sarebbe stata trasferita ad uno specifico condomino. Tale obbligo tuttavia doveva poi essere attuato nel successivo rogito del 1972: in quella sede, infatti si sarebbe dovuto trasferire materialmente la proprietà del lastrico solare. Solo in questo modo si sarebbe quindi potuto escludere la presunzione di condominialità indicata dall’art. 1117 del c.c.

A quanto pare però per motivi ignoti tale ultimo passaggio non è stato realizzato e quindi il lastrico solare deve considerarsi bene condominiale e non bene concesso in proprietà esclusiva.

Con ogni probabilità è per questo che il lastrico solare non è stato coinvolto espressamente nella procedura esecutiva immobiliare, anche perché è improbabile che il pignoramento predisposto dal legale del creditore procedente possa aver colpito direttamente tale cespite o se lo ha fatto, ciò è avvenuto solo pro quota.

È molto probabile però che il debitore esecutato abbia utilizzato il lastrico solare come se fosse proprio, escludendo la sua natura comune. In questo senso potrebbe essere utile verificare con l’ausilio di un legale se possa essere spendibile un acquisto del lastrico per usucapione.

Rimaniamo a disposizione per un approfondimento a seguito di integrazione documentale.


G. C. chiede
lunedì 22/11/2021 - Lazio
“QUESITO A STUDIO BROCARDI
Il condominio di appartenenza è composto da 9 condòmini. La nostra facciata principale ha i balconi seriamente ammalorati dal 2018. Causa Covid i lavori non ebbero inizio. Avevamo già avuto il capitolato lavori e quattro offerte. L’amministratore nell’assemblea dell’ottobre 2020 invece di dare seguito ai lavori della facciata che richiedeva manutenzione straordinaria necessaria e urgente, introduceva il Superbonus. Nonostante critiche successive di due condomini per il ritardo nei lavori nulla veniva fatto fino al 15 settembre 2021 in cui il Bonus Facciate riceveva precedenza sul Superbonus scadendo il benefico il 31.12.2021. Tuttavia fu una decisione troppo tardiva in quanto tutto veniva bloccato dal decreto antifrode a causa del quale molto probabilmente perderemo il beneficio del Bonus Facciate.
Quesito: indipendentemente dalle decisioni che prenderà il condominio nel prossimo futuro al riguardo, posso a mie spese far eseguire i lavori di ripristino del mio balcone aggettante senza beneficiare di alcun Bonus facciate anche per il motivo che il decreto antifrode ha bloccato tutto e non ci permetterà di usufruire del 90 % causa ritardi dell’amministrazione facendoci perdere il 30 % del beneficio nel 2022? Il motivo è che il mio balcone è il meno ammalorato di tutti gli altri che invece lo sono gravemente, ed il preventivo fattomi da grande azienda la scorsa settimana è di euro 2600 iva compresa. Se dovessi partecipare a qualsiasi bonus facciate del 2022 nel contesto condominiale, la spesa potrebbe risultare di gran lunga molto più alta qualora dovesse essere suddivisa in base ai millesimi anche se i balconi aggettanti sono per legge di proprietà esclusiva del proprietario. Tenete presente che il mio balcone è stato ammalorato causa innaffi di molti anni delle piante situate sul balcone del condòmino del piano di sopra che ha recato danni al frontalino e arrugginito l’intero lato della ringhiera situata sotto le piante. Innaffio non consentito, tra l’altro, dal nostro regolamento di natura contrattuale oltre che dal codice civile. Ma fare causa di questi tempi non mi pare saggio.”
Consulenza legale i 25/11/2021
Il balcone aggettante è una delle parti dell’edificio condominiale maggiormente controverse che ha causato negli anni diversi contenziosi e conseguentemente numerose pronunce.

Ad oggi comunque possiamo dire che i giudici sono giunti a dei punti fermi soprattutto in merito alla natura del balcone aggettante, il quale deve considerarsi per intero un bene in proprietà esclusiva e naturale prolungamento della unità immobiliare alla quale accede.
Addirittura recenti pronunce della Corte di Cassazione, affrontando l’annoso problema delle tende da sole e del loro ancoraggio, hanno ritenuto di proprietà esclusiva il cielino, ovvero la parte sottostante del balcone e della sua soletta, che si scorge affacciandosi dal piano di sotto e guardando in alto.
Ad ogni modo è sicuramente di proprietà esclusiva, la zona di calpestio del balcone e la sua soletta.
Visto che il balcone diviene quindi una pertinenza dell’appartamento a cui accede, vi è il pieno diritto del singolo condomino di procedere alla sua riparazione e messa in sicurezza, fermo restando il rispetto del decoro architettonico dell’edificio, forse l’unico limite condominiale che ancora rimane fermo nella disciplina giuridica dei balconi aggettanti.

In merito ad una possibile causa nei confronti della vicina del piano di sopra, si condivide le considerazioni fatte nel quesito. Fermo restando che la vicina ha violato le norme del regolamento contrattuale, per procedere ad una richiesta di risarcimento del danno nei suoi confronti si dovrebbe comunque dimostrare con apposita perizia che lo stato attuale dei balconi è stato causato da condotte a lei riconducibili (l’annaffio dei fiori). I costi peritali e di causa però sarebbero di gran lunga superiori al danno esiguo effettivamente causato, che a quanto pare non supera gli € 2.600,00 ivati.



Pirelli G. chiede
giovedì 14/10/2021 - Lombardia
“Buongiorno.
Espongo la nostra vicenda.
A seguito di una edificazione a lato della palazzina condominiale dove risiediamo faccio un accesso agli atti.
Il costruttore fa una segnalazione in Comune per delle difformità nel nostro edificio.
Il Comune procede con un esposto contro di noi per delle luci delle finestre non a distanza regolare dal confine: 4,40 invece di 5 mt e la distanza non conforme della prima rampa della scala di accesso alla nostra unità abitativa. La palazzina è stata edificata nel 1976
PRECISO
Delle finestre ne eravamo a conoscenza, la cosa era stata aggiustata PRIMA DELLE VENDITA come luce di tolleranza con l'apposizione di pannelli opachi in vetroresina in seguito rimossi e rimasti tali per quaranta anni.
La scala è stata una autentica sorpresa, avendo certificato di abitabilità-agibilità non è mai stata contestata, addirittura fotografata nel 1976 durante un sopralluogo da parte del tecnico comunale nascondendo la difformità e depositando in comune un disegno con la scala incompleta.
LA QUESTIONE
Durante le riunioni condominiali successive all'esposto facevo presente la situazione. LE MIE PAROLE NON VENIVANO ASCOLTATE. I condomini liquidavano la faccenda in questo modo
è dalla vostra parte arrangiatevi - la vostra scala è abusiva- dal comune non ho ricevuto niente.
il tutto con la compiacenza dell'amministratore che ci ostacolava in tutti i modi per fare in modo che non ci opponessimo al comune e per non creare problemi all'amico-collega progettista dell'edificio a fianco (numerose irregolarità).
Le difformità riguardavano le due finestre poste sulla parete ma che riguardano la nostra unità abitativa.
La scala (una delle tre dell'edificio) serve all' accesso esclusivo alla nostra unità abitativa ma non compare nell'atto di acquisto ed è quindi condominiale
Affrontiamo la vicenda da soli senza che alcuna spesa sia stata deliberata in assemblea ricerca documenti incarico a un tecnico e legale) IN CASO CONTRARIO IL COMUNE VOLEVA PROCEDERE ALL'ABBATTIMENTO DELLA SCALA E ALLA CHIUSURA DELLE FINESTRE. TUTTO A NOSTRE SPESE
La cosa si conclude con un ricorso al TAR, direi positivo. Invece che l'abbattimento totale della scala (la seconda rampa è perfettamente a distanza) e la chiusura delle finestre DOVREMO RIADATTARE LA PARTE DIFFORME DELLA SCALA NON PRESENTE SUL DISEGNO ( 4 GRADINI E PASSAMANO DESTRO PRIMA RAMPA) E RIPORTARE LE FINESTRE COME LUCI DI TOLLERANZA.
Il procedimento comunale 03/2019 veniva inviato solo A NOI e per conoscenza all' AMMINISTRATORE E NON A TUTTI I SINGOLI CONDOMINI, ritengo quindi che sia stato viziato da ERRORE DI ATTRIBUZIONE ma la scala è condominiale.
Nel procedimento stesso il comune ordinava di provvedere al rifacimento delle finestre e della scala condominiale A NOSTRE SPESE.
L'AMMINISTRATORE AVVALLA IL TUTTO.
CHIEDO
se in conseguenza del comportamento dell'amministratore ci siano responsabilità gravi tali da provocarne il suo allontanamento.
se posso richiedere il rimborso delle spese sin qui sostenute al resto dei condomini che hanno tentato di addossarci le spese e le responsabilità della difformità della scala condominiale (finestre a parte o anche quelle?)
Se desiderate posso inviare foto.
Distinti saluti.
Consulenza legale i 26/10/2021
Da un punto di vista civilistico e di diritto condominiale il nocciolo della questione ruota nel capire la natura giuridica della scala e delle finestre: è necessario, infatti, comprendere se tali parti dell’edificio possano essere considerate parti in proprietà esclusiva o comune a tutti i condomini.

Per quanto riguarda le finestre rispondere a questa domanda è piuttosto semplice in quanto se esse servono a garantire l’affaccio o anche la semplice luce ai locali dell’appartamento di proprietà dell’autore del quesito, il problema non si pone: esse sono in proprietà esclusiva e pertanto gli organi del condominio non hanno competenza sul punto.

Contrariamente a quanto a prima vista potrebbe sembrare, il discorso non è così scontato, invece, per quanto riguarda la scala, non potendosi liquidare il discorso sostenendo che il fatto che essa non sia citata in nessun rogito di acquisto faccia derivare in automatico che debba considerarsi condominiale.

La giurisprudenza ci insegna, infatti, che l’elenco delle parti comuni dell’edificio fatto dall’art.1117 del c.c., deve considerarsi meramente esemplificativo e non esaustivo e che esso stabilisce una presunzione di condominialità non assoluta che può essere superata dalla prova contraria. Certo, se il rogito di acquisto del nostro appartamento ci dice che una determinata parte comune elencata nell’art.1117 del c.c. (come ad esempio la scala), deve considerarsi di pertinenza della unità abitativa da noi acquistata, il problema è considerare risolto ab origine, ma non è vero in senso assoluto il ragionamento contrario: ovvero, se il rogito nulla dice ciò che viene elencato dall’art. 1117 del c.c. deve considerarsi sic et sempliciter condominiale.

Molto chiara in questo senso è Cass.Civ.,Se.II, n.10073 del 24.04.2018. Tale pronuncia, sulla scia di tante altre, riafferma il principio secondo il quale il presupposto perché si instauri un diritto di condominio su un bene comune è costituito dalla relazione di accessorietà strumentale e funzionale che collega i piani o le porzioni di piano in proprietà esclusiva agli impianti e servizi di uso comune. Tale relazione rende il godimento del bene comune strumentale all’utilizzo del singolo appartamento e non suscettibile di una autonoma utilità. Per esemplificare tale affermazione, possiamo immaginare per assurdo un edificio condominiale privo di qualsiasi unità immobiliare in proprietà esclusiva e composto dai soli beni indicati dall’art.1117 del c.c.: ma se un edificio del genere esistesse davvero, che senso avrebbe la presenza delle scale che collegano i vari piani o dell’ascensore condominiale?
Posto questo principio fondamentale, la Cassazione conclude dicendo che se un determinato bene, seppur elencato dall’art.1117 del c.c., per obbiettive caratteristiche funzionali e strutturali serve in modo esclusivo una sola unità immobiliare, esso perde la sua natura di bene comune seppur il rogito di acquisto nulla dica in proposito.

Ora posto questo, il quesito non si sofferma a descrivere in maniera chiara la scala oggetto di accertamento da parte del Comune né l’edificio condominiale su cui esso è posta, ma possiamo dire che se essa, per caratteristiche costruttive funzionali, ha come unico scopo quello di garantire accesso alla sola unità abitativa dell’autore del quesito, essa deve considerarsi di sua esclusiva proprietà e quindi è solo lui che deve far fronte agli oneri per la sua regolarizzazione.

Se, viceversa, tale scala conserva una funzionalità condominiale anche minima e potenziale (perché, ad esempio, garantisce di accedere ad altre parti comuni del palazzo o ad altre unità immobiliari in proprietà esclusiva), indipendentemente dal fatto che questa funzione sia poi concretamente utilizzata dagli altri proprietari, ecco che essa assume carattere condominiale.
Questa seconda ipotesi (e solo questa), farebbe si che l’amministratore di condominio e gli altri proprietari non possano disinteressarsi del problema, lasciando un solo condomino a sopportare l’intero contenzioso con l’ente comunale; ciò potrebbe comportare oltre alla possibilità di chiedere la rimozione dell’amministratore, anche quella di poter pensare ad una eventuale richiesta di rimborso delle spese sostenute da far valere nei confronti degli altri partecipanti al condominio.

DOMENICA D. chiede
martedì 13/07/2021 - Piemonte
“Allego due fotografie (comunicatemi come potervele inoltrare):
- una denominata "facciata" che rappresenta la facciata del condominio, la freccia indica il punto in questione
- la seconda denominata "facciata_particolare" che rappresenta il particolare del balcone di facciata della precedente fotografia, la freccia mostra una crepa sul muro.
Tale crepa, di cui non conosco la provenienza, provoca infiltrazioni di acqua piovana in corrispondenza del muro interno dell'immobile, appena sopra il pavimento.
La domanda che vi pongo è: a chi spetta la riparazione della crepa in facciata condominiale? (al proprietario dell'immobile oppure al condominio?)
Consulenza legale i 17/07/2021
Il n. 1) dell’art.1117 del c.c. ci dice che sono oggetto di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari dell’edificio tutte le parti di esso necessarie all’uso comune, includendo in tale primo gruppo specificatamente i muri maestri.

Ora chi scrive non è un tecnico edile bensì un avvocato, ma si può affermare senza timore di essere smentito che il muro che compone la facciata esterna dell’edificio è sicuramente un muro maestro e quindi bene comune ai sensi dell’art.1117 del c.c.: la sua manutenzione quindi spetta all’ intera compagine condominiale, suddividendo le spese secondo gli artt.1123 e ss. del c.c. salvo diversa convenzione.


Carlo L. chiede
lunedì 05/07/2021 - Sicilia
“dieci anni fa ho acquistato in un'asta giudiziaria un immobile:il bar di un residence,da alcuni anni non in attività,il residence oltre agli immobili residenziali,comprende anche un centro commerciale che si sviluppa attorno alle piscine costituito dal bar,il ristorante,la boutique,la macelleria ecc.immobili di proprietà di singoli condomini,le piscine sono di proprietà del condominio.Al momento dell'acquisto del bar le piscine non erano funzionanti da diversi anni,anche in seguito non sono state messe in funzione. Poichè il mio locale bar è situato di fronte le piscine a poca distanza ritengo di aver ricevuto un danno dal loro mancato funzionamento, non sono riuscito ad affittarlo, le piscine avrebbero attratto molti residenti, non funzionando è ovvio preferiscono recarsi in spiaggia.Vorrei sapere:indipendentemente dal volere della assemblea, l'ammnistratore è tenuto alla riattivazione delle piscine in quanto servizio essenziale soprattutto per i proprietari dei servizi commerciali per i quali le piscine servono per attrarre la clientela?per gli anni passati posso chiedere
un indennizzo per il danno subito?Mi posso astenere dal pagare le quote condominiali a titolo di risarcimento? grazie!”
Consulenza legale i 08/07/2021
La piscina rientra sicuramente tra i beni comuni previsti dal n. 3) dell’art.1117 del c.c. e come tale le decisioni relative alla sua gestione spettano alla assemblea di condominio, la quale di esprime a maggioranza. L’amministratore è solo un esecutore materiale di quanto deciso dall'assemblea.
Sotto questo aspetto l’assemblea ha un potere molto ampio e nulla vieta che i proprietari nel suo seno possano decidere di dismettere un determinato servizio condominiale al fine di ridurre i costi di gestione: l’amministratore non potrebbe fare altro che prendere atto di quanto deciso ed eseguirlo. La condotta dell’amministratore, come tra l’altro la decisone della assise, è del tutto legittima e non si ravvisano elementi di responsabilità.

Il mancato funzionamento della piscina non giustifica la sospensione del pagamento delle spese condominiali. E’ utile ricordare che tra il singolo proprietario e il condominio non sussiste un rapporto contrattuale in forza del quale il contributo condominiale è dovuto a seguito di una concessione di un servizio, ma l’obbligo di pagamento sorge per il semplice fatto di essere proprietari di una unità immobiliare ricompresa nel complesso edile. In questo senso sono molto chiare le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la pronuncia n.10492 del 26.11.1996, pronuncia sicuramente ancora attuale.

Rimane da chiarire se la mancata attivazione della piscina possa giustificare una richiesta di risarcimento danni da muovere non tanto nei confronti dell’amministratore, quanto nei confronti degli altri proprietari. Si è molto dubbiosi che una richiesta risarcitoria di questo tenore possa trovare accoglimento da parte del giudice. Come si è già detto all’inizio del parere, l’assemblea è assolutamente sovrana nel decidere se usufruire o meno di un determinato servizio condominiale: ciò rientra, tra l’altro, nelle facoltà che sono proprie dello stesso diritto di proprietà previsto dall’art. 832 del c.c., ma anche costituzionalmente tutelato dall’ art. 42 Cost. In altri termini, il proprietario come ha la facoltà di utilizzare e godere del bene oggetto del diritto (la piscina), anche la piena facoltà di non utilizzarlo.

In ambito condominiale in relazione ai soli beni comuni, le facoltà del diritto di proprietà vengono esercitate unitamente agli altri condomini in seno alla assemblea che come già detto decide a maggioranza. Non si potrebbe neppure sostenere che la piscina sia di fatto un elemento essenziale per garantire al bar l’assolvimento della sua naturale destinazione economica, in quanto l’esercizio può tranquillamente operare anche in assenza della piscina. Vi è da dire inoltre che se anche una tale richiesta risarcitoria fosse astrattamente proponibile, sarebbe assai arduo per non dire impossibile dimostrare che la perdita di clientela e la impossibilità di affittare i locali siano derivati ai sensi dell’art.1223 del c.c. dal suo non funzionamento.
In conclusione si segnala che nulla vieta che il singolo proprietario o futuro affittuario dei locali possa decidere di attivare spontaneamente la piscina scavalcando la decisione dell’assemblea, ovviamente sobbarcandosi per intero i relativi costi. Tale possibilità rende ancora più complessa la proponibilità di una azione di risarcimento.


Stefano P. chiede
mercoledì 09/06/2021 - Campania
“La mia palazzina è composta da 1 scala centrale con 2 verticali rispettivamente verticale dx composta da 3 appartamenti e verticale sx composta da 2 appartamenti, sulla verticale dx dei 3 appartamenti ricade il tetto di copertura non praticabile con tetto a falda coperto di guaina, sulla verticale sx dei 2 appartamenti c’è un terrazzo di proprietà dell’ultimo appartamento della verticale dx che come detto è composta da 3 appartamenti. Il tetto dei 3 appartamenti copre per 20mt quadri la verticale sx dei 2 appartamenti, sui 20mq cade acqua piovana che defluisce attraverso la gronda del tetto della verticale dx dei 3 appartamenti.
Sul tetto c’è anche antenna condominiale.
Abbiamo un regolamento con quote millesimali e viene indicato che il tetto a falda è di proprietà in comune dei 5 appartamenti.
Ora c’è un proprietario della verticale sx che dice che gli spetta pagare solo per i 20 mq che copre il suo appartamento, io gli ho risposto che essendo una unica gronda che fa defluire acqua anche per i 20mq del tetto che copre il suo appartamento deve contribuire per l’intera quota di spesa in comune come scritto nel regolamento. Chi ha ragione? Come va divisa la spesa per il rifacimento del tetto di copertura a falda?

Cordiali saluti.”
Consulenza legale i 15/06/2021
Il tetto in quanto parte dell’edificio destinato alla sua copertura deve considerarsi comune ai sensi del n.1) dell’art.1117 del c.c., salvo che il titolo non disponga diversamente. Nel caso specifico non vi è alcun titolo che deroghi a quanto disposto dalla norma citata anzi, la natura condominiale del tetto viene ribadita dal regolamento di condominio. Anche la gronda, in quanto accessorio del tetto medesimo ed elemento fondamentale per il sistema di scolo delle acque meteoriche del palazzo segue la medesima sorte, dovendosi anch’esso considerare bene comune (Trib. Genova n.4766 del 23.11.2005 Trib. Milano del 14.11.1991 e Cass.Civ.,Sez.II, n. 11109 del 15.05.2007).

Accertata la natura condominiale del tetto e della relativa gronda, si dovrebbe concludere che le spese per la loro manutenzione debbano essere ripartite applicando il 1° co. dell’art. 1123 del c.c. e quindi utilizzando la tabella dei millesimi generali, proprio perché il tetto è una parte dell’edificio che assolve ad una funzione utile per l’intera collettività condominiale. Non può quindi farsi applicazione del successivo comma 3° dell’art. 1123 del c.c., il quale troverebbe applicazione quando vi sono beni comuni destinati a servire solo una parte del fabbricato. Vi è da dire però che stante la presenza di un regolamento di condominio è fondamentale verificare che in tale documento non vi siano disposizioni che deroghino a quanto previsto dal codice civile, in quanto in questo caso sarebbero le norme del regolamento a prevalere.


