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Articolo 1123 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 31/01/2024]

Ripartizione delle spese

Dispositivo dell'art. 1123 Codice Civile

Le spese necessarie(1) per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell'edificio [1117, 1122], per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno [1118 2; 68], salvo diversa convenzione(2).

Se si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione dell'uso che ciascuno può farne(3).

Qualora un edificio abbia più scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti destinati a servire una parte dell'intero fabbricato, le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condomini che ne trae utilità [1124-1126; 63](4).

Note

(1) Si tratta di una tipica obbligazione propter rem.
(2) Il primo comma riguarda le spese relative a beni e servizi di cui tutti godono indistintamente, comprese le innovazioni deliberate dalla maggioranza.
La norma può essere derogata solo dall'unanimità dei condomini (normalmente, in un regolamento predisposto dall'originario proprietario e poi recepito nei singoli atti d'acquisto).
(3) Il secondo comma deroga al primo, sulla base del principio di equità sostanziale. Ad esempio, i proprietari di negozi al piano terra, non sono tenuti a partecipare alle spese di illuminazione delle scale che conducono agli appartamenti posti ai piani superiori.
(4) Tale comma si applica anche al condominio parziale.
A seguito della riforma del condominio entrata in vigore nel 2013, l'art. 1118 del c.c. stabilisce espressamente il diritto del condomino a distaccarsi dall'impianto centralizzato di riscaldamento o condizionamento, ipotesi che in precedenza era ricondotta al comma in commento.

Ratio Legis

La norma disciplina la suddivisione interna delle spese tra i condomini, non la loro responsabilità verso l'esterno.
Con la sentenza a Sezioni Unite n. 9148/2008 la Cassazione ha stabilito che anche le obbligazioni contratte dal condominio hanno natura parziaria rispetto ai terzi creditori: quindi, le obbligazioni assunte nell'interesse del condominio si imputano ai singoli componenti soltanto in proporzione alle rispettive quote.

Spiegazione dell'art. 1123 Codice Civile

Vari criteri di ripartizione delle spese

Come per l' art. 1118 del c.c. il diritto di ciascun condomino sulle cose comuni è proporzionato al valore del piano o porzione di piano che gli appartiene, laddove il titolo non disponga altrimenti, così per l'art. 1123 le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innova zioni deliberate dalla maggioranza a norma dell' art. 1118 del c.c. sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno.

Il riferimento alla proprietà separata di ciascuno è sempre giustificato dal fatto che la cosa comune non interessa per se stessa, ma in relazione alle proprietà separate di cui costituisce un elemento. La diversa convenzione non ha bisogno di essere originaria con la stessa comunione, ma può essere anche modificativa di un’ altra precedente.

Presupposto per l'applicazione del primo comma dell'art. 1123 è che il godimento dei vari proprietari, per sua natura, sia proporzionale al valore delle proprietà di ciascuno, e cioè sostanzialmente di uguale misura. Se, invece, si tratta di cose destinate a poter servire i condomini in misura diversa, giusto il capoverso dell'articolo, le spese sono ripartite in proporzione dell'uso che ciascuno può farne.

La norma cosi formulata si differenzia formalmente da quella contenuta nel capoverso dell'art. 14 del R.D.L. 15 gennaio 1934, secondo la quale, se si tratta di cose il cui uso sia suscettibile di divisione, le spese di cui sopra sono ripartite fra i condomini in proporzione dell'uso che essi ne facciano. Ed a prima vista potrebbe anche sembrare che alla differenza formale corrisponda anche una differenza sostanziale.

Nella formula dell'art. 1123, invero, non solo si presuppone che l'uso delle cose comuni sia suscettibile di divisione, ma che la destinazione stessa della cosa sia per un uso in misura diversa, e la ripartizione delle spese sembrerebbe fatta in proporzione all'uso che ciascuno può fame e non già in proporzione all'uso che ciascuno ne fa.

Nel caso di uso suscettibile di divisione, sembrerebbe, cioè dato pensare che, mentre per l'art. 14 del R.D.L. è data rilevanza all'uso effettivo separato e quindi il partecipante in tanto contribuisce in quanto usa e può non contribuire, non partecipando all'uso, per l'art. 1123 il proprietario sarebbe sempre tenuto a contribuire in misura proporzionale all'uso che la cosa comune è destinata a rendergli possibile, sia che egli ne usi effettivamente ed in quella misura sia che non ne usi affatto o non in quella misura.

Ma non sembra che la diversa formulazione autorizzi questa diversa interpretazione. Il capoverso dell’art. 1123 deve essere interpretato restrittivamente, nel senso che le spese cui esso si riferisce sono solo quelle per l’uso e non quelle per la conservazione della cosa comune, che sono a carico di tutti i partecipanti indipendentemente dall’uso. Per quanto riguarda le spese di godimento, il ragguaglio all’uso che ciascuno può farne non è in riferimento ad un uso potenziale, conforme alla destinazione della cosa, ma in riferimento all’uso che ciascun partecipante effettivamente ne fa, secondo la sua destinazione. Ora in questa possibilità di uso rientra anche il non uso, essendo anche questa una facoltà del partecipante.

Data la grandiosità degli edifici che oggi si costruiscono è perfettamente possibile che un edificio abbia più scale, cortili, lastrici solari, opere od impianti destinati a servire una parte soltanto dell’intero fabbricato, e che il loro uso sia effettivamente riservato a distinti gruppi di condomini. L’elencazione ovviamente è esemplificativa. In tal caso tali parti non cessano di essere comuni a tutti, in mancanza di una diversa disposizione del titolo, ma le spese relative alla loro manutenzione sono a carico di coloro che ne traggono utilità, giusto l’ultimo comma dell’art. 1123: appare quindi chiara la ragionevolezza della norma in esame.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

529 Nell'art. 1123 del c.c. ho fuso le disposizioni degli articoli 13 e 14 del R. decreto-legge 15 gennaio 1934, concernenti la ripartizione delle spese per la conservazione e per il godimento delle parti comuni, nonché la ripartizione delle spese per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza nei limiti dei suoi poteri. Ho poi dettato negli articoli 1124, 1125 e 1126 particolari norme, come già faceva il codice del 1865 negli articoli 562 e 563, per le spese di manutenzione e di ricostruzione delle scale, dei soffitti, delle volte, dei solai e di quei lastrici solari che siano di uso esclusivo. Per quanto riguarda le scale, ho abbandonato il sistema del codice del 1865 (art. 562, quarto comma), che poneva le spese relative a carico dei proprietari di quei piani a cui serviva ciascun tratto di scala, in ragione del valore dei piani stessi. Tale sistema infatti portava a conseguenze non dei tutto eque, aggravando eccessivamente l'onere dei proprietari degli ultimi piani. Ho ripartito invece le spese per la manutenzione e ricostruzione tra i proprietari dei diversi piani, a cui le scale servono, per metà in ragione del valore dei singoli piani o porzioni di piano e per l'altra metà in misura proporzionale all'altezza di ciascun piano dal suolo (art. 1124, primo comma). È giusto che i proprietari degli ultimi piani contribuiscano in misura maggiore, perché è da presumere che col maggior uso diano luogo al maggior consumo delle scale. Sarebbe però eccessivo che i proprietari delle soffitte o camere a tetto e dei palchi morti contribuissero in ragione dell'altezza, perché in questi casi viene meno la presunzione del maggior logorio in conseguenza dell'uso, trattandosi di locali non destinati ad abitazione; perciò ho stabilito che questi proprietari, come quelli delle cantine, concorrano soltanto nella metà delle spese stesse che è ripartita in ragione del valore dei singoli piani o porzioni di piano (art. 1124 del c.c., secondo comma). Circa le spese relative alla manutenzione e ricostruzione dei soffitti, delle volte e dei solai, ho creduto giusto disporre (art. 1125 del c.c.) che tali spese siano sostenute in parti eguali dai proprietari dei due piani l'uno all'altro sovrastanti, restando a carico del proprietario del piano superiore la copertura del pavimento e a carico del proprietario del piano inferiore l'intonaco, la tinta e la decorazione del soffitto. Le spese di manutenzione e di ricostruzione dei lastrici solari sono a carico dei condomini che ne traggono utilità, in proporzione del valore del piano o della porzione di piano di proprietà di ciascuno. Siccome però può darsi che del lastrico solare alcuni condomini traggano soltanto l'utilità che deriva dalla funzione principale del lastrico, che è quella di servire, come il tetto, alla copertura dell'edificio o di una parte dell'edificio, mentre altri condomini, oltre che trarre tale utilità, abbiano del lastrico solare l'uso esclusivo, il godimento diretto, in quanto si servono di esso come potrebbero servirsi di una terrazza, è sembrato giusto per questa ipotesi porre le spese di manutenzione e di ricostruzione per un terzo a carico dei condomini che del lastrico hanno l'uso esclusivo e per gli altri due terzi a carico di tutti i condomini dell'edificio a cui il lastrico serve di copertura, in proporzione del valore del piano o della porzione di piano di ciascun condomino (art. 1126 del c.c.). In fondo, la distinzione tra i due gruppi di condomini era già contenuta nell'art. 563 del codice del 1865, il quale disponeva che, ove l'uso del lastrico solare non fosse comune a tutti i condomini, quelli che ne avevano l'uso esclusivo,"per ragion del calpestio", erano tenuti a contribuire per un quarto - quota che mi è sembrata troppo esigua - nelle spese di riparazione e di ricostruzione, mentre gli altri tre quarti erano a carico così di costoro come degli altri condomini nelle proporzioni indicate dal precedente art. 562.

