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Articolo 1123 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 28/02/2023]

Ripartizione delle spese

Dispositivo dell'art. 1123 Codice Civile

Le spese necessarie(1) per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell'edificio [1117, 1122], per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno [1118 2; 68], salvo diversa convenzione(2).

Se si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione dell'uso che ciascuno può farne(3).

Qualora un edificio abbia più scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti destinati a servire una parte dell'intero fabbricato, le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condomini che ne trae utilità [1124-1126; 63](4).

Note

(1) Si tratta di una tipica obbligazione propter rem.
(2) Il primo comma riguarda le spese relative a beni e servizi di cui tutti godono indistintamente, comprese le innovazioni deliberate dalla maggioranza.
La norma può essere derogata solo dall'unanimità dei condomini (normalmente, in un regolamento predisposto dall'originario proprietario e poi recepito nei singoli atti d'acquisto).
(3) Il secondo comma deroga al primo, sulla base del principio di equità sostanziale. Ad esempio, i proprietari di negozi al piano terra, non sono tenuti a partecipare alle spese di illuminazione delle scale che conducono agli appartamenti posti ai piani superiori.
(4) Tale comma si applica anche al condominio parziale.
A seguito della riforma del condominio entrata in vigore nel 2013, l'art. 1118 del c.c. stabilisce espressamente il diritto del condomino a distaccarsi dall'impianto centralizzato di riscaldamento o condizionamento, ipotesi che in precedenza era ricondotta al comma in commento.

Ratio Legis

La norma disciplina la suddivisione interna delle spese tra i condomini, non la loro responsabilità verso l'esterno.
Con la sentenza a Sezioni Unite n. 9148/2008 la Cassazione ha stabilito che anche le obbligazioni contratte dal condominio hanno natura parziaria rispetto ai terzi creditori: quindi, le obbligazioni assunte nell'interesse del condominio si imputano ai singoli componenti soltanto in proporzione alle rispettive quote.

Spiegazione dell'art. 1123 Codice Civile

Vari criteri di ripartizione delle spese

Come per l' art. 1118 del c.c. il diritto di ciascun condomino sulle cose comuni è proporzionato al valore del piano o porzione di piano che gli appartiene, laddove il titolo non disponga altrimenti, così per l'art. 1123 le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innova zioni deliberate dalla maggioranza a norma dell' art. 1118 del c.c. sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno.

Il riferimento alla proprietà separata di ciascuno è sempre giustificato dal fatto che la cosa comune non interessa per se stessa, ma in relazione alle proprietà separate di cui costituisce un elemento. La diversa convenzione non ha bisogno di essere originaria con la stessa comunione, ma può essere anche modificativa di un’ altra precedente.

Presupposto per l'applicazione del primo comma dell'art. 1123 è che il godimento dei vari proprietari, per sua natura, sia proporzionale al valore delle proprietà di ciascuno, e cioè sostanzialmente di uguale misura. Se, invece, si tratta di cose destinate a poter servire i condomini in misura diversa, giusto il capoverso dell'articolo, le spese sono ripartite in proporzione dell'uso che ciascuno può farne.

La norma cosi formulata si differenzia formalmente da quella contenuta nel capoverso dell'art. 14 del R.D.L. 15 gennaio 1934, secondo la quale, se si tratta di cose il cui uso sia suscettibile di divisione, le spese di cui sopra sono ripartite fra i condomini in proporzione dell'uso che essi ne facciano. Ed a prima vista potrebbe anche sembrare che alla differenza formale corrisponda anche una differenza sostanziale.

Nella formula dell'art. 1123, invero, non solo si presuppone che l'uso delle cose comuni sia suscettibile di divisione, ma che la destinazione stessa della cosa sia per un uso in misura diversa, e la ripartizione delle spese sembrerebbe fatta in proporzione all'uso che ciascuno può fame e non già in proporzione all'uso che ciascuno ne fa.

Nel caso di uso suscettibile di divisione, sembrerebbe, cioè dato pensare che, mentre per l'art. 14 del R.D.L. è data rilevanza all'uso effettivo separato e quindi il partecipante in tanto contribuisce in quanto usa e può non contribuire, non partecipando all'uso, per l'art. 1123 il proprietario sarebbe sempre tenuto a contribuire in misura proporzionale all'uso che la cosa comune è destinata a rendergli possibile, sia che egli ne usi effettivamente ed in quella misura sia che non ne usi affatto o non in quella misura.

Ma non sembra che la diversa formulazione autorizzi questa diversa interpretazione. Il capoverso dell’art. 1123 deve essere interpretato restrittivamente, nel senso che le spese cui esso si riferisce sono solo quelle per l’uso e non quelle per la conservazione della cosa comune, che sono a carico di tutti i partecipanti indipendentemente dall’uso. Per quanto riguarda le spese di godimento, il ragguaglio all’uso che ciascuno può farne non è in riferimento ad un uso potenziale, conforme alla destinazione della cosa, ma in riferimento all’uso che ciascun partecipante effettivamente ne fa, secondo la sua destinazione. Ora in questa possibilità di uso rientra anche il non uso, essendo anche questa una facoltà del partecipante.

Data la grandiosità degli edifici che oggi si costruiscono è perfettamente possibile che un edificio abbia più scale, cortili, lastrici solari, opere od impianti destinati a servire una parte soltanto dell’intero fabbricato, e che il loro uso sia effettivamente riservato a distinti gruppi di condomini. L’elencazione ovviamente è esemplificativa. In tal caso tali parti non cessano di essere comuni a tutti, in mancanza di una diversa disposizione del titolo, ma le spese relative alla loro manutenzione sono a carico di coloro che ne traggono utilità, giusto l’ultimo comma dell’art. 1123: appare quindi chiara la ragionevolezza della norma in esame.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

529 Nell'art. 1123 del c.c. ho fuso le disposizioni degli articoli 13 e 14 del R. decreto-legge 15 gennaio 1934, concernenti la ripartizione delle spese per la conservazione e per il godimento delle parti comuni, nonché la ripartizione delle spese per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza nei limiti dei suoi poteri. Ho poi dettato negli articoli 1124, 1125 e 1126 particolari norme, come già faceva il codice del 1865 negli articoli 562 e 563, per le spese di manutenzione e di ricostruzione delle scale, dei soffitti, delle volte, dei solai e di quei lastrici solari che siano di uso esclusivo. Per quanto riguarda le scale, ho abbandonato il sistema del codice del 1865 (art. 562, quarto comma), che poneva le spese relative a carico dei proprietari di quei piani a cui serviva ciascun tratto di scala, in ragione del valore dei piani stessi. Tale sistema infatti portava a conseguenze non dei tutto eque, aggravando eccessivamente l'onere dei proprietari degli ultimi piani. Ho ripartito invece le spese per la manutenzione e ricostruzione tra i proprietari dei diversi piani, a cui le scale servono, per metà in ragione del valore dei singoli piani o porzioni di piano e per l'altra metà in misura proporzionale all'altezza di ciascun piano dal suolo (art. 1124, primo comma). È giusto che i proprietari degli ultimi piani contribuiscano in misura maggiore, perché è da presumere che col maggior uso diano luogo al maggior consumo delle scale. Sarebbe però eccessivo che i proprietari delle soffitte o camere a tetto e dei palchi morti contribuissero in ragione dell'altezza, perché in questi casi viene meno la presunzione del maggior logorio in conseguenza dell'uso, trattandosi di locali non destinati ad abitazione; perciò ho stabilito che questi proprietari, come quelli delle cantine, concorrano soltanto nella metà delle spese stesse che è ripartita in ragione del valore dei singoli piani o porzioni di piano (art. 1124 del c.c., secondo comma). Circa le spese relative alla manutenzione e ricostruzione dei soffitti, delle volte e dei solai, ho creduto giusto disporre (art. 1125 del c.c.) che tali spese siano sostenute in parti eguali dai proprietari dei due piani l'uno all'altro sovrastanti, restando a carico del proprietario del piano superiore la copertura del pavimento e a carico del proprietario del piano inferiore l'intonaco, la tinta e la decorazione del soffitto. Le spese di manutenzione e di ricostruzione dei lastrici solari sono a carico dei condomini che ne traggono utilità, in proporzione del valore del piano o della porzione di piano di proprietà di ciascuno. Siccome però può darsi che del lastrico solare alcuni condomini traggano soltanto l'utilità che deriva dalla funzione principale del lastrico, che è quella di servire, come il tetto, alla copertura dell'edificio o di una parte dell'edificio, mentre altri condomini, oltre che trarre tale utilità, abbiano del lastrico solare l'uso esclusivo, il godimento diretto, in quanto si servono di esso come potrebbero servirsi di una terrazza, è sembrato giusto per questa ipotesi porre le spese di manutenzione e di ricostruzione per un terzo a carico dei condomini che del lastrico hanno l'uso esclusivo e per gli altri due terzi a carico di tutti i condomini dell'edificio a cui il lastrico serve di copertura, in proporzione del valore del piano o della porzione di piano di ciascun condomino (art. 1126 del c.c.). In fondo, la distinzione tra i due gruppi di condomini era già contenuta nell'art. 563 del codice del 1865, il quale disponeva che, ove l'uso del lastrico solare non fosse comune a tutti i condomini, quelli che ne avevano l'uso esclusivo,"per ragion del calpestio", erano tenuti a contribuire per un quarto - quota che mi è sembrata troppo esigua - nelle spese di riparazione e di ricostruzione, mentre gli altri tre quarti erano a carico così di costoro come degli altri condomini nelle proporzioni indicate dal precedente art. 562.

Massime relative all'art. 1123 Codice Civile

Cass. civ. n. 22573/2020

Alle spese di potatura degli alberi che insistono su suolo oggetto di proprietà esclusiva di un solo condomino sono tenuti a contribuire tutti i condomini, allorché si tratti di piante funzionali al decoro dell'intero edificio e la potatura stessa avvenga per soddisfare le relative esigenze di cura del decoro stesso. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata per l'omesso esame del vincolo di destinazione imposto dal comune al costruttore circa il congruo numero di alberature da mettere a dimora, al fine di verificare se gli alberi oggetto di abbattimento e di reimpianto concorressero, in virtù del detto vincolo, a costituire il decoro architettonico dell'edificio). Conf.: Sez. 2, Sentenza n. 3666 del 18/04/1994 (Rv. 486256-01). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO ROMA, 14/10/2015).

Cass. civ. n. 24927/2019

In tema di conservazione del tetto di un edificio condominiale, le relative spese vanno ripartite - salvo che si tratti di tetto di proprietà esclusiva, assimilato al lastrico solare e, perciò, soggetto all'applicazione dell'art. 1126 c.c. - tra tutti i condomini in misura proporzionale al valore delle singole proprietà esclusive, ai sensi della prima parte dell'art. 1123 c.c., trattandosi di bene rientrante, per la funzione necessaria all'uso collettivo, tra le cose comuni, in quanto deputato a preservare l'edificio condominiale da agenti atmosferici e dalle infiltrazioni d'acqua piovana e non riconducibile, per contro, fra quelle parti suscettibili di destinazione al servizio dei condomini in misura diversa, ovvero al godimento di alcuni condomini e non di altri, di cui all'art. 1123, commi 2 e 3, c.c. (Nella specie, la S.C. ha confermato la pronuncia di merito, che aveva ravvisato l'obbligo di un condomino di concorrere alle spese di manutenzione del tetto del fabbricato, seppur non sovrastante alcuna unità immobiliare di sua proprietà esclusiva, in quanto strutturalmente destinato anche alla protezione dell'atrio comune). (Rigetta, CORTE D'APPELLO PERUGIA, 21/11/2017).

Cass. civ. n. 6010/2019

In tema di condominio di edifici, se le cose comuni sono destinate a servire i condòmini in misura diversa, le spese, a meno che non vi sia un diverso accordo adottato all'unanimità dalle parti, vanno ripartite in proporzione all'uso che ogni condomino può farne, come stabilito dall'art. 1123, comma 2, c.c. (Rigetta, CORTE D'APPELLO TORINO, 26/05/2014).

Cass. civ. n. 9280/2018

In tema di cd. condominio minimo, in mancanza di tabelle regolarmente approvate, la quota di partecipazione alle spese gravante sui singoli proprietari deve essere determinata dal giudice in base alla disciplina del condominio di edifici di cui all'art. 1123 c.c. e, quindi, tenendo conto del valore delle loro proprietà esclusive, e non, invece, applicando la regolamentazione in materia di comunione prevista dall'art. 1101 c.c., secondo la quale, in assenza di altra indicazione degli accordi, le quote si presumono uguali.

Cass. civ. n. 26360/2017

Il condomino risponde dei danni da lui causati alle parti comuni, solo se vi sia stato riconoscimento di responsabilità o all'esito di un accertamento giudiziale, non potendo l'assemblea, in mancanza di tali condizioni, porre a suo carico l’obbligo di ripristino, o imputargli a tale titolo alcuna spesa, ed essendo obbligata ad applicare, come criterio di ripartizione della spesa, la regola generale stabilita dall’art. 1123 c.c..

Cass. civ. n. 12580/2017

In tema di condominio negli edifici, è valida la clausola del regolamento contrattuale che, in ipotesi di rinuncia o distacco dall'impianto di riscaldamento centralizzato, ponga, a carico del condomino rinunciante o distaccatosi, l'obbligo di contribuzione alle spese per il relativo uso in aggiunta a quelle, comunque dovute, per la sua conservazione, potendo i condomini regolare, mediante convenzione espressa, adottata all'unanimità, il contenuto dei loro diritti ed obblighi e, dunque, ferma l'indisponibilità del diritto al distacco, suddividere le spese relative all'impianto anche in deroga agli artt. 1123 e 1118 c.c., a ciò non ostando alcun vincolo pubblicistico di distribuzione di tali oneri condominiali dettato dall'esigenza dell'uso razionale delle risorse energetiche e del miglioramento delle condizioni di compatibilità ambientale.

Cass. civ. n. 8520/2017

In tema di condominio di edifici, qualora le tabelle millesimali allegate al regolamento condominiale contrattuale non abbiano formato oggetto di modifica con il consenso unanime di tutti i condomini, ovvero con sentenza del giudice ex art. 69 disp. att. c.c., nonostante le variazioni di consistenza o di destinazione delle singole unità immobiliari, la ripartizione delle spese condominiali va effettuata in conformità alle tabelle stesse, salva la facoltà del condomino, richiesto del pagamento della quota di pertinenza, di proporre domanda, anche riconvenzionale, di revisione o modifica delle tabelle ai sensi del citato art. 69 nei confronti di tutti i condomini.

Cass. civ. n. 3892/2017

Il credito dell'amministratore di condominio per le anticipazioni delle spese da lui sostenute non può ritenersi provato in mancanza di una regolare contabilità che, sebbene non debba redigersi con forme rigorose, analoghe a quelle prescritte per i bilanci delle società, deve, però, essere idonea a rendere intellegibili ai condomini le voci di entrata e di uscita, con le relative quote di ripartizione, così da rendere possibile l’approvazione da parte dell’assemblea condominiale del rendiconto consuntivo.

Cass. civ. n. 22573/2016

In tema di condominio negli edifici, le spese del riscaldamento centralizzato sono legittimamente ripartite in base al valore millesimale delle singole unità immobiliari servite, ove manchino sistemi di misurazione del calore erogato in favore di ciascuna di esse, che ne consentano il riparto in proporzione all'uso.

Cass. civ. n. 4127/2016

Sussiste condominio parziale "ex lege", in base alla previsione di cui all'art. 1123, comma 3, c.c., ogni qualvolta un bene, rientrante tra quelli ex art. 1117 c.c., sia destinato, per obiettive caratteristiche strutturali e funzionali, al servizio e/o godimento esclusivo di una parte soltanto dell'edificio condominiale; tale figura risponde alla "ratio" di semplificare i rapporti gestori interni alla collettività condominiale, sicché il "quorum", costitutivo e deliberativo, dell'assemblea nel cui ordine del giorno risultino capi afferenti la comunione di determinati beni o servizi limitati solo ad alcuni condomini, va calcolato con esclusivo riferimento a costoro ed alle unità immobiliari direttamente interessate.

Cass. civ. n. 22179/2014

In tema di condominio, la fossa settica posta nel sottosuolo dell'edificio, nella quale confluiscono i liquami provenienti dagli scarichi dei sovrastanti appartamenti, rientra tra le parti comuni, in forza della presunzione di condominialità di cui all'art. 1117, n. 1, cod. civ., salvo che il contrario non risulti da un titolo, con la conseguenza che i singoli condomini che utilizzano l'impianto devono contribuire alle relative spese di utilizzazione e manutenzione, e sono tenuti, ai sensi dell'art. 2051 cod. civ., al risarcimento dei danni da esso eventualmente causati agli altri condomini o a terzi.

Cass. civ. n. 17880/2014

In tema di condominio negli edifici, l'art. 1123, secondo comma, cod. civ. si applica per le spese attinenti alle parti e ai servizi che, per loro natura, sono destinati a fornire utilità diverse ai singoli condomini, sicché esso non trova applicazione per la spesa di messa a norma dell'impianto elettrico condominiale, il quale, ai sensi dell'art. 1117, n. 3, cod. civ., in mancanza di titolo contrario, è comune a tutti i condomini.

Cass. civ. n. 17557/2014

In tema di condominio negli edifici, salva diversa convenzione, la ripartizione delle spese della bolletta dell'acqua, in mancanza di contatori di sottrazione installati in ogni singola unità immobiliare, deve essere effettuata, ai sensi dell'art. 1123, primo comma, cod. civ., in base ai valori millesimali, sicché è viziata, per intrinseca irragionevolezza, la delibera assembleare, assunta a maggioranza, che, adottato il diverso criterio di riparto per persona in base al numero di coloro che abitano stabilmente nell'unità immobiliare, esenti dalla contribuzione i condomini i cui appartamenti siano rimasti vuoti nel corso dell'anno.

Cass. civ. n. 27233/2013

In tema di condominio negli edifici, ove manchi una diversa convenzione adottata all'unanimità, che sia espressione dell'autonomia contrattuale, la ripartizione delle spese generali deve necessariamente avvenire secondo i criteri di proporzionalità, fissati nell'art. 1123, primo comma, c.c., non essendo, consentito all'assemblea, mediante deliberazione a maggioranza, di suddividere con criterio "capitario" gli oneri necessari per la prestazione di servizi nell'interesse comune.

Cass. civ. n. 10053/2013

In tema di condominio negli edifici, il principio secondo cui, in ipotesi di danni alle parti comuni ascrivibili ad uno o ad alcuni dei condomini, sussiste l'obbligo del responsabile di assumere l'onere del relativo ripristino, non osta a che, fino a quando il singolo partecipante non abbia riconosciuto la propria responsabilità o essa non sia stata accertata in sede giudiziale, l'assemblea abbia il potere di ripartire tra tutti i condomini le spese di ricostruzione o riparazione dei beni danneggiati, secondo le regole generali, in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, fermo restando il diritto di costoro di agire, individualmente o mediante l'amministratore, per ottenere dal responsabile il rimborso di quanto anticipato. (Nella specie, in applicazione dell'enunciato principio, la S.C. ha negato la nullità della delibera assembleare di approvazione dei lavori di rifacimento di un tetto comune e di ripartizione delle relative spese tra i condomini, pur trattandosi di opere imposte da un precedente intervento edilizio, costituente illecito urbanistico, unilateralmente eseguito sul medesimo tetto da alcuni comproprietari).

Cass. civ. n. 64/2013

In tema di condominio negli edifici, le parti dell'edificio - muri e tetti - ( art. 1117, n. 1 c.c.) ovvero le opere ed i manufatti - fognature, canali di scarico e simili (art. 1117 n. 3, c.c.) - deputati a preservare l'edificio condominiale da agenti atmosferici e dalle infiltrazioni d'acqua, piovana o sotterranea, rientrano, per la loro funzione, fra le cose comuni, le cui spese di conservazione sono assoggettate alla ripartizione in misura proporzionale al valore delle singole proprietà esclusive, ai sensi della prima parte dell'art. 1123 c.c., non rientrando, per contro, fra quelle parti suscettibili di destinazione al servizio dei condomini in misura diversa, ovvero al godimento di alcuni condomini e non di altri, di cui all'art. 1123, secondo e terzo comma c.c.

Cass. civ. n. 28679/2011

In materia di condominio di edifici, è legittima, in quanto posta in essere in esecuzione di una disposizione di regolamento condominiale, avente natura contrattuale, la delibera assembleare che disponga, in deroga al criterio legale di ripartizione delle spese dettato dall'art.1123 c.c., che le spese di manutenzione ordinaria e straordinaria dell'impianto di ascensore (come nella specie) siano a carico anche delle unità immobiliari che non usufruiscono del relativo servizio, tenuto conto che la predetta deroga è consentita, a mezzo di espressa convenzione, dalla stessa norma codicistica.

Cass. civ. n. 19893/2011

In tema di condominio negli edifici, poiché tra le spese indicate dall'art. 1104 c.c., soltanto quelle per la conservazione della cosa comune costituiscono "obligationes propter rem", è legittima la rinuncia di un condomino all'uso dell'impianto centralizzato di riscaldamento - anche senza necessità di autorizzazione o approvazione da parte degli altri condomini - purché l'impianto non ne sia pregiudicato, con il conseguente esonero, in applicazione del principio contenuto nell'art. 1123, secondo comma, c.c., dall'obbligo di sostenere le spese per l'uso del servizio centralizzato; in tal caso, egli è tenuto solo a pagare le spese di conservazione dell'impianto stesso. Né può rilevare, in senso impediente, la disposizione eventualmente contraria contenuta nel regolamento di condominio, anche se contrattuale, essendo quest'ultimo un contratto atipico meritevole di tutela solo in presenza di un interesse generale dell'ordinamento.

Cass. civ. n. 15309/2011

In caso di alienazione di un immobile di proprietà esclusiva in condominio, nel quale siano stati deliberati lavori di straordinaria manutenzione per riparare un danno già cagionato ad un singolo condomino, eseguiti successivamente alla compravendita, al fine dell'identificazione del soggetto obbligato alla contribuzione alle spese condominiali, deve considerarsi che l'accertamento stesso dell'emergenza conservativa o emendativa di danni a terzi, compiuto dal condominio, determina l'insorgenza dell'obbligo conservativo in capo a tutti i condomini, e pone l'eventuale successiva approvazione delle relative spese in una prospettiva meramente esecutiva ed esterna rispetto alla già compiuta individuazione della persona dell'obbligato.

Cass. civ. n. 23345/2008

In tema di condominio, una volta perfezionatosi il trasferimento della proprietà di un'unità immobiliare, l'alienante perde la qualità di condomino e non è più legittimato a partecipare alle assemblee, potendo far valere le proprie ragioni sul pagamento dei contributi dell'anno in corso o del precedente, solo attraverso l'acquirente che gli è subentrato. Ne consegue che non può essere chiesto ed emesso nei suoi confronti decreto ingiuntivo ai sensi dell'articolo 63 disp. att. cod. proc. civ per la riscossione dei contributi condominiali, atteso che la predetta norma di legge può trovare applicazione soltanto nei confronti di coloro che siano condomini al momento della proposizione del ricorso monitorio.

Cass. civ. n. 9148/2008

In riferimento alle obbligazioni assunte dall'amministratore, o comunque, nell'interesse del condominio, nei confronti di terzi in difetto di un'espressa previsione normativa che stabilisca il principio della solidarietà, trattandosi di un'obbligazione avente ad oggetto una somma di denaro, e perciò divisibile, vincolando l'amministratore i singoli condomini nei limiti delle sue attribuzioni e del mandato conferitogli in ragione delle quote, in conformità con il difetto di struttura unitaria del condominio la responsabilità dei condomini è retta dal criterio della parziarietà, per cui le obbligazioni assunte nell'interesse del condominio si imputano ai singoli componenti soltanto in proporzione delle rispettive quote, secondo criteri simili a quelli dettati dagli artt. 752 e 1295 c.c. per le obbligazioni ereditarie.

Cass. civ. n. 2760/2008

L'esistenza di un condominio «di fatto» tra assegnatari di case di abitazione, realizzate dall'I.A.C.P. (Istituto Autonomo Case Popolari), non determina nei singoli partecipanti l'obbligo del versamento dei contributi condominiali ai sensi dell'art. 1123 c.c. in quanto, la gestione autonoma delle parti comuni dell'edificio è legittimamente esercitata, ai sensi dell'art. 24 del D.P.R. n. 1035 del 1972, solo se preventivamente autorizzata dall'Ente a seguito di apposita richiesta formulata dal sessanta per cento degli assegnatari.

Cass. civ. n. 23308/2007

L'obbligo del singolo condomino di contribuire in misura proporzionale al valore della sua unità immobiliare alle spese necessarie per la manutenzione e riparazione delle parti comuni dell'edificio e alla rifusione dei danni subiti dai singoli condomini nelle loro unità immobiliari, a causa dell'omessa manutenzione o riparazione delle parti comuni, trova la sua fonte nella comproprietà delle parti comuni dell'edificio e non nella specifica condotta illecita ad esso attribuibile, potendo tale condotta, ove provata, esclusivamente far sorgere a suo carico l'obbligo di risarcire il danno complessivamente prodotto ex art. 2043 c.c. Tale principio trova applicazione anche quando i danni derivino da vizi e carenze costruttive dell'edificio, salva l'azione di rivalsa, ove possibile, nei confronti del costruttore.

Cass. civ. n. 9641/2006

In tema di contributi condominiali, per il caso che la relativa controversia sia devoluta al giudizio di equità del giudice di pace, costituiscono principi informatori della materia quelli che impongono al condominio di corrispondere le spese per la conservazione ed il godimento delle parti comuni, nonché per la prestazione dei servizi comuni e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza, e ripartite in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, deliberazione e riparto da effettuarsi sulla base del valori millesimali. (La S.C. ha pertanto confermato la sentenza del giudice di pace che aveva accolto la opposizione del condominio al decreto con cui gli era stato ingiunto il pagamento dei contributi condominiali, anche per essere nulla la relativa delibera condominiale, non essendo state ripartite le spese in base alla quota di proprietà di ciascun condomino ).

Cass. civ. n. 27292/2005

La deliberazione dell'assemblea condominiale di ripartizione della spesa, finalizzata alla riscossione dei conseguenti oneri dei singoli condomini, costituisce titolo di credito del condominio e, di per sé, prova l'esistenza di tale credito, legittimando, senz'altro, non solo la concessione del decreto ingiuntivo, ma anche la condanna del singolo condomino a pagare le somme all'esito del giudizio di opposizione che quest'ultimo proponga contro tale decreto, il cui ambito sia ristretto solamente alla verifica dell'esistenza e dell'efficacia della deliberazione assembleare medesima relativa all'approvazione della spesa e alla ripartizione degli inerenti oneri.

Cass. civ. n. 16982/2005

Anche se, ai sensi dell'art. 1123 c.c., la ripartizione delle spese fra i condomini va compiuta in proporzione della proprietà di ciascuno, l'amministratore deve attenersi alle tabelle millesimali esistenti (che, pur avendo natura valutativa e non attributiva della proprietà, vanno applicate — in quanto approvate ed accettate — finché non siano state modificate) e, pertanto, non è tenuto ad esaminare i titoli di acquisto dei singoli condomini ed a valutarli, di sua iniziativa, come (eventualmente) difformi dalle tabelle, adeguando conseguentemente il riparto delle spese a tale valutazione coinvolgente la posizione di tutti gli altri condomini. Ne consegue che, qualora il condomino intenda denunciare la violazione dell'art. 1123 c.c., è tenuto ad impugnare le tabelle, chiedendone la modica giudiziale, e non il piano di riparto redatto in base alle tabelle medesime.

Cass. civ. n. 2946/2005

In tema di condominio, poiché, le spese di riscaldamento delle parti comuni, avendo ad oggetto il godimento della cosa comune, rientrano fra quelle generali, è applicabile il criterio di riparto stabilito dal primo comma dell'art. 1123 c.c. con riferimento al valore della proprietà di ciascun condomino, e non quello dell'uso differenziato dettato dal secondo comma, il quale non opera per le spese generali. Pertanto, trovando la partecipazione a tali spese fondamento nella comproprietà delle cose comuni, il singolo condomino non può sottrarsi all'obbligo di contribuirvi, mentre le particolari caratteristiche dell'impianto di riscaldamento assumono rilievo esclusivamente in tema di spese di conservazione e di manutenzione. (Nella specie, la Suprema Corte, nel ritenere legittima la ripartizione delle spese di riscaldamento delle parti comuni in base al valore della proprietà di ciascuno dei condomini e non dell'uso differenziato, ha escluso la rilevanza della mancata utilizzazione delle unità immobiliari di proprietà esclusiva, considerando altresì ininfluente, ai fini della decisione, l'esame delle particolari caratteristiche dell'impianto, che — secondo l'assunto della ricorrente — sarebbe stato privo di caldaia e di generatore centralizzati).

Cass. civ. n. 12013/2004

In tema di spese necessarie per la conservazione e il godimento delle parti comuni, poiché l'obbligo di ciascun condomino di contribuirvi insorge nel momento in cui si rende necessario provvedere ai lavori che giustificano la spesa, e non quando il debito viene determinato in concreto, qualora sia pronunciata sentenza di condanna nei confronti del condominio per inosservanza dell'obbligo di conservazione delle cose comuni, il condomino creditore che intenda agire in executivis contro il singolo partecipante per il recupero del proprio credito accertato dalla sentenza, deve rivolgere la propria pretesa, sia per il credito principale, che per quello, accessorio, relativo alle spese processuali, contro chi rivestiva la qualità di condomino al momento in cui l'obbligo di conservazione è insorto, e non contro colui che tale qualità riveste nel momento in cui il debito viene giudizialmente determinato.

Cass. civ. n. 1420/2004

In tema di oneri condominiali, non è applicabile alle spese di conservazione (art. 1123, primo comma c.c.), qual è quella per la sostituzione della caldaia, il criterio di ripartizione in proporzione dell'uso (art. 1123, secondo comma c.c.). Ne consegue che la ripartizione delle spese per la sostituzione della caldaia va effettuata secondo i millesimi di proprietà e non secondo i millesimi del riscaldamento e tale normativa è derogabile solo per via contrattuale, attraverso una convenzione che obblighi tutti i condomini, non rientrando tra le attribuzioni della assemblea condominiale quella di deliberare in ordine a criteri di ripartizione delle spese in contrasto con quelli previsti dalla legge, traducendosi una tale delibera in una lesione dei diritti del singolo condomino attraverso il mutamento del valore riconosciuto alla parte di edificio di sua proprietà esclusiva.

Cass. civ. n. 12298/2003

In tema di condominio negli edifici, l'attività di custodia e di vigilanza è dal portiere svolta anche nell'interesse dei proprietari delle unità immobiliari accessibili direttamente dalla strada mediante autonomo ingresso, e le spese del servizio di portierato vanno ripartite ai sensi dell'art. 1123 c.c. in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno dei condomini.

Cass. civ. n. 6323/2003

In tema di spese necessarie per la conservazione e il godimento delle parti comuni, che costituiscono l'oggetto di un'obbligazione propter rem, in quanto conseguenza della contitolarità del diritto reale su beni e servizi comuni, l'obbligazione di ciascun condomino di contribuire alle spese per la conservazione dei beni comuni nasce nel momento in cui è necessario eseguire le relative opere, mentre la delibera dell'assemblea di approvazione della spesa, che ha la funzione di autorizzarla, rende liquido il debito di cui in sede di ripartizione viene determinata la quota a carico di ciascun condomino, sicché, in caso di compravendita di un'unità immobiliare sita in edificio soggetto al regime del condominio, è tenuto alla spesa colui che è condomino al momento in cui si rende necessario effettuare la spesa.

Cass. civ. n. 3712/2003

In tema di ripartizione di spese condominiali relative all'erogazione di acqua, l'amministratore che abbia stipulato con l'ente erogatore un contratto avente ad oggetto il consumo complessivo del fabbricato onde beneficiare dell'applicazione di una tariffa agevolata, può poi, del tutto legittimamente, calcolare la ripartizione interna delle spese pro quota in considerazione dei singoli ed effettivi consumi di ciascuno dei condomini, a prescindere dalla circostanza che questi, singolarmente considerati nel loro consumo, non avrebbero consentito l'applicazione della suddetta tariffa agevolata.

Cass. civ. n. 1277/2003

Le disposizioni in materia di condominio possono legittimamente ritenersi applicabili al consorzio costituito tra proprietari di immobili per la gestione delle parti e dei servizi comuni di una zona residenziale, pur appartenendo indiscutibilmente il consorzio alla categoria delle associazioni, non esistendo schemi obbligati per la costituzione di tali enti, ed assumendo, per l'effetto, rilievo decisivo la volontà manifestata dagli stessi consorziati con la regolamentazione contenuta nelle norme statutarie. Salvo che la legge o lo statuto richiedano la forma espressa o addirittura quella scritta, la volontà di partecipare alla costituzione del consorzio o di aderire al consorzio già costituito può essere manifestata anche tacitamente e desumersi da presunzioni o fatti concludenti, quali la consapevolezza di acquistare un immobile compreso in un consorzio oppure l'utilizzazione in concreto dei servizi posti a disposizione dei consorziati. Solo la partecipazione al consorzio può determinare l'obbligazione di versare la quota stabilita dagli organi statutariamente competenti, legittimando la pretesa di pagamento. (In applicazione di tali principi, la Suprema Corte ha cassato senza rinvio la sentenza impugnata, che, essendosi formato il giudicato in ordine alla insussistenza di una volontà della parte di partecipare al Consorzio manifestata tacitamente, era incorsa nel vizio di extrapetizione affermando che la parte stessa, acquistando l'immobile, aveva assunto due obbligazioni collegate da rapporto di strumentalità, aventi ad oggetto, l'una, la partecipazione alle spese comuni e, l'altra, l'adesione al consorzio).

Cass. civ. n. 641/2003

Alla stregua della stessa lettera dell'art. 1123 c.c., la disciplina legale della ripartizione delle spese per la conservazione ed il godimento delle parti comuni dell'edificio è, in linea di principio, derogabile, con la conseguenza che deve ritenersi legittima la convenzione modificatrice di tale disciplina, contenuta nel regolamento condominiale di natura contrattuale, ovvero nella deliberazione dell'assemblea, quando approvata da tutti i condomini.

Cass. civ. n. 5035/2002

In caso di azione giudiziale dell'amministratore del condominio per il recupero della quota di spese di competenza di una unità immobiliare di proprietà esclusiva, è passivamente legittimato il vero proprietario di detta unità e non anche chi possa apparire tale — come il venditore il quale, pur dopo il trasferimento della proprietà (non comunicato all'amministratore), abbia continuato a comportarsi da proprietario — difettando, nei rapporti fra condominio, che è un ente di gestione, ed i singoli partecipanti ad esso, le condizioni per l'operatività del principio dell'apparenza del diritto, strumentale essenzialmente ad esigenze di tutela dell'affidamento del terzo in buona fede, ed essendo, d'altra parte, il collegamento della legittimazione passiva alla effettiva titolarità della proprietà funzionale al rafforzamento e al soddisfacimento del credito della gestione condominiale.

Cass. civ. n. 3944/2002

In materia di condominio, è valida la disposizione del regolamento condominiale, di natura contrattuale, secondo cui le spese generali e di manutenzione delle parti comuni dell'edificio vanno ripartite in quote uguali tra i condomini, giacché il diverso e legale criterio di ripartizione di dette spese in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascun condomino (art. 1123 c.c.) è liberamente derogabile per convenzione (quale appunto il regolamento contrattuale di condominio), né siffatta deroga può avere alcuna effettiva incidenza sulla disposizione inderogabile dell'art. 1136 c.c. ovvero su quella dell'art. 69 disp. att. c.c., in quanto, seppure con riguardo alla stessa materia del condominio negli edifici, queste ultime disciplinano segnatamente i diversi temi della costituzione dell'assemblea della validità delle deliberazioni e delle tabelle millesimali.

Cass. civ. n. 10560/2001

Le obbligazioni a carico del condomino connesse alla proprietà comune dell'impianto centralizzato di riscaldamento vengono meno nella ipotesi in cui costui sia stato escluso dal relativo servizio per distacco della diramazione ai locali di sua esclusiva proprietà, disposto dallo stesso condominio allo scopo di procedere alle necessarie riparazioni; e per il protrarsi di tale distacco a causa della inerzia del condominio medesimo, senza che rilevi in contrario la decisione, presa, in conseguenza di ciò, dal condominio, di attivare un impianto autonomo di riscaldamento. (Nella specie, alla stregua del principio di cui alla massima, la S.C. ha confermato la decisione dei giudici di merito che aveva accolto la impugnazione della delibera condominiale con la quale le spese di gestione dell'impianto centralizzato di riscaldamento per gli anni 1989-90 e 1990-91 erano state poste a carico anche dei condomini di una delle palazzine del condominio che, per detto periodo, era stata esclusa dalla fruizione del servizio per distacco, protrattosi nel tempo, disposto dal condominio stesso, con taglio della condotta dell'alimentazione, allo scopo di eliminare le perdite di pressione e di acqua riscontrate).

Cass. civ. n. 6849/2001

L'obbligo del condomino di contribuire in misura proporzionale al valore della sua unità immobiliare alle spese necessarie per la manutenzione e riparazione delle parti comuni dell'edificio e alla rifusione dei danni subiti dai singoli condomini, nelle loro unità immobiliari, a causa della omessa manutenzione e riparazione previsto dall'art. 1123 c.c., ovvero trattandosi di lastrici solari nella misura indicata nell'art. 1126 c.c., trova la sua fonte nella comproprietà delle parti comuni dell'edificio non anche in una sua particolare condotta, commissiva ed omissiva, che, peraltro, se provata, può determinare, relativamente alle spese occorrenti per porre rimedio alle conseguenze negative di tale condotta, la sua esclusiva responsabilità ai sensi dell'art. 2043 c.c. Tale obbligo di contribuzione vale anche per le spese necessarie per eliminare vizi e carenze costruttive originarie dell'edificio condominiale, salva in questo caso, l'azione di rivalsa nei confronti del costruttore-venditore e si estende anche alle spese necessarie per riparare i danni che i singoli condomini subiscono nelle loro unità immobiliari.

Cass. civ. n. 1959/2001

Nel caso in cui vi sia stata una sentenza definitiva di condanna del condominio, in persona dell'amministratore, al risarcimento del danno che un terzo abbia subito per carente manutenzione di un bene che si assume comune soltanto al alcuni dei proprietari dei piani o appartamenti siti nell'edificio (cosiddetto condominio parziale), non è preclusa al singolo condomino l'azione diretta all'accertamento in suo favore delle condizioni di cui all'art. 1123, secondo e terzo comma c.c., ai fini dell'applicazione del criterio ivi previsto per la ripartizione degli oneri derivanti dalla sentenza di condanna del condominio.

Cass. civ. n. 8292/2000

In tema di oneri condominiali, la funzione ed il fondamento delle spese occorrenti per la conservazione dell'immobile si distinguono dalle esigenze che presiedono alle spese per il godimento dello stesso, come è dato evincere, in via di principio generale, dal disposto dell'art. 1104 c.c. — dettato in tema di comunione — , e, sub specie dei rapporti di condominio, dalla norma di cui all'art. 1123 stesso codice, a mente della quale i contributi per la conservazione del bene sono dovuti in ragione della appartenenza e si dividono in proporzione alle quote (indipendentemente dal vantaggio soggettivo espresso dalla destinazione delle parti comuni a servire in misura diversa i singoli piani o porzioni di piano), mentre le spese d'uso (che traggono origine dal godimento soggettivo e personale) si suddividono in proporzione alla concreta misura di esso, indipendentemente dalla misura proporzionale dell'appartenenza (e possono, conseguentemente, mutare, del tutto legittimamente, in modo affatto autonomo rispetto al valore della quota). Ne consegue, con particolare riguardo alla norma di cui all'art. 1123 terzo comma c.c., che il criterio di ripartizione di spese ivi disciplinato (a differenza di quanto previsto, in linea generale, nel precedente secondo comma del medesimo articolo) deve ritenersi applicabile alle ipotesi di condominio cosiddetto parziale (risultando, in caso contrario, la norma in parola una inutile ripetizione di quella che la precede), così che, qualora le cose, gli impianti ed i servizi comuni siano destinati a servire una parte soltanto del fabbricato, l'art. 1123 terzo comma, nell'ambito della più vasta compartecipazione, identifica precipuamente i soggetti obbligati a concorrere alle spese di conservazione, individuandoli nei condomini cui il condominio è attribuito per legge ai sensi dell'art. 1117 c.c. (salva diversa attribuzione per titolo).

Cass. civ. n. 1956/2000

Il principio dell'ambulatorietà passiva ha riscontro nell'art. 63, comma secondo, att. c.c.; in virtù di esso l'acquirente di una unità immobiliare condominiale può essere chiamato a rispondere dei debiti condominiali del suo dante causa, solidalmente con lui, ma non al suo posto, ed opera nel rapporto tra il condominio ed i soggetti che si succedono nella proprietà di una singola unità immobiliare, non anche nel rapporto tra quest'ultimi. In questo secondo rapporto, salvo che non sia diversamente convenuto tra le parti, è invece operante il principio generale della personalità delle obbligazioni; l'acquirente dell'unità immobiliare risponde soltanto delle obbligazioni condominiali sorte in epoca successiva al momento in cui, acquistandola, è divenuto condomino; e se, in virtù del principio dell'ambulatorietà passiva di tali obbligazioni sia stato chiamato a rispondere delle obbligazioni condominiali sorte in epoca anteriore, ha diritto a rivalersi nei confronti del suo dante causa.

Cass. civ. n. 1033/2000

In tema di condominio di edifici, al fine della ripartizione delle spese comuni, perché sia giustificata l'adozione di un criterio di ripartizione diverso da quello fissato in via generale dall'art. 1123 c.c. e commisurato alla quota di proprietà di ciascun condomino, occorre che, così come previsto dal primo comma della norma citata, la deroga sia prevista espressamente. Pertanto, il fatto che per alcune parti dell'edificio specificatamente indicate nel titolo come comuni, la misura della partecipazione di ciascun condomino alla comunione risulti determinata in misura diversa a quella corrispondente alla rispettiva quota di proprietà esclusiva. (Nella specie, in parti uguali tra i condomini, anziché in millesimi di proprietà) non implica che tale diversa misura si estenda alle restanti parti comuni.

Cass. civ. n. 857/2000

L'obbligo del condomino di pagare i contributi per le spese di manutenzione delle parti comuni dell'edificio deriva non dalla preventiva approvazione della spesa e dalla ripartizione della stessa, ma dalla concreta attuazione dell'attività di manutenzione e sorge quindi per effetto dell'attività gestionale concretamente compiuta e non per effetto dell'autorizzazione accordata all'amministrazione per il compimento di una determinata attività di gestione. (Nella specie avendo il condomino ammesso di non avere pagato le quote richieste e non contestato il loro ammontare, è stata ritenuta superflua e priva di fondamento ogni altra questione, ivi compresa quella concernente la nullità delle deliberazioni assembleari poste a fondamento del decreto ingiuntivo emanato nei suoi confronti).

Cass. civ. n. 13505/1999

La ripartizione della spesa condominiale può essere, del tutto legittimamente, deliberata anche in assenza di appropriata tabella millesimale, purché risulti in concreto rispettata la proporzione tra la quota di spesa posta a carico di ciascun condomino e la quota di proprietà esclusiva a questi appartenente, essendo il criterio di determinazione delle singole quote preesistente ed indipendente dalla formazione della predetta tabella. Ne consegue che il condomino il quale ritenga che la ripartizione della spesa contrasti con tale criterio ha l'onere di impugnare la delibera, indicando in quali esatti termini si sia consumata la violazione in suo danno, e quale pregiudizio concreto ed attuale gliene sia derivato.

Cass. civ. n. 7890/1999

Il singolo condomino risponde verso gli altri condomini dei danni causati da guasti verificatisi nella sua proprietà esclusiva e deve, perciò, sostenere la relativa spesa, ove abbia riconosciuto la propria responsabilità o essa sia stata accertata in sede giudiziale. Tuttavia, fino a quando l'obbligo risarcitorio del condomino non risulti in uno di tali modi accertato, l'assemblea non può porre a suo carico detto obbligo, né imputargli a tale titolo alcuna spesa, non potendo l'assemblea disattendere l'ordinario criterio di ripartizione, né la tabella millesimale e dovendo, invece, applicare la regola generale stabilita dall'art. 1123 c.c., secondo cui ogni addebito di spesa deve essere effettuato in base alla quota di partecipazione di ciascun condomino alla proprietà comune, cioè in base ai millesimi. Pertanto, in difetto di accertamento dell'obbligo risarcitorio in uno dei due modi indicati, la suddetta spesa dev'essere dall'assemblea provvisoriamente ripartita, secondo gli ordinari criteri di ripartizione, tra tutti i condomini, fermo restando il diritto di costoro di agire, singolarmente o per mezzo dell'amministratore, contro il condomino ritenuto responsabile, per ottenere il rimborso di quanto anticipato. (Omissis).

Cass. civ. n. 129/1999

Autorizzato dall'assemblea dei condomini il distacco delle diramazioni di alcune unità immobiliari dall'impianto centrale di riscaldamento - sulla base della valutazione che dal distacco sarebbe derivata un'effettiva riduzione delle spese di esercizio e, per contro, non sarebbe stato determinato uno squilibrio in pregiudizio del regolare funzionamento dell'impianto — e venuta meno la possibilità che i medesimi locali fruiscano del riscaldamento, l'impianto non può considerarsi destinato al servizio dei predetti piani o porzioni di piano. Consegue che i proprietari di queste unità abitative non devono ritenersi tenuti a contribuire alle spese per un servizio, che nei confronti dei loro immobili non viene prestato.

Cass. civ. n. 9263/1998

Il contributo alla spesa per un servizio comune destinato ad esser fruito in misura diversa dai singoli condomini deve esser ripartito in proporzione all'utilizzazione di esso e non ai millesimi — come invece avviene per il riscaldamento, per impossibilità di accertarne l'effettiva utilità per ciascun condomino — al fine di evitare un indebito arricchimento rispettivamente a favore e a discapito dei singoli condomini.

Cass. civ. n. 1511/1997

È illegittima la delibera di un condominio, adottata a maggioranza, con la quale si stabilisce un onere di contribuzione delle spese di gestione maggiore a carico di alcuni condomini, sul presupposto della loro più intensa utilizzazione, rispetto agli altri, di parti o servizi comuni, non solo perché la modifica ai criteri legali (art. 1123 c.c.) o di regolamento contrattuale di riparto delle spese richiede il consenso di tutti i condomini, ma anche perché il criterio di riparto in base all'uso differenziato, derivante dalla diversità strutturale della cosa, previsto dal secondo comma dell'art. 1123 c.c., non è applicabile alle spese generali, per le quali opera invece il criterio di cui al primo comma dello stesso articolo, ossia la proporzione al valore della proprietà di ciascuno.

Cass. civ. n. 10492/1996

L'obbligo del condomino di contribuire alle spese necessarie alla conservazione ed al godimento delle parti comuni dell'edificio, alla prestazione dei servizi nell'interesse comune e alle innovazioni deliberate dalla maggioranza trova la sua fonte nella comproprietà delle parti comuni dell'edificio (art. 1123, primo comma, c.c.); con la conseguenza che la semplice circostanza che l'impianto centralizzato di riscaldamento non eroghi sufficiente calore non può giustificare un esonero dal contributo, neanche per le sole spese di esercizio dell'impianto, dato che il condomino non è titolare, nei confronti del condominio, di un diritto di natura contrattuale sinallagmatica e, quindi, non può sottrarsi dal contribuire alle spese allegando la mancata o insufficiente erogazione del servizio.

Cass. civ. n. 10214/1996

Qualora alcuni condomini decidano, unilateralmente, di distaccare le proprie unità immobiliari dall'impianto centralizzato di riscaldamento, i medesimi non possono sottrarsi al contributo per le spese di conservazione del predetto impianto, non essendo configurabile una rinuncia alla comproprietà dello stesso, ma non sono tenuti a sostenere altresì le spese per il relativo uso (nella specie, quelle per l'acquisto del gasolio), salvo che gli altri condomini, in conseguenza del distacco, siano costretti a far fronte ad una spesa maggiore, rispetto alle quote precedenti, restando in tal caso a carico di coloro che lo hanno effettuato l'onere di tale maggiore spesa.

Cass. civ. n. 9366/1996

L'obbligo dei condomini di contribuire al pagamento delle spese condominiali sorge per effetto della delibera dell'assemblea che approva le spese stesse e non a seguito della successiva delibera di ripartizione volta soltanto a rendere liquido un debito preesistente e che può anche mancare ove esistano tabelle millesimali, per cui l'individuazione delle somme concretamente dovute dai singoli condomini è il frutto di una semplice operazione matematica. Pertanto, nel caso di alienazione di un appartamento, obbligato al pagamento dei tributi è il proprietario nel momento in cui la spesa viene deliberata.

Cass. civ. n. 8530/1996

L'amministratore cessato dall'incarico può chiedere il rimborso delle somme da lui anticipate per la gestione condominiale sia nei confronti del condominio legalmente rappresentato dal nuovo amministratore (dovendosi considerare attinente alle cose, ai servizi ed agli impianti comuni anche ogni azione nascente dall'espletamento del mandato, che, appunto, riflette la gestione e la conservazione di quelle cose, servizi o impianti) sia, cumulativamente, nei confronti di ogni singolo condomino, la cui obbligazione di rimborsare all'amministratore, mandatario, le anticipazioni da questo fatte nell'esecuzione dell'incarico deve considerarsi sorta nel momento stesso in cui avviene l'anticipazione e per effetto di essa e non può considerarsi estinta dalla nomina del nuovo amministratore, che amplia la legittimazione processuale passiva senza eliminare quelle originali, sostanziali e processuali.