Dario T. chiede
venerdì 19/03/2021 - Abruzzo
“Buonasera.
L'edificio in cui abito è composto da n. 2 unità immobiliari abitative (cat. A3) di mia proprietà e di un'altra in cat. C2 (sottotetto) di proprietà esclusiva di mio figlio (attualmente praticabile e non abitabile ma lo diventerà con dei lavori già autorizzati con SCIA).
Tutte le U.I., compreso il sottotetto, sono ricomprese nella stessa struttura edilizia condividendo i muri perimetrali, area di sedime, tetto e anche la scala interna di accesso.
Sono a chiedere se è costituito di fatto un condominio minimo in cui i condomini siamo io e mio figlio.
Ringrazio e saluto cordialmente.

Dario T.”
Consulenza legale i 24/03/2021
La giurisprudenza in maniera assolutamente pacifica e costante ci dice che il condominio è una situazione di fatto che si realizza nel momento in cui in un medesimo edificio vi sia la coesistenza ai sensi dell’art.1117 del c.c. di unità immobiliari in proprietà esclusiva ai singoli condomini e parti in proprietà comune accessorie alle prime e necessarie per il loro miglior godimento. Nel momento in cui il C2 è divenuto di esclusiva proprietà del figlio, è sorto il condominio senza che vi fosse la necessità di una espressa manifestazione di volontà dei proprietari in tal senso.

Posto che il condominio è sorto, scatterebbe in linea teorica l’applicazione della relativa normativa (es.: obbligo di costituirsi l’assemblea, approvazione di un bilancio ecc. ecc.) ma da un punto di vista pratico se padre e figlio vanno d’accordo e vi è comunanza di intenti il fatto che il palazzo debba considerarsi un condominio minimo (in quanto composto da due soli proprietari), non va a mutare le modalità di gestione dell’edificio finora tenute nell’ambito del contesto famigliare.

Simonetta M. chiede
lunedì 15/03/2021 - Toscana
“Vivo in un condominio orizzontale composto da 8 unità immobiliari, delle quali 4 sono terratetto con entrata indipendente, e giardino di proprietà, poste alle estremità dell'edificio, e 4 centrali, di cui 2 sono al piano terra con giardino, entrata indipendente e taverna, e 2 al primo piano. I 2 appartamenti al piano superiore hanno entrata in comune e ciascuno dei due ha una mansarda di esclusiva proprietà che sporge sopra il tetto che copre il resto dell'edificio. I proprietari degli appartamenti posti al piano alto vorrebbero rifare la copertura delle mansarde, che sono di loro esclusiva proprietà in quanto parte integrante del loro appartamento, e sostengono che la spesa vada ripartita tra tutti i proprietari dell'immobile in base alle tabelle millesimali. Aggiungo che non abbiamo mai avuto un amministratore in quanto non obbligatorio e che le spese finora effettuate in comune si limitano al pagamento del passo carrabile e alla pulitura annuale delle fogne comuni. Tutti i proprietari, negli anni, hanno effettuato la manutenzione delle proiezioni delle parti di fabbricato che coincidono con la loro proprietà, come i muretti di recensione, le cancellate dei giardini, i cornicioni.
Vorrei sapere a chi tocca il pagamento delle spese per il rifacimento dei tetti delle 2 mansarde di proprietà esclusiva e se è possibile per i proprietari degli appartamenti terratetto distaccarsi da un'eventuale costituzione in condominio "ufficiale" e mantenersi indipendenti curando la manutenzione della propria parte di immobile in modo autonomo.”
Consulenza legale i 20/03/2021
Innanzitutto è opportuno precisare che quando in un corpo di fabbrica unico (come quello che sembra essere raffigurato dalla foto), si verifica la coesistenza di parti comuni e parti in proprietà esclusiva, in cui le prime sono necessarie all’esistenza o anche al miglior godimento delle seconde, si ha un condominio e come tale l’obbligo di applicare la relativa disciplina.
Non è possibile per i singoli proprietari dissociarsi dal condominio: questo perché l’art. 1119 del c.c. impone la indivisibilità delle parti comuni dell’edificio e anche perché l’art. 1118 del c.c. specifica che il condomino non può rinunciare alla proprietà sulle parti comuni.
Per capire se la copertura delle mansarde sia in proprietà esclusiva o condominiale sarebbe necessario esaminare i rogiti di acquisto della proprietà e capire se al loro interno vengano meglio elencate le parti del corpo di fabbrica che devono intendersi comuni; sarebbe parimenti interessante capire se nel complesso sia vigente un qualche regolamento condominiale, documento ove di solito vengono meglio distinti le parti comuni da quelle in proprietà individuale.
Se manca tutto questo, si ritiene che debba trovare applicazione il n.1) dell’art. 1117 del c.c., il quale ci dice che sono comuni tutte le parti dell’edificio necessarie all’uso comune, tra cui la norma ricomprende i tetti. In forza di ciò, la spesa di rifacimento della copertura andrebbe suddivisa tra tutti i condomini in base alle tabelle millesimali ai sensi del 1° co. dell’art. 1123 del c.c.
Si potrebbe però sostenere che tali coperture non sono elementi necessari all’uso comune, andando a dimostrare che essi non sono essenziali per il sistema di scolo delle acque del complesso. Secondo giurisprudenza piuttosto recente infatti, la presunzione di condominialità di cui all’art. 1117 del c.c. verrebbe meno se si dimostra che non vi è alcun vincolo di accessorietà ed indissolubilità tra la parte dell’edificio che si asserisce essere comune e il bene in proprietà individuale; quando ciò si verifica, non è necessaria la presenza di un titolo contrario alla predetta presunzione. (Cass.Civ.,sez.II, n.10073 del 24.04.2018).
Per verificare la sussistenza e la sostenibilità in giudizio di tale ipotesi difensiva, bisognerebbe rivolgersi ad un tecnico edile il quale chiarisca se la copertura delle mansarde sia parte integrante del sistema di scolo delle acque piovane dell’intero corpo di fabbrica.


Roberto S. chiede
lunedì 01/03/2021 - Friuli-Venezia
“Buongiorno Avvocato,
sono proprietario di un immobile che risulta dal frazionamento in senso verticale di una casa di campagna del 1800.
La facciata della casa (muro perimetrale) si suddivide quindi in una parte delimitante la mia sezione di edificio (che prende 3 piani) e quella adiacente, di proprietà del vicino (che prende altrettanti 3 piani). Le unità immobiliari sono totalmente indipendenti con un muro divisorio interno elevato per tutta l’altezza dell’immobile.
Tutta la facciata, compresa la parte del vicino, delimita i rispettivi immobili da un giardino antistante, di mia esclusiva proprietà ed accesso.

Sulla porzione di facciata del vicino sono presenti:
- al piano superiore parte di una balconata sovrastata da una tettoia, entrambe originarie dell’epoca, di mia proprietà ed esclusivo accesso, realizzate in appoggio lungo tutta la facciata, le cui travi di sostegno entrano quindi anche nella sua parte di muro.
- al pian terreno una finestra con grata che per altezza e impossibilità di prospicere può essere considerata una luce irregolare

Tale porzione di muro perimetrale appartenente all'immobile del vicino, delimitante il suo edificio dal mio giardino, riportante una luce irregolare di cui lui usufruisce e sulla quale è appoggiata parte del mio balcone e della tettoia sovrastante, deve considerarsi come muro in comunione o come muro di proprietà del vicino sul quale esiste una servitù di appoggio? (in entrambi i casi l'acquisizione sarebbe avvenuta per usucapione o per disposizione del padre di famiglia, visto che non esistono atti scritti di nessun tipo)
Rimango a disposizione per ogni possibile chiarimento e La saluto cordialmente”
Consulenza legale i 08/03/2021
La soluzione al presente quesito va ricercata nell’art. 1117 c.c., il quale elenca, appunto, le parti comuni dell'edificio. Tra queste, il n. 1 della norma indica, in generale, “tutte le parti dell'edificio necessarie all'uso comune”; nello specifico, per quanto qui interessa, i muri maestri e le facciate.
Sul punto, la recente Cass. Civ., Sez. II, sentenza 10/05/2018, n. 11288, ha precisato che “i muri perimetrali dell'edificio in condominio, pur non avendo funzione di muri portanti, vanno intesi come muri maestri al fine della presunzione di comunione di cui all'art. 1117 c.c., poiché determinano la consistenza volumetrica dell'edificio unitariamente considerato, proteggendolo dagli agenti atmosferici e termici, delimitano la superficie coperta e delineano la sagoma architettonica dell'edificio stesso. Pertanto, nell'ambito dei muri comuni dell'edificio rientrano anche quelli collocati in corrispondenza dei piani di proprietà singola ed esclusiva e in posizione avanzata o arretrata rispetto alle principali linee verticali dell'immobile”.
L’art. 1117 c.c. fa salve eventuali previsioni in senso contrario del titolo che tuttavia, in questo caso, non risultano. Deve pertanto concludersi per la natura condominiale del muro in questione.

Paola C. chiede
venerdì 08/01/2021 - Sardegna
“Buongiorno, il mio quesito riguarda la competenza delle spese per la ristrutturazione delle scale esterne, utili all'accesso degli appartamenti al primo (di mia proprietà) e secondo piano e anche all'accesso al tetto. Per la precisione volevo chiedere se i condomini del piano terra sono tenuti al pagamento, ovviamente sulla base delle quote millesimali, anche se nel loro atto di compravendita non risulti come bene comune o pertinenziale e visto che solo nel mio atto di compravendita e in quello degli altri condomini del primo e secondo piano risulta come di nostra pertinenza.
Per la precisione risulta anche nell'atto catastale che il subalterno 11 (scale) siano di pertinenza del subalterno 7(mio appartamento), 8 e 10.
Possiamo fare valere la normativa del codice civile che include le scale come bene comune oppure la pertinenza citata nell'atto ha valenza contraria?
Spero di essere stata esaustiva nell'esporre il dilemma.
Grazie in anticipo per la Vostra risposta.”
Consulenza legale i 11/01/2021
Il quesito descrive un tipico caso di condominio parziale, fattispecie che la giurisprudenza ha teorizzato partendo dall’ultimo comma dell’art. 1123 del c.c. Tale articolo dispone che: "Qualora un edificio abbia più scale…opere o impianti destinati a servire una parte dell'intero fabbricato, le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condomini che ne trae utilità". Nel caso descritto addirittura si va oltre al concetto di servizio ed utilità richiesto dalla norma citata, in quanto vi è uno specifico titolo (i singoli rogiti di acquisto degli appartamenti al primo e al secondo piano), che espressamente attribuiscono la proprietà della scala esterna solo ed esclusivamente ad un gruppo di condomini (quelli del primo e del secondo piano), escludendone altri (quelli del piano terra). In questo senso è giusto ricordare che l’art. 1117 del c.c., prevede una presunzione di comproprietà tra tutti i componenti del condominio avente ad oggetto i beni e i servizi indicati nella norma, presunzione che però può essere espressamente derogata dal titolo (i rogiti di acquisto).

In applicazione, pertanto, delle norme previste dai rogiti e dagli artt. 1117 e 1123 ult. co. del c.c., si deve concludere che le spese di manutenzione della scala esterna devono essere sopportate solo da quel gruppo di condomini che risulta essere comproprietario del bene e non dagli altri.

Vi è da fare, però, una ulteriore precisazione, in quanto se è vero che da un lato solo un gruppo di condomini devono sopportare le spese per la manutenzione della scala, è anche vero che solo quel gruppo è chiamato a prendere le decisioni circa la sua amministrazione e ciò influisce sulla composizione della assembleachiamata a pronunciarsi sull’argomento e sul computo delle sue maggioranze. In altri termini si dovrebbe redigere una tabella millesimale “scala esterna”, in cui vengano indicati solo per i comproprietari della scala la quota millesimale di partecipazione al diritto di proprietà. Tale tabella, poi, dovrebbe essere utilizzata per determinare le modalità di riparto delle spese di manutenzione e i quorum costitutivi e deliberativi della assemblea chiamata prendere decisioni su quel bene comune.

Nel caso specifico però, visto che il protagonista del quesito è un piccolo condominio, si potrà soprassedere alla procedura appena descritta se le decisioni sulla manutenzione della scala esterna e sul riparto delle spese venga adottata con l’unanimità dei consensi dei condomini comproprietari del manufatto.


Elio M. chiede
mercoledì 09/12/2020 - Lazio
“Mia figlia è proprietaria di un appartamento con terrazzo sito all'ultimo piano di un condominio in via Amba Aradam a Roma. Il terrazzo è delimitato da una serie di grosse fioriere in cemento con funzione strutturale di parapetto. Il condominio ha deliberato la sostituzione, per ragioni di sicurezza, delle fioriere ormai fatiscenti ripartendone le spese secondo i criteri di legge senza far alcun riferimento al necessario svuotamento e rinvaso delle fioriere stesse e delle relative piante, anche di valore, in esse contenute. La domanda è: le spese relative allo svuotamento e rinvaso (€3.500) devono ritenersi, in quanto NECESSARIE per la sostituzione, parte integrante della delibera, con ripartizione a carico dei condomini, o, come sostiene il condominio, devono essere sostenute in via esclusiva da mia figlia proprietaria?”
Consulenza legale i 29/12/2020
I balconi aggettanti sono quella parte dell’edificio che sporgono dalla sua facciata e hanno la funzione principale di consentire il diritto di affaccio all’esterno ai singoli proprietari delle unità abitative a cui accedono. Proprio per questo, tali parti non sono di proprietà comune a tutti i condomini, ma vengono considerati pertinenze dei singoli appartamenti e quindi parti in proprietà esclusiva.
Bisogna tenere ben presente però che il balcone aggettante, seppur di proprietà esclusiva al singolo condomino, è elemento della facciata dell’edificio e come tale concorre a formare il decoro architettonico del condominio.

Il forte contenzioso che scaturisce attorno a questo elemento dell’edificio, risiede proprio nell’essere per la maggior parte una pertinenza della singola unità immobiliare, ma esso assolve anche un importante ruolo come elemento del decoro architettonico dello stabile. Questa doppia natura ha come conseguenza che alcune parti del balcone rimangono di proprietà esclusiva del singolo condomino, mentre altre vengono attratte nella sfera dei beni condominiali in quanto elementi della facciata dell’edificio.

I frontalini, le ringhiere ornamentali e tutti gli elementi decorativi del balcone sono parti integranti della facciata dello stabile, caratterizzanti il suo decoro architettonico. Per tale motivo la giurisprudenza in maniera assolutamente costante ritiene tali elementi del balcone come parti comuni dell’edificio: gli oneri riconducibili alla loro manutenzione devono in conseguenza ripartirsi tra tutti i proprietari (si veda tra le tante Cass. Civ., Sez.II, n.12792 del 28.11.1992).

Nel caso specifico è evidente che le fioriere in cemento, oltre a fungere da parapetto del balcone, hanno una chiara funzione decorativa ed ornamentale e quindi giustamente, in base alla giurisprudenza citata, le spese relative alla loro manutenzione o rifacimento devono essere sopportate dalla collettività condominiale e ripartite tra tutti i proprietari.

Visto che la necessità di svuotare e rinvasare le singole fioriere deriva dalla necessità di ripristinare una parte comune dell’edificio, e non dal desiderio del singolo condomino, anche tale spesa deve essere sopportata dal condominio e ripartito tra i singoli proprietari, anche perché è molto probabile che anche la singola pianta coltivata nella fioriera contribuisce a caratterizzare il decoro dell’edificio e quindi diventa inevitabilmente parte comune ai sensi dell’art. 1117 del c.c.

Ad ogni modo per dare una risposta più precisa sarebbe utile sapere se nell’edificio sia vigente un qualche regolamento di condominio e se in tale documento vi sia qualche norma disciplinante l’uso e la manutenzione delle fioriere.


Antonio G. R. chiede
martedì 13/10/2020 - Liguria
“Faccio seguito al quesito Q202025685. Si è proceduto a rimuovere parte della terra del giardino ma la guaina protettiva era intatta.Si è scoperto poi che la causa del danno nel mio appartamento sottostante era dovuta ad un ostruzione dello scarico proveniente dal canale di scolo che a detta dell'amministratore era di competenza del proprietario del terrazzo soprastante il mio alloggio.Secondo il mio parere il canale di scolo evidenziato nella foto che allego dovrebbe essere condominiale perché raccoglie anche l'acqua piovana che cade dai poggioli soprastanti.Gradirei un Vs. parere ed anche sapere se il danno provocato dall'ostruzione del tubo di scarico potrebbe essere coperto dall'assicurazione. Anche a distanza di due mesi dall'intervento eseguito dai muratori.”
Consulenza legale i 15/10/2020
Come è noto l’art. 1117 del c.c. ci indica le parti dell’edificio che devono considerarsi condominiali, se non risulta il contrario dal titolo, ovvero se non risulta il contrario dai rogiti di acquisto o dai regolamenti di condominio aventi natura contrattuale.
In tale articolo vengono indicate quelle parti dell’edificio che più comunemente devono considerarsi condominiali, e al n.3) di tale articolo vengono espressamente indicati gli impianti idrici e fognari: all’interno di tale locuzione pare possa farsi tranquillamente rientrare in linea generale il canale di scolo, in quanto opera necessaria per il sistema di deflusso delle acque piovane dell’intero edificio.

La giurisprudenza ha però tenuto a precisare che il fatto che un determinato manufatto sia inserito nell’elenco di cui all’art. 1117 del c.c., non è di per sé garanzia assoluta della sua condominialità: per i giudici vi deve essere un rapporto di indissolubilità e/o accessorietà, tra la parte ritenuta comune e le singole unità immobiliari, in forza del quale la prima deve essere necessaria per il miglior godimento delle seconde, in questo senso si veda Cass.Civ.,Sez.II, n.10073 del 24.04.2018.

Venendo al caso specifico se il canale di scolo è necessario al deflusso delle acque dell’intero condominio o di una parte delle singole unità immobiliari, come pare molto probabile, esso deve considerarsi condominiale, ed era onere dell’amministratore di condominio curarne per mezzo di ditte specializzate la pulizia ed assicurarne il funzionamento; se invece quel canale è al servizio solo di una singola unità immobiliare, allora siamo di fronte ad un bene che non può considerarsi comune. Tutto ciò però ha valore se non esiste un regolamento di condominio contrattuale che preveda specifiche disposizioni in merito a tali manufatti.
E’ chiaro che se il canale è condominiale e dalla sua ostruzione deriva il danno, esso può rientrare nella copertura assicurativa del condominio, ma per le tempistiche di denuncia del danno è necessario esaminare le condizioni di polizza.


Marco L. chiede
venerdì 11/09/2020 - Toscana
“Nel contratto di acquisto degli appartamenti di un condominio (anni 1980), fra le altre aree di competenza comune (locale autoclave, rampa accesso pino pilotis,…..) veniva indicata anche una particella destinata “a verde pubblico” , da cedere al Comune quando ne avrebbe fatto richiesta. Questa particella è stata considerata fino ad oggi, a tutti gli effetti, come facente parte del condominio.
Al momento che questa particella viene intestata ai singoli condomini in proporzione alla proprietà immobiliare (come già risulta da visura catastale) quale di queste ipotesi è vera:
A) - deve essere sempre considerata come facente parte del condominio per il seguente motivo ………
B) - non fa più parte del condominio, per cui per essere gestita deve essere nominato uno specifico amministratore, per il seguente motivo ……..
Questa richiesta fa seguito al rifiuto dell’amministratore del condominio di considerare quest’area come sempre facente parte del condominio.
Grazie”
Consulenza legale i 18/09/2020
L’elenco delle parti comuni dell’edificio di cui all’art.1117 del c.c., per quanto molto esaustivo, è solo dispositivo, nel senso che i rogiti di acquisto delle singole unità abitative, o i regolamenti di condominio contrattuali ad essi allegati, possono prevedere che determinati parti dell’edificio elencate nell’art.1117 del c.c. siano sottratte alla comproprietà condominiale (il caso tipico è il lastrico solare), come, al contrario, specifiche aree o manufatti non espressamente citate da tale norma vengano considerati beni comuni.

Nella fattispecie descritta è proprio questo secondo caso che è avvenuto: il rogito di acquisto delle singole unità immobiliari prevede che una determinata area sia di comproprietà dei singoli proprietari che hanno originariamente acquistato le unità immobiliari e, in caso di cessione di dette unità, dei loro eventuali successori od aventi causa.