Massime relative all'art. 1123 Codice Civile

Cass. civ. n. 21086/2022

In tema di condominio negli edifici, la convenzione sulla ripartizione delle spese in deroga ai criteri legali, ai sensi dell'art. 1123, comma 1, c.c., deve essere approvata da tutti i condomini, ha efficacia obbligatoria soltanto tra le parti, non vincolando essa gli aventi causa da queste ultime, è modificabile unicamente tramite un rinnovato consenso unanime e presuppone una dichiarazione di accettazione avente valore negoziale, espressione di autonomia privata, la quale prescinde dalle formalità richieste per lo svolgimento del procedimento collegiale che regola l'assemblea e può perciò manifestarsi anche mediante successiva adesione al contratto, con l'osservanza della forma prescritta per quest'ultimo.

Cass. civ. n. 18187/2021

Il condomino che subisca, nella propria unità immobiliare, un danno derivante dall'omessa manutenzione delle parti comuni di un edificio, ai sensi degli artt. 1123, 1124, 1125 e 1126 c.c., assume, quale danneggiato, la posizione di terzo avente diritto al risarcimento nei confronti del condominio, senza tuttavia essere esonerato dall'obbligo - che trova la sua fonte nella comproprietà o nella utilità di quelle e non nella specifica condotta illecita ad esso attribuibile - di contribuire, a propria volta e "pro quota", alle spese necessarie per la riparazione delle parti comuni, nonché alla rifusione dei danni cagionati.

Cass. civ. n. 11199/2021

In tema di riparto delle spese condominiali per l'esecuzione di lavori consistenti in innovazioni, straordinaria manutenzione o ristrutturazione sulle parti comuni, laddove, successivamente alla delibera assembleare che abbia disposto l'esecuzione di tali interventi, sia venduta un'unità immobiliare sita nel condominio, i costi di detti lavori gravano, secondo un criterio rilevante anche nei rapporti interni tra compratore e venditore, su chi era proprietario dell'immobile compravenduto al momento dell'approvazione di detta delibera, la quale ha valore costitutivo della relativa obbligazione, anche se poi le opere siano state, in tutto o in parte, realizzate in epoca successiva all'atto traslativo, con conseguente diritto dell'acquirente a rivalersi nei confronti del proprio dante causa, per quanto pagato al condominio in forza del principio di solidarietà passiva ex art. 63 disp. att. c.c., salvo che sia diversamente convenuto tra venditore e compratore, pur rimanendo comunque inopponibili al condominio i patti eventualmente intercorsi tra costoro.

Cass. civ. n. 10371/2021

In tema di spese per la conservazione delle parti comuni, l'obbligo del singolo partecipante di sostenere le spese condominiali, da un lato, e le vicende debitorie del condominio verso i suoi appaltatori o fornitori, dall'altro, restano del tutto indipendenti, il primo fondando sulle norme che regolano il regime di contribuzione alle spese per le cose comuni (artt. 1118 e 1123 ss. c.c.), le seconde trovando causa nel rapporto contrattuale col terzo, approvato dall'assemblea e concluso dall'amministratore in rappresentanza dei partecipanti al condominio; ne consegue che il pagamento diretto eseguito dal singolo partecipante a mani del creditore del condominio non è idoneo ad estinguere il debito "pro quota" dello stesso relativo ai contributi ex art. 1123 c.c.

Cass. civ. n. 22573/2020

Alle spese di potatura degli alberi che insistono su suolo oggetto di proprietà esclusiva di un solo condomino sono tenuti a contribuire tutti i condomini, allorché si tratti di piante funzionali al decoro dell'intero edificio e la potatura stessa avvenga per soddisfare le relative esigenze di cura del decoro stesso. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata per l'omesso esame del vincolo di destinazione imposto dal comune al costruttore circa il congruo numero di alberature da mettere a dimora, al fine di verificare se gli alberi oggetto di abbattimento e di reimpianto concorressero, in virtù del detto vincolo, a costituire il decoro architettonico dell'edificio). Conf.: Sez. 2, Sentenza n. 3666 del 18/04/1994 (Rv. 486256-01). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO ROMA, 14/10/2015).

Cass. civ. n. 24927/2019

In tema di conservazione del tetto di un edificio condominiale, le relative spese vanno ripartite - salvo che si tratti di tetto di proprietà esclusiva, assimilato al lastrico solare e, perciò, soggetto all'applicazione dell'art. 1126 c.c. - tra tutti i condomini in misura proporzionale al valore delle singole proprietà esclusive, ai sensi della prima parte dell'art. 1123 c.c., trattandosi di bene rientrante, per la funzione necessaria all'uso collettivo, tra le cose comuni, in quanto deputato a preservare l'edificio condominiale da agenti atmosferici e dalle infiltrazioni d'acqua piovana e non riconducibile, per contro, fra quelle parti suscettibili di destinazione al servizio dei condomini in misura diversa, ovvero al godimento di alcuni condomini e non di altri, di cui all'art. 1123, commi 2 e 3, c.c. (Nella specie, la S.C. ha confermato la pronuncia di merito, che aveva ravvisato l'obbligo di un condomino di concorrere alle spese di manutenzione del tetto del fabbricato, seppur non sovrastante alcuna unità immobiliare di sua proprietà esclusiva, in quanto strutturalmente destinato anche alla protezione dell'atrio comune). (Rigetta, CORTE D'APPELLO PERUGIA, 21/11/2017).

Cass. civ. n. 6010/2019

In tema di condominio di edifici, se le cose comuni sono destinate a servire i condòmini in misura diversa, le spese, a meno che non vi sia un diverso accordo adottato all'unanimità dalle parti, vanno ripartite in proporzione all'uso che ogni condomino può farne, come stabilito dall'art. 1123, comma 2, c.c. (Rigetta, CORTE D'APPELLO TORINO, 26/05/2014).

Cass. civ. n. 9280/2018

In tema di cd. condominio minimo, in mancanza di tabelle regolarmente approvate, la quota di partecipazione alle spese gravante sui singoli proprietari deve essere determinata dal giudice in base alla disciplina del condominio di edifici di cui all'art. 1123 c.c. e, quindi, tenendo conto del valore delle loro proprietà esclusive, e non, invece, applicando la regolamentazione in materia di comunione prevista dall'art. 1101 c.c., secondo la quale, in assenza di altra indicazione degli accordi, le quote si presumono uguali.

Cass. civ. n. 26360/2017

Il condomino risponde dei danni da lui causati alle parti comuni, solo se vi sia stato riconoscimento di responsabilità o all'esito di un accertamento giudiziale, non potendo l'assemblea, in mancanza di tali condizioni, porre a suo carico l’obbligo di ripristino, o imputargli a tale titolo alcuna spesa, ed essendo obbligata ad applicare, come criterio di ripartizione della spesa, la regola generale stabilita dall’art. 1123 c.c..

Cass. civ. n. 12580/2017

In tema di condominio negli edifici, è valida la clausola del regolamento contrattuale che, in ipotesi di rinuncia o distacco dall'impianto di riscaldamento centralizzato, ponga, a carico del condomino rinunciante o distaccatosi, l'obbligo di contribuzione alle spese per il relativo uso in aggiunta a quelle, comunque dovute, per la sua conservazione, potendo i condomini regolare, mediante convenzione espressa, adottata all'unanimità, il contenuto dei loro diritti ed obblighi e, dunque, ferma l'indisponibilità del diritto al distacco, suddividere le spese relative all'impianto anche in deroga agli artt. 1123 e 1118 c.c., a ciò non ostando alcun vincolo pubblicistico di distribuzione di tali oneri condominiali dettato dall'esigenza dell'uso razionale delle risorse energetiche e del miglioramento delle condizioni di compatibilità ambientale.

Cass. civ. n. 8520/2017

In tema di condominio di edifici, qualora le tabelle millesimali allegate al regolamento condominiale contrattuale non abbiano formato oggetto di modifica con il consenso unanime di tutti i condomini, ovvero con sentenza del giudice ex art. 69 disp. att. c.c., nonostante le variazioni di consistenza o di destinazione delle singole unità immobiliari, la ripartizione delle spese condominiali va effettuata in conformità alle tabelle stesse, salva la facoltà del condomino, richiesto del pagamento della quota di pertinenza, di proporre domanda, anche riconvenzionale, di revisione o modifica delle tabelle ai sensi del citato art. 69 nei confronti di tutti i condomini.