L'amministratore del condominio ha diritto di richiedere ai singoli condomini il rimborso delle somme da lui anticipate per la gestione condominiale solo nei limiti delle rispettive quote dovendosi ritenere applicabile anche nei rapporti esterni la disposizione dell'art. 1123 c.c., a norma della quale le spese necessarie per la conservazione ed il godimento delle parti comuni dell'edificio, per le prestazioni dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno.

Cass. civ. n. 7353/1996

L'efficacia di una convenzione con la quale, ai sensi dell'art. 1123, primo comma, c.c., si deroga al regime legale di ripartizione delle spese non si estende, in base all'art. 1372 c.c., agli aventi causa a titolo particolare degli originari stipulanti, a meno che detti aventi causa non abbiano manifestato il loro consenso nei confronti degli altri condomini, anche per fatti concludenti, attraverso un'univoca manifestazione tacita di volontà, dalla quale possa desumersi un determinato intento con preciso valore sostanziale.

Cass. civ. n. 6359/1996

Il secondo comma dell'art. 1123 c.c., a norma del quale le spese di conservazione e godimento delle cose destinate a servire i condomini in misura diversa sono ripartite in proporzione dell'uso che ciascuno può farne, essendo inspirata ad una esigenza di disciplina che meglio si adatta alle specifiche caratteristiche del condominio negli edifici, ove le parti comuni hanno una precisa funzione strumentale rispetto alle parti in proprietà esclusiva dei singoli condomini, delle quali esse sono a servizio consentendone l'esistenza e l'uso, costituisce una disposizione speciale rispetto al principio generale dell'art. 1100 c.c., in base al quale le spese debbono gravare su tutti i partecipanti in proporzione del valore delle quote di ciascuno di essi, che si presume eguale quando non risulti diversamente.

In tema di condominio di edifici, il criterio di ripartizione delle spese per la conservazione ed il godimento delle parti comuni, previsto dal primo comma dell'art. 1123 c.c., non si applica quando si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, per le quali, a meno che non vi sia un diverso accordo delle parti, il criterio invece, quello della proporzionalità tra spese ed uso stabilito dal secondo comma del medesimo articolo, o quando si tratta di cose che, benché comuni, sono destinate a servire solo una parte dell'intero fabbricato, per le quali il criterio è, invece, quello del terzo comma, che pone le spese solo a carico dei condomini che traggono utilità dalla cosa. (Nella specie, la Corte di cassazione ha cassato la sentenza del giudice di merito che aveva posto le spese di rifacimento del tetto e della facciata di un edificio dotato di un cortile condominiale nel quale sorgeva una costruzione separata anche a carico dei proprietari di questa costruzione ed in proporzione del valore delle loro proprietà esclusivamente valorizzando la circostanza che per accedere alla costruzione separata era necessario servirsi dell'androne dell'edificio e del cortile comune).

Cass. civ. n. 7077/1995

In tema di condominio di edifici il principio di proporzionalità tra spese ed uso di cui al secondo comma dell'art. 1123 c.c., secondo cui (salva contraria convenzione) le spese per la conservazione ed il godimento delle parti comuni dell'edificio sono ripartite, qualora si tratti di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, in proporzione dell'uso che ciascuno può farne, esclude che le spese relative alla cosa che in alcun modo, per ragioni strutturali o attinenti alla sua destinazione, può servire ad uno o più condomini possano essere poste anche a carico di quest'ultimi. (Nella specie, si trattava delle spese di installazione della porte tagliafuoco dell'atrio comune nel quale di aprivano le porte di alcune autorimesse in proprietà esclusiva di singoli condomini, secondo le prescrizioni della legge 7 dicembre 1984, n. 818 e del D.M. 16 febbraio 1982).

Cass. civ. n. 1255/1995

Nel condominio degli edifici la comproprietà delle parti comuni indicate dall'art. 1117 c.c. e, più in generale, che servono per l'esistenza e l'uso delle singole proprietà immobiliari, alla quale si lega l'obbligo di partecipazione alle relative spese di manutenzione e conservazione (che il primo comma dell'art. 1123 c.c. pone a carico dei condomini in proporzione delle rispettive quote, indipendentemente dalla misura dell'uso) ha il suo fondamento nel collegamento strumentale, materiale o funzionale, ed, in altri termini, nella relazione di accessorio a principale, con le singole unità (piani o porzioni di piano) in proprietà individuale dell'immobile, per cui le cose, i servizi e gli impianti necessari per l'esistenza e l'uso delle unità immobiliari di una parte soltanto dell'edificio appartengono solo ai proprietari di queste (unità) e non ai proprietari delle unità immobiliari dell'altra parte, rispetto alle quali manca quel rapporto di pertinenza che è il presupposto necessario del diritto di comunione. Ne consegue che le spese di manutenzione e conservazione delle cose e degli impianti che servono solo una parte del fabbricato, formando oggetto di condominio separato, debbono essere sostenute solo dai proprietari delle unità immobiliari di questa parte, e non dagli altri, secondo il principio generale del terzo comma dell'art. 1123 c.c., a norma del quale «quando un edificio abbia più scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condomini che ne trae utilità. (Nel caso specifico, è stato negato che i proprietari dei box contenuti in un immobile che, benché posto all'interno del perimetro condominiale delimitato da un muro di cinta, era separato dall'edificio con le unità abitative, dovessero concorrere alle spese di manutenzione della facciata di questo edificio).

Cass. civ. n. 1028/1995

L'accettazione, da parte dei condomini, della tabella millesimale predisposta dal venditore-costruttore ed allegata ai singoli contratti di vendita dà luogo ad una convenzione sui criteri di ripartizione delle spese che, anche se si discosta da quelli fissati dalla legge per la ripartizione delle spese relative alle parti comuni dell'edificio, è vincolata tra le parti, attesa la derogabilità dei predetti criteri legali, salva la possibilità di revisione delle tabelle millesimali per errore sul valore effettivo delle singole unità immobiliari, prevista dall'art. 69 att. c.c.

Cass. civ. n. 7885/1994

I presupposti per l'attribuzione della proprietà comune a vantaggio di tutti i partecipanti vengono meno se le cose, i servizi e gli impianti di uso comune, per oggettivi caratteri materiali e funzionali, sono necessari per l'esistenza e per l'uso, ovvero sono destinati all'uso o al servizio, non di tutto l'edificio, ma di una sola parte, o di alcune parti di esso, ricavandosi dall'art. 1123, comma 3, che le cose, i servizi, gli impianti, non appartengono necessariamente a tutti i partecipanti. Ne consegue che dalle situazioni di cosiddetto «condominio parziale» derivano implicazioni inerenti la gestione e l'imputazione delle spese, in particolare non sussiste il diritto di partecipare all'assemblea relativamente alle cose, ai servizi, agli impianti, da parte di coloro che non ne hanno la titolarità, ragion per cui la composizione del collegio e delle maggioranze si modificano in relazione alla titolarità delle parti comuni che della delibera formano oggetto.

Cass. civ. n. 4814/1994

La partecipazione con il voto favorevole alle reiterate delibere adottate dall'assemblea dei condomini di un edificio per ripartire le spese straordinarie secondo un valore delle quote dei singoli condomini diverso da quello espresso nelle tabelle millesimali, o l'acquiescenza alla concreta applicazione di queste delibere, può assumere il valore di unico comportamento rivelatore della volontà di parziale modifica delle tabelle millesimali da parte dei condomini che hanno partecipato alle votazioni o che hanno aderito o accettato la differente suddivisione e può dar luogo, quindi, per facta concludentia, ad una convenzione modificatrice della disciplina sulla ripartizione delle spese condominiali che, avendo natura contrattuale e non incidendo sui diritti reali, non richiede la forma scritta, ma solo il consenso, anche tacito o per facta concludentia, purché inequivoco, di tutti i condomini.

Cass. civ. n. 10719/1993

A norma degli artt. 1123 c.c. e 63 att. c.c., l'amministratore di un condominio di un edificio può riscuotere pro quota e in base allo stato di ripartizione come approvato dall'assemblea, i contributi e le spese per la manutenzione delle cose comuni e per la prestazione dei servizi nell'interesse comune direttamente ed esclusivamente dai condomini, restando esclusa un'azione diretta nei confronti dei conduttori delle singole unità immobiliari facenti parte del condominio, anche dopo l'entrata in vigore della L. 27 luglio 1978 n. 392, la quale disciplina i rapporti tra locatore e conduttore, senza innovare in ordine alla normativa del codice civile relativa ai soggetti tenuti nei confronti dell'amministrazione di un condominio di un edificio al pagamento dei contributi e delle spese di cui sopra.

Cass. civ. n. 6403/1993

La deliberazione con cui l'assemblea dei condomini approvi la ripartizione delle spese del servizio di riscaldamento centralizzato senza avere prima accertato il volume dei singoli cespiti, in violazione della disposizione del regolamento di condominio che prevede il riparto volumetrico della spesa, non è affetta da nullità bensì soltanto annullabile, ove denunciata dai condomini assenti e dissenzienti nel termine di decadenza di cui all'art. 1137 c.c., non incidendo sui criteri generali da adottare nel rispetto dell'art. 1123 c.c.

Cass. civ. n. 12307/1991

In tema di ripartizione delle spese del servizio condominiale di riscaldamento, i criteri stabiliti dai commi primo e secondo dell'art. 1123 c.c. possono essere derogati — secondo quanto sancisce la detta norma — soltanto da una convenzione sottoscritta da tutti i condomini o da una deliberazione presa dagli stessi in sede assembleare con la unanimità dei consensi dei partecipanti alla comunione; e pertanto non è consentito all'assemblea condominiale, deliberando a maggioranza, di porre in via provvisoria le spese di riparazione degli impianti singoli a carico indistintamente di tutti i condomini.

Cass. civ. n. 8137/1991

Gli assegnatari con patto di futura vendita degli alloggi exGescal, ed ora di proprietà degli Istituti autonomi delle case popolari, nell'ambito di un rapporto che sino alla stipulazione del contratto di compravendita è formalmente di locazione (o comunque ad esso assimilabile), nel caso di amministrazione autonoma contrattualmente assunta delle parti di uso comune dell'edificio condominiale e dei servizi, hanno l'obbligo di sostenere le spese delle opere di manutenzione ordinaria e straordinaria e dei servizi; peraltro, tale obbligo non si estende ai lavori ed opere la cui esecuzione importi modificazioni o trasformazioni strutturali destinate ad incidere sull'oggetto stesso del diritto di proprietà, sia pure limitatamente alle parti di uso comune dell'edificio e degli impianti dei vari servizi: in quest'ultimo caso, rientrante nelle attribuzioni proprie della sfera giuridica del proprietario dello stabile, l'autorizzazione dell'istituto proprietario ad eseguire tali lavori ed opere importa che gli assegnatari dissenzienti non possono ostacolare la esecuzione dei lavori e delle opere da parte degli altri assegnatari, ma non anche che essi abbiano l'obbligo di concorrere nelle relative spese (nella specie le opere concernevano la trasformazione radicale dell'impianto termico).

Cass. civ. n. 11423/1990

In tema di condominio negli edifici le parti dell'edificio — muri e tetti (art. 1117 n. 1 c.c.) — ovvero le opere ed i manufatti — fognature, canali di scarico e simili (art. 1117 n. 3 c.c.) — deputati a preservare l'edificio condominiale dagli agenti atmosferici e dalle infiltrazioni d'acqua, piovana o sotterranea, rientrano, per la loro funzione, fra le cose comuni, le spese per la cui conservazione sono assoggettate alla ripartizione in misura proporzionale al valore delle singole proprietà esclusive ai sensi della prima parte dell'art. 1123 c.c., e non rientrano, per contro, fra quelle parti suscettibili di destinazione al servizio dei condomini in misura diversa ovvero al godimento di alcuni condomini e non di altri (art. 1123, secondo e terzo comma c.c.).

Cass. civ. n. 4653/1990

Il proprietario di appartamenti o locali di un edificio condominiale, ancorché questi non usufruiscano del servizio prodotto dall'impianto di riscaldamento centrale, che sia, però, potenzialmente idoneo a riscaldarli, è comproprietario di tale impianto a norma dell'art. 1117, n. 3, c.c., qualora tale impianto sia già stato installato nell'immobile prima della formazione del condominio, ed è quindi obbligato a contribuire al pagamento delle spese necessarie per la sua manutenzione se il contrario non risulta da un titolo idoneo, senza che osti il riferimento, nell'art. 1117, n. 3, c.c., alla comproprietà dell'impianto per il riscaldamento «fino al punto di diramazione di quest'ultimo ai locali di proprietà esclusiva dei singoli condomini», che non comporta la esclusione dalla comproprietà dei titolari delle unità immobiliari per le quali non siano state contemplate delle diramazioni, avendo il solo scopo di individuare il punto terminale della comunione e, quindi di stabilire quali siano le parti dell'impianto per le quali le spese di riparazione debbono essere ripartite fra i condomini e non porsi a carico dei proprietari dei singoli locali.

Cass. civ. n. 6844/1988

L'art. 1123 c.c., nel consentire la deroga convenzionale ai criteri di ripartizione legale delle spese condominiali, non pone alcun limite alle parti, con la conseguenza che deve ritenersi legittima non solo una convenzione che ripartisca le spese tra i condomini in misura diversa da quella legale, ma anche quella che preveda l'esenzione totale o parziale per taluno dei condomini di partecipare alle spese medesime.

L'obbligazione in base alla quale ciascuno dei condomini è tenuto a contribuire alle spese per la conservazione e manutenzione delle parti comuni dell'edificio è propter rem, essendo strettamente connessa alla contitolarità del diritto di proprietà che i partecipanti alla comunione hanno su di esse, con la conseguenza che deve presumersi l'efficacia reale anche della clausola del regolamento di condominio, di natura contrattuale, con cui la singola unità immobiliare venga esonerata, in tutto o in parte, dal contributo nelle spese stesse — salvo che dalla clausola non risulti la inequivoca volontà di concedere l'esenzione solo a colui che, in un determinato momento, sia proprietario del bene — e deve quindi ritenersi che, detta clausola sia operante anche a favore dei successori, a titolo universale o particolare, del condomino in favore del quale l'esenzione era stata prevista.

Cass. civ. n. 8484/1987

L'art. 1123, primo cpv., c.c., che nell'ipotesi di cose destinate a servire i condomini in misura diversa dispone che le relative spese siano ripartite in proporzione dell'uso da ciascuno fattone, non può subire deroga per la circostanza che l'unità immobiliare sia compresa nella tabella millesimale generale dell'edificio condominiale, in quanto tali tabelle, formate in base al solo valore delle singole unità immobiliari, servono solo per il riparto delle spese generali e di quelle che riguardano le parti dell'edificio comuni a tutti i condomini, ma non sono utilizzabili per il riparto delle spese che non sono comuni a tutti i condomini in ragione del diverso uso delle cose condominiali. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Suprema Corte ha confermato la pronuncia della corte di merito che aveva ritenuto non dovute dalla parte attrice, la cui proprietà era pur inclusa nelle tabelle millesimali, le spese per la manutenzione delle fognature, in quanto il suo locale al piano interrato era sfornito di impianti igienici).

Cass. civ. n. 1253/1985

In tema di ripartizione delle spese condominiali (nella specie: spese del servizio di fornitura dell'acqua calda), i criteri stabiliti dal primo e dal secondo comma dell'art. 1123 c.c. possono essere derogati, secondo quanto prescrive espressamente l'indicata norma, soltanto da una convenzione sottoscritta da tutti i condomini interessati.

Cass. civ. n. 5793/1983

In tema di condominio degli edifici, la deliberazione assembleare, la quale, con riguardo alla ripartizione delle spese di portierato, la estenda anche ai proprietari dei vani terranei senza ingresso nell'androne, deve ritenersi affetta da nullità, non mera annullabilità, con conseguente proponibilità della relativa impugnazione in ogni tempo, anche dopo il termine di decadenza fissato dall'art. 1137 c.c., qualora, adottata a maggioranza, risulti integrare un riparto di dette spese difforme da quello fissato con regolamento condominiale di natura contrattuale, quale quello predisposto dall'unico originario proprietario dell'edificio e poi di volta in volta accettato dagli acquirenti delle singole porzioni, atteso che le disposizioni di tale regolamento sono modificabili solo attraverso una nuova convenzione conclusa dalla totalità dei condomini.

Cass. civ. n. 2489/1982

L'acquirente di appartamento condominiale è tenuto al pagamento delle spese comuni scaturenti da delibera assembleare antecedente all'acquisto (quale deve considerarsi la decisione presa alla unanimità dei condomini, mediante sottoscrizione di un foglio fatto circolare tra gli stessi) sia perché al successore a titolo particolare di uno dei contraenti sono trasferiti non solo tutti i diritti derivanti dal contratto, ma anche tutti gli oneri, ob rem ed in favore dei terzi, sia perché l'obbligo di pagamento delle spese in questione grava su ciascun condomino, ai sensi degli artt. 1104 e 1123 e seguenti c.c., per il solo fatto di avere in atto una quota di proprietà ed anzi, in ipotesi di alienazione di tale quota, si estende, in solido con il dante causa, alle spese dovute da quest'ultimo e non ancora da lui versate al momento dell'alienazione.

Cass. civ. n. 5751/1981

Le spese di portierato in un edificio condominiale, trattandosi di servizio per sua natura tale da assicurare la custodia-vigilanza dell'intero fabbricato, vanno ripartite tra i condomini alla stregua del criterio dettato dall'art. 1123, primo comma, c.c., la cui applicabilità può essere legittimamente negata solo se risulti una contraria convenzione (come espressamente previsto dall'indicata norma) oppure se si accerti che il servizio, per particolari situazioni di cose e luoghi, non può considerarsi reso nell'interesse di tutti condomini. (Nella specie, il S.C., enunciando il surriportato principio, ha ritenuto correttamente applicato l'art. 1123, primo comma, citato dai giudici del merito, che avevano accertato trattarsi di servizio di portierato notturno reso nell'interesse comune, e non dei soli condomini proprietari di autorimesse).

Cass. civ. n. 227/1977

«Spese condominiali necessarie» sono le erogazioni destinate ad assicurare alle cose comuni la destinazione ed il servizio che debbono realizzare e costituenti le finalità del condominio, come le riparazioni per manutenzione ordinaria o straordinaria. Spese «per la prestazione dei servizi nell'interesse comune» (art. 1123 c.c.) sono quelle concernenti opere necessarie alle parti comuni dell'edificio elencate nell'art. 1117 n. 2 e n. 3 c.c., nonché quelle intese ad assicurare il funzionamento dei relativi servizi. Il concetto di «servizi» accolto nell'art. 1123 c.c. non comprende anche le utilità derivanti ai condomini dall'adesione del condominio all'associazione della proprietà edilizia. Pertanto, la spesa per tale adesione non rientra fra quelle necessarie, ai sensi dell'articolo appena citato, ma fra quelle utili.

Cass. civ. n. 3808/1975

L'accordo intervenuto tra i condomini di un edificio in ordine alla ripartizione delle spese condominiali in proporzione agli imponibili catastali di ciascun appartamento non esclude il diritto del singolo condomino di chiedere la formazione, in via giudiziaria, della tabella millesimale e, cioè, l'accertamento dei valori dei vari appartamenti ragguagliati a quello dell'intero edificio ed espressi in millesimi; e ciò, sia perché questo accertamento ha un raggio di efficacia molto più vasto di quella propria allo specifico accordo sulla spartizione delle spese, sia perché quest'ultimo non può ritenersi vincolante per il futuro non essendo agganciato al valore dei piani di proprietà esclusiva dei singoli condomini.

Cass. civ. n. 506/1975

La disciplina condominiale in tema di ripartizione delle spese è in linea di principio derogabile ai sensi degli artt. 1123 e 1138 c.c.; le disposizioni in materia, contenute in un regolamento contrattuale, debbono essere modificate o con una nuova convenzione deliberata da tutti i condomini ovvero, in caso di dissenso tra loro, quando ricorrano le condizioni per la revisione o modificazione dei valori proporzionali dei piani o porzioni di piano, mediante una statuizione del giudice.

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Consulenze legali
relative all'articolo 1123 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

G. B. chiede
giovedì 09/02/2023 - Puglia
“In un condominio privo di regolamento, a seguito di infiltrazioni d'acqua in un appartamento dell'ultimo piano di un edificio, si è deliberato di sostituire il tetto spiovente costituito da tegole in laterizio, con pannelli coibentati di finto coppo. La proprietaria dell'ultimo piano, circa 20 anni fa, ha trasformato il sottotetto sovrastante in un appartamento abitabile per l'intera estensione di quello sottostante e li resi comunicanti con scala, accorpandoli con fusione catastale ( su due piani 3° e 4°). La proprietaria lamenta infiltrazionii nell'appartamento del 4° piano, ricavato nel sottotetto, dove a suo tempo anzichè fare il soffitto, ha messo sotto le travi che sostengono le tegole, dei pannelli di cartongesso, creando un controsoffitto chiuso tra l'altro non ispezionabile.1° QUESITO: Dal momento che il soffitto ed il solaio sono costituiti dal tetto di tegole, la ripartizione per la sostituzione del tetto non andrebbe regolata in base all'art. 1125 c.c?
2° QUESITO: Poichè per montare il nuovo tetto di pannelli sarà necessario rimuovere il controsoffitto in cartongesso dell'appartamento dell'ultimo piano, le spese di rimozione e nuova installazione del controffitto a chi sono a carico?
GRAZIE E CORDIALI SALUTI”
Consulenza legale i 17/02/2023
Per rispondere ai due quesiti proposti è necessaria una premessa.
Il tetto costituisce una parte comune dell’edificio ai sensi dell’art. 1117 del c.c. a meno che ci sia un titolo contrario.
Il sottotetto invece non fa parte dei beni comuni e solitamente è di pertinenza dell’appartamento all’ultimo piano tranne quando ha caratteristiche e dimensioni tali da consentirne l’utilizzazione come vano autonomo; in questo caso deve esserci un titolo di appartenenza a favore del proprietario dell’ultimo piano per evitare che venga inteso come parte comune utilizzabile da tutti i condomini (Cass. civ. n. 9383/2020).
Nel caso di specie, non è specificato nulla sulla proprietà del sottotetto, quindi si presume che sia di esclusiva proprietà del condomino del terzo piano che l’ha trasformato in un appartamento abitabile.

Il primo quesito proposto riguarda l’applicabilità alla fattispecie dell’art. 1125 del c.c. sulle modalità di ripartizione delle spese condominiali per il rifacimento di soffitti o solai.
Questo articolo trova applicazione quando il solaio funge da divisorio tra due appartamenti di proprietà diversa per cui per uno costituisce la pavimentazione mentre per l’altro la copertura.
In questo caso le spese sono ripartite unicamente tra il proprietario dell’appartamento sottostante e quello sovrastante.
Per il rifacimento del lastrico solare, non costituendo esso un piano, le spese dovranno essere ripartite tra tutti i condomini ai sensi dell’art. 1123 c.c. (Cass. civ. n. 1694/1959).

Nel caso proposto colui che ha subito le infiltrazioni dal tetto è proprietario dell’appartamento all’ultimo piano dell’edificio ed ha sopra di lui solo il tetto che, a quanto sembra dal quesito, è di proprietà comune a tutti i condomini.
È irrilevante il fatto che il tetto costituisca il solaio ed il soffitto dell’immobile poiché l’elemento per determinare l’applicazione dell’art. 1125 c.c. è che il solaio da rifare funga da divisorio di due proprietà differenti.

Si ritiene quindi che nel caso di specie sia necessario suddividere le spese tra i condomini ai sensi dell’art. 1123 c.c.

Per quanto riguarda il secondo quesito in relazione a chi abbia l’onere di sostenere le spese per la rimozione del controsoffitto, si rileva quanto segue.

All’interno dell’immobile di proprietà il condomino non può eseguire le opere che rechino un danno alle parti comuni o che determinino un pregiudizio alla stabilità, sicurezza e decoro architettonico (art. 1122 del c.c.).
Dalla descrizione della vicenda non sembra che la costruzione di un controsoffitto abbia causato le infiltrazioni lamentate da colui che abita all’ultimo piano.
Sembra piuttosto che il Condominio abbia deciso di prendersi carico della sostituzione del tetto, parte comune su cui ha un onere di vigilanza e custodia.
Il Condominio risponde quindi dei danni causati ai condomini dalle cose che ha in custodia ai sensi dell’art. 2051 del c.c. (Cass. civ. n. 26291/2019).
Poiché sicuramente per colui che ha subito le infiltrazioni d’acqua, il dover rimuovere il controsoffitto costituisce un danno, il Condominio sarà tenuto al risarcimento in forma specifica ex art. 2058 del c.c. che consisterà nel ripristinare la situazione precedente all’evento dannoso e, quindi, alla ricostruzione del controsoffitto a spese del Condominio.

M. M. chiede
mercoledì 07/12/2022 - Marche
“Nel 2019 abbiamo vinto un immobile all’asta sito in via XXX al secondo e ultimo piano.
L’appartamento è divenuto effettivamente di nostra proprietà nella primavera del 2020 e il 1 Agosto 2020 si è costituito un nuovo condominio insieme agli altri nuovi proprietari (tutti subentrati dopo la vendita all’asta dell’intera palazzina).

Il condominio ha un impianto centralizzato per il riscaldamento e l’acqua calda condominiale dotato di contacalorie per i singoli appartamenti presumibilmente installati nel 2015. L’amministratore, invece di utilizzare immediatamente un sistema di contabilizzazione del riscaldamento tramite lettura dei contacalorie, nella riunione tenutasi a fine 2021 stabilisce che le spese per riscaldamento e acqua calda sanitaria debbano basarsi esclusivamente su una sua previsione dei consumi da suddividersi sulla base dei millesimi (non ancora all’epoca comunque verificati e approvati).
Nell’immediato e in tutte le assemblee successive, e in altre comunicazioni fatte all’amministratore, facciamo notare che:
- La previsione formulata dall’amministratore delle spese per il riscaldamento ci sembra abnorme
(1660 €).
- Tale conteggio è scorretto perché, essendo stato il nostro nucleo familiare dislocato in Belgio per
motivi lavorativi (da marzo 2020 a febbraio 2022) abbiamo occupato l’appartamento solo nei mesi
estivi senza mai utilizzare il riscaldamento (nel frattempo completamente disattivato per motivi
tecnici).
- Non c’è ragione di suddividere il riscaldamento sulla base dei millesimi (di cui deteniamo la quota
più alta dell’intero condominio) perché sono già presenti i contacalorie.

Ciononostante, tutte le nostre obiezioni vengono ignorate e non vengono nemmeno messe a verbale.
Nel frattempo, fino a dicembre 2021 l’amministratore non fa nulla per implementare il sistema di contabilizzazione e solo in una riunione tenutasi in dicembre 2021 esordisce con una relazione prodotta da una azienda di consulenza in cui si sostiene che i contabilizzatori, benchè funzionanti, hanno una “certificazione MID” scaduta. Pertanto, durante l’assemblea l’amministratore insiste che venga definitivamente deliberato un criterio di contabilizzazione basato sui millesimi per le
stagioni termiche 2020/21 e 2021/22 senza nessun conguaglio previsto, tale richiesta però non viene effettivamente deliberata in attesa di ulteriori verifiche sull’impianto promosse anche da altri condomini.

Durante l’assemblea obiettiamo quanto segue:

- Che i contacalorie sono comunque operativi e quindi utilizzabili anche in mancanza di certificazione MID.

- A norma di legge, l’adozione di un metodo di conteggio basato interamente sui millesimi è consentito SOLO per la prima stagione termica successiva all’installazione dei dispositivi di contabilizzazione. Quindi, essendo in realtà i contabilizzatori già presenti, l’invito da parte dell’amministratore a ripartire le spese sui millesimi di proprietà per 2 stagioni termiche consecutive appare illecito.

- l’amministratore rifiutandosi di utilizzare il sistema di contabilizzazione già dalla prima stagione termica, egli dovrebbe essere a nostro avviso riconosciuto carente nella gestione verso il condominio.

- Contestualmente abbiamo presentato in assemblea una relazione di una ditta intervenuta sul nostro appartamento la quale ha certificato che il nostro impianto era stato fino a quel momento completamente non funzionante.

Nuovamente, tutte le nostre obiezioni/osservazioni vengono ignorate.

In occasione di una assemblea condominiale, tenutasi il 21/02/2022 l’amministratore torna nuovamente a chiedere la delibera da parte dell’assemblea di un criterio di contabilizzazione basato sui millesimi per le stagioni termiche 2020/21 e 2021/22 senza comunque la previsione di nessun conguaglio e di procedere con la sostituzione dei contacalorie con degli apparati completamente nuovi.

Noi non abbiamo potuto partecipare all’assemblea perché all'estero e quindi avevamo incaricato un altro la moglie di un altro proprietario a rappresentarci.

In ogni caso abbiamo fatto dichiarare in assemblea quanto segue.

- Ribadiamo che l’impianto di riscaldamento per l’intera stagione non è stato da noi acceso, pertanto, per la stagione termica 2020-2021 proponiamo di pagare, pur di giungere ad un accordo, solo il 50% dei costi di riscaldamento e acqua calda stimati dall’amministratore.

- Per il 2022 chiediamo che per il calcolo delle quote per i consumi di riscaldamento e acqua calda a noi addebitate, se il sistema di contabilizzazione non si baserà sui conta calorie, come da noi auspicato, comunque venga deciso il sistema di contabilizzazione (mq o millesimi), non vengano inclusi per la nostra quota di consumi volontari i periodi in cui l’appartamento è inabitato.

Nuovamente, tutte le nostre richieste vengono ignorate.

In primavera 2022 l’amministratore convoca una nuova assemblea in cui si discute di nuovo della sostituzione dei contacalorie. Inoltre con l’occasione ci invia un resoconto delle spese nel quale appare scritto alla voce “FABBISOGNO ENERGETICO” per le stagioni termiche 2020/21 e 2021/22 quanto segue: “6,216 IMPORTO TOTALE DI CONTABILIZZAZIONE RISCALDAMENTO E ACQUA CALDA RIPARTITO CON TABELLA MILLESIMALE DI FABBISOGNO ENERGETICO (DELIBERA ASSEMBLEARE 21/02/2022).

In merito a quanto sopra mi trovo di nuovo ad obiettare che qualora ci sia stata una delibera dell’assemblea
di questo tipo (il verbale non ci è stato mai inviato se non in via "mail" e non tramite pec/raccomandata), ciò costituisce un illecito in quanto, come già rappresentato nelle assemblee passate, tale sistema di calcolo è consentito SOLO per la prima stagione termica successiva all’installazione dei dispositivi di contabilizzazione. Dunque, l’assemblea ha preso a nostro avviso una decisione che esorbita dal suo potere discrezionale e il perdurare dell’adozione di un
sistema di addebito dei costi condominiali per il riscaldamento fatti in tal senso costituisce un abuso nei
nostri confronti.

Recentemente, a fine estate del 2022, poiché comunque l'operato dell'amministratore è apparso carente in vari aspetti alla maggioranza dei condomini decidiamo di revocargli il mandato. Ci aspettavamo un cambio di condotta nel nuovo amministratore. Purtroppo rimaniamo delusi in quanto quest'ultimo si rifiuta di riesaminare la situazione pregressa alla sua nomina e in forza della delibera assembleare del 21/02/2022 ci informa che intende mantenere il sistema di contabilizzazione basato sui millesimi e non sui consumi effettivi.

A questo punto, non sappiamo più che fare per far valere le nostre ragioni. Stiamo provando a promuovere i seguenti punti da inserire all'ordine del giorno da discutere alla prossima assemblea, ma sappiamo che la maggioranza dei condomini ci è ostile perché hanno vantaggi a mantenere lo status quo.

di seguito un estratto del testo della nostra PEC

".... chiede di inserire nell'ordine del giorno della prossima assemblea condominiale i seguenti punti:

1. Che non avendo fornito il Geometra Tizio un riscontro analitico delle spese effettivamente sostenute dai singoli proprietari per costi di acqua sanitaria e riscaldamento basato su consumi effettivi, comprovati da rilievi ricavati dall’impianto di contabilizzazione e relative fatture, si sospenda ogni ulteriore pagamento delle somme richieste in attesa che il Geometra fornisca integralmente le copie delle scritture e i documenti giustificativi. Inoltre che, ai sensi del dispositivo dell'art. 1130 bis Codice Civile, per le annualità 2020-2021-2022, si nomi un revisore che verifichi la contabilità del condominio. Il quale riscontri con esattezza quanto dovuto e determini i conguagli per i singoli proprietari.

2. Che in armonia al d. lgs. n. 73/2020, l’assemblea disponga già fin da questa stagione un addebito dei costi per il sistema di riscaldamento e acqua sanitario basato sul consumo effettivo/ letture del contabilizzatore."

Mi scuso se sono stato prolisso, ma la situazione è complicata e non abbiamo idea di cosa fare.

Cordiali Saluti

Consulenza legale i 13/12/2022
Il D.Lgs n.102 del 04.07.2014 ha tra i suoi obbiettivi principali quello di favorire il contenimento dei consumi energetici anche agevolando nei condomini o edifici polifunzionali la suddivisione delle spese attinenti il consumo di riscaldamento e di acqua sanitaria sulla base dell’effettivo prelievo attribuibile a ciascuna unità immobiliare.
Per raggiungere questo non facile obbiettivo nei condomini raggiunti da una fonte di calore o raffreddamento centralizzata le lettere a) e b) del comma 5° dell’art 9 del D.Lgs n.102/2014 introducevano l’obbligo sia per le aziende che effettuavano le misurazioni che per i singoli proprietari di installare presso gli stabili e vicino ad ogni unità immobiliare degli strumenti di misurazione, i quali avevano il compito di indicare sia il complessivo consumo di calore dell’edificio nel suo complesso sia quello delle singole unità immobiliari di cui era composto.
In particolare dal lato proprietari-condomini era la lettera b) del comma 5° che imponeva nei condomini e edifici polifunzionali: "l'installazione…a cura del proprietario, di sotto-contatori per misurare l'effettivo consumo di calore o di raffreddamento o di acqua calda per ciascuna unità immobiliare". La norma citata come si può facilmente notare non impone che detti sotto-contatori siano conformi ad una determinata certificazione: ovviamente rimane implicito che detti sotto-contatori debbano essere perfettamente funzionanti.

Affianco a questi citati obblighi, i cui termini per uniformarsi sono decorsi ormai da tempo, la successiva lettera d) del comma 5° nel testo così come modificato dal successivo D.Lgs n.73/2020 introduce un nuovo criterio di riparto applicabile alle spese attinenti al consumo di forza calore che si affianca agli altri criteri indicati dagli artt. 1123 c.c. e ss. del c.c. Ovviamente tale normativa speciale dovrà essere pienamente applicata dall’amministratore in carica nel riparto delle spese attinenti al consumo di calore al pari della altre norme codicistiche disciplinanti il riparto delle voci di spesa del bilancio.
Tale nuovo criterio legislativo prevede che nei condomini raggiunti da un impianto di riscaldamento centralizzato o da teleriscaldamento le spese relative al consumo di calore siano ripartite in una quota non inferiore al 50% in proporzione ai prelievi volontari di energia, da calcolarsi ovviamente con l’ausilio dei sotto contatori presenti nello stabile e di cui l’art. 9 del D.Lgs n.102/2014 imponeva l’installazione. La norma precisa, inoltre, che la restante parte della spesa ancora non ripartita (che riguarda i prelievi di calore involontari), potrà essere suddivisa: "a titolo esemplificativo e non esaustivo
  • secondo i millesimi
  • i metri quadri o
  • i metri cubi utili oppure secondo le potenze installate.”

La norma in esame, quindi, da un lato impone che almeno la metà della spesa riguardante il consumo di calore sia attribuita ai singoli condomini in base a quanto effettivamente consumato dalla loro singola unità immobiliare; per quanto riguarda invece la ripartizione dei consumi involontari, la legge lascia libertà di scelta ai proprietari i quali potranno decidere di mantenere la suddivisione per mezzo dei millesimi di proprietà oppure utilizzare un altro criterio più idoneo al loro immobile. La lettera d) fa inoltre salva la possibilità ai singoli proprietari di sottoporre alla suddivisione in base agli effettivi prelievi di calore una quota di spesa superiore al 50%, nel contempo riducendo quindi quella parte di spesa attribuibile ai consumi involontari che potrà essere suddivisa per mezzo di altri criteri.

Ovviamente tutte queste scelte discrezionali non potranno essere effettuate unilateralmente dall’amministratore nel momento in cui egli redigerà nel suo ufficio il rendiconto condominiale. Tali decisioni dovranno essere effettuate dai proprietari riuniti in assemblea, i quali adotteranno, all’ interno dei perimetri della legge citata, le determinazioni che essi riterranno più opportune al loro stabile: ovviamente, tutto ciò dovrà essere realizzato per mezzo di una delibera assembleare da valersi per il futuro e che dovrà quindi poi essere applicata dall’amministratore nel redigere i futuri rendiconti condominiali, delibera che dovrà essere approvata con le maggioranze di cui al 3° co. dell’art. 1136 del c.c..
Per concludere, quindi, questa prima parte, si può dire che a seguito della installazione dei sotto-contatori la lettera d) co. 5°dell’art 9 del D.Lgs n.102/2014 esclude espressamente che la spesa per il consumo di calore possa essere suddivisa solo ed esclusivamente utilizzando i millesimi di proprietà, criterio di riparto che la norma fa salvo solo transitoriamente per la prima stagione termica successiva all'installazione degli apparati di misurazione.

Da quanto detto finora si deve concludere che nello stabile dell’autore vi sia stata una costante violazione delle norme di legge sopraccitate nel momento in cui nei vari rendiconti condominiali si è proceduto a ripartire la spesa di consumo di calore per millesimi, nonostante la presenza di idonei sotto contatori regolarmente funzionanti. Sotto questo aspetto è assolutamente ininfluente il fatto che detti strumenti di misurazione abbiano la certificazione di conformità scaduta, poiché, come già è stato sopra accennato, la lettera b) del co.5° dell’art 9 del D.Lgs n.102/2014, non impone che i sotto contatori da installare presso le singole abitazioni siano in possesso di una qualche specifica certificazione.

Nonostante questo, non è possibile procedere ad una impugnazione giudiziaria delle delibere assembleari che hanno già approvato i riparti di spesa relativi agli anni passati in quanto sono già decorsi i termini per impugnare previsti dall’ art. 1137 del c.c.; inoltre, rappresenta uno sforzo inutile e del tutto fine a sé stesso pretendere di inserire all’ordine del giorno della prossima assemblea gli argomenti da voi citati nel quesito. Infatti, la normativa di cui si è parlato fino adesso è obbligatoria, e i proprietari anche se riuniti in assemblea non hanno il potere di decidere se applicarla o meno: essi, come si è visto, devono limitarsi a rispettarla, avendo solo la possibilità all’interno dei perimetri puntualmente indicati di effettuare determinate scelte.

Pertanto se il prossimo rendiconto condominiale che si dovrà approvare in assemblea presenterà ancora un riparto della spesa attinente al consumo di calore non conforme alle norme di legge, si consiglia durante la riunione di limitarsi ad esprimere voto contrario alla sua approvazione: nel più breve tempo possibile è opportuno poi rivolgersi ad un legale il quale entro i termini indicati dall’art. 1137 del c.c. instaurerà una procedura di mediazione, primo passo necessario per un successivo contenzioso innanzi alla autorità giudiziaria nei confronti del condominio.
In altre parole, se gli altri proprietari, in concorso con l’amministratore in carica, insisteranno nel voler ripartire le spese riguardanti la forza calore in maniera non conforme dell’art 9 del D.Lgs n.102/2014, l’unica strada che rimane è quella di fare causa al condominio.

Infine trattiamo brevemente l’ultimo aspetto posto dal quesito.
Se si ritiene che i rendiconti condominiali presentino delle voci di spesa con importi eccessivi rispetto a quanto effettivamente sostenuto durante la gestione, è sempre possibile per il singolo condomino pretendere di visionare e estrarre copia di tutti i documenti contabili attinenti ai conti condominiali per poi eventualmente far visionare quanto reperito ad un revisore dei conti (ovviamente a spese proprie). Il diritto di accesso ai documenti condominiali trova il suo fondamento normativo negli artt.1129 e 1130 bis del c.c. ed è un diritto soggettivo proprio di ciascun proprietario che non può essere condizionato da una qualche autorizzazione assembleare. Se poi l’amministratore a seguito di tale richiesta terrà dei comportamenti recalcitranti sarà sempre possibile presentare la richiesta di accesso per mezzo di un legale.


P. B. chiede
domenica 13/11/2022 - Lombardia
“Abito in un condominio in cui sono proprietario di due appartamenti e di un box.

L’amministratore vuole ripartire le spese di consumo acqua potabile a millesimi e non più a numero di persone.
Premetto che non abbiamo un regolamento contrattuale, non abbiamo nemmeno un regolamento valido ma solo uno “schema di regolamento” fatto dal costruttore e non abbiamo evidenza di delibere assembleari riguardo alla formazione di un nuovo regolamento.
Inoltre non è possibile installare contattori di acqua.

Il condominio è composto da due fabbricati/blocchi separati. Il primo e un edifico composto da 2 scale ciascuna di 6 piani il secondo e composto da un blocco di 6 box sotterranei privati
I due fabbricati hanno in comune un unico cancello che dà accesso tramite un cortile, transitabile con veicoli, all’edificio a due scale. Il cortile, antistante l’edificio, prosegue con una rampa che permette di giungere ad un corsello sotterraneo con accesso ai 6 box privati retrostanti l’edificio medesimo. Il tetto del corsello è dei box è costituito da un prato verde condominiale
Essi, pur essendo all’interno del perimetro condominiale delimitato da una rete di cinta, sono collocati su un corpo di fabbricato separato e differente dall’edificio principale.
I box auto sebbene non siano in una struttura del tutto indipendente dall’edificio (infatti hanno in comune con esso il cortile, corsello, e cancello) non sono situati sotto la proiezione dell’edificio ma distaccati.
In pratica i box, che sono sotterranei, non si trovano nelle fondamenta dell’edificio principale al piano sotterraneo e quindi non fanno parte integrante di esso.
Inoltre non sono dotati dei medesimi servizi e impianti messi a disposizione dei condomini proprietari degli immobili.
Infatti essi non sono attraversati ne da tubi dell’impianto di riscaldamento, ne dà tubi dell’impianto idrico. Non ci sono rubinetti di acqua ne’ all’interno dei box ne all’interno del corsello.

Essi non fruiscono dell’acqua ad uso domestico (come ho detto prima non sono dotati di un rubinetto individuale collegato all’impianto idrico centrale) ma fruiscono dell’acqua per la pulizia delle parti comuni e irrigazione prato/giardino.
Un rubinetto situato nel cortile antistante l’edificio fornisce l’acqua da utilizzare per le parti comuni.
Voglio tralasciare alcuni aspetti di questa complicata vicenda. Mi interessa invece focalizzarmi solo su questo articolo.

Io sostengo, richiamando l’art. 1123, che in merito alla ripartizione a millesimi delle spese dell’acqua potabile mi spettano solo quelle derivanti dal consumo nelle parti comuni (cortile, giardino corsello) e non quelle derivanti dal consumo domestico di gran lunga molto maggiore.

Anche l’amministratore cita l’art. 1123 ma solo per sostenere che la ripartizione delle spese per acqua deve seguire, appunto in mancanza di un regolamento, la “legge” ossia secondo i millesimi di proprietà inclusi i box. Egli sarebbe d’accordo con me solo nel caso i box avessero un cancello di accesso autonomo ad essi dedicato.

Vengo quindi alla domanda, la struttura del nostro condominio sopradescritta rientrerebbe nei casi in cui è applicabile l’art 1123 nella parte in cui si afferma che la partecipazione a ciascuna spesa debba essere proporzionata al godimento che ogni condomino può trarre dalla cosa comune, e quindi potrei impugnare la delibera dell’amministratore contraria alla mia istanza.
Oppure no in quanto ci sono sentenze che abbiano applicato questo articolo in casi diversi in cui per esempio, come afferma l’amministratore, sono presenti, degli accessi separati.”
Consulenza legale i 18/11/2022
In tema di condominio, fatta salva la diversa disciplina convenzionale (inesistente nel caso specifico), la ripartizione delle spese della bolletta dell’acqua, in mancanza di contatori di sottrazione installati in ogni singola unità immobiliare, va effettuata, ai sensi dell’art. 1123, primo comma, c.c., in base ai valori millesimali delle singole proprietà. Sicché, è viziata, per intrinseca irragionevolezza, la delibera assembleare, assunta a maggioranza, che - adottato il diverso criterio di riparto per persona in base al numero di coloro che abitano stabilmente nell’unità immobiliare - esenti al contempo dalla contribuzione i condomini i cui appartamenti siano rimasti vuoti nel corso dell’anno (tra le tante in questo senso Cass. Civ. Sez.II, del 1° agosto 2014 n. 17557).

Alla luce della giurisprudenza citata, ci si sente di propendere in parte per le ragioni dell’amministratore il quale correttamente applica il 1° co. dell’art. 1123 del c.c. nella ripartizione dell’acqua potabile: la ripartizione “a persona” infatti non è un criterio legislativamente previsto e non è stato convenzionalmente stabilito dai proprietari in un regolamento di condominio o in un separato accordo successivo. Il riparto per mezzo dei millesimi generali però troverebbe corretta applicazione solo se nell’impianto idrico del palazzo non sono installati contatori di contabilizzazione individuali, i quali permetterebbero di attribuire a ciascun appartamento i metri cubi effettivamente consumati. In questo secondo caso, la ripartizione per millesimi dovrebbe fare spazio a quella per metri cubi.

Tuttavia l’amministratore non applica correttamente le norme del diritto condominiale in relazione al corpo di fabbrica in cui sono ricompresi i box auto. Tale corpo di fabbrica, autonomo rispetto a quello in cui sono ricompresi gli appartamenti, non ha tra i suoi beni comuni ex art. 1117 del c.c. l’impianto idrico e fognario, il quale rimane una pertinenza comune del solo fabbricato in cui sono ricompresi gli appartamenti. Per quanto ci è dato capire anche il rubinetto da cui si attinge l’acqua per la pulizia delle parti comuni è ricompreso nel “fabbricato appartamenti” e non nel “fabbricato autorimesse”. Per cui non è dato comprendere a quale titolo le autorimesse debbono partecipare alla ripartizione delle spese condominiali relative ad un impianto di cui in definitiva non usufruiscono, e non lo fanno per oggettive ragioni, poiché esso non fa parte del corpo di fabbrica in cui le autorimesse sono ricomprese.
Le autorimesse quindi sarebbero escluse dalla ripartizione delle spese idriche in virtù dell’ultimo comma dell’art. 1123 del c.c.

La V° Sezione del Tribunale di Roma, con la sentenza n. 18245 del 23.11.2021 detta un principio assolutamente condivisibile: secondo i giudici capitolini le autorimesse non partecipano alla ripartizione delle spese di acqua potabile e fognature a meno che il singolo box non sia allacciato direttamente all'impianto idrico condominiale.

Come già detto questo non pare essere il caso del complesso edile descritto nel quesito, dove le autorimesse sono situate in un corpo di fabbrica totalmente staccato ed autonomo. Ovviamente rimane fermo il fatto che l’autore del quesito dovrà comunque partecipare alla ripartizione delle spese idriche condominiali e anche per uso domestico in qualità di proprietario di due appartamenti, unità immobiliari queste ricomprese nel blocco di fabbrica principale. Nel ripartire tali spese ai sensi del 1° co. dell’art. 1123 del c.c. si dovrà fare applicazione dei millesimi indicati nella tabella generale di proprietà, ma attribuiti alle sole due unità abitative, con esclusione dei millesimi attribuiti al box auto.


C. N. chiede
sabato 29/10/2022 - Campania
“Salve.
Il mio condominio ha un debito non estinto con una impresa per lavori di messa in sicurezza eseguiti 3 anni fa. L'impresa ha inviato solleciti, poi decreto ingiuntivo, poi precetto e poi ha pignorato il conto corrente condominiale. In caso di persistente inerzia dell'amministrazione condominiale e/o dei condomini è possibile pagare la propria quota direttamente al creditore senza passare per l'amministrazione condomoniale evitando anche eventuali richieste in solido da parte del creditore?”
Consulenza legale i 06/11/2022
La natura dell’obbligazione dei condomini nei confronti dei terzi è questione dibattuta in giurisprudenza e dottrina.

La tesi maggioritaria considerava l’obbligazione dei singoli condomini di natura solidale secondo il principio di presunzione di solidarietà dei condebitori stabilito dall’art. 1294 del c.c..
Secondo la giurisprudenza, infatti, l’art. 1123 c.c., che riguarda la ripartizione degli oneri all’interno del condominio, non superava la presunzione suddetta (Cass. civ. n. 17563/2005, Cass. civ. n. 14593/2004).

L’indirizzo minoritario, invece, riteneva che i condomini fossero obbligati in proporzione alle proprie quote e quindi secondo il criterio di parziarietà.