Non si ha avuto la possibilità di esaminare la documentazione che si è richiesto a corredo del quesito, ma “tirando ad indovinare” si può pensare che tale area si stata oggetto di una specifica convenzione urbanistica tra il Comune che ha rilasciato il titolo edificatorio e l’originaria impresa costruttrice. In tale convenzione l’area veniva gravata di una servitù ad uso pubblico in forza del quale la particella di terreno, seppur di proprietà privata e condominiale, doveva essere destinata ad area verde pubblica in cui tutti i cittadini potevano accedervi ed utilizzarla.
Ciò fa sì che l’area possa sembrare “pubblica”, ma in realtà rimane un bene privato rientrante tra i beni condominiali. La convenzione dovrebbe prevedere però anche a chi compete la manutenzione di tale area, ma per un esame più completo si dovrebbe visionare la convenzione urbanistica di riferimento.
Di solito gli enti comunali in merito a tali mappali si riservano il diritto di richiederne la restituzione per farle diventare aree pubbliche a tutti gli effetti, ma in concreto è molto raro che tale possibilità venga realmente esercitata dall’ente di competenza.

Davide G. chiede
mercoledì 22/07/2020 - Veneto
“Sotto il mio appartamento sito al piano terra di un edificio di 5 piani è presente un vascone fognario che serve gli appartamenti sovrastanti il mio. Questo vascone è stato da me scoperto c.a. 20 anni fa al momento dei restauri, conservo una foto del restauro dove è evidente che il vascone ha un unico sigillo e non presenta pozzetti.
Questo vascone è oggetto di controversia con gli altri condomini poiché in circa tre occasioni si è riempito e non essendo stato svuotato ha tracimato all'interno del mio appartamento attraverso la colonna di scarico.
Su nostro sollecito i condomini hanno praticato un'apertura dal loro vano scale per poter effettuare l'espurgo del manufatto.
Poiché questo non è a norma, non è sigillato, non ha uno sfiato, all'interno dell'appartamento si sentono odori nauseanti.
A novembre 2019 abbiamo chiesto all'Amministratore un'assemblea volta a risolvere il problema.
Ora l'amministratore mi ha inviato una raccomandata per conto dei condomini dove si afferma che c'era un pozzetto all'interno del mio appartamento che avrebbe consentito lo svuotamento in maniera più facile.
I condomini affermano che il manufatto si trova nel sedime di proprietà del condominio, e che noi abbiamo eliminato il pozzetto durante i lavori.
Non vi sono documenti che comprovino questo, l'unica documentazione fotografica è rappresentata dalla foto del vascone con un sigillo integro che non presenta pozzetti.
Noi chiediamo ai condomini di eliminare il vascone dal nostro appartamento e di farlo all'interno del loro vano scale, in alternativa di renderlo impermeabile e sigillato in modo di evitare all'interno dell'appartamento i miasmi da fogna e vi sia applicata una valvola di non ritorno per l'acqua alta, perché con l'inondazione di novembre 2019 il manufatto ha provocato la rottura di alcune piastrelle.
Rimango in attesa di una vostra cortese risposta e porgo distinti saluti.”
Consulenza legale i 26/07/2020
Per dare una risposta totalmente esauriente, sarebbe opportuno esaminare i rogiti di acquisto (attuale e quelli precedenti) della unità immobiliare di proprietà dell’autore del quesito per capire se l’area di sedime in cui è costruito il pozzetto di scarico sia in proprietà esclusiva o condominiale. Nell’ incertezza, si darà per presupposta la situazione più ovvia: ovvero che l’area sia condominiale.

L’art. 1117 del c.c. elenca al numero 1) le parti che sono necessarie alla stessa esistenza dell’edificio e come tale non possono che essere considerate dal codice di natura condominiale, sempre che il titolo di acquisto non disponga diversamente. Tra queste parti essenziali, viene per ovvie ragioni necessariamente previsto il suolo su cui sorge il fabbricato.
Le stesse considerazioni devono essere ovviamente rivolte verso il pozzetto di scarico descritto, il quale se i rogiti di acquisto o un regolamento condominiale non dispongono diversamente, deve considerarsi di natura comune, anche pensando alla importante funzione di scolo delle acque che lo stesso manufatto è chiamato a svolgere a servizio dell’intero edificio.

In questo senso, la seconda sezione della Corte di Cassazione con la sentenza n.884/2018 ha precisato che sussiste la presunzione di condominialità di cui all’art. 1117 del c.c., ogni qualvolta si accerti un rapporto di accessorietà necessaria che lega alcune parti comuni dell’edificio ad unità o porzioni di proprietà individuale, delle quali le prime rendono possibile l’esistenza stessa o l’uso.
Posta l’assoluta natura condominiale del pozzetto, è chiaro che qualsiasi lavoro che abbia in qualche modo reso più arduo l’accesso o la manutenzione del manufatto devono considerarsi vietati, in particolare perché si impedisce e si ostacola la naturale funzione a cui lo stesso è destinato e si impedisce agli altri proprietari di farne parimenti uso ai sensi dell’art. 1102 del c.c.

Posto questo, è giusto dire che in una ottica di ipotetico contenzioso il condominio, ha l’onere di provare quanto asserito nella missiva di contestazione. In particolare, si deve dimostrare che esisteva un varco di accesso a tale fossa settica che è stato successivamente eliminato a seguito dei lavori di scavo e ristrutturazione che furono all’epoca svolti: tale onere probatorio, per esempio, potrà essere assolto attraverso la produzione dei progetti originali dell’edificio. Non si può prevedere se il condominio riuscirà ad assolvere all’ onere probatorio posto dalla legge a suo carico, ma ci si sente di invitare l’autore del quesito a non dare per scontato l’assoluta inesistenza di documentazione che possa dare sostegno alla tesi avanzata dall’ amministratore.

È consigliabile, quindi, prendere in considerazione anche ipotesi di chiusura bonaria della vicenda che possono maturare o in seno alla assemblea condominiale che affronterà il problema, o per mezzo di procedure di risoluzione alternativa delle controversie. Sotto tale ultimo aspetto è giusto precisare che l’istituto della mediazione di cui al D.Lgs n.28/2010, è condizione di procedibilità per le controversie avente ad oggetto la materia condominiale.

Data la natura comune del pozzetto, una sua eventuale rimozione e ricostruzione in un'altra parte dell’edificio pare essere una soluzione giuridicamente più difficile da praticare, in quanto l’intervento, comportando una distruzione del manufatto e una sua ricostruzione in altra sede, necessita del consenso di tutti i proprietari, consenso unanime che, stante il presumibile alto tasso di litigiosità che la vicenda porta con sé, pare difficile da raggiungere. La seconda soluzione prospettata, parrebbe essere più agevole in quanto si configurerebbe come un intervento straordinario sulle parti comuni dell’edificio approvabili in assemblea dalla maggioranza degli intervenuti che rappresentano almeno la metà del valore dell’edificio, così come prevedono i co. 2° e 4° dell’art. 1136 del c.c. Ovviamente non è di competenza di chi scrive giudicare sulla effettiva realizzabilità tecnica degli interventi descritti, sotto questo aspetto è consigliabile chiedere idoneo parere ad un tecnico edile.


PATRIZIA B. chiede
venerdì 19/06/2020 - Liguria
“Buongiorno. Abito dal 1966 in un Condominio di 21 unità immobiliari alla periferia della Spezia, del quale sono anche amministratrice dal 2004.
I nuovi proprietari dell'appartamento con giardino al piano terra, la cui recinzione confina, da un lato, col vialetto condominiale, hanno deciso di togliere tutto il "verde" della loro area pertinenziale, pavimentandola interamente, e hanno modificato la ringhiera sopra al muro di recinzione, saldando a questa delle staffe di ferro che ne raddoppiano l'altezza. Sulla ringhiera hanno poi applicato un telo ombreggiante di plastica verde, per il cui fissaggio sono state applicate ulteriori staffe di ferro diagonali e dei cavetti di metallo. La recinzione è stata alzata di circa un metro e, a causa del dislivello del terreno tra l'interno e l'esterno del giardino, risulta di due altezze differenti; quindi i proprietari del giardino la vedono più bassa, ma gli altri condomini, dall'esterno, vedono una cosa differente e, considerato che il vialetto condominiale è in pendenza, ora abbiamo una recinzione che nella parte più bassa è alta 2,40m e nella parte più alta supera i 3m.
La mia domanda è: i proprietari del giardino, non avrebbero dovuto ottenere l'autorizzazione assembleare per eseguire questi lavori, dato che hanno completamente stravolto l'estetica del palazzo, cioè hanno agito, alterandolo, sul decoro architettonico dello stabile? Si tenga presente che questa è la facciata principale, l'unica che affaccia sulla via pubblica, con due appartamenti speculari, uno a destra e uno a sinistra, entrambi con giardino, che negli anni sono stati parzialmente pavimentati, mantenendo però sempre una parte in "terra" coltivata con piante di vario tipo e con un rampicante che ricopriva la recinzione metallica,uguale in entrambi i giardini. Inoltre: la totale pavimentazione del giardino, non è una variazione di destinazione d'uso? Il nostro Regolamento Contrattuale prevede il divieto di adibire i locali ad una serie di attività e poi recita: "Qualsiasi modifica o innovazione deve essere approvata coi voti favorevoli dei due terzi dei componenti il Condominio e rappresentanti almeno i due terzi del valore dell'edificio". Significa, forse, che la stessa cosa potrebbe valere anche per i giardini?
Grazie”
Consulenza legale i 25/06/2020
L’art 2 del Regolamento condominiale non vieta espressamente la trasformazione e il cambio di destinazione dei giardini in proprietà esclusiva e pertinenziali agli appartamenti al piano terra, quindi gli interventi compiuti sarebbero ammissibili secondo le norme del regolamento, fermo restando il rispetto del decoro architettonico dello stabile.

Il decoro architettonico seppur non espressamente definito dal nostro codice civile, rimane uno degli istituti più rilevanti del diritto condominiale e una delle cause che più genera contenzioso tra i proprietari.
La mancanza di una specifica definizione legislativa, è stata colmata dalla giurisprudenza che oramai con le pronunce che si sono susseguite negli anni è giunta ad una definizione che si può oramai considerare acquisita.
Per decoro architettonico si intende l’insieme delle linee armoniche che caratterizzano l’estetica del fabbricato: si ha la sua lesione quando un determinato intervento, sia su parti comuni che su parti in proprietà esclusiva, comporta una loro alterazione esteticamente peggiorativa.

Il decoro è un bene giuridico condominiale su cui l’amministratore, al pari degli altri beni e servizi comuni indicati dall'art 1117 del c.c., è chiamato ad espletare la sua funzione di vigilanza e di conservazione di cui al n.4) dell’art. 1130 del c.c. Pertanto nel momento in cui un condomino realizzi nella sua proprietà esclusiva un’opera che leda le linee architettoniche del fabbricato, è preciso dovere dell’amministratore, anche per evitare in futuro eventuali richieste risarcitorie da parte degli altri proprietari, convocare l’assemblea di condominio affinché la stessa possa valutare se e come agire per rimuovere l’opera lesiva.
La tutela giudiziaria avverso le opere lesive al decoro, si caratterizza da due tipologie di rimedi il primo si sostanzia nella richiesta di demolizione dell’opera e del ripristino della situazione dei luoghi nello stato antecedente. Il secondo rimedio ha carattere risarcitorio, e permette al condominio come ai singoli proprietari di richiedere al condomino che ha realizzato l’opera lesiva un risarcimento; tale risarcimento è quantificabile, secondo la giurisprudenza costante, nella diminuzione di valore commerciale che le singole unità in proprietà esclusiva hanno subito a seguito del peggioramento della architettura del fabbricato.

La giurisprudenza assolutamente costante, però, ritiene che affinché possa scattare la tutela giudiziaria sopra descritta, in particolar modo da un punto di vista risarcitorio, è necessario che la lesione al decoro architettonico sia importante e consistente; è qui che sorge il maggior problema nel momento in cui ci si trova ad affrontare tali tipologie di liti condominiali, in quanto determinare se vi è stata o meno lesione delle linee estetiche del fabbricato passa necessariamente da un giudizio altamente soggettivo, e quindi variabile, del singolo professionista chiamato ad esprimere la sua valutazione. In altre parole in un’ottica di contenzioso giudiziario, ciò che può essere lesivo per il consulente tecnico assunto dal condominio potrebbe non esserlo per il consulente tecnico assunto da controparte o da quello nominato dal giudice.

Ad ogni modo, alla luce di quanto è stato riferito nel quesito, si consiglia all’amministratore di condominio di investire del problema l’assemblea dei proprietari e spingere affinché la stessa nomini un architetto o ingegnere edile (prima ancora di un legale) perché lo stesso possa dare un suo parere, anche magari inizialmente in maniera informale riferendo solo oralmente in assemblea, sulla sussistenza o meno di una lesione al decoro del fabbricato.

Per completezza in conclusione del parere reso, è giusto dire che la norma del regolamento citata nel quesito (qualsiasi modifica o innovazione deve essere approvata coi voti favorevoli dei due terzi dei componenti il condominio e rappresentanti almeno i due terzi del valore dell'edificio), presenta dei seri problemi di nullità alla luce della vigente normativa, ma siccome tale problema nulla ha a che vedere con la tutela del decoro architettonico, non lo si affronterà in tale sede al fine di non confondere le idee a chi ci legge.

Marcello T. chiede
venerdì 07/02/2020 - Lazio
“Quesito: Proprietà del sottosuolo di un terrazzo ASSEGNATO dal regolamento condominiale a un appartamento del piano terra. Detto terrazzo è limitato, su un lato, da un muro di sostegno necessario per il contenimento del suolo scavato per la costruzione del garage di proprietà di alcuni condomini e per l’areazione delle cantine, entrambi, sottostanti gli appartamenti siti al piano terra. Il quesito si pone per l’attribuzione delle spese necessarie a ripristinare il terrazzo per il cedimento del sottosuolo. Detto cedimento ha interessato anche la proprietà condominiale confinante con il muro del terrazzo, sul lato opposto al muro di sostegno. A suo tempo, la pavimentazione della parte condominiale fu ripristinata a spese di tutti i condomini e non fu riconosciuto il danno interno al terrazzo perché, in assemblea, si ritenne di competenza privata. Cordiali saluti, Marcello Trevisani.
P.S. Post pagamento, nei modi da voi suggeriti, saranno spedite le foto per la documentazione dello stato dei luoghi.”
Consulenza legale i 18/02/2020
La scelta che fu a suo tempo adottata dalla assemblea pare corretta in base alle informazioni fornite.
Se andiamo ad analizzare il regolamento condominiale, per quanto sia scritto in maniera piuttosto atecnica, si può facilmente dedurre che le terrazze sono beni di proprietà esclusiva ai singoli condomini e pertinenze alle singole unità abitative a cui sono state assegnate. Il regolamento infatti specifica che le terrazze al piano seminterrato sono escluse dalla proprietà condominiale.
Lo stesso non può dirsi per il suolo e il sottosuolo. L’ art. 1117 del c.c. elenca, raggruppandoli in tre numeri, tutte le parti che devono considerarsi comuni ai proprietari delle singole unità immobiliari dell’edificio. Al n. 1 di detto articolo vengono indicate tutte quelle parti dell’edificio che si considerano assolutamente necessarie all’uso comune, e senza le quali la struttura stessa dell’edificio sarebbe compromessa. In particolare vengono specificatamente indicati: il suolo su cui sorge l’edificio, le fondazioni, i muri maestri, i pilastri e le travi portanti.

Da quanto detto deriva che le spese per il ripristino del sottosuolo, in quanto parte strutturale dell’edificio, debbano essere ripartite tra tutti i proprietari ex art.1123 co. 1 del c.c. utilizzando la tabella generale di proprietà; tale affermazione è confortata dal fatto che il cedimento del sottosuolo non ha interessato solo il terrazzo ad esso sovrastante, ma ha coinvolto anche le proprietà limitrofe.
Il discorso muta per il rifacimento relativo al terrazzo e la sua pavimentazione: i lavori necessari coinvolgono, come si è detto, una parte di proprietà esclusiva del singolo condomino, pertinenziale alla sua abitazione, e quindi le spese conseguenti devono essere dallo stesso sopportate.

Per completezza, è utile accennare al fatto che la conclusione a cui si è giunti potrebbe mutare se si dimostrasse che il cedimento del sottosuolo non è stato causato da un naturale processo di invecchiamento del fabbricato, ma dalla incuria dei condomini e dell’amministratore (quest’ultimo custode delle parti comuni ai sensi dell’art. 2051 del c.c.) che, per esempio, ignorando specifici segnali, hanno evitato di intervenire sul sottosuolo del fabbricato prima che questo cedesse in maniera importante causando i danni al terrazzo soprastante e mettendo in pericolo la stabilità dell’edificio. Sotto questo aspetto però il quesito non offre sufficienti spunti per poter approfondire.

Joanna F. chiede
giovedì 07/11/2019 - Emilia-Romagna
“Buongiorno, abito dal 1998 in una villetta a schiera comune di Pianoro, quest'estate il mio confinante di villetta mi ha fatto richiesta di risarcimento danni per infiltrazioni nella sua tavernetta, adducendo che il tubo che attraversa l'intercapedine delle pareti delle ns villette che raccoglie l'acqua piovana è di mia spettanza e quindi devo riparare il tubo (internato nel muro) e risarcirlo economicamente per i danni subiti.
Preciso che c'è un solo tubo di raccolta per entrambi e che confluisce poi esternamente in un tubo di raccolta situata nel suo giardino per poi confluire il tutto nella rete fognaria.
Chiedo se è una mia responsabilità di riparare tale tubo e se tale spesa per la riparazione può essere presentata come sinistro all'assicurazione condominiale oltre al risarcimento chiesto dal mio vicino.”
Consulenza legale i 12/11/2019
Per capire chi è tenuto al ristoro dei danni nel caso prospettato, è importante partire dal dato normativo rappresentato dal n.3) dell’art. 1117 del c.c. Tale articolo dispone che gli impianti idrici e fognari devono intendersi destinati all’uso comune fino al punto di diramazione ai locali in proprietà individuale ai singoli condomini.
In altri termini, supponendo che vi siano due villette che chiameremo per comodità :” villetta A” e “villetta B”, il tubo che attraversa l’intercapedine del muro nelle due unità abitative, deve intendersi di proprietà esclusiva al proprietario della “villetta A”, quando esso è all’interno del perimetro di detta villetta; diviene di proprietà esclusiva del proprietario della “villetta B” quando raggiunge i locali di questa unità abitativa, per poi divenire di proprietà comune ad entrambe le villette ex art 1117 del c.c. nel momento in cui esso confluisce nel punto di raccolta.

Quindi per capire chi dei due vicini è tenuto al pagamento del danno, è importante capire l’origine della rottura: se è essa ha avuto origine nella parte del tubo rientrante nel perimetro della villetta “A”, è il proprietario di essa che dovrà sopportare i costi di riparazione e risarcimento danni; viceversa, se la rottura si è manifestata all’ interno della villetta “B”, è il proprietario di questa che si dovrà far carico dei costi di riparazione e dei danni derivati; se, infine, la rottura si è manifestata nel punto in cui l’impianto idrico confluiva nel tubo di raccolta delle acque, siamo di fronte ad un guasto di un bene condominiale che dovrà essere sopportato da tutti i comproprietari in ragione dei millesimi di proprietà.

Ovviamente, se è stata sottoscritta dai proprietari personalmente o dal condominio, se esistente, una qualche garanzia assicurativa che tenga indenne i soggetti assicurati da tali tipi di inconvenienti, è assolutamente possibile, e assolutamente consigliabile, coinvolgere la compagnia nel pagamento delle riparazioni necessarie a ripristinare il corretto funzionamento dell’impianto e nel ristoro dei danni eventualmente causati. Tuttavia, per un parere più preciso sul punto, è necessario capire l’estensione delle garanzie assicurative sottoscritte. In linea generale, tutte le polizze condominiali o che comunque coprono i danni causati dalla proprietà, prevedono delle garanzie aggiuntive che tengono indenni dai danni causati al vicino da infiltrazioni di acqua e perdite derivanti da rotture delle tubazioni rientranti nella nostra proprietà, ma, solitamente, affinché esse siano pienamente operative, devono essere espressamente sottoscritte.