Cass. civ. n. 3892/2017

Il credito dell'amministratore di condominio per le anticipazioni delle spese da lui sostenute non può ritenersi provato in mancanza di una regolare contabilità che, sebbene non debba redigersi con forme rigorose, analoghe a quelle prescritte per i bilanci delle società, deve, però, essere idonea a rendere intellegibili ai condomini le voci di entrata e di uscita, con le relative quote di ripartizione, così da rendere possibile l’approvazione da parte dell’assemblea condominiale del rendiconto consuntivo.

Cass. civ. n. 22573/2016

In tema di condominio negli edifici, le spese del riscaldamento centralizzato sono legittimamente ripartite in base al valore millesimale delle singole unità immobiliari servite, ove manchino sistemi di misurazione del calore erogato in favore di ciascuna di esse, che ne consentano il riparto in proporzione all'uso.

Cass. civ. n. 4127/2016

Sussiste condominio parziale "ex lege", in base alla previsione di cui all'art. 1123, comma 3, c.c., ogni qualvolta un bene, rientrante tra quelli ex art. 1117 c.c., sia destinato, per obiettive caratteristiche strutturali e funzionali, al servizio e/o godimento esclusivo di una parte soltanto dell'edificio condominiale; tale figura risponde alla "ratio" di semplificare i rapporti gestori interni alla collettività condominiale, sicché il "quorum", costitutivo e deliberativo, dell'assemblea nel cui ordine del giorno risultino capi afferenti la comunione di determinati beni o servizi limitati solo ad alcuni condomini, va calcolato con esclusivo riferimento a costoro ed alle unità immobiliari direttamente interessate.

Cass. civ. n. 22179/2014

In tema di condominio, la fossa settica posta nel sottosuolo dell'edificio, nella quale confluiscono i liquami provenienti dagli scarichi dei sovrastanti appartamenti, rientra tra le parti comuni, in forza della presunzione di condominialità di cui all'art. 1117, n. 1, cod. civ., salvo che il contrario non risulti da un titolo, con la conseguenza che i singoli condomini che utilizzano l'impianto devono contribuire alle relative spese di utilizzazione e manutenzione, e sono tenuti, ai sensi dell'art. 2051 cod. civ., al risarcimento dei danni da esso eventualmente causati agli altri condomini o a terzi.

Cass. civ. n. 17880/2014

In tema di condominio negli edifici, l'art. 1123, secondo comma, cod. civ. si applica per le spese attinenti alle parti e ai servizi che, per loro natura, sono destinati a fornire utilità diverse ai singoli condomini, sicché esso non trova applicazione per la spesa di messa a norma dell'impianto elettrico condominiale, il quale, ai sensi dell'art. 1117, n. 3, cod. civ., in mancanza di titolo contrario, è comune a tutti i condomini.

Cass. civ. n. 17557/2014

In tema di condominio negli edifici, salva diversa convenzione, la ripartizione delle spese della bolletta dell'acqua, in mancanza di contatori di sottrazione installati in ogni singola unità immobiliare, deve essere effettuata, ai sensi dell'art. 1123, primo comma, cod. civ., in base ai valori millesimali, sicché è viziata, per intrinseca irragionevolezza, la delibera assembleare, assunta a maggioranza, che, adottato il diverso criterio di riparto per persona in base al numero di coloro che abitano stabilmente nell'unità immobiliare, esenti dalla contribuzione i condomini i cui appartamenti siano rimasti vuoti nel corso dell'anno.

Cass. civ. n. 27233/2013

In tema di condominio negli edifici, ove manchi una diversa convenzione adottata all'unanimità, che sia espressione dell'autonomia contrattuale, la ripartizione delle spese generali deve necessariamente avvenire secondo i criteri di proporzionalità, fissati nell'art. 1123, primo comma, c.c., non essendo, consentito all'assemblea, mediante deliberazione a maggioranza, di suddividere con criterio "capitario" gli oneri necessari per la prestazione di servizi nell'interesse comune.

Cass. civ. n. 10053/2013

In tema di condominio negli edifici, il principio secondo cui, in ipotesi di danni alle parti comuni ascrivibili ad uno o ad alcuni dei condomini, sussiste l'obbligo del responsabile di assumere l'onere del relativo ripristino, non osta a che, fino a quando il singolo partecipante non abbia riconosciuto la propria responsabilità o essa non sia stata accertata in sede giudiziale, l'assemblea abbia il potere di ripartire tra tutti i condomini le spese di ricostruzione o riparazione dei beni danneggiati, secondo le regole generali, in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, fermo restando il diritto di costoro di agire, individualmente o mediante l'amministratore, per ottenere dal responsabile il rimborso di quanto anticipato. (Nella specie, in applicazione dell'enunciato principio, la S.C. ha negato la nullità della delibera assembleare di approvazione dei lavori di rifacimento di un tetto comune e di ripartizione delle relative spese tra i condomini, pur trattandosi di opere imposte da un precedente intervento edilizio, costituente illecito urbanistico, unilateralmente eseguito sul medesimo tetto da alcuni comproprietari).

Cass. civ. n. 64/2013

In tema di condominio negli edifici, le parti dell'edificio - muri e tetti - ( art. 1117, n. 1 c.c.) ovvero le opere ed i manufatti - fognature, canali di scarico e simili (art. 1117 n. 3, c.c.) - deputati a preservare l'edificio condominiale da agenti atmosferici e dalle infiltrazioni d'acqua, piovana o sotterranea, rientrano, per la loro funzione, fra le cose comuni, le cui spese di conservazione sono assoggettate alla ripartizione in misura proporzionale al valore delle singole proprietà esclusive, ai sensi della prima parte dell'art. 1123 c.c., non rientrando, per contro, fra quelle parti suscettibili di destinazione al servizio dei condomini in misura diversa, ovvero al godimento di alcuni condomini e non di altri, di cui all'art. 1123, secondo e terzo comma c.c.

Cass. civ. n. 28679/2011

In materia di condominio di edifici, è legittima, in quanto posta in essere in esecuzione di una disposizione di regolamento condominiale, avente natura contrattuale, la delibera assembleare che disponga, in deroga al criterio legale di ripartizione delle spese dettato dall'art.1123 c.c., che le spese di manutenzione ordinaria e straordinaria dell'impianto di ascensore (come nella specie) siano a carico anche delle unità immobiliari che non usufruiscono del relativo servizio, tenuto conto che la predetta deroga è consentita, a mezzo di espressa convenzione, dalla stessa norma codicistica.

Cass. civ. n. 19893/2011

In tema di condominio negli edifici, poiché tra le spese indicate dall'art. 1104 c.c., soltanto quelle per la conservazione della cosa comune costituiscono "obligationes propter rem", è legittima la rinuncia di un condomino all'uso dell'impianto centralizzato di riscaldamento - anche senza necessità di autorizzazione o approvazione da parte degli altri condomini - purché l'impianto non ne sia pregiudicato, con il conseguente esonero, in applicazione del principio contenuto nell'art. 1123, secondo comma, c.c., dall'obbligo di sostenere le spese per l'uso del servizio centralizzato; in tal caso, egli è tenuto solo a pagare le spese di conservazione dell'impianto stesso. Né può rilevare, in senso impediente, la disposizione eventualmente contraria contenuta nel regolamento di condominio, anche se contrattuale, essendo quest'ultimo un contratto atipico meritevole di tutela solo in presenza di un interesse generale dell'ordinamento.

Cass. civ. n. 15309/2011

In caso di alienazione di un immobile di proprietà esclusiva in condominio, nel quale siano stati deliberati lavori di straordinaria manutenzione per riparare un danno già cagionato ad un singolo condomino, eseguiti successivamente alla compravendita, al fine dell'identificazione del soggetto obbligato alla contribuzione alle spese condominiali, deve considerarsi che l'accertamento stesso dell'emergenza conservativa o emendativa di danni a terzi, compiuto dal condominio, determina l'insorgenza dell'obbligo conservativo in capo a tutti i condomini, e pone l'eventuale successiva approvazione delle relative spese in una prospettiva meramente esecutiva ed esterna rispetto alla già compiuta individuazione della persona dell'obbligato.

Cass. civ. n. 23345/2008

In tema di condominio, una volta perfezionatosi il trasferimento della proprietà di un'unità immobiliare, l'alienante perde la qualità di condomino e non è più legittimato a partecipare alle assemblee, potendo far valere le proprie ragioni sul pagamento dei contributi dell'anno in corso o del precedente, solo attraverso l'acquirente che gli è subentrato. Ne consegue che non può essere chiesto ed emesso nei suoi confronti decreto ingiuntivo ai sensi dell'articolo 63 disp. att. cod. proc. civ per la riscossione dei contributi condominiali, atteso che la predetta norma di legge può trovare applicazione soltanto nei confronti di coloro che siano condomini al momento della proposizione del ricorso monitorio.