La Cassazione a Sezioni Unite ha approvato l’orientamento minoritario sostenendo che “la solidarietà nel condominio non è contemplata da nessuna disposizione di legge e che l’art.1123 c.c., interpretato secondo il significato letterale e secondo il sistema in cui si inserisce, non distingue il profilo esterno e quello interno” e di conseguenza la responsabilità dei condomini è governata dal criterio della parziarietà delle obbligazioni assunte nell’interesse del Condominio per la conservazione e per il godimento delle cose comuni dell’edificio (Cass. civ. S.U. n. 9148/2008).
La medesima pronuncia afferma che in caso di condanna dell’amministratore – quale rappresentante dei condomini – il creditore può procedere all’esecuzione individualmente nei confronti dei singoli condomini secondo la quota di ciascuno.

Nonostante la questione sul punto sia ancora dibattuta tra dottrina e giurisprudenza, l’orientamento prevalente attualmente è quello della parziarietà dell’obbligazione condominiale nei confronti del terzo creditore.

La riforma del Condominio intervenuta con la L. n. 220/2012, ha modificato l’art. 63 comma 2 stabilendo il beneficio di escussione per i condomini in regola con i pagamenti delle spese condominiali; i creditori, quindi, potranno agire nei loro confronti solo dopo avere tentato di recuperare il credito dai condomini morosi.

Il condomino che vuole adempiere versando la propria quota del debito condominiale complessivo direttamente al creditore, deve stare attento ad una questione: il pagamento al terzo non lo libererà dal versamento delle spese condominiali deliberate dall’Assemblea in relazione ai costi dell’intervento effettuato dal terzo.

La giurisprudenza ha avuto occasione di affermare, ripetutamente, l’indipendenza dell’obbligo del singolo partecipante di pagare al Condominio le spese dovute rispetto alle vicende debitorie del Condominio verso i suoi appaltatori o fornitori per la diversa causa giuridica da cui scaturiscono le due obbligazioni.
Il condomino, quindi, non può “utilmente opporre all'amministratore che il pagamento sia stato da lui effettuato direttamente al terzo, in quanto, si è detto, ciò altererebbe la gestione complessiva del Condominio: sicchè il singolo deve sempre e comunque pagare all'amministratore, salva l'insorgenza, in sede di bilancio consuntivo, di un credito da rimborso per gli avanzi di cassa residuati” (Cass. civ. n.2049/2013, Cass. civ. 10371/2021).

Si ritiene, quindi, che nel caso di specie il condomino debba pagare correttamente le proprie spese condominiali all’amministratore di condominio senza versare la propria quota direttamente al terzo.
In ogni caso il terzo potrà agire nei confronti dei condomini in regola con i pagamenti delle spese condominiali solo dopo aver inutilmente tentato di soddisfare il proprio credito dal conto corrente condominiale e/o dai condomini morosi.

E. B. chiede
venerdì 14/10/2022 - Lazio
“Salve in un'autorimessa privata costruita all'interno di un complesso residenziale vi sono 35 box chiusi con basculanti in alluminio ed una unica cantina con porta in legno che è la mia ..alla sinistra della mia cantina vi sono 10 box ed alla destra altri 10 box. Dobbiamo ottenere il CPI certificato prevenzione incendio e l'amministratore dell'autorimessa mi ha detto di sostituire la porta in legno con una rei 120 tagliafuoco a mie spese e non ripartirla per quote millesimali tra tutti i 35 proprietari dei box e me compreso per la cantina. Il mio amico ingegnere dice invece che la spesa della porta rei 120 per la mia cantina va ripartita fra tutti... chi ha ragione? grazie”
Consulenza legale i 21/10/2022
Non è possibile dare a tale domanda una risposta univoca e certa. In linea generale è assolutamente pacifico che la porta di chiusura- apertura di una pertinenza del proprio appartamento deve considerarsi un elemento di essa, la quale è sicuramente una parte in proprietà esclusiva del singolo condominio: pertanto le spese per la sua sostituzione devono essere interamente sostenute solo dal singolo proprietario.

Nel caso specifico però entra in gioco la certificazione antincendio, al cui ottenimento ha interesse l’intera compagine condominiale o quantomeno quel gruppo di proprietari che hanno una loro unità immobiliare situata nel piano da certificare.

In particolare in merito alle spese per l’ottenimento della certificazione vi è una parte della giurisprudenza di merito, la quale sembra affermarsi (Trib. Bologna n.493 10.10.2015), che suddivide le misure antincendio da installare per l’ottenimento del certificato in due gruppi: le protezioni attive (estintori, segnaletica impianti di spegnimento dispositivi di allarme ecc. ecc) e i dispositivi di protezione passivi tra i quali rientrano ad esempio le porte taglia fuoco.

Secondo tale orientamento le spese per l’installazione delle protezioni passive essendo di interesse per l’intera collettività condominiale dovrebbero essere ripartite tra tutti i condomini ex art.1123 del c.c.

È evidente che il cambio della porta del locale cantina con una che sia conforme alla normativa antincendio è condizione necessaria per ottenere il relativo certificato. L’ottenimento di tale documento a ben pensare non è un vantaggio solo del singolo proprietario ma dell’intero condominio o quantomeno del gruppo di proprietari che hanno i box auto e le cantine nel locale autorimesse da certificare.

Per tale motivo si potrebbe fare leva su tali motivazioni per pretendere magari anche giudizialmente che la relativa spesa sia suddivisa o tra tutti i condomini ex art 1123 1° co. del c.c. o almeno, ai sensi del successivo 3° co. dell’art. 1123 del c.c., tra il gruppo dei soli condomini interessati all’ottenimento del certificato.

G. G. chiede
domenica 09/10/2022 - Liguria
“Abito in un supercondominio composto da nove condominii indipendenti, una strada che collega i vari edifici, un parco che contiene una piscina, un campo da tennis, un campo bocce e un piccolo campo giochi per bambini. Vi sono inoltre diversi distacchi con alberi e aiuole. I parcheggi sono liberi e qualsiasi condomino può parcheggiare dove vuole.
Il supercondominio è stato costruito nel 1972-74. Il costruttore ha predisposto un regolamento contrattuale che ha citato in tutti gli atti di vendita. Sia negli atti di vendita che nel regolamento contrattuale si specifica che il costruttore concede una comproprietà della piscina e del tennis ai singoli condomini in parti eguali, inoltre, a favore dei restanti terreni e strutture, compresa la strada di collegamento, concede ai condomini uno jus utendi et fruendi perpetuo (scrittura privata autenticata dal notaio e trascritta). Per 48 anni la ripartizione delle spese di manutenzione ordinarie e straordinarie sono state suddivise in quote eguali. Ora 4 condomini su oltre 200 hanno impugnato una delibera dell’assemblea che ha rifiutato la richiesta di pagare le spese a millesimi.
E’ stata avviata una mediazione obbligatoria (prima riunione il 13/10/2021). La proposta di mediazione è stata rifiutata con le maggioranze di Legge nel Luglio 2022. Una seconda riunione della mediazione è stata nuovamente bocciata dall’Assemblea con la maggioranza di Legge (art.1136 c.c) a metà Agosto 2022, a questo punto dovrebbero riunirsi per la terza volta e portare la proposta in una prossima Assemblea.
Considerazioni:
1) L’art. 1117 del c.c. non si applica se contrario il titolo (atto di vendita, regolamento contrattuale)?
2) Lo jus utendi fruendi è da considerarsi una comunione e quindi le quote sono eguali (art.1100 c.c)?
3) Il principio di “consuetudine” è applicabile in quanto per 48 anni nessuno ha contestato il metodo di ripartizione in quote eguali?
4) Una mediazione obbligatoria può durare un anno e più ( Legge 98/2013, art. 6 comma 1)?
5) Una mediazione obbligatoria bocciata due volte dall’Assemblea con maggioranze di Legge è valida?
Desidero avere un vostro parere su queste mie considerazioni.
Grazie, distinti saluti”
Consulenza legale i 19/10/2022
E’ opportuno fare preliminarmente un po’ di chiarezza.

Innanzitutto nel condominio non opera la presunzione di uguaglianza delle quote prevista nella disciplina della comunione ordinaria dal 1° co. dell’art.1101 del c.c.

Nel condominio infatti tale norma è sostituita da quella indicata dagli artt. 1123 e ss. del c.c. e dagli artt. 68 e 69 delle disp. att. del c.c.
A mente del 1° co. dell’art. 1123 del c.c. le quote di comproprietà sui beni e servizi condominiali non si presumono uguali ma sono proporzionali al valore della proprietà di ciascun condomino; secondo poi il 1° co. dell’art. 68 disp. att. del c.c. tale valore proporzionale è espresso in millesimi.

Il 1° co. dell’art. 1123 del c.c., inoltre, detta un altro principio fondamentale per il diritto condominiale: salvo diverso accordo tra i proprietari, le spese per la manutenzione ordinaria e straordinaria dei beni e servizi comuni, nonché per le innovazioni deliberate dalla maggioranza, sono sostenute dai condomini in proporzione al valore della loro proprietà, quindi, argomentando ex art 68 disp. att. del c.c., in proporzione ai millesimi che vengono attribuiti a ciascun condomino nelle tabelle millesimali allegate al regolamento di condominio.

Ora, le norme che si sono tratteggiate poco sopra, per quanto importanti, possono essere derogate da specifici accordi tra i condomini: nella stragrande maggioranza dei casi tali accordi derogativi sono racchiusi nelle pieghe dei regolamenti di condominio di natura contrattuale, i quali a volte, ma non sempre, possono contenere modalità di riparto delle spese condominiali che esulano dai millesimi di proprietà, come, ad esempio, una suddivisone di alcune voci di spesa in parti uguali.

Si presti tuttavia attenzione in quanto in assenza di tali accordi derogatori la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha chiarito che non è possibile utilizzare criteri differenti per ripartire le spese condominiali se non quelli indicati dalle norme del codice civile: conseguentemente, dice sempre la Cassazione, una delibera assembleare che approvasse un riparto condominiale in cui le spese vengono suddivise tra i proprietari in maniera difforme dagli art. 1123 e ss. del c.c. sarebbe annullabile e quindi impugnabile entro i rigidi termini previsti dall’art. 1137 del c.c..
In altri termini, non è possibile ripartire determinate voci di spesa in parti uguali se il regolamento di condominio non contiene una specifica clausola che autorizza tale modalità di riparto.

Si è esaminato con attenzione il regolamento di condominio dato in visione, ma esso non pare contenere una espressa previsione che autorizzi a ripartire determinate voci di spesa - presumibilmente quelle riferibili alla piscina e ai campi da tennis - in parti uguali (e ci si corregga sul punto se abbiamo male inteso, onde meglio valutare le ragioni dell'autore del quesito).
Al contrario, il regolamento di condominio alla sua parte terza rubricata "ripartizione spese", come spesso accade nella pratica, non fa altro che riprendere e meglio adattare al singolo complesso edile la normativa codicistica racchiusa nelle norme già citate.

Ora veniamo a trattare di questo “jus utendi et fruendi” che viene concesso reciprocamente ai singoli palazzi che compongono il complesso edile sopra ad alcuni specifici mappali.

Volutamente non ci si soffermerà sulla natura giuridica di questo particolare diritto perché altrimenti si aprirebbero troppi spunti di riflessione che renderebbero il parere eccessivamente pesante.
Basti solo dire che anche in relazione a tale diritto, in assenza di specifiche norme derogatorie contenute nel regolamento di condominio, opera il principio proporzionale e millesimale previsto dagli artt. 1123 del c.c. e 68 disp. att. del c.c.: ciascun condomino abitante nei singoli palazzi vanta dunque su quel diritto una quota proporzionale al valore della proprietà esclusiva di ciascuno espressa in millesimi.

In verità, dalla lettura del regolamento si evince in maniera molto chiara che siamo di fronte ad un super condominio composto a sua volta da (pare) ben nove condomini autonomi tra loro e dal super condominio medesimo. Tale super condominio è composto dai beni e servizi orizzontali comuni a tutti e nove gli edifici (come, ad esempio, i campi da tennis e le piscine).

Stante la grandezza dell’intero complesso edile si è sicuri che esiste affianco al regolamento di condominio di ciascun palazzo anche un regolamento del super condominio disciplinante l’uso dei beni e servizi super condominiali, il quale a sua volta recherà in allegato le tabelle millesimali che dovrebbero essere usate per ripartire le spese attinenti.

Sulla base quindi di quanto ci è stato dato in visione pare che le contestazioni mosse da un gruppo di condomini abbiano sicuramente argomenti piuttosto forti e poco importa che per quasi cinquanta anni per prassi consolidata si sia provveduto a ripartire alcune voci di spesa in parti uguali.

Come si è già detto poco sopra la giurisprudenza della Corte di Cassazione (in questo senso importantissima la SS. UU. n.9839 del 14.04.2019) ha precisato come sono meramente annullabili le delibere assembleari che approvano rendiconti condominiali nei quali le singole voci di spesa vengano suddivisi in violazione delle norme di legge e del regolamento condominiale vigente. Ciò fa si che i riparti approvati negli anni passati non possano più essere messi nuovamente in discussione: per essi infatti sono già abbondantemente decorsi i termini di cui all’art. 1137 del c.c.,. Questo però non impedisce, in relazione alle delibere di approvazione in cui si è ancora nei termini, che un gruppo di condomini possa spendere una impugnazione per ottenere che determinate voci di spesa siano ripartite per il presente e per il futuro in conformità alle norme di legge e di regolamento.

In effetti, seguendo un certo orientamento giurisprudenziale, si potrebbe sostenere che all’interno della compagine condominiale si sia formato per facta concludentia un determinato accordo circa i criteri di riparto per determinate voci di spesa. Supponendo però che tale circostanza voglia essere sostenuta e dimostrata in giudizio, essa presenta diverse criticità.

In prima battuta, tale accordo implicito non vincolerebbe comunque i nuovi proprietari che sono entrati a far parte nel condominio in epoca recente. Inoltre, visto che a quanto ci è dato capire le voci di spesa che si sono negli anni ripartite in parti uguali attengono a servizi super condominiali (campi da tennis e piscina), sarebbe necessario dimostrare che tale accordo per facta concludentia non si sia formato solo all’interno di un singolo palazzo, ma nell’ambito di una ipotetica assemblea del super condominio.
Ovviamente sotto questo ultimo aspetto si potrebbero fare considerazioni più approfondite solo dopo un esame completo di tutta l’intera vicenda.

In merito al procedimento di mediazione in atto, ci si limita semplicemente a dire che per giurisprudenza assolutamente pacifica (es Tribunale di Roma del 22.10.2014), la procedura di mediazione può durare anche oltre il termine di 90 giorni previsto dal comma 1 dell’art. 6 del D.lgs. 28 del 2010: questo a condizione che tutte le parti in conflitto concordino nel prorogare oltre tale periodo il procedimento di mediazione. Può quindi accadere che un tentativo di mediazione si protragga anche per diverso tempo: spetta ai legali che assistono le parti unitamente ai loro clienti capire e valutare se, dopo diversi accordi respinti dalla assemblea di condominio, sia ancora opportuno coltivare la mediazione, oppure magari chiedere al mediatore incaricato di effettuare una proposta di conciliazione ai sensi dell’art. art. 11 del D.lgs. 28 del 2010 e portare il contenzioso ad un livello successivo.




A. G. R. chiede
sabato 10/09/2022 - Liguria
“Sono proprietario di un box che si trova all’esterno dello stabile condominiale solo una parete del box è in comune con lo stabile, il tetto è formato dalla terrazza del condomino del primo piano. La serranda è solo di mia esclusiva proprietà e si apre sull’esterno; sul regolamento condominiale c’è scritto: "il distacco ad ovest è lasciato ali fondi ad esso sporgenti ed all’autorimessa". Vorrei sapere se devo partecipare alle spese di coibentazione dello stabile (bonus 110) oppure, visto che i due muri di 60 cm per lato a cui è ancorata la serranda (dovrebbero essere di mia esclusiva proprietà) non vengono coibentati perché delimitano una superficie fredda, sono esentato dal pagamento dei lavori ?
Cordialmente”
Consulenza legale i 15/09/2022
Il regolamento di condominio purtroppo non è per nulla chiaro. Ad ogni modo, a parere di chi scrive esso considera il distacco ovest come un condominio parziale, la cui proprietà dell’intero blocco deve intendersi suddivisa in ragione di un 15% a favore del proprietario della autorimessa e il restante 85% a favore del magazzino (al netto di tutte le modifiche che sono intervenute negli anni nello stabile dal momento in cui il regolamento è stato redatto).

Il condominio parziale trova la sua giustificazione normativa nell’ultimo comma dell’ art. 1123 del c.c. ed è un istituto giuridico introdotto dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione. Secondo diverse pronunce degli Ermellini (ad esempio, tra le tante Cass.Civ.,Sez.II, n. 1959 del 12.02.2001) si ha il condominio parziale: "allorché all'interno del cd. condominio allargato talune cose - qualificate come comuni ex art. 1117 del c.c. - siano per oggettivi caratteri materiali e funzionali necessarie per l'esistenza o per l'uso, ovvero siano destinate all'uso o al servizio, non di tutto l'edificio, ma di una sola parte o di alcune unità abitative di esso".

A fronte del fatto che l’intero blocco ovest deve considerarsi un condominio parziale composto in ragione dell’ 85% dal proprietario del magazzino e in ragione del 15% dal proprietario della autorimessa si hanno due importanti conseguenze: la prima, è che ogni lavoro di straordinaria amministrazione che coinvolge quella parte del condominio (come per esempio, la coibentazione della facciata) può realizzarsi solo se i due proprietari prestano il loro consenso unanime; la seconda, è che per determinare l’ammontare delle spese che dovrà sostenere il proprietario del garage si dovrà scomputare dall’ammontare complessivo dei lavori la parte da attribuire al blocco ovest: la somma così determinata, dovrà ulteriormente dividersi in ragione dell’85% da attribuire al proprietario del magazzino e in ragione del 15% da attribuire al proprietario della autorimessa.

Quindi, in conclusione, se la restante parte dei proprietari vorrà eseguire dei lavori di coibentazione sul blocco ovest essi potranno realizzarsi solo se il proprietario della autorimessa, unitamente al proprietario del magazzino, daranno il loro assenso votando favorevolmente in seno alla assembleache andrà ad approvare i lavori. Se questo assenso vi sarà, la spesa dovrà poi essere divisa nel modo spiegato poco sopra.

D. D. chiede
lunedì 27/06/2022 - Piemonte
“Il quesito si riferisce alla situazione trovata in un condominio ubicato nella provincia di Savona, nel quale le mie figlie sono proprietarie di un appartamento con utilizzo seconda casa.
Durante l'atto di acquisto ci fu consegnato il regolamento di condominio; mi accorsi che non mi furono consegnate le tabelle di ripartizione spese che dovevano essere allegate.
Mi fu risposto di rivolgermi all'Amministratore di Condominio, il quale ci rispose inviandoci un resoconto annuale (che allego con una successiva e-mail insieme al Regolamento di Condominio ed al verbale assembleare punto 6) o.d.g.). Potrete notare che la ripartizione della voce "Spese acqua" viene effettuata in millesimi, i medesimi delle spese generali. Purtroppo il condominio è dotato di un solo contatore dal gestore idrico.
A fronte di quanto sopra, durante la ristrutturazione dell'appartamento, a mie spese feci installare un contatore idrico di ripartizione ed ho fatto indicare all'o.d.g. assembleare la mia richiesta di "installazione contatori acqua in ogni unità immobiliare"; l'Assemblea, non essendoci l'unanimità dei millesimi, decide di non procedere.
A voi chiedo: a seguito dei passaggi di cui sopra quali possibilità esistono per poter io pagare l'acqua consumata e non a millesimi? Vi ringrazio anticipatamente”
Consulenza legale i 01/07/2022

Il regolamento di condominio dato in visione è molto articolato in merito alla suddivisione delle spese condominiali, ma, stranamente, nulla dice in merito alla suddivisione del servizio acqua potabile. In assenza di specifici strumenti che possono permettere una contabilizzazione individuale dei mc di acqua consumati e in assenza di specifiche norme nel regolamento di condominio, per procedere alla suddivisione degli oneri condominiali attinenti al consumo idrico è necessario fare riferimento al 1° co. dell’art.1123: questa è l’orientamento della giurisprudenza dominante (Cass.Civ. n. 17557/2014). Per tale motivo esclusivamente sotto questo aspetto è corretta la suddivisione della bolletta per mezzo della tabella dei millesimi generali.

La giurisprudenza della Cassazione precisa anche, però, che quando nel condominio sono installati mezzi tecnici che permettono una misurazione individuale del consumo dell’acqua, non è più possibile suddividere il consumo per mezzo delle tabelle generali, dovendo ricorrere ad una ripartizione che tenga conto dell’effettivo consumo di ciascun appartamento.

Tra l’altro l’art. 146 lett.f) del D.Lgs. n.152 del 03.04.2006 ha reso obbligatorio l’installazione nei condomini di contatori per il consumo dell'acqua in ogni singola unità abitativa, norma che poi è stata attuata da ciascuna regione con apposite normative locali.

Proprio alla luce di questa normativa di assoluto favore, vi sono sentenze dei giudici di merito che stanno iniziando a sostenere come l’installazione di un contabilizzatore individuale non necessiti di una autorizzazione assembleare, potendo ciascun proprietario procedere alla installazione in assoluta autonomia. Quanto deliberato quindi, (o meglio quanto non deliberato) nell’agosto del 2021, oltre ad essere errato è assolutamente ininfluente per il caso specifico, tenendo conto del fatto che l’appartamento dell’autore del quesito è già dotato di un contabilizzatore individuale. Ovviamente nel momento in cui il singolo appartamento è dotato di tali strumenti di misurazione il suo proprietario potrà pretendere che in sede di bilancio che venga calcolato il suo consumo d’acqua in proporzione ai mc effettivamente utilizzati.

Se l’amministratore non ottemperasse a ciò si potrebbe valutare di impugnare il bilancio innanzi alla autorità giudiziaria, previo esperimento di un tentativo obbligatorio di mediazione.


L. B. chiede
mercoledì 22/06/2022 - Piemonte
“Buongiorno vorrei porLe il seguente problema: il nostro amministratore di condominio sostiene che la tassa relativa al passo carraio (Cosap) debba essere pagata solo dai proprietari dei box del cortile.
Il nostro cortile condominiale è diviso in una parte privata, con un cancello privato su cui è apposto il cartello di passo carraio.
Sulla parte privata grava una servitù di passaggio che conduce al cortile comune(condominiale) dove vi sono i box.
Quindi, questa seconda parte, più in fondo, dove si trovano i garage, è la parte comune.
Sulla parte comune si trova una porticina che dà accesso alle scale del condominio, all'ascensore esterno e ai bidoni della differenziata.
Importante è il fatto che anche coloro che non hanno i box usufruiscono dell'intero cortile per carico e scarico materiale, entrano con la macchina loro o di terzi per eseguire lavori privati, destinati alle loro private abitazioni (lavori privati e non condominiali ) ed hanno totale accesso all'intero cortile e alla porticina che collega il cortile alle scale.
Il regolamento di condominio contiene una norma che prevede la divisione delle spese di MANUTENZIONE ordinarie e straordinarie del CORTILE PRIVATO ai soli proprietari dei garage.
Gli amministratori precedenti hanno sempre diviso la Cosap fra tutti i condomini anche quelli sprovvisti di box poiché sostenevano che la tassa comunale Cosap fosse a vantaggio di tutti, potendo tutti usufruire del cortile privato e di quello comune. Sostenevano inoltre che la clausola del regolamento di condominio riguardasse la servitù di passaggio con relative spese e che la tassa sul passo carraio fosse una cosa diversa e distinta, destinata all'utilità di tutti come prevede l'art 1123 del codice civile.
L'amministratore attuale sostiene invece che le spese vanno divise solo tra coloro che
hanno i box perché il regolamento di condominio dispone che le spese relative alla manutenzione ordinaria e straordinaria del cortile privato e della relativa servitù di
passaggio siano a carico dei proprietari dei garage.

Aggiungo che la Cosap è intestata al condominio.
La domanda pertanto è: la cosap deve essere pagata dai soli proprietari dei garage o anche dai condomini sprovvisti dei box ma che comunque usufruiscono dell'intero cortile?
Grazie
Cordiali saluti.”
Consulenza legale i 25/06/2022
Se il regolamento di condominio ha natura contrattuale, e quindi fu all’epoca allegato ai rogiti per mezzo dei quali l’originario costruttore del palazzo vendette ai singoli proprietari le unità immobiliari e poi trascritto nei registri immobiliari, le sue norme prevalgono sulle disposizioni del codice civile di cui agli artt. 1123 e ss. del c.c.
Se fosse così, il comportamento dell’amministratore di condominio è assolutamente corretto.

Se, viceversa, il regolamento è stato approvato dalla assemblea a colpi di maggioranza in un’epoca successiva alla formazione del condominio, esso ha natura assembleare e le sue disposizioni in merito alla suddivisione degli oneri condominiali non possono prevalere su quanto dispone il codice civile.
In questo secondo caso si potrebbe sostenere, invece, che la tassa Cosap debba essere suddivisa tra tutti i condomini ai sensi del 1° co. dell’art.1123 del c.c., in quanto l’ingresso condominiale è comunque utilizzato da tutti siano essi proprietari o meno di un box auto.

Ciò che rileva quindi nel caso specifico è capire con precisione la natura giuridica (contrattuale o assembleare) del regolamento di condominio.


Gabriele M. chiede
venerdì 22/04/2022 - Emilia-Romagna
“Spett. Redazione, Quesito consulenza Q202230615

detto che l’amministratore non risulta inadempiente nel applicare il regolamento contrattuale in fatto di riparto spese luce scale, (non si ravvisano irregolarità art 1129 o art 1130 ) a proposito della mia richiesta, volevo anche chiedere:
- se il riparto spese luce scale, calcolato per mm, analogamente al metodo spesa pulizia scale, non sia comunque in contrasto/conflitto con il regolamento contrattuale, che prevede una ripartizione della spesa in parti uguali…
- se, l’agire dell’amministratore, nel formulare il bilancio possa essere stigmatizzato con la richiesta di attenersi a quanto previsto dal regolamento contrattuale, così come è stato valutato per il riparto spese ascensore, (anomalia della tabella mm, che viene considerata errata, rispetto all’articolo del regolamento contrattuale che ne esprime il metodo di riparto, che quindi prevale)
considerato che quanto dettato/disposto dal regolamento contrattuale in fatto di riparto spese deroga la normativa e altro attinente…a prescindere dal fatto che detto procedimento è stato attuato da … sempre (vedi mia nota già inviata)
Se questo mia ulteriore richiesta di approfondimento/chiarimento, comporta un ticket economico fatemi sapere che provvederò al saldo.
Considerato che il mio amministratore mi deride per le osservazioni che avanzo senza però portarle in assemblea, vorrei presentarmi preparato… con documentazione redatta da esperti…
Grazie”
Consulenza legale i 28/04/2022
In linea generale la ripartizione degli oneri condominiali andrebbe effettuata dall’amministratore seguendo le norme del codice civile ed in particolare gli artt. 1123 e 1124 del c.c. Nella sostanza l’applicazione di tali norme comporta che la ripartizione della spesa luce scale avvenga attraverso l’utilizzo delle tabelle millesimali e nello specifico la tabella scale – ascensore.

Tuttavia, come ben specificato dal codice, gli artt. 1123 e 1124 del c.c. possono essere derogati da diversi accordi adottati dai proprietari con l’unanimità dei consensi dei proprietari, accordi che l’amministratore deve poi applicare nella redazione del riparto spese in virtù del fatto che egli è prima di tutto chiamato a dare attuazione alle decisioni dei condomini che amministra ed è anche chiamato a dare attuazione alle norme del regolamento di condominio.

Nella prassi tali accordi derogativi sono spesso contenuti appunto nei regolamenti condominiali di natura contrattuale e fatti propri dai proprietari con la firma dei rogiti per mezzo dei quali hanno proceduto all’acquisto del loro appartamento.

Nel caso specifico il regolamento dato in visione contiene appunto una clausola la quale prevede che la ripartizione delle spese di luce e scale venga fatta in parti uguali tra tutti i condomini che ne fanno uso. Generalmente la ripartizione in parti uguali non sarebbe un criterio legittimo per suddividere gli oneri condominiali proprio perché non previsto dalle norme del codice civile: nel caso specifico esso trova la sua legittimità proprio nel fatto di essere previsto in un regolamento contrattuale e quindi deve essere applicato dall’amministratore durante la redazione del riparto annuale.

Ripartire gli oneri contrattuali in violazione delle norme di legge o di regolamento comporta che la delibera assembleare che contenga l’approvazione del riparto possa essere annullata con ricorso alla autorità giudiziaria, ricorso che però deve essere proposto entro il rigido termine perentorio previsto dall’art. 1137 del c.c.

Per tale motivo, nel caso specifico, tutti i riparti approvati negli anni passati seppur redatti in violazione delle norme del regolamento contrattuale devono ormai considerarsi pienamente validi ed efficaci. Se però l’amministratore continuerà nella errata prassi di suddividere le spese della luce e scale per mezzo delle tabelle millesimali in luogo del riparto in parti uguali, si potrebbe pensare ad impugnare la delibera che andrà ad approvare il nuovo bilancio per l’anno a venire.


F. P. chiede
martedì 08/03/2022 - Lazio
“Salve,
nello stesso stabile possedevo fino a novembre 2018 due appartamenti.
In quell'anno ne vendetti uno, che era regolarmente attaccato al riscaldamento centralizzato.
Ho pagato per tale appartamento tutti gli oneri condominiali, comprensivi delle spese del gas. Infatti al momento del rogito ho avuto dall'amministratore una liberatoria.
L'altro appartamento invece, ancora in mio possesso, si è distaccato dal riscaldamento centralizzato ed ha sempre pagato le spese per la manutenzione della caldaia ed a seconda del cambiare delle leggi ha pagato una percentuale del gas, intorno al 30%.
Lo scorso gennaio è arrivato un decreto ingiuntivo esecutivo relativo al gas non pagato negli anni 2014 e 2016 dal precedente amministratore ad insaputa di noi condomini che invece avevamo versato le quote.
La nuova amministratrice ha diviso la cifra per millesimi ed io mi ritrovo per l'appartamento distaccato a pagare più di chi usufruisce del gas. Tra l'altro in quegli anni io non ero a bilancio per le spese del gas, pagando solo i costi della caldaia.
Mi sono opposta al pagamento totale, offrendomi di pagare solo gli interessi e le spese legali, ma non la sorte.
Nessuna risposta dall'amministratrice.
Nel frattempo il nuovo proprietario dell'altro appartamento si è rifiutato di pagare la sua quota dicendo che nel 2014 2016 non era lui il proprietario.
Cosa fa fede nei decreti ingiuntivi, la data di emissione (2020) o la data del debito?
Io mi ritrovo da innocente a dover pagare quasi 900 euro per cose che non mi riguardano.
Come stanno le cose?”
Consulenza legale i 14/03/2022
Il comportamento adottato dall’amministratore di condominio è corretto e avvallato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione.

La VI -2 sez. della Corte di Cassazione con la ordinanza n.4259 del 21.02.2018 ha infatti precisato che: "Ove…vi sia stata una condanna giudiziale definitiva del condominio, in persona dell'amministratore (nella specie, a seguito di decreto ingiuntivo non opposto), al pagamento di una somma di denaro in favore di un creditore della gestione condominiale, la ripartizione tra i condomini degli oneri derivanti dalla condanna del condominio va comunque fatta alla stregua dei criteri dettati dall'art. 1123 c.c., salvo diversa convenzione.”
È interessante notare come tale pronuncia è stata resa proprio in relazione ad una vicenda analoga a quella oggi prospettata, in cui vi era un condominio destinatario di un decreto ingiuntivo verso cui non era stata effettuata alcuna opposizione e quindi divenuto definitivamente esecutivo.

Dando per presupposto che nel condominio di cui al quesito non sia vigente un regolamento di condominio di chiara natura contrattuale che deroga a quanto disposto dall’art.1123 del c.c., si deve necessariamente concludere per la correttezza del riparto effettuato dall’amministratore. Tutti i proprietari dovranno quindi sopportare pro quota il pagamento del decreto ingiuntivo anche se il mancato versamento degli oneri di riscaldamento da cui è scaturito poi il provvedimento giudiziario è avvenuto in un’epoca in cui o si era distaccati dall’impianto centralizzato oppure non si era neppure proprietari.

Più che concentrarsi sulla correttezza dell’operato dell’attuale amministratore bisognerebbe chiedersi il motivo per cui il professionista precedente non abbia provveduto ad effettuare i pagamenti dovuti dal condominio venendo meno a dei suoi precisi doveri professionali. Se quanto è successo è stato causato da una sua negligenza, e non ad esempio da un ammanco di cassa dovuto ad esempio a mancati versamenti da parte dei proprietari, si potrebbero valutare azioni legali nei suoi confronti.

S. C. chiede
domenica 13/02/2022 - Piemonte
“Buongiorno, vi contatto per un parere legale in merito a una questione emersa in condominio. 4 anni fa ho acquistato una villetta facente parte di un condominio assicurandomi, al momento dell’acquisto,che fossero saldati i debiti con il condominio del precedente proprietario. Nel condominio è presente un condomino che non pagava da anni le spese e i condomini,circa 10 anni fa,avevano creato un fondo morosità per coprire i debiti di questa persona e pagarne le spese future e il denaro versato all’epoca è stato utilizzato nel corso degli ultimi 10 anni. Quest’anno l’abitazione del condomino moroso è stata venduta all’asta ma, poiché il proprietario aveva numerosi debiti, non è stato possibile recuperare il denaro necessario a saldare anche i debiti di questa persona con il condominio. Oggi, uno dei condomini che a suo tempo aveva versato una quota al fondo morosità, chiede che, poiché non è stato possibile recuperare quei soldi con la vendita, siano gli attuali condomini a doversi ripartire tra loro l’importo del fondo, ormai esaurito,così da restituire ai condomini che avevano creato il fondo, i soldi versati 10 anni fa. La richiesta è legittima?io che ho comprato casa 4 anni fa e che non ero presente al momento della creazione del fondo,posso essere chiamata a risarcire chi aveva contribuito alla creazione di tale fondo anche se all’epoca non vivevo qui?Preciso che dal momento del mio ingresso in condominio, non è mai stata fatta richiesta ai nuovi condomini come me di contribuire a quel fondo, che è stato utilizzato fino al suo esaurimento permettendo di coprire tutte le spese del condomino moroso fino al momento della vendita all’asta del suo immobile.”
Consulenza legale i 18/02/2022
Per rispondere è necessario innanzitutto dire che la giurisprudenza con un orientamento costante ritiene che il credito derivante dalla costituzione di un qualsiasi fondo condominiale, al di là delle finalità per le quali è costituito, segue l’unità immobiliare in condominio e pertanto viene automaticamente ceduto con la sua vendita (tra le tante in questo senso si cita Cass. Civ., Sez. II n.17035 dell’11.08.2016). I giudici con tali pronunce non fanno altro che attuare l’importante principio secondo il quale l’obbligo di corrispondere gli oneri condominiali discende prima di tutto dal fatto di essere proprietari di una unità immobiliare in condominio. E’ ovvio che tale principio debba applicarsi non solo per i debiti che il proprietario ha verso il condominio, ma anche per i pochi casi in cui il proprietario vanta un credito nei confronti della compagine condominiale, come appunto nel caso in cui si sia costituito un fondo spese.
A fronte di questo importante principio, però, è parimenti giusto sottolineare come anche il nuovo proprietario debba partecipare alle perdite del fondo morosità derivante dal non essere riuscito a recuperare le somme dall’ex condomino inadempiente.

Anche, però, le pretese avanzate da una parte del condominio non hanno fondamento.

La giurisprudenza (per es. Corte di Appello di Catanzaro sentenza n.1542 del 24.11.2020) ha infatti precisato che in assenza di specifici accordi presi dalla unanimità dei partecipanti al condominio, il riparto degli importi da destinare al fondo debba avvenire applicando i millesimi generali di cui all’art.1123 del c.c. e non è possibile utilizzare altri criteri magari decisi sul momento durante la riunione (come, per esempio, la suddivisione per teste).

In applicazione di tale principio, la perdita patita dal condominio e causata dal fatto di non essere riusciti a recuperare le morosità pregresse non potranno essere accollate solo ad un gruppo di proprietari, ma dovranno essere ripartiti tra tutti i condomini applicando i millesimi generali. Si potrebbe derogare a tale principio solo nel caso in cui tutti i proprietari all’unanimità raggiungessero un accordo nel quale si convenisse di ripartire le spese con criteri non previsti dalla legge o dal regolamento di condominio, ma non pare proprio che nel caso specifico tale accordo si sia raggiunto.


R. G. chiede
venerdì 28/01/2022 - Lombardia
“Condominio con corpi di fabbrica abitativi, in parte aderenti, uno separato, per un totale di 6/7 scale indipendenti, più due corpi di fabbrica separati terra-cielo adibiti ad autorimesse con ingresso diretto dai cortili comuni. Unico amministratore, unico codice fiscale, unica assemblea. In caso di necessità posso inviare Regolamento Contrattuale del quale anticipo alcuni enunciati.
Il regolamento contrattuale dopo aver dichiarato l’esistenza di “un unico condominio” passa ad elencare le cose "di proprietà" comune indivisibile ed inalienabile:
l’area su cui insistono i corpi di fabbrica adibiti ad abitazione, uffici, magazzini, l’area su cui insistono i corpi di fabbrica adibiti ad autorimesse, i cortili, le fondazioni, i muri maestri, i tetti, le scale, i cornicioni, le grondaie, i terrazzi, i portoni e quant’altro non attribuito in proprietà particolare; i locali destinati ad uso di portineria e alloggio del portiere; i corridoi di disimpegno anche ad uso particolare nelle porzioni non attribuite in proprietà privata particolare; gli impianti, le condutture ed i servizi generali di acqua, gas, energia elettrica e riscaldamento fino alla derivazione dei singoli appartamenti; le centrali idrica, termica elettrica, le cabine, gli impianti degli ascensori e i macchinari annesse gabbie metalliche e guide metalliche, impianti elettrici eccetera e spazi adibiti a tali servizi; le installazioni per le antenne televisive con le relative tubazioni e derivazioni” .
Stabilisce poi con l’articolo 7 ( punteggiatura compresa ) che: “le quote di comproprietà delle parti comuni ed il riparto delle spese tutte (generali, ascensore, riscaldamento, ecc.) salvo quelle per l’acqua potabile d’uso comune e fognature e accessi carrai, che verranno ripartite dall’amministratore secondo i criteri di uso comune e di pratica sono espresse in millesimi nella tabella allegata al presente regolamento.”
Specifico che la tabella riporta i millesimi di proprietà, gestione, riscaldamento, per ogni singola proprietà( compresi i box in corpo separato ) più i millesimi di ascensore dai quali sono esonerati i box.
Apposito articolo del regolamento prevede inoltre: “tutte le spese in genere per la gestione, ivi comprese le quote di ammortamento dl bruciatore e del deposito della nafta e manutenzione ordinaria e straordinaria dell’impianto di riscaldamento e locali adibiti a tale uso, saranno a carico dei singoli condomini nel caso di qualsiasi modifica delle installazioni di ogni singolo condomino in proporzione della superficie radiante utilizzata od utilizzabile da ciascuna proprietà particolare.”
Si noti il richiamo alle disposizioni del primo comma dell’ articolo 1123 c.c. e nessun accenno alla deroga ai successivi comma 2 e 3 e/o all’articolo 1124 c.c. Nel contempo si ammette il principio dell’uso potenziale in paragrafo successivo relativo alle modifiche dell’impianto di riscaldamento. In occasione del distacco dei box in corpo separato dal servizio di riscaldamento si e’ infatti provveduto ad esonerare gli stessi dalle relative spese.
Da anni, a maggioranza con mio voto contrario quale proprietario di solo box senza alcuna abitazione , i box in corpo separato sono chiamati a contribuire alle spese di tutti i corpi abitativi a partire da manutenzione/pulizia di tetti, grondaie, muri, scale, infiltrazioni (anche private), dovute ai vari impianti verticali di acqua, fogne, canne fumarie e quanto altro si voglia aggiungere. Di tali corpi di fabbrica i box non usufruiscono se non per l’unico portone e androne di ingresso al comprensorio situato nella palazzina principale.
La contribuzione e’ ovviamente reciproca, ma non si può non notare la differenza tra le due prestazioni per la totale mancanza di proporzione tra le opere necessarie alla manutenzione/pulizia delle due differenti categorie di immobili e dei relativi servizi.
La giustificazione riportata e’ la “convenzione contraria” contenuta nel Regolamento Contrattuale.
Tanto premesso domando:
• L’enunciato del Regolamento Contrattuale costituisce deroga tacita al principio dell’uso potenziale regolato dall’art. 1123 comma 2 e 3 e/o dall’art.1124 mai citati espressamente?
• Scolasticamente il Regolamento Contrattuale elenca le cose comuni del primo comma dell’art. 1117 per la cui suddivisione richiama il primo paragrafo dell’art. 1123 fornendone le relative tabelle millesimali. Richiama poi il principio dell’uso potenziale nel caso di ipotetica modifica agli impianti di riscaldamento. E’ evidente la mancanza di una qualsiasi deroga anche solo parziale agli articoli pur richiamati e nulla fa presagire di non volersi adeguare al dettato legale dell’uso potenziale. Chiedo pertanto se in un Regolamento Contrattuale la deroga (di importante valore economico ) può essere tacita (confidando sulla sola ingannevole interpretazione/deduzione dal contesto ) o al contrario l’effettiva volontà di derogare agli articoli di legge debba essere chiaramente espressa? “Ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit”. Se voglio derogare lo dico, se non voglio derogare (o forse neppure ci ho pensato) non lo dico.
• Ed ancora bypassando la questione : e’ possibile il riconoscimento/costituzione di supercondominio relativo alle cose comuni a tutti i corpi di fabbrica ex legge 220/2012 ? La iniziale definizione “di proprietà comune indivisibile ed inalienabile" può costituire “titolo contrario” al supercondominio?”
Consulenza legale i 07/02/2022
Nel diritto civile vi sono norme che vengono definite imperative, che come tale non possono essere derogate dalla volontà delle parti e norme che, al contrario, possono essere tranquillamente sorpassate e contraddette da una diversa volontà delle parti. Tali norme hanno più che altro la funzione di intervenire laddove i contraenti nulla hanno disposto nelle pieghe dei loro contratti.

Nel diritto condominiale gli artt. 1123 e 1124 del c.c., che disciplinano la suddivisione degli oneri condominiali tra i diversi proprietari, sono tipicamente norme che possono essere derogate da diversi accordi e pattuizioni adottati unanimemente dai partecipanti al condominio.

Nella stragrande maggioranza dei casi tali accordi derogativi sono racchiusi nei regolamenti di condominio di natura contrattuale, ovvero da quei regolamenti predisposti unilateralmente dal costruttore dell’edificio e allegati ai rogiti di acquisto delle singole unità immobiliari.
Spesso però questi regolamenti non fanno altro che riprendere e richiamare la disciplina dettata dal codice civile, magari introducendo qualche deroga più confacente per il singolo complesso di edifici.

Sulla base degli stralci del regolamento che sono riportate nel quesito non possiamo dire che in tale documento vi siano norme che, derogando a quanto dispongono gli artt.1123 e 1124 e ss. del c.c., accollino ai proprietari dei box in corpo staccato il pagamento di oneri condominiali che nulla hanno a che vedere con la loro proprietà.

In altre parole la suddivisione che è stata fatta fino ad ora degli oneri condominiali è errata alla luce sia delle norme del codice civile che del medesimo regolamento di condominio, e vi sarebbero gli estremi per valutare eventuali impugnazioni alla delibera di approvazione del bilancio di condominio.
I proprietari delle sole autorimesse in corpo staccato sono, infatti, tenuti al pagamento delle sole spese inerenti la loro proprietà (per esempio, come spese ordinarie possiamo citare la luce che illumina il vialetto di uscita e l’area di manovra degli automezzi) e non devono sopportare oneri che attengono a chi è proprietario anche degli appartamenti (es. pulizia scale o manutenzione ascensore o riscaldamento).

Non può porsi a giustificazione della prassi adottata dal condominio, il fatto che nel regolamento si dica che il complesso di edifici di cui al quesito deve considerarsi un unico condominio.

A differenza del regolamento di condominio contrattuale che trova la sua forza nella volontà di chi lo sottoscrive e come tale è in grado di derogare agli artt.1123 e 1124 del c.c., il condominio (o super condominio) in se e per se è una situazione di fatto che si verifica non perché lo vogliono i suoi partecipanti attraverso una delibera assembleare costitutiva, che può tuttalpiù avere un significato organizzativo, ma perché in un edificio o insieme di edifici un tempo appartenente ad unico proprietario, iniziano ad esservi piani o porzioni di piano in proprietà esclusiva a soggetti differenti.

La giurisprudenza ha più volte chiarito che il supercondominio: "viene in essere ipso iure et facto (di fatto n.d.r), se il titolo non dispone altrimenti, senza bisogno d’apposite manifestazioni di volontà o altre esternazioni e tanto meno d’ approvazioni assembleari, sol che singoli edifici, costituiti in altrettanti condomini, abbiano in comune talune cose, impianti e servizi legati, attraverso la relazione di accessorio e principale, con gli edifici medesimi" (Cass. Civ, Sez.II, sentenza n. 1344 del 19.01.2018).

Ad ogni modo, se anche per assurdo, ignorando i più elementari principi del diritto condominiale, si volesse considerare il complesso edile descritto come un unico condominio, ciò non comporterebbe comunque una valida deroga agli artt.1123 e 1124 del c.c. e alle norme del regolamento disciplinanti la suddivisione delle spese che, lo si ribadisce, non accollano in alcun modo ai proprietari dei garage in corpo staccato spese attinenti alla manutenzione di beni e servizi riguardanti altri edifici del complesso.



C. D. D. R. chiede
lunedì 17/01/2022 - Veneto
“Spett. Studio Legale Brocardi,
sono un pensionato residente a XXX, dove ho svolto anche buona parte della mia attività lavorativa, da ultimo nella Scuola Pubblica.
Come proprietario utente, sono l'unico residente stabile, in un appartamento di 45 mc, presso un condominio comprendente undici appartamenti di diversa grandezza, ovvero un condominio abitato, dagli altri condomini, prevalentemente solo durante le ferie invernali ed estive, e che si suole definire "ibrido".

Durante la gestione 2019-2020, con il manifestarsi del covid, e il conseguente divieto di spostarsi nelle seconde case per le ferie invernali, è apparso evidente il fatto che l'amministratrice calcolava solo i millesimi del riscaldamento termico-climatico (oltre tutto con una quota fissa bassa, non adatta ad un condominio "ibrido"), ma non i millesimi riguardanti l'acqua calda sanitaria (ACS). Di conseguenza, il consumo involontario (cioè la dispersione termica, accentuata dallo squilibrio termico dovuta ad un edificio solo parzialmente abitato durante l'anno) è ricaduta, per lo più, tutta sulla mia quota di spesa.

Non essendo pratico di questioni condominiali, non mi ero reso ben conto, in precedenza, della questione, limitandomi a dei consumi parchi almeno per il riscaldamento climatico. Preciso che il regolamento condominiale non prevede alcun che a riguardo del riscaldamento climatico (CLI) e dell'acqua calda sanitaria (ACS). Cercando su internet, ho trovato la pubblicazione dell'Ing. Antonio Magri, esperto ANTA, relativa alla quota fissa nel riscaldamento centralizzato condominiale, e sono così riuscito a ricostruire i conteggi, arrivando ai medesimi importi complessivi per il riscaldamento climatico e l'ACS della amministrazione, ma, applicando anche i millesimi ACS, con una ripartizione differente e con un risparmio, sulla mia quota di spesa ACS, di Euro 258,00. Inoltre, applicando una quota fissa più alta e più idonea ad un condominio per le vacanze o "ibrido", diminuivano i costi dei consumi volontari per il riscaldamento climatico, anche se aumentavano i costi per i consumi involontari, specie per gli appartamenti di metratura più grande.

Con la gestione 2020-2021, è cambiata l'amministratrice, ma non la iniqua prassi di non calcolare i millesimi per l'ACS, e il mio aggravio di spesa ACS è stato di Euro 242,00. Alle mie rimostranze l'amministratrice ha risposto che il mancato conteggio dei millesimi ACS è una prassi comune anche in altri edifici condominiali della zona. E, detto per inciso, si può considerare questo complesso di rincari delle spese, insieme agli affitti esorbitanti di questi paesi di turismo, una concausa dello spopolamento della montagna, insieme alla mancanza di servizi essenziali sul territorio.

Attualmente, mediante una serie di mail ai condomini e alla stessa amministratrice, sto cercando di evidenziare che, in un normale periodo prolungato di ferie invernali e estive, conteggiare anche i millesimi ACS, oltre che quelli per il riscaldamento climatico, e adottare una quota fissa più alta e più idonea ad un condominio "ibrido", risulta, alla fine, un risparmio per tutti i condomini, poiché si dimezzano i costi dei consumi volontari (ad esempio circa 09,00 Euro per un mc ACS, invece di 19,00 Euro, o più, per un mc ACS), ridimensionando la relativa perdita riguardo i consumi involontari per gli appartamenti più grandi. Tutto questo anche nella eventualità che si possa ricorrere al finanziamento del 110%.