NICOLA M. chiede
giovedì 10/10/2019 - Lazio
“Sino al 2016 ero proprietario di due appartamenti situati uno al primo a l'altro al secondo piano dello stesso numero civico
ai due appartamenti si accede da due ingressi situati nel vano scale
gli stessi appartamenti comunicano internamente attraverso una botola
la fornitura di acqua per i due appartamenti è regolato da un unico contatore collegato alla rete idrica cittadina
questo stato delle cose dura da circa trenta anni

a dicembre 2016 ho venduto l'appartamento principale del primo piano restando proprietario del secondo piano
di conseguenza ho provveduto a installare contatore condominiale e serbatoio (autoclave) per il secondo piano
e ho trasferito il contratto di fornitura della acqua all'acquirente del primo piano .il tutto con il consenso dello stesso
A oggi ho deciso di vendere anche il secondo piano e il proprietario del primo piano mi ha informato che in caso di locazione o vendita del secondo piano (ad altri che non sia lui ovviamente!) non intende accettare la situazione attuale e che io dovrei provvedere a mie spese a realizzare un collegamento alla rete idrica cittadina con contatore e tubazioni dedicate esclusivamente al secondo piano
domande è legittima la sua richiesta ?
l'alimentazione tramite il suo contatore può essere considerata una pertinenza visto che questo stato di cose
è sempre stato così?

nel contratto di vendita è scritto"
--la vendita comprende ogni accessorio, accessione, pertinenza, servitù attiva o passiva---
-il trasferimento avviene nello stato di fatto e di diritto in cui la consistenza in oggetto si trova attualmente
COSA MI SUGGERITE DI FARE?”
Consulenza legale i 17/10/2019
Va premesso che la vendita di uno degli appartamenti da cui è composto l’edificio ha determinato automaticamente, ex lege, la nascita di un condominio; più precisamente, di quello che viene definito “condominio minimo”, formato da due soli partecipanti.
In proposito la giurisprudenza della Corte di Cassazione (si veda Cass. Civ., Sez. Unite, sentenza n. 2046/2006) ha da tempo precisato: “posto che il regime del condominio degli edifici si instaura per legge nel fabbricato, nel quale esistono più piani o porzioni di piano che appartengono in proprietà esclusiva a persone diverse, ai quali è legato dalla relazione di accessorietà un certo numero di cose, impianti e servizi comuni, l'esistenza del condominio e l'applicabilità della norma in materia non dipende dal numero di persone che ad esso partecipano”.
Sempre secondo la pronuncia in esame, “la disciplina dettata dal codice civile per il condominio di edifici trova applicazione anche in caso di condominio minimo, cioè di condominio composto da due soli partecipanti”.
Del resto, a seguito della riforma del condominio del 2012, adesso l’art. 1117 bis del c.c. prevede che “le disposizioni del presente capo si applicano, in quanto compatibili, in tutti i casi in cui più unità immobiliari o più edifici ovvero più condominii di unità immobiliari o di edifici abbiano parti comuni ai sensi dell'articolo 1117 del c.c.”.

Pertanto il contatore dell’acqua, destinato al servizio di entrambe le unità immobiliari, rientra tra le parti comuni dell’edificio, in particolare tra quelle previste dal n. 3 dell’art. 1117 c.c.: “le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere destinati all'uso comune, come gli ascensori, i pozzi, le cisterne, gli impianti idrici e fognari, i sistemi centralizzati di distribuzione e di trasmissione per il gas, per l'energia elettrica, per il riscaldamento ed il condizionamento dell'aria [...]”.
Riguardo alla possibilità per il condomino di distaccarsi dal contatore condominiale ed installare un contatore individuale destinato alla singola unità abitativa, il codice civile non contiene previsioni specifiche. Tuttavia, può farsi applicazione analogica di quanto ora specificamente previsto dall’ultimo comma dell’art. 1118 del c.c. in relazione all’impianto di riscaldamento: “il condomino può rinunciare all'utilizzo dell'impianto centralizzato di riscaldamento o di condizionamento, se dal suo distacco non derivano notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condomini. In tal caso il rinunziante resta tenuto a concorrere al pagamento delle sole spese per la manutenzione straordinaria dell'impianto e per la sua conservazione e messa a norma”.
Tale ultima previsione è coerente con quanto stabilito in linea generale dal secondo e dal terzo comma della norma, ai sensi dei quali il condomino non può rinunziare al suo diritto sulle parti comuni, né sottrarsi all'obbligo di contribuire alle spese per la conservazione delle stesse.
Va inoltre aggiunto che la legge, pur non ponendo un vero e proprio obbligo generalizzato di installare contatori individuali per l’acqua, mostra comunque un certo favor, un atteggiamento di favore per questo tipo di misura: in proposito l’art. 146 del D. Lgs. 152/2006 (c.d. Codice dell’Ambiente), ha demandato alle Regioni il compito di “adottare norme e misure volte a razionalizzare i consumi e eliminare gli sprechi ed in particolare a: [...] f) installare contatori per il consumo dell'acqua in ogni singola unità abitativa nonché contatori differenziati per le attività produttive e del settore terziario esercitate nel contesto urbano”.

Riassumendo, il proprietario del primo piano dell’edificio in questione ha il diritto di installare un contatore individuale a servizio della propria unità immobiliare, ma non può pretendere che ciò avvenga a spese del precedente unico proprietario dello stabile, che oltretutto non è più tale avendo venduto parte dell’immobile.
Si tratta, infatti, di spese che gravano sul singolo proprietario; né si può ipotizzare una loro ripartizione per quote tra i condomini, in quanto non si tratta di “spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell'edificio”, cui il condomino è tenuto a contribuire ex art. 1123 del c.c.

Alberto B. chiede
lunedì 08/07/2019 - Sicilia
“Sono uno dei 4 condomini di una villa quadrifamiliare con giardino in comune sita in una località turistica balneare.

Gli altri condomini insistono affinché la pompa generale dell'acqua, che attinge ad una cisterna comune di circa 50 mc, venga disattivata quando nessuno dei condomini risiede nel baglio, per evitare che eventuali malfunzionamenti possano comportare lo svuotamento della cisterna, con conseguente disagio per quelli che arrivando lì si ritroverebbero privi della fornitura di acqua, cosa che comporterebbe il noleggio di una autobotte per una fornitura idrica di emergenza, al costo di una cinquantina di euro, oltre alla noia di doversene occupare e di rimanere sprovvisti di acqua per qualche ora.

Il problema è che il distacco dell'acqua confligge con la mia necessità di innaffiare le piante che ho posto a dimora lì, che in assenza di acqua, anche solo per pochi giorni, morirebbero inesorabilmente, eventualità che ho scongiurato con un sistema di irrigazione automatica, che però non può funzionare se la pompa generale viene disalimentata.

Preciso che ognuno dei 4 condomini può chiudere l'acqua di casa propria indipendentemente dagli altri e che ho specificato che nel caso in cui dovesse verificarsi il malfunzionamento paventato nel mio sistema di irrigazione mi farei carico di tutte le spese. Naturalmente l'eventuale consumo connesso con il paventato malfunzionamento del mio impianto verrebbe automaticamente registrato dal mio contatore, mentre le spese straordinarie per affitto autobotte ed eventuale intervento di un idraulico sarebbero, come già specificato, interamente a mio carico.

In sintesi dovrebbe prevalere il mio diritto a mantenere in vita le mie piante, accedendo al servizio idrico condominiale tanto in mia presenza quanto in mia assenza, diritto che se negato vedrebbe morire le mie piante con ovvio danno economico oltre che morale, o il diritto degli altri condomini a cautelarsi dai disagi connessi con un evento improbabile, per quanto possibile?

Preciso infine che, per venire incontro al bisogno di sicurezza degli altri condomini, avevo installato a mie spese un ulteriore timer in grado di scongiurare completamente l'evento paventato, che però richiedeva che l'ultimo ad andare via nel fine settimana spostasse la spina della pompa generale dalla presa per l'alimentazione continua a quella gestita dal timer, ma la manovra di spostamento della spina è stata valutata come esorbitatamente complessa rispetto alla manovra sull'interruttore della pompa generale...”
Consulenza legale i 11/07/2019
In base all’art. 1102 del codice civile, ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto.
L’assemblea dei condomini è assolutamente legittimata a decidere in merito alle parti comuni condominiali.
Non lo sarebbe se andasse ad incidere su diritti individuali su cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di un condomino. Sul punto, la Corte di Cassazione con ordinanza n°6652 del 15 Marzo 2017 ha sottolineato che: “l’assemblea condominiale non può validamente assumere decisioni che riguardino i singoli condomini nell’ambito dei beni di loro proprietà esclusiva, salvo che non si riflettano sull’adeguato uso delle cose comuni”.

L’art. 1117 quater quater c.c. (introdotto con la novella del 2012) stabilisce poi che “in caso di attività che incidono negativamente e in modo sostanziale sulle destinazioni d'uso delle parti comuni” i condomini possano “diffidare l'esecutore”. In tale ipotesi, le decisioni vengono prese con la maggioranza prevista dal secondo comma dell’art. 1136 (cioè maggioranza degli intervenuti in assemblea e un numero di voti che rappresenti la metà del valore dell'edificio).

Il successivo art. 1118 c.c. prevede altresì che il singolo condomino possa “rinunciare all'utilizzo dell'impianto centralizzato di riscaldamento o di condizionamento, se dal suo distacco non derivano notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condomini.” Una tale disposizione, laddove dal punto di vista tecnico sia possibile, potrebbe essere applicata anche all’impianto idrico centralizzato.

Ciò molto brevemente premesso in punto di normativa, venendo allo specifico del caso in esame si osserva quanto segue.

La pompa generale dell'acqua, che attinge ad una cisterna comune è compresa nelle parti comuni condominiali per espressa previsione normativa (art. 1117 n.3 del codice civile).
Pertanto, la decisione presa dalla maggioranza dei condomini sulla predetta pompa è assolutamente valida ed efficace.
La circostanza di possedere delle piante (deduciamo nell’area di proprietà esclusiva) che necessitano di irrigazione costante non riteniamo possa in qualche modo inficiare quanto deliberato dalla maggioranza.
Infatti, l’irrigazione delle Sue piante non è stata l’oggetto della delibera di quest'ultima.
Quindi, possiamo affermare che quanto deciso dagli altri condomini nell’interesse comune, da questo punto di vista sia legittimo e prevalga sul Suo interesse particolare relativo alla cura delle Sue piante.

Fermo ciò, alla luce di quanto previsto dal sopra citato art. 1118 c.c., laddove ciò sia tecnicamente possibile e non comporti uno squilibrio nel suo funzionamento né maggiori consumi, si potrebbe comunque valutare l’ipotesi di un distacco dall’impianto idrico condominiale.
Dal punto di vista delle spese, un tale distacco avrebbe come conseguenza l’esonero “dal pagamento delle spese per il consumo ordinario” ma non quello relativo ai “costi di manutenzione.”(Cass.ordinanza n. 28616 del 2017).

Silvana L. C. chiede
martedì 09/04/2019 - Lombardia
“Buongiorno, ho acquistato un piccolo monolocale a mia figlia che ha in uso esclusivo e con accesso diretto il sottotetto non abitabile. l'immobile è sito a Milano, abbiamo un problema: dal precedente proprietario è stato fatto l'allargamento del bagno nella porzione di sottotetto per l'installazione di una doccia. Il precedente proprietario ha fatto i lavori senza fare la modifica catastale. La nostra domanda è:
- è possibile occupare una porzione in uso esclusivo e annetterlo alla proprietà?
- Se non è possibile come possiamo risolvere il problema?
grazie e cordiali saluti,

Consulenza legale i 15/04/2019
Dalla copiosa corrispondenza intercorsa con la lettrice, risulta che la stessa ha acquistato una unità abitativa incondominio, a favore della quale sussiste un diritto di uso esclusivo ad un sottotetto condominiale non abitabile, a cui vi si può accedere direttamente da una scala interna che collega l’appartamento al bene comune.
Il diritto di uso esclusivo, come accade sempre, parrebbe costituito all’epoca in cui l’originario costruttore del fabbricato vendette le singole unità abitative, e, come riferito dalla lettrice, per il suo esercizio il proprietario della unità abitativa versa alla compagine condominiale un canone annuale.
Il precedente proprietario, in sfregio ad ogni norma edilizia, ha trasformato il sottotetto non abitabile concesso in uso esclusivo in un bagno con doccia; ora la lettrice chiede se è possibile acquisire il sottotetto alla proprietà esclusiva dell’appartamento al fine di evitare contestazioni da parte degli altri proprietari.

Al di là del fatto che l’abuso edilizio commesso dal precedente proprietario è stato sanato in quanto altrimenti, per le normative attualmente vigenti, il notaio rogante non avrebbe potuto né voluto ricevere l’atto di vendita, rimane in piedi la violazione da punto di vista civilistico condominiale.

La trasformazione del sottotetto in un locale bagno con doccia, costituisce, infatti, un cambio di destinazione d’uso di un bene comune non consentito, e un comportamento che viola il diritto di utilizzo all’epoca concesso.
Posto questo, non è possibile annettere alla proprietà esclusiva dell’appartamento il sottotetto contro la volontà degli altri condomini. L’unica strada possibile è che tutti i partecipanti al condominio vendano alla proprietaria del monolocale il sottotetto condominiale attraverso un rogito notarile regolarmente trascritto presso la competente conservatoria.
Tale rogito oltre a comportare il passaggio delle quote condominiali del sottotetto in capo ad un unico proprietario, avrebbe come ulteriore effetto la estinzione del diritto di utilizzo a suo tempo concesso e la cessazione dell’obbligo di pagare il relativo canone. Ovviamente divenuta oramai unica proprietario del sottotetto il condomino occupante il monolocale ne avrebbe comunque pieno esclusivo uso.

Mario M. chiede
giovedì 14/03/2019 - Lazio
“Buongiorno,
Vorrei sapere se il sottotetto, che non risulta dal titolo d’acquisto, qualora non sia accessibile da parti condominiali e faccia da copertura ed isolamento all’ultimo piano, è di pertinenza dell’ultimo piano. E secondo quale legge o articoli.
Vi ringrazio anticipatamente”
Consulenza legale i 16/03/2019

Il sottotetto è una delle parti dell’edificio la cui condominialità è stata da sempre molto controversa; il testo dell’art.1117 del c.c. antecedente alla riforma del 2012 non lo prevedeva neppure tra le parti comuni dello stabile. Dopo il 2012 il n.2) dell’art. 1117 del c.c. prevede espressamente i sottotetti tra le parti comuni a condizione che essi abbiano caratteristiche strutturali e funzionali idonee all’uso comune.

Proprio per questa sua natura (ci si passi il termine) “ibrida”, attorno al sottotetto si è sviluppato un forte contenzioso che la L. n. 220/2012 non ha del tutto risolto, in quanto è vero che da un lato il sottotetto viene riconosciuto come bene comune, ma dall’altro la sua condominialità viene condizionata alle sue caratteristiche strutturali e funzionali, riproponendo, nei fatti, il problema di capire se il sottotetto sia un bene comune oppure no, in assenza di un titolo (rogito di acquisto dell’appartamento o regolamento condominiale contrattuale) che prenda espressamente posizione sul punto.

Negli anni però la giurisprudenza sia di merito che di Cassazione ha fornito una serie di linee guida che si possono ormai definire acquisite. Se il sottotetto è destinato esclusivamente a protezione e camera d’aria dell’ultimo piano dell’edificio, esso deve considerarsi sua pertinenza e pertanto proprietà esclusiva del condomino che ne è proprietario: se, viceversa, il sottotetto è idoneo, anche solo potenzialmente, agli usi comuni scatta la presunzione di condominialità prevista dal n.2) dell’art. 1117 del c.c.

Si può quindi concludere che, sulla base di quanto riferito nel quesito, il sottotetto parrebbe essere di pertinenza esclusiva dell’ultimo piano dell’edificio e quindi in proprietà esclusiva del proprietario di tale unità abitativa.

Corrado D. chiede
mercoledì 28/11/2018 - Lombardia
“Buongiorno
a luglio 2018 ho comprato una villetta a schiera.
L'immobile fa parte di un complesso di circa una sessantina di abitazioni divise in più blocchi. Il blocco della mia abitazione è formato da 7 abitazioni ed è stato costruito negli anni 80 da parte di cooperative e NON siamo costituiti in condominio.

Detto ciò, vorrei avere un secondo parere legale in merito ad una questione... Nel mese di ottobre una tromba d'aria ha fatto cadere il cappotto termico dalla parete laterale/perimetrale della villetta di testa, per intenderci quello che non confina con nessun’altra abitazione.
La parete in questione era già danneggiata da diversi mesi, ancora prima del mio acquisto... ma il proprietario della villetta non aveva mai fatto nulla per sistemarla.
Ora la proprietaria della villetta di testa sta chiedendo agli altri proprietari delle 7 villette a schiera di contribuire alla spesa perché secondo lei il codice civile art 1117 prevede che tale muro sia comune a tutte le abitazioni, nel mio atto notarile e nell'atto di provenienza della casa non si parla di regolamento condominiale o pareti condominiali.

Tutte le villette sono prive di pilastri, e pare non esserci una struttura portante condivisa. Tutte le parteti che separano le abitazioni sono in cemento armato e quelle della facciata sono in pannelli prefabbricati in cemento precompresso.

A breve vi invierò atto di provenienza dell'immobile


Consulenza legale i 08/12/2018
Il condominio è un fatto giuridico che viene posto in essere nel momento in cui, a mente dell’art 1117 del c.c., in un medesimo complesso edile vi sia la coesistenza di parti dell’edificio in proprietà esclusiva e parti dello stesso in comunione con i singoli condomini, e funzionalmente destinate a garantire il miglior godimento delle singole proprietà.
Prima della riforma del diritto condominiale apportata dalla L. n.220/2012, era legislativamente prevista solo la fattispecie del condominio verticale, la quale si concretizzava quando la coesistenza tra parti in proprietà esclusiva e parti in proprietà comune avveniva per piani in un unico edificio. Con la riforma del 2012 e l’inserimento nel corpus del codice civile dell’art. 1117 bis del c.c., il legislatore, recependo oramai l’orientamento costante della giurisprudenza, ha applicato la normativa del condominio negli edifici anche al condominio orizzontale.
In forza del nuovo articolo 1117 bis del c.c., un complesso edile composto da una serie di unità immobiliari, di per sé corpus di fabbrica autonomi, nel quale vi siano presenti manufatti o servizi funzionalmente volti a garantire ai proprietari il miglior godimento delle loro abitazioni, è da considerarsi un condominio a tutti gli effetti con l’applicazione della relativa disciplina: quindi si dovrà costituire una assemblea dei proprietari e, se del caso, nominare un amministratore.
E’ importante sottolineare come la fattispecie condominiale si realizza ipso facto, nel momento in cui più unità immobiliari abbiano parti comuni ai sensi degli artt. 1117 e 1117 bis del c.c., senza che vi sia la necessità di un “atto costitutivo” da parte dei singoli proprietari. In altre parole, il fatto che non si sia mai costituito un condominio, non significa che il condominio non esiste e non si debba applicare la relativa normativa, nel momento in cui vi sia la presenza di parti comuni ai sensi della vigente normativa codicistica.

Fatta questa doverosa premessa è opportuno chiedersi se il manufatto danneggiato descritto nel quesito possa considerarsi bene comune, e, conseguentemente, se possa ritenersi legittima la pretesa avanzata dalla vicina del nostro lettore.

L’art 1117 del c.c., divide i beni comuni del condominio in tre grandi gruppi:
Il numero 1) dell’art.1117 del c.c. elenca quei manufatti che sono necessariamente comuni e che sono volti a comporre la stessa struttura dell’edificio condominiale (es. fondamenta, muri maestri, pilastri travi portanti, tetti, scale ecc. ecc.).

Il numero 2) dell’art. 1117 del c.c. elenca gli spazi accessori, destinati al servizio generale dello stabile (es. aree parcheggio, locali stenditoi, locali portineria ecc. ecc.).

Al numero 3) dell’art.1117 del c.c. sono individuati tutti quei manufatti che seppur non indispensabili per l’utilizzabilità del condominio, offrono un servizio comune e svolgono una funzione per la collettività condominiale (es. locale ascensore, impianti idrici e fognari l’impianto radio televisivo ecc.ecc.).

Dalla descrizione che viene fornita dal quesito, non pare che la parte di edificio danneggiata possa rientrare tra i beni comuni ex art.1117 del c.c., in quanto facente parte esclusivamente del corpus di fabbrica della villetta di testa: bene ovviamente in proprietà esclusiva. Anche l'utilità dell'isolamento termico, a ben vedere, non può essere riferito altro che alla unità di testa, nessun altra unità, infatti, se ne può avvantaggiare. Potrebbe essere considerata legittima una partecipazione alle spese degli altri proprietari, nel caso in cui la parete danneggiata fungesse da muro perimetrale tra una villetta e l’altra (muro comune), oppure come muro perimetrale dell’intero blocco di unità abitative, ma così non pare che sia. Al contrario l’autore del quesito tende a tenere ben distinta la parte danneggiata dai muri perimetrali, i quali vengono descritti come fatti in cemento armato.
Ovviamente per dare una risposta più precisa si dovrebbe avere un parere di un geometra che identifichi e descriva con maggior accuratezza e perizia la struttura dei singoli blocchi di fabbrica.
Ritenendo, comunque, infondata la pretesa alla partecipazione alle spese per la ricostruzione del muro perimetrale avanzata dalla proprietaria della villetta di testa, viene meno il fondamento delle ulteriori domande poste. Non vi sarà alcuna spesa da dividere ex art. 1123 c.c. e nessuna responsabilità può imputarsi a chi ha venduto la villetta all’autore del quesito, in quanto la parte danneggiata non è stata oggetto della vendita.


Giovanni M. chiede
venerdì 09/03/2018 - Sardegna
“i proprietari degli immobili di un condominio, all'atto dell'acquisto dei relativi appartamenti, hanno stipulato un atto nel quale si legge: "è compreso nella vendita un posto auto nel piano pilotis", senza indicazione di quale sia, mentre un condomino ha invece 2 posti auto dei quali uno è anche precisato quale sia. I posti auto non sono mai stati ne segnati con precisione ne accatastati, ma esiste solo una delibera condominiale nella quale i condomini si accordavano sull'assegnazione dei posti auto, con una planimetria rudimentale e approssimativa. Ora il comune chiede che i posti auto vengano accatastati, ma i posti auto sono di proprietà comune (condominiale) oppure di proprietà individuale? e di conseguenza possono essere accatastati a nome dei singoli condomini o tutti a nome di tutti?”
Consulenza legale i 20/03/2018
Prima di dare una risposta, è opportuno precisare che il quesito posto richiede conoscenze di diritto condominiale, che sono proprie della competenza di un giurista, sia esso un notaio o un legale, ma anche la conoscenza approfondita delle normative in materia di accatastamento degli immobili, la cui conoscenza è propria di altre professioni: architetti, ingegneri o geometri.
Per avere dunque una completa visione della problematica, in particolar modo dal punto di vista catastale, è sicuramente opportuno rivolgersi anche a tali figure professionali.