Cass. civ. n. 9148/2008

In riferimento alle obbligazioni assunte dall'amministratore, o comunque, nell'interesse del condominio, nei confronti di terzi in difetto di un'espressa previsione normativa che stabilisca il principio della solidarietà, trattandosi di un'obbligazione avente ad oggetto una somma di denaro, e perciò divisibile, vincolando l'amministratore i singoli condomini nei limiti delle sue attribuzioni e del mandato conferitogli in ragione delle quote, in conformità con il difetto di struttura unitaria del condominio la responsabilità dei condomini è retta dal criterio della parziarietà, per cui le obbligazioni assunte nell'interesse del condominio si imputano ai singoli componenti soltanto in proporzione delle rispettive quote, secondo criteri simili a quelli dettati dagli artt. 752 e 1295 c.c. per le obbligazioni ereditarie.

Cass. civ. n. 2760/2008

L'esistenza di un condominio «di fatto» tra assegnatari di case di abitazione, realizzate dall'I.A.C.P. (Istituto Autonomo Case Popolari), non determina nei singoli partecipanti l'obbligo del versamento dei contributi condominiali ai sensi dell'art. 1123 c.c. in quanto, la gestione autonoma delle parti comuni dell'edificio è legittimamente esercitata, ai sensi dell'art. 24 del D.P.R. n. 1035 del 1972, solo se preventivamente autorizzata dall'Ente a seguito di apposita richiesta formulata dal sessanta per cento degli assegnatari.

Cass. civ. n. 23308/2007

L'obbligo del singolo condomino di contribuire in misura proporzionale al valore della sua unità immobiliare alle spese necessarie per la manutenzione e riparazione delle parti comuni dell'edificio e alla rifusione dei danni subiti dai singoli condomini nelle loro unità immobiliari, a causa dell'omessa manutenzione o riparazione delle parti comuni, trova la sua fonte nella comproprietà delle parti comuni dell'edificio e non nella specifica condotta illecita ad esso attribuibile, potendo tale condotta, ove provata, esclusivamente far sorgere a suo carico l'obbligo di risarcire il danno complessivamente prodotto ex art. 2043 c.c. Tale principio trova applicazione anche quando i danni derivino da vizi e carenze costruttive dell'edificio, salva l'azione di rivalsa, ove possibile, nei confronti del costruttore.

Cass. civ. n. 9641/2006

In tema di contributi condominiali, per il caso che la relativa controversia sia devoluta al giudizio di equità del giudice di pace, costituiscono principi informatori della materia quelli che impongono al condominio di corrispondere le spese per la conservazione ed il godimento delle parti comuni, nonché per la prestazione dei servizi comuni e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza, e ripartite in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, deliberazione e riparto da effettuarsi sulla base del valori millesimali. (La S.C. ha pertanto confermato la sentenza del giudice di pace che aveva accolto la opposizione del condominio al decreto con cui gli era stato ingiunto il pagamento dei contributi condominiali, anche per essere nulla la relativa delibera condominiale, non essendo state ripartite le spese in base alla quota di proprietà di ciascun condomino ).

Cass. civ. n. 27292/2005

La deliberazione dell'assemblea condominiale di ripartizione della spesa, finalizzata alla riscossione dei conseguenti oneri dei singoli condomini, costituisce titolo di credito del condominio e, di per sé, prova l'esistenza di tale credito, legittimando, senz'altro, non solo la concessione del decreto ingiuntivo, ma anche la condanna del singolo condomino a pagare le somme all'esito del giudizio di opposizione che quest'ultimo proponga contro tale decreto, il cui ambito sia ristretto solamente alla verifica dell'esistenza e dell'efficacia della deliberazione assembleare medesima relativa all'approvazione della spesa e alla ripartizione degli inerenti oneri.

Cass. civ. n. 16982/2005

Anche se, ai sensi dell'art. 1123 c.c., la ripartizione delle spese fra i condomini va compiuta in proporzione della proprietà di ciascuno, l'amministratore deve attenersi alle tabelle millesimali esistenti (che, pur avendo natura valutativa e non attributiva della proprietà, vanno applicate — in quanto approvate ed accettate — finché non siano state modificate) e, pertanto, non è tenuto ad esaminare i titoli di acquisto dei singoli condomini ed a valutarli, di sua iniziativa, come (eventualmente) difformi dalle tabelle, adeguando conseguentemente il riparto delle spese a tale valutazione coinvolgente la posizione di tutti gli altri condomini. Ne consegue che, qualora il condomino intenda denunciare la violazione dell'art. 1123 c.c., è tenuto ad impugnare le tabelle, chiedendone la modica giudiziale, e non il piano di riparto redatto in base alle tabelle medesime.

Cass. civ. n. 2946/2005

In tema di condominio, poiché, le spese di riscaldamento delle parti comuni, avendo ad oggetto il godimento della cosa comune, rientrano fra quelle generali, è applicabile il criterio di riparto stabilito dal primo comma dell'art. 1123 c.c. con riferimento al valore della proprietà di ciascun condomino, e non quello dell'uso differenziato dettato dal secondo comma, il quale non opera per le spese generali. Pertanto, trovando la partecipazione a tali spese fondamento nella comproprietà delle cose comuni, il singolo condomino non può sottrarsi all'obbligo di contribuirvi, mentre le particolari caratteristiche dell'impianto di riscaldamento assumono rilievo esclusivamente in tema di spese di conservazione e di manutenzione. (Nella specie, la Suprema Corte, nel ritenere legittima la ripartizione delle spese di riscaldamento delle parti comuni in base al valore della proprietà di ciascuno dei condomini e non dell'uso differenziato, ha escluso la rilevanza della mancata utilizzazione delle unità immobiliari di proprietà esclusiva, considerando altresì ininfluente, ai fini della decisione, l'esame delle particolari caratteristiche dell'impianto, che — secondo l'assunto della ricorrente — sarebbe stato privo di caldaia e di generatore centralizzati).

Cass. civ. n. 12013/2004

In tema di spese necessarie per la conservazione e il godimento delle parti comuni, poiché l'obbligo di ciascun condomino di contribuirvi insorge nel momento in cui si rende necessario provvedere ai lavori che giustificano la spesa, e non quando il debito viene determinato in concreto, qualora sia pronunciata sentenza di condanna nei confronti del condominio per inosservanza dell'obbligo di conservazione delle cose comuni, il condomino creditore che intenda agire in executivis contro il singolo partecipante per il recupero del proprio credito accertato dalla sentenza, deve rivolgere la propria pretesa, sia per il credito principale, che per quello, accessorio, relativo alle spese processuali, contro chi rivestiva la qualità di condomino al momento in cui l'obbligo di conservazione è insorto, e non contro colui che tale qualità riveste nel momento in cui il debito viene giudizialmente determinato.

Cass. civ. n. 1420/2004

In tema di oneri condominiali, non è applicabile alle spese di conservazione (art. 1123, primo comma c.c.), qual è quella per la sostituzione della caldaia, il criterio di ripartizione in proporzione dell'uso (art. 1123, secondo comma c.c.). Ne consegue che la ripartizione delle spese per la sostituzione della caldaia va effettuata secondo i millesimi di proprietà e non secondo i millesimi del riscaldamento e tale normativa è derogabile solo per via contrattuale, attraverso una convenzione che obblighi tutti i condomini, non rientrando tra le attribuzioni della assemblea condominiale quella di deliberare in ordine a criteri di ripartizione delle spese in contrasto con quelli previsti dalla legge, traducendosi una tale delibera in una lesione dei diritti del singolo condomino attraverso il mutamento del valore riconosciuto alla parte di edificio di sua proprietà esclusiva.

Cass. civ. n. 12298/2003

In tema di condominio negli edifici, l'attività di custodia e di vigilanza è dal portiere svolta anche nell'interesse dei proprietari delle unità immobiliari accessibili direttamente dalla strada mediante autonomo ingresso, e le spese del servizio di portierato vanno ripartite ai sensi dell'art. 1123 c.c. in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno dei condomini.

Cass. civ. n. 6323/2003

In tema di spese necessarie per la conservazione e il godimento delle parti comuni, che costituiscono l'oggetto di un'obbligazione propter rem, in quanto conseguenza della contitolarità del diritto reale su beni e servizi comuni, l'obbligazione di ciascun condomino di contribuire alle spese per la conservazione dei beni comuni nasce nel momento in cui è necessario eseguire le relative opere, mentre la delibera dell'assemblea di approvazione della spesa, che ha la funzione di autorizzarla, rende liquido il debito di cui in sede di ripartizione viene determinata la quota a carico di ciascun condomino, sicché, in caso di compravendita di un'unità immobiliare sita in edificio soggetto al regime del condominio, è tenuto alla spesa colui che è condomino al momento in cui si rende necessario effettuare la spesa.

Cass. civ. n. 3712/2003

In tema di ripartizione di spese condominiali relative all'erogazione di acqua, l'amministratore che abbia stipulato con l'ente erogatore un contratto avente ad oggetto il consumo complessivo del fabbricato onde beneficiare dell'applicazione di una tariffa agevolata, può poi, del tutto legittimamente, calcolare la ripartizione interna delle spese pro quota in considerazione dei singoli ed effettivi consumi di ciascuno dei condomini, a prescindere dalla circostanza che questi, singolarmente considerati nel loro consumo, non avrebbero consentito l'applicazione della suddetta tariffa agevolata.