Dunque, in sintesi, vorrei sapere se l'articolo nove della nuova normativa, per il riscaldamento climatico e l'ACS centralizzati, del D.legs. 73/20 (almeno il 50% dell'importo complessivo da suddividere per i consumi volontari e la possibilità che gli importi rimanenti siano suddivisi in varie modalità, secondo i millesimi, i metri quadri, ecc.) imponga tassativamente l'applicazione dei millesimi anche per l'ACS, come è logico che sia secondo il testo dell'articolo di legge, o se, invece, possa lasciare una certa discrezionalità alla ammistratrice nell'applicare, o meno, i millesimi.
Ringrazio per l'attenzione e invio cordiali saluti.”
Consulenza legale i 22/01/2022
Innanzitutto è giusto precisare che la normativa da Lei citata è estremamente tecnica. Pertanto, per capire se l’amministratore abbia fatto una corretta applicazione di tale normativa, è necessario rivolgersi ad un termotecnico che potrebbe affiancare poi il legale nel capire se vi siano gli estremi per rivolgere al condominio e al suo amministratore una qualche contestazione.

Fatta questa doverosa premessa quanto mai necessaria, è giusto dire che nel momento in cui si parla di ripartizione di acqua calda sanitaria, si fa riferimento quasi sempre alla ripartizione della forza calore necessaria per riscaldare l’acqua che si fa scorrere attraverso i nostri rubinetti, e quindi deve farsi applicazione della normativa specifica, ed in particolare del D.Lgs. n.102 del 2014 come modificato dal recente D.Lgs.n.73/20.

Gli interventi legislativi citati sono estremamente complessi ed esulano lo specifico campo del diritto condominiale, ma sotto questo ultimo aspetto è sicuramente importante la lett. d) dell’art. 9 del D.lgs. n.102/2014 come modificato dal recente art. 9 del D.Lgs n.73/20.

Tale normativa introduce un nuovo criterio di riparto che si affianca a quelli indicati dagli artt. 1123 e ss. del c.c. che deve essere applicato dall’amministratore nel riparto delle spese attinenti al consumo di calore allo stesso modo in cui vengono applicate le norme del codice civile per il riparto delle altre voci di spesa del bilancio.

In particolare la lettera d) che si sta esaminando trova applicazione nei condomini che sono alimentati da teleriscaldamento o teleraffreddamento o comunque da sistemi comuni di riscaldamento o raffreddamento e deve utilizzarsi per la corretta ripartizione delle spese condominiali connesse al consumo di calore, ma anche, come dice letteralmente la norma, per l'uso di acqua calda per il fabbisogno domestico, se però prodotta in modo centralizzato.

La lettera d) dell’art. 9 in questo senso non lascia dubbi interpretativi e quindi nel caso specifico se la forza calore per scaldare la nostra acqua è prodotta in maniera centralizzata (come pare), il criterio deve trovare sicura e pronta applicazione da parte di chi amministra lo stabile, e sotto questo aspetto non vi è spazio per alcuna discrezionalità.
Dove la norma lascia spazio alla discrezionalità dell’amministratore è nel criterio da utilizzare per suddividere la quota non ripartita in base ai prelievi volontari: si potranno utilizzare infatti:” a titolo esemplificativo e non esaustivo, secondo i millesimi, i metri quadri o i metri cubi utili, oppure secondo le potenze installate.”

È giusto precisare che il criterio indicato dalla lett.d) dell’art. 9 è facoltativo, quindi l’amministratore può anche scegliere di non applicarlo, nel caso in cui nel palazzo siano già installate modalità di contabilizzazione individuale del calore.

Per capire quindi se l’art. 9 dovesse essere applicato al caso specifico bisognerebbe sapere se tali mezzi sono stati a suo tempo installati nell’edificio: per precisione, il D.Lgs. n.102 del 2014 imponeva l’installazione di tali apparati di conteggio della forza calore già a far tempo della sua entrata in vigore.

Ovviamente, se il criterio indicato dalla lett. d) dell’art. 9 del D.Lgs. n.102 del 2014 doveva essere applicato nel momento in cui si sono ripartite in bilancio le spese attinenti al consumo di calore e ciò non è stato fatto, la delibera che approva il rendiconto condominiale potrebbe essere impugnabile innanzi alla autorità giudiziaria. Il quesito però non fornisce sufficienti elementi per capire se la delibera possa essere considerata semplicemente annullabile, e quindi impugnata entro i rigidi termini di cui all’art.1137 del c.c. (caso più probabile), o nulla e quindi contestabile in ogni tempo.





L. O. chiede
venerdì 10/12/2021 - Toscana
“Gentili avvocati, vorrei da voi un chiarimento a proposito della ripartizione delle spese per l'adeguamento dell'antincendio.
Abito in un appartamento di otto piani ( quindi molto alto ) con garage interrati, ma non sono proprietario di garage. Non abbiamo adeguato l'antincendio da molto tempo a causa delle molte spese di manutenzione dello stabile, ma ora è necessario fare i lavori specifici. Alla mia domanda alla amministratrice sul modo di ripartire le spese dell'adeguamento dell'antincendio, la stessa ha risposto secondo i millesimi condominiali. Le ho detto che ero a conoscenza di una sentenza della Corte di Cassazione che attribuiva la spesa "esclusivamente" ai proprietari dei garage in quanto ne avevano loro l'utilizzo esclusivo. Ha ribattuto affermando che data l'altezza dello stabile e la difficoltà da parte dei vigili di raggiungere con le scale gli ultimi piani, l'antincendio era da ritenersi dello stabile al completo ( e quindi a carico di tutti i condomini a seconda dei millesimi). Per la verità una precedente amministratrice, alla specifica domanda relativa sempre al nostro stabile, aveva affermato che la spesa era a carico dei condomini proprietari dei garage. Francamente, prima di pagare, vorrei sapere con certezza come stanno le cose e come vanno ripartite le spese. Grazie mille in anticipo per la vostra risposta chiarificatrice”
Consulenza legale i 13/12/2021
Purtroppo per dare una risposta chiara e precisa sarebbe necessario capire la tipologia dei lavori da effettuare confrontandosi con un tecnico specializzato.
In linea generale possiamo confermare quanto affermato nella prima parte del quesito. La Corte di Cassazione con diversi arresti anche in epoca recente come ad esempio Cass.Civ., Sez. II, n. 24166 del 08.09.2021 ha precisato che le spese per l’adeguamento della normativa anti incendio devono essere attribuite solo ai proprietari dei box auto. Gli ermellini giungono a tale conclusione facendo applicazione dell’importante principio racchiuso nel 2° co. dell’art. 1123 del c.c. secondo il quale: “se si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione dell'uso che ciascuno può farne”.

Le spese per l’adeguamento alla normativa antincendio secondo i giudici sono suscettibili di un utilizzo separato in quanto non giovano alla intera collettività condominiale, come può essere, ad esempio, il rifacimento della facciata dello stabile, ma solo ai proprietari dei box auto. Quanto detto dalla Cassazione però non può considerarsi una regola valevole per tutti i casi concreti. Se, infatti, i lavori che si andranno ad eseguire sono tali per cui il beneficio che se ne trae non ricade solo sui proprietari dei garage interrati ma anche sull’intera collettività condominiale, quantomeno parte dell’importo potrà essere scorporato e ripartito tra tutti i proprietari ai sensi del 1°co. dell’art. 1123 del c.c.

Seguendo questo ultimo approccio alcune pronunce di merito (si veda ad esempio Trib. Bologna n.493 del 10 ottobre 2015) hanno sconfessato almeno in parte quanto sostenuto dalla corte di Cassazione distinguendo tra opere che vanno a protezione delle parti strutturali dell’edificio (c.d. opere di protezione passiva), e lavori che vanno a protezione delle singole autorimesse (c.d. opere di protezione attiva), effettuando tra le due categorie di lavori una distinzione in merito alla modalità di ripartizione delle spese. Infatti, le opere di protezione passiva, in quanto realizzate a protezione dell’intero edificio e quindi nell’interesse dell’intera compagine condominiale, devono essere ripartite tra tutti i condomini, così come dispone il comma 1° dell’art. 1123 del c.c.; le opere di protezione attiva, invece, in quanto poste solo a protezione delle singole autorimesse, e quindi realizzate nell’esclusivo interesse dei soli proprietari di queste, dovranno essere suddivise secondo il criterio del comma 2° dell’art. 1123 del c.c..

A. D. chiede
giovedì 09/12/2021 - Lazio
“Sono proprietario di un box in un garage seminterrato. Ultimamente, stanno facendo adeguamenti alle normative anti incendio, altrimenti hanno detto che con le auto non si poteva piú accedere. La spesa è abbastanza importante, e le spese sono state addebitate solo ai proprietari dei box. Peró, i proprietari dei suddetti, non hanno l'accesso esclusivo a tale area, perché sulla stessa grava praticamente un diritto di servitú, in quanto nella stessa area, c'è il locale autoclave con tutte le tubazioni di adduzione e distribuzione dell'acqua. Inoltre anche tutti gli scarichi fognari, passano nella stessa area, addirittura uno scarico, si trova proprio nel mio box.
La mia richiesta riguarda la legittimitá di tale atto. Personalmente ritengo che siccome non c'è l'esclusività d'uso dell'area, una quota delle spese, spetti anche ai proprietari degli appartamenti, in piú per preservare le strutture, ci hanno obbligato anche a rivestire gli intonaci preesistenti, con un tipo piú resistente al calore, aggravando le spese.”
Consulenza legale i 13/12/2021
La Corte di Cassazione con diversi arresti anche in epoca recente come ad esempio Cass.Civ.,Sez.II, n.24166 del 08.09.2021 ha precisato che le spese per l’adeguamento della normativa antincendio devono essere attribuite solo ai proprietari dei box auto. Gli ermellini giungono a tale conclusione facendo applicazione dell’importante principio racchiuso nel 2°co. dell’art. 1123 del c.c. secondo il quale: “se si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione dell'uso che ciascuno può farne”.
Le spese per l’adeguamento alla normativa antincendio secondo i giudici sono suscettibili di un utilizzo separato in quanto non giovano all'intera collettività condominiale, come può essere, ad esempio, il rifacimento della facciata dello stabile, ma solo ai proprietari dei box auto.

Per la verità, alcune sentenze di merito (si veda Trib. Bologna n.493 del 10 ottobre 2015) in merito alla certificazione per la prevenzione incendi e dei lavori conseguenti, distinguono tra opere che vanno a protezione delle parti strutturali dell’edificio (c.d. opere di protezione passiva), e lavori che vanno a protezione delle singole autorimesse (c.d. opere di protezione attiva), effettuando tra le due categorie di lavori una distinzione in merito alla modalità di ripartizione delle spese. Infatti, le opere di protezione passiva, in quanto realizzate a protezione dell’intero edificio e quindi nell’interesse dell’intera compagine condominiale, devono essere ripartite tra tutti i condomini, così come dispone il comma 1° dell’art. 1123 del c.c.; le opere di protezione attiva, invece, in quanto poste solo a protezione delle singole autorimesse, e quindi realizzate nell’esclusivo interesse dei soli proprietari di queste, dovranno essere suddivise secondo il criterio del comma 2° dell’art. 1123 del c.c. Seguendo questo ultimo orientamento, in un ipotetico contenzioso si potrebbe quindi sostenere che le somme relative ai lavori di rifacimento degli intonaci preesistenti devono essere ripartite tra tutti i condomini in quanto poste a protezione dell'intero edificio. Ovviamente per considerazioni più puntuali sarebbe opportuno un confronto con un tecnico specializzato.

P.V. chiede
venerdì 08/10/2021 - Friuli-Venezia
“Salve, siamo un insieme di tre condomini, A, B, C. Il condominio B è servito da una stradina che si deve in parte ripristinare, rovinata anche da radici dei pini. Codesta serve pure ai quattro garage del condominio C, dove noi siamo proprietari di un garage, ma abitiamo al condominio A. Il nostro vicino è proprietario del garage nel condominio B, dove ci sono cinque garage di cui il secondo è di proprietà di un condomino che abita nelle vicinanze. Nel condominio D i quattro condomini hanno in comune il riscaldamento. Una parte delle proprietari vuole che la riparazione sia pagata dai proprietari dei garage, mentre noi chiediamo che sia per millesimi o metà per millesimi e metà per numero di proprietari che usufruiscono della strada (appartamenti e garage). Vorrei sapere come comportarmi e se per deliberare tale lavoro sia assolutamente necessaria una assemblea.”
Consulenza legale i 13/10/2021
Nel caso descritto siamo di fronte ad un complesso edile che nel suo insieme costituisce un classico supercondominio.

Il super condominio è composto dai manufatti e servizi (come appunto la stradina e l’impianto di riscaldamento comune) che sono posti al servizio e al miglior godimento delle proprietà ricomprese in tutti e quattro palazzi, e giuridicamente deve considerarsi come un ente condominiale autonomo rispetto a quello dei quattro edifici che lo compongono, dotato di un proprio amministratore e di una propria assemblea.

In merito alla assemblea super condominiale, essa è composta da tutti i proprietari dei palazzi A+B+C+D, e ai sensi dell’art. 1135 del c.c. è competente a deliberare su tutti i lavori di manutenzione inerenti i beni comuni ai 4 edifici: quindi, anche della stradina di cui si sta parlando nel quesito. Per deliberare è assolutamente necessario procedere attraverso l’assemblea super condominiale, quindi è necessario che l’amministratore del super condominio, il quale può coincidere o meno con quello dei singoli palazzi, proceda a convocare l’assise affinché prenda le decisioni del caso. Se l’amministratore pone delle resistenze a procedere in tal senso, si può forzargli la mano ricorrendo al procedimento indicato dall’art. 66 disp.att. del c.c., inoltrando quindi al professionista richiesta formale di convocazione sottoscritta da almeno due condomini che rappresentino almeno 1/6 del valore millesimale delle tabelle generali relative al super condominio.

In linea puramente teorica, si precisa che ciascun condomino potrebbe procedere a riparare la stradina scavalcando gli organi e le procedure condominiali ma sobbarcandosi per intero il costo dell’intervento: seguendo questa strada, però, il proprietario diligente non avrebbe diritto ad alcun rimborso, poiché espressamente escluso dall’art. 1134 del c.c. Per questo motivo si ritiene tale soluzione difficilmente percorribile.

Venendo a trattare le modalità di suddivisione della spesa, le fonti normative da seguire per rispondere al quesito sono due. La prima, le disposizioni del regolamento di condominio: pare molto difficile che in un complesso edile di queste dimensioni non viga un regolamento di condominio in cui vengono disciplinati le modalità di suddivisione delle spese relative alla manutenzione della stradina. Nel caso in cui non vi sia un regolamento di condominio, la norma di riferimento è sicuramente l’art.1123 del c.c. ed in particolare i suoi commi 1° e 3°.
Il 1° comma, ci dice che le spese relative alle parti comuni dell’edificio sono sostenute dai condomini in proporzione al valore della proprietà di ciascuno. Il 3° comma, invece, ci dice che qualora ilcondominioabbia opere destinate a servire una parte dell’intero fabbricato le spese per la loro manutenzione sono a carico del gruppo di condomini che ne trae utilità.
Per la verità, si è sicuri che i principi dettati da tali rilevantissimi norme o dalle disposizioni racchiuse nel regolamento di condominio (se vigente), sono da tempo stati tradotti numericamente in tabelle millesimali generali riguardanti i beni e i servizi super condominiali.

Se così fosse (e si è sicuri che è così), sono solo tali tabelle che possono trovare applicazione: non è possibile infatti per i condomini in seno alla assemblea inventarsi dei criteri di riparto alternativi a quelli indicati dalle norme indicate, e approvarli a colpi di maggioranza. In caso contrario, la delibera sarebbe affetta da un gravissimo vizio di validità e sarebbe radicalmente nulla, a meno che tali criteri derogatori non vengano approvati all'unanimità dei proprietari, cioè, trattandosi di assemblea super condominiale, dalla totalità dei proprietari dei palazzi A, B, C e D. Come si può facilmente intuire, quanto descritto è una situazione molto difficile da realizzare nella realtà.

Fabrizio C. chiede
martedì 28/09/2021 - Puglia
“Nel pdf allegato la parte tratteggiata in blu è il lastrico solare di proprietà del condominio la parte in verde rappresenta un elemento architettonico (che erroneamente, forse, ho definito pensilina di coronamento) [foto 1 e 2] che :
1) perimetralmente segue l’andamento del suddetto lastrico
2) si trova ad una quota inferiore allo stesso di circa 40 cm
3) aggetta sui sottostanti terrazzi di proprietà esclusiva ubicati al piano attico sporgendo fuori dai suddetti terrazzi solo sul lato nord [foto 3 e 4]
Il quesito che pongo è il seguente:
per la manutenzione del suddetto elemento architettonico è applicabile l’art. 1123 comma 2 c.c. con la spesa, una parte su tutti, un’altra parte solo su quelli che traggono il beneficio maggiore [Cass. sent. n. 6010/19 del 28.02.2019].”
Consulenza legale i 30/09/2021
Per rispondere adeguatamente al quesito, bisognerebbe capire se effettivamente la pensilina sia un elemento che per le sue caratteristiche tecniche e funzionali possa servire i condomini del corpo di fabbrica interessato in misura diversa (1123 2° comma del c.c.), oppure sia tale da essere utile a tutti i proprietari indistintamente (1123 1° comma del c.c.).

Tale quesito deve essere rivolto non tanto ad un legale, quanto ad un tecnico edile (ad esempio un geometra), che potrebbe poi affiancare l’avvocato in una ipotetica causa nei confronti della compagine condominiale, nella quale si andrebbe ad impugnare l’errato riparto delle spese di riparazione della pensilina.

Esaminando le foto, pare che detta pensilina funga da copertura per i soli balconi sottostanti e quindi forse spetterebbe a tali proprietari far fronte alle spese della sua riparazione, ma se, per esempio, tale pensilina sia un elemento fondamentale per il sistema di scolo delle acque meteoriche dell’intero corpo di fabbrica, il riparto andrebbe fatto utilizzando il 1° co. dell’art. 1123 del c.c. A tutti questi dubbi può dare risposta solo un tecnico edile.


F.C. chiede
mercoledì 08/09/2021 - Puglia
“Buongiorno,
ho un abitazione in un condominio composto da tre scale. Per ogni singola scala, sui balconi affaccianti sul prospetto posteriore è posta una pensilina di coronamento, estensione solo in quel tratto del lastricato solare, che protegge tutte le abitazioni sottostanti e, centralmente, la parte esterna del vano scala (FOTO 1).
Dovendosi provvedere alla manutenzione di due delle tre pensiline esistenti chiedo:
1. I condomini della scala la cui pensilina non necessita di alcun intervento devono partecipare alla spesa?
2. Le spese di manutenzione straordinaria della singola pensilina sono da imputare ai condomini della scala a cui la pensilina si riferisce?
3. I condomini della stessa scala con solo affaccio sul prospetto principale, quindi non protetti in alcun modo dalla pensilina devono comunque partecipare alla spesa? Se si in che misura ?
Certo di un Vs cortese riscontro porgo
Distinti saluti”
Consulenza legale i 11/09/2021
Il lastrico solare è una parte piana dell’edificio posto alla sua sommità che in luogo del tetto a falde funge da copertura del fabbricato. Il n.1) dell’art.1117 del c.c. indica tale manufatto tra le parti condominiali, ma sovente capita che i rogiti di acquisto delle singole unità immobiliari o i regolamenti di condominio attribuiscano il lastrico in proprietà o in uso esclusivo ad uno specifico condomino.

Tale circostanza non è sicuramente di poco conto, soprattutto quando si è chiamati a ripartire le spese relative al rifacimento di tale importante parte dell’edificio, in quanto se il lastrico è condominiale le spese relative alla sua manutenzione ordinaria o straordinaria dovranno essere ripartite secondo le norme generali del codice civile e quindi ai sensi dell’art. 1123 del c.c., se invece il lastrico è in proprietà o in uso esclusivo ad un condomino troverà applicazione la ripartizione straordinaria prevista dall’art.1126 del c.c.

Per quanto ci è dato capire, nel caso specifico i lastrici solari posti sulla sommità dei tre corpi di fabbrica sono condominiali, tali devono essere considerati anche i loro elementi accessori come le pensiline di coronamento: per ripartire le spese di manutenzione siano esse ordinarie o straordinarie, trova applicazione l’art. 1123 del c.c. ed in particolare il 1° e 3° co. di tale norma.
Il 3° co. dell’art.1123 del c.c. ci dice: "Qualora un edificio abbia più scale, cortili, lastrici solari…le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condomini che ne trae utilità".

Applicando la normativa appena citata le spese per il rifacimento della pensilina dovranno essere sopportate solo ed esclusivamente dai proprietari le cui abitazioni sono ricomprese nel corpo di fabbrica sulla cui sommità è posta la pensilina da manutenere: per la sua ripartizione si dovrà applicare quindi la tabella generale riferibile solo a quel corpo di fabbrica.

Sono, quindi, esclusi dalla ripartizione tutti gli altri condomini, compresi quelli che hanno l’affaccio sul prospetto principale, questo perché la pensilina ha una funzione principalmente di copertura e di scolo delle acque piovane di cui beneficiano solo i proprietari del corpo di fabbrica interessato.

Giacinto L. P. chiede
mercoledì 26/05/2021 - Lazio
“Spett. redazione:
Sono proprietario (e residente) a Roma di un appartamento il cui palazzo è costituito da due blocchi di appartamenti con scale di accesso comuni, uno che chiamerò Blocco A e l’altro Blocco B.
L’Amministratore E** BO** del palazzo ha contrattualizzato per € 400.000,00 l’esecuzione di lavori di manutenzione ordinaria in data 11/05/2012 con la soc. Gruppo M****lindo.
Tali lavori sono stati parzialmente realizzati dall’Impresa, e corrispondono solo al 50% del capitolato sottoscritto. Praticamente sono stati eseguiti solo lavori sul Blocco A e non sul Blocco B.
Preciso che i lavori descritti in capitolato e i prezzi erano praticamente paritari tra i due blocchi.
Alla fine, in data 13 marzo 2017 (dopo 5 anni del contratto e a due circa dall’abbandono dei lavori da parte dell’impresa) il contratto è stato risolto con scrittura privata tra l’amministratore e il sig. David P**NA liquidatore della soc. esecutrice lavori, in liquidazione.
In tale risoluzione risulta che il Gruppo M****lindo. aveva ricevuto dalla contabilità del direttore lavori Ing. CRU***ANI maggiori somme per un importo di €. 28,000,00 successivamente restituiti al condominio tramite ulteriori prestazioni dell’impresa.
Naturalmente l’amministratore per tutto il periodo lavori ha emesso fatture a tutti i condomini per pagare le spese in rapporto ai vari stati di avanzamento emessi da D.L., in importo proporzionale ai singoli millesimi di ogni condomino.
Quindi tutti i condomini (Blocco A + Blocco B) hanno pagato le quote dei lavori effettivamente eseguiti e contabilizzati (ripeto solo sul Blocco A) in proporzione dei propri millesimi e non come è giusto “in relazione ai beni dei quali il singolo condomino usufruisce”. In pratica non c’è stata una equa ripartizione delle spese nella contabilità condominiale perché una parte ha pagato senza che nessun lavoro fosse stato eseguito sulla propria facciata o copertura, e l'altra parte ha pagato solo la metà delle opere di cui direttamente gode. In definitiva il 50% dei condomini ha usufruito anche dei soldi versati da altri condomini che non hanno goduto e non godono di nessun lavoro in modo diretto come impermeabilizzazione e sostituzione del proprio tetto e intonaco e riverniciatura di balconi e facciata.
CHIEDO:
1: La parte creditrice ha diritto alla restituzione delle spese ingiustamente pagate, oltre agli interessi legali, a partire dalla data dei versamenti a saldo?
2: La situazione debitoria e creditizia allargata, deve essere resa nota a eventuali acquirenti degli appartamenti, e una volta nota potrebbe incidere sulla possibilità di contrazione mutui, sui rapporti con le banche e con l’agenzia delle entrate, sulla possibilità di ottenere bonus del 100, 90%, e fino a mettere in discussione i contratti di compra-vendita già stipulati anche da tempo e che non abbiano tenuto conto del debito o del credito condominiale automaticamente contratto?”
Consulenza legale i 12/06/2021
Come è noto le norme del codice civile disciplinanti la ripartizione delle spese condominiali ed in particolar modo l’art. 1123 del c.c., il quale troverebbe diretta applicazione nel caso specifico, possono essere derogati da diverse convenzioni sottoscritte tra i proprietari. Tali convenzioni sono nella stragrande maggioranza dei casi racchiusi nei regolamenti di condominio di natura contrattuale allegati ai rogiti di acquisto delle singole unità immobiliari. In questi casi, infatti, le norme che l’amministratore deve seguire per un corretto riparto degli oneri condominiali sono quelle racchiuse nel regolamento, e non quelle previste dal codice civile. Se, in presenza di norme convenzionali derogatorie, l’amministratore applicasse nel ripartire le spese condominiali ciò che prevedono gli artt.1123 e ss. del c.c., la delibera che approva il bilancio di condominio conseguente sarebbe sul punto nulla e impugnabile in ogni tempo anche oltre i rigidi termini previsti dall’art.1137 del c.c.

Nel caso specifico l’art. 8 del regolamento condominiale prevede che tutte le spese attinenti alla conservazione, manutenzione, funzionalità e decoro delle parti comuni indicati dal precedente art. 1 devono essere sopportati dalla interezza dei proprietari e ripartiti secondo le tabelle millesimali allegate. Non ci è dato capire che tipologie di lavoro furono a suo tempo approvate, ma da una prima lettura il riparto operato dall’amministratore pare corretto alla luce delle disposizioni regolamentari vigenti nel complesso, se tali lavori coinvolgono espressamente le parti degli edifici indicati al’art.1 del regolamento.

Venendo a trattare della seconda parte del quesito, tra gli obblighi del venditore vi è quello di consegnare la cosa venduta previsto dal n.1) dell’art.1476 del c.c. Nel caso di vendita di una unità immobiliare tale obbligo si realizza non solo consegnando all’acquirente le chiavi dell’appartamento, ma anche di tutti i documenti ad esso attinenti, tra cui rientra sicuramente l’obbligo di consegnare il regolamento di condominio a cui il nuovo proprietario deve attenersi. Durante la trattativa poi, l’obbligo di buona fede che incombe sulle parti ai sensi dell’art.1377 del c.c., imporrebbe al venditore di rendere edotto il potenziale acquirente della situazione contabile del condominio, della presenza di eventuali situazioni debitorie e delle norme racchiuse nel regolamento. In altri termini se durante la trattativa l’acquirente chiede di prendere visione del regolamento di condominio, essa è una richiesta più che legittima a cui il venditore dovrebbe dare corso.
Posto questo, la situazione descritta non impedisce all’acquirente di contrarre mutui con gli istituti bancari, sulla base della normativa oggi vigente non incide sull’ottenimento di bonus fiscali e sicuramente non va ad incidere sui contratti di vendita già stipulati.

Maria T. I. chiede
mercoledì 28/04/2021 - Campania
“Nel mio condominio avendo degli invalidi (con carrozzella) ed un ascensore che parte dal piano ammezzato e non dal piano terra. Si è deciso di chiedere preventivo sia di un servoscala con poltroncina per superare la prima rampa di scale dal piano 0 al piano ammezzato. E di valutare anche il costo del prolungamento dell'ascensore. Si è poi deliberato all'unanimità di far partire l'ascensore (condominiale) dal piano terra. E di fare i lavori necessari per il prolungamento. In sede assembleare non si è deciso come ripartire la spesa. Poiché in un primo momento si era parlato di servoscala, l'ascensore è condominiale, il prolungamento è utile a tutti i condomini incluso il piano ammezzato. Per me era ovvio un riparto per art. 1123 Tabella di proprietà. Con mia grande sorpresa invece hanno chiesto riparto secondo art. 1124. Vorrei un vostro parere.”
Consulenza legale i 01/05/2021
La giurisprudenza in materia di suddivisione delle spese attinenti alla installazione manutenzione e sostituzione degli impianti ascensore in condominio, in maniera oramai dominante, tende a distinguere tra l’installazione di un nuovo impianto prima non presente nel palazzo, dalla manutenzione e sostituzione di uno già esistente. Le pronunce giurisprudenziali, sia di merito che di legittimità, che effettuano questa distinzione sono veramente copiose: si è usato come “faro guida” la sentenza Cass. Civ., Sez. II, del 25.03.2004 n.5975.

Le spese per la installazione di un impianto ascensore ex novo in un edificio ove prima non vi fosse la presenza di alcun impianto.

In questo caso, sostiene la giurisprudenza, siamo difronte ad una vera e propria innovazione ex art. 1120 del c.c., in quanto i condomini vanno ad introdurre nel condominio un servizio comune che prima non era presente. In questo caso le spese sostenute per l’installazione dell’impianto, vanno ripartite seguendo il principio dell’art. 1123 co.1 del c.c. che, tra le altre cose, disciplina la suddivisione delle spese per le innovazioni deliberate durante la vita condominiale. Applicando il criterio adottato da tale norma, gli oneri condominiali si ripartiscono in proporzione al valore delle singole unità immobiliari, e quindi, in termini pratici, applicando la tabella dei millesimi generali.

Le spese per la manutenzione o per la sostituzione di un impianto ascensore che era già presente nel momento in cui l’assemblea delibera su dette spese.

In questo caso, secondo la giurisprudenza, il criterio da seguire non è quello dell’art 1123 del c.c., ma del successivo art. 1124 del c.c. Applicando tale norma le spese per la manutenzione e la sostituzione degli ascensori, sono ripartite tra i proprietari delle unità immobiliari a cui servono. La spesa viene poi tra essa ripartita per metà in base al valore delle singole unità immobiliari, per l’altra metà esclusivamente in proporzione all’altezza di ciascun piano dal suolo. Generalmente i criteri di riparto indicati nell’art. 1124 del c.c., vengono matematicamente attuati dalla tabella ascensore, la quale viene utilizzata dagli amministratori per ripartire le spese di manutenzione e rifacimento dell’ascensore.

Applicando i principi appena tratteggiati si può concludere come il prolungamento della corsa dell’impianto ascensore esistente essendo teso ad estendere il servizio ad una parte dell’edificio che prima ne era sprovvisto, costituisce una innovazione ai sensi dell’art. 1120 del c.c. e come tale le relative spese devono essere ripartite ai sensi dell’art. 1123 del c.c.
Qualora quindi l’assemblea abbia deliberato di ripartire le spese sulla base del successivo art. 1124 del c.c., ci sono gli estremi per proporre una impugnazione innanzi alla autorità giudiziaria, preceduta da un tentativo obbligatorio di mediazione, se si è ancora nei termini perentori di cui all’art. 1137del c.c. L’impugnazione infatti deve essere proposta entro 30 gg. decorrenti dal giorno della riunione per i condomini dissenzienti o astenuti ma presenti in assemblea; per i proprietari assenti invece il termine per impugnare decorre dal giorno in cui viene loro comunicato il verbale della riunione. Il termine viene rispettato anche con la semplice presentazione della istanza di mediazione presso un organismo abilitato.


Mario C. chiede
venerdì 22/01/2021 - Veneto
“Condominio parziale formato da due fabbricati A e B . Sono proprietario nella scala B (appartamento di 48,976 ml) e nella scala A (garage e magazzino di 8,988 ml) Gestione in comune : amministrazione, manutenzione e illuminazione di tutte le parti in comune, assicurazione , imposte, tasse. sono ripartite tra le u.i. dei vari blocchi utilizzando le tabelle millesimali
Nella scala A non esiste ascensore e la pulizia scale viene eseguita dai proprietari della scala A. Nella scala B esiste l'ascensore e la pulizia eseguita da un'impresa. L'amministratore mi addebita I costi dell'ascensore , pulizie e luce scale in base ai millesimi di proprietà A + B Totale = 57,964 ml anziché 48,976 ml. è corretto ? Inoltre i costi ascensore non vengono ripartiti come da regolamento condominiale secondo percentuali calcolate sulla superficie complessiva S.C. degli alloggi applicando dei coefficienti in base ai vari piani. Ringrazio e Porgo distinti saluti. Mario Cella”
Consulenza legale i 26/01/2021
Non si è avuto modo di esaminare interamente il regolamento vigente nel complesso ma, ad ogni modo, si darà per presupposto, salvo smentita, che esso sia di natura contrattuale e quindi predisposto dall’originario costruttore e allegato ai singoli rogiti di vendita delle unità immobiliari.

Seguendo questa impostazione, in applicazione degli artt.1117 e 1123 del c.c., dovranno essere addebitati: ai proprietari del condominio “A”, le spese riguardanti i beni e i servizi comuni relativi a quel palazzo; ai proprietari del condominio “B”, le spese riguardanti i beni e i servizi comuni relativi a quel palazzo, e, infine, dovranno essere addebitati a tutti i proprietari dei due condomini, i quali, unitamente considerati, compongono il supercondominio, le spese relativi ai beni e servizi supercondominiali.

Ciò è anche confermato dall’art. 17 del regolamento il quale ci indica chiaramente quelli che sono i beni e i servizi riferibili al supercondominio, e quelli riferibili ai singoli blocchi. E’ evidente quindi che nel ripartire le spese, l’amministratore abbia violato precise disposizioni del regolamento: egli, al contrario, avrebbe dovuto usare i millesimi riferibili al solo appartamento per ripartire le spese di ascensore e luce e pulizia scale, in quanto solo l’appartamento è l’unità immobiliare ricompresa nell’edifico B e non quelli attribuibili al garage e magazzino, unità immobiliari situate in un condominio del tutto distinto.
L’amministratore, in altri termini, per un motivo che si ignora ha erroneamente usato la tabella riguardante i servizi supercondominiali per ripartire spese riferibili ai singoli edifici.

Venendo alla seconda parte del quesito, è ovvio che nel regolamento di condominio vi è una clausola la quale prevede un criterio derogativo in deroga a quanto dispone l’art.1124del c.c. in merito al riparto delle spese relative alla manutenzione e sostituzione di scale e ascensori: ciò è perfettamente lecito in quanto le norme del codice civile disciplinanti la suddivisione delle spese condominiali possono essere tranquillamente derogate da accordi tra tutti i condomini racchiusi in regolamenti di natura contrattuale. Anche in questo caso l’amministratore si fa beffe delle disposizioni del regolamento applicando i criteri di legge.

Come giurisprudenza unanime ha da tempo precisato, la delibera condominiale che approva un bilancio nel quale gli oneri condominiali sono suddivisi in deroga alle disposizioni di un regolamento contrattuale, deve considerarsi nulla e come tale contestabile innanzi al giudice anche se decorsi i termini di impugnazione di cui all’art.art. 1137 del c.c.del c.c. In questo senso è quindi spendibile una contestazione innanzi alla autorità giudiziaria preceduta da un tentativo di mediazione obbligatorio.

Luigi O. chiede
sabato 21/11/2020 - Lazio
“Condominio minimo.
Un palazzetto formato da 2 appartamenti e un locale commerciale è così diviso: un proprietario ha 1 appartamento, l'altro 1 appartamento e il
locale commerciale.
Le decisioni sono al 50%
In caso di lavori la fattura va divisa per due?
O per Mq?”
Consulenza legale i 23/11/2020
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la famosa sentenza n. 2046 del 31.01.06, hanno chiarito che il condominiocomposto da soli due proprietari (anche detto condominio minimo), è un condominio a tutti gli effetti a cui si applica la relativa disciplina. In particolare le Sezioni Unite hanno specificato che trova piena applicazione la normativa sul funzionamento della assemblea condominiale di cui all’art.1136 del c.c., poiché, ci dicono le Sezioni Unite, l’applicazione di tale norma, contrariamente ad altri articoli che trattano la materia condominiale, non è stata condizionata dal numero dei partecipanti al condominio.

Seguendo la logica dettata dalle Sezioni Unite anche gli artt. 1123 e 1124 del c.c., i quali disciplinano la modalità di riparto delle spese condominiali, devono trovare piena applicazione nel condominio minimo, poiché anche per tali articoli la loro applicazione non è limitata a condomini con un certo numero di partecipanti. Da ciò deriva, come regola generale, che anche nel condominio minimo gli oneri debbano essere ripartiti in proporzione al valore della proprietà di ciascuno. In linea puramente teorica, quindi, i due proprietari dovrebbero dare incarico ad un tecnico edile affinché lo stesso provveda a redigere le tabelle millesimali, le quali, una volta approvate, dovranno essere usate per ripartire in proporzione le spese riguardanti la gestione dello stabile. Tutto questo può essere fortunatamente evitato, poiché la disciplina dettata dagli artt. 1123 e 1124 del c.c. è tranquillamente derogabile da un diverso accordo delle parti, come espressamente previsto dall’ ultima parte del 1° co. dell’art. 1123 del c.c.

L’accordo deve essere la strada maestra che i due partecipanti al condominio minimo devono sempre seguire sia nella ripartizione delle spese, ma anche, come vedremo, nella modalità di gestione della cosa comune.
Quindi, in merito alla ripartizione delle spese, la cosa che ci si sente di consigliare è quella di redigere (o di fare redigere da un professionista), uno scritto in cui si metta nero su bianco con quali modalità procedere alla suddivisione delle spese condominiali, accordo che dovrà essere il faro guida per suddividere le spese nella future gestioni dell’edificio.

La conclusione a cui si è giunti in merito al riparto delle spese condominiali deve essere seguita anche per quanto riguarda le scelte di gestione della cosa comune.
È vero che la pronuncia delle Sezioni Unite, citata poco sopra, ritiene pienamente applicabili anche al condominio minimo le norme sul funzionamento della assemblea di cui all’art.1136 del c.c., ma chi scrive ritiene che seppur tale soluzione sia corretta da un punto di vista teorico, pecchi di senso pratico.

Come è noto, infatti, i quorum deliberativi previsti dall’art.1136 del c.c. sono sempre composti da una doppia maggioranza per teste e millesimi. A titolo puramente esemplificativo, analizziamo il 2° co. dell’art.1136 del c.c., esso dispone: "Sono valide le deliberazioni approvate con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti (maggioranza per teste n.d.r.) e almeno la metà del valore dell'edificio (maggioranza per millesimi n.d.r.)". Nel condominio composto da soli due condomini è impossibile raggiungere una maggioranza per teste in quanto, o i proprietari sono entrambi concordi sulle decisioni da prendere, oppure non raggiungono accordo alcuno. Nel primo caso, però, non si può parlare di una delibera assembleare, ma di un normalissimo accordo tra due comproprietari riguardanti il loro bene comune, disciplinato tuttalpiù dalle norme sul contratto. Nel secondo caso, la maggioranza non può formarsi: l’unica strada che rimane, pertanto, è quello di ricorrere alla Autorità giudiziaria ai sensi dell’art.1105 del c.c., ed in particolare al suo co.4°, norma pacificamente ritenuta applicabile anche al condominio in forza del rinvio operato dalle norme sulla comunioneda parte dell’art.1139 del c.c.

Quindi, in conclusione, al fine di evitare inutili contenziosi che non avrebbero altro risultato che quello di rallentare la gestione del condominio e danneggiare le proprietà dei due partecipanti, durante lo svolgimento della vita condominiale è sempre opportuno trovare un accordo sia per la gestione che per il riparto delle spese attinenti alla cosa comune.

Giacinto L. P. chiede
martedì 10/11/2020 - Lazio
“Gentile Studio, mi riferisco alla consulenza Q2020262630 a seguito della mia richiesta sul comportamento dell'amministratore di Condominio che ci invia le RATE (fisse) di pagamento del riscaldamento secondo il preventivo dell'anno precedente, e non a consumo. Mi avete risposto in sostanza che questo è giustificato dalla prassi e che la finale compensazione fa in modo che la modalità di pagamento risulti aderente allo spirito della legge 10.
Mi ero dimenticato di dirvi che il preventivo dell'anno precedente non è stato ancora approvato dall'assemblea, ma lo sarà.
Mi scuso se la vostra risposta mi lascia ancora qualche dubbio. La legge 10 giustamente divide le spese di condominio in due, quelle fisse e quelle a consumo. Questa divisione presuppone che le spese a consumo si debbano pagare in rapporto al CONSUMO reale in un tempo determinato (una volta al mese, bimestrale, annuale ecc.): La rata non dovrebbe essere ammessa perché non ha detto che si consumi in un anno quanto si è consumato l'anno precedente perché le abitudini familiari cambiano nel tempo. Così come avviene per l'elettricità, il gas e altri consumi variabili.
D'altra parte pagare ogni mese o ogni bimestre il reale consumo porterebbe a controllare la corrispondenza consumi-pagamento com maggior precisione. Vorrei quindi sapere quanto potrebbe essere realistico costringere pro lege l'amministratore a far coincidere le letture mensili ai pagamenti, sinecura ormai con le normali applicazioni informatiche. Grazie.”
Consulenza legale i 13/11/2020
La “legge 10” a cui si fa riferimento è con ogni probabilità la L. n.10 del 9 gennaio 1991. Tale provvedimento legislativo ha come primaria finalità quello di introdurre norme tese a razionalizzare il consumo energetico e a migliorare la produzione di energia: in questo senso, i destinatari naturali di tali disposizioni sono gli operatori del settore energetico e non gli amministratori di condominio.

E’ anche vero che alcune parti della L. n.10/1991, riguardano direttamente il settore condominiale e il consumo energetico negli edifici condominiali. In particolar modo l’art. 26 prevede, in deroga a quanto dispongono gli artt. 1120 e 1136 del c.c., delle maggioranze assembleari molto vantaggiose qualora si vogliano disporre delle innovazioni negli edifici tese al risparmio energetico. Ai fini del presente quesito è interessante il co. 5° della norma in commento: "Per le innovazioni relative all’adozione di sistemi di termoregolazione e di contabilizzazione del calore e per il conseguente riparto degli oneri di riscaldamento in base al consumo effettivamente registrato, l'assemblea di condominio delibera con le maggioranze previste dal secondo comma dell'articolo 1120 del codice civile". Non ci si deve confondere nel leggere questo comma! L’art. 26 co. 5° della L n.10/1991 poco sopra citato, infatti, prevede solo delle maggioranze più facili da raggiungere nel caso in cui si vogliano introdurre innovazioni tese a migliorare il riscaldamento negli appartamenti e la sua contabilizzazione, ma non interviene modificando le modalità di ripartire le spese tra i condomini, derogando al principio della proporzionalità previsto dall’art.1123 del c.c. In termini più semplici, la L n.10/1991, non obbliga l’amministratore a ripartire tra i condomini le spese di riscaldamento in base al consumo effettivamente registrato!

Per ripartire le spese la norma guida che l’amministratore deve seguire rimane l’art.1123 del c.c., a meno che non sia vigente nel condominio un regolamento contrattuale che detti disposizioni diverse: in questo caso prevalgono le norme del regolamento rispetto a quanto prevede il codice civile.
Stante la grandezza notevole del condominio in cui vive l’autore del quesito, è molto probabile che vi sia un regolamento di condominio che detti norme specifiche sulle modalità di riparto delle spese di riscaldamento, ma fingendo che questo regolamento non esista, le spese di riscaldamento dovranno essere ripartite con il criterio di proporzionalità previsto dall’art. 1123 del c.c., e quindi attraverso le classiche tabelle millesimali di proprietà. Se però l’edificio è dotato di contabilizzatori individuali che indicano il consumo di energia per ogni unità immobiliare, la giurisprudenza ha statuito che è illegittima la suddivisione delle spese in base ai millesimi, dovendole ripartire in base al consumo effettivo registrato dai contatori individuali (in questo senso, da ultimo, Cass.Civ.,Sez.II, ordinanza n.28282 del 4.11.2019).

Quindi applicando tutto ciò alla problematica del quesito, l’amministratore dovrà ripartire le spese di riscaldamento nel consuntivo parziale o definitivo in base al consumo effettivamente avuto da ogni singola unità immobiliare, se l’edificio è dotato di contabilizzazione individuale; nel preventivo parziale o definitivo il professionista potrà tranquillamente suddividere le spese di riscaldamento facendo una stima di quanto ogni singola unità abitativa andrà a consumare per il futuro: nel fare però tale stima, egli dovrà avere come punto di riferimento e di partenza quanto effettivamente consumato nel periodo già trascorso.
Per capire se l’amministratore rispetti quanto detto nel ripartire le spese di riscaldamento si dovrebbe dare in visione i bilanci del condominio ad un revisore dei conti condominiale, affinché si esprima sull’operato dell’amministratore.


. chiede
venerdì 06/11/2020 - Veneto
“Buongiorno, sono proprietario di immobile in condominio, nel corso dell'ultima assemblea del 26/10/2020, a cui non ho preso parte, sono intervenuti (in seconda convocazione) 23 condomini su 45, per complessivi 593 millesimi.
Dal verbale trasmessomi risulta che "l'assemblea unanime delibera di affidare all' Ing. (omissis) l'incarico per la diagnosi energetica e per la valutazione dello stato di salute del condominio" (ai fini del superbonus 110% e 90% facciate).
Il verbale poi prosegue :
"il costo di tale diagnosi ammonta ad € (omissis) per cadauna unità immobiliare. La spesa, interamente anticipata dal condominio, sarà successivamente scomputata dal costo successivo delle opere, nelle modalità e nei termini previsti dalla normativa in materia, solo laddove l'assemblea decidesse di procedere con l'approvazione dei lavori."
L'importo pro capite è stato poi, sempre da verbale, suddiviso in due rate di pari importo.
Infine il verbale si conclude "I condomini presenti sempre con le maggioranze di cui sopra approvano quanto dall'amministratore indicato".
Il mio quesito è il seguente:
è possibile suddividere la spesa per la consulenza energetica, prodromica al superbonus, con metodo capitario e non in base ai millesimi di comproprietà?
Inutile aggiungere che, in base al criterio capitario deliberato dall’assemblea, mi ritrovo a pagare una spesa di circa sei volte superiore a quella in base ai millesimi di comproprietà.”
Consulenza legale i 10/11/2020
La suddivisione delle spese condominiali per teste è una prassi piuttosto diffusa nei condomini, ma sicuramente foriera di possibili e fondate contestazioni alla luce dei recenti arresti giurisprudenziali della Corte di Cassazione.

Un primo e più risalente orientamento dei giudici di legittimità (si veda Cass.Civ.,Sez.II, n. 2916 del 02.08.1969) riteneva ammissibile la suddivisione delle spese con metodo capitario soprattutto per quelle inerenti all’ impianto citofonico e a quello della antenna tv. Il dato normativo da cui tale orientamento prendeva le mosse era il 2° co. dell’art. 1123 del c.c., e da lì si giustificava la suddivisione degli oneri condominiali con metodo capitario per quei servizi che potevano essere utilizzati in misura uguale dai proprietari.

Tale orientamento, però, è stato sconfessato da un più recente arresto della stessa Corte di Cassazione, la quale con Ordinanza n. 4259 del 21.02.2018 ha ritenuto radicalmente nulla la delibera condominiale che, derogando al criterio proporzionale previsto dal co.1° dell’art. 1123 del c.c., dispone la suddivisione degli oneri condominiali per teste e non attraverso l’utilizzo delle tabelle millesimali approvate dalla assemblea.

Secondo i giudici la giustificazione a tale conclusione risiede nel fatto che, in assenza di un apposito accordo sottoscritto tra tutti i proprietari, l’assemblea non può a colpi di maggioranza derogare a quanto dispone l’art. 1123 del c.c., il quale pone il criterio proporzionale come metodo principale per la suddivisione delle spese in condominio. Il fatto che una delibera di tale tenore debba considerarsi nulla, in assenza di un accordo unanime dei proprietari che legittimi un diverso metodo di ripartizione delle spese, comporta che essa possa essere impugnata in ogni tempo, da chiunque vi abbia interesse e anche oltre i rigidi termini previsti dall’art.1137 del c.c.
Alla luce di quanto detto la delibera assembleare descritta nel quesito deve considerarsi nulla, proprio perché la stessa non è stata adottata alla unanimità: alla riunione, infatti, per quanto ci è dato sapere, erano presenti solo 23 proprietari sul totale di 45.

Vi è da dire, inoltre, che a parere di chi scrive tale delibera deve considerarsi nulla non solo alla luce del più recente orientamento della Cassazione, ma anche in forza di quello più remoto. I giudici con le pronunce rilasciate verso la fine degli anni ‘60 del secolo scorso ritenevano legittima la suddivisione per teste delle sole spese attinenti a quei servizi che in linea teorica venivano ritenuti suscettibili di un uso paritario (impianto tv o citofono), ma tale legittimità non veniva estesa de plano a tutte i servizi e le parti comuni dello stabile. I muri maestri, le fondamenta, le travi e i tetti, per fare solo alcuni esempi, sono da sempre state considerate come beni condominiali le cui spese dovevano essere ripartite applicando rigorosamente il disposto dell’art. 1123 del c.c. (sempre in assenza di diversa convenzione). Se analizziamo bene quanto deciso, la assemblea dei proprietari ha dato incarico ad un tecnico affinché si facesse una valutazione complessiva dello stato di salute dello stabile e della sua efficienza energetica: pertanto anche l’orientamento meno recente dalla giurisprudenza mal si adatterebbe ad essere applicato al caso descritto.

GIUSEPPE C. chiede
lunedì 11/05/2020 - Lazio
“Buongiorno,

sono Giuseppe C. amministratore di condominio e avrei bisogno di una consulenza scritta in merito a un criterio di ripartizione da adottare presso il Condominio...