Ciò premesso, per accatastamento degli immobili si intendono tutte quelle operazioni volte ad accertare la proprietà e la consistenza delle unità immobiliari, al fine di determinare la redditività degli stessi, e quindi la loro sottoposizione a tassazione. La rendita catastale è infatti uno degli elementi che va a determinare la base imponibile per molte imposte riguardanti gli immobili: IMU, imposta di registro che si corrisponde allo Stato nel momento in cui si acquista un immobile, o Irpef sulla casa.
Tali operazioni di accertamento della proprietà urbana e accatastamento trovano un primo inquadramento normativo dalla Legge del 13.04.1939 n.652, costitutiva del Catasto Edilizio Urbano, e poi da altri interventi legislativi susseguitesi nel tempo.

Nei complessi di più remota costruzione, proprio per attuare un risparmio fiscale sottraendo parte del complesso a tassazione, si era soliti accatastare le aree di parcheggio come beni comuni non censibili. Catastalmente parlando, i beni comuni non censibili sono porzioni del fabbricato, comuni alle unità abitative, aventi qualità costruttive tali che li rendono non idonei ad avere una propria redditività (es: vano caldaia, vano ascensore e scale).
Una volta accatastate come beni comuni non censibili, le aree di parcheggio venivano assegnate dalla impresa costruttrice del complesso edile ai singoli condomini. Pare solo il caso di precisare che questo tipo di operazione costituiva una vera e propria evasione fiscale, in quanto tali aree di parcheggio avevano, contrariamente a quanto dichiarato, delle caratteristiche tali per potersi vedere attribuita una rendita dalla amministrazione finanziaria, e quindi essere considerate censibili con tutte le conseguenze fiscali che si sono sopra accennate.

Non si è avuto modo di visionare le planimetrie catastali relative al complesso edile oggetto del quesito, ma sulla base degli elementi forniti si ritiene altamente probabile che la situazione sopra descritta corrisponda a quella reale. Dalla lettura dei rogiti offerti a corredo non è agevole determinare con assoluta sicurezza la natura delle assegnazioni dei posti auto in esse contenute.
Da una lettura del rogito più remoto del 1971, il quale è estremamente oscuro nel definire quale parte del piano terra a pilotis rimane di proprietà condominiale e quale diviene di proprietà esclusiva, sembrerebbe che l’acquirente acquisiti la proprietà esclusiva del posto auto; escludendo quindi la sua condominialità ai sensi dell’art. 1117 del c.c..

Il rogito più recente del 2016, viceversa, afferma la natura condominiale dell’area destinata a parcheggio, e fa riferimento all'assegnazione del posto auto già effettuata con i precedenti rogiti di provenienza. Tali assegnazioni, a parere di chi scrive, hanno natura di servitù di parcheggio a carico dell’area comune condominiale e a favore della unità abitativa del singolo condòmino.
Ad ogni modo, sia che si vogliano considerare tali assegnazioni come dei trasferimenti del pieno diritto di proprietà che come atti di costituzione di servitù, essi sono dei diritti in titolarità esclusiva dei singoli proprietari, che trovano il loro titolo giustificativo nel rogito di acquisto.
Di conseguenza, qualsiasi delibera condominiale che volesse in qualche modo disciplinare in maniera difforme l’utilizzo dell’area di parcheggio, andando ad incidere su tali diritti esclusivi, sarebbe nulla, secondo quanto previsto dalla sentenza delle SS.UU. n.4806/2005 (si veda in tal senso anche Cass. Civ Sez. II n.31.08.2017 n. 20612).

In tutto questo si inserisce l’attività della Agenzia del Territorio (ora incorporata nell'Agenzia delle Entrate), volta a far emergere in ambito Catastale immobili o parti di immobili che sono stati sottratti a tassazione e a sottoposizione di rendita per un accatastamento (volutamente?) errato.

Con la legge finanziaria del 2005 (L. n.311 del 30.12.2004 commi da 336 a 339), è stata data la possibilità ai Comuni che rilevino sul proprio territorio immobili non accatastati o con classamenti non coerenti per avvenute variazioni edilizie, di chiedere il relativo aggiornamento al proprietario dell’immobile sottoposto ad accertamento.
Le unità immobiliari da sottoporre ad accertamento potranno essere individuate dai comuni con vari metodi, tra cui verbali di accertamento delle violazioni edilizie ed elementi desumibili dalla cartografia tecnica (es. le planimetrie in catasto). Tra questi verranno presi in considerazione, tra l’altro, quei casi in cui l’immobile deve passare da una categoria catastale esente da imposizione ad una soggetta ad imposizione.
Anche se non si è avuto modo di vedere il provvedimento che è stato notificato pare proprio questo il caso prospettato nel quesito: il Comune ove è sito il complesso immobiliare ritiene che l’area di parcheggio da bene comune non censibile debba divenire bene comune censibile e come tale tassabile. Ora, per dare una risposta precisa se tale area condominiale debba essere accatastata come bene comune a tutti i condòmini o come bene in proprietà individuale, si dovrebbe analizzare meglio il provvedimento e capire preliminarmente a chi è stato notificato: se ad ogni singolo proprietario o al condominio nella persona dell’amministratore.
Dagli elementi forniti si desume che il Comune, in assenza di ulteriori titoli, ritenga l’area di parcheggio un’area condominiale. Pertanto è opportuno che entro 90 giorni dalla notifica del provvedimento l’assemblea condominiale, previa sua regolare convocazione effettuata in via di urgenza dall’amministratore ex art. 1131 3° co. del c.c., nomini un professionista con le maggioranze di cui all’art. 1136 4° co. del c.c. (maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio).
A tale professionista dovrà essere dato il compito di presentare domanda di variazione catastale volta a dichiarare l’area di parcheggio da bene comune non censibile a bene comune censibile destinatario di apposita rendita.

Nel caso non si provveda autonomamente, la Finanziaria del 2005 dà la possibilità alla Agenzia del Territorio (ora Agenzia delle Entrate) di effettuare le modifiche d’ufficio, addebitando ai proprietari (in questo caso il condominio) i tributi dovuti, le sanzioni, le spese di notifica e gli oneri per l’attività svolta dall’ufficio.
Ad ogni modo, stante le difficoltà che paiono emergere nell’attribuire natura condominiale o meno all’area di parcheggio, nonché al suo utilizzo e all'assegnazione dei posti auto, si consiglia di optare per una soluzione conciliativa, seppur nei tempi ristretti imposti dal provvedimento.
Con un accordo transattivo sottoscritto da tutti i condomini, si può effettuare una suddivisione dell’area di parcheggio con accertamento delle assegnazioni e dei confini dei singoli posti auto. Si potrà quindi conferire incarico ad un professionista di frazionare l’area di parcheggio condominiale in conformità all’accordo raggiunto, ottenendo così tanti posti auto, con autonoma rendita catastale. Con successivo rogito notarile si assegneranno tali posti auto ai singoli condòmini.


Mario D. M. chiede
giovedì 08/02/2018 - Lazio
“Salve,
sono proprietario di un villino del tipo costruito a schiera nel comune di Velletri RM. Il villino fa parte di un condominio ( viale dei Volsci 1 Velletri RM) al cui interno sono presenti anche una serie di negozi con accesso diretto all S.S. 7 Appia. Il piazzale con tale accesso ed antistante i negozi, è stato ceduto nel 2010 ai proprietari dei negozi stessi in quanto inizialmente il costruttore se ne era riservato la proprietà. All'interno del citato piazzale si trova un vaso gigantesco in muratura che inizialmente conteneva una gigantesca magnolia ora abbattuta per ordinanza dei V. F. in quanto pericolosa. L'insieme vaso magnolia fa parte della proprietà esclusiva di uno dei villini a schiera che conserva tutt'ora l'accesso esclusivo al terreno del vaso che quindi può considerarsi un giardino privato.
Veniamo al punto : l'intonaco del vaso e solo quello deve essere ripristinato ma le spese per questo lavoro di manutenzione straordinaria, secondo il proprietario del vaso e annesso villino devono essere sostenute da tutti i villini e dai negozi sottostanti. Personalmente ritengo che la spesa debba essere sostenuta solo dal proprietario del vaso /villino e dal proprietario dell'area del piazzale sottostante a chiarimento aggiungo che i villini sono 10 e i negozi sono 10.
Per dirimere la questione i proprietari dei negozi e villini interessati hanno chiesto consulenza ad uno studio di architettura la cui relazione finale (che invierò in allegato ) ci è arrivata da qualche giorno. Personalmente non concordo con le conclusioni perché contrarie agli art. del c.c. tra l'altro citati nella relazione stessa, inoltre la partecipazione alle spese viene indicata come auspicabile e quindi facoltativa.
Vorrei ancora aggiungere che il danno all'intonaco da ripristinare derivano essenzialmente dalle infiltrazioni d'acqua attraverso il terreno di proprietà esclusiva della magnolia.
Il vincolo comunale citato nella relazione riguardava la lottizzazione dell'intera area condominiale ( circa 60 famiglie), vincolo che se ancora valido dovrebbe ora riguardare i nuovi proprietari del piazzale sopra citato. Grazie.”
Consulenza legale i 26/02/2018
Da una analisi del quesito e della relazione tecnica ad esso allegata, riteniamo che la problematica descritta vada risolta applicando la giurisprudenza che negli anni si è affermata in ambito condominiale in merito ai balconi.
Il vaso\vasca di contenimento che è oggetto del contendere deve considerarsi infatti come un enorme balcone. I balconi in ambito condominiale hanno provocato molto contenzioso, soprattutto in merito alla ripartizione delle spese, in quanto sono manufatti che stanno un po’ al confine tra la proprietà esclusiva e il bene condominiale. Se infatti al balcone si accede esclusivamente dalla abitazione, esso deve considerarsi una pertinenza dell’appartamento a cui accede e quindi facente parte della proprietà esclusiva del singolo còndomino. Da un altro punto di vista però, in particolar modo per i balconi “aggettanti”, cioè i balconi che sporgono all’esterno dell’edificio, essi fanno parte della facciata del fabbricato, diventando un elemento fondamentale del decoro architettonico del complesso condominiale. La giurisprudenza definisce il decoro architettonico come l’insieme delle linee dell’edificio, che concorre a determinare l’armonia della facciata e l’aspetto esteriore della stessa. Orbene, seppure il decoro architettonico non sia un bene materiale come le scale o l’ascensore, esso viene considerato dalla costante giurisprudenza come un bene comune del condominio. Da una analisi delle foto riportate nella perizia allegata al quesito, per la sua particolare forma il vaso\vasca di contenimento diventa elemento fondamentale del decoro architettonico dell’intero complesso condominiale, proprio per la sua singolare forma “a vaso”.
L’ orientamento della giurisprudenza in merito alla natura condominiale dei balconi, dopo diversi arresti si è ormai assestato stabilendo che: "i balconi aggettanti, costituendo un prolungamento della corrispondente unità immobiliare, appartengono in via esclusiva al proprietario di questa; soltanto i rivestimenti e gli elementi decorativi della parte frontale e di quella inferiore si debbono considerare beni comuni a tutti, quando si inseriscono nel prospetto dell'edificio e contribuiscono a renderlo esteticamente gradevole"(Cass. Civile N. 1990 Sez.II del 02.02.2016).
Applicando detti principi alla ripartizione delle spese ordinarie e straordinarie per la manutenzione dei balconi, se il balcone è in proprietà esclusiva al singolo còndomino, spetterà a lui e solo a lui sostenere le spese di manutenzione per la superficie praticabile dello stesso, come la pavimentazione del piano di calpestio e i parapetti interni. Viceversa, dovrà essere a carico della intera compagine condominiale la manutenzione di quella parte di balcone che concorre a formare gli elementi della facciata del condominio.

Venendo al caso proposto, ad una prima analisi si possono condividere le conclusioni del perito, il quale pone a carico dell’intero condominio le spese per il rifacimento del rivestimento esterno del vaso, poiché totalmente integrato nella facciata del fabbricato. Anzi, si consiglia di attivarsi quanto prima come condominio per mettere in sicurezza il rivestimento, in quanto vi è il rischio che un ulteriore distacco di intonaco possa provocare danni a cose e persone, esponendo la compagine condominiale e l’amministratore ad eventuali richieste risarcitorie.
Tuttavia la perizia, come per sua stessa ammissione, non si sofferma ad analizzare le cause che hanno provocato il degrado e il distaccamento dell’intonaco del vaso. Se si accertasse che tali danni abbiano trovato la loro causa scatenante nella incuria e nella mancata manutenzione del giardino e del terreno insistente sulla superficie calpestabile del vaso\balcone, la cui manutenzione, come abbiamo visto, compete ai proprietari dello stesso, ecco che il condominio avrebbe pieno titolo per richiedere il rimborso delle spese sostenute per il rifacimento della facciata del vaso. Per appurare l’origine dei danni alla facciata pare opportuno che o l’amministratore o i condomini che non hanno interesse al rifacimento della facciata, attivino a mezzo di intervento legale un c.d accertamento tecnico preventivo ai sensi dell’ art 696 c.p.c..
Con tale strumento processuale il giudice adito potrà nominare un perito “super partes” che potrà andare ad accertare le cause che hanno portato al degrado della facciata del vaso/vasca di contenimento. Una volta ottenuta tale perizia si potrà richiedere il rimborso delle spese sostenute o attraverso le vie bonarie\stragiudiziali o instaurando un vero e proprio giudizio innanzi al giudice competente.

Massimo D.L. chiede
mercoledì 27/09/2017 - Lombardia
“Buongiorno, vi scrivo in relazione a un problema sorto su un immobile, che ho in comproprietà con mia madre e i mie fratelli, sito in provincia di Arezzo.
Si tratta di una ex Azienda Agricola, risalente alla fine dei primi del '900, profondamente ristrutturata alla fine degli anni '70 e suddivisa in 17 unità immobiliari.
Per la tipologia originale si tratta quindi una struttura articolata in diversi corpi di fabbrica, alcuni adiacenti tra loro, e alcuni suddivisi in più unità immobiliari.
Il problema si è manifestato su un singolo corpo di fabbrica, adiacente ai restanti, ed interessante un unica unità immobiliare.
Su tale unità si sono manifestati movimenti significativi la cui causa è stata individuata in un compressione del terreno di fondazione interessante unicamente un fronte di tale singolo corpo di fabbrica.
La soluzione individuata è un trattamento, con iniezioni in resina, dello stesso terreno sottostante un tratto limitato di fondazione di tale corpo di fabbrica .
Tutto il resto dell'immobile non è interessato da alcun fenomeno.
La soluzione proposta dall'Amministratore ( che è anche il proprietario dell'unità immobiliare interessata dall'intervento) è che si tratti di un intervento condominiale con la conseguente ripartizione della spesa ( circa 23.000 Euro ) in quota millesimali.
La domanda è se sia corretta la competenza del Condominio su tale intervento, sicuramente interessante un unica unità unità immobiliare costituita da un corpo di fabbrica strutturalmente autonomo dal resto dell'edificio.
In sostanza chiedo se , nella fattispecie, trovino applicazione applicazione il secondo e terzo comma dell'art. 1123 c.c. che, per quanto a mia conoscenza, regolano l'individuazione delle parti comuni sulla effettiva fruizione delle stesse.
Restando a disposizione per eventuali integrazioni necessarie invio distinti saluti

Consulenza legale i 04/10/2017
La posizione assunta dall’amministratore quasi certamente si giustifica sulla base del dettato dell’art. 1117 cod. civ., che elenca le parti comuni dell’edificio condominiale, tra le quali figura – tra i primi – proprio il “suolo su cui sorge l’edificio”.

L’esatta definizione da attribuire a quest’ultima espressione non è mai stata, in realtà, così pacifica e la giurisprudenza ha discusso a lungo in merito.

L’orientamento dominante, in ogni caso, ritiene che il suolo coincida con “quella porzione di terreno sulla quale insiste l'intero edificio e, immediatamente, la parte infima di esso, dove sono infisse le fondazioni (tra le tante, Cass. 19.12.2002, n. 18091; 3.11. 2000, n. 14350; 23.7.1994, 6884)”; più precisamente, secondo la Corte di Cassazione, “il termine "suolo" su cui sorge l'edificio, con riferimento al quale l'art. 1117 n. 1 c.c. stabilisce una presunzione di comunione, va inteso (…), sia nel linguaggio comune sia in quello tecnico, come area di terreno ossia superficie, delimitata in senso orizzontale e verticale, sulla quale poggia il pavimento del pianterreno e insiste, sviluppandosi in altezza, la parte fuori terra dell'intero edificio.
In senso orizzontale, come larghezza e lunghezza, il suolo su cui sorge l'edificio è quello occupato e circondato dalle fondamenta e dai muri perimetrali dell'edificio stesso; in senso verticale, come profondità, è quello immediatamente al di sotto di tale area superficiaria.

Lo spazio sottostante al suolo su cui sorge l'edificio, dunque, che rientra nel concetto di sottosuolo, anche se non menzionato espressamente dall'art. 1117 c. c., deve considerarsi, in mancanza di un titolo che ne attribuisca la proprietà esclusiva ad uno dei condomini, oggetto di proprietà comune.

Nella medesima pronuncia sopra citata i Giudici aggiungono, tuttavia, che affinché la presunzione di comunione di cui all’art. 1117 cod. civ. sia esclusa, occorrono degli elementi univoci che siano in contrasto con la reale esistenza di un diritto di comunione, ovvero elementi oggettivi che rivelino l'attitudine funzionale del bene al servizio o al godimento collettivo.
La conseguenza è che quando il bene, per le sue obiettive caratteristiche strutturali, serve in modo esclusivo all'uso o al godimento di una sola parte dell'immobile, che forma oggetto di un autonomo diritto di proprietà, per cui si tratta di un bene avente una propria autonomia e indipendenza, non legato da una destinazione di servizio rispetto all'edificio condominiale, viene meno il presupposto dell'accennata presunzione (cfr. Cass. 7.8.2002, n. 11877; 15.6.2001, n. 8152; 29.12.1987, n. 9644).

Ciò chiarito, è evidente che – anche nel caso in esame – non necessariamente il terreno sul quale poggia il corpo di fabbrica oggetto del quesito è oggetto di comunione, anzi.

In effetti, sempre secondo la giurisprudenza, in caso di edifici, separati e autonomi, eretti sul medesimo suolo su cui è sorto lo stabile condominiale, l'appartenenza al condominio, e dunque la qualifica di bene comune, non è automatica.

Né può valere a far sorgere automaticamente la presunzione di comunione il fatto che il terreno su cui in tempi diversi siano stati costruiti sia il fabbricato condominiale che gli altri edifici appartenga al medesimo proprietario (analogamente al caso in esame, in cui originariamente tutti gli edifici appartenevano presumibilmente alla medesima proprietà e formavano un unico complesso) poiché "l'estensione della proprietà condominiale ad edifici separati ed autonomi rispetto all'edificio in cui ha sede il condominio può essere giustificata soltanto in ragione di un titolo idoneo a far ricomprendere il relativo manufatto nella proprietà del condomino stesso" (Cassazione civile, sez. II, 15/04/2013, n. 9105).

Ugualmente, la presunzione di comunione non opera con riferimento all’area circostante o adiacente al fabbricato condominiale, poiché: “Il suolo su cui sorge l'edificio ", che a norma dell'art. 1117 n. 1 c.c. è presunto comune tra i condomini di un edificio, è soltanto quello occupato e circoscritto dalle fondamenta e dai muri perimetrali esterni, mentre il suolo adiacente o circostante può rientrare tra le cose comuni unicamente per diverso titolo.”( Cassazione civile, sez. II, 13/01/1984, n. 273).

In definitiva, dunque, sulla base delle considerazioni sopra esposte e delle pronunce giurisprudenziali in merito, il terreno sul quale insiste il corpo di fabbrica in oggetto, per le caratteristiche fisiche/strutturali che ha e per la posizione in cui si trova, parrebbe fuoriuscire dalla definizione di suolo comune di cui all’art. 1117 cod. civ..
Ciò per la mancanza di una destinazione di servizio rispetto all’intero condominio oppure dell’attitudine al godimento collettivo.

Di conseguenza, le spese per l’intervento sul terreno in questione graveranno, ad avviso di chi scrive, solo ed esclusivamente sul proprietario della singola unità immobiliare contenuta nel corpo di fabbrica stesso, ai sensi dell’art. 1123 cod. civ., 3° comma (correttamente richiamato nel quesito).