Cass. civ. n. 1277/2003

Le disposizioni in materia di condominio possono legittimamente ritenersi applicabili al consorzio costituito tra proprietari di immobili per la gestione delle parti e dei servizi comuni di una zona residenziale, pur appartenendo indiscutibilmente il consorzio alla categoria delle associazioni, non esistendo schemi obbligati per la costituzione di tali enti, ed assumendo, per l'effetto, rilievo decisivo la volontà manifestata dagli stessi consorziati con la regolamentazione contenuta nelle norme statutarie. Salvo che la legge o lo statuto richiedano la forma espressa o addirittura quella scritta, la volontà di partecipare alla costituzione del consorzio o di aderire al consorzio già costituito può essere manifestata anche tacitamente e desumersi da presunzioni o fatti concludenti, quali la consapevolezza di acquistare un immobile compreso in un consorzio oppure l'utilizzazione in concreto dei servizi posti a disposizione dei consorziati. Solo la partecipazione al consorzio può determinare l'obbligazione di versare la quota stabilita dagli organi statutariamente competenti, legittimando la pretesa di pagamento. (In applicazione di tali principi, la Suprema Corte ha cassato senza rinvio la sentenza impugnata, che, essendosi formato il giudicato in ordine alla insussistenza di una volontà della parte di partecipare al Consorzio manifestata tacitamente, era incorsa nel vizio di extrapetizione affermando che la parte stessa, acquistando l'immobile, aveva assunto due obbligazioni collegate da rapporto di strumentalità, aventi ad oggetto, l'una, la partecipazione alle spese comuni e, l'altra, l'adesione al consorzio).

Cass. civ. n. 641/2003

Alla stregua della stessa lettera dell'art. 1123 c.c., la disciplina legale della ripartizione delle spese per la conservazione ed il godimento delle parti comuni dell'edificio è, in linea di principio, derogabile, con la conseguenza che deve ritenersi legittima la convenzione modificatrice di tale disciplina, contenuta nel regolamento condominiale di natura contrattuale, ovvero nella deliberazione dell'assemblea, quando approvata da tutti i condomini.

Cass. civ. n. 5035/2002

In caso di azione giudiziale dell'amministratore del condominio per il recupero della quota di spese di competenza di una unità immobiliare di proprietà esclusiva, è passivamente legittimato il vero proprietario di detta unità e non anche chi possa apparire tale — come il venditore il quale, pur dopo il trasferimento della proprietà (non comunicato all'amministratore), abbia continuato a comportarsi da proprietario — difettando, nei rapporti fra condominio, che è un ente di gestione, ed i singoli partecipanti ad esso, le condizioni per l'operatività del principio dell'apparenza del diritto, strumentale essenzialmente ad esigenze di tutela dell'affidamento del terzo in buona fede, ed essendo, d'altra parte, il collegamento della legittimazione passiva alla effettiva titolarità della proprietà funzionale al rafforzamento e al soddisfacimento del credito della gestione condominiale.

Cass. civ. n. 3944/2002

In materia di condominio, è valida la disposizione del regolamento condominiale, di natura contrattuale, secondo cui le spese generali e di manutenzione delle parti comuni dell'edificio vanno ripartite in quote uguali tra i condomini, giacché il diverso e legale criterio di ripartizione di dette spese in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascun condomino (art. 1123 c.c.) è liberamente derogabile per convenzione (quale appunto il regolamento contrattuale di condominio), né siffatta deroga può avere alcuna effettiva incidenza sulla disposizione inderogabile dell'art. 1136 c.c. ovvero su quella dell'art. 69 disp. att. c.c., in quanto, seppure con riguardo alla stessa materia del condominio negli edifici, queste ultime disciplinano segnatamente i diversi temi della costituzione dell'assemblea della validità delle deliberazioni e delle tabelle millesimali.

Cass. civ. n. 10560/2001

Le obbligazioni a carico del condomino connesse alla proprietà comune dell'impianto centralizzato di riscaldamento vengono meno nella ipotesi in cui costui sia stato escluso dal relativo servizio per distacco della diramazione ai locali di sua esclusiva proprietà, disposto dallo stesso condominio allo scopo di procedere alle necessarie riparazioni; e per il protrarsi di tale distacco a causa della inerzia del condominio medesimo, senza che rilevi in contrario la decisione, presa, in conseguenza di ciò, dal condominio, di attivare un impianto autonomo di riscaldamento. (Nella specie, alla stregua del principio di cui alla massima, la S.C. ha confermato la decisione dei giudici di merito che aveva accolto la impugnazione della delibera condominiale con la quale le spese di gestione dell'impianto centralizzato di riscaldamento per gli anni 1989-90 e 1990-91 erano state poste a carico anche dei condomini di una delle palazzine del condominio che, per detto periodo, era stata esclusa dalla fruizione del servizio per distacco, protrattosi nel tempo, disposto dal condominio stesso, con taglio della condotta dell'alimentazione, allo scopo di eliminare le perdite di pressione e di acqua riscontrate).

Cass. civ. n. 6849/2001

L'obbligo del condomino di contribuire in misura proporzionale al valore della sua unità immobiliare alle spese necessarie per la manutenzione e riparazione delle parti comuni dell'edificio e alla rifusione dei danni subiti dai singoli condomini, nelle loro unità immobiliari, a causa della omessa manutenzione e riparazione previsto dall'art. 1123 c.c., ovvero trattandosi di lastrici solari nella misura indicata nell'art. 1126 c.c., trova la sua fonte nella comproprietà delle parti comuni dell'edificio non anche in una sua particolare condotta, commissiva ed omissiva, che, peraltro, se provata, può determinare, relativamente alle spese occorrenti per porre rimedio alle conseguenze negative di tale condotta, la sua esclusiva responsabilità ai sensi dell'art. 2043 c.c. Tale obbligo di contribuzione vale anche per le spese necessarie per eliminare vizi e carenze costruttive originarie dell'edificio condominiale, salva in questo caso, l'azione di rivalsa nei confronti del costruttore-venditore e si estende anche alle spese necessarie per riparare i danni che i singoli condomini subiscono nelle loro unità immobiliari.

Cass. civ. n. 1959/2001

Nel caso in cui vi sia stata una sentenza definitiva di condanna del condominio, in persona dell'amministratore, al risarcimento del danno che un terzo abbia subito per carente manutenzione di un bene che si assume comune soltanto al alcuni dei proprietari dei piani o appartamenti siti nell'edificio (cosiddetto condominio parziale), non è preclusa al singolo condomino l'azione diretta all'accertamento in suo favore delle condizioni di cui all'art. 1123, secondo e terzo comma c.c., ai fini dell'applicazione del criterio ivi previsto per la ripartizione degli oneri derivanti dalla sentenza di condanna del condominio.

Cass. civ. n. 8292/2000

In tema di oneri condominiali, la funzione ed il fondamento delle spese occorrenti per la conservazione dell'immobile si distinguono dalle esigenze che presiedono alle spese per il godimento dello stesso, come è dato evincere, in via di principio generale, dal disposto dell'art. 1104 c.c. — dettato in tema di comunione — , e, sub specie dei rapporti di condominio, dalla norma di cui all'art. 1123 stesso codice, a mente della quale i contributi per la conservazione del bene sono dovuti in ragione della appartenenza e si dividono in proporzione alle quote (indipendentemente dal vantaggio soggettivo espresso dalla destinazione delle parti comuni a servire in misura diversa i singoli piani o porzioni di piano), mentre le spese d'uso (che traggono origine dal godimento soggettivo e personale) si suddividono in proporzione alla concreta misura di esso, indipendentemente dalla misura proporzionale dell'appartenenza (e possono, conseguentemente, mutare, del tutto legittimamente, in modo affatto autonomo rispetto al valore della quota). Ne consegue, con particolare riguardo alla norma di cui all'art. 1123 terzo comma c.c., che il criterio di ripartizione di spese ivi disciplinato (a differenza di quanto previsto, in linea generale, nel precedente secondo comma del medesimo articolo) deve ritenersi applicabile alle ipotesi di condominio cosiddetto parziale (risultando, in caso contrario, la norma in parola una inutile ripetizione di quella che la precede), così che, qualora le cose, gli impianti ed i servizi comuni siano destinati a servire una parte soltanto del fabbricato, l'art. 1123 terzo comma, nell'ambito della più vasta compartecipazione, identifica precipuamente i soggetti obbligati a concorrere alle spese di conservazione, individuandoli nei condomini cui il condominio è attribuito per legge ai sensi dell'art. 1117 c.c. (salva diversa attribuzione per titolo).