Il Condominio è composto da un fabbricato di 6 scale e con un terrazzo condominiale che copre interamente le scale con rispettivi accessi.

In data 16/03/2020 affacciandosi dai parapetti del terrazzo condominiale in corrispondenza delle scale B e C alcuni condomini hanno riscontrato che i parapetti si muovevano pericolosamente e pertanto sono intervenuto immediatamente mettendo in sicurezza l'area con installazione di due ponteggi in corrispondenza delle sue scale interessate per prevenire eventuali crolli.

Una volta sbloccati i cantieri si è provveduto al lavoro di rafforzamento dei parapetti direttamente dal terrazzo condominiale.

Alcuni condomini affermano che la spesa è di competenza solo delle due scale mentre altri dicono che essendo un unico fabbricato riguarda tutti in quanto i parapetti fanno parte della facciata.

ll regolamento all'art. 3) parti comuni che dice:

sono parti comuni e indivisibili le parti costitutive dell'edificio, le opere, le installazioni e i manufatti che sono indispensabili al godimento e conservazione dell'edificio stesso e in particolare:

- i lastrici solari, le scale, i pianerottoli e gli androni tutti limitatamente alle unità da queste servite

Inoltre si fa presente che la tabella B riguardante l'edificio A ha un valore di 1000 millesimi.

Rimango in attesa di un Vs cortese riscontro visto che devo redarre la ripartizione delle spese sostenute il prima possibile e serve posso allegare regolamento e fotografie”
Consulenza legale i 15/05/2020
E’ giusto innanzitutto dire che le modalità di suddivisione delle spese sono normate da un regolamento di condominio di chiara natura contrattuale. Come è noto gli artt. 1123 e ss. del c.c., disciplinanti le modalità di riparto delle spese attinenti al condominio, possono essere derogati da un accordo preso dalla unanimità dei proprietari e da un regolamento condominiale contrattuale. In questo caso la giurisprudenza assolutamente unanime e costante, ci dice che una delibera assembleare che andasse ad approvare un piano di riparto contrario alle disposizioni del regolamento di condominio di natura contrattuale, deve considerarsi radicalmente nulla (si veda da ultimo Cass.Civ., Sez. II, ord. n. 470 del 10 gennaio 2019).

È quindi assolutamente consigliabile proporre in assemblea una suddivisione delle spese di manutenzione del lastrico che sia il più rispettosa possibile di quanto prescritto nel regolamento; diversamente si correrebbe il rischio che il rendiconto dei lavori straordinari approvato dalla assise possa essere impugnato dai condomini in ogni tempo, anche oltre i rigidi termini impugnatori di 30 gg. previsti dall’art. 1137 del c.c., e anche da quei proprietari che per assurdo abbiano espresso voto favorevole al piano di riparto proposto.

Analizzando le norme del regolamento che sono state date in visione, si nota come il lastrico solare sia considerato un bene comune limitatamente alle unità da questo servite. Coerentemente, la spesa per la manutenzione dei lastrici solari, a cui la tipologia di intervento descritta nel quesito deve gioco forza farsi rientrare, deve essere suddivisa utilizzando la tabella “B” a cui lo stesso regolamento fa chiaro rinvio nel caso in cui si debbano ripartire spese per lavori di manutenzione attinenti al lastrico.
Pertanto è inevitabile concludere che è tale tabella che si deve applicare per ripartire tra i proprietari le spese di ristrutturazione del lastrico: questo almeno se si vuole proporre un piano di riparto idoneo a resistere ad eventuali contestazioni, evitando che possa essere considerato nullo in un ipotetico giudizio.

Rocco O. chiede
domenica 09/02/2020 - Basilicata
“Sono proprietario di un appartamento (3,57 mill.mi) che si trova in un ""complesso turistico residenziale"" ed ogni anno si dibatte sulla liceità dell' assemblea ad approvare il bilancio preventivo dell' amm.re che prevede oltre alle spese di gestione anche l' appostazione di ca. 15mila euro per l' animazione che viene svolta regolarmente.
Il quesito che pongo è il seguente:
-può l' assemblea deliberare il costo, peraltro in parti uguali, dell' animazione?
Io sostengo ogni volta in assemblea, sempre contestato da chi affitta, che l' animazione è una attività ludica che esula dalla gestione per la cui spesa è necessario il consenso di tutti i condomini e che il turismo residenziale è autodiretto;cioè il turista si organizza la sua vacanza secondo le sue esigenze. Diversamente nelle strutture convenzionali (alberghi, villaggi
turistici, ecc.) è l' industria del turismo a provvedere alle esigenze della clientela. Grazie”
Consulenza legale i 11/02/2020
L’animazione deve considerarsi un servizio comune condominiale, così come nei condomini “di città” possiamo avere il servizio di portierato o di giardinaggio, e come tale gli oneri annuali devono essere rendicontati dall’amministratore e inseriti nel bilancio consuntivo e preventivo, per poi essere approvati dall’organo assembleare.

Ciò che forse desta maggiore perplessità nel caso proposto, non è tanto il fatto che il servizio di animazione sia inserito all’ interno del bilancio condominiale, ma il criterio per mezzo del quale vengono ripartite le spese tra tutti i proprietari. Se si analizzano le norme del codice civile disciplinanti le modalità di riparto delle spese condominiali, non esiste un riferimento alla suddivisione in quote uguali. Il 1° comma dell’art. 1123 del c.c. ci dice, come criterio generale, che le spese necessarie per la prestazione di servizi nell’interesse comune, nel cui concetto rientra sicuramente il servizio di animazione, devono essere ripartiti in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diverso accordo tra i condomini.

Applicando tale articolo al caso proposto le spese annuali per il servizio di animazione dovranno essere suddivisi applicando la tabella dei millesimi generali di proprietà, salvo che tutti i condomini alla unanimità non deliberino un metodo di riparto differente, il quale potrà tranquillamente essere la suddivisione in parti uguali. Se però manca tale decisione unanime da parte dell’assise dei proprietari è il criterio previsto dal citato art. 1123 del c.c. che deve trovare applicazione.

La giurisprudenza assolutamente dominante ritiene radicalmente nulla, e quindi impugnabile in ogni tempo da chiunque vi abbia interesse anche oltre il rigido termine di cui all’art.1137del c.c., la delibera assembleare che suddivide gli oneri condominiali con criteri differenti da quelli legislativamente previsti, in assenza di uno specifico accordo derogatorio adottato dalla unanimità dei proprietari (si veda in tal senso Cass. Civ., Sez. II, n. 28679 del 23.12.2012).

È giusto tuttavia segnalare che in merito al criterio di riparto in parti uguali, vi è un risalente orientamento della giurisprudenza (Cass. Civ., Sez. II, n. 2916 del 02.08.1969) che lo ritiene comunque ammissibile anche in assenza di uno specifico accordo tra i condomini, facendo leva su una applicazione eccessivamente estensiva del 2° comma dell’art. 1123 del c.c., il quale disciplina la suddivisione delle spese condominiali di quelle parti e servizi dell’edificio destinati a servire i proprietari in maniera diversa. Oltre al fatto che chi scrive ritiene tale orientamento basato su presupposti logici del tutto errati, è giusto dire che lo stesso non ha trovato conferme, per quanto ci è dato sapere, in pronunce di merito o di legittimità più vicine nel tempo e sotto la vigenza della nuova normativa del condominio.

Per completezza si precisa che il singolo condomino non può autonomamente rinunciare ad un servizio rifiutandosi di pagare gli oneri relativi, ma è assolutamente lecito mettere all’ordine del giorno la rinuncia ad un determinato servizio comune come, ad esempio, nel caso portato dal quesito, il servizio di animazione.
In questo senso la Cass. Civ., Sez. II, n. 3708 del 29.03.1995, ha precisato che se il servizio condominiale è previsto dal regolamento condominiale, di natura assembleare o contrattuale (in questo caso è irrilevante), la sua soppressione comporta una modifica allo stesso che deve essere approvata con le maggioranze di cui al co. 2° dell’art. 1136 del c.c. (maggioranza degli intervenuti che rappresentano almeno la metà del valore dell’edificio: 500 millesimi).

Davide A. chiede
giovedì 09/01/2020 - Lombardia
“Salve,
abitiamo con altri condomini in due palazzine distinte, che hanno in comune il vialetto pedonale per accedere agli ingressi delle medesime.
La prima palazzina ha 4 ingressi indipendenti per 4 appartamenti, mentre la seconda palazzina ha un unico ingresso per 10 appartamenti.
Il vialetto è lungo circa 50 metri, ed i 4+1 ingressi sono posti ad altezze diverse rispetto al cancello pedonale d’ingresso, secondo il seguente schema:
1) Primo ingresso della prima palazzina (A) a 25 metri dal cancello pedonale
2) Secondo ingresso della prima palazzina (B) a 35 metri dal cancello pedonale
3) Terzo ingresso della prima palazzina (C) a 40 metri dal cancello pedonale
4) Quarto ingresso della prima palazzina (D) a 45 metri dal cancello pedonale
5) Unico ingresso della seconda palazzina (E) a 50 metri dal cancello pedonale
Ora, tale vialetto è in condizioni pessime e si deve procedere al rifacimento della pavimentazione, ed il preventivo di spesa è abbastanza oneroso.
Come detto, tale vialetto è parte in comune dei vari condomini, ed ognuno è proprietario di un pezzo di esso in base alle tabelle millesimali.
Infatti attualmente per la pulizia del medesimo si procede secondo i millesimi di proprietà.
Oggi quindi, il condomino che accede al primo ingresso (A) paga per la pulizia del vialetto in base alla tabella dei millesimi, anche se utilizza solo 25 metri dei 50 totali.
Ora però, dovendo sostenere la spesa del rifacimento della pavimentazione, vorremmo sapere se tale spesa deve essere ripartita ancora secondo le tabelle millesimali o se invece, forse più correttamente, non debba essere suddivisa secondo il reale utilizzo da parte dei vari condomini.
Nel nostro caso specifico, il condomino del primo ingresso risulta essere anche quello con il numero di millesimi maggiore, quindi si ritroverebbe a sostenere da solo buona parte della spesa, malgrado utilizzi solo una parte del corsello
Leggendo l’art 1123 del codice civile e relative spiegazioni, in particolare il comma 3. si trova che “le spese di manutenzione sono a carico del gruppo di condomini che ne trae utilità….”
È il nostro caso o dobbiamo applicare i millesimi?
Se fosse corretto il primo caso, come sarebbe l’eventuale ripartizione delle spese?
Oltre a questo, per procedere col rifacimento serve l’unanimità di tutti i condomini o basta la maggioranza, o la sola maggioranza presente all’assemblea?
Nell’attesa di vostro gentile riscontro, ringrazio anticipatamente
Cordiali saluti”
Consulenza legale i 10/01/2020
L’art. 1123 del c.c. al suo 1° comma ci dice che le spese necessarie per la conservazione e il godimento delle parti comuni dell’edificio e dei servizi condominiali sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno: tale criterio generale trova applicazione salvo diversa convenzione. Le tabelle millesimali generali non fanno altro che attuare tale criterio, traducendo in termini matematici il criterio di proporzionalità richiamato dalla norma.

Come si è accennato poco sopra solo una diversa convenzione tra i proprietari può andare a derogare alle disposizioni di cui all’art. 1123 del c.c.: tale diversa convenzione può essere racchiusa o in un regolamento di condominio di natura contrattuale (il classico regolamento allegato ai singoli rogiti di vendita delle unità abitative), in uno specifico accordo sottoscritto dalla unanimità dei condomini, oppure in una delibera condominiale approvata, però, sempre alla unanimità di tutti i partecipanti al condominio, e non solo quindi dei condomini presenti alla riunione condominiale. E’ quindi ben possibile che l’assemblea di condominio approvi alla unanimità dei componenti del condominio un diverso criterio di riparto per l’esecuzione di determinati lavori di ristrutturazione, ad esempio le spese di conservazione del vialetto di accesso al complesso.

È importante sottolineare che in assenza di uno specifico accordo derogatorio adottato da tutti i proprietari, l’assemblea non può a colpi di maggioranza adottare dei criteri di ripartizione delle spese differenti rispetto a quelli legislativamente previsti. Per costante giurisprudenza una delibera condominiale di questo tenore sarebbe radicalmente nulla e quindi impugnabile innanzi alla autorità giudiziaria in ogni tempo, anche oltre i rigidi termini previsti dall’art. 1137 del c.c.
In questo senso è molto importante l’insegnamento di Cass.Civ.,Sez.II, n.19651 del 04.08.2017, la quale ci dice che sono nulle:” tutte le deliberazioni adottate in violazione dei criteri normativi o regolamentari di ripartizione delle spese, e quindi in eccesso rispetto alle attribuzioni dell'organo collegiale, seppur limitate alla suddivisione di un determinato affare o di una specifica gestione, non potendo la maggioranza dei partecipanti incidere sulla misura degli obblighi dei singoli condomini fissata per legge o per contratto, ed occorrendo, piuttosto, a tal fine, un accordo unanime, espressione dell'autonomia negoziale"

Nel caso descritto nel quesito, sarà possibile ripartire le spese di ristrutturazione del vialetto con un criterio convenzionale differente rispetto all’art.1123 del c.c., e quindi non applicare le tabelle millesimali, solo ed esclusivamente se si riuscirà a raggiungere un accordo in tal senso tra tutti i proprietari.

Ferma restando l’applicazione della tabella millesimali generali vigente nel condominio per la ripartizione delle spese, i lavori di ristrutturazione del vialetto dovranno essere approvati con le maggioranze di cui ai commi 2° e 4° dell’art. 1136 del c.c. (maggioranza degli intervenuti che rappresentano almeno la metà del valore dell’edificio:500 millesimi), questo perché, da quanto ci è dato capire, siamo di fronte ad un intervento di ristrutturazione di notevole entità, come tale rientrante nell’ambito di applicazione del 4° co. dell’art.1136 del c.c.

È appena il caso di precisare che nel caso descritto non può trovare applicazione il co. 3° dell’art.1123 del c.c. Tale comma trova la sua applicazione nel momento in cui vi sono opere impianti destinati servire solo una parte dell’edificio. Il classico caso è un edificio molto grande suddiviso in più gruppi di scale, i quali, ad esempio, hanno ciascuno un impianto ascensore posto al loro servizio: chiaramente le spese riguardanti tale impianto dovranno essere attribuiti solo al gruppo di condomini di quella specifica scala.
Il vialetto del quesito invece è un manufatto che per sua natura è comune a tutto il complesso edile avendo la funzione di permettere l’accesso agli ingressi delle singole palazzine, a nulla rilevando la distanza che vi è tra l’ingresso di ciascuna palazzina e il cancelletto pedonale.

Claudio C. chiede
lunedì 06/01/2020 - Lazio
“Invio richiesta con documentazione allegata come da Vs suggerimento .dopo previo pagamento di € 29,90”
Consulenza legale i 16/01/2020
Rispondendo alla prima domanda, si ritiene che la ripartizione delle spese dei lavori di messa a norma dei garage al secondo piano interrato sia perfettamente conforme alla normativa vigente e al regolamento di condominio di evidente natura contrattuale. Nessun appunto può essere mosso nei confronti dell’amministratore sotto questo punto di vista.
L’art. 36 del regolamento di condominio dice in maniera molto chiara e netta che: "Tutte le spese riguardanti il secondo piano interrato saranno ripartite fra i proprietari dei boxes secondo i millesimi della tabella E". Tale norma del regolamento tra l’altro non fa che ricalcare perfettamente il 3° comma dell’art. 1123 del c.c. il quale dice chiaramente: "Qualora un edificio abbia più scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti destinati a servire una parte dell'intero fabbricato, le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condomini che ne trae utilità”.
.
Le opere di messa a norma descritte nel quesito, non possono che riguardare solo ed esclusivamente i proprietari dei 9 box al 2° piano interrato: in applicazione delle norme vigenti, sulla realizzabilità di tali opere devono decidere solo ed esclusivamente tali condomini e le relative spese sono a carico solo di quel gruppo di proprietari. È utile precisare che, per giurisprudenza assolutamente pacifica e consolidata, una ipotetica ripartizione approvata dalla assemblea di condominio a colpi di maggioranza, che andasse a ripartire fra tutti i condomini le opere di manutenzione che coinvolgevano solo i 9 box al 2° piano interrato, violando apertamente l’art 36 del regolamento di condominio, sarebbe stata nulla, e quindi impugnabile in ogni tempo da chiunque vi abbia interesse anche oltre i termini di cui all’art. 1137 del c.c.

Se gli aggiornamenti alla normativa antincendio erano entrati in vigore dal 2011, vi era tra gli obblighi dell’amministratore quello di informare l’assemblea dei proprietari (ed in particolare i proprietari dei 9 box interessati), delle modifiche normative intercorse, e fare mettere ai voti l’approvazione degli eventuali lavori necessari per mettere a norma le parti dell’edificio interessate. Se ciò non è stato fatto tale comportamento potrebbe configurare un inadempimento da parte del professionista, ma questo non significa automaticamente che si possa richiedere allo stesso un qualche risarcimento. Bisogna infatti dimostrare che tale mancanza di informazione abbia causato dei danni alla proprietà, e su questo aspetto il quesito non ci fornisce elementi sufficienti, ed in ogni caso anche se l’amministratore avesse informato prontamente ed adeguatamente i condomini, la scelta se effettuare o meno i lavori spettava sempre ai proprietari dei 9 box, i quali avrebbero potuto tranquillamente decidere, applicando le maggioranze di cui all’art. 1136 del c.c., di rinviare la realizzazione dei lavori. L’amministratore, in questo caso, non avrebbe potuto fare altro che prendere atto della decisione presa dai condomini amministrati.

Alla luce di quanto detto anche la terza domanda proposta nel quesito non può che essere negativa: non si vede come l’amministratore possa essere responsabile del fatto che ci si è dovuti sobbarcare le spese di messa a norma del garage venduto. I lavori sono stati regolarmente approvati dalla assemblea ed eseguiti, e ciò ha permesso di vendere il garage a norma.
Si tenga conto che vi è un orientamento giurisprudenziale che si sta via via sempre più consolidando, secondo il quale se i lavori straordinari, cioè le spese di ristrutturazione di innovazione delle parti comuni in cui sicuramente rientrano i lavori di messa a norma descritti nel quesito, sono stati deliberati dalla assise dei proprietari prima della vendita della unità immobiliare, il pagamento di tali spese spettano alla parte venditrice. (si veda: Cass Civ.,sez.II, Ord. n. 15547 del 22/6/2017).

Andrea F. chiede
venerdì 11/10/2019 - Lombardia
“Buonasera, sono proprietario di un box situato in provincia di Sassari e parte di un condominio nel quale non ho altre proprietà né possessi. Accedo al box direttamente dalla strada, mentre non ho accesso né ai locali condominiali (scale, androni, insomma all’interno dello stabile) non possedendo le chiavi: ho solo la chiave del mio box che inoltre non ha allacciamenti né utenze private o condominiali...
Riguardo alle spese condominiali mi vengono addebitate le utenze/spese riferite a servizi dei quali non posso fruire né ho interesse a farlo (acqua, autoclave, luce scale, pulizia scale, ascensore): mio utilizzo è l’apertura e chiusura del box direttamente dalla strada, e basta.
Posso evitare di pagare queste spese che riguardano servizi di cui non posso usufruire?”
Consulenza legale i 16/10/2019
Preliminarmente si precisa che si risponderà al presente quesito dando per scontato che non sia vigente nel condominio un regolamento contrattuale, o un qualche accordo approvato da tutti i condomini, che vadano a derogare alle disposizioni del codice civile disciplinanti la suddivisone delle spese condominiali, ed in particolare l’art. 1123 del c.c. Se così non fosse per rispondere adeguatamente al quesito si dovrebbe preliminarmente esaminare i predetti accordi in quanto prevarrebbero sulla disciplina prevista dalla legge.

Posto questo, nella situazione descritta trova piena applicazione l’art.1123 del c.c, ed in particolare il suo secondo comma. Nel primo comma di tale articolo viene introdotto il principio generale in forza del quale le spese condominiali vengono ripartite in misura proporzionale al valore delle proprietà di ciascuno (salvo diversa convenzione). Il secondo comma deroga repentinamente a tale principio generale disponendo che:” Se si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione dell'uso che ciascuno può farne”.
Una risalente pronuncia della Corte di Cassazione che però non ha trovato ad oggi ancora alcuna smentita (per quanto ci è dato sapere), Cass Civ.,Sez.II, n.13160 del 6.12.1991, ha statuito che il principio racchiuso nel 2° comma dell’art.1123 del c.c., trova applicazione per quei servizi condominiali che per le loro caratteristiche oggettive, siano suscettibili di un utilizzo separato da parte dei condomini.

A parere di chi scrive, il caso prospettato rientra perfettamente nell’ambito di applicazione del secondo comma così come interpretato dalla giurisprudenza. Dato che l’unica proprietà nel palazzo è un box auto, tutti quei servizi che per la loro funzione economica oggettiva sono posti al servizio e al miglior godimento delle unità abitative (es: ascensore, pulizia e luce scale, spese idriche ecc. ecc.), non possono essere accollati, ai sensi del secondo comma dell’art. 1123 del c.c., a chi è proprietario della sola autorimessa. A quest’ ultimo, ai sensi del primo comma dell’art. 1123 del c.c., andranno imputate solo le spese di quei servizi funzionali al godimento della sua proprietà, per esempio: la forza motrice necessaria alla apertura del cancello condominiale, le spese di manutenzione e di eventuale messa a norma del cancello condominiale, le spese di manutenzione della rampa di accesso ai locali box, le spese amministrative del condominio auto ecc.ecc. Ovviamente, ai sensi del 1° comma dell'art. 1123 del c.c., si dovrà partecipare a tali spese in base alla quota millesimale attribuita alla sola autorimessa.

Se, in violazione di quanto dispone il 2° comma dell’art. 1123 del c.c., nel rendiconto condominiale viene accollata la ripartizione di un qualche servizio che non può essere oggettivamente utilizzato, è necessario durante la consueta annuale riunione di approvazione del bilancio, esprimere, personalmente o per delega, il proprio voto contrario a tale ripartizione (è sufficiente anche astenersi dal voto sul punto o non presenziare), e successivamente impugnare la delibera di approvazione del bilancio ai sensi dell’art. 1137 del c.c.

Tale articolo ci dice che le delibere condominiali contrarie alla legge o al regolamento di condominio possono essere impugnate innanzi al giudice dai condomini assenti dissenzienti o astenuti entro 30 giorni, i quali decorrono per i condomini presenti alla riunione condominiale (quindi i dissenzienti o gli astenuti), dal giorno in cui si è tenuta la riunione, per i condomini assenti dal giorno in cui viene a loro comunicata la delibera. Il termine di 30 giorni indicato dall’art 1137 del c.c. è assolutamente perentorio, e una volta decorso la delibera diventa inoppugnabile e vincolante per l’intera compagine condominiale, anche se il riparto delle spese sia contrario a quanto dispone la legge.

Quindi, venendo a trattare il caso prospettato, tutti gli oneri condominiali che trovano la loro giustificazione in bilanci condominiali già approvati e non più impugnabili, dovranno essere pagati anche se violano l’art. 1123 del c.c. Nel futuro rendiconto condominiale ancora da approvare, invece, se l’amministratore dovesse attribuire alla proprietà del box auto spese condominiali in violazione del 2°comma dell’art. 1123 del c.c., sarebbe sicuramente possibile procedere ad una impugnazione ex art. 1137 del c.c. della delibera di approvazione del bilancio.

Sebastiano F. chiede
giovedì 03/10/2019 - Lazio
“Il Regolamento di condominio, redatto nel 1977, di una palazzo costruito nel 1961, in cui ho una proprietà, prevede che sono di proprietà ed uso comune a tutti i condomini le fognature sino agli attacchi alle proprietà individuali. Inoltre, la manutenzione ordinaria e straordinaria delle parti ed impianti comuni dell'edificio vengono ripartite fra tutti i condomini in proporzione ai millesimi corrispondenti al valore delle proprietà di ciascuno.
Il condominio si compone di un palazzo con due (2) scale indipendenti e terrazzo non comunicante, venti (20), dieci per scala, appartamenti e dieci (10) negozi nel portico esterno. L'impianto fognario è costituito da sei (6) colonne fecali, tre per ogni scala.
In seguito ad una infiltrazione d'acqua sui soffitti del bagno e dell'adiacente cucina in un appartamento posto al primo piano di una delle tre colonne fecali della metà del palazzo , è stata effettuata una consulenza tecnica d'ufficio che ha determinato che la causa delle infiltrazioni lamentate e riscontrate sono riconducibili al danneggiamento della colonna di scarico condominiale di quella verticale (una delle tre nonché una delle sei) degli appartamenti del palazzo.
Pertanto in considerazione di quanto esposto, visto che l'edificio ha più scale e impianti separati, si richiede se nel caso descritto sia applicabile il 3° comma dell'art. 1123 a seguito della riforma del condominio entrata in vigore nel 2013, in quanto trattasi di cose destinate a servire i condomini in misura diversa di una parte dell'intero fabbricato, e quindi le spese devono essere ripartite in proporzione dell'uso che ciascuno della verticale può farne e che ne trae utilità, non tutti.”
Consulenza legale i 07/10/2019
Prima di entrare nel merito del quesito è opportuno premettere che si dà per scontato che il regolamento condominiale, il quale si pensa essere di natura assembleare in quanto entrato in vigore dopo la costruzione del palazzo, non possa derogare alla normativa prevista dal codice civile, o che comunque non siano stati adottati dalla unanimità dei proprietari accordi che vadano a derogare a quanto dispone l’art. 1123 del c.c. in merito alla ripartizione degli oneri condominiali.

Tale articolo, che giova precisare era già in vigore nel testo attuale anche prima della riforma del condominio, ci indica tre criteri per la ripartizione delle spese condominiali.

Il primo criterio disciplinato dal 1°comma della norma, è quello generale, applicabile per la ripartizione degli oneri relativi a servizi o beni comuni necessari all’intero edificio. Si pensi, per fare un esempio pratico, al servizio di video sorveglianza posto all’ingresso di un mega complesso super condominiale per identificare chi accede alle parti comuni. Un servizio di questo tipo realizza un interesse a vantaggio dell’intero complesso edile e come tale deve essere ripartito tra tutti i proprietari degli appartamenti.

Il secondo criterio disciplinato dal 2° comma, si applica per tutti quei servizi condominiali suscettibili di un utilizzo diverso da parte dei proprietari: in questo caso gli oneri condominiali sono ripartiti in proporzione all’uso che ciascun condomino può farne. In realtà nella pratica sono pochi i servizi che possono essere usati in maniera differente da ciascun condomino: si pensi ad esempio ad un impianto ascensore che grazie ad un accesso tramite chiave viene utilizzato solo da un determinato gruppo di condomini: in questo caso solo i possessori della chiave di accesso all’impianto ascensore saranno chiamati a sopportarne gli oneri di manutenzione.

L’ultimo criterio previsto dal comma 3° è quello che disciplina quei servizi condominiali destinati per la struttura stessa dell’edificio a servire solo una parte dello stesso: questo pare essere proprio il caso descritto nel quesito.
Secondo quanto riferito nello stesso, infatti, i due gruppi da 3 colonne fecali ciascuno sono strutturalmente indipendenti l’uno con l’altro e posti al servizio ognuno di una scala. È chiaro quindi che la spesa per la rimessa in pristino di una colonna fecale appartenente ad un gruppo, ai sensi del co 3° dell’art. 1123 del c.c., dovrà essere ripartita solo tra i proprietari della scala che utilizza quel determinato gruppo di colonne. Ma vi è da dire di più: se la rottura della singola colonna fecale non va ad influenzare il corretto funzionamento delle altre colonne del medesimo gruppo, la spesa per la risistemazione della colonna, applicando sempre i criteri dei commi 2° e 3° dell’art. 1123, non dovrà essere ripartita tra tutti i proprietari della scala, ma solo tra quelli i cui impianti idrici delle loro unità abitative scarichino nella colonna danneggiata.

Sergio P. chiede
venerdì 30/08/2019 - Lazio
“Gentile Avvocati,
la presente per sottoporre alcuni quesiti sulla ripartizione delle spese condominiali relative a lavori di manutenzione:
Le unità abitative sono state edificate dalla ex coop. (omissis) con concessione edilizia rilasciata dal Comune di (omissis) in data 4-6-1984.
Le unità abitative sono n. 16 villette a schiera, edificate su un fianco di una collina con fondo a dislivello ovvero con piani campagna diversi, costituite da n. 4 gruppi autonomi dal punto di vista strutturale (composti ogni gruppo di n. 4 unità abitative), adiacenti tra loro distanziati circa cm. 15/20 in larghezza, chiusi da coprifili metallici, a formare un unico blocco (vedere progetto allegato).
I rogiti notarili stipulati nell'anno 1989 dal notaio (omissis), relativi alle assegnazioni delle unità abitative recitano che trattasi di un condominio.
In data 9-7-2018 la succitata ex coop. (omissis) ha approvato regolamento e tabelle millesimali.
In data 06-05-2019 è stato costituito il Condominio (omissis) e nominato l'amministratore pro-tempore.
La questione è come ripartire le spese di ristrutturazione dei muri di facciata dei prospetti che compongono il blocco del fabbricato, se partecipano alla spesa tutti i condomini e quale tabella millesimale applicare.
Inoltre, alcuni interventi di ristrutturazione riguardano n. 4 “cavedei” e pertanto si ripropone lo stesso quesito posto al precedente punto, quali condomini partecipano alla spesa e quale tabella millesimale applicare.”
Consulenza legale i 06/09/2019
L’art 1123 del c.c. al suo 1°co. ci dice molto chiaramente che le spese necessarie per la conservazione e il godimento delle parti comuni dell’edificio sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, fatta salva diversa convenzione. Il successivo comma 3° ci dice inoltre che: “Qualora un edificio abbia più scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti destinati a servire una parte dell'intero fabbricato, le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condomini che ne trae utilità”. Sulla base della normativa citata i criteri di riparto delle spese condominiali previsti dal codice civile potranno essere derogati solo da un regolamento condominiale di natura contrattuale, o da un successivo accordo firmato da tutti i proprietari eventualmente predisposto per un intervento specifico, oppure da una delibera assembleare approvata con l’unanimità dei consensi.
In mancanza di ciò, qualsiasi decisione della assise che approvasse a colpi di maggioranza criteri differenti per ripartire le spese relative a lavori di ristrutturazione straordinari delle parti comuni, deve considerarsi nulla, e come tale impugnabile in ogni tempo oltre i rigidi termini previsti dall’art.1137 del c.c.: in questo senso la giurisprudenza è chiara, si veda ad es. su tutte Cass.Civ., Sez.II, n.28679 del 23.12.2011.
Nel caso di specie il condominio ha approvato con delibera del 09.08.2018 a semplice maggioranza un nuovo regolamento di condominio che ha natura assembleare (valutazione tratta dalla sola documentazione data in visione).

Dall’analisi delle norme disciplinanti nello specifico la ripartizione delle spese condominiali non si denota un significativo scostamento da quanto dispone il codice civile, se non per l’ultimo periodo dell’art. 14 il quale attribuisce alla tabella generale di proprietà "A": "le spese inerenti alla manutenzione dei paramenti verticali di testata dell’edificio".
Ora, ad avviso di chi scrive, è necessario capire se la manutenzione di tali parti siano architettonicamente e staticamente essenziali all’intero complesso delle villette (ovviamente questo aspetto deve essere affrontato non con un avvocato, ma con un tecnico edile). Se i paramenti verticali fossero essenziali per l’intera struttura del complesso, è chiaro che l’ultimo periodo del regolamento sarebbe in linea con le disposizioni del codice civile e perciò non assoggettabile ad alcuna censura: diversamente saremmo di fronte ad una norma contraria al disposto dell’art. 1123 del c.c. e quindi come tale nulla per via della natura assembleare (e non contrattuale) del regolamento.

L’art. 14 del regolamento si occupa anche del rifacimento dei prospetti (cioè della facciata) dei singoli blocchi in cui è composto l’intero complesso, specificando che qualora ci si trovi di fronte ad un intervento straordinario relativo ad un singolo blocco la spesa di manutenzione dovrà essere ripartita utilizzando la tabella “C”, la quale indica i millesimi riferibili ai singoli 4 corpi di fabbrica in cui è composto l’intero complesso edile. La disposizione del regolamento pare essere conforme a quanto dispone il già citato comma 3° dell’art 1123 del c.c., ma in merito alla facciata si deve tenere presente un altro aspetto determinante: essa è l’elemento fondamentale del decoro architettonico dell’edificio.

Per tale motivo per effettuare una corretta ripartizione è opportuno a nostro avviso scorporare i lavori di ristrutturazione nel loro complesso, distinguendo quelli necessari alla staticità e funzionalità della copertura del singolo blocco, da quelli che influiscono sul decoro architettonico del complesso edile nella sua globalità (ad esempio la pittura): i primi dovranno essere ripartiti con la tabella “C”, i secondi dovranno essere ripartiti invece con la tabella “A”. Tutto ciò tenendo ben presente il discorso che si è sopra fatto a proposito dei paramenti di testata dell’edificio, se i lavori di ristrutturazione coinvolgono anche quella parte del complesso.

Il discorso è sicuramente molto più facile per quanto riguarda i cavedi. Il cavedio è un cortile di dimensioni molto ridotte, la cui funzione principale è quella di arieggiare ed illuminare i vani di servizio, vuoi condominiali, vuoi delle singole unità immobiliari. Di tale funzione necessariamente si avvantaggiano solo ed esclusivamente i condomini dei singoli blocchi in cui è situato il cavedio da ristrutturare e non l’intero complesso. Le spese di manutenzione e ristrutturazione ai sensi dell’art. 1123 3° comma del c.c. (confermato nella sostanza dall’art. 14 del regolamento di condominio), dovranno essere ripartiti utilizzando quindi la tabella “C”, riguardante i millesimi riferibili ai singoli corpi di fabbrica.

Giuseppe V. chiede
lunedì 15/07/2019 - Piemonte
“Sono proprietario di un piccolo appartamento al primo piano di un condominio di 4 piani e con una unica scala. Tre all'oggi per piano nei primi due piani mentre al 3 e 4 piano sono stati unificati alcuni alloggi. ....... Il condomino proprietario di un appartamento sopra il mio ( 4 piano) durante dei lavori di ristrutturazione del suo immobile (pavimenti ed altro )...apre il rivestimento in muratura di una delle tre canaline di scarico della raccolta acque nere. Dagli alloggi le canaline confluiscono poi in un unico punto di raccolta in cantina.
Il condomino discute per questione con l'amministratore (un altro condomino non iscritto all'albo professionale) e fa sostituire un tratto di un metro circa di canalina in eternit contenente, quindi, amianto che era integra.
Per la spesa di 2.400 euro, dopo una fantomatica consulenza legale, viene deciso che deve essere ripartita tra i soli 4 condomini (uno per piano) che hanno "l'uso esclusivo"(?) della canalina.

A me pare non giusto. La canalina non si era rotta ed andava bene cosi. sostituirla e' stata una scelta non un obbligo.
Comunque gli impianti di scarico non sono un un bene comune del condominio ? Perché la spese non deve essere ripartita tra tutti i condomini in base ai millesimi? Vi ringrazio per un parere.”
Consulenza legale i 21/07/2019
Come è noto l’amianto o eternit è un materiale largamente utilizzato in passato nelle costruzioni edili, ma oggi ritenuto altamente illegale, in quanto cancerogeno e quindi pericoloso per la salute.
In forza di tale motivo il D.M. 06.09.1994 disciplinante le metodologie e tecniche per la dismissione e cessazione dell’impiego di amianto, prescrive obbligatorie misure di controllo e di gestione del rischio derivante dalla presenza di tale materiale in edificio, misure che non sempre ne comportano l’automatica rimozione e bonifica.

Senza voler entrare eccessivamente nel tecnico, poiché il rischio di addentrarsi in una materia che sfugge alle strette competenze di un legale è troppo alta, il D.M. citato prescrive due tipologie di materiali: quelli a forma compatta, e quelli a forma friabile. Solo questi ultimi sono considerati altamente pericolosi in quanto in grado di rilasciare particelle di materiale nell’aria che se inalate provocano rischi ben noti alla salute. Solo in presenza, quindi, di materiale friabile scatta l’obbligo di immediata bonifica e rimozione.
E’ ben possibile però che a seguito di lavori di ristrutturazione, materiali di per se sicuri (come poteva essere il tubo in eternit chiuso in un rivestimento in muratura), perdano la loro sicurezza in quanto la ristrutturazione di per se comporta la distruzione dei rivestimenti e quindi l’esposizione del materiale nocivo.

In tali situazioni chi stava eseguendo i lavori di ristrutturazione dell’appartamento, bene ha fatto a coinvolgere l’amministratore di condominio in quanto egli riveste (indipendentemente che sia un amministratore condomino od un professionista abilitato) il ruolo di custode ad ogni effetto di legge delle parti comuni dell’edificio, e quindi è il soggetto chiamato in prima battuta dal D.M. 06.09.1994 a svolgere quel ruolo di controllo e di gestione del rischio di cui si è sopra riferito.
Stante le forti responsabilità a cui l’amministratore andava incontro, la scelta di rimuovere la tubatura in eternit è stata sicuramente opportuna, soprattutto se preceduta da una valutazione fatta da una ditta esperta del settore.

Posto questo primo aspetto, sulla base di quanto riferito nel quesito, in prima battuta ci si sente però di condividere le conclusioni dell’autore del quesito, in quanto la tubatura in eternit era murata nel cemento, in condizioni (pare) di sicurezza e quindi non sembrava rendersi necessaria di una immediata rimozione. È stata l’attività di ristrutturazione dell’appartamento in proprietà esclusiva di un condomino che ha reso urgente e obbligatorio l’intervento di rimozione di una tubatura condominiale: a causa di ciò, è il proprietario dell’appartamento, che ai sensi dell’art. 2043 del c.c., dovrebbe sostenere l’intera spesa di rimozione e messa in sicurezza di tale parte comune.

Per completezza, si precisa anche che qualora si volesse far fronte a livello condominiale a tale spesa, per capire se essa debba essere ripartita tra tutti i condomini o solo nei confronti di alcuni è necessario preliminarmente far periziare le tubature condominiali, per capire se il segmento interessato sia una parte fondamentale dell’impianto condominiale nel suo complesso o sia posto al servizio di solo una parte dell’edificio. In questo secondo caso la spesa sarebbe sicuramente a carico dei soli proprietari interessati ai sensi del 3° co. dell’art. 1123 del c.c.

Claudio P. chiede
lunedì 20/05/2019 - Lazio
“PREMESSA
- Il Condominio è costituito da 3 scale: la scala A è di proprietà di una società che ha acquistato tutti gli appartamenti. Le altre 2 scale (B e C) sono di singoli proprietari;
- Il complesso ha una copertura a lastrico solare che da regolamento condominiale è “proprietà comune indivisibile”.
FATTO
- A seguito di problemi di infiltrazioni si è deciso di effettuare un intervento di manutenzione straordinario sull’intera superficie del lastrico solare;
- La società proprietaria degli appartamenti della scala A ha inteso non partecipare all’intervento. Pertanto sono stati effettuati lavori solo sulle superfici delle scale B e C;
- I lavori sono iniziati a settembre 2017 e terminati a giugno 2018, al termine dei quali abbiamo la seguente situazione: lastrico solare superficie scala A senza intervento, lastrici solare scale B e C con intervento di impermeabilizzazione.
CHIEDO SE
- La società proprietaria degli immobili della scala A era obbligata alla partecipazione dell’intervento in quanto l’intera superficie del lastrico solare è “proprietà comune indivisibile” e se, allo stato attuale, è tenuta alla partecipazione delle spese per i lavori alle scale B e C per i millesimi di competenza;
- L’amministratore è responsabile nella gestione di quanto accaduto.

Cordiali saluti”
Consulenza legale i 22/05/2019
Per lastrico solare si intende quel manufatto che è caratterizzato da un piano orizzontale e che funge come il tetto da copertura del fabbricato, ma a differenza di quest’ultimo non è caratterizzato da falde inclinate; Il n.1) dell’’art.1117 del c.c. lo inserisce tra le parti comuni dell’edificio, se il titolo non dispone diversamente.
Nel caso descritto nel quesito un regolamento condominiale, che si presume essere di natura contrattuale, attribuisce espressamente natura comune al lastrico solare disponendo che lo stesso sia:”di proprietà comune indivisibile”. Tale circostanza ha conseguenze giuridiche estremamente rilevanti tra le altre cose in merito alla suddivisione delle spese di manutenzione ordinarie e straordinarie, in quanto la loro ripartizione non può più essere effettuata utilizzando l’art. 1126 del c.c. (il quale disciplina la ripartizione degli oneri condominiali nei lastrici solati ad uso esclusivo), ma seguendo quanto dispone la norma generale dell’art.1123 co.1 del c.c.
Alla luce di ciò è naturale concludere che ogni riparazione riguardante il lastrico solare condominiale debba essere ripartita utilizzando la tabella dei millesimi generali del condominio: di conseguenza anche la società proprietaria della scala “A” deve essere, o meglio dovrebbe essere, chiamata a partecipare alle spese necessarie per riparare le parti del lastrico che fungono da copertura per le restanti parti del fabbricato.

E’ appena il caso di ricordare che se il regolamento condominiale di natura contrattuale non specifica nulla in merito alla suddivisione delle spese, derogando alle disposizione di cui all’art.1123 del c.c., una delibera assembleare che a colpi di maggioranza decida di escludere una parte dei condomini dal pagamento degli oneri condominiali derogando ai criteri legali previsti dal codice civile, può considerarsi nulla e quindi impugnabile oltre i 30 gg. dalla sua adozione. Su questo aspetto però non ci si sente di esprimere ulteriori considerazioni in quanto il quesito non fornisce elementi sufficienti per una esaustiva valutazione.

Venendo a trattare di eventuali profili di responsabilità dell’ amministratore di condominio, è opportuno precisare che tale organo è prima di tutto un rappresentante della intera compagine condominiale, che ha tra i suoi compiti principali l' attuazione alla volontà dei proprietari e l'esecuzione delle delibere assembleari (si veda in questo senso il n.1) dell’art.1130 del c.c.).
Quindi, fermo restando gli eventuali profili di nullità che si sono sopra accennati e che devono essere meglio indagati, se l’amministratore ha puntualmente dato esecuzione a quanto disposto dalla assemblea nessun rimprovero gli può essere mosso.

La situazione sarebbe diversa se l’assemblea avesse stabilito che ai lavori di rifacimento del lastrico solare debba partecipare anche la società della scala “A” e questa si sottraesse al pagamento degli oneri condominiali di sua spettanza. In questo caso, è compito dell’amministratore ai sensi del n.3) dell’art.1130 del c.c. curare la riscossione dei contributi condominiali, ed attivare tutte le procedure giudiziarie del caso qualora la società non ottemperi volontariamente al loro pagamento.

Vanni B. chiede
martedì 16/04/2019 - Toscana
“Trattasi di un edificio (ex rurale) ristrutturato e suddiviso in 10 piccoli appartamenti poi posti in vendita, costituito da due corpi di fabbrica a L edificati in tempi diversi.
La copertura è a falde inclinate; tra esse non c’è continuità dal punto di vista statico e sono sfalsate a livelli diversi.
Per maggior chiarezza vedasi pianta e foto da diversi punti di vista:
Falda 1: copre 3 appartamenti
Falda 2: copre 1 appartamento
Falda 3: copre 4 appartamenti
Falda 4: copre 2 appartamenti
Falda 5: copre un porticato di passaggio
Falda 6: copre 1 bagno (posto sopra il porticato di passaggio) di un appartamento falda3 e 1 bagno di un appartamento falda4
1^ Domanda: come si considera la manutenzione dei tetti, comune secondo i millesimi di proprietà (art.1123 c1) o secondo l’uso, cioè la copertura che assicurano ai gruppi di appartamenti sottostanti (art.1123 c3)?
Il problema nasce perché la copertura 4 richiede interventi gravosi di manutenzione (impermeabilizzazione e, forse, sostituzione di trave portante). L’impresa di ristrutturazione aveva provveduto al rifacimento del tetto della porzione 3 e 1 (era stato realizzato un cordolo in c.a. per normativa antisismica).
L’amministratore utilizza la tabella “spese generali” per la ripartizione delle spese di piccola manutenzione (pulizia delle falde e sostituzione delle gronde) e intende ripartire le spese allo stesso modo.
2^ Domanda: se i proprietari (4) ricadenti sotto la falda 3 decidessero di realizzare la cosiddetta “linea salvavita” sulla loro copertura, il costo del lavoro sarebbe sostenuto esclusivamente da loro in base ai singoli millesimi di proprietà: è così?
Grazie per le risposte.

Consulenza legale i 02/05/2019
La corretta suddivisione tra i condomini delle spese riguardanti la manutenzione straordinaria e ordinaria del tetto dell’edificio condominiale è influenzata dalla struttura della copertura e dell’intero edificio.
Quando, infatti, le diverse parti della copertura sono strutturalmente collegate tra di loro, anche in funzione del deflusso delle acque meteoriche, la giurisprudenza ritiene che i lavori di ristrutturazione e manutenzione di quella parte comune debbano essere ripartiti tra tutti i condomini dello stabile, applicando il criterio previsto dall’art.1123 co.1 del c.c., quindi ripartendo la spesa attraverso la tabella dei millesimi generali di tutto l’edificio (si veda Cass.Civ.,Sez.II, n.3803 del 16.04.99).
Se invece ci troviamo di fronte a corpi di fabbrica separati, in cui le coperture sono state realizzate in modo tale che non vi sia tra le singole parti alcuna relazione funzionale, la giurisprudenza ritiene che trovi applicazione il criterio adottato dal 3°co. dell’art.1123 c.c. (si veda Cass Civ.,Sez.II, n.1255 del 02.02.1995). In conseguenza di ciò, i lavori di manutenzione della singola falda, dovranno essere pagati solo dai condomini proprietari delle unità abitative ad essa sottostanti, ripartendo la spesa per mezzo della tabella millesimale riconducibile a quello specifico corpo di fabbrica.

Posta questa distinzione è importante, ad avviso di chi scrive, suddividere i singoli interventi sulla copertura del complesso minuziosamente descritto nel quesito, sulla base della funzione che essi sono chiamati a svolgere.
Se, ad esempio, i lavori di pulizia delle falde e rifacimento delle gronde influiscono e migliorano il deflusso delle acque piovane per l’intera copertura del complesso, ecco che tali interventi dovranno essere ripartiti, come fal’amministratore del condominio, attraverso la tabella generale; se, invece, per le caratteristiche costruttive dell’edificio, i lavori di pulizia di una falda non influiscono sulla efficienza dello scolo delle acque meteoriche delle altre falde, si dovrà suddividere la spesa solo tra i proprietari che traggono vantaggio dalla singola manutenzione.

Lo stesso criterio deve essere applicato per i lavori straordinari da effettuarsi sulla falda 4. I lavori di copertura parrebbero interessare solo quella parte del tetto, quindi solo i proprietari dei due appartamenti sottostanti dovrebbero sostenerne le spese, ma se, ad esempio, l’intervento dovesse coinvolgere anche la trave portante della falda, e un ipotetico suo crollo minerebbe anche la stabilità delle altre parti della copertura, i lavori dovrebbero essere ripartiti tra tutti i proprietari attraverso la tabella generale, o comunque trai proprietari che potrebbero subire un danno dal crollo.

La linea salvavita è uno strumento estremamente importante per garantire la sicurezza dei lavoratori nel settore edile, ed in particolare per quei lavori che devono eseguirsi in quota (si pensi all’antennista che esegue un lavoro di manutenzione sull’impianto condominiale). In alcune regioni, ad esempio l’Emilia-Romagna, si sono adottate addirittura specifiche normative locali più severe di quelle nazionali, che hanno nei fatti reso obbligatoria l’installazione di tale importante ausilio.
Fatta questa premessa, è giusto dire che anche per la installazione della linea salva vita si devono richiamare i criteri già precedentemente enunciati: se la sua installazione è funzionale, ad esempio, a migliorare la sicurezza di tutti quei lavoratori che devono accedere al tetto per eseguire manutenzioni nell’interesse dell’intero edificio (ad esempio riparare l’antenna della Tv), la spesa di installazione dovrà ripartirsi tra tutti i proprietari. Si tenga conto che un eventuale infortunio di un artigiano chiamato ad effettuare lavori in quota sulla copertura condominiale potrebbe portare anche a serie conseguenze civili, penali ed amministrative sia all’amministratore di condominio, ma anche a tutti i proprietari, e ciò indipendentemente dalla falda sotto cui si trova il singolo appartamento.
Se, invece, per la struttura dell’edificio l’installazione della linea vita porta un vantaggio solo ad un determinato gruppo di condomini, la spesa di installazione potrà essere sopportata solo da quei singoli proprietari.


Giovanni M. chiede
mercoledì 13/03/2019 - Emilia-Romagna
“Nello stabile in cui abito, con un'unica scala, la copertura è articolata in più parti: parte centrale piana (calpestabile uso stenditoio comune) ed a sinistra ed a destra dello stesso, due tetti a falde inclinate, non collegati in alcun modo l'uno con l'altro.
Tutta tale struttura copre solo una parte dell'edificio, per la presenza di lastrici solari ad uso esclusivo, posti a quote differenti, che coprono la restante parte dell'edifico.
Sono stati deliberati i lavori di manutenzione (impermeabilizzazione, e sostituzione tegole) di uno dei due tetti a falde inclinate, a causa di infiltrazioni al piano sottostante.
Quale criterio di ripartizione: per millesimi generali o solo i condomini sottostanti il tetto oggetto di manutenzione?