Mirko F. chiede
domenica 26/02/2017 - Umbria
“Sono un nuovo affittuario con ufficio in un condominio; ci sono due portoni di cui uno per gli accessi alle abitazioni e uno per l'accesso agli uffici, ma entrambe le due scale sono comunicanti all'interno per la presenza di un ascensore per l'abbattimento delle barriere architettoniche. l'uso del portone degli uffici è filtrato tramite impianto citofonico perfettamente funzionante. Ho scelto questo condominio perché c'era proprio un portone a tutela degli accessi e dotato come detto di un impianto citofonico. Subentrato ho riscontrato però che quasi sempre il portone viene lasciato aperto con il fermo della molla e di ciò ho fatto subito formale contestazione all'amministratore di condominio in quanto essendoci proprio un portone, questo deve rimanere invece sempre chiuso a garanzia della sicurezza, della privacy e del risparmio energetico. Alla mia nota mi risponde l'amministratore di condominio che questa abitudine c'è sempre stata in quanto """"" il personale dei vari uffici a causa delle continue chiamate per aprire il portone con il citofono interno deve interrompere la propria attività lavorativa con grave disagio nelle sue delicate funzioni !!!!!!!!!! """"" . Questo è folle. Certo che sono uffici e che quindi hanno una certa frequentazione con i loro clienti, e tutti gli uffici hanno il loro citofono interno per aprire ogni qualvolta un cliente suona. A quanto mi risulta addirittura il portone di ingresso anche se deputato per uno specifico uso, assolve sempre alla funzione sovrana di prolungamento ed estensione del muro perimetrale condominiale. Proprio in funzione di ciò ritengo che nemmeno un'assemblea possa sancire che il portone di accesso agli uffici rimanga aperto in quanto in contrasto alla sua citata funzione, in quanto io non ho accettato con la firma del contratto di locazione alcun vincolo di apertura del portone, in quanto il portone assolve a filtro e garanzia della mia sicurezza, in quanto il portone assolve a filtro e garanzia della mia privacy, in quanto il portone è a tutela del mio risparmio energetico. Addirittura l'amministratore di condominio ha ventilato un'assemblea per deliberare che il portone rimanga aperto durante tutto il giorno. È sempre più folle questo amministratore che addirittura per avallare il comportamento a mio dire illegittimo di tenere il portone di ingresso aperto cita che l'art. 1102 del c.c. sancisce che ciascun partecipante può servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione. Appunto il portone è un portone ed è stato creato quale infisso chiuso. Quesito: chiedo il vostro parere e una lettera da inviare all'amministratore di condominio”
Consulenza legale i 08/03/2017
La presunzione di comunione prevista dall'art. 1117 c.c. si estende, secondo dottrina e giurisprudenza, a tutti i manufatti o i locali aventi la funzione di far comunicare l'edificio con la pubblica strada, costituenti elementi necessari per la configurazione stessa del fabbricato e, dunque, strumenti indispensabili per il godimento, la conservazione, la protezione e la salvaguardia della proprietà individuale e per la sicurezza dei terzi. In particolare, si ritiene che i portoni di ingresso forniscano una doppia utilità a vantaggio di tutti i condomini: una diretta, al singolo condomino per la fruizione della sua proprietà esclusiva; l'altra indiretta, per consentire l'utilizzazione e la manutenzione degli altri spazi comuni (Corte d’App. Milano, 3 luglio 1992).

Tutto ciò detto e premesso, è senz’altro corretto, nel quesito, il riferimento all’art. 1102 cod. civ. che riguarda la comproprietà, secondo il quale ognuno dei comunisti può servirsi della cosa comune se non ne altera la destinazione originaria; in ogni caso, non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti alla comunione.
La “destinazione” della cosa va intesa come la sua funzione specifica, che nel caso del portone d’ingresso condominiale può dirsi
  • sia la messa in comunicazione del condominio con la pubblica via
  • sia la salvaguardia della sicurezza dei condomini.

Non esiste, purtroppo, alcuna norma in materia di condominio, nello specifico, che prescriva o dalla quale evincere un obbligo alla chiusura del portone, né pronunce giurisprudenziali specifiche sul punto.

Sicuramente, se l’eventuale decisione dell’assemblea condominiale di tenere sempre aperto il portone d’ingresso dovesse essere assunta a maggioranza, la minoranza oppure – come parrebbe trattarsi nel caso di specie – il singolo condomino potrebbe sempre far constatare il proprio dissenso impugnando quindi la delibera:
Le deliberazioni prese dall'assemblea a norma degli articoli precedenti sono obbligatorie per tutti i condomini.
Contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio ogni condomino assente, dissenziente o astenuto può adire l'autorità giudiziaria chiedendone l'annullamento nel termine perentorio di trenta giorni, che decorre dalla data della deliberazione per i dissenzienti o astenuti e dalla data di comunicazione della deliberazione per gli assenti.” (art. 1137 cod. civ.)

Va presa tuttavia in considerazione, nel caso di specie, la disciplina di cui agli articoli 1117 ter e art. 1117 quater del c.c., che fanno riferimento alle modifiche della destinazione d’uso delle parti comuni, prescrivendo delle maggioranze particolari e “rafforzate” per la tutela dei condomini di fonte alle decisioni che riguardano tale materia.

Con l’espressione "modificazioni delle destinazioni d'uso" delle parti comuni, il legislatore ha creato incertezza sul reale significato da attribuire alla fattispecie in questione, perché prima della riforma del 2012 che ha introdotto l’art. 1117-ter, le modifiche alla destinazione d’uso si facevano rientrare nelle innovazioni di cui all'articolo 1120, comma 1, cod. civ..
Queste ultime erano deliberabili con un quorum quasi “proibitivo” (quattro quinti dei partecipanti al condominio e quattro quinti dei millesimi) e con un iter di convocazione dell'assemblea piuttosto articolato, perché si tratta di modificazioni del bene comune che possono trasformarlo fino a consentirne un uso del tutto estraneo rispetto alla sua originaria destinazione oggettiva e strutturale.
Le pronunce della giurisprudenza, tuttavia, hanno definito quali “innovazioni” “non tutte le modificazioni, ma solamente quelle modifiche che, determinando l'alterazione dell'entità materiale o il mutamento della destinazione originaria, comportano che le parti comuni, in seguito all'attività o alle opere eseguite, presentino una diversa consistenza materiale ovvero vengano a essere utilizzate per fini diversi da quelli precedenti” (Cass. civ., n. 12654/2006). Inoltre, “(...) Una particolare modificazione dunque che rende, per così dire, nuova la cosa, con trasformazioni e cambiamenti dell'originaria funzione e destinazione o con un'alterazione della sua entità sostanziale”. (Cass. civ., n. 18334/2012).
In ogni caso, per le innovazioni “semplici” occorre una maggioranza speciale: quella degli intervenuti in assemblea, che rappresenti almeno i due terzi dei millesimi.

Ebbene le modificazioni delle destinazioni d'uso del bene comune, che come detto prima della legge n.220/2012, per interpretazione giurisprudenziale, rientravano nell'articolo 1120 cod. civ., ora rientrano invece nell'articolo 1117-ter cod. civ.. Si deve trattare di interventi significativi che non rientrano i quegli “altri usi” cui oggettivamente il bene può essere, per sua natura, destinato.
Non determina sicuramente una modifica di destinazione di uso, per esempio, la locazione dei locali dell'ex portineria, oppure l'utilizzo di alcuni locali che ospitavano il lavatoio oppure la caldaia come ripostiglio o sala riunioni. Queste sarebbero, infatti, semplici modifiche delle modalità di uso di un bene comune da deliberare in assemblea, a maggioranza degli intervenuti con almeno la metà del valore dell'edificio.

Gli interventi “modificativi”, invece, sono interventi che, per esigenze di particolare interesse collettivo, comportano la modifica della destinazione d'uso in modo rilevante (fattibili purché non rechino pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato o non alterino il decoro architettonico). Quindi, per tali modifiche, che prima della riforma rientravano nella categoria generale delle innovazioni, quest’ultima ha stabilito un quorum deliberativo più alto. Si tratta infatti non di innovazioni semplici ma «modificative». Quindi, per approvarle (a differenza delle innovazioni “semplici”) ora occorrono almeno i 4/5 dei partecipanti e almeno 800 millesimi.

Ora, per tornare al caso in esame, se è vero che l’eventuale decisione di mantenere costantemente aperto il portone non costituisce a rigore, di per sé, una modifica sostanziale di quest’ultimo né, ad avviso di chi scrive, della sua destinazione (si potrebbe parlare di cambio di destinazione d’uso se il portone venisse trasformato, ad esempio, in finestra), tuttavia non può dubitarsi che si tratterebbe di decisione che andrebbe ad influire in maniera significativa sulla sicurezza dell’intero stabile e certamente delle singole unità abitative/ufficio che lo compongono.
Ed ugualmente non c’è dubbio, ad avviso di chi scrive, che l’interesse al mantenimento della sicurezza dello stabile (interesse di tutti i condomini) debba prevalere sull’interesse alla “comodità d’uso” della parte comune di cui si discute (a vantaggio, peraltro, solamente di una parte dei condomini, quelli degli uffici).

Pertanto, in definitiva, si ritiene applicabile la disciplina dell’art. 1117 quater cod. civ.: il condomino dissenziente dovrà chiedere all’amministratore – se quest’ultimo non assumerà direttamente l’iniziativa in tal senso entro breve termine - la convocazione di un’assemblea straordinaria per far cessare immediatamente quei comportamenti che incidono negativamente sull’uso del portone condominiale; la decisione dovrà e potrà essere adottata con voto favorevole della maggioranza degli intervenuti che rappresenti almeno la metà del valore dell’edificio.
Qualora, per assurdo, la delibera dovesse decidere per l’apertura costante del portone d’ingresso (si auspica almeno solo diurna e non anche notturna), il condomino dissenziente potrà impugnarla ed agire in giudizio per far cessare il comportamento pregiudizievole avallato dall’assemblea.

Tale delibera, infatti, pregiudicherebbe il generale interesse alla tranquillità e alla sicurezza dei luoghi di privata dimora, che è condizione necessaria per la libera esplicazione della personalità umana ed a tutela del quale lo stesso legislatore ha dettato l’art. 614 del codice penale.
Ad essere compromesso, in particolare, è il bene giuridico che va sotto il nome di pace domestica e il diritto riconosciuto a ciascuno dall'articolo 14 della Costituzione di vivere libero da ogni intrusione di estranei nei luoghi di uso privato.

Lorenzo V. chiede
lunedì 24/10/2016 - Lombardia
“Buongiorno,
Vi scrivo per avere un parere riguardo ad un immobile costituito da tre appartamenti che descrivo:

Appartamento piano 2, 100 mq, in comproprietà tra A e B in parti uguali
Appartamento piano 1, 100 mq, in comproprietà tra A e B in parti uguali
Appartamento piano terra, 50 mq con giardino di 850 mq, in comproprietà tra A 1/4, B 1/4 e C 1/2

Domanda 1:
in un edificio così diviso, si applicano le leggi del condominio e comunione o SOLO quelle della comunione? Aggiungo che mai nella storia di questo immobile si è fatto alcun atto che costituisca un condominio, la sua gestione è sempre stata (non) amichevole.

Domanda 2:
A e B intendono A LORO SPESE isolare l'immobile (che ha 90 anni) con cappotto esterno e coibentazione del tetto.
Hanno già ottenuto il permesso a costruire ma C si oppone per dispetto minacciando il blocco del futuro cantiere.
Come possono A e B evitare una situazione simile?

Domanda 3:
Nel caso peggiore, se A e B volessero ottenere un amministratore giudiziario e deliberare a maggioranza, come si risolve il fatto che in tema di condominio l'appartamento al piano terra non avrebbe un rappresentante certo visto che C si opporrà a tutto?

Domanda 4:
Legata alla domanda 3, le tabelle millesimali da creare sono influenzate dal giardino così ampio? Se si, l'appartamento con giardino avrebbe da solo oltre la metà dei millesimi e chiunque lo rappresenti potrebbe bloccare tutto.

Vi ringrazio”
Consulenza legale i 29/10/2016
Il fenomeno del condominio negli edifici si caratterizza per la coesistenza, accanto alle proprietà individuali di singoli piani o parti dell’edificio, di una comunione c.d. forzosa, cioè non suscettibile di scioglimento (cfr. art. 1119 c.c.) di tutti i condomini sugli elementi dell’edificio la cui utilizzazione è necessaria ai fini del godimento di tutte le singole parti di proprietà individuale.

Pertanto, la sola esistenza in un edificio costituito da tre appartamenti ed un giardino, appartenenti per quote diverse a più di un proprietario, di quelle che l’art. 1117 c.c. identifica come parti comuni dell’edificio, comporta la nascita del condominio, a prescindere da qualsiasi manifestazione di volontà in tal senso.
Ciò posto, troveranno applicazione le norme di cui agli artt. 1117 e ss. del codice civile ed in particolare, per ciò che ci riguarda, l’art. 1120 del codice civile, regolante la disciplina delle innovazioni dirette al miglioramento delle cose comuni.

Va detto che la giurisprudenza, in generale, ha accolto un concetto assai ampio di innovazione, ricomprendendovi, accanto alle ricorrenti ipotesi di installazione di un servizio condominiale, perfino la demolizione e ricostruzione dell’edificio, purché non lo investano nella sua totalità.

Per quanto riguarda il tipo di opere che nel caso specifico si vogliono eseguire, si ritiene che trovi particolare applicazione la norma di cui ai nn. 1) e 2) comma secondo dell’art. 1120 c.c., in quanto l’applicazione del cappotto esterno e la coibentazione del tetto possono senza alcun dubbio farsi rientrare nelle opere volte a migliorare la sicurezza dell’edificio nonché a contenere il consumo energetico dello stesso.
Per tali opere la norma richiede la maggioranza di cui al secondo comma dell’art. 1136 c.c., ossia è richiesto che la relativa delibera venga approvata con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio.
Pertanto, si ritiene che non possano esservi difficoltà nel raggiungere i quorum costitutivi e deliberativi richiesti, dovendosi tener conto della circostanza che, pur formandosi delle tabelle millesimali, occorrerebbe operare una distinzione tra millesimi di proprietà relativi al giardino e millesimi di proprietà relativi all’edificio in sé, ai quali ultimi ci si dovrebbe riferire nell’adozione della delibera che ci riguarda.

In ogni caso si tenga conto che potrebbe farsi applicazione dell’art. 1121 c.c., norma la quale dispone che qualora l’innovazione importi una spesa molto gravosa o che abbia carattere voluttuario rispetto alle particolari condizioni e all’importanza dell’edificio e non consista in opere suscettibili di utilizzazione separata, l’innovazione sarà consentita a condizione che la maggioranza dei condomini che l’ha deliberata o accettata intenda sopportarne integralmente la spesa (e ciò sembra che siano disposti a fare i condomini A e B).

Un cenno merita l'ultimo comma dell'art. 1121 c.c. il quale dispone che la mancata partecipazione alla spesa iniziale per i condomini dissenzienti non significa privarsi per sempre dell'utilizzo del bene, poiché in qualunque tempo gli stessi (o i loro eredi o aventi causa) possono partecipare ai vantaggi dell'innovazione, contribuendo nelle spese di esecuzione e di manutenzione dell'opera
Lo stabilire poi se una spesa possa qualificarsi voluttuaria è risultato di valutazioni unicamente oggettive.
Unico limite a tali innovazioni può rinvenirsi nel disposto di cui all’ultimo comma dell’art. 1120 c.c., il quale fa espresso divieto di eseguire quelle innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino (ciò che sembra del tutto da escludere nel tipo di opere che si vogliono eseguire).

Si tenga conto infine che non manca qualche sentenza che qualifica come atto emulativo ex art. 833 c.c. l’opposizione di un condomino ad una innovazione, allorché tale opposizione non sia sostenuta da nessuna valida giustificazione e si spieghi solo su di un piano strettamente speculativo e ricattatorio (tale potrebbe essere qualificato in un eventuale giudizio il comportamento di C).

ANNA R. S. chiede
venerdì 08/07/2016 - Veneto
“L'amministratore ha di sua iniziativa incluso nell'ordine del giorno dell'assemblea:"deliberazioni da assumere per adempiere al decreto legislativo 04/07/2014 n. 102 art.9 - misurazione e fatturazione dei consumi energetici" verbalizzando poi:"L'amministratore informa i condomini presenti che per l'adeguamento dell'impianto di riscaldamento ed acqua calda centralizzato al decreto legislativo 04/07/2014 n. 102 d.d. 18/07/14 in materia di efficienza energetica degli edifici è stato conferito incarico all'Ing. P. a predisporre una relazione tecnico-illustrativa, con annesso computo metrico estimativo, sugli interventi da eseguire e sui costi da sostenere per dotare gli impianti del nuovo sistema di contabilizzazione del calore e di ripartizione dei costi (norma uni 10200) entro la scadenza del 31/12/2016 (vedasi relazione tecnico-illustrativa allegata). Vorrei capire in sostanza di cosa si tratta e se sussiste l'obbligo da parte del condominio di far effettuare tali lavori e se si entro quale data. Inoltre, sempre in caso affermativo, la spesa va ripartita in millesimi ?”
Consulenza legale i 22/07/2016
Entro il 31 Dicembre 2016 ( art. 9, comma 5, lett. b) tutti i condomini con riscaldamento centralizzato dovranno dotarsi di un sistema di contabilizzazione del calore. L'obbligo viene introdotto in Italia dal D.Lgs. 102/2014 con l'obiettivo di diminuire i consumi energetici per il riscaldamento degli edifici attraverso una corretta ripartizione delle spese e una maggiore consapevolezza dei consumatori. In particolare la direttiva impone l’adozione di contatori individuali per misurare il consumo di calore e di acqua calda per ciascuna unità immobiliare facente parte di un condominio o di un edificio polifunzionale servito da un impianto termico centralizzato o da teleriscaldamento.

La suddivisione delle spese per il riscaldamento non avverrà più con le tradizionali tabelle millesimali di proprietà, ma dipenderà dall'effettivo consumo richiesto.
Infatti fino ad oggi le spese del riscaldamento centralizzato (consumi, manutenzione ordinaria e straordinaria) sono state ripartite sulla base dei millesimi di proprietà, a parte i casi in cui risulta installato un sistema di contabilizzazione del calore secondo la procedura definita dalla normativa tecnica UNI 10200. In questi casi le spese del riscaldamento sono suddivise in
- consumi volontari (quota variabile) ovvero quelli dovuti all’azione volontaria dell’utente mediante i dispositivi di termoregolazione (valvola termostatica o termostato), che vanno ripartiti in base alle indicazioni fornite dai dispositivi (letture) atti alla contabilizzazione del calore (contatori, ripartitori e altri sistemi);
- consumi involontari (quota fissa), ovvero quelli indipendenti dall’azione dell’utente e cioè principalmente le dispersioni di calore della rete di distribuzione, che vanno ripartiti in base ai millesimi di riscaldamento.
Viene redatta una specifica tabella millesimale del riscaldamento con cui vengono suddivisi i consumi involontari, che derivano essenzialmente dalle perdite della rete di distribuzione, e le spese di manutenzione ordinaria e straordinaria. Chi dovesse essere distaccato dall'impianto centralizzato dovrà comunque pagare le spese involontarie secondo la tabella millesimale del riscaldamento.

Alcune Regioni avevano già legiferato in materia e prevedevano termini diversi per assolvere all'obbligo. Queste regioni, tra cui la Lombardia ed il Lazio, hanno allineato la scadenza al 31 Dicembre 2016, termine previsto dal D.Lgs. 102/2014 di recepimento della direttiva 2012/27/Ue sull'efficienza energetica.

Le sanzioni nei casi in cui il condominio e i clienti finali che acquistano energia per un edificio polifunzionale non provvedono ad installare sistemi di termoregolazione e contabilizzazione del calore individuali sono soggetti, ciascuno, alla sanzione amministrativa da 500 a 2500 euro (articolo 16 comma 7 del D.Lgs. 102/2014)
Il condominio provvisto di termoregolazione e contabilizzazione, ma che non ripartisce le spese in conformità alla normativa tecnica UNI 10200:2015, è soggetto ad una sanzione amministrativa da 500 a 2500 euro (articolo 16 comma 8 del D.Lgs. 102/2014).

E' fatta salva la possibilità, per la prima stagione termica successiva all'installazione dei dispositivi che la suddivisione si determini in base ai soli millesimi di proprietà.

Quanto alla realizzazione delle opere, i lavori devono essere completati entro la data del 31 dicembre 2016, altrimenti scattano le sanzioni.
Si veda a tal proposito l'art. 9 comma 5 lett. b):nei condomini [...] è obbligatoria l'installazione entro il 31 dicembre 2016 da parte delle imprese di fornitura del servizio di contatori individuali per misurare l'effettivo consumo di calore o di raffreddamento o di acqua calda per ciascuna unità immobiliare, nella misura in cui sia tecnicamente possibile, efficiente in termini di costi e proporzionato rispetto ai risparmi energetici potenziali. [...] Eventuali casi di impossibilità tecnica alla installazione dei suddetti sistemi di contabilizzazione devono essere riportati in apposita relazione tecnica del progettista o del tecnico abilitato”.