Cass. civ. n. 1956/2000

Il principio dell'ambulatorietà passiva ha riscontro nell'art. 63, comma secondo, att. c.c.; in virtù di esso l'acquirente di una unità immobiliare condominiale può essere chiamato a rispondere dei debiti condominiali del suo dante causa, solidalmente con lui, ma non al suo posto, ed opera nel rapporto tra il condominio ed i soggetti che si succedono nella proprietà di una singola unità immobiliare, non anche nel rapporto tra quest'ultimi. In questo secondo rapporto, salvo che non sia diversamente convenuto tra le parti, è invece operante il principio generale della personalità delle obbligazioni; l'acquirente dell'unità immobiliare risponde soltanto delle obbligazioni condominiali sorte in epoca successiva al momento in cui, acquistandola, è divenuto condomino; e se, in virtù del principio dell'ambulatorietà passiva di tali obbligazioni sia stato chiamato a rispondere delle obbligazioni condominiali sorte in epoca anteriore, ha diritto a rivalersi nei confronti del suo dante causa.

Cass. civ. n. 1033/2000

In tema di condominio di edifici, al fine della ripartizione delle spese comuni, perché sia giustificata l'adozione di un criterio di ripartizione diverso da quello fissato in via generale dall'art. 1123 c.c. e commisurato alla quota di proprietà di ciascun condomino, occorre che, così come previsto dal primo comma della norma citata, la deroga sia prevista espressamente. Pertanto, il fatto che per alcune parti dell'edificio specificatamente indicate nel titolo come comuni, la misura della partecipazione di ciascun condomino alla comunione risulti determinata in misura diversa a quella corrispondente alla rispettiva quota di proprietà esclusiva. (Nella specie, in parti uguali tra i condomini, anziché in millesimi di proprietà) non implica che tale diversa misura si estenda alle restanti parti comuni.

Cass. civ. n. 857/2000

L'obbligo del condomino di pagare i contributi per le spese di manutenzione delle parti comuni dell'edificio deriva non dalla preventiva approvazione della spesa e dalla ripartizione della stessa, ma dalla concreta attuazione dell'attività di manutenzione e sorge quindi per effetto dell'attività gestionale concretamente compiuta e non per effetto dell'autorizzazione accordata all'amministrazione per il compimento di una determinata attività di gestione. (Nella specie avendo il condomino ammesso di non avere pagato le quote richieste e non contestato il loro ammontare, è stata ritenuta superflua e priva di fondamento ogni altra questione, ivi compresa quella concernente la nullità delle deliberazioni assembleari poste a fondamento del decreto ingiuntivo emanato nei suoi confronti).

Cass. civ. n. 13505/1999

La ripartizione della spesa condominiale può essere, del tutto legittimamente, deliberata anche in assenza di appropriata tabella millesimale, purché risulti in concreto rispettata la proporzione tra la quota di spesa posta a carico di ciascun condomino e la quota di proprietà esclusiva a questi appartenente, essendo il criterio di determinazione delle singole quote preesistente ed indipendente dalla formazione della predetta tabella. Ne consegue che il condomino il quale ritenga che la ripartizione della spesa contrasti con tale criterio ha l'onere di impugnare la delibera, indicando in quali esatti termini si sia consumata la violazione in suo danno, e quale pregiudizio concreto ed attuale gliene sia derivato.

Cass. civ. n. 7890/1999

Il singolo condomino risponde verso gli altri condomini dei danni causati da guasti verificatisi nella sua proprietà esclusiva e deve, perciò, sostenere la relativa spesa, ove abbia riconosciuto la propria responsabilità o essa sia stata accertata in sede giudiziale. Tuttavia, fino a quando l'obbligo risarcitorio del condomino non risulti in uno di tali modi accertato, l'assemblea non può porre a suo carico detto obbligo, né imputargli a tale titolo alcuna spesa, non potendo l'assemblea disattendere l'ordinario criterio di ripartizione, né la tabella millesimale e dovendo, invece, applicare la regola generale stabilita dall'art. 1123 c.c., secondo cui ogni addebito di spesa deve essere effettuato in base alla quota di partecipazione di ciascun condomino alla proprietà comune, cioè in base ai millesimi. Pertanto, in difetto di accertamento dell'obbligo risarcitorio in uno dei due modi indicati, la suddetta spesa dev'essere dall'assemblea provvisoriamente ripartita, secondo gli ordinari criteri di ripartizione, tra tutti i condomini, fermo restando il diritto di costoro di agire, singolarmente o per mezzo dell'amministratore, contro il condomino ritenuto responsabile, per ottenere il rimborso di quanto anticipato. (Omissis).

Cass. civ. n. 129/1999

Autorizzato dall'assemblea dei condomini il distacco delle diramazioni di alcune unità immobiliari dall'impianto centrale di riscaldamento - sulla base della valutazione che dal distacco sarebbe derivata un'effettiva riduzione delle spese di esercizio e, per contro, non sarebbe stato determinato uno squilibrio in pregiudizio del regolare funzionamento dell'impianto — e venuta meno la possibilità che i medesimi locali fruiscano del riscaldamento, l'impianto non può considerarsi destinato al servizio dei predetti piani o porzioni di piano. Consegue che i proprietari di queste unità abitative non devono ritenersi tenuti a contribuire alle spese per un servizio, che nei confronti dei loro immobili non viene prestato.

Cass. civ. n. 9263/1998

Il contributo alla spesa per un servizio comune destinato ad esser fruito in misura diversa dai singoli condomini deve esser ripartito in proporzione all'utilizzazione di esso e non ai millesimi — come invece avviene per il riscaldamento, per impossibilità di accertarne l'effettiva utilità per ciascun condomino — al fine di evitare un indebito arricchimento rispettivamente a favore e a discapito dei singoli condomini.

Cass. civ. n. 1511/1997

È illegittima la delibera di un condominio, adottata a maggioranza, con la quale si stabilisce un onere di contribuzione delle spese di gestione maggiore a carico di alcuni condomini, sul presupposto della loro più intensa utilizzazione, rispetto agli altri, di parti o servizi comuni, non solo perché la modifica ai criteri legali (art. 1123 c.c.) o di regolamento contrattuale di riparto delle spese richiede il consenso di tutti i condomini, ma anche perché il criterio di riparto in base all'uso differenziato, derivante dalla diversità strutturale della cosa, previsto dal secondo comma dell'art. 1123 c.c., non è applicabile alle spese generali, per le quali opera invece il criterio di cui al primo comma dello stesso articolo, ossia la proporzione al valore della proprietà di ciascuno.

Cass. civ. n. 10492/1996

L'obbligo del condomino di contribuire alle spese necessarie alla conservazione ed al godimento delle parti comuni dell'edificio, alla prestazione dei servizi nell'interesse comune e alle innovazioni deliberate dalla maggioranza trova la sua fonte nella comproprietà delle parti comuni dell'edificio (art. 1123, primo comma, c.c.); con la conseguenza che la semplice circostanza che l'impianto centralizzato di riscaldamento non eroghi sufficiente calore non può giustificare un esonero dal contributo, neanche per le sole spese di esercizio dell'impianto, dato che il condomino non è titolare, nei confronti del condominio, di un diritto di natura contrattuale sinallagmatica e, quindi, non può sottrarsi dal contribuire alle spese allegando la mancata o insufficiente erogazione del servizio.

Cass. civ. n. 10214/1996

Qualora alcuni condomini decidano, unilateralmente, di distaccare le proprie unità immobiliari dall'impianto centralizzato di riscaldamento, i medesimi non possono sottrarsi al contributo per le spese di conservazione del predetto impianto, non essendo configurabile una rinuncia alla comproprietà dello stesso, ma non sono tenuti a sostenere altresì le spese per il relativo uso (nella specie, quelle per l'acquisto del gasolio), salvo che gli altri condomini, in conseguenza del distacco, siano costretti a far fronte ad una spesa maggiore, rispetto alle quote precedenti, restando in tal caso a carico di coloro che lo hanno effettuato l'onere di tale maggiore spesa.

Cass. civ. n. 9366/1996

L'obbligo dei condomini di contribuire al pagamento delle spese condominiali sorge per effetto della delibera dell'assemblea che approva le spese stesse e non a seguito della successiva delibera di ripartizione volta soltanto a rendere liquido un debito preesistente e che può anche mancare ove esistano tabelle millesimali, per cui l'individuazione delle somme concretamente dovute dai singoli condomini è il frutto di una semplice operazione matematica. Pertanto, nel caso di alienazione di un appartamento, obbligato al pagamento dei tributi è il proprietario nel momento in cui la spesa viene deliberata.

Cass. civ. n. 8530/1996

L'amministratore cessato dall'incarico può chiedere il rimborso delle somme da lui anticipate per la gestione condominiale sia nei confronti del condominio legalmente rappresentato dal nuovo amministratore (dovendosi considerare attinente alle cose, ai servizi ed agli impianti comuni anche ogni azione nascente dall'espletamento del mandato, che, appunto, riflette la gestione e la conservazione di quelle cose, servizi o impianti) sia, cumulativamente, nei confronti di ogni singolo condomino, la cui obbligazione di rimborsare all'amministratore, mandatario, le anticipazioni da questo fatte nell'esecuzione dell'incarico deve considerarsi sorta nel momento stesso in cui avviene l'anticipazione e per effetto di essa e non può considerarsi estinta dalla nomina del nuovo amministratore, che amplia la legittimazione processuale passiva senza eliminare quelle originali, sostanziali e processuali.