Inoltre il condominio originariamente era composto da due civici adiacenti, trattandosi di un unico edificio con due scale. Il regolamento prevedeva il tetto bene comune dei due civici. Il condominio è stato suddiviso amministrativamente (uno per ogni scala). Il tetto rimane bene comune ai due civici?
Necessito della risposta entro lunedì 18 marzo p.v. Grazie”
Consulenza legale i 15/03/2019
In merito al primo quesito, non è possibile dare una risposta univoca e certa in questa sede, in quanto tutto dipende dalla effettiva modalità costruttiva del complesso edile.

Quando, infatti, le diverse parti della copertura sono strutturalmente collegate tra di loro, anche in funzione del deflusso delle acque meteoriche, la giurisprudenza ritiene che i lavori di ristrutturazione e manutenzione di quella parte comune debbano essere ripartiti tra tutti i condomini dello stabile, applicando il criterio previsto dall’art. 1123 co. 1 del c.c., quindi ripartendo la spesa attraverso la tabella dei millesimi generali di tutto l’edificio (si veda Cass.Civ.,Sez.II, n.3803 del 16.04.99).

Se invece ci troviamo di fronte a corpi di fabbrica separati, in cui le coperture sono state realizzate in modo tale che non vi sia tra le singole parti alcuna relazione funzionale, la giurisprudenza ritiene che trovi applicazione il criterio adottato dal 3°co. dell’art.1123 c.c. (si veda Cass Civ.,Sez.II, n.1255 del 02.02.1995). In conseguenza di ciò, i lavori di manutenzione della singola falda dovranno essere pagati solo dai condomini proprietari delle unità abitative ad essa sottostanti, ripartendo la spesa per mezzo della tabella millesimale riconducibile a quello specifico corpo di fabbrica.
Stabilire, però, se siamo di fronte alla prima o alla seconda ipotesi non è compito di chi scrive, ma di un tecnico edile il quale dispone delle necessarie competenze tecniche per capire le modalità costruttive del complesso.

Per quanto riguarda la seconda domanda, il fatto che l’originario unico condominio si sia amministrativamente diviso in due distinti condomini non fa venir meno la natura di parte comune della copertura dell’intero complesso. Da un punto di vista del diritto condominiale, al di là della successiva divisione, la struttura del corpo di fabbrica descritto nel quesito presentava già in origine la coesistenza di tre condomini distinti: i primi due sono le scale contrassegnate dai numeri civici adiacenti e il terzo è il super condominio chiamato a gestire le parti comuni dell’intero fabbricato, tra cui rientra, appunto, la copertura dell’edificio (fermo restando, ovviamente, la proprietà esclusiva dei due lastrici solari).
In merito al momento in cui sorge il supercondominio la Corte di Cassazione, Sez.II, con sentenza n. 1344 del 19.01.2018, ribadendo anche precedenti orientamenti, ha statuito che:” al pari del condominio negli edifici, regolato dagli artt. 1117 e segg. Cod.civ., anche il c.d. supercondominio, viene in essere ipso iure et facto (di fatto n.d.r), se il titolo non dispone altrimenti, senza bisogno d’apposite manifestazioni di volontà o altre esternazioni e tanto meno d’ approvazioni assembleari, sol che singoli edifici, costituiti in altrettanti condomini, abbiano in comune talune cose, impianti e servizi legati, attraverso la relazione di accessorio e principale, con gli edifici medesimi”.

Il supercondominio è giuridicamente e strutturalmente distinto rispetto ai singoli condomini che lo compongono: esso ha un proprio amministratore, il quale può coincidere o meno con l’amministratore di uno dei palazzi del super condominio, e ha una propria assemblea autonoma, la quale sarà composta da tutti i proprietari dell’intero edificio.

Andrea B. chiede
martedì 26/02/2019 - Trentino-Alto Adige
“Gentili avvocati,
mi complimento per il vostro servizio (ottimo idea).
Avrei urgenza di avere una vostra consulenza a riguardo entro giovedì in cui ho l'assemblea straordinaria.
Nella parete perimetrale del condominio, a ridosso della mia camera da letto, passa una colonna montante di scarico ad uso esclusivo di un condomino (cosa anomala in quanto l' impresa di costruzione ha acconsentito ad una modifica del progetto di capitolato) Io ai sensi del terzo comma art. 1123 non traggo utilità dalla tubazione in quanto non vi affluiscono
i miei scarichi. Il mio vicino che utilizza in modo esclusivo la colonna di scarico dice che devo pagare in quanto potrei trarre
una possibile utilità futura spostando ad esempio la cucina in camera. E per ciò dovrei contribuire alla spesa della sostituzione colonna. A me sembra un' interpretazione forzata del concetto di utilità. E comunque penso un' utilità possibile futura non è comparabile all' utilizzo reale della colonna. Chiedo un vostro parere.”
Consulenza legale i 27/02/2019
In merito alle spese condominiali, la giurisprudenza oramai costante distingue tra spese di esercizio degli impianti e dei servizi comuni dalle spese conservazione e di manutenzione.
Con spese di esercizio si intendono le spese necessarie affinché i singoli condomini possano godere ed usufruire dell’impianto o servizio comune; con spese di manutenzione si intendono quegli oneri necessari per far si che il singolo impianto possa mantenere la sua funzionalità. Per fare un esempio pratico si pensi all’impianto di riscaldamento: le spese di esercizio sono le bollette annuali della società che fornisce il riscaldamento o la manutenzione annuale della caldaia condominiale; le spese di manutenzione sono, ad esempio, i costi necessari per riparare un guasto considerevole all’impianto che impedisce allo stesso di scaldare l’intero complesso.
La distinzione che si è tentato di tratteggiare non è di poco conto, in quanto ha dei concreti risvolti pratici nel momento in cui l’amministratore è chiamato a ripartire le spese nel bilancio condominiale.
Secondo la giurisprudenza, rispondono delle spese di esercizio solo i condomini che traggono utilità dal servizio o dal bene condominiale: trova quindi applicazione il 2°comma dell’art 1123 del c.c.
Per quanto riguarda invece le spese di conservazione, il condomino deve risponderne al di là del concreto uso o utilità che trae dal servizio, ma semplicemente per il fatto di essere proprietario: trova quindi applicazione il 1° comma dell’art 1123 del c.c.
Secondo quanto detto finora non può che concludersi che il vicino di casa dell’autore del quesito ha ragione.
Per quanto l’autore del quesito non tragga utilità dalla colonna di scarico, in quanto la sua unità abitativa non è ad essa collegata, egli dovrà comunque sostenere le spese straordinarie per la sostituzione, in quanto tali oneri sono funzionali alla conservazione e alla stessa esistenza di quella parte comune dell’edificio.

Antonino S. chiede
venerdì 18/01/2019 - Sardegna
“Spett.le Studio Brocardi.
Sono proprietario di un appartamento in una palazzina di cinque piani + piano terra, con forma planimetrica a C, con tre corpi scala indipendenti “A” - “B” - “C” le cui facciate principali prospettano su tre vie diverse e quelle secondarie su un cortile interno.
Il condominio è composto da 30 appartamenti (5 per ogni scala) più diversi locali commerciali al piano terra.
Dodici anni fa, sono stati eseguiti lavori straordinari per il rifacimento della facciata “A” sia fronte strada che fronte cortile, mentre nelle facciate “B” e “C” non si è intervenuti sul fronte strada, ma solo parzialmente in quelle del cortile.
Attualmente la facciate principale “A” e le porzioni delle facciate sul cortile che erano state risanate come detto precedentemente, sono in buone condizioni e non necessitano di alcun intervento, (tranne che in alcuni punti limitati), mentre le facciate principali “B” e “C” sono in pessimo stato e necessitano di lavori straordinari.
Recentemente il condominio ha approvato un COMPUTO METRICO (non estimativo, quindi senza l'indicazione dei prezzi elementari) per LAVORI STRAORDINARI DELLE FACCIATE da presentare alle imprese con richiesta prezzi.
Anche i miei millesimi hanno contribuito all'approvazione (tramite un delegato) del suddetto preventivo, perché non immaginavo (e con me anche altri condomini), che il tecnico prevedesse lavori consistenti anche nel corpo “A” e nelle facciate in buon stato di conservazione.
Il quesito che pongo è:
Quando verranno presentati i vari preventivi delle imprese, è possibile opporsi al rifacimento delle facciate ancora in buon stato?
- Secondo me sono spese gravose e voluttuarie.
- Qual è la maggioranza richiesta per l'approvazione totali dei lavori, compresi quelli “voluttuari” ?
- Come vanno ripartite le spese?

Saluti cordiali.

Consulenza legale i 23/01/2019
In merito al primo quesito posto si precisa che il fatto che si sia espresso voto favorevole nella adozione della delibera assembleare che ha approvato il computo metrico non vincola assolutamente a votare favorevolmente la successiva delibera che porterà alla approvazione del preventivo e darà il via ai lavori straordinari.
Le due delibere sono assolutamente distinte: la prima, infatti, ha ad oggetto l’approvazione del computo metrico, documento necessario per chiedere alle varie imprese i preventivi per effettuare i lavori, la seconda avrà ad oggetto la scelta del preventivo ritenuto più idoneo, e i condomini manifesteranno la volontà, o meno, di dare seguito alla ristrutturazione della facciata. Nulla vieta che un condomino una volta esaminati i preventivi, decida di non dare la sua approvazione alla esecuzione di detta ristrutturazione. Ovviamente qualora all’esito della riunione assembleare si raggiungessero i quorum di approvazione richiesti dal codice civile per dar corso alla manutenzione dei muri dell’edificio (i quali verranno esaminati poco più avanti), la minoranza sarà tenuta a rispettare quanto deciso dalla maggioranza, salvo il caso che la delibera presenti vizi di validità contestabili ex art. 1137 del c.c.

In merito alle modalità di ripartizione delle spese di rifacimento della facciata condominiale, la giurisprudenza assolutamente dominante, sia di merito che di legittimità, ritiene che si debba applicare il criterio generale previsto dal co.1° dell’art.1123 del c.c. e quindi, salvo diverso accordo scritto tra tutti i condomini, gli oneri condominiali andranno determinati applicando la tabella generale di proprietà, utilizzabile per ripartire le spese dei beni comuni a tutte le scale, e non la tabella millesimale di ciascuna scala, utilizzata per ripartire gli oneri dei beni e servizi attinenti ad una sola parte dell’edificio (sia esso la scala “A” “B” o “C”). Irrilevante è il fatto che le tre parti in cui viene suddiviso il prospetto esterno del fabbricato si affacci su tre vie differenti, in quanto la manutenzione dei muri dell’intero fabbricato attiene a un bene comune all’intero corpo di fabbrica, poiché tali lavori risultano necessari a preservare la statica dell’edificio e il suo decoro architettonico.
Si cita, tra le diverse, Cass.Civ.,Sez.II, n.64 del 03.01.2013:
"In tema di condominio negli edifici, le parti dell'edificio - muri e tetti - (art. 1117, n. 1 cod. civ.) ovvero le opere ed i manufatti - fognature, canali di scarico e simili (art. 1117 n. 3, cod. civ.) - deputati a preservare l'edificio condominiale da agenti atmosferici e dalle infiltrazioni d'acqua, piovana o sotterranea, rientrano, per la loro funzione, fra le cose comuni, le cui spese di conservazione sono assoggettate alla ripartizione in misura proporzionale al valore delle singole proprietà esclusive, ai sensi della prima parte dell'art. 1123 cod.civ., non rientrando, per contro, fra quelle parti suscettibili di destinazione al servizio dei condomini in misura diversa, ovvero al godimento di alcuni condomini e non di altri, di cui all'art. 1123, secondo e terzo comma cod. civ."
In assenza di uno specifico accordo sottoscritto tra tutti i condomini che vada a derogare al criterio generale di cui al comma 1° dell’art. 1123 del c.c. (che pare non esistere nel condominio descritto dal quesito), la delibera assembleare che non suddivida le spese in base a detto criterio, è da considerarsi affetta da un vizio di annullabilità e come tale impugnabile ai sensi dell’art. 1137 del c.c., entro le tempistiche prescritte da tale norma.

In applicazione di quanto detto sin qui, anche se l’assemblea condominiale optasse per non effettuare i lavori di rifacimento della parte della facciata della scala “A”, i condomini di quella facciata dovrebbero comunque partecipare alle spese di rifacimento delle parti “B” e “C”. E‘ opportuno anche precisare che all’epoca in cui vennero deliberati i lavori di rifacimento della facciata “A”, i condomini delle scale “B” e “C” avrebbero dovuto contribuire alle spese dei lavori di quella parte dell’edificio, e la delibera assembleare che a suo tempo ha deciso l’esecuzione di detti lavori, escludendo una parte dei condomini del fabbricato dalla partecipazione alle spese, presentava un vizio di annullabilità, e pertanto era impugnabile entro i tempi (oramai ampiamente decorsi) previsti dall’art 1137 del c.c.

Bisogna ora chiedersi se i lavori di rifacimento della facciata possano considerarsi “voluttuari”.
Per dare una risposta soddisfacente a tale parte del quesito, si deve tenere presente che il diritto condominiale tiene ben distinta la innovazione ex art. 1120 del c.c., la quale può essere gravosa o voluttuaria ex art. 1121 del c.c., dalle spese straordinarie alle parti comuni dell’edificio.
Per giurisprudenza costante l’intervento sulle parti comuni dell’edificio può considerarsi una innovazione quando comporta una alterazione del bene comune o una modificazione della sua destinazione. In questo senso, tra le numerose pronunce, si cita Cass. Civ.,Sez. II, n.12654 del 26.05.2006: "In tema di
condominio, per innovazioni delle cose comuni devono intendersi le modifiche che importino l'alterazione della entità sostanziale o il mutamento della originaria destinazione, in modo che le parti comuni presentino una diversa consistenza materiale, ovvero vengano utilizzate per fini diversi da quelli precedenti".
Il lavoro di ristrutturazione e di manutenzione della facciata dello stabile non può considerarsi una innovazione in quanto esso non mira ad introdurre qualcosa di nuovo nel condominio o ad alterare l’originaria destinazione di una parte dell’edificio, al contrario esso mira a conservare la funzionalità di un preesistente bene condominiale: i muri perimetrali dell’edificio. Da ciò deriva che detto intervento debba considerarsi una spesa straordinaria e ad essa non può applicarsi la disciplina prevista per le innovazioni ex art. 1120 del c.c. e per le innovazioni gravose e voluttuarie previste dal successivo art. 1121 del c.c.

Conseguentemente, in quanto spesa condominiale straordinaria, il rifacimento della facciata dell’edificio dovrà essere approvata dalla maggioranze previste dai commi 2°e 4° dell’ art. 1136 del c.c. (maggioranza degli intervenuti che rappresentano almeno la metà del valore dell’edificio: 500 millesimi), e non la più gravosa maggioranza prevista dal 5°comma dell’art.1136, richiesta al fine approvare una innovazione (maggioranza degli intervenuti che rappresentano almeno i 2/3 del valore dell’edificio: 667 millesimi).
Si precisa infine che poiché, come si è visto poco sopra, il rifacimento della facciata è un intervento che deve coinvolgere tutti i condomini delle tre scale, i quorum costitutivi e deliberativi della assemblea (condominio) assemblea condominiale[/def] richiesti dal codice civile al fine di approvare i lavori, dovranno essere calcolati tenendo presente non le tabelle millesimali di ciascuna scala, ma la tabella dei millesimi generali dell’intero edificio.


VALENTINO R. chiede
martedì 27/11/2018 - Campania
“Con verbale di assemblea condominiale si approva il preventivo di un ingegnere per il rifacimento del tetto sul fabbricato, costituito da 2 scale contigue ma con coperture autonome. Successivamente si approva il preventivo di una ditta per fare il lavoro. Con successivo verbale si delibera di rifare solo una parte del tetto, quella ricoprente la scala B. Con altro verbale di assemblea della sola sc.B si delibera di rifare solo la metà del tetto che ricopre la sc.B e che dovrà essere pagata dai proprietari degli immobili che vi ricadono sotto. Infine, si delibera di non rifare il tetto ma solo una riparazione. Intanto il tecnico, che ha fatto 3 computi metrici, richiede il pagamento della progettazione come da preventivo approvato dall'assemblea e inserito nella convenzione di incarico sottoscritta. Come va ripartita la spesa e con quale motivazione?”
Consulenza legale i 29/11/2018
È opportuno sottolineare preliminarmente come la richiesta di pagamento avanzata dal professionista sia del tutto lecita, anche se poi successivamente, per le ragioni più varie, non si è deciso di dare attuazione al progetto di rifacimento del tetto.
Determinare, però, come detto pagamento debba essere ripartito non è del tutto immediato. La giurisprudenza in merito alle spese di rifacimento del tetto a falde con coperture differenziate, tende ad operare una distinzione.

Quando le diverse coperture sono funzionalmente e strutturalmente collegate tra di loro in un corpo di fabbrica unico, per la ripartizione delle spese trova applicazione il co. 1 dell’art 1123 del c.c. (si veda Cass.Civ.,Sez.II, n.3803 del 16.04.99). Applicando a livello matematico i principi racchiusi nel 1° comma dell’art. 1123, la notula fatta recapitare dall’ingegnere edile dovrà essere ripartita utilizzando la tabella generale di tutto il fabbricato.

Se, viceversa, ci troviamo di fronte ad un complesso edile composto da più corpi di fabbrica separati, troverà applicazione il 3°co. dell’art.1123 c.c. (si veda Cass Civ.,Sez.II, n.1255 del 02.02.1995). Ciascuna scala, conseguentemente, dovrà pagare la parte di progetto relativa alla porzione di tetto che funge da copertura a quello specifico corpo di fabbrica, utilizzando le tabelle millesimali ad esso riconducibili.

Per determinare, in conclusione, il giusto criterio di riparto è fondamentale capire la struttura dell’edificio e, conseguentemente, del tetto posto a copertura.

In merito alla motivazione da inserire a bilancio, non vi è alcuna osservazione da fare: essendo il credito assolutamente dovuto dal condominio, è sufficiente indicare a bilancio consuntivo la nota spese del professionista, ricomprendendola nella voce: “spese per rifacimento tetto” o simili.


Luigi S. chiede
venerdì 14/09/2018 - Liguria
“Rifacimento delle pareti interne dei cavedi condominiali in condominio con più scale
scale (A-B) unico portone e scala(C).
Regolamento di condominio contrattuale del 1953
Spese delle scale ripartite per millesimi.
Regolamento di condominio assembleare 1971
Con assemblea regolarmente costituita e regolarmente votata si delibera che le spese delle scale vengono messe a carico delle singole unità immobiliari ad esse collegate scale(A e B) e scala(C).
In nessuno dei due documenti si fa riferimento specifico ai Cavedi.
Il Cavedio Nord, di proporzioni approssimativamente doppie del Cavedio Sud, e di sola servitù delle scale A-B, che si affacciano sullo stesso con finestre e balconi aggettanti.
Le unita immobiliari della scala C sono collegate al cavedio per la sola parete adiacente la scala (Nessuna unità immobiliare ha affacci sul Cavedio Sud).
Quesito:
E possibile ritenere valida in questo caso l'applicazione del secondo comma dell'art.1123 del codice civile, escludendo quindi dalle spese di manutenzione straordinaria del Cavedio Nord (Sul quale le unità immobiliari della scala C non hanno nessun affaccio e/o adiacenza)?
E con che quorum la votazione assembleare potrà considerarsi deliberativa?




Consulenza legale i 17/09/2018
L’ art. 1123 del c.c. al suo primo comma dispone che gli oneri condominiali debbano essere sostenuti dai partecipanti al condominio in proporzione al valore della proprietà di ciascuno; tale valore proporzionale viene matematicamente tradotto nelle tabelle millesimali, le quali vengono concretamente utilizzate dall’amministratore di condominio per ripartire tra tutti i condomini le singole voci del bilancio.

L’ importante principio introdotto dal 1° comma dell’art.1123 del c.c., trova una sua repentina deroga nel successivo 2°comma il quale dispone che:” Se si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione dell'uso che ciascuno può farne”.

Una risalente pronuncia della Corte di Cassazione, che però non ha trovato ad oggi ancora alcuna smentita, per quanto ci è dato sapere (Cass Civ.,Sez.II, n.13160 del 6.12.1991), ha statuito che il principio racchiuso nel 2° comma dell’art.1123 del c.c. trova applicazione per quei servizi condominiali che per le loro caratteristiche oggettive siano suscettibili di un utilizzo separato da parte dei condomini.
In altre parole ai fini della applicabilità del 2° comma dell’art.1123 del c.c., nulla rileva l’utilizzo soggettivo e personale che ciascun condomino fa di uno spazio o di un servizio comune: egli sarà comunque tenuto al pagamento degli oneri condominiali in proporzione al valore della sua proprietà anche se non si reca mai nel cortile o, come nel caso di specie nel cavedio.
Il cavedio è una piccola area cortiliva (può essere anche un minuscolo pozzo di areazione), che ha come sua funzione quella di dare luce e aria alle unità abitative a cui si affacciano; stante questa definizione si potrebbe anche concludere che i proprietari delle unità abitative della scala C non dovrebbero partecipare al rifacimento delle pareti interne del cavedio nord, in quanto non godono della luce e areazione portata dallo stesso, e quindi non lo utilizzano.
Ci pare però che una risposta del genere sia una soluzione sbrigativa. Per dare una risposta corretta al quesito è opportuno che ci si chieda: i proprietari ricompresi nella scala C hanno astrattamente la possibilità di accedere al cavedio nord? Possono in teoria usufruire in qualche modo di questo spazio condominiale?
E’ opportuno precisare che per dare una corretta risposta a tali domande non si deve tenere conto dell’uso effettivo che ogni condomino della scala C fa del cavedio nord (che può essere anche inesistente), ma ci si deve domandare se tali condomini abbiano in teoria la possibilità di accedere al cavedio. Se le risposta a tale domanda è positiva, non ci pare possa trovare concreta applicazione nel caso di specie il 2° comma dell’art 1123 del c.c. Se, viceversa, il cavedio nord è costruito in maniera tale che risulta essere uno spazio chiuso, in cui i proprietari della scala C non possono fisicamente accedere, ecco che invece l’art. 1123 2° comma del c.c., può, a nostro avviso, trovare applicazione.

Un’altra cosa che è importante chiedersi è se i lavori al cavedio nord coinvolgano o meno muri portanti dell’intero complesso edile. Se, infatti, i lavori da eseguirsi sono volti a garantire e rafforzare la stabilità dell’intero complesso, essi vanno a vantaggio di tutti i condomini e, quindi, devono ripartirsi tra tutte le scale.
Chiaramente alle domande poste sopra non può essere chi scrive a dare una risposta, ma l’autore del quesito che, in quanto abitante, è profondo conoscitore del suo condominio. Si è tentato di dare al lettore una linea guida, affinché possa in autonomia effettuare le sue valutazioni circa le modalità di riparto delle spese di rifacimento del cavedio.

Prima però di concludere è opportuno effettuare un'altra precisazione. Analizzando il quesito sembra emergere che nel complesso condominiale siano in vigore due regolamenti: uno definito contrattuale del 1953 e uno definito assembleare del 1971.
Il regolamento condominiale contrattuale è quella tipologia di regolamento che non trova la sua origine in una delibera assembleare, ma, allegato ai rogiti di acquisto delle singole unità immobiliari, viene firmato da tutti i partecipanti al condominio nel momento in cui vengono acquistati gli appartamenti e successivamente trascritto nei registri immobiliari, vincolando, conseguentemente, sia gli originari condomini sia eventuali futuri aventi causa degli stessi.
Se quindi il regolamento contrattuale del 1953 è stato all’epoca regolarmente trascritto, esso è ancora pienamente in vigore, e vincola anche i successivi proprietari che sono entrati medio tempore a far parte della compagine condominiale. In nessun modo il successivo regolamento del 1971, di mera natura assembleare, può andare a derogare al regolamento del 1953. Il regolamento del 1953, può essere superato solo da un nuovo regolamento firmato e sottoscritto da tutti i condomini e iscritto nei registri immobiliari.
Fatta questa importante precisazione, se nel regolamento contrattuale del 1953 le spese per la manutenzione ordinaria delle scale e dei cavedi vengono ripartite tra tutti i condomini, indipendentemente dalle scale in cui si trovano, è a questa disposizione che ci si dovrà attenere.
Per costante giurisprudenza infatti, le norme codicistiche sulla ripartizione delle spese possono essere derogate da un regolamento contrattuale che disponga in senso differente.

Rispondendo all’ultimo quesito posto, ovvero con che quorum la votazione assembleare potrà considerarsi deliberativa, riteniamo che per le tipologie di lavori indicati nel quesito debba trovare applicazione il 4° comma dell’art.1136 del c.c, in combinato disposto con il 2°comma del medesimo articolo. Pertanto, i lavori al cavedio vanno approvati con tanti voti che rappresentano la maggioranza degli intervenuti che costituiscano almeno la metà del valore dell’edificio (500 millesimi).
È importante tuttavia verificare anche se sono presenti in assemblea un numero sufficiente di proprietari, per fare in modo che l’organo assembleare possa considerarsi validamente costituito. L’art. 1136 del c.c. al suo 3° comma dispone infatti che l’assemblea in seconda convocazione è validamente costituita con la presenza di tanti condomini che rappresentano 1/3 dei partecipanti al condominio e 1/3 del valore dell’edificio.



Paolo B. chiede
domenica 01/07/2018 - Puglia
“Buongiorno,
i proprietari dei locali commerciali, in questi anni, hanno installato nel cortile condominiale interno, i contatori del gas, i motori dei condizionatori d'aria ed uno utilizza, in modo esclusivo, anche la canna fumaria dell'ex caldaia centralizzata.
Tenuto conto che i proprietari dei locali, che non hanno accesso diretto, per raggiungere detto cortile, devono attraversare uno dei due portoni del palazzo, per le cui scale esiste una tabella millesimale per la ripartizione delle relative spese che, sino ad oggi, sono ad esclusivo carico dei proprietari degli appartamenti.
Si é deciso di acconsentire l'utilizzo del cortile interno anche ai proprietari dei locali commerciali facendo presente che, però, é necessario scegliere uno dei due portoni di accesso e calcolare le nuove tabelle millesimali per la ripartizione delle spese di pulizia del portone, del cortile interno, dell'energia elettrica, della manutenzione del portone, ecc. (escluse le spese per l'ascensore trattandosi di passaggio per il piano terra).
A questo punto, i proprietari dei locali commerciali, hanno presentato opposizione alla suddetta richiesta, precisando che l'utilizzo del cortile, da parte loro, avviene poche volte all'anno non sono dovuti a partecipare ad alcuna spesa.
A tal punto ho ritenuto opportuno rinviare la discussione ad una prossima assemblea, per avere il tempo di documentarmi in merito.
Distinti saluti.


Consulenza legale i 04/07/2018
Il 3° comma dell’art.1118 del c.c. dispone che il partecipante al condominio non può sottrarsi in alcun modo all’obbligo del pagamento dei contributi condominiali. Tale principio conferma la natura di obligatio propter rem degli oneri condominiali, il cui obbligo di pagamento sorge in dipendenza dalla titolarità del diritto reale a cui esse sono ricollegate: in questo caso la proprietà della porzione immobiliare ricompresa in condominio.

L’ art. 1123 del c.c. al suo primo comma dispone che gli oneri condominiali debbano essere sostenuti dai partecipanti al condominio in proporzione al valore della proprietà di ciascuno; tale valore proporzionale viene matematicamente tradotto nelle tabelle millesimali, le quali vengono concretamente utilizzate dall’ amministratore di condominio per ripartire tra tutti i condomini le singole voci del bilancio.

L’ importante principio introdotto dal 1° comma dell’art.1123 del c.c., trova una sua repentina deroga nel successivo 2°comma il quale dispone che:” Se si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione dell'uso che ciascuno può farne”
Tale comma ha indotto, come nel caso prospettato dal quesito, molti condomini a sottrarsi al pagamento di quei servizi condominiali che non venivano da loro usufruiti con continuità: la frase classica che si dice in questi casi è:” io non lo uso, perché dovrei pagarlo?” Questa è una giustificazione che è priva di qualsiasi fondamento giuridico e non può trovare accoglimento nel 2° comma dell’art.1123 del c.c.

Una risalente pronuncia della Corte di Cassazione che però non ha trovato ad oggi ancora alcuna smentita per quanto ci è dato sapere, Cass Civ., Sez.II, n. 13160 del 6.12.1991, ha statuito che il principio racchiuso nel 2° comma dell’art.1123 del c.c., trova applicazione per quei servizi condominiali che per le loro caratteristiche oggettive siano suscettibili di un utilizzo separato da parte dei condomini.
Si pensi, per fare un esempio concreto, al classico caso dell’ascensore usufruibile esclusivamente tramite chiave, a cui solo alcuni condomini possono accedere: chiaramente solo quei condomini saranno chiamati a rispondere delle spese riguardanti l’ascensore, suddividendole secondo quanto previsto dall’art. 1124 del c.c.

In altre parole, tornando al cuore del quesito posto, ai fini della applicabilità del 2° comma dell’art. 1123 del c.c., a nulla rileva l’utilizzo soggettivo e personale che ciascun condomino fa di uno spazio o di un servizio comune: egli sarà comunque tenuto al pagamento degli oneri condominiali in proporzione al valore della sua proprietà, anche se non si reca mai nel cortile o non utilizza mai l’area stenditoio.

Pare, quindi, totalmente priva di fondamento l’opposizione operata dai proprietari dei locali commerciali, in quanto in alcun modo rileva lo scarso utilizzo da parte loro dell’area cortiliva. È opportuno sottolineare che tale circostanza, oltre ad essere irrilevante, pare essere del tutto falsa, in quanto, secondo quanto ci è dato di capire, in tale area gli stessi hanno provveduto ad installare contatori del gas autonomi e motori dell’area condizionata: quindi, ci si chiede, a che titolo possono dire che l’area cortiliva non è da loro utilizzata in maniera continua?

STEFANO D. G. chiede
martedì 29/05/2018 - Lazio
“La società ALFA esegue le verifiche periodiche biennali degli ascensori ex. art. 13 DPR 162/99 nel condominio BETA a fronte di un incarico scritto e firmato dall'amministratore pro-tempore del condominio BETA.

L'amministratore pro-tempore più volte sollecitato per telefono ed email non provvede al pagamento di quanto dovuto (poche centinaia di Euro) adducendo varie scuse.

La società ALFA comunica all'amministratore pro-tempore che se non provvede al pagamento a brevissimo, la stessa adirà alle vie legali, ma prima di sostenerne i costi espleterà il tentativo d'informare direttamente della situazione di morosità i singoli condomini, con avvisi apposti sulla bacheca del condominio, con il fine di sensibilizzare l'amministratore pro-tempore a provvedere al pagamento.

L'amministratore pro-tempore del condominio BETA diffida la società ALFA dal mettere gli avvisi comunicando che nel caso ciò avvenisse la società ALFA verrebbe denunciata alle autorità competenti e portata in giudizio senza indicare il requisito di legge che la società ALFA non avrebbe rispettato.

Si chiede:
1 la società ALFA ha il diritto d'informare direttamente i singoli condomini del suo credito nei loro confronti?
2 l'amministratore pro-tempore ha ragione a diffidare la società ALFA dall'apporre gli avvisi?
3 la società ALFA può apporre l'avviso sulla bacheca condominiale?”
Consulenza legale i 05/06/2018
Nel condominio, le spese necessarie per la conservazione ed il godimento della cosa comune, come anche quelle relative alla prestazione di servizi di interesse comune, sono a carico dei singoli condomini in misura proporzionale al valore delle rispettive proprietà, come prevede l’art. 1123 c.c.
A seguito della storica sentenza dell'8 aprile 2008, n. 9148, la Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, ha definitivamente escluso la solidarietà passiva fra i condomini in merito alle obbligazioni pecuniarie assunte verso terzi, affermando che “le obbligazioni e la susseguente responsabilità dei condomini sono governate dal criterio dalla parziarietà. Ai singoli si imputano, in proporzione alle rispettive quote, le obbligazioni assunte nel cosiddetto "interesse del condominio", in relazione alle spese per la conservazione e per il godimento delle cose comuni dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza."

Tale principio possiamo dire che sia stato sostanzialmente recepito nella riforma condominiale introdotta con la L.220/2012. Infatti, il novellato art. 63 delle disp. att. c.c. stabilisce che: “I creditori non possono agire nei confronti degli obbligati in regola con i pagamenti, se non dopo l'escussione degli altri condomini.”
Tale riforma ha anche ampliato i poteri dei singoli condomini in merito al controllo della contabilità condominiale. Si pensi, ad esempio, al punto 9 dell'art. 1130 c.c. che prevede, tra le attribuzioni dell'amministratore, quella di "fornire al condomino che ne faccia richiesta attestazione relativa allo stato dei pagamenti degli oneri condominiali e delle eventuali liti in corso" .

Ciò premesso, sicuramente la società Alfa ha diritto di informare anche i singoli condomini del suo credito, considerato che per l’eventuale recupero forzoso - una volta ottenuto il titolo giudiziale nei confronti del condominio e in caso di mancato pagamento - dovrebbe agire nei confronti dei singoli condomini (dapprima quelli non in regola con i pagamenti, poi gli altri).

Quello che invece non è consentito fare alla società Alfa è l’apposizione di avvisi sulla bacheca condominiale.
Come ha chiarito anche il Garante della Privacy con il Vademecum del 10.10.2013 “Le bacheche condominiali sono utilizzabili per avvisi di carattere generale (ad esempio relativi ad anomalie nel funzionamento degli impianti) e non per comunicazioni che comportano l’uso dei dati personali riferibili a singoli condòmini.”
Tale principio è stato ribadito anche dalla Suprema Corte che con la sentenza numero 39986 del 26 settembre 2014 ha sottolineato che: “La comunicazione contenente i nominativi dei condomini morosi affissa al portone condominiale, anche in presenza di un’effettiva morosità degli stessi condomini, costituiva una condotta diffamante, non sussistendo alcun interesse da parte dei terzi alla conoscenza di quei fatti, anche se veri”.

Nel caso in esame, invero un poco diverso, poiché da quanto riferito gli avvisi non conterrebbero i nominativi dei singoli condomini ma quello dell'amministratore, si suggerisce tuttavia di non affiggere per le seguenti ragioni:
1) la bacheca condominiale è uno spazio utilizzabile solo dall’amministratore (o, tuttalpiù, dai singoli condomini per avvisi eccezionali di carattere generale) e non da terzi estranei al condominio;
2) poiché la bacheca è comunque visibile a terzi che si trovano a transitare nel condominio, l’indicazione di una morosità potrebbe integrare gli estremi del reato di diffamazione ai sensi dell’art. 595 c.p.

Pertanto, la risposta alla seconda domanda contenuta nel quesito è senz’altro positiva (cioè l'amministratore ha ragione a diffidare la società Alfa dall'apporre avvisi pubblici).
Conseguentemente, per le ragioni appena illustrate, deve intendersi negativa la risposta alla terza domanda contenuta nel quesito.
Detto ciò, in alternativa alla bacheca condominiale, considerato che la società Alfa è comunque legittimata a far sapere ai singoli condomini il suo diritto di credito e, parimenti, questi ultimi hanno diritto di essere informati, suggeriamo di mettere una comunicazione in tal senso all’interno delle singole cassette della posta dei condomini.

CLAUDIO P. chiede
mercoledì 18/04/2018 - Lombardia

“Sono comproprietario assieme a mia moglie di un appartamento compreso in un condominio composto da settantasette appartamenti, due villette unifamiliari, un piccolo supermercato, quattro negozi e centocinquantacinque box auto in una rimessa al piano interrato. Il condominio dispone di un Regolamento Condominiale contrattuale, predisposto dalla Società costruttrice e richiamato negli atti di compravendita delle singole unità immobiliari.
Nel locale autorimesse sono ubicati, oltre ai box citati, anche quattro piccoli locali di proprietà condominiale, i locali scambiatori del sistema centralizzato di acqua calda sanitaria e del teleriscaldamento (cd. sottocentrali) ed un box di proprietà privata, che il condominio ha in uso come deposito temporaneo immondizie (solo per l’umido domestico ed il secco indifferenziato), dietro pagamento di un canone di affitto annuo.
Il locale autorimesse non dispone di Certificazione di Prevenzione Incendi (CPI) ed il condominio si appresta a richiederla, previa esecuzione di diversi lavori piuttosto onerosi di adeguamento dei locali e delle strutture.
A tal fine il condominio ha già da tempo accantonato una somma di diverse decine di migliaia di euro e l’allora Amministratore aveva previsto che detto accantonamento, pur deliberato dalla totalità dei proprietari, fosse ripartito tra i soli proprietari dei box, secondo la corrispondente tabella millesimale.
In sede di recente assemblea straordinaria, indetta dall’Amministratore per la scelta del professionista che dovrà assicurare la direzione dei lavori e l’espletamento di tutte le pratiche di legge presso il locale Comando dei VVF ed a premessa dell’assegnazione ad una ditta dell’esecuzione dei lavori necessari, è emersa una diversità di opinioni tra il sottoscritto ed alcuni condomini da una parte e l’amministratore ed altri condomini dall’altra, circa i criteri da seguire sia per le deliberazioni dell’assemblea sull’argomento specifico sia di ripartizione dei relativi oneri.
In particolare, il sottoscritto, avendo riscontrato che il Regolamento di Condominio al paragrafo “Spese comuni” stabilisce che le spese per la “prevenzione incendi” siano ripartite tra i Condomini nelle proporzioni stabilite dalla tabelle dei millesimi di proprietà generale, ritiene che l’assemblea condominiale competente a deliberare in materia di CPI debba essere composta da tutti i condomini, siano essi o meno proprietari di box, visto che i relativi oneri di spesa dovranno essere ripartiti secondo la tabella dei millesimi di proprietà generale.
L’Amministratore, di contro, sostiene che, poiché secondo alcune sentenze della Corte di Cassazione, che non ha peraltro specificato, gli oneri spetterebbero ai soli proprietari di box a prescindere da quanto stabilito dal Regolamento, l’assemblea deputata a deliberare in materia debba essere composta solo da quest’ultimi.
In aggiunta, sempre secondo il suo parere, andrebbe intesa in tal senso anche la presenza nel Regolamento stesso:
- all’art. 2 “Proprietà comuni”, dell’indicazione che le rampe di accesso carraie e le corsie di manovra delle autorimesse siano parti comuni dei soli proprietari dei locali box;
- all’art. 6 “Spese particolari”, della prescrizione che le spese di gestione ordinaria e straordinaria, pulizia delle parti comuni del piano interrato debbano essere ripartite secondo la relativa tabella millesimale dei locali interrati.
L’Amministratore ha infine dichiarato che la questione non è in discussione, che intende comunque seguire la sua interpretazione e che chi dovesse dissentire potrà “fare ricorso”.
Verificando i rendiconti condominiali degli esercizi degli anni passati, ho inoltre accertato che anche per le spese di manutenzione periodica degli impianti e delle attrezzature antincendio, l’Amministratore ha seguito il suddetto criterio, ripartendone gli oneri sui soli proprietari di box.
E’ mia ferma convinzione che il Regolamento di Condominio Contrattuale debba invece essere rispettato e che l’adozione di qualsiasi altro criterio di ripartizione delle spese, assunto a maggioranza, determini la nullità delle relative deliberazioni, includendo tra di esse anche le approvazioni dei rendiconti degli anni passati e vorrei un Vostro parere in argomento.
Vi invierò con e-mail a parte la scansione delle pagine d’interesse del Regolamento Condominiale.”
Consulenza legale i 23/04/2018
Per rispondere adeguatamente al quesito, è necessario illustrare brevemente che cosa si intende per regolamento di condominio, e nello specifico che cosa si intende per regolamento contrattuale.
Il regolamento condominiale può definirsi come la legge interna del condominio con il quale vengono disciplinate le modalità di utilizzo delle cose comuni e al quale tutti i proprietari devono attenersi.
Nella prassi condominiale possiamo trovare due tipologie di regolamenti condominiali: quello assembleare e quello contrattuale.

Si ha il regolamento assembleare quando lo stesso viene approvato dalla assemblea di condominio secondo le maggioranze previste dalla legge, ed in particolare secondo quanto previsto dall’art. 1136 del c.c.

Si ha invece il regolamento contrattuale, come pare nel caso posto dal quesito, quando lo stesso viene unilateralmente predisposto dal costruttore ed inserito o richiamato nei singoli atti di vendita delle unità immobiliari. Contrariamente al regolamento assembleare, quello contrattuale non viene “imposto” dalla maggioranza della assemblea e non promana da tale organo, ma viene accettato dai condomini nel momento dell’acquisto delle unità abitative. Proprio per tale motivo, questa tipologia di regolamento assume la natura di contratto e necessita per la sua modifica di una nuova convenzione che promani sempre dalla unanimità dei condomini. Inoltre se tale regolamento viene trascritto presso le Conservatorie Immobiliari o richiamato nei rogiti di vendita successivi a quelli originari effettuati dal costruttore, essi vincoleranno anche i nuovi proprietari che entrano a far parte della compagine condominiale.

Accade frequentemente che nei regolamenti condominiali di natura contrattuale, vengano previste modalità di suddivisione delle spese condominiali differenti rispetto a quanto previsto dall’art. 1123 del c.c, nel quale, al suo primo comma, viene prevista la sua derogabilità da parte di una diversa convenzione.
Si ritiene che, proprio per il fatto che nel condominio di cui al quesito sia attualmente in vigore un regolamento di natura contrattuale che deroghi a quanto previsto dal codice civile in materia di suddivisione delle spese, la controversia sorta in seno all’assemblea propenda dalla parte del lettore che ci ha scritto.

La Corte di Cassazione Civile, sez.II, con sentenza n. 17268 del 28.08.2015, facendo seguito all’orientamento oramai dominante, ha infatti disposto che:” In materia di delibere condominiali sono affette da nullità … quelle con cui a maggioranza sono stabiliti o modificati i criteri di ripartizione delle spese comuni in difformità da quanto previsto dall’art. 1123 c.c. o dal regolamento condominiale contrattuale, essendo necessario, a pena di radicale nullità, il consenso unanime dei condomini… “
Seguendo quindi l’insegnamento della giurisprudenza citata, qualsiasi delibera assembleare adottata a maggioranza che vada a derogare alle disposizioni del regolamento contrattuale disciplinanti la suddivisione delle spese deve considerarsi radicalmente nulla. Una delibera assembleare nulla può essere impugnata in ogni tempo anche oltre il rigido termine impugnatorio di 30 gg. prescritto dall’art. 1137 del c.c. Di conseguenza potranno essere messe in discussione anche le delibere condominiali adottate dall’assemblea in epoca più remota, che vadano a derogare alle disposizioni del regolamento condominiale contrattuale.

Qualora si voglia modificare le disposizioni di un regolamento condominiale contrattuale, disciplinanti la suddivisione delle spese o altri aspetti del regolamento, per evitare controversie giudiziali, sarà necessario adottare le modifiche non attraverso una delibera assembleare adottata a maggioranza, ma mediante un nuovo accordo sottoscritto dalla unanimità dei componenti della compagine condominiale.

In merito alla questione della suddivisione delle spese condominiali per i lavori necessari per ottenere la certificazione di prevenzione incendi nell’area autorimesse, è opportuno sottolineare e ribadire come proprio la presenza di un regolamento contrattuale che deroga alle disposizioni dell’art. 1123 del c.c, pare faccia propendere i termini della controversia per il verso voluto dall’autore del quesito.
Infatti, la stessa sentenza che è stata citata in merito alla suddivisione delle spese relative ai lavori per l’ottenimento del CPI, dispone che, in assenza di un regolamento contrattuale che disciplini sul tema, dei detti lavori debbano rispondere solo ed esclusivamente i proprietari delle singole autorimesse in attuazione di quanto disposto dall’art. 1123 2°co. del c.c., in quanto solo quei proprietari traggono vantaggio dall’ottenimento della certificazione antincendio.

Per completezza di informazione va anche precisato che alcune sentenze di merito (si veda Trib. Bologna n. 493 del 10 ottobre 2015) trattando della certificazione per la prevenzione incendi e dei lavori conseguenti, distinguono tra opere che vanno a protezione delle parti strutturali dell’edificio (c.d. opere di protezione passiva), e lavori che vanno a protezione delle singole autorimesse (c.d. opere di protezione attiva), effettuando tra le due categorie di lavori una distinzione sulla modalità di ripartizione delle spese. Infatti le opere di protezione passiva, in quanto realizzate a protezione dell’intero edificio e quindi nell’interesse dell’intera compagine condominiale, devono essere ripartite tra tutti i condomini, così come dispone il comma 1° dell’art. 1123 del c.c.; le opere di protezione attiva, invece, in quanto poste solo a protezione delle singole autorimesse, e quindi realizzate nell’esclusivo interesse dei soli proprietari di queste, dovranno essere suddivise secondo il criterio del comma 2° dell’art. 1123 del c.c..

Angelo C. chiede
martedì 17/04/2018 - Sardegna
“Molto apprezzata Redazione Giuridica di Brocardi.it,
dopo attenta lettura della V/s seconda consulenza sul quesito Q201821133, credo proprio che siamo prossimi ad una definizione completa della “vessata quaestio”, mentre persiste un ultimo fraintendimento!
Nella precedente avevate ritenuto che “la superficie da impermeabilizzare costituisse TETTO DEI GARAGE E RAMPA DI ACCESSO”; ma, sebbene ora chiarito, ritengo opportuno richiamare quanto già riportato nel 2° quesito e ribadire che l’UNICO accesso/uscita ai garage avviene tramite PASSO CARRAIO AUTONOMO, lungo circa 60 mt., TOTALMENTE A CIELO APERTO, pianeggiante ed a livello con la strada comunale da cui si diparte, mentre i garage sono in gran parte sottostanti ben tre palazzine allocate lungo il percorso a “?” del passo pedonale.
In pratica, i civici 38/a e 40, posti al termine del primo tratto rettilineo del “camminamento” che si sviluppa in ripida ascesa, sono ad una altezza di + 5 mt; mentre il 40/a che ora ci interessa, fiancheggiato dal passo pedonale dal quale si accede, è a circa + 4,5 mt. rispetto al carraio al quale si ricollega con la parte finale del camminamento che, in ripida discesa in quel tratto non sovrasta alcun garage, ma ne fiancheggia la parete esterna di alcuni determinandovi infiltrazioni laterali (vedi foto n° 3 = parte finale del passo pedonale con a sinistra la parete esterna di alcuni garage, e a dx il muro di sostegno del cortile che circonda il civico 40/a).
A questo punto chiedevo (senza V/s risposta) se per la eliminazione delle infiltrazioni provenienti dalla superficie finale del camminamento che non sovrasta alcun locale ma determina infiltrazioni laterali nella congiunzione con le pareti esterne di alcuni garage, i costi vanno addebitati soltanto ai proprietari del passo carraio, o anche (ed in che misura?) ai proprietari dei box (ribadisco, NON SOTTOSTANTI, MA LATERALI).
Inoltre, nella V/s consulenza n° 2 richiamate la necessità di fare riferimento al “Regolamento di condominio” per la ripartizione delle spese secondo i millesimi di proprietà.
SOTTOLINEO che i Costruttori avevano predisposto una bozza troppo vaga e parziale per cui, solo successivamente i Condomini delle 4 palazzine si sono dotati di Regolamenti autonomi e differenti tra essi, senza che in alcuno si faccia riferimento alle porzioni dei sottostanti garage; mentre i proprietari di questi ultimi, solo di recente hanno formalmente attivato l’iscrizione alla Camera di commercio per ottenere una partita IVA da utilizzare soprattutto ai fini delle detrazioni fiscali per ristrutturazioni.
Di fatto, addirittura, la superficie circostante il civico 40/a (tracciata nel certificato catastale semplicemente coma “area”) non è in alcun modo citata nel relativo Regolamento condominiale, per cui si dovranno definire le competenze e gli oneri in relazione al buon senso ed in riferimento alle norme generali del codice civile.
Però, non disponendo di alcun elemento catastale in proposito, parrebbe logico ritenere che quella superficie rappresenta un “accessorium sequitur principale” del civico 40/a, anche perché necessario sia per dare area e luce alle facciate con le finestre che vi prospettano, sia come arretramento dalla superiore via pubblica e, nella parte posteriore, in ossequio della distanza d’obbligo rispetto al civico 42.
Infine, rileva il fatto che alla superficie che circonda il 40/a si può accedere soltanto percorrendo lo spazio fiancheggiato dal camminamento e che rappresenta percorso/accesso a quella palazzina, per cui, essendo superficie privata, ad essa ne è precluso l’accesso ad altri (che sarebbero “estranei”), compresi i Proprietari dei sottostanti garage che –peraltro- non ne hanno alcun interesse.
Di fatto, ad oggi, NESSUN “ESTRANEO” VI ACCEDE.
Inoltre, (a naso) non è necessario uno specifico “divieto di transito e parcheggio” (sui cavalletti!) di scooteroni/moto, ma parrebbe sufficiente il riferimento che, se non espressamente previsto dai costruttori, su un tetto di copertura non è consentito accedere con mezzi motorizzati; anche perché detta superficie ha caratteristiche strutturali tali da NON renderlo possibile in quanto trattasi di solaio prefabbricato risalente a fine ‘50, di scarso spessore e degradato dalle pluri annuali costanti infiltrazioni che ne hanno messo a vista i ferri ammalorati.
In tutti i casi, è evidente che i proprietari dei garage, per la parte in cui sono sottostanti, godono della funzione di “tetto di copertura” e, per solo questo aspetto, va determinata la quota di competenza (artt. 1126, 1125 o 1123?)
A tale proposito, credo che il posizionamento di una guaina impermeabilizzante protetta da sovrastante pavimentazione non possa fare configurare una come da Voi ipotizzata “innovazione voluttuaria” perché rappresenterebbe esclusivamente il “ripristino” della impermeabilizzazione ultra cinquantennale a suo tempo realizzata dai costruttori con “cartone bitumato” (oggi obsoleto, ma allora il massimo disponibile), protetto con riquadri cementizi (oggi tendenti allo sfarinamento).
Tutto ciò premesso, sarei portato a concludere che la manutenzione di tale struttura “in primis”, dovrebbe ripristinare le caratteristiche originali (guaina con sovrapposti elementi cementizi), ed in detta ipotesi (che definirei “più completa”), dovreste indicare la ripartizione dei costi tra i Condomini del civico 40/a ed i proprietari dei box.
Invece, se l’Amm.re (COME PARREBBE!) assicurasse (assumendosene la responsabilità) di impedire l’accesso/parcheggio delle moto ed il “calpestio pesante”, potremmo noi accedere alla sola stesura della guaina che protegga dalle infiltrazioni, con –secondo Voi- quale ripartizione?
Personalmente escluderei l’art. 1126 (che riguarda il tetto di copertura di una palazzina), mentre Vi chiedo di indicare se il 1125 o il (forse) più favorevole art. 1123?
A tale proposito (non ricordo dove) ho letto che “Qualora sia accertato che le infiltrazioni d’acqua nei piani seminterrati o interrati degli edifici o aree condominiali, è necessario provvedere alla riparazione dei soffitti danneggiati, ma anche all’impermeabilizzazione.
In caso di infiltrazione dal terrazzo/cortile condominiale le spese di manutenzione e riparazione della pavimentazione e guaina dell’area condominiale sono a carico di tutti i Condomini (crederei, i soli proprietari di appartamento di quel civico?), escluso il proprietario dei locali sottostanti; mentre “le spese di manutenzione/riparazione del soffitto dei locali sottostanti sono a carico del solo proprietario esclusivo, il quale non può pertanto chiedere il rimborso al condominio".
Ipotesi, quest’ultima che allo scrivente parrebbe essere adeguatamente applicabile al nostro caso.
Invece, il V/s autorevole parere?
Infine, crederei che per la sola superficie di circa 90 mq., laterale al camminamento e che rappresenta la superficie (privata) di accesso al 40/a, in quanto oggetto di “flussi pedonali costanti”, in tutti i casi necessita che la guaina venga protetta con copertura cementizia o asfalto (come a suo tempo realizzato dai costruttori) con i “costi supplementari” da addebitare soltanto ai Condomini del civico 40/a che ne sono gli unici utilizzatori e “consumatori”.
Ciò in ossequio allo spirito del codice civile che -in generale- tende a ripartire le “spese condominiali” in relazione alla maggiore utilità, all’uso ed al consumo dei singoli condomini.
Pure su questo aspetto auspico il V/s parere.
Questo è tutto! Spero di essermi espresso in maniera chiara ed inequivoca per cui il V/s autorevole parere rappresenterà per me la linea guida definitiva alla quale ispirarmi per la definizione consensuale della problematica che ci angaria (e, spero, pure per l’Amministratore del 40/a che, certamente!, è Persona seria, attenta ed in buona fede che aspira ad essere “meglio informato” da “esperti della materia”).
Nella ansiosa attesa di un V/s riscontro, colgo l’occasione per esprimerVi il mio incondizionato apprezzamento ed inviarVi i più cordiali saluti.