Per quanto riguarda la spesa per l'istallazione dell'impianto di contabilizzazione del calore, la norma tecnica UNI 10200 nulla specifica, quindi, essendo bene comune del condominio (art. 1117 n. 3 cc), va ripartita secondo le regole generali (art. 1123 del c.c.): è prevista, cioè, la ripartizione in misura proporzionale al valore delle singole proprietà. Occorre quindi fare riferimento alle tabelle millesimali.

Gloria S. chiede
venerdì 20/05/2016 - Lazio
“Una stanza del mio appartamento a piano terra presentai infiltrazioni di acqua sulla parete del muro perimetrale La consulenza tecnica di tecnico ingegnere da me richiesta alla data 18 aprile 2014, 24 agosto 2015 e 13 gennaio 2016 ed effettuata anche con ausili strumentali (termocamera e termoigrometro) ha rilevato copiosa umidità al piede della parete esterna (corrispondente alla strada). Sulla parete interna della camera sono visibili danni da infiltrazione della tinteggiatura con sfarinatura che nel tempo si sono accentuati. IL CONDOMINIO IN ASSEMBLEA NON HA RITENUTO DOVER INTERVENIRE SUL MURO PERIMETRALE PER PREVENIRE L'INFILTRAZIONE DI ACQUA INVITANDO LA SOTTOSCRITTA A DIMOSTRARE CON SENTENZE DI LEGGE CHE L'INTERVENTO SIA DI COMPETENZA CONDOMINIALE.
Secondo quesito: in occasione dei lavori condominiali di ristrutturazione delle facciate dello stesso palazzo completati ad aprile 2014 sono stati portati in facciata i cavi per il segnale della televisione ed è stata disposta una antenna unica. Il mio appartamento non è stato collegato cioè per un errore non è stato portato il cavo al mio appartamento. A febbraio 2015 anno in cui sono andata ad abitare nell'appartamento ho riscontrato la mancanza del segnale e dopo sopralluogo con l'amministratore del condominio e con l'elettricista della ditta edile è stato riscontrata la mancanza del cavo per il mio appartamento. Ho dovuto acquistare due televisioni per poter vedere i programmi tv tramite parabola. Cosa posso fare?”
Consulenza legale i 27/05/2016
Per quanto concerne il primo quesito, non c’è dubbio che se – come nel caso in esame - il danno da infiltrazione è stato ricondotto da un perito a cause che nulla hanno a che vedere con la proprietà individuale e soprattutto si sia manifestato in maniera evidente in una parte comune (com’è il muro perimetrale dell’edificio condominiale), saranno tutti i condomini a doversi accollare le spese di intervento per l’eliminazione dei vizi ed il ripristino dello stato dei luoghi.

Bene ha fatto il condomino leso ad interpellare dei tecnici per un sopralluogo nell’appartamento, dal momento che in questi casi è necessario accertare esattamente le cause dell’infiltrazione per individuare poi il soggetto responsabile: nella fattispecie, pertanto, sono gli esiti della perizia, non certo sentenze o leggi, a dover essere necessari e sufficienti all’assemblea per deliberare in ordine ai lavori di manutenzione.

Nel caso in cui sia l’amministratore che l’assemblea dovessero mantenersi fermi nella loro decisione, si potrà e dovrà ricorrere all’autorità giudiziaria.

In particolare, nell’eventualità in cui il passare del tempo possa pregiudicare in qualche modo la possibilità di accertare le cause del danno e quindi nell’ipotesi in cui sia utile o necessario precostituirsi una perizia imparziale da poter utilizzare come prova nei confronti del condominio (in assemblea oppure in giudizio) ci si potrà rivolgere al Giudice con un ricorso per “accertamento tecnico preventivo” (art. 696 codice di procedura civile).

Si tratta di un procedimento molto rapido, più rapido di quelli ordinari, attraverso il quale viene nominato un tecnico da parte del Giudice per effettuare il medesimo lavoro in questo caso già svolto dai periti incaricati dal condomino, ovvero “fotografare” lo stato dei luoghi ed individuare le cause, certe o probabili, dell’infiltrazione. Attenzione, però, che tale ricorso verrà accolto solamente in presenza di due presupposti di legge (la cui esistenza, tuttavia, nel caso concreto pare evidente), ovvero i cosiddetti “fumus boni iuris” (quantomeno una parvenza di fondatezza del diritto fatto valere) e “periculum in mora” (ovvero il pericolo nel ritardo, il rischio cioè che un ritardo negli accertamenti renda poi difficile o impossibile effettuarli in un secondo momento).

Se lo stato dei luoghi dovesse peggiorare, invece - sempre dimostrando l’esistenza dei medesimi due presupposti sopra evidenziati - si potrà altresì agire con un ricorso d’urgenza ai sensi dell’art. 700 c.p.c., ovvero una domanda giudiziale con la quale si descrive la situazione e si mette in evidenza l’assoluta urgenza di intervenire.

Per quanto riguarda, invece, il problema dell’allaccio all’unica antenna condominiale del cavo per poter usufruire del servizio di ricezione radiotelevisiva, va preliminarmente verificato (il quesito non lo dice) se vi sia stata o meno una delibera che ha disposto la realizzazione di un’unica antenna. Tuttavia, è lecito e logico presumere che la decisione in ordine alla realizzazione dell’impianto così com’è ora, con l’intervento sui vari cavi di proprietà e il posizionamento dell’antenna unica, sia stata adottata in sede assembleare con regolare delibera, precisamente con quella che ha disposto i lavori di ristrutturazione.
In questo caso, il condomino che non usufruisce del servizio viene leso nel proprio diritto di usare la cosa comune in maniera paritaria rispetto agli altri condomini.

Gli impianti di ricezione radiotelevisiva, infatti, già prima della riforma del condominio intervenuta nel 2012, erano considerati beni comuni per effetto dell’elaborazione giurisprudenziale: oggi espressamente sono stati riconosciuti come tali dal legislatore all’art. 1117, 3° comma, c.c. e la relativa gestione è stata disciplinata dall’art. 1122 bis c.c..

In realtà, precisa la Corte di Cassazione, essi rimangono beni comuni se rispondono all’interesse di tutti i condomini all’utilizzo comune; diversamente, si tratterà - più che di “bene comune” ai sensi di legge, piuttosto di un bene “di uso comune”.

Nel caso di specie, nel quale un solo condomino risulta escluso dal servizio (peraltro non per sua volontà ma per un mero errore di terzi) si può ritenere che si tratti di bene comune e, come tale, il singolo condomino ha pieno diritto di usufruirne.

Il condomino leso avrà quindi il diritto di chiedere ed ottenere dall’amministratore la convocazione di un’assemblea straordinaria per deliberare l’allaccio della parte individuale dell’impianto di ricezione televisiva a quello condominiale, a spese del condominio.

Statuisce sul punto una significativa pronuncia: “In materia di condominio negli edifici, sono (fra le altre cose) comuni, le opere, le installazioni e i manufatti di qualunque genere che servono all'uso e al godimento comune, come tutte le altre cose che l'art. 1117 c.c., n. 3, enumera, con elencazione non tassativa. A quest'ultima categoria vanno ricondotte le antenne c.d. centralizzate (cioè destinate a servire tutte o almeno più unità immobiliari di proprietà esclusiva), le quali, non di meno, per loro stessa natura non sono fruibili in maniera personale e diretta da ciascun condomino, ma richiedono un'attività d'impianto e di gestione comune (comprendente la successiva manutenzione), che è compito dell'assemblea deliberare istituendo il relativo servizio.” (Cass. Civ., sez. II, 11/01/2012, n. 144).

L’amministratore, da parte sua, avrà l’obbligo di acconsentire alla richiesta in forza delle attribuzioni che gli sono conferite dall’art. 1130, 1° comma, n. 2 c.c..

Qualora la delibera assembleare non approvi i lavori voltando contro la richiesta, il condomino leso nei propri diritti avrà senz’altro la possibilità di impugnarla rivolgendosi all’autorità giudiziaria.

Sara D. chiede
lunedì 28/03/2016 - Lombardia
“Buongiorno
Ho ricevuto e ringrazio.
Piccolo condominio composto da tre corpi di fabbricato, separati, divisi da ampio spazio vuoto, con ingressi indipendenti.
Fabbricato A. 4 piani fuori terra al civico n. 8-civili abitazioni
Con ampia area di giardino ante proprio ingresso
Fabbricato B. 2 piani fuori terra al civico 10 – civili abitazioni
Con piccolo giardino ante proprio ingresso- circa 1/5 area del giardino Fabbricato A
Fabbricato C. 1 piano fuori terra- tra A e B- separato spazio vuoto – boxes. (vedasi mappa allegata)
I condomini del Fabbricato A- civico 8 (avendo maggior millesimi) hanno deliberato di posteggiare con rastrelliere le loro bici nel giardinetto ante Fabbricato B civico 10 (occupandolo completamente-pregiudizio al verde, alle piante ed al decoro di facciata e impedendo la necessaria irrigazione automatica dello stesso, sebbene la maggioranza delle bici sia coperta da telo impermeabile.
I condomini del Fabbricato B-civico 10 sono contrari e non usufruiscono in quanto usano il loro box per deposito bici.
Le spese di pulizie/taglio erba/potatura e manutenzione/sostituzione lampade illuminazione dei due giardini , come nel BILANCIO CONSULTIVO e nel CONSUNTIVO RIPARTIZIONI, sono separate e ripartite tra i condomini del relativo fabbricato ante quale si trova il giardino. Conseguentemente di fatto penso trattasi di condominio parziale o meglio supercondominio. Con uso differente/separato dei due giardini.
Nella documentazione di vendita (con firma dell’ impresa venditrice ed acquirente/condomino ( come da mappa allegata), l’area nella quale sono poste le rastrelliere/deposito bici 24H è adibita a verde con due piante. Conseguentemente penso trattasi di variazione destinazione d’uso- diversa da quella originale-clausola contrattuale. Il quorum richiesto (e non ottenuto dalla pronuncia dell’assemblea = a 766/000, che rivotando scenderebbe per un cambio di proprieta’- nuovo condomino contrario al posizionamento scelto) è di 4/5 (800/000) del valore e dei componenti (1117 ter). Penso che quindi possa contestare la delibera (1117 quater).
La motivazione, penso pretestuosa, dell’amministratore, al mancato posizionamento (conseguenza logica della richiesta condomini fabbricato A) delle rastrelliere/deposito bici, nell’ampia area dei giardini del Fabbricato A ( 5 volte quella del giardino Fabbricato B), senza pregiudicare l’intera area del verde, isolandone solo una piccola parte, è quella che esiste impianto automatico di irrigazione che bagnerebbe le biciclette. Trattasi di artigianale impianto, acquistato al supermercato, posato sopra il terreno ( non interrato) installato da un condomino. Possibile, a costo contenuto, girare o posizionare diversamente gli spruzzini o sostituire una ridotta parte con tubi gocciolanti in modo da non bagnare le bici. Bici che sono anche coperte da telo impermeabile e comunque esposte agli agenti atmosferici. Esisterebbero anche altre ubicazioni all’interno del Fabbricato A, non prese in considerazione. La mia contrarietà riguarda solamente la collocazione delle rastrelliere nel giardinetto Fabbricato B, dove abito, data la logica collocazione nell’ampia area dei giardini ante Fabbricato A.
A breve ho specifico incontro con l’amministratore per eventuale mediazione/conciliazione. Chiedo, pertanto, per cortesia, come possa meglio ed ampiamente impostare la mia difesa/opposizione al fine di non far posizionare le rastrelliere nel giardinetto del Fabbricato B, ed eventualmente passare in giudizio qualora non si raggiungesse una transazione. ------------------------------------------------------------------------------------------------------Nella penultima assemblea, con all’ordine del giorno il rinnovo del mandato di amministratore, ho segnalato a tutti i condomini presenti, con una nota formale (allegata) che avevo proposte di altre amministrazioni, ed in particolare una, con uffici vicino al nostro condominio e collaudata in diversi condominii vicini, ad un costo inferiore alla metà dell’accordo in corso. Precisamente € 800,00 contro l’attuale al costo di € 1.900,00. Non è stata affatto presa in considerazione, presumo per “accordi precedenti tra i condomini Fabbricato A”, e si è votato subito il rinnovo in corso. Penso di poter lamentare un danno, avendo una quota del 20%, la maggiore, facendo riferimento, per analogia, all’allegata sentenza Pretura di C. Sempre per il prossimo incontro di mediazione, chiedo, per cortesia, come possa difendermi od almeno far ripetere la votazione ante fine esercizio in corso.
Ringrazio della cortese attenzione e porgo cordiali saluti.”
Consulenza legale i 04/04/2016
A) Quanto alla prima questione, relativa al posizionamento delle rastrelliere, occorre precisare che l’uso principale del cortile, secondo l’orientamento costante della giurisprudenza, è quello di fornire aria e luce agli appartamenti, nonché garantire il passaggio di cose e mezzi quando questo sia necessario e possibile. A questi usi principali se ne possono aggiungere (per accordi o per prassi) ulteriori, come appunto la collocazione di rastrelliere per il deposito delle biciclette.

Tutti i condomini possono servirsi del cortile purché non ne alterino la destinazione e non impediscano agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto, così come viene stabilito all’art. 1102 c.c.

In ambito condominiale è di fondamentale importanza stabilire se un dato intervento sulle parti comuni costituisca una semplice modificazione o una innovazione. Infatti, dalla distinzione predetta discendono importanti conseguenze giuridiche, atteso che il legislatore subordina la realizzazione di interventi innovativi sulle parti condominiali alla preventiva autorizzazione dell'assemblea, deliberata a maggioranza qualificata, oltre a prevedere il divieto assoluto di porre in essere determinati tipi di innovazioni.

In termini generali, per modifiche s'intendono tutti quegli interventi eseguiti sulle parti comuni per consentire ad alcuni condomini di trarre dal bene comune un'utilità anche maggiore o più intensa di quella tratta da altri condomini, purché, ai sensi dell'art. 1102 c.c., non ne venga alterata la destinazione comune (l'uso normale che si fa della cosa) o compromesso il diritto al pari uso da parte degli altri aventi diritto. Entro i limiti predetti, anche l'uso particolare e più intenso delle parti comuni è da considerarsi legittimo e le relative opere possono essere eseguite dal singolo condomino anche senza la specifica autorizzazione dell'assemblea.

Invece le innovazioni comprendono tutte quelle attività sulle parti comuni che comportano aggiunte materiali o mutamenti della destinazione originaria del bene comune, finalizzati al miglioramento o all'uso più comodo o al maggiore rendimento delle cose comuni (art. 1122 c.c.).

La giurisprudenza ha avuto modo di pronunciarsi più volte sulla distinzione in esame, affermando che "la distinzione tra modifica ed innovazione si ricollega all'entità e qualità dell'incidenza della nuova opera sulla consistenza e sulla destinazione della cosa comune, nel senso che per innovazione in senso tecnico-giuridico deve intendersi non qualsiasi mutamento o modificazione della cosa comune, ma solamente quella modificazione materiale che ne alteri l'entità sostanziale o ne muti la destinazione originaria, mentre le modificazioni che mirano a potenziare o a rendere più comodo il godimento della cosa comune e ne lasciano immutate la consistenza e la destinazione, in modo da non turbare i concorrenti interessi dei condomini, non possono definirsi innovazioni nel senso suddetto" (Cass. n. 11936/1999).

È stato anche precisato che "in tema di condominio negli edifici, per innovazione in senso tecnico-giuridico, vietata ai sensi dell'art. 1120 c.c., deve intendersi non qualsiasi mutamento o modificazione della cosa comune, ma solamente quella modificazione materiale che ne alteri l'entità sostanziale o ne muti la destinazione originaria, mentre le modificazioni che mirino a potenziare o a rendere più comodo il godimento della cosa comune e ne lascino immutate la consistenza e la destinazione, in modo da non turbare i concorrenti interessi dei condomini, non possono definirsi innovazioni nel senso suddetto" (Cass. n. 15460/2002).

La giurisprudenza fa rientrare l’installazione di un portabiciclette o di una tettoia nel concetto di innovazione di cui all' art. 1117 del c.c., la quale è consentita se diretta al miglioramento o all’uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni (art. 1120 c.c. ), e deve essere approvata dall’assemblea condominiale.

In particolare, la riforma del condominio del 2012 ha regolato una particolare innovazione che consiste nel cambio di destinazione d'uso del bene condominiale. Infatti, l'art. 1117-ter c.c. stabilisce che "per soddisfare esigenze di interesse condominiale, l'assemblea, con un numero di voti che rappresenti i quattro quinti dei partecipanti al condominio e i quattro quinti del valore dell'edificio, può modificare la destinazione d'uso delle parti comuni. Sono vietate le modificazioni delle destinazioni d'uso che possono recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato o che ne alterano il decoro architettonico".

Quanto a quest'ultimo concetto, si è specificato che esso "è stato apprestato dal legislatore in considerazione della diminuzione del valore che la sua alterazione arreca all'intero edificio e, quindi, anche alle singole unità immobiliari che lo compongono. Pertanto, il giudice del merito, per stabilire se in concreto vi sia stata lesione di tale decoro, oltre ad accertare se esso risulti leso o turbato, deve anche valutare se tale lesione o turbativa determini o meno un deprezzamento dell'intero fabbricato, essendo lecito il mutamento estetico che non cagioni un pregiudizio economicamente valutabile o che, pur arrecandolo, si accompagni a un'utilità la quale compensi l'alterazione architettonica che non sia di grave e appariscente entità". Ciascun partecipante al condominio di edifici può agire in giudizio per la tutela del decoro architettonico della proprietà comune: pertanto l'azione del condomino a tutela del decoro architettonico dell'edificio in condominio, estrinsecazione di facoltà insita nel diritto di proprietà, è imprescrittibile (tra le molte, Cass. 15 maggio 1987, n. 4474; Cass. 27 marzo 1998, n. 32380; Cass. 7 giugno 2000, n. 7727).

In conclusione nel caso di specie pare di capire che non solo tali presupposti non siano stati rispettati, essendosi pregiudicato il decoro architettonico dell’edificio, ma che la stessa decisione sia stata presa in assenza del quorum richiesto dall'art.1117-ter c.c. Pertanto, come correttamente prospettava lo scrivente, si potrebbe chiedere inizialmente in via amichevole una sistemazione differente delle rastrelliere (più "decorosa"). In caso di esito negativo, lo scrivente potrà agire in via giudiziale per richiedere l'annullamento della delibera assembleare a causa del mancato rispetto del quorum dei 4/5 richiesto per la modifica della destinazione d'uso del bene comune rispetto a quanto previsto dal regolamento condominiale originario, ed eventualmente anche per violazione del decoro architettonico.

B) Quanto alla seconda questione, relativa alla validità o meno della delibera assembleare che ha rinnovato il mandato dell'amministratore, occorre premettere che il tema della maggioranza richiesta per tale operazione è ancora molto discusso in giurisprudenza. L'orientamento più recente ritiene che sia sufficiente la maggioranza semplice. Si è infatti precisato che, per l'adozione di una decisione di conferma dell'amministratore di condominio, la normativa di riferimento è rinvenibile, quanto alla regolarità della costituzione e della votazione, nel combinato disposto degli articoli 1135 e 1136 del codice civile, e, per quanto riguarda l'individuazione quantitativa dei quorum deliberativi nel comma 3 del citato articolo 1136 c.c.
Infatti una recente pronuncia (Tribunale di Palermo, 29 gennaio 2015) ha affermato che l'articolo 1135 c.c. ricomprende tra le facoltà discrezionali dell'assemblea anche quella relativa alla “alla conferma dell'amministratore e all'eventuale sua retribuzione”; che l'articolo 1136 c.c., quando al comma 4 individua le materie per le quali prevedere la necessità di una maggioranza “qualificata”, cita espressamente “la nomina e la revoca” senza in alcun modo ricomprendere in detto insieme anche, appunto, la “conferma”. Da ciò deriva che i quorum maggiori non possono estendersi ad una fattispecie non citata. Poiché l'articolo 1135 c.c. prevede, tra le attribuzioni dell'assemblea dei condomini, la conferma dell'amministratore in carica, ne consegue che per tale ultima ipotesi appare sufficiente la maggioranza ordinaria di un terzo dei partecipanti al condominio che rappresentino un terzo dei millesimi di proprietà e non serve la maggioranza qualificata di almeno 500 millesimi prescritta per la nomina (così Tribunale di Roma, 15 maggio 2009; Tribunale di Bologna, 17 settembre 2009). Pertanto la maggioranza per la conferma dell'amministratore è quella semplice dell'articolo 1136 comma secondo e terzo (cioè quella per convocazione).

Ciò premesso, in caso di mancanza del raggiungimento del quorum necessario per la validità della delibera, trovandosi nella fase della mediazione, si potrà tentare una risoluzione amichevole che porti alla semplice ripetizione della votazione. In caso di esito negativo sarà necessario procedere all'impugnazione della delibera per vie giudiziali al fine di ottenerne l'annullamento, di modo da poter poi ripetere la votazione.