L'amministratore del condominio ha diritto di richiedere ai singoli condomini il rimborso delle somme da lui anticipate per la gestione condominiale solo nei limiti delle rispettive quote dovendosi ritenere applicabile anche nei rapporti esterni la disposizione dell'art. 1123 c.c., a norma della quale le spese necessarie per la conservazione ed il godimento delle parti comuni dell'edificio, per le prestazioni dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno.

Cass. civ. n. 7353/1996

L'efficacia di una convenzione con la quale, ai sensi dell'art. 1123, primo comma, c.c., si deroga al regime legale di ripartizione delle spese non si estende, in base all'art. 1372 c.c., agli aventi causa a titolo particolare degli originari stipulanti, a meno che detti aventi causa non abbiano manifestato il loro consenso nei confronti degli altri condomini, anche per fatti concludenti, attraverso un'univoca manifestazione tacita di volontà, dalla quale possa desumersi un determinato intento con preciso valore sostanziale.

Cass. civ. n. 6359/1996

Il secondo comma dell'art. 1123 c.c., a norma del quale le spese di conservazione e godimento delle cose destinate a servire i condomini in misura diversa sono ripartite in proporzione dell'uso che ciascuno può farne, essendo inspirata ad una esigenza di disciplina che meglio si adatta alle specifiche caratteristiche del condominio negli edifici, ove le parti comuni hanno una precisa funzione strumentale rispetto alle parti in proprietà esclusiva dei singoli condomini, delle quali esse sono a servizio consentendone l'esistenza e l'uso, costituisce una disposizione speciale rispetto al principio generale dell'art. 1100 c.c., in base al quale le spese debbono gravare su tutti i partecipanti in proporzione del valore delle quote di ciascuno di essi, che si presume eguale quando non risulti diversamente.

In tema di condominio di edifici, il criterio di ripartizione delle spese per la conservazione ed il godimento delle parti comuni, previsto dal primo comma dell'art. 1123 c.c., non si applica quando si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, per le quali, a meno che non vi sia un diverso accordo delle parti, il criterio invece, quello della proporzionalità tra spese ed uso stabilito dal secondo comma del medesimo articolo, o quando si tratta di cose che, benché comuni, sono destinate a servire solo una parte dell'intero fabbricato, per le quali il criterio è, invece, quello del terzo comma, che pone le spese solo a carico dei condomini che traggono utilità dalla cosa. (Nella specie, la Corte di cassazione ha cassato la sentenza del giudice di merito che aveva posto le spese di rifacimento del tetto e della facciata di un edificio dotato di un cortile condominiale nel quale sorgeva una costruzione separata anche a carico dei proprietari di questa costruzione ed in proporzione del valore delle loro proprietà esclusivamente valorizzando la circostanza che per accedere alla costruzione separata era necessario servirsi dell'androne dell'edificio e del cortile comune).

Cass. civ. n. 7077/1995

In tema di condominio di edifici il principio di proporzionalità tra spese ed uso di cui al secondo comma dell'art. 1123 c.c., secondo cui (salva contraria convenzione) le spese per la conservazione ed il godimento delle parti comuni dell'edificio sono ripartite, qualora si tratti di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, in proporzione dell'uso che ciascuno può farne, esclude che le spese relative alla cosa che in alcun modo, per ragioni strutturali o attinenti alla sua destinazione, può servire ad uno o più condomini possano essere poste anche a carico di quest'ultimi. (Nella specie, si trattava delle spese di installazione della porte tagliafuoco dell'atrio comune nel quale di aprivano le porte di alcune autorimesse in proprietà esclusiva di singoli condomini, secondo le prescrizioni della legge 7 dicembre 1984, n. 818 e del D.M. 16 febbraio 1982).

Cass. civ. n. 1255/1995

Nel condominio degli edifici la comproprietà delle parti comuni indicate dall'art. 1117 c.c. e, più in generale, che servono per l'esistenza e l'uso delle singole proprietà immobiliari, alla quale si lega l'obbligo di partecipazione alle relative spese di manutenzione e conservazione (che il primo comma dell'art. 1123 c.c. pone a carico dei condomini in proporzione delle rispettive quote, indipendentemente dalla misura dell'uso) ha il suo fondamento nel collegamento strumentale, materiale o funzionale, ed, in altri termini, nella relazione di accessorio a principale, con le singole unità (piani o porzioni di piano) in proprietà individuale dell'immobile, per cui le cose, i servizi e gli impianti necessari per l'esistenza e l'uso delle unità immobiliari di una parte soltanto dell'edificio appartengono solo ai proprietari di queste (unità) e non ai proprietari delle unità immobiliari dell'altra parte, rispetto alle quali manca quel rapporto di pertinenza che è il presupposto necessario del diritto di comunione. Ne consegue che le spese di manutenzione e conservazione delle cose e degli impianti che servono solo una parte del fabbricato, formando oggetto di condominio separato, debbono essere sostenute solo dai proprietari delle unità immobiliari di questa parte, e non dagli altri, secondo il principio generale del terzo comma dell'art. 1123 c.c., a norma del quale «quando un edificio abbia più scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condomini che ne trae utilità. (Nel caso specifico, è stato negato che i proprietari dei box contenuti in un immobile che, benché posto all'interno del perimetro condominiale delimitato da un muro di cinta, era separato dall'edificio con le unità abitative, dovessero concorrere alle spese di manutenzione della facciata di questo edificio).

Cass. civ. n. 1028/1995

L'accettazione, da parte dei condomini, della tabella millesimale predisposta dal venditore-costruttore ed allegata ai singoli contratti di vendita dà luogo ad una convenzione sui criteri di ripartizione delle spese che, anche se si discosta da quelli fissati dalla legge per la ripartizione delle spese relative alle parti comuni dell'edificio, è vincolata tra le parti, attesa la derogabilità dei predetti criteri legali, salva la possibilità di revisione delle tabelle millesimali per errore sul valore effettivo delle singole unità immobiliari, prevista dall'art. 69 att. c.c.

Cass. civ. n. 7885/1994

I presupposti per l'attribuzione della proprietà comune a vantaggio di tutti i partecipanti vengono meno se le cose, i servizi e gli impianti di uso comune, per oggettivi caratteri materiali e funzionali, sono necessari per l'esistenza e per l'uso, ovvero sono destinati all'uso o al servizio, non di tutto l'edificio, ma di una sola parte, o di alcune parti di esso, ricavandosi dall'art. 1123, comma 3, che le cose, i servizi, gli impianti, non appartengono necessariamente a tutti i partecipanti. Ne consegue che dalle situazioni di cosiddetto «condominio parziale» derivano implicazioni inerenti la gestione e l'imputazione delle spese, in particolare non sussiste il diritto di partecipare all'assemblea relativamente alle cose, ai servizi, agli impianti, da parte di coloro che non ne hanno la titolarità, ragion per cui la composizione del collegio e delle maggioranze si modificano in relazione alla titolarità delle parti comuni che della delibera formano oggetto.

Cass. civ. n. 4814/1994

La partecipazione con il voto favorevole alle reiterate delibere adottate dall'assemblea dei condomini di un edificio per ripartire le spese straordinarie secondo un valore delle quote dei singoli condomini diverso da quello espresso nelle tabelle millesimali, o l'acquiescenza alla concreta applicazione di queste delibere, può assumere il valore di unico comportamento rivelatore della volontà di parziale modifica delle tabelle millesimali da parte dei condomini che hanno partecipato alle votazioni o che hanno aderito o accettato la differente suddivisione e può dar luogo, quindi, per facta concludentia, ad una convenzione modificatrice della disciplina sulla ripartizione delle spese condominiali che, avendo natura contrattuale e non incidendo sui diritti reali, non richiede la forma scritta, ma solo il consenso, anche tacito o per facta concludentia, purché inequivoco, di tutti i condomini.

Cass. civ. n. 10719/1993

A norma degli artt. 1123 c.c. e 63 att. c.c., l'amministratore di un condominio di un edificio può riscuotere pro quota e in base allo stato di ripartizione come approvato dall'assemblea, i contributi e le spese per la manutenzione delle cose comuni e per la prestazione dei servizi nell'interesse comune direttamente ed esclusivamente dai condomini, restando esclusa un'azione diretta nei confronti dei conduttori delle singole unità immobiliari facenti parte del condominio, anche dopo l'entrata in vigore della L. 27 luglio 1978 n. 392, la quale disciplina i rapporti tra locatore e conduttore, senza innovare in ordine alla normativa del codice civile relativa ai soggetti tenuti nei confronti dell'amministrazione di un condominio di un edificio al pagamento dei contributi e delle spese di cui sopra.