Consulenza legale i 24/04/2018
Gentile cliente, si cercherà di rispondere per gradi alla sua ulteriore richiesta di consulenza analizzando il quesito paragrafo per paragrafo, in modo che nulla possa sfuggire e Lei possa così raggiungere (almeno ci si augura) la sua finalità di avere un quadro completo e chiaro della situazione, perlomeno sotto il nostro angolo visuale.

Partiamo dalla sua prima considerazione:
Nella precedente avevate ritenuto che “la superficie da impermeabilizzare costituisse TETTO DEI GARAGE E RAMPA DI ACCESSO”; ma, sebbene ora chiarito, ritengo opportuno richiamare quanto già riportato nel 2° quesito e ribadire che l’UNICO accesso/uscita ai garage avviene tramite PASSO CARRAIO AUTONOMO, lungo circa 60 mt., TOTALMENTE A CIELO APERTO, pianeggiante ed a livello con la strada comunale da cui si diparte, mentre i garage sono in gran parte sottostanti ben tre palazzine allocate lungo il percorso a “?” del passo pedonale.
In pratica, i civici 38/a e 40, posti al termine del primo tratto rettilineo del “camminamento” che si sviluppa in ripida ascesa, sono ad una altezza di + 5 mt; mentre il 40/a che ora ci interessa, fiancheggiato dal passo pedonale dal quale si accede, è a circa + 4,5 mt. rispetto al carraio al quale si ricollega con la parte finale del camminamento che, in ripida discesa in quel tratto non sovrasta alcun garage, ma ne fiancheggia la parete esterna di alcuni determinandovi infiltrazioni laterali (vedi foto n° 3 = parte finale del passo pedonale con a sinistra la parete esterna di alcuni garage, e a dx il muro di sostegno del cortile che circonda il civico 40/a).
A questo punto chiedevo (senza V/s risposta) se per la eliminazione delle infiltrazioni provenienti dalla superficie finale del camminamento che non sovrasta alcun locale ma determina infiltrazioni laterali nella congiunzione con le pareti esterne di alcuni garage, i costi vanno addebitati soltanto ai proprietari del passo carraio, o anche (ed in che misura?) ai proprietari dei box (ribadisco, NON SOTTOSTANTI, MA LATERALI)”.

Questo passo del suo quesito pone il problema di stabilire come debbano essere ripartite le spese per eliminare le infiltrazioni che provengono dalla superficie finale del camminamento, nella parte in cui non sovrasta alcun garage, ossia non ne costituisce tetto, ma determina infiltrazioni laterali nel punto in cui vi è la congiunzione con le pareti esterne di alcuni garage.
Ebbene, come precisato nell’ultima consulenza, il fatto che quella parte di camminamento non costituisca tetto dei garage, non significa che ad esso non possa attribuirsi natura e funzione di parte comune dell’edificio ex art. 1117 c.c., a meno che l’atto o gli atti di acquisto non lo escludano espressamente.
La superficie del camminamento, infatti, in tale precisa circostanza deve essere vista ed assimilata, almeno così si ritiene, alle fondamenta e ad una parte dei muri maestri dell’edificio che lo sovrasta e di cui fanno parte i garage che subiscono le infiltrazioni.
Sulla scorta di tale considerazione, il primo dato che si ritiene acquisito è che anche i proprietari dei garage, sebbene nulla abbiano a che vedere con quella parte di camminamento, debbano contribuire nelle spese volte alla eliminazione delle infiltrazioni laterali.

Proseguendo con il suo quesito si legge:
Inoltre, nella V/s consulenza n° 2 richiamate la necessità di fare riferimento al “Regolamento di condominio” per la ripartizione delle spese secondo i millesimi di proprietà.
SOTTOLINEO che i Costruttori avevano predisposto una bozza troppo vaga e parziale per cui, solo successivamente i Condomini delle 4 palazzine si sono dotati di Regolamenti autonomi e differenti tra essi, senza che in alcuno si faccia riferimento alle porzioni dei sottostanti garage; mentre i proprietari di questi ultimi, solo di recente hanno formalmente attivato l’iscrizione alla Camera di commercio per ottenere una partita IVA da utilizzare soprattutto ai fini delle detrazioni fiscali per ristrutturazioni.
Di fatto, addirittura, la superficie circostante il civico 40/a (tracciata nel certificato catastale semplicemente coma “area”) non è in alcun modo citata nel relativo Regolamento condominiale, per cui si dovranno definire le competenze e gli oneri in relazione al buon senso ed in riferimento alle norme generali del codice civile”.

Su tale parte devono farsi le seguenti osservazioni: in quanto si ritiene che quel viale sia da qualificare come parte comune, non nel senso che appartiene o è posta al servizio di tutti i condomini, bensì nel senso, sopra detto, che svolge anche la funzione di parte delle fondamenta e dei muri maestri dei garage che subiscono le infiltrazioni oltre che dell’intero edificio sovrastante, nella precedente consulenza era stato suggerito di applicare per la suddivisione delle spese il principio fissato dall’art. 1118 c.c., norma che prevede la suddivisione delle relative spese in proporzione del valore dell’unità immobiliare che appartiene al singolo condomino.
Non sarebbe sufficiente, infatti, opporre che quel tratto di camminamento non appartiene e non è posto al servizio dei garage e dunque i relativi proprietari non sono tenuti a partecipare alle spese per eliminare le infiltrazioni che da lì provengono.
Si immagini che, a prescindere dall’uso che ne viene fatto, al posto del camminamento, vi sia un terrapieno; senza alcun dubbio i proprietari dei garage si attiverebbero immediatamente per porre in essere ogni opera volta ad evitare infiltrazioni nella loro proprietà.
Il problema, però, sta ora nel fatto che una suddivisione delle spese in base ai millesimi di proprietà (significa proprio questo “in proporzione al valore dell’unità immobiliare”) non risulta attuabile, perché non sono state adottate le relative tabelle millesimali ed i regolamenti di condominio delle quattro palazzine non fanno cenno (cosa alquanto strana!) ai garage sottostanti, come se si trattasse di edifici senza fondamenta e senza una parte di muri maestri.
A questo punto, se non si ha la benché minima intenzione di procedere ad una revisione dei millesimi di proprietà, in modo da potervi includere anche i garage, non resta altra soluzione che quella di dividere le spese di cui si discute per un numero di quote pari ai partecipanti al condominio interessato dalle infiltrazioni; si tratterebbe di un criterio dettato dal buon senso e che nel contempo trova un suo fondamento normativo nell’art. 1123 comma 1 c.c., nella parte in cui afferma che le spese sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno “salvo diversa convenzione”.

Continuando la lettura del quesito vi si trova precisato quanto segue:
“Però, non disponendo di alcun elemento catastale in proposito, parrebbe logico ritenere che quella superficie rappresenta un “accessorium sequitur principale” del civico 40/a, anche perché necessario sia per dare area e luce alle facciate con le finestre che vi prospettano, sia come arretramento dalla superiore via pubblica e, nella parte posteriore, in ossequio della distanza d’obbligo rispetto al civico 42.
Infine, rileva il fatto che alla superficie che circonda il 40/a si può accedere soltanto percorrendo lo spazio fiancheggiato dal camminamento e che rappresenta percorso/accesso a quella palazzina, per cui, essendo superficie privata, ad essa ne è precluso l’accesso ad altri (che sarebbero “estranei”), compresi i Proprietari dei sottostanti garage che –peraltro- non ne hanno alcun interesse”.


A tale osservazione si ritiene che sia stata data risposta al punto precedente: le infiltrazioni che si intendono eliminare non hanno nulla a che vedere con la proprietà e l’uso di quel camminamento, ossia con il fatto che si tratta di una superficie non menzionata catastalmente, ma che di fatto consente l’accesso all’edificio identificato con il civico 40/a.
Ciò che in questo momento conta è che da una parte di quel camminamento (quella che costeggia i garage) si originano delle infiltrazioni che danneggiano i garage posti al suo fianco; tanto basta per far sì che siano i proprietari dell’edificio a cui appartengono i garage, inclusi i proprietari di questi ultimi, ad attivarsi con spese a loro carico per eliminare la causa che origina le infiltrazioni.
E’ corretta però anche l’osservazione che trattasi di un bene posto ad esclusivo servizio dell’edificio 40/a, ed in quanto tale i proprietari di questo edificio non possono esimersi dal partecipare alle spese, anche in questo caso secondo il criterio sopra suggerito, ossia per un numero di quote pari al numero dei proprietari dell’edificio (e ciò sempre per l’assenza di tabelle millesimali di riferimento).
L’obbligo per questi ultimi di partecipare alle spese lo si può ricercare nell’art. 2051 c.c., norma che addossa la responsabilità dei danni derivanti da cose in custodia in capo a colui che ne è custode (ossia i proprietari dell’edificio 40/a), salvo la prova del caso fortuito, che in questo caso sarebbe impossibile fornire.

Continuiamo ancora nella lettura del quesito:
“Di fatto, ad oggi, NESSUN “ESTRANEO” VI ACCEDE.
Inoltre, (a naso) non è necessario uno specifico “divieto di transito e parcheggio” (sui cavalletti!) di scooteroni/moto, ma parrebbe sufficiente il riferimento che, se non espressamente previsto dai costruttori, su un tetto di copertura non è consentito accedere con mezzi motorizzati; anche perché detta superficie ha caratteristiche strutturali tali da NON renderlo possibile in quanto trattasi di solaio prefabbricato risalente a fine ‘50, di scarso spessore e degradato dalle pluri annuali costanti infiltrazioni che ne hanno messo a vista i ferri ammalorati”.

Non si è d’accordo su tale considerazione, in quanto l’esperienza dei nostri giorni ci fa conoscere i cd. parcheggi multipiano, i quali sfruttano proprio i tetti di copertura interpiano quale area di parcheggio.
Inoltre, tale uso si pone in linea con quanto previsto dall’art. 1102 c.c., norma che consente a ciascun partecipante di servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione o non ne impedisca il pari uso da parte degli altri condomini.
Sarà a questo punto compito dell’amministratore, nell’esercizio dei suoi poteri ex art. 1130 c.c., valutare se disporre o meno il divieto di parcheggio su quell’area per ragioni di sicurezza nonché al fine di garantire la conservazione di quel bene condominiale.

Andando ancora avanti si legge:
In tutti i casi, è evidente che i proprietari dei garage, per la parte in cui sono sottostanti, godono della funzione di “tetto di copertura” e, per solo questo aspetto, va determinata la quota di competenza (artt. 1126, 1125 o 1123?)
A tale proposito, credo che il posizionamento di una guaina impermeabilizzante protetta da sovrastante pavimentazione non possa fare configurare una come da Voi ipotizzata “innovazione voluttuaria” perché rappresenterebbe esclusivamente il “ripristino” della impermeabilizzazione ultra cinquantennale a suo tempo realizzata dai costruttori con “cartone bitumato” (oggi obsoleto, ma allora il massimo disponibile), protetto con riquadri cementizi (oggi tendenti allo sfarinamento).
Tutto ciò premesso, sarei portato a concludere che la manutenzione di tale struttura “in primis”, dovrebbe ripristinare le caratteristiche originali (guaina con sovrapposti elementi cementizi), ed in detta ipotesi (che definirei “più completa”), dovreste indicare la ripartizione dei costi tra i Condomini del civico 40/a ed i proprietari dei box”.

Su questa parte può osservarsi quanto segue.
Nell’ultima consulenza era stato suggerito di affidarsi ad un tecnico per stabilire con maggiore precisione quali dovrebbero essere i lavori più corretti da eseguire.
Tuttavia, se può affermarsi che il posizionamento della guaina impermeabilizzante con soprastanti quadrotti di cemento di fatto non costituisce null’altro che un ripristino della vecchia impermeabilizzazione, allora è chiaro che non si tratta più di una innovazione voluttuaria, ma di opere necessarie per la conservazione del bene interessato.
A questo punto, in assenza di tabelle millesimali, la soluzione più equa si ritiene che sia quella di far partecipare alle spese sia i condomini dell’edificio a cui appartengono i garage che subiscono infiltrazioni sia i condomini dell’edificio che da quel camminamento hanno accesso al civico 40/a; in particolare, la suddivisione della spesa complessiva dovrà effettuarsi per un numero di quote eguali al numero dei proprietari.
Circa la norma su cui fondare tale criterio di contribuzione alle spese, può ricercarsi per i primi nell’art. 1123 co. 1 c.c. e per i secondo in tale norma integrata dall’art. 2051 c.c.

Si legge poi:
Invece, se l’Amm.re (COME PARREBBE!) assicurasse (assumendosene la responsabilità) di impedire l’accesso/parcheggio delle moto ed il “calpestio pesante”, potremmo noi accedere alla sola stesura della guaina che protegga dalle infiltrazioni, con –secondo Voi- quale ripartizione?
Personalmente escluderei l’art. 1126 (che riguarda il tetto di copertura di una palazzina), mentre Vi chiedo di indicare se il 1125 o il (forse) più favorevole art. 1123?
A tale proposito (non ricordo dove) ho letto che “Qualora sia accertato che le infiltrazioni d’acqua nei piani seminterrati o interrati degli edifici o aree condominiali, è necessario provvedere alla riparazione dei soffitti danneggiati, ma anche all’impermeabilizzazione.

In caso di infiltrazione dal terrazzo/cortile condominiale le spese di manutenzione e riparazione della pavimentazione e guaina dell’area condominiale sono a carico di tutti i Condomini (crederei, i soli proprietari di appartamento di quel civico?), escluso il proprietario dei locali sottostanti; mentre “le spese di manutenzione/riparazione del soffitto dei locali sottostanti sono a carico del solo proprietario esclusivo, il quale non può pertanto chiedere il rimborso al condominio".
Ipotesi, quest’ultima che allo scrivente parrebbe essere adeguatamente applicabile al nostro caso.
Invece, il V/s autorevole parere?

Sul discorso delle responsabilità dell’amministratore se ne è trattato nel precedente punto.
Circa il posizionamento della sola guaina non si può essere d’accordo, in quanto sembra sia stata asserito nel precedente capoverso che il posizionamento della guaina e dei quadrotti di cemento non sarebbe altro che un mero ripristino della ultracinquantennale impermeabilizzazione.
Per quanto riguarda ciò che si riferisce essere stato letto in qualche sentenza, in realtà attiene al criterio della ripartizione delle spese ex art. 1125 c.c., norma che fa riferimento alla manutenzione di soffitti, volti e solai, ipotesi che si ritiene non sia applicabile al nostro caso, dovendosi piuttosto seguire quello che si è definito criterio principe di ripartizione delle spese, ossia quello fissato dall’art. 1123 c.c.

Infine l’ultimo passo del quesito:
Infine, crederei che per la sola superficie di circa 90 mq., laterale al camminamento e che rappresenta la superficie (privata) di accesso al 40/a, in quanto oggetto di “flussi pedonali costanti”, in tutti i casi necessita che la guaina venga protetta con copertura cementizia o asfalto (come a suo tempo realizzato dai costruttori) con i “costi supplementari” da addebitare soltanto ai Condomini del civico 40/a che ne sono gli unici utilizzatori e “consumatori”.
Ciò in ossequio allo spirito del codice civile che -in generale- tende a ripartire le “spese condominiali” in relazione alla maggiore utilità, all’uso ed al consumo dei singoli condomini.
Pure su questo aspetto auspico il V/s parere”.

Se tale superficie ha natura privata in quanto posta a servizio del solo civico 40/a, non può che concordarsi sul fatto che le relative spese debbano gravare esclusivamente sui condomini dell’edificio corrispondente al civico 40/a, e ciò in ossequio a quanto prescritto questa volta dall’ultimo comma dell’art. 1123 c.c., nella parte in cui è detto che se un edificio (o complesso condominiale) ha più scale, cortili o lastrici solari, “le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condomini che ne trae utilità”.

Dunque, in conclusione, la norma che dovrebbe regolare ogni forma di suddivisione delle spese è l’art. 1123 comma 1 e 3 c.c., combinato con l’art. 2051 c.c. per quanto riguarda la partecipazione dei condomini del civico 40/a alle spese da sostenere per l’eliminazione delle infiltrazioni.
La superficie di 90 mq,, invece, avendo natura privata, dovrà essere conservata e se necessario ripristinata a cura e spese dei condomini che la utilizzano in via esclusiva, e ciò appunto ex art. 1123 commi 2 e 3 c.c.

Carlo A. M. chiede
lunedì 22/05/2017 - Lombardia
“Sono proprietario di un box (e non posseggo appartamenti nello stabile in questione ) che è parte integrante di un edificio. Per arrivare al mio box non utilizzo mai le scale interne, ne ascensore e nemmeno mi servo di vialetti all’interno del condominio, anche se il corsello box è comunicante con la portineria dove ci sono scale e ascensore che portano agli appartamenti, e ad altre parti in comune, ma utilizzo sempre la scala per l’uscita di emergenza sita all’esterno dell’edificio. Nella riunione condominiale dell’anno scorso, alla quale io non ero presente, la maggioranza ha deliberato che ogni condomino deve pagare tutte le parti in comune per i millesimi di proprietà, e l’amministratore mi ha inviato le spese (2016/2017), dove mi ha addebitato anche le spese delle parti in comune che io non utilizzo mai, cioè: rifacimento giardino, pulizia scale, ascensore, giro sacchi, che secondo me è ingiusto perché non ne traggo godimento, e che ho comunque pagato regolarmente. Nella riunione di quest’anno ho fatto presente che io essendo proprietario di solo box non era giusto pagare quelle spese di cui non ne traggo godimento, appellandomi anche al c.c. 1123 per quanto riguarda la ripartizione spese, l’amministratore invece mi ha risposto che essendoci un collegamento tra i box e la portineria che porta alle varie parti in comune dell’edificio, io avrei potuto utilizzarle comunque e che sarei obbligato a pagare le spese di tutte le parti in comune secondo i millesimi di proprietà. Non trovandoci d’accordo sul punto sopracitato ci siamo lasciati, con l’accordo di riunirci a settembre, di informarci e portare documentazione che chiarisse se i possessori di solo box dovrebbero pagare le spese di tutte le parti in comune, oppure le spese che riguardano il solo box.
Se possibile vorrei sapere:

1 – Quando ho acquistato il box, nel rogito c’era anche un regolamento dove dice che ogni condomino deve
partecipare alle spese delle parti in comune. Ma solo per questo devo partecipare alle spese delle parti
in comune indistintamente, o bisogna intendere chi ne trae utilizzo ?

2 – Se in riunione la maggioranza delibera che ogni condomino deve pagare tutte le parti in comune, è
legge oppure no ?

3 – Per quanto sopradescritto, secondo il codice civile in materia di ripartizione spese, devo pagare tutto
quello che mi è stato addebitato, oppure devo pagare le spese che riguardano il solo box ?

4 – Mi sono arrivate le spese per l’anno 2017/2018, e dopo aver avvisato l’amministratore per email (non
pec), che per giusta causa non ho intenzione di pagare, perché ci sono spese secondo me ingiuste,
posso andare incontro a problemi legali ?

5 – Se negli anni precedenti ci sono stati errori nella ripartizione spese, posso chiedere il rimborso ?”
Consulenza legale i 06/06/2017
Purtroppo la risposta all’unica domanda sostanziale posta nel quesito è negativa: anche il titolare del box è tenuto a pagare le spese condominiali nella misura determinata dal primo comma dell’art. 1123 cod. civ., ovvero in misura proporzionale ai suoi millesimi di proprietà.

L’art. 1123, 2° comma, invocato dal condòmino a proprio favore, stabilisce in effetti che “Se si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione dell’uso che ciascuno può farne”. E’ quello che viene definito condominio “parziale”.

Tuttavia, per comprendere il significato della norma, l’accento non va posto sull’”uso proporzionale” della cosa ma sulla “destinazione a diverso servizio” della cosa stessa per i condomini.
In buona sostanza, perché operi il diverso criterio di ripartizione delle spese proporzionale all’uso, occorre che le cose di cui si parla siano materialmente e funzionalmente destinate a servire in modo diverso alcuni condomini, vale a dire siano a servizio/vantaggio solo o maggiormente di alcuni condomini rispetto agli altri per la loro conformazione fisica/strutturale o per la loro funzione, e non, invece, semplicemente per l'uso concreto che ne viene fatto.

Nel caso di specie, le scale, l’ascensore, il giardino, ecc. (tutte le spese, insomma, deliberate dall’assemblea come spese comuni a carico dell’intero condominio) non sono né materialmente/strutturalmente (per la loro conformazione intrinseca) destinate a servizio solo di una parte dell’edificio o di alcuni condomini, né lo sono per una loro particolare funzione; tali parti, al contrario, sono potenzialmente utilizzabili da parte di tutti i condomini, che possono trarne vantaggio (anche se magari non lo fanno) quindi anche dal proprietario del box.
Se poi egli non ne trae vantaggio (per mancanza di concreta utilità o per altre ragioni), ciò non rileva sulla misura delle spese a suo carico. Diversamente, infatti, sarebbe quasi impossibile determinare con certezza chi è tenuto a pagare e chi no. Il criterio viene stabilito in modo chiaro nei termini sopra indicati e non subisce alcuna eccezione per il sol fatto che, in concreto, l'uso non ci sia o ci sia in maniera del tutto marginale. Non rileva.

La giurisprudenza in merito afferma: “In tema di condominio negli edifici, i presupposti per l'attribuzione della proprietà comune a vantaggio di tutti i partecipanti vengono meno se le cose, gli impianti e i servizi di uso comune, per oggettivi caratteri materiali e funzionali, sono destinati all'uso o al servizio di una sola parte o di alcune parti dell'edificio. (…)” (Tribunale Roma, sez. V, 02/07/2009, n. 14530) ed ancora: “Per l'applicazione del criterio derogatorio al principio generale della ripartizione delle spese in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, di cui al comma 1 dell'art. 1123 c.c., per la ripartizione delle spese in proporzione dell'uso che ciascuno può farne, occorre individuare previamente l'attività di conservazione e godimento delle parti comuni dell'edificio che apporti in modo differenziato, a ciascun condomino, una propria utilità individuale, poiché, altrimenti, il parametro della caratura millesimale dovrà trovare piena applicazione, salva una diversa convezione intervenuta tra le parti.” (Tribunale Roma, 25/07/2005).

Sulle scale e sull’androne, poi, in particolare, la giurisprudenza ha precisato che la relativa spesa è a carico anche di chi non ne usa per mancanza di utilità: “Le scale e l'androne, essendo elementi strutturali necessari all'edificazione di uno stabile condominiale e mezzo indispensabile per accedere al tetto ed al terrazzo di copertura, conservano, in assenza di titolo contrario, la qualità di parti comuni, come indicato nell'art. 1117 c.c., anche relativamente ai condomini proprietari di negozi o locali terranei con accesso dalla strada, poiché anche tali condomini ne fruiscono, quanto meno in ordine alla conservazione e manutenzione della copertura dell'edifici. Ne consegue l'applicabilità della tabella millesimale generale ai fini del computo dei "quorum" per la ripartizione delle spese dei lavori di manutenzione straordinaria (ed eventualmente ricostruzione) dell'androne e delle scale, cui anche detti condomini sono tenuti a concorrere, in rapporto ed in proporzione all'utilità che possono in ipotesi trarne”. (Cassazione civile, sez. II, 20/04/2017, n. 9986).

I criteri di ripartizione dettati dall’art. 1123 cod civ. sono, per pacifica giurisprudenza, inderogabili se non all’unanimità dei consensi.

Pertanto, se per pura ipotesi (ma si è visto che nel caso di specie così non è) uno dei condomini avesse diritto di farsi carico in misura inferiore di alcune spese perché esistono i presupposti di fatto dettati dall’art. 1123, 2° comma, cod. civ, l’assemblea non potrebbe assolutamente, a maggioranza, deliberare il contrario e caricarlo delle spese in questione in base ai millesimi di proprietà (1123, 1° comma, cod. civ.).

Per contro, oltre alla decisione unanime dei condomini, l'unica altra via per poter legittimamente derogare alla norma di legge (art. 1123 c.c.) è quella del regolamento condominiale contrattuale (quello, cioè, predisposto dal costruttore e che si accompagna obbligatoriamente agli atti di vendita delle singole unità immobiliari).
Nella fattispecie in esame il regolamento contrattuale esiste ma dice solo che ogni condomino “deve partecipare alle spese delle parti in comune”: ad avviso di chi scrive tale espressione è talmente generica, ovvero espressione di una regola generale valevole in materia di condominio, che deve intendersi come semplice richiamo alla disciplina del codice civile, senza alcun’altra accezione descrittiva.


Nel caso di mancato pagamento delle spese legali, il condomino moroso può senza dubbio andare incontro a problemi legali: in base alla nuova disciplina del condominio, infatti, l’amministratore può agire autonomamente, ovvero senza bisogno di appositi autorizzazione e mandato dell’assemblea, per la riscossione degli oneri condominiali, chiedendo al Giudice l’emissione di un decreto ingiuntivo.
Più precisamente, ai sensi dell’art. 1129 cod. civ.: “Salvo che sia stato espressamente dispensato dall'assemblea, l'amministratore è tenuto ad agire per la riscossione forzosa delle somme dovute dagli obbligati entro sei mesi dalla chiusura dell'esercizio nel quale il credito esigibile è compreso, anche ai sensi dell'articolo 63, primo comma, delle disposizioni per l'attuazione del presente codice.
In base, poi, al richiamato art. 63 delle disposizioni attuative del codice civile: “Per la riscossione dei contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall'assemblea, l'amministratore, senza bisogno di autorizzazione di questa, può ottenere un decreto di ingiunzione immediatamente esecutivo, nonostante opposizione, ed è tenuto a comunicare ai creditori non ancora soddisfatti che lo interpellino i dati dei condomini morosi.”; addirittura, sempre in base alla stessa norma: “In caso di mora nel pagamento dei contributi che si sia protratta per un semestre, l'amministratore può sospendere il condomino moroso dalla fruizione dei servizi comuni suscettibili di godimento separato.”

Si noti bene che la richiesta di ingiunzione al Giudice può, tra l’altro, essere avanzata non solamente sulla base del bilancio consuntivo, ma anche sulla base del solo (anche se provvisorio) bilancio preventivo.

Infine, per rispondere all’ultima domanda, se vi sono stati errori nel calcolo o nella ripartizione delle spese negli anni precedenti (ma, per tutto quanto detto sopra, si stima improbabile che sia così) se ne potrà sicuramente chiedere il rimborso: ci si dovrà rivolgere, a tal fine, all’amministratore che – previa verifica dei conteggi svolti - provvederà in conformità, più probabilmente nella forma di una riduzione dell’importo delle spese condominiali ancora da pagare (effettuando la compensazione tra dare ed avere del condominio).
Qualora l’amministratore, invece, non provveda e contesti il diritto alla restituzione delle spese versate in eccesso o non dovute, ci si potrà rivolgere all’autorità giudiziaria – previo esperimento del tentativo di mediazione obbligatorio – entro il termine prescrizionale di 10 anni dall’indebito pagamento.

Giuseppe M. chiede
sabato 18/03/2017 - Sicilia
“Abito in un condominio di villette a schiera, su tutti i contratti originari fatti con il costruttore c'è la seguente dicitura "gli impianti citofonici, i cancelli, impianto di raccolta acque piovane, l'impianto di allaccio rete idrica nonché l'impianto di illuminazione della strada e del cortile condominiale ricadenti sulla particella 2623, sono tutti beni comuni e tutte le unita immobiliari in parti uguali indipendentemente dalle quote millesimali di proprietà condominiali e le relative spese saranno pertanto ripartite in parti uguali tra tutti i condomini".
Sul regolamento di condominio c'è la seguente dicitura "le spese di manutenzione ed interventi nell'impianto citofoni, cancelli, raccolta acque piovane della strada, saranno ripartite in parti uguali fra tutti i condomini".
Il nuovo amministratore ha messo in un articolo dell'ordine del giorno la seguente dicitura "approvazione ripartizioni spese come da regolamento e codice civile"
Con il vecchio amministratore le spese sono state divise in parti uguali tranne quelle non contemplate espressamente sopra.
La mia domanda è questa per dividere le spese in millesimi ci vuole la maggioranza dei presenti oppure unanimità?”
Consulenza legale i 23/03/2017
Da quel che si comprende dal quesito, la ripartizione delle spese nel condominio in questione è sempre stata fatta in parti uguali e non sulla base dei millesimi di proprietà, in quanto così risulta sia dagli originari atti di acquisto delle unità immobiliari che ne fanno parte (e le disposizioni così inserite nei singoli atti di acquisti devono considerarsi vero e proprio regolamento contrattuale predisposto dal costruttore ed appunto inserito in ogni singolo atto) sia dal regolamento condominiale assembleare.

Ora, per poter ripartire le spese in modo diverso, e quindi in base ai millesimi di proprietà come stabilito dalla legge (art. 1123 cod. civ.), occorre modificare il regolamento condominiale contrattuale.
Sulla questione se sia necessaria, per la modifica, la maggioranza o l’unanimità dei consensi, la giurisprudenza è intervenuta più volte, ed alla fine si può affermare che non esiste una soluzione unica ma che occorre operare una distinzione.

Le norme, infatti, del regolamento contrattuale attinenti l’uso e le modalità di godimento delle cose comuni e quelle che regolano la convocazione dell’assemblea (cosiddetto “contenuto necessario” del regolamento) anche se inserite in un regolamento contrattuale, mantengono comunque una natura regolamentare e sono quindi modificabili dall’assemblea con la maggioranza di cui all’art. 1136, secondo comma, c.c. (ovvero con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio).
Le norme, invece, di natura strettamente contrattuale, che incidono nella sfera dei diritti e degli obblighi propri di ciascun condomino in modo tale da determinare la loro portata rispetto a quella degli altri condomini (come, ad esempio, proprio il caso di specie in cui si tratta di una norma che stabilisce la ripartizione delle spese in modo differente da quello legale) costituiscono un vincolo negoziale che non può essere sciolto o modificato senza il consenso di tutti i partecipanti al condominio.

Si riportano alcune significative pronunce sul punto:

- “In materia condominiale, deve ritenersi affetta da nullità, che può essere fatta valere dallo stesso condomino che abbia partecipato all'assemblea ancorché nella stessa abbia espresso parere favorevole e, quindi, sottratta al termine di impugnazione di giorni trenta previsto dall'articolo 1137 c.c., la delibera dell'assemblea condominiale con la quale, senza il consenso di tutti i condomini, si modifichino i criteri legali ex articolo 1123 c.c. o di regolamento contrattuale di riparto delle spese per la prestazione di servizi nell'interesse comune. Ciò in quanto eventuali deroghe, venendo a incidere sui diritti individuali del singolo condomino attraverso un mutamento del valore della parte di edificio di sua esclusiva proprietà, possono conseguire soltanto a una convenzione cui egli aderisca. Ne consegue che la modifica a maggioranza, sia pure qualificata, del criterio di ripartizione delle spese, e non all'unanimità, si deve considerare nulla e l'azione può essere proposta in ogni tempo anche da chi abbia partecipato con il proprio voto favorevole alla formazione della delibera stessa” (Tribunale Perugia, 24/03/2015, n. 602; conformi Cassazione civile, sez. II, 19/03/2010, n. 6714 Tribunale Grosseto, 26/05/2016, n. 425 e Tribunale Salerno, sez. I, 09/04/2010);

- “In tema di comunione, non ha natura contrattuale il regolamento che, avendo ad oggetto l'ordinaria amministrazione e il miglior godimento della cosa comune (art. 1106 c.c.), rientra nelle attribuzioni dell'assemblea e, come tale, seppure sia stato approvato con il consenso di tutti i partecipanti alla comunione, può essere modificato dalla maggioranza dei comunisti; ha invece natura di contratto normativo plurisoggettivo, che deve essere approvato e modificato con il consenso unanime dei comunisti, il regolamento quando - contenendo disposizioni che incidono sui diritti del comproprietario ovvero stabiliscono obblighi o limitazioni a carico del medesimo o ancora determinano criteri di ripartizione delle spese relative alla manutenzione diversi da quelli legali - lo stesso esorbita dalla potestà di gestione delle cose comuni attribuita all'assemblea.” (Cassazione civile, sez. II, 04/06/2010, n. 13632).

Marco C. N. chiede
giovedì 02/03/2017 - Lazio
“Il sottoscritto Tizio in data 26/09/2015 ha stipulato un contratto di locazione abitativa di un suo appartamento. Il conduttore è stato sempre regolare nel pagare i canoni. Successivamente lo stesso ha disdetto il suindicato contratto per gravi motivi, a far data da fine febbraio 2017. Al momento della consegna delle chiavi è emerso che, le spese condominiali ed altre spese a consumo, non erano state pagate dall'inizio del contratto di locazione. Il conduttore adduce che non ha pagato perché l'Amministrazione non gli ha mai comunicato quanto dovuto. Il sottoscritto evidenzia di non essere mai stato informato dall'Amministratore del Condominio di detto inadempimento. In relazione a quanto sopra lo scrivente si è fatto rilasciare dal conduttore un atto di riconoscimento di essere debitore nei confronti del condominio con l'impegno a versare le somme dovute. In tale dichiarazione è espressamente affermato che ha natura liberatoria ed è rilasciata allo scrivente ai sensi dell'art. 1988 del C.C. per le spese condominiali e per eventuali spese legali. In relazione a quanto sopra si chiede quali azioni posso porre in essere atteso che: 1) l'Amministrazione non ha mai avvertito il sottoscritto per un anno e mezzo della morosità dell'inquilino, né ha espletato nessuna azione nei confronti dello stesso. 2) La dichiarazione che mi è stata rilasciata dall'inquilino è sufficiente per evitare le responsabilità patrimoniali del sottoscritto quale proprietario dell'immobile? O quali altre azioni posso espletare per evitare danni economici? Cordiali saluti”
Consulenza legale i 08/03/2017
Il tema della ripartizione delle spese condominiali è uno dei più dibattuti e controversi, essendo molteplici i motivi di disputa, quali, a titolo meramente esemplificativo: chi può autorizzare la spesa, come ripartirla, la natura delle obbligazioni condominiali, la natura delle tabelle millesimali, ecc.

Innanzitutto sembra opportuno chiarire che la ripartizione tra i condomini riguarda le spese necessarie, ovvero le spese per la conservazione e il godimento delle parti comuni, quelle per il funzionamento degli impianti, delle installazioni e dei servizi comuni, quelle per le innovazioni deliberate nell'assemblea condominiale e, in genere, tutte le spese relative alla manutenzione ordinaria e straordinaria dei beni in comunione e per la gestione dei servizi in comune; restano escluse solo le spese che si riferiscono alle unità immobiliari di proprietà esclusiva.

Soggetti legittimati a decidere una spesa per le parti comuni sono l'amministratore, l'assemblea condominiale e, in casi specifici e ben delineati dalla legge, il singolo condomino.
L'obbligo del pagamento delle spese, invece, sorge nel momento in cui la ripartizione delle stesse viene approvata dall'assemblea.
A tal fine dispone l’art. 1135 c.c. che l’assemblea dei condomini provvede annualmente:
- all'approvazione del preventivo delle spese occorrenti durante l'anno e alla relativa ripartizione tra i condomini;
- all'approvazione del rendiconto annuale dell'amministratore e all'impiego del residuo attivo della gestione.

In particolare, ai sensi del n. 1 dell’art. 1130 c.c., l'amministratore è tenuto a presentare alla fine di ogni esercizio il rendiconto del suo operato, essendo perfino sanzionato con la revoca del mandato, ex art. 1129 c.c., qualora abbia omesso di convocare l’assemblea per l’approvazione di tale rendiconto (configurandosi una grave irregolarità nella gestione).
La presentazione del rendiconto (detto anche bilancio o consuntivo d'esercizio) dovrebbe avvenire entro i primi due, tre mesi dalla chiusura dell'esercizio precedente.

Il consuntivo spese, i conti patrimoniali e la tabella di riparto, con il conteggio individuale per ogni condomino, vengono solitamente spediti unitamente all'invito di convocazione per l'assemblea condominiale, per dare modo ai condomini di controllare i conti prima dell'assemblea.
Nel piano di ripartizione consuntivo, sotto la voce “saldo passivo” è proprio riportato il debito di ciascun condomino, consistente in quote non pagate; per la Corte di Appello di Genova n. 513/2009, «i saldi passivi, regolarmente approvati e ripartiti per gli esercizi precedenti, costituiscono una effettiva posta di debito nei confronti del condominio che può essere inserita nel rendiconto annuale dell’amministratore (il “consuntivo”) ed approvata legittimamente dall’assemblea, con la conseguente obbligatorietà ed ottenimento, in caso di mancata estinzione, dello speciale decreto di ingiunzione immediatamente esecutivo, nonostante opposizione, previsto dall’articolo 63 disposizioni di attuazione del codice civile».

In sede di assemblea, poi, l'approvazione del conto consuntivo e del preventivo delle spese avviene per deliberazione a maggioranza.
In particolare, in seconda convocazione l’art. 1136 c.c. richiede per la valida costituzione (quorum costitutivo) dell’assemblea l'intervento di tanti condomini che rappresentino almeno un terzo del valore dell'intero edificio e un terzo dei partecipanti al condominio, mentre per la validità della delibera (quorum deliberativo) è richiesta la maggioranza degli intervenuti con un numero di voti che rappresenti almeno un terzo del valore dell'edificio.
Vale la pena di ricordare che l'assemblea non può deliberare se non consta che tutti gli aventi diritto sono stati regolarmente convocati e che al riguardo trova applicazione l’art. 66 comma 3 delle disposizioni di attuazione del codice civile, ai sensi del quale l'avviso di convocazione, contenente specifica indicazione dell'ordine del giorno, deve essere comunicato almeno cinque giorni prima della data fissata per l'adunanza in prima convocazione, a mezzo di posta raccomandata, posta elettronica certificata, fax o tramite consegna a mano, e deve contenere l'indicazione del luogo e dell'ora della riunione.
In caso di omessa, tardiva o incompleta convocazione degli aventi diritto, la deliberazione assembleare è annullabile ai sensi dell'articolo 1137 del codice su istanza dei dissenzienti o assenti perché non ritualmente convocati.
Decorso il termine di impugnativa di un mese, il conto si ritiene approvato, anche se risultano errori o indicazioni sbagliate (purché non vi sia malafede o dolo).

Questo il quadro giuridico necessario per giungere ad una corretta e legittima determinazione della misura in cui ciascun condomino dovrà contribuire alle spese condominiali; a questo punto, incomberà sull’amministratore l’obbligo, espressamente previsto dall’art. 1130 n. 3 c.c., di riscuotere i contributi condominiali.
Il problema che adesso può porsi è quello di individuare il luogo ove adempiere la relativa obbligazione, ed al riguardo troveranno applicazione le norme dettate proprio in materia di obbligazioni pecuniarie, ed in particolare il terzo comma dell’art. 1182 c.c., a mente del quale: “l’obbligazione avente per oggetto una somma di danaro deve essere adempiuta al domicilio che il creditore ha al tempo della scadenza.”.
Siccome il domicilio del condominio, salvo diverse indicazioni, coincide con il domicilio professionale dell’amministratore (o comunque con il suo indirizzo ad esempio in caso di amministratore interno), ne discende che le quote condominiali debbano essere versate presso il domicilio dell’amministratore. Resta ferma la possibilità di accordi differenti, quali, a titolo meramente esemplificativo, la previsione di una riscossione domiciliare delle quote oppure l’autonoma determinazione ad adempiere diversamente (es. mediante bonifico bancario sul conto corrente condominiale).

Per quanto concerne, invece, la persona obbligata al pagamento, soccorre a tal fine il disposto di cui all’art. 1123 c.c., dalla lettura del quale si evince chiaramente che sempre obbligato nei confronti del condominio è il proprietario dell’unità immobiliare ivi ubicata.
Qualora poi, come nel caso di specie, l’unità immobiliare sia concessa in locazione, secondo la consolidata giurisprudenza tale rapporto non ha alcun valore in relazione alle spese condominiali (anche se il conduttore è tenuto al loro pagamento, ma solo verso il proprietario), sicché all’amministratore di condominio non sarà concessa azione diretta contro l’inquilino (Cass. 12 gennaio 1994 n. 246), rimanendo il proprietario l’unico obbligato verso la compagine condominiale (stesse conclusioni devono trarsi per i rapporti assimilabili alla locazione, quali comodato, affitto, leasing, ecc.).

Pertanto, all’osservazione contenuto nel testo del quesito secondo cui l'Amministratore non ha mai avvertito il proprietario dell’immobile della morosità dell'inquilino protrattasi per un anno e mezzo, nè ha mai espletato azione nei confronti dello stesso, va risposto facendosi osservare che in realtà la morosità non riguarda il conduttore, ma lo stesso proprietario dell’immobile e, quindi, sollecitare l’esercizio dei poteri che gli vengono riconosciuti dall’attuale art. 63 disp. Att. del codice civile (chiedere ed ottenere decreto ingiuntivo o sospendere il condomino moroso dalla fruizione dei servizi comuni suscettibili di godimento separato) significa di fatto invocare un’azione giudiziaria contro se stessi.

Esclusa, quindi, tale strada, ed esclusa pure l’idea di poter invocare una eventuale prescrizione del diritto a riscuotere le quote condominiali (si ricorda infatti che i saldi passivi non pagati vengono riportati nei piani di riparto delle gestione successive e che, in base all’articolo 2948 comma 4 c.c. tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi si prescrive in cinque anni, proprio come accade con il pagamento, appunto periodico, delle quote delle spese condominiali, a carico di ogni singolo condomino), si ritiene possa risultare utile il ricorso all’istituto giuridico dell’accollo, previsto e disciplinato dall’art. 1273 c.c.
Intanto, sarebbe indispensabile richiedere all’amministratore, ex art. 1130 n. 9 c.c. che venga fornita attestazione relativa allo stato dei pagamenti degli oneri condominiali.
Ottenuta tale attestazione, e presa coscienza dell’esatto ammontare del debito, avvalendosi della dichiarazione già rilasciata dal conduttore ex art. 1988 c.c. (avente solo valore a fini probatori, ma non al fine di escludere una responsabilità patrimoniale del proprietario) si può fare ricorso alla stipula di una scrittura privata di accollo (c.d. liberatorio esterno), in forza della quale:
  1. il conduttore si assume il debito condominiale del proprietario-locatore, facendosi risultare che si tratta di quote non pagate relative al periodo di vigenza del contratto di locazione (a tal fine si può allegare la dichiarazione resa ex art. 1988 c.c., di cui già si è in possesso);
  2. l’amministratore da parte sua:
  • sottoscrive la scrittura aderendo alla convenzione e rendendo irrevocabile la stipulazione
  • dichiara espressamente di liberare il proprietario-debitore.
Solo in tal modo il proprietario riuscirebbe a liberarsi da ogni tipo di responsabilità personale e patrimoniale verso il condominio.

Riccardo D.L. chiede
lunedì 19/12/2016 - Lazio
“Gradirei sapere se ai sensi dell'art. 1123 CC sono obbligato a partecipare alle spese condominiali di riscaldamento pur a tutt'oggi non usufruendo del servizio in quanto, a causa della rottura di un tubo, la società di manutenzione dell' impianto ha interrotto la erogazione dell' acqua nella colonna dove si presume si sia verificato il danno. Danno non ancora identificato a quasi due mesi dall' avvenimento. Pertanto la metà dei condomini usufruisce del riscaldamento al contrario della restante metà servita dalla colonna dove si ritiene esserci il tubo rotto.
Come posso comportarmi legalmente oltre a non corrispondere,se lecito, le rate di riscaldamento relative al periodo in cui non usufruisco del servizio?
Ringraziamenti”
Consulenza legale i 26/12/2016
Principio fondamentale da cui occorre partire è quello secondo cui in un condominio, ove sussista un impianto di riscaldamento centralizzato, questo costituisce una delle parti comuni condominiali previste dal 3° comma dell’art. 1117c.c.
La comproprietà di tale impianto comporta l’obbligo per tutti i condomini di contribuire alle relative spese, e da ciò la giurisprudenza ne ha tratto il convincimento che, non essendo il condomino titolare nei confronti del condominio di un diritto di natura contrattuale (ossia caratterizzato da un legame di reciprocità delle relative prestazioni) bensì di un diritto reale parziario, non può sottrarsi al suo contributo neppure quando il servizio manchi o il calore erogato sia insufficiente (cfr. Cass. 10492/1996).
Tuttavia, il singolo condomino può unilateralmente e legittimamente rinunciare ad usufruire del servizio di riscaldamento centralizzato e staccare le diramazioni della sua unità immobiliare dall’impianto comune allorché sia in grado di dimostrare che dalla sua rinuncia e dal suo distacco non derivino né un aggravio di spese per coloro che continuano a usufruire del riscaldamento centralizzato né un danno alla funzionalità dell’impianto o uno squilibrio termico dell’intero edificio tale da pregiudicare la regolare erogazione del servizio.
Per tale ipotesi, comunque, si ritiene che il condomino o i condomini che decidano di staccare le proprie unità immobiliari dall’impianto centralizzato di riscaldamento, non potranno mai sottrarsi al contributo per le spese di conservazione del predetto impianto, non essendo configurabile una rinuncia alla comproprietà dello stesso.
Situazione per certi versi analoga a quella sopra delineata si ritiene sia quella del mancato utilizzo dell’impianto centralizzato di riscaldamento da parte di uno o più condomini per cause esterne non dipendenti dalla propria volontà, quale ad esempio, la rottura, come avvenuto nel caso di specie, di una delle colonne di mandata dell’acqua.
Significativa in tal senso è la sentenza della Suprema Corte di Cassazione n. 10560 del 2001 la quale fa rilevare che, nell’ipotesi in cui uno o più condomini siano stati esclusi dal servizio dell’impianto centralizzato di riscaldamento a seguito di un distacco della diramazione ai locali di proprietà esclusiva, distacco disposto dallo stesso condominio per procedere alle necessarie riparazioni (nella specie taglio della condotta dell’alimentazione allo scopo di eliminare le perdite di pressione e di acqua riscontrate), le obbligazioni a carico del condomino connesse alla proprietà comune di tale impianto vengono meno.