R. L. chiede
mercoledì 09/08/2023
“Quesito: trattasi di un condominio a 4 piani con una colonna di scarico fognario condominiale che si sviluppa esternamente (non è incassata nella muratura ma è a vista nel prospetto) in altezza in prossimità dei balconi. Un condomino tempo fa ha ampliato un bagno in corrispondenza del balcone attraversato dalla colonna condominiale (inglobandosi nel bagno una porzione del balcone compreso il tratto di colonna di scarico condominiale che attraversa il piano), pertanto ritrova all’interno del suo bagno un finto pilastro che maschera la colonna. Di recente si è verificata una perdita di detta colonna causando infiltrazioni con evidenti segni di umidità nella parete sia del bagno che della camera confinante. Il condomino proprietario dell’alloggio pretende che sia il condominio a farsi totale carico della riparazione compresi i lavori smantellamento e ripristino della parte di colonna che si è incassato all’interno del bagno (non si sa se avesse il titolo urbanistico per aver ampliato il bagno) . Si evidenzia che se la colonna fosse stata lasciata come in origine a vista, primo non avrebbe causato i danni di degrado da infiltrazione e secondo sarebbe stato un intervento (a carco del condominio) molto più agevole e molto meno oneroso inquanto si sarebbe trattato semplicemente di sostituire un tratto di tubazione di metri 3 di lunghezza.
Domanda: è legittima la richiesta del condomino? Come ci dovremo comportare? Ringrazio”
Consulenza legale i 14/08/2023
L’art.1122 del c.c. ci dice che il condomino nelle parti dell’edificio di sua proprietà esclusiva non può compiere opere che danneggino le parti comuni o comunque determinino pregiudizio alla stabilità, sicurezza e decoro architettonico dell’edificio.
Ragionando all’ inverso la norma che si sta commentando non fa altro che ribadire il principio secondo il quale il singolo proprietario all’ interno della propria unità immobiliare può compiere tutte le opere che ritiene utili e necessarie seppur debba rimanere entro i limiti dettati dalla norma medesima.

D'altronde l’ art. 832 del c.c., il quale introduce nel nostro ordinamento il diritto di proprietà tutelato a livello costituzionale anche dall’ art. 42 Cost., prevede che il proprietario possa godere e disporre della cosa in modo pieno ed esclusivo con i limiti e l’osservanza delle norme dell’ordinamento giuridico: l’art.1122 del c.c. non è altro che un evidente esempio di questi limiti imposti dall’ ordinamento a cui faceva appunto cenno l’art. 832 del c.c.

Per dare una risposta all’autore del quesito quindi è prima di tutto necessario chiedersi se l’intervento operato dal condomino nel suo appartamento abbia in effetti causato un danno ed un pregiudizio alla colonna di scarico che è appunto una parte comune dell’edificio ai sensi dell’art. 1117 del c.c. Purtroppo però non vengono offerti sotto questo aspetto sufficienti spunti di riflessione per dare una risposta approfondita, risposta che comunque non deve essere fornita da un legale, ma da un tecnico edile a cui ci si dovrebbe rivolgere per capire se effettivamente gli interventi effettuati nell’appartamento privato abbiano creato nocumento alla colonna fognaria.

Se il tecnico confermasse l’illegittimità dell’intervento di ristrutturazione, vi sarebbero gli estremi per pretendere anche per via giudiziaria che il condomino ripristini la situazione della colonna di scarico nella situazione antecedente alla realizzazione dei lavori, in quanto sarebbe evidente la violazione dell’art. 1122 del c.c.

Al contrario, se invece il tecnico confermasse il fatto che i lavori effettuati dal condomino non hanno in realtà arrecato alcun danno alla colonna di scarico, e quindi non comportano una violazione delle norme del codice civile che si sono citate, le pretese del proprietario che ha ristrutturato il suo appartamento sarebbero del tutto legittime.
Infatti, confermata la legittimità dell’intervento, l’inglobamento della colonna di scarico all’interno dell’appartamento non ne fa venir meno la natura condominiale: essa rimane un bene necessario al funzionamento dell’impianto comune e quindi utile a tutti i proprietari.

La giurisprudenza (Cass. Civ. n. 20593/2018) ha ribadito come la condominialità di un determinato bene o servizio ricompreso nell’edificio risieda nella sua attitudine funzionale al servizio o al godimento collettivo: e cioè sia collegato, strumentalmente, materialmente o funzionalmente con le unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli condomini, in rapporto con queste da accessorio a principale.
In questa seconda ipotesi quindi i lavori per ripristinare la corretta funzionalità della colonna di scarico dovranno essere ripartiti tra tutti i condomini, ivi compresi i lavori di ripristino nei locali ad uso esclusivo.


S. M. chiede
venerdì 23/12/2022 - Piemonte
“Buongiorno,
recentemente abbiamo unito 2 appartamenti i quali avevano accesso da 2 scale diverse.
In seguito all'unione e la relativa modifica catastale, una delle due scale non la utilizziamo più.
L'amministratore continua comunque ad addebitarci le spese per la gestione ordinaria e straordinaria della scala inutilizzata. Volevo sapere se siamo obbligati a dover partecipare a tali spese.
In attesa di cortese riscontro porgo cordiali saluti.

Consulenza legale i 02/01/2023
Le scale, come stabilito dall’art. 1117 del c.c., sono considerate bene di proprietà comune di tutti i condomini, salvo l’esistenza di un titolo contrario.
Infatti, le scale e i relativi pianerottoli sono strutture funzionalmente essenziali del fabbricato che servono, oltre che per permettere di raggiungere i singoli appartamenti, anche come mezzo per accedere al tetto dell’edificio, anch’esso parte comune condominiale in assenza di un titolo negoziale contrario (Cass. civ. n. 9986/2017, Cass. civ. n. 4372/2015, Cass. civ. n. 1498/1998).

Per quanto riguarda la ripartizione delle spese delle parti comuni, il riferimento è l’art. 1123 del c.c. che stabilisce l’obbligatorietà del pagamento di esse per tutti i condomini in base al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convezione.
Lo stesso articolo indica che: 1) se i beni sono destinati a servire in maniera di diversa i singoli condomini, le spese vengono calcolate in misura proporzionale all’uso; 2) le spese per i beni che servono solo una parte dell’edificio, sono a carico solo di coloro che ne godono.

Il principio generale stabilito dall’art. 1123 c.c. si trova esplicitato dall’art. 1124 c.c. che indica le modalità di ripartizione delle spese delle scale.
Le spese sono ripartite tra le unità immobiliari a cui sono asservite e la quantificazione è fatta in base al valore di ciascun immobile e in misura proporzionale all’altezza dal suolo.

Dalle norme di legge si nota che non c’è alcun riferimento all’utilizzo effettivo come criterio per la ripartizione delle spese, sicché si considera che il principio che vige sia quello della potenzialità all’uso del bene comune, non rilevando l’uso più intensivo o la diversa destinazione data ad un appartamento.

Non è quindi rilevante, ai fini di stabilire se le spese per il mantenimento della scala siano dovute o meno, il fatto che il proprietario dell’appartamento non la utilizzi perché non serve più per l’ingresso nella propria unità immobiliare.

Nel caso di specie, dunque, il proprietario delle due unità immobiliari unite che affacciano su scale e pianerottoli diversi, dovrà continuare a sostenere i costi per il mantenimento di essi, indipendentemente dal fatto che usi o meno in concreto la scala.
Può, infatti, potenzialmente riprendere ad utilizzarla in qualsiasi momento e per la natura di bene comune essenziale per la struttura dell’edificio, rimarrà sempre obbligato a sostenerne le spese.

L’unico modo per esonerare il condomino dal pagamento delle spese della scala che non usa, potrà essere l’approvazione di una delibera assembleare votata all’unanimità o la stipula di una convenzione tra tutti i condomini e da essi sottoscritta, che sia opponibile anche ai futuri acquirenti delle unità immobiliari.

Patrizia M. chiede
lunedì 15/03/2021 - Lombardia
“La mia richiesta ha lo scopo di verificare se io abbia fondati diritti, e se sì, quali possibilità di pretendere l'adozione di misure atte a risolvere i problemi legati al degrado e al decoro dell'immobile dove abito oltre a varie turbative del mio diritto di proprietà. Si tratta di una di casa di corte, nella quale sono proprietaria di una porzione, libera su tre lati, oltre ad una unità immobiliare separata e pertinenziale (autorimessa). In questa corte vi sono altre 3 unità immobiliari appartenenti a tre altri distinti proprietari (vicino A, vicino B, vicino C). Le unità non sono costituite in condominio, ma hanno vari elementi in comune perché tutto l'edificio con corte apparteneva un tempo ad un solo proprietario ed è stato in varie successive riprese suddiviso fino a comprendere le attuali 4 unità immobiliari. Gli elementi in comune sono una facciata esterna ed una interna, il tetto e l'androne di passaggio. Alcune unità hanno in comune anche gli impianti fognari, che sono ubicati in una porzione di corte privativa e soggetta a servitù di accesso, carico e scarico, veduta e sporto di gronda a favore della mia proprietà, la quale si trova interclusa.

Elenco e riassumo i punti critici presenti, pregandoVi di esaminare se le mie richieste siano fondate giuridicamente e come possa agire per tutelarmi.

a) IMMISSIONE FUMI E DECORO FACCIATA ESTERNA COMUNE
1) l'uscita dello scarico/gas della caldaia del vicino A è situato in posizione troppo bassa e sotto il livello del tetto della mia veranda (vedi scarico in alto a ds. nella foto 1), emanando continuamente fumi di odore acre che si immettono nella mia porzione di casa in proporzione alla direzione del vento;
2) i fili elettrici e il punto luce sono stati installati dal vicino A in spregio del decoro della facciata esterna ed interna, facendo inoltre passare i fili elettrici su di un muro non suo, quello della mia autorimessa, che non è un muro comune bensì di mia esclusiva proprietà (foto 2);

b) DECORO FACCIATA ESTERNA COMUNE
il tubo del gas è stato fatto installare sulla facciata esterna comune dal vicino B durante la ristrutturazione del suo appartamento nel 2015, senza alcun riguardo per l'estetica e il decoro della facciata stessa, lasciando inoltre nel muro, la sua vecchia nicchia con il vecchio contatore e il vecchio tubo del gas, abbandonati sulla facciata senza alcuno scopo di utilità (foto 3).

c) MANUTENZIONE CANALE DI GRONDA, POSIZIONE MOTORE CONDIZIONATORE, TURBATIVA DIRITTO DI SERVITÙ DI VEDUTA
1) tale canale è costantemente intasato di foglie e di rifiuti ed è totalmente inclinato verso il canale di gronda di mia proprietà, in direzione del quale, a causa di questa pendenza, si vanno a riversare tutte le acque piovane del suo tetto (foto 4). Queste acque tracimano poi all'interno della mia veranda ogni qualvolta vi siano forti piogge. Vi sono inoltre continue azioni di disturbo nel mio uso (regolare servitù iscritta in atti) del locale caldaia adiacente;
2) il motore del condizionatore d'aria del vicino C è posizionato su una delle facciate interne (cortile) sul mio passaggio verso casa (foto 5);
3) il mio diritto di veduta (regolare servitù dichiarata nei titoli di proprietà) è leso con continui comportamenti emulativi da parte del vicino (foto 6).

Allego a parte una piantina e la documentazione fotografica citata, e Vi chiedo di trattare il mio quesito e gli allegati in forma riservata e di non pubblicarli né sul Vs. sito né altrove.

RingraziandoVi, invio cordiali saluti”
Consulenza legale i 20/03/2021
Il quesito offre diversi spunti di riflessione che si andranno ad affrontare per paragrafi separati.

a) Immissioni fumi
L’art. 844 del c.c. al suo primo comma ci detta una regola estremamente importante che giova ripeterla in tale sede: "Il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi".

Se si analizza sommariamente tale importante norma del codice civile, si nota subito una prima importante regola: le immissioni di fumo e le esalazioni derivanti dal fondo del vicino sono di per se considerate lecite e non possono essere vietate o limitate.
Tale principio generale trova una importante limite nel momento in cui la immissione supera la normale tollerabilità. Interessante in questo senso e Cass.Civ.,Sez.II, n.939 del 17.01.2011, la quale ci dice che l’immissione supera la normale tollerabilità quando essa pregiudica le altrui condotte di vita.
Da qui ne discende che l’esalazione di fumo e l’odore acre diventano un atto illecito del nostro vicino e quindi come tale idonei per essere contestati in giudizio, solo nel momento in cui essi non siano meramente episodici, ma si protraggono per un considerevole periodo di tempo durante la giornata. Solo in questo caso si potrebbe ragionare di una eventuale illiceità della immissione con tutte le conseguenze che ne deriverebbero.
Da quello che ci è dato capire, le immissioni non sono di una intensità tale da integrare il requisito richiesto dalla giurisprudenza assolutamente dominante.

Forse sarebbe più interessante e proficuo capire se lo scarico dei fumi possa considerarsi a norma ed anche capire la eventuale tossicità di ciò che promana dall’impianto, ma sotto questo aspetto non sono stati dati sufficienti elementi per esprimere un parere sul punto. Il consiglio che ci si sente di dare è di far periziare lo scarico da un termotecnico per avere una prima idea su come muoversi.

b) Decoro architettonico
Il decoro architettonico seppur non espressamente definito dal nostro codice civile, rimane uno degli istituti più rilevanti del diritto condominiale e una delle cause che più genera contenzioso tra i proprietari.
La mancanza di una specifica definizione legislativa è stata colmata dalla giurisprudenza che oramai con le pronunce che si sono susseguite negli anni è giunta ad una definizione che si può considerare acquisita.
Per decoro architettonico si intende l’insieme delle linee armoniche che caratterizzano l’estetica del fabbricato: si ha la sua lesione quando un determinato intervento, sia su parti comuni che su parti in proprietà esclusiva, comporta una loro alterazione esteticamente peggiorativa.

La problematica maggiore delle controversie aventi ad oggetto la tutela del decoro architettonico, sta proprio nella soggettività del concetto, rendendo di fatto estremamente incerto l’esito di un eventuale contenzioso. Una determinata opera, infatti, può apparire del tutto in linea con l’estetica del fabbricato per il tecnico edile chiamato da un condomino a difenderlo in giudizio, come invece può apparire del tutto disarmonioso per il tecnico di controparte, o per quello nominato dal giudice chiamato a dirimere il contenzioso.

A mitigare l’assoluta soggettività del concetto la giurisprudenza a più riprese ha precisato che l’alterazione delle linee estetiche del fabbricato non è di per sé sufficiente affinché si possa verificare una lesione del decoro architettonico, ma tale alterazione deve essere significativa e rilevante per portare ad una rimozione dell’opera lesiva e tradursi in un pregiudizio economicamente valutabile per giustificare un eventuale risarcimento del danno.

Fatta questa dovuta premessa è importante, anche in questo caso, far periziare la facciata dell’edificio da un tecnico edile che possa dire se le opere contestate dall’autore del quesito provochino una alterazione delle linee architettoniche del palazzo tale da poter giustificare un contenzioso.

Soffermiamoci però un po’ più attentamente su un aspetto importante che viene fatto notare nel quesito: le opere che vengono accusate di ledere il decoro, erano un tempo al servizio esclusivo di un appartamento e oggi, a seguito di ristrutturazione, sono inutilizzate.
Sulla base di quanto riferito nel quesito, si ritiene che tali opere sono inerenti ad un diritto di servitù, molto probabilmente costituitosi per destinazione del padre di famiglia, a favore dell’appartamento del vicino e a carico del condominio, in quanto i muri portanti ed esterni del corpo di fabbrica devono considerarsi comuni a tutti.

Posto questo, può il singolo condomino richiedere la rimozione delle opere attinenti ad una servitù inutilizzata? L’art. 1027 del c.c., ci dice che le servitù sono un peso posto su un fondo detto servente per l’utilità di un altro fondo detto dominante. In altri termini, la servitù trova la sua giustificazione nel momento in cui essa arreca un vantaggio al fondo dominante che giustifica una limitazione al diritto di proprietà del fondo servente: nel caso specifico, l’utilità era rappresentata dalla possibilità per l’appartamento del vicino di allacciarsi alla rete del gas.

Tale utilità è sicuramente venuta meno a seguito della ristrutturazione del 2015, ma ciò, purtroppo, non è causa di per se per chiederne la rimozione. L’art.1074 del c.c. ci dice che il venir meno della utilità della servitù non fa estinguere la servitù, se non dopo che sia decorso il termine di prescrizione ventennale indicato dal precedente art. 1073 del c.c. Il termine di prescrizione decorre dal giorno in cui si è cessato di usare la servitù.

La rimozione di tali opere quindi potrà essere pretesa solo se si dimostrerà in giudizio che esse non sono utilizzate da venti anni, a meno che non si riesca a dimostrare che esse ledono il decoro architettonico nei limiti che si sono detti poco sopra.

Attenzione ad un altro aspetto importante. Nel quesito si dice che vi sono alcuni muri di proprietà esclusiva, perché facenti parte delle singole unità immobiliari: tale affermazione non può dirsi scontata. Se infatti, il muro è parte integrante della facciata del corpo di fabbrica, o è elemento portante della costruzione esso viene considerato comune ai sensi del n.1) dell’art. 1117 del c.c. e quindi sicuramente condominiale. Anche in questo caso solo un tecnico edile può illuminarci sulla effettiva natura del bene.


c) Manutenzione del canale di gronda
Sotto questo aspetto, sarebbe utile esaminare i rogiti di acquisto delle singole unità abitative per capire se sono stati costituiti delle specifiche servitù.

Tuttavia al di là di quello che dispongono i rogiti, si ha il forte sospetto (per non dire la certezza), che tutto il sistema di scolo di acque del corpo di fabbrica, e quindi anche la gronda ricompresa in tale sistema debba considerarsi bene condominiale ai sensi del n.1) dell’art.1117 del c.c,. in quanto necessario all’uso comune. La riprova di tale affermazione risiede proprio nel fatto che la scarsa manutenzione della gronda pregiudica anche le proprietà circostanti.
Ciò comporta un vantaggio, in quanto l’autore del quesito avrebbe tutto il diritto di attivarsi autonomamente per pulire la gronda intasata: anche essa infatti deve considerarsi bene di sua proprietà. Quanto sostenuto per la pulizia potrà poi essere preteso pro quota agli altri proprietari o ai sensi dell’art. 1134 del c.c., se la spesa riveste il carattere di urgenza, o, altrimenti, ai sensi dell’art. 2031 del c.c.

E’ ovvio che se gli altri proprietari non provvedono al pagamento spontaneamente sarebbe possibile teorizzare un ricorso alla autorità giudiziaria, come lo si potrebbe fare nel caso in cui la situazione di inefficienza della gronda causasse un danno alla proprietà esclusiva dell’autore del quesito, ma in questo caso i danni vanno dimostrati.

Se, viceversa, la gronda deve considerarsi come bene esclusivo del vicino e quindi non condominiale, l’autore del quesito può pretendere, anche giudizialmente, che la stessa sia tenuta in buono stato manutentivo invocando l’art. 908 del c.c., il quale dispone: "Il proprietario deve costruire i tetti in maniera che le acque piovane scolino sul suo terreno e non può farle cadere nel fondo del vicino". Anche in questo caso se lo scolo abusivo causa un danno dimostrabile questo può essere fatto valere in giudizio.
Ad ogni modo per tutte le motivazioni che si sono già dette si è convinti che la gronda rivesta carattere di bene comune condominiale

d) Disturbo diritto di servitù accesso locale caldaia e diritto di veduta

Da quanto ci è dato capire l’autore del quesito è molestato nel possesso di due diritti di servitù, uno di veduta e uno di passaggio e utilizzo del locale caldaia. Nel quesito non ci si dilunga particolarmente nel descrivere come in concreto vengono poste in essere tali azioni di disturbo, ma, anche analizzando il materiale fotografico a corredo, si ritiene che i vicini pongano in essere varie, distinte condotte tese ad ostruire e a rendere più difficoltoso il pacifico godimento di tali diritti regolarmente riconosciuti nei rogiti di acquisto della proprietà.

Se si riuscisse a dimostrare le azioni di disturbo con materiale fotografico e testimonianze, si potrebbe teorizzare la possibilità di radicare innanzi alla autorità giudiziaria una azione di manutenzione del possesso ex art. 1170 del c.c., tesa ad ottenere un provvedimento che imponga ai vicini la cessazione dei comportamenti molesti. Anche in questo caso si potrebbe pretendere un risarcimento, se si riuscisse a raggiungere la prova di aver subito un effettivo danno patrimoniale derivante dalle condotte di disturbo. L’azione di manutenzione ha il vantaggio di poter godere di un rito piuttosto celere, compatibilmente alla situazione dei tribunali nel nostro paese, ma deve essere iniziata entro l’anno dalla sofferta turbativa. Tale rigido termine decadenziale non deve di per sé spaventare, in quanto, se i comportamenti che arrecano molestia sono più di uno e distinti nel tempo, tale termine si rinnova al compimento di ogni condotta.

In conclusione vi sono diversi spunti per tutelare entro certi limiti le ragioni dell’autore del quesito, spunti che necessariamente devono essere approfonditi, non solo con un legale ma anche con un tecnico che necessariamente affianchi l’avvocato nella sua attività.

Ci si sente comunque di consigliare, piuttosto che una causa giudiziaria, l’istituto della mediazione civile, strumento che se accompagnato da buon senso e spirito conciliativo potrebbe dare maggiori soddisfazioni in tempi più rapidi.

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