Cass. civ. n. 6403/1993

La deliberazione con cui l'assemblea dei condomini approvi la ripartizione delle spese del servizio di riscaldamento centralizzato senza avere prima accertato il volume dei singoli cespiti, in violazione della disposizione del regolamento di condominio che prevede il riparto volumetrico della spesa, non è affetta da nullità bensì soltanto annullabile, ove denunciata dai condomini assenti e dissenzienti nel termine di decadenza di cui all'art. 1137 c.c., non incidendo sui criteri generali da adottare nel rispetto dell'art. 1123 c.c.

Cass. civ. n. 12307/1991

In tema di ripartizione delle spese del servizio condominiale di riscaldamento, i criteri stabiliti dai commi primo e secondo dell'art. 1123 c.c. possono essere derogati — secondo quanto sancisce la detta norma — soltanto da una convenzione sottoscritta da tutti i condomini o da una deliberazione presa dagli stessi in sede assembleare con la unanimità dei consensi dei partecipanti alla comunione; e pertanto non è consentito all'assemblea condominiale, deliberando a maggioranza, di porre in via provvisoria le spese di riparazione degli impianti singoli a carico indistintamente di tutti i condomini.

Cass. civ. n. 8137/1991

Gli assegnatari con patto di futura vendita degli alloggi exGescal, ed ora di proprietà degli Istituti autonomi delle case popolari, nell'ambito di un rapporto che sino alla stipulazione del contratto di compravendita è formalmente di locazione (o comunque ad esso assimilabile), nel caso di amministrazione autonoma contrattualmente assunta delle parti di uso comune dell'edificio condominiale e dei servizi, hanno l'obbligo di sostenere le spese delle opere di manutenzione ordinaria e straordinaria e dei servizi; peraltro, tale obbligo non si estende ai lavori ed opere la cui esecuzione importi modificazioni o trasformazioni strutturali destinate ad incidere sull'oggetto stesso del diritto di proprietà, sia pure limitatamente alle parti di uso comune dell'edificio e degli impianti dei vari servizi: in quest'ultimo caso, rientrante nelle attribuzioni proprie della sfera giuridica del proprietario dello stabile, l'autorizzazione dell'istituto proprietario ad eseguire tali lavori ed opere importa che gli assegnatari dissenzienti non possono ostacolare la esecuzione dei lavori e delle opere da parte degli altri assegnatari, ma non anche che essi abbiano l'obbligo di concorrere nelle relative spese (nella specie le opere concernevano la trasformazione radicale dell'impianto termico).

Cass. civ. n. 11423/1990

In tema di condominio negli edifici le parti dell'edificio — muri e tetti (art. 1117 n. 1 c.c.) — ovvero le opere ed i manufatti — fognature, canali di scarico e simili (art. 1117 n. 3 c.c.) — deputati a preservare l'edificio condominiale dagli agenti atmosferici e dalle infiltrazioni d'acqua, piovana o sotterranea, rientrano, per la loro funzione, fra le cose comuni, le spese per la cui conservazione sono assoggettate alla ripartizione in misura proporzionale al valore delle singole proprietà esclusive ai sensi della prima parte dell'art. 1123 c.c., e non rientrano, per contro, fra quelle parti suscettibili di destinazione al servizio dei condomini in misura diversa ovvero al godimento di alcuni condomini e non di altri (art. 1123, secondo e terzo comma c.c.).

Cass. civ. n. 4653/1990

Il proprietario di appartamenti o locali di un edificio condominiale, ancorché questi non usufruiscano del servizio prodotto dall'impianto di riscaldamento centrale, che sia, però, potenzialmente idoneo a riscaldarli, è comproprietario di tale impianto a norma dell'art. 1117, n. 3, c.c., qualora tale impianto sia già stato installato nell'immobile prima della formazione del condominio, ed è quindi obbligato a contribuire al pagamento delle spese necessarie per la sua manutenzione se il contrario non risulta da un titolo idoneo, senza che osti il riferimento, nell'art. 1117, n. 3, c.c., alla comproprietà dell'impianto per il riscaldamento «fino al punto di diramazione di quest'ultimo ai locali di proprietà esclusiva dei singoli condomini», che non comporta la esclusione dalla comproprietà dei titolari delle unità immobiliari per le quali non siano state contemplate delle diramazioni, avendo il solo scopo di individuare il punto terminale della comunione e, quindi di stabilire quali siano le parti dell'impianto per le quali le spese di riparazione debbono essere ripartite fra i condomini e non porsi a carico dei proprietari dei singoli locali.

Cass. civ. n. 6844/1988

L'art. 1123 c.c., nel consentire la deroga convenzionale ai criteri di ripartizione legale delle spese condominiali, non pone alcun limite alle parti, con la conseguenza che deve ritenersi legittima non solo una convenzione che ripartisca le spese tra i condomini in misura diversa da quella legale, ma anche quella che preveda l'esenzione totale o parziale per taluno dei condomini di partecipare alle spese medesime.

L'obbligazione in base alla quale ciascuno dei condomini è tenuto a contribuire alle spese per la conservazione e manutenzione delle parti comuni dell'edificio è propter rem, essendo strettamente connessa alla contitolarità del diritto di proprietà che i partecipanti alla comunione hanno su di esse, con la conseguenza che deve presumersi l'efficacia reale anche della clausola del regolamento di condominio, di natura contrattuale, con cui la singola unità immobiliare venga esonerata, in tutto o in parte, dal contributo nelle spese stesse — salvo che dalla clausola non risulti la inequivoca volontà di concedere l'esenzione solo a colui che, in un determinato momento, sia proprietario del bene — e deve quindi ritenersi che, detta clausola sia operante anche a favore dei successori, a titolo universale o particolare, del condomino in favore del quale l'esenzione era stata prevista.

Cass. civ. n. 8484/1987

L'art. 1123, primo cpv., c.c., che nell'ipotesi di cose destinate a servire i condomini in misura diversa dispone che le relative spese siano ripartite in proporzione dell'uso da ciascuno fattone, non può subire deroga per la circostanza che l'unità immobiliare sia compresa nella tabella millesimale generale dell'edificio condominiale, in quanto tali tabelle, formate in base al solo valore delle singole unità immobiliari, servono solo per il riparto delle spese generali e di quelle che riguardano le parti dell'edificio comuni a tutti i condomini, ma non sono utilizzabili per il riparto delle spese che non sono comuni a tutti i condomini in ragione del diverso uso delle cose condominiali. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Suprema Corte ha confermato la pronuncia della corte di merito che aveva ritenuto non dovute dalla parte attrice, la cui proprietà era pur inclusa nelle tabelle millesimali, le spese per la manutenzione delle fognature, in quanto il suo locale al piano interrato era sfornito di impianti igienici).

Cass. civ. n. 1253/1985

In tema di ripartizione delle spese condominiali (nella specie: spese del servizio di fornitura dell'acqua calda), i criteri stabiliti dal primo e dal secondo comma dell'art. 1123 c.c. possono essere derogati, secondo quanto prescrive espressamente l'indicata norma, soltanto da una convenzione sottoscritta da tutti i condomini interessati.

Cass. civ. n. 5793/1983

In tema di condominio degli edifici, la deliberazione assembleare, la quale, con riguardo alla ripartizione delle spese di portierato, la estenda anche ai proprietari dei vani terranei senza ingresso nell'androne, deve ritenersi affetta da nullità, non mera annullabilità, con conseguente proponibilità della relativa impugnazione in ogni tempo, anche dopo il termine di decadenza fissato dall'art. 1137 c.c., qualora, adottata a maggioranza, risulti integrare un riparto di dette spese difforme da quello fissato con regolamento condominiale di natura contrattuale, quale quello predisposto dall'unico originario proprietario dell'edificio e poi di volta in volta accettato dagli acquirenti delle singole porzioni, atteso che le disposizioni di tale regolamento sono modificabili solo attraverso una nuova convenzione conclusa dalla totalità dei condomini.

Cass. civ. n. 2489/1982

L'acquirente di appartamento condominiale è tenuto al pagamento delle spese comuni scaturenti da delibera assembleare antecedente all'acquisto (quale deve considerarsi la decisione presa alla unanimità dei condomini, mediante sottoscrizione di un foglio fatto circolare tra gli stessi) sia perché al successore a titolo particolare di uno dei contraenti sono trasferiti non solo tutti i diritti derivanti dal contratto, ma anche tutti gli oneri, ob rem ed in favore dei terzi, sia perché l'obbligo di pagamento delle spese in questione grava su ciascun condomino, ai sensi degli artt. 1104 e 1123 e seguenti c.c., per il solo fatto di avere in atto una quota di proprietà ed anzi, in ipotesi di alienazione di tale quota, si estende, in solido con il dante causa, alle spese dovute da quest'ultimo e non ancora da lui versate al momento dell'alienazione.

Cass. civ. n. 5751/1981

Le spese di portierato in un edificio condominiale, trattandosi di servizio per sua natura tale da assicurare la custodia-vigilanza dell'intero fabbricato, vanno ripartite tra i condomini alla stregua del criterio dettato dall'art. 1