Si ritiene opportuno precisare, comunque, che, al pari dell’ipotesi di distacco volontario dall’impianto di riscaldamento centralizzato, l’esonero potrà riguardare solo le spese di consumo e di esercizio, ma non quelle relative alla sua conservazione e manutenzione.

Una successiva sentenza della Cassazione, invece, e precisamente Cassazione civile, sez. II sentenza 31/05/2006 n. 12956, richiamando il principio inizialmente esposto secondo cui l’obbligo di pagamento degli oneri condominiali trova causa nella disciplina del condominio e non in un rapporto contrattuale che obblighi la controparte ad una controprestazione, ha affermato che, alla domanda del condomino di restituzione delle somme da lui versate per l’erogazione del servizio, la circostanza dell’insufficiente erogazione del calore dall’impianto centralizzato non giustifica per il condomino l’esonero dal contributo e che, per tale ipotesi, egli ha diritto al risarcimento del danno, sussistendo la colpa per negligenza del condominio, il quale non ha provveduto alla riparazione dell’impianto di riscaldamento mal funzionante.

Pertanto, non sussistendo univocità di opinioni circa l’esonero o meno dal contributo alle spese di gestione dell’impianto centralizzato di riscaldamento per ipotesi come quella che si sta esaminando, una soluzione prudenziale che si ritiene di suggerire è quella di far accertare da un termotecnico di propria fiducia l'esistenza dei presupposti per non dover contribuire a tali spese, chiedendogli di redigere apposita perizia da inviare all'amministratore per le opportune conseguenti valutazioni.
Contestualmente sarebbe opportuno richiedere formalmente che venga posto in essere, a spese del condominio, ogni intervento necessario per eliminare la causa del mancato funzionamento dell’impianto, intimando il condominio che, qualora non si provveda entro un determinato termine alla riparazione del medesimo, ci si rivolgerà alla competente autorità giudiziaria per chiedere il risarcimento dei danni subiti nonché la restituzione delle somme erogate per il servizio di riscaldamento non goduto ed il rimborso di tutte le spese sostenute, dal cui pagamento nel frattempo non si sia stati esonerati.

GianCarlo M. chiede
giovedì 29/09/2016 - Toscana
“Un condomino deve molti soldi al condominio per spese condominiali sempre tutte regolarmente approvate. Immediatamente fatto il decreto ingiuntivo e pratica poi passata in tribunale perché non ha mai pagato un euro e siamo in attesa delle decisioni che verranno prese dallo stesso, e per quanto ne sappiamo la cosa va abbastanza alla lunga, premesso che, per quanto ci dice l'avvocato, avendo il condomino altre società intestatarie di immobili e fallite, è possibile che il debito che vanta il condominio non venga neanche pagato per intero, ma in percentuale.
Comunque, poiché al condominio mancano quei soldi per poter mandare avanti il condominio stesso ed i servizi generali, posso io chiedere agli altri condomini (anche se in regola), naturalmente salvo conguaglio e per millesimi di competenza, l'ammontare che deve il condomino moroso ???

Grazie fin d'ora e MOLTI cordiali saluti”
Consulenza legale i 04/10/2016
Il quesito che si propone affronta un tema molto attuale e frequente nella pratica, ossia quello del mancato pagamento da parte di uno o più condomini delle quote di rispettiva spettanza, legittimamente deliberate dall’assemblea e suddivise secondo il valore millesimale della proprietà di ciascuno di essi.

Norma di riferimento è senza dubbio quella contenuta nell’art. 1123 del codice civile la quale, proprio in materia di ripartizione delle spese condominiali, dispone che le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza, sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione.

Ai sensi del successivo articolo 1129 c.c., poi, l'amministratore è tenuto ad agire per la riscossione forzosa delle somme dovute dagli obbligati entro sei mesi dalla chiusura dell'esercizio nel quale il credito esigibile è compreso, specificando che costituisce, tra gli altri, grave irregolarità per lo stesso amministratore il quale abbia promosso azione giudiziaria per la riscossione delle somme dovute al condominio, l'avere successivamente omesso di curare diligentemente l'azione e la conseguente esecuzione coattiva.
Ciò comporta che l’amministratore, per non incorrere in responsabilità, dovrà comunque portare avanti l’azione esecutiva in forza del decreto ingiuntivo già ottenuto, e questo anche se in concreto l’esperimento di tale azione non condurrà ad alcun risultato proficuo e si concluderà con un verbale di pegno negativo.

Detto questo, va ora aggiunto che lo stesso articolo 1123 c.c. fa salva una diversa convenzione e che il successivo articolo 1138 c.c, in materia di regolamento di condominio (ossia quell’atto negoziale deliberato dall’assemblea e avente come contenuto le norme circa l’uso delle cose comuni e la ripartizione delle spese) dispone che le norme del regolamento non possono in alcun modo derogare alle disposizioni degli articoli 1118, secondo comma 1119, 1120, 1129, 1131, 1132, 1136 e 1137, dovendosi a contrario e implicitamente ritenere consentita una deroga a quanto disposto dall’articolo 1123 c.c. in ordine ai criteri da osservare nella ripartizione delle spese.

Ed è proprio in tal senso che si è ormai da diverso tempo orientato un consolidato filone giurisprudenziale (Cass. 13631/2001; 3463/1975 e ancora più di recente Cass. 18/04/2014, n. 9083), secondo il quale se un condomino è moroso sarà consentito deliberare la partecipazione provvisoria degli altri condomini con un fondo ad hoc per la quota di sua spettanza; esso verrà costituito seguendo il criterio di ripartizione millesimale per valore.
E’ questa una applicazione del generale principio che regola il regresso fra condebitori solidali di cui all’art. 1299 c.c e con una delibera di tal tipo si tendono ad evitare danni ben più gravi nei confronti dei condomini tutti, esposti dal vincolo di solidarietà passiva.

Dal punto di vista della sua natura giuridica, si configurerebbe una sorta di mutuo: l’assemblea, in pratica, autorizzerebbe l’anticipo delle somme non riscosse da parte dei condomini virtuosi i quali, però, avrebbero poi il diritto di rivalsa nei confronti degli altri morosi (ossia il diritto a chiedere la restituzione di quanto anticipato).

Dei contrasti sono sorti soltanto in ordine ai quorum deliberativi necessari per adottare legittimamente una delibera di tale contenuto, posto che secondo alcune decisioni non sarebbe consentito con la semplice maggioranza decidere di ripartire tra i condòmini non morosi il debito delle quote condominiali dei condomini morosi, dovendosi ritenere necessaria l’unanimità dei voti.

L’unica eccezione che consente la deliberazione a maggioranza del fondo cassa è quando vi sia, per il condominio, un’effettiva e improrogabile urgenza, che potrebbe determinare un danno rilevante per il condominio (un esempio è quando allo stabile venga tagliata la luce dell’ascensore o vi sia il rischio di un’azione esecutiva).

Si vuole ricordare infine, per inciso, che al fine di indurre il condomino moroso al pagamento di quanto dovuto, potrebbe farsi ricorso al disposto di cui all’art. 63 disp. attuazione del codice civile, il quale dispone che In caso di mora nel pagamento dei contributi che si sia protratta per un semestre, l'amministratore può sospendere il condomino moroso dalla fruizione dei servizi comuni suscettibili di godimento separato.

Mario M. chiede
lunedì 30/05/2016 - Puglia
“Il Giudice del Tribunale condanna il condominio alle spese per danni arrecati ad un condomino a piano terra per allagamento di acque putride che fuoriuscivano dai servizi igienici del suo bagno.

A sentenza emessa, l'amministratore indice una assemblea e decide con l'avallo di tutti i presenti pari a 523,25 °/°°°che la spesa pari a 18.000€ va divisa solo su tre condomini, gli unici Condomini che scaricano nella colonna a cui è collegato il wc in questione.

In breve il collettore di raccolta condominiale corre orizzontalmente ai due corpi di fabbrica A e B interrato rispetto al piano di sedime a circa 80 cm e raccoglie i reflui delle 5 colonne verticali di scarico dell'intero condominio, il tutto viene poi sversato nella fossa di raccolta collegata al collettore fognario, entrambi comunali e posizionati nel piano strada a mt. 2,80 rispetto al piano di sedime del fabbricato con le pendenze dovute a norma di Legge. Il tecnico dell'autospurgo dichiara sotto giuramento al Magistrato che l'intervento risolutivo è durato pochi minuti ed è stato effettuato posizionando lo sturacanale nella braga del WC del dante causa e che l'occlusione - dalla analisi dei materiali fuoriusciti - era dovuta alla formazione di calcare che per le sue dimensioni ostruiva il passaggio. Ciò veniva confermato dal CTP nella sua perizia giurata e dall'Amministratore dell'epoca che entrambi hanno assistito alle operazioni di disotturazione. Controparte dichiara al Giudice di Pace di essere in presenza di un condominio parziale non portando alcuna motivazione tecnica-giuridica. Nella loro fantasia citano che ci sono due scale e che a suo tempo con l'accordo di tutti si arrivò alla decisione che l'amministratore convocava insieme le due palazzine solo per l'amministrazione straordinaria lasciando la facoltà all'amministratore di convocare le singole unità per la gestione ordinaria. Argomenti ben lontani dal giustificare il condominio parziario.
La VERITA' e ben altra il condominio è formato da 19 appartamenti suddivisi su due corpi di fabbrica in un complesso avente pianta geometrica a forma di "T" rovesciata il tutto con:-
-fondazioni in comune con stesso piano di sedime dei due corpi di fabbrica con altezze comuni e solai in comune e con sezioni di muro portante in comune;
-Sono in comune gli impianti idrico,quello fognario e anche quello elettrico il tutto allocato nel seminterrato della Unità A;
Hanno tentato in base all'art.161 lo scioglimento del condominio. Il CTU rispondendo ai quesiti del Giudice ha dichiarato l'Impraticabilità della richiesta dichiarando che:-le tubazioni idrico fognanti del condominio costituiscono un unico impianto a servizio dell'intero condominio, pertanto risulta impossibile sfruttare funzionalmente lo stesso impianto secondo una gestione autonoma e separata dei due corpi scala.
Chi scrive è il più penalizzato di tutti dovendo far fronte a qualche migliaio di € in considerazione dei millesimi di proprietà. Ho fatto ricorso al Giudice di Pace per chiedere che l'assemblea predetta fosse dichiarata NULLA in quanto contra legem e in quanto non viene salvaguardato il diritto del singolo condomino sulle parti comuni.
Circa la ripartizione delle spese il Giudice di Pace ha riconosciuto quanto, in maniera spudorata ha dichiarato parte avversa e cioè che i due corpi di fabbrica sono separati e distinti e che addirittura i collettori fognari sono due per ogni singola palazzina. Ciò è stato dichiarato nella comparsa conclusionale e a detta del mio Avvocato gli avvocati di entrambe le parti non possono prendere visione del rispettivo contenuto delle comparse conclusionali.
Ora mi tocca fare appello al Tribunale - data la procedura osservata con il Giudice di Pace. Le chiedo cortesemente:-
1.-Può una assemblea - non sussistendo le condizioni di condominio parziale sovvertire il disposto del Giudice? E come si pone detta decisione con il diritto individuale del singolo condomino sulle parti comuni riportato nel Regolamento di Condominio e sancito dal Codice(il Cui Art.Ora mi sfugge). Nel ricorso che andrò a fare posso riproporre la NULLITA' di detta assemblea?;
2.A quali conseguenze civili e/o penali può andare incontro l'amministratore che ha avallato imprudentemente il falso pur essendo lo stesso perfettamente a conoscenza delle caratteristiche tecnico impiantistiche del fabbricato e di un Regolamento di Condominio che È UNICO per i due Corpi di Fabbrica.
Forse che i Signorotti della Cricca... hanno decretato e approvato la condanna dei tre condomini su 19 colpevoli di avere la colonna di sversamento più vicina geometricamente al collettore fognario comunale creando così una "pietra tombale" su tutti gli ulteriori allagamenti che dovessero eventualmente ripercuotersi per effetto di ostruzione dovuta a deposito di calcare sul tratto di condotta condominiale di collegamento, zona più bassa dell'intero impianto fognario condominiale prima dello sversamento nella pozzetta comunale - e lo scrivono anche nel su indicato verbale dichiarando che: detti condomini sono tenuti alla manutenzione e nel caso di ricostruzione dell'impianto fognario assumersi il rischio dell'impianto di scarico.
Ringrazio e porgo i miei migliori saluti.”
Consulenza legale i 08/06/2016
Preliminarmente si evidenzia come il quesito sia un po’ confuso in merito ai vari giudizi che hanno coinvolto il condominio ed all’esito degli stessi.
Sembra lecito e logico ritenere che le perizie relative allo stato dei luoghi, all’esito delle quali il tecnico ha dichiarato che l’impianto fognario è unitario, siano state eseguite nel corso di un primo giudizio avanti al Tribunale, al termine del quale il Giudice – accertando che non vi era condominio parziale – ha condannato l’intero condominio al risarcimento del danno. Tale decisione sarebbe stata poi, di fatto, ignorata dalla contestata delibera assembleare, contro la quale il condomino dissenziente si sarebbe rivolto al Giudice di Pace invocandone la nullità.

Posto per vero quanto sopra ipotizzato, dalla descrizione del complesso condominiale che risulta dal quesito (oltre che da quanto emerso in corso di giudizio di primo grado in forza della consulenza del tecnico incaricato) non sembra esserci alcun dubbio sul fatto che nel caso di specie non si rientra nell’ipotesi di condominio cosiddetto “parziale”, come correttamente ritenuto dal condomino leso dalla delibera assembleare.

Quest’ultima fattispecie si configura, infatti, quando “talune cose, servizi o impianti siano destinati all'uso o al servizio di una sola parte del condominio o di alcune parti di esso rimanendo, di contro, inibiti e irrilevanti rispetto alla restante porzione di edificio o ai restanti edifici facenti parte del medesimo condominio” per cui “le spese relative, tanto di uso quanto di conservazione, devono gravare solo in capo ai condomini direttamente interessati (mentre tutti gli altri devono ritenersi esonerati)” (Tribunale Trieste, 23 febbraio 2010, n. 177).

Tuttavia, nella fattispecie in esame, non si può negare che l’impianto sia comune all’intero condominio (inteso come entrambi i “rami” del fabbricato che compongono la figura a “T” descritta nel quesito), anche se realizzato (ma non potrebbe essere fisicamente altrimenti!) in modo tale da articolarsi in diverse diramazioni e quindi raggiungere tutte le parti dell’edificio.
Il fatto che l’impianto, unitario “alla base” (collettore fognario in strada), si dirami poi in diverse colonne di scarico per raggiungere tutte le diverse unità immobiliari è cosa ben diversa da una situazione in cui l’impianto è destinato “al servizio e/o godimento di una parte soltanto dell'edificio condominiale” che ne sopporti le spese.

A maggior chiarimento, si esamini una pronuncia della Corte di Cassazione, emessa in relazione ad un caso che può considerarsi – ad avviso di chi scrive – in qualche modo analogo a quello in esame: “In tema di condominio, con riferimento al corridoio comune di accesso a più appartamenti, il condominio parziale, che per le sue caratteristiche strutturali e funzionali è destinato al servizio e/o godimento di una parte soltanto dell'edificio condominiale, non è configurabile nella parte finale del corridoio, posta a servizio di più di un appartamento, non dotata di autonomia rispetto alla parte anteriore, quantomeno come volume di spazio ed aria nonché dal punto di vista estetico. Infatti, poiché del volume, degli spazi, dell'aria e dell'estetica dell'ultimo tratto del corridoio beneficiano anche i proprietari degli appartamenti che si aprono sul primo tratto di esso, non può affermarsi che la parte finale del corridoio sia suscettibile di godimento esclusivo da parte dei soli proprietari degli appartamenti che su tale parte di corridoio si aprono”.

Ciò premesso, è evidente che la delibera assembleare è illegittima e non interpreta né ottempera in modo corretto all’ordine del Giudice.
Se si trattasse di decisione che semplicemente viola le regole sulla concreta ripartizione dei contributi condominiali essa sarebbe solamente annullabile, e quindi soggetta al ristretto termine di impugnazione di 30 giorni (dalla delibera o dalla comunicazione della stessa); tuttavia, si può legittimamente ritenere che la delibera sia invece nulla, dal momento che, nella sostanza, essa ha disatteso completamente la pronuncia del primo giudice.

Ora, per rispondere alle domande poste concretamente nel quesito, senz’altro si potrà riproporre l’eccezione di nullità della delibera in sede di impugnazione, se questa (come è scritto nel quesito) era stata proprio la principale eccezione sollevata in primo grado davanti al Giudice di Pace. Sia che quest’ultimo, poi, l’abbia respinta (di qui il motivo dell’appello), sia che non si sia pronunciato sulla medesima (a maggior ragione si proporrà appello per omessa pronuncia sulla domanda iniziale) l’eccezione in questione dovrà essere riproposta, altrimenti si intenderà rinunciata.

L’amministratore di condominio risponde del suo operato nei confronti dell’assemblea secondo le norme sul mandato: qualora, quindi, metta in esecuzione una delibera nulla risponderà per aver agito oltre i limiti del suo mandato, unitamente ai condomini che hanno adottato una delibera nulla. Si tratta di una responsabilità personale che, sotto il profilo civile, legittima un’azione risarcitoria e che presuppone anche solo la colpa e non necessariamente il dolo.

Sotto il profilo penale, si potrebbe forse ipotizzare una responsabilità ai sensi dell’art. 650 del cod. pen., ovvero derivante dall’inosservanza di un provvedimento dell’autorità giudiziaria, trattandosi nel caso di specie di ordine di pagamento di somme di denaro a carico del condominio che l’amministratore, per il suo ruolo, doveva far eseguire e – di fatto – così non è avvenuto.

S. M. chiede
venerdì 23/12/2022 - Piemonte
“Buongiorno,
recentemente abbiamo unito 2 appartamenti i quali avevano accesso da 2 scale diverse.
In seguito all'unione e la relativa modifica catastale, una delle due scale non la utilizziamo più.
L'amministratore continua comunque ad addebitarci le spese per la gestione ordinaria e straordinaria della scala inutilizzata. Volevo sapere se siamo obbligati a dover partecipare a tali spese.
In attesa di cortese riscontro porgo cordiali saluti.

Consulenza legale i 02/01/2023
Le scale, come stabilito dall’art. 1117 del c.c., sono considerate bene di proprietà comune di tutti i condomini, salvo l’esistenza di un titolo contrario.
Infatti, le scale e i relativi pianerottoli sono strutture funzionalmente essenziali del fabbricato che servono, oltre che per permettere di raggiungere i singoli appartamenti, anche come mezzo per accedere al tetto dell’edificio, anch’esso parte comune condominiale in assenza di un titolo negoziale contrario (Cass. civ. n. 9986/2017, Cass. civ. n. 4372/2015, Cass. civ. n. 1498/1998).

Per quanto riguarda la ripartizione delle spese delle parti comuni, il riferimento è l’art. 1123 del c.c. che stabilisce l’obbligatorietà del pagamento di esse per tutti i condomini in base al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convezione.
Lo stesso articolo indica che: 1) se i beni sono destinati a servire in maniera di diversa i singoli condomini, le spese vengono calcolate in misura proporzionale all’uso; 2) le spese per i beni che servono solo una parte dell’edificio, sono a carico solo di coloro che ne godono.

Il principio generale stabilito dall’art. 1123 c.c. si trova esplicitato dall’art. 1124 c.c. che indica le modalità di ripartizione delle spese delle scale.
Le spese sono ripartite tra le unità immobiliari a cui sono asservite e la quantificazione è fatta in base al valore di ciascun immobile e in misura proporzionale all’altezza dal suolo.

Dalle norme di legge si nota che non c’è alcun riferimento all’utilizzo effettivo come criterio per la ripartizione delle spese, sicché si considera che il principio che vige sia quello della potenzialità all’uso del bene comune, non rilevando l’uso più intensivo o la diversa destinazione data ad un appartamento.

Non è quindi rilevante, ai fini di stabilire se le spese per il mantenimento della scala siano dovute o meno, il fatto che il proprietario dell’appartamento non la utilizzi perché non serve più per l’ingresso nella propria unità immobiliare.

Nel caso di specie, dunque, il proprietario delle due unità immobiliari unite che affacciano su scale e pianerottoli diversi, dovrà continuare a sostenere i costi per il mantenimento di essi, indipendentemente dal fatto che usi o meno in concreto la scala.
Può, infatti, potenzialmente riprendere ad utilizzarla in qualsiasi momento e per la natura di bene comune essenziale per la struttura dell’edificio, rimarrà sempre obbligato a sostenerne le spese.

L’unico modo per esonerare il condomino dal pagamento delle spese della scala che non usa, potrà essere l’approvazione di una delibera assembleare votata all’unanimità o la stipula di una convenzione tra tutti i condomini e da essi sottoscritta, che sia opponibile anche ai futuri acquirenti delle unità immobiliari.

M. R. chiede
martedì 06/12/2022 - Lombardia
“Buongiorno,

abito in un condominio formato da due palazzine, la A con 12 unità e la B con 8 unità. nel 2018 abbiamo dovuto rifare entrambi i tetti con preventivo separato ma unica delibera per l'esecuzione dei lavori. nel corso dei lavori un proprietario della palazzina B, imprenditore, è fallito e l'appartamento è andato all'asta senza che il proprietario pagasse la sua quota delle spese straordinarie. Oggi si propone che la quota dell'insoluto venga divisa tra proprietari della palazzina A e B anche se l'insolvente è della palazzina B. Aggiungo che noi non abbiamo alcun passaggio, box o proprietà sotto la palazzina B e quindi il tetto è di pieno godimento dei proprietari di tale palazzina. L'amministratrice dice che l'art. 1123 dice che la competenza delle spese è a carico dei condomini della palazzina B senonché la delibera dei lavori è stata unica. Io che vivo nella palazzina A mi sono opposto al pagamento delle spese che penso siano pendenti verso i soli proprietari della palazzina B in quanto solo loro godono del tetto sotto il quale ci sono i loro appartamenti. Grazie, Saluti”
Consulenza legale i 14/12/2022
Il tetto di un edificio condominiale rientra tra i beni comuni come previsto dall’ art.1117 c.c., a meno che non risulti il contrario in modo chiaro ed univoco, dal titolo di acquisto dei singoli appartamenti o dal regolamento condominiale approvato da tutti i condomini (Cass. civ. 8593/2022, Cass. civ. n. 4060/1995).

Nel caso di specie sono presenti due edifici distinti, entrambi facenti parte dello stesso Condominio e si pone il problema di come suddividere la quota di spese straordinarie, rimaste insolute, per il rifacimento del tetto della palazzina B, relative ad un’unità immobiliare in vendita all’asta.

A tal proposito si osserva quanto segue.
La presunzione di comunione del tetto è stata esclusa nei casi in cui il Condominio sia costituito da più unità immobiliari autonome tali da dar vita ad un “condominio orizzontale” (Cass. civ. n. 10370/2021; Cass. civ. n. 22466/2010).
Il principio alla base di queste pronunce giurisprudenziali è la necessità, affinché si possa ritenere il bene comune a tutti i partecipanti, della sussistenza di “connotati strutturali e funzionali comportanti la materiale destinazione del bene al servizio e godimento di più unità immobiliari appartenenti in proprietà esclusiva a diversi proprietari”.
È facilmente applicabile il medesimo principio anche alla fattispecie in esame in cui il Condominio è costituito da due edifici distinti.
In questo caso il tetto di ogni palazzina è un bene comune per i proprietari sottostanti per cui svolge la funzione di copertura.
Le spese per gli interventi su di esso, quindi, dovranno essere sostenute solo da questi e non da tutti i condomini.

Anche l’analisi dell’art. 1123 del c.c. viene a sostegno di questo principio.
L’art. 1123 c.c. comma 1 del c.c. stabilisce che le spese sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione.
I commi seguenti dell’articolo invece stabiliscono che se il bene comune serve i condomini in misura diversa, le spese saranno ripartite in base all’uso che ciascuno può farne (art. 1123 c.c. comma 1) oppure che in caso in cui una parte comune serve solo una parte dell’immobile, le spese saranno sostenute dai condomini che ne traggono utilità (art. 1123 c.c. comma 1).
Da quest’ultima disposizione è nata la figura del “Condominio parziale” di matrice giurisprudenziale.
Ciò accade quando alcune parti o servizi comuni dell’edificio appartengano o servano solo ad alcuni partecipanti.
Ne deriva quindi un’implicazione riguardo alla gestione e imputazione delle spese perché non sussiste il diritto di tutti i condomini di partecipare all’assemblea e deliberare sui beni o servizi di cui non hanno la titolarità e di conseguenza nemmeno il dovere di pagare le spese.

I condomini di ciascuna palazzina avrebbero dovuto deliberare autonomamente i lavori per il tetto del proprio edificio con la composizione e la maggioranza necessaria per l’approvazione calcolate sulla titolarità effettiva e non sul totale del Condominio (Cass. civ. n. 791/2020, Cass. civ. n. 23851/2010).

Nonostante pare che questo non sia stato fatto e siano stati approvati i lavori con un’unica delibera per tutto il Condominio, a nostro parere i costi dei rifacimenti dei due tetti dovranno rimanere in ogni caso separati.
Le rate straordinarie del costo dei lavori approvate dall’Assemblea si basano su due preventivi differenti per ciascun edificio il che implica che, ragionevolmente, anche le spese siano state suddivise autonomamente per ciascun edificio.
Il Condominio, quindi, ha approvato spese diverse e autonome per ciascuna palazzina per il rifacimento del proprio tetto e i partecipanti rimangono obbligati al pagamento dell’importo approvato relativo alla propria copertura e non certo a quella dell’altro edificio.

Si ritiene, in ogni caso, che l’Assemblea debba deliberare su come assorbire la quota non pagata relativa all’immobile andato all’asta non potendo essere suddivisa sugli altri condomini senza un’approvazione specifica.
In questo caso l’Assemblea avrà il diritto di stabilire come coprire il debito nella maniera che ritiene più opportuna anche, eventualmente, derogando ai principi di legge come stabilisce l’art. 1123 c.c. comma 1 del c.c.

G. M. chiede
mercoledì 02/11/2022 - Emilia-Romagna
“Oggetto: posa di un impianto fotovoltaico per uso proprio, sul tetto comune.
Sono a chiedere un chiarimento relativamente ad una problematica che mi procura dubbi e incertezze…riguarda la dicitura …..farne parimenti uso.
L’art. 1102 stabilisce infatti che ciascun condomino può usare gli spazi comuni a patto che non ne modifichi la destinazione e non impedisca agli altri condomini di farne parimenti uso.
Riguardo a quanto viene detto all’art. 1102 mi chiedo quindi come dovrebbe essere suddivisa la superficie del tetto fruibile per la posa del fotovoltaico.
C’è chi dice che detta superficie
1 deve essere suddivisa per n. condomini in parti uguali…es.: se 100 mq disponibili per 10 condomini, spettano 10 mq. di superficie di tetto cadauno
2 viene anche detto che la superficie può essere suddivisa per mm di proprietà, spettano mq di superficie ripartiti per i millesimi di proprietà
Viene anche specificato che per la divisone della superficie fruibile non deve considerarsi la consistenza della proprietà, cioè i millesimi, quindi vale il primo punto di cui sopra ?
A riguardo, anche leggendo diverse sentenze e diverse indicazioni autorevoli, che si trovano innumerevoli in rete, dove vengono riportate entrambe valide le due soluzioni, che mi sembrano contrastanti, i miei dubbi non solo non si risolvono, ma al contrario mi rendono più contrastato è incerto su come dovrei ragionare per un appropriato dimensionamento dell’impianto che vorrei installare… superficie in parti uguali o per millesimi di proprietà.
Grazie per la cortese attenzione”
Consulenza legale i 09/11/2022
La norma di legge per la questione in oggetto è l’art. 1122 bis c.c. che afferma il diritto dei condomini ad installare gli impianti per la produzione dell’energia da fonti rinnovabili sul lastrico solare o su ogni altra idonea superficie comune e sulle parti di proprietà individuale dell’interessato.

Nel caso in cui l’intervento vada a modificare parti comuni – come è il caso dell’impianto posizionato sul lastrico solare comune - è necessario comunicarlo all’amministratore il quale trasmetterà la notizia all’assemblea che potrà prescrivere, con la maggioranza degli intervenuti ed almeno i due terzi del valore dell’edificio (art. 1136 comma 5), le modalità alternative di esecuzione, imporre cautele a salvaguardia della stabilità, sicurezza e decoro architettonico e ripartirà l’uso del lastrico solare e delle altre superfici comuni.

L’unico limite stabilito dalla legge per questa ripartizione è la salvaguardia delle diverse forme di utilizzo previste dal regolamento di condominio o in qualunque atto.

Si tenga presente che l’art. 1118 del c.c. stabilisce che il diritto di ciascun condomino sulle parti comuni è proporzionale al valore dell’unità immobiliare di sua proprietà salvo che il titolo disponga diversamente.

In linea generale, quindi, si può ritenere che il criterio da applicare per la suddivisione del lastrico solare per il posizionamento del fotovoltaico, sia il medesimo che viene utilizzato per assegnare i diritti sulle parti comuni – e di conseguenza per la ripartizione delle spese - all’interno del condominio.
La suddivisione in millesimi è senza dubbio corretta e può essere sottoposta per l’approvazione da parte dell’assemblea con la maggioranza indicata nell’art. 1136 comma 5.

A parere dello scrivente, però, l’assemblea, può deliberare di suddividere il lastrico solare in maniera diversa, ad esempio, in parti uguali in base al numero di unità immobiliari.
L’art. 1123 del c.c. stabilisce che il criterio legale del valore della proprietà ai fini della ripartizione delle spese condominiali, possa essere modificato con una convenzione tra le parti approvata all’unanimità (Cass. Civ. 6010/2019, Cass. Civ. 21086/2022).
Si ritiene, quindi, che, in via cautelativa e per analogia con l' art. 1123 del c.c., sia opportuno ottenere una delibera assembleare all’unanimità per la suddivisione del lastrico solare in base al numero di unità immobiliari.

La fattispecie trattata è norma speciale rispetto all’art. 1102 del c.c. che, pur rimanendo principio basilare dei rapporti tra partecipanti alla comunione, viene derogata dalla disposizione dell’art. 1122 bis c.c. che permette di adibire una parte comune per un uso esclusivo in relazione all’apposizione di un impianto di energia da fonti rinnovabili e limitatamente all’ampiezza della superficie deliberata dall’assemblea.

A. M. chiede
lunedì 17/10/2022 - Sardegna
“Pre.mo Studio
Sono proprietario di appartamento al piano terra in un condominio di 4 piani con altre 10 proprietà. Il mio appartamento é totalmente autonomo dal condominio, con ingresso separato, servizi esclusivi (luce, acqua) ed autonomi, non partecipo alle spese comuni del condominio (pulizie parti comuni, ascensore, energie condominiali etc .. ), ma solo a quelle di carattere generale.
Il mio appartamento é corredato di un posto auto e di una giardino, non accessibile da alcuna parte del piano terreno del condominio, di mia ESCLUSIVA PROPRIETA', come da atto notarile di acquisto. Peraltro, l'appartamento fu acquistato non dalla ditta costruttrice dell'immobile, ma dal proprietario persona fisica che aveva in godimento tale proprietà.
L'appartamento ha una superficie catastale di 78 mq, il cortile ed il posto auto raggiungono insieme circa 35 mq. Ciò nonostante, il valore millesimale del mio appartamento é indicato come 111/1000, come si rileva dal regolamento del condominio, il secondo valore per importanza dopo l'attico nell'intero condominio. Ho regolarmente pagato sempre le quote a me spettanti, però ora ritengo che la mia proprietà e soprattutto il cortile e il posto auto non debbano essere conteggiate nei valori millesimali, ovvero tali valori sono sempre stati conteggiati in eccesso a mio carico.
Se la mia tesi é corretta, debbo richiedere o posso richiedere la revisione dei millesimi e richiedere il risarcimento delle quote oltremodo ingiustamente pagate ? La revisione millesimale a chi va richiesta ? Cosa può fare l'amministratore del condominio in questa singolare vertenza ?
Grazie per la vostra risposta. Se il mio quesito non é chiaro, posso fornirvi eventuali altre delucidazioni.
Ho provveduto al pagamento della consulenza richiesta.

Consulenza legale i 24/10/2022
Il caso qui prospettato riguarda la richiesta di un condomino, proprietario di un appartamento a piano terra, di un giardino e posto auto all’interno di un Condominio, sulla possibilità di far revisionare le tabelle millesimali allegate al Regolamento di Condominio al fine di avere una riduzione delle spese condominiali.
È utile, in primo luogo, l’analisi delle norme che regolano la complessa materia.
Secondo il Codice Civile, ciascun condomino ha diritto sulle parti comuni proporzionalmente al valore dell’unità immobiliare e questo diritto è irrinunciabile (art. 1118 del c.c.).
Il condomino inoltre non può sottrarsi all’obbligo di contribuire alle spese per la conservazione delle parti comuni (art. 1118 comma 3) e tali spese sono sostenute in misura del valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione (art.1123 c.c comma 1).
Il valore proporzionale di ciascuna unità immobiliare è espresso in millesimi nella tabella che viene allegata al regolamento di condominio (art. art. 68 delle disp. att. c.c. ).
Per quanto riguarda l’onere economico gravante sulla proprietà, esso può essere modificato seguendo due strade differenti:
1) con una convenzione tra le parti sulla ripartizione delle spese che deve essere approvata all’unanimità dai condomini e che deroghi al criterio legale del valore della proprietà come stabilito dall’art. 1123 c.1 (Cass. Civ. 6010/2019, Cass. Civ. 21086/2022);
2) con la revisione delle tabelle millesimali di proprietà con le modalità previste dall’art. 69 disp. att. c.c.
In linea generale, detto articolo stabilisce che la modifica delle tabelle in deroga al regime legale deve essere approvata dall’assemblea all’unanimità.
È però possibile la revisione delle tabelle con la maggioranza qualificata (maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio) prevista dall’art. 1136 c.2 c.c., quando ha “funzione solo ricognitiva di quanto stabilito dalla legge quindi dell'esattezza delle operazioni tecniche di calcolo della proporzione tra la spesa ed il valore della quota o la misura dell'uso” (Cass. Civ. 3401/2021, Cass. Civ. 6735/2020).
Nello specifico, l’art 69 disp. att c.c., stabilisce che questa maggioranza sia necessaria nei casi in cui risulti che la tabella sia conseguenza di un errore o quando per le mutate condizioni di una parte dell’edificio per sopraelevazione o incremento o diminuzione di superfici o di unità immobiliari, il valore proporzionale anche di un solo condomino è alterato per più di 1/5.
In questo caso il costo è sostenuto da chi ha dato luogo alla variazione e legittimato passivo in giudizio è il solo amministratore che ha l’obbligo di darne notizia senza indugio all’assemblea a pena di revoca e all’obbligo del risarcimento degli eventuali danni.
Per il caso di specie è necessario fare una premessa: nel calcolo dei millesimi della proprietà sono ricompresi tutti gli elementi intrinseci (quali la metratura) e tutti gli elementi estrinseci (quali l’esposizione) e le pertinenze, tra cui anche i giardini esterni di proprietà esclusiva che contribuiscono senza dubbio ad aumentare il valore dell’immobile “in quanto consentono un migliore godimento dei singoli appartamenti al cui servizio ed ornamento sono destinati in modo durevole, determinando un accrescimento del valore patrimoniale dell'immobile” (Cass. Civ. 21043/2017).
Inoltre, l’appartamento oggetto della questione fa parte di un complesso condominiale che, pur essendo autonomo come ingresso e come impianti dal resto del Condominio, è sovrastato da altri 4 piani dell’immobile che gli funge da tetto e copertura.
Essendo quindi strutturalmente connesso al Condominio, il proprietario dell’appartamento dovrà partecipare in ogni caso alle spese condominiali anche se proporzionalmente all’uso che potrà farne (art. 1123 c. 2 c.c.).
Avendo impianti e ingresso autonomi, il condomino correttamente non paga null’altro che le spese di carattere generale del Condominio.
Si ritiene quindi che una modifica della modalità di ripartizione delle spese con convenzione tra tutti i condomini (ai sensi dell’art. 1123 c.1) non abbia ragion d’essere poiché il condomino già non contribuisce al mantenimento dei singoli costi delle parti comuni.
Potrebbe invece essere effettuato da un tecnico il ricalcolo delle tabelle millesimali per verificare che effettivamente i millesimi di proprietà siano stati calcolati correttamente.
Nel caso ci fosse stato un errore di calcolo, le tabelle potranno essere modificate con la maggioranza qualificata prevista dall’art. 1136 c.2 c.c. e, in caso non fosse possibile
l’approvazione assembleare e fosse necessario adire in giudizio il Condominio, la legittimazione passiva spetterebbe all’Amministratore ai sensi dell’art 69 c. 2 disp att. c.c. come sopra indicato.
Si sottolinea che la sentenza di modifica delle tabelle millesimali ha natura costitutiva e non dichiarativa e quindi non ha effetto retroattivo.
Non potranno quindi essere annullate le precedenti delibere e non sarà possibile richiedere quanto pagato se non con un’azione di indebito arricchimento ai sensi dell’art. 2041 del c.c. (Cass. Civ. 4844/2017, Corte d’Appello Roma n. 1825/2021).
Nel caso in cui non ci fosse stato nessun errore nella redazione delle tabelle, la ripartizione delle spese in considerazione dei millesimi come previsto dalla legge, potrà essere modificata solo con l’approvazione dell’assemblea all’unanimità.
Si ritiene non sia opportuno rivolgersi all’autorità giudiziaria in caso di rifiuto dell’assemblea di modificare le tabelle poiché, non essendoci alcuna violazione di legge, un’azione giudiziaria avrebbe esito negativo.

B. B. chiede
venerdì 06/05/2022 - Emilia-Romagna
“Tema: “ SPESE CONDOMINIALI O PERSONALI ? ” sviluppato su tre esempi, da valutare singolarmente, tenendo conto del principio posto alla base del termine “spesa condominiale” e cioè: l’utilità comune.

Nel controllare le spese condominiali degli ultimi anni, ho riscontrato che in alcuni casi l’Amministratore addebita costi di natura condominiale ai singoli condòmini, anziché dividerli in base ai millesimi. Questo, secondo me, contrasta con il presupposto di base che recita: “sono considerati condominiali tutti i beni e i servizi che per loro natura sono destinati ad essere utilizzati dal complesso dei condòmini, non risultando tali beni di proprietà esclusiva di qualcuno”.

1) Centrale Termica (spese di conduzione, ricambi, eccetera).
In tema di “spese condominiali o personali”, questa voce presenta molte novità nei fabbricati di ultima generazione. Da noi, l’Amministratore ha risolto la questione considerando tutti i costi d’esercizio della C.T. (Contratto annuo per l’accudienza; Eventuali pezzi di ricambio; Forza motrice; Trattamento delle acque), alla stessa stregua del consumo di gas metano e di conseguenza tutti i costi (fissi e di consumo), vengono imputati ai “consumi volontari” (salvo il 5% per dispersione). Secondo me questa impostazione non è corretta e sostengo che solo il costo del gas metano (variabile dipendente) possa con certezza essere ripartito in base ai Kwh consumati, mentre tutti gli altri costi della C.T. (variabili indipendenti) devono essere ripartiti in base ai millesimi. A tal proposito è bene ricordare che ogni proprietario nell’acquistare l’appartamento ha acquistato anche una quota della C.T. la quale, per svolgere la sua funzione (fornire acqua calda e riscaldamento), deve essere sempre attiva, pronta ed efficiente. Questa costante funzionalità ha dei costi d’esercizio, quelli sopraelencati in parentesi, che non sono influenzati dai consumi.

2) Cassetta di contabilizzazione posta in prossimità dell’appartamento (ricambi).
In questo caso, l’Amministratore addebita tutte le spese al singolo condomino. A me sembra invece che tali cassette siano un naturale prolungamento della Centrale Termica, del cui servizio rappresentano l’atto finale (contabilizzazione dei consumi) e quindi le spese rientrano nella fattispecie di cui al punto 1). A queste cassette, infatti, accedono manutentori della C.T. che rispondono direttamente all’Amministratore; nello svolgimento del loro compito; a volte sono costretti a sostituire qualche pezzo ammalorato per consentire il completamento del servizio che, essendo di “utilità comune”, comporta una ripartizione del costo basata sui millesimi. Anche (e soprattutto) la sostituzione dei contatori, secondo me, rientra nella fattispecie poiché il loro corretto funzionamento è di “utilità comune” (infatti, l’eventuale disfunzione di un contatore, ad esempio, in termini di costi, ricade su tutti i condòmini e quindi la sua sostituzione deve essere gestita a livello condominiale, a tutela di tutti).

3) Videocitofono (ricambi).
Non è più il semplice campanello individuale, oggi è un impianto tecnologicamente evoluto con una centralina (unica) a beneficio di tutti i condòmini: un vero e proprio bene/servizio condominiale e quindi le spese per la sua conservazione e buon funzionamento vanno suddivise in base ai millesimi: d’altronde, la costante funzionalità dell’impianto non può essere “finanziata” da singoli condòmini in modo del tutto casuale (e questo vale anche per i punti di cui sopra). Anche in questo caso, ovviamente, intervengono tecnici gestiti dall’Amministratore e non da tecnici personali di singoli condòmini.
L’unica spesa personale di questo impianto può essere l’eventuale cambio dell’etichetta.

Le vostre risposte, con richiami a leggi vigenti, dovrebbero consentirmi di sottoporre la mia tesi alla votazione dell’assemblea e ottenere la modifica dei criteri di imputazione.

Grazie e cordiali saluti”
Consulenza legale i 13/05/2022
1) Centrale Termica (spese di conduzione, ricambi, eccetera).
Ci si sente di condividere le considerazioni espresse sul punto, a cui francamente rimane da aggiungere ben poco. Le spese di manutenzione ordinaria o straordinaria attengono alla proprietà dell’impianto e non al consumo della forza calore e come tale devono essere ripartite in proporzione alle singole quote di comproprietà dei condomini e non in base al livello di consumo di ciascuna famiglia che abita nei singoli appartamenti. In questo senso è piuttosto chiara anche Cass.Civ. n.1420 del 27.01.2004,la quale ha precisato che tutte le spese che attengono alla integrazione dell’ impianto comune e alla conservazione del suo valore capitale:”… interessano i condomini quali proprietari dell’impianto, a cui carico la legge (articolo 1123 primo comma Cc) pone l’obbligo di concorrere alle spese, configurando a carico di essi obbligazioni propter rem, che, nascendo dalla contitolarità del diritto reale sull’impianto comune, sono dovute in proporzione della quota che esprime la misura della appartenenza.”
Applicando tali principi le spese di manutenzione della centrale termica devono essere ripartite attraverso la tabella millesimi generali e non in proporzione al consumo della forza calore effettuato durante l’anno da ciascun proprietario.


2-3) Cassetta di contabilizzazione posta in prossimità dell’appartamento (ricambi)- Videocitofono (ricambi).

I punti 2 e 3 possono essere trattati congiuntamente, ma in questo caso non è possibile dare sostegno alle ragioni dell’autore del quesito

Il n.3 dell’art. 1117 del c.c. detta un principio estremamente importante in merito agli impianti condominiali, che il legislatore ha ripreso dalla giurisprudenza che è in questo senso è sempre stata costante.

Gli impianti, secondo la norma in esame, devono considerarsi condominiali fino al punto di diramazione ai locali in proprietà individuale dei singoli condomini, o, in caso di impianti unitari fino al punto di utenza.

Ulteriormente banalizzando, la parte dell’impianto che sta all’esterno dell’appartamento è da considerarsi condominiale, mentre la parte che entra nella nostra abitazione diviene in proprietà esclusiva.

Applicando tale principio all’impianto citofonico, deve essere addebitato al singolo condominio la sostituzione del risponditore installato all’interno dei locali in proprietà individuale, devono essere ripartite ai sensi dell’art. 1123 del c.c. e in base alle tabelle generali i lavori che attengono ad esempio alla manutenzione della pulsantiera esterna all’edificio o i fili di collegamento ai singoli punti di utenza.

In merito agli apparecchi di contabilizzazione posti in prossimità dell’appartamento essi rappresentano proprio il punto di utenza del singolo impianto unitario costituendo il punto di snodo tra la parte condominiale e la parte in proprietà individuale dell’impianto. Per tale motivo essi devono considerarsi di proprietà individuale e i costi per la loro manutenzione e sostituzione devono essere sopportati dal singolo proprietario.


L.P. chiede
lunedì 23/08/2021 - Emilia-Romagna
“Se in un condominio sono presenti più scale è possibile, visto che l'assemblea ha deliberato negativamente per il bonus 110%, effettuare gli interventi solo per le unità immobiliari presenti in una scala. In caso negativo può un singolo condomino aderire ai benefici previsti dal bonus 110%?.
Grazie”
Consulenza legale i 24/08/2021
Se gli interventi che si intendono agevolare coinvolgono solo gli appartamenti di quella specifica scala, ai sensi dell’ultimo comma dell’art.1123 del c.c., le decisioni sulla loro fattibilità devono essere adottati solo dai proprietari delle unità immobiliari coinvolte.

La verità però, è che affinché si possa accedere al bonus 110%, è necessario che l’intervento che si intende agevolare comporti un balzo dell’edificio condominiale di due classi di efficientamento energetico (si rinvia al tecnico edile per maggiori chiarimenti sul punto).

Questo comporta nella stragrande maggioranza dei casi che possono essere oggetto di agevolazione solo interventi particolarmente rilevanti che comportano la ristrutturazione dell’intero palazzo (e non solo della specifica scala), spesso coinvolgendo anche le singole unità immobiliari in proprietà esclusiva, con la conseguente necessità che l’intervento agevolabile potrà essere approvato solo con l’unanimità dei proprietari. Anche per tale motivo è molto difficile che il singolo condomino possa aderire ai benefici del 110% per la singola unità abitativa, ma su questo punto è sempre opportuno richiedere il parere di un tecnico edile.



Stefano P. chiede
mercoledì 09/06/2021 - Campania
“La mia palazzina è composta da 1 scala centrale con 2 verticali rispettivamente verticale dx composta da 3 appartamenti e verticale sx composta da 2 appartamenti, sulla verticale dx dei 3 appartamenti ricade il tetto di copertura non praticabile con tetto a falda coperto di guaina, sulla verticale sx dei 2 appartamenti c’è un terrazzo di proprietà dell’ultimo appartamento della verticale dx che come detto è composta da 3 appartamenti. Il tetto dei 3 appartamenti copre per 20mt quadri la verticale sx dei 2 appartamenti, sui 20mq cade acqua piovana che defluisce attraverso la gronda del tetto della verticale dx dei 3 appartamenti.
Sul tetto c’è anche antenna condominiale.
Abbiamo un regolamento con quote millesimali e viene indicato che il tetto a falda è di proprietà in comune dei 5 appartamenti.
Ora c’è un proprietario della verticale sx che dice che gli spetta pagare solo per i 20 mq che copre il suo appartamento, io gli ho risposto che essendo una unica gronda che fa defluire acqua anche per i 20mq del tetto che copre il suo appartamento deve contribuire per l’intera quota di spesa in comune come scritto nel regolamento. Chi ha ragione? Come va divisa la spesa per il rifacimento del tetto di copertura a falda?

Cordiali saluti.”
Consulenza legale i 15/06/2021
Il tetto in quanto parte dell’edificio destinato alla sua copertura deve considerarsi comune ai sensi del n.1) dell’art.1117 del c.c., salvo che il titolo non disponga diversamente. Nel caso specifico non vi è alcun titolo che deroghi a quanto disposto dalla norma citata anzi, la natura condominiale del tetto viene ribadita dal regolamento di condominio. Anche la gronda, in quanto accessorio del tetto medesimo ed elemento fondamentale per il sistema di scolo delle acque meteoriche del palazzo segue la medesima sorte, dovendosi anch’esso considerare bene comune (Trib. Genova n.4766 del 23.11.2005 Trib. Milano del 14.11.1991 e Cass.Civ.,Sez.II, n. 11109 del 15.05.2007).

Accertata la natura condominiale del tetto e della relativa gronda, si dovrebbe concludere che le spese per la loro manutenzione debbano essere ripartite applicando il 1° co. dell’art. 1123 del c.c. e quindi utilizzando la tabella dei millesimi generali, proprio perché il tetto è una parte dell’edificio che assolve ad una funzione utile per l’intera collettività condominiale. Non può quindi farsi applicazione del successivo comma 3° dell’art. 1123 del c.c., il quale troverebbe applicazione quando vi sono beni comuni destinati a servire solo una parte del fabbricato. Vi è da dire però che stante la presenza di un regolamento di condominio è fondamentale verificare che in tale documento non vi siano disposizioni che deroghino a quanto previsto dal codice civile, in quanto in questo caso sarebbero le norme del regolamento a prevalere.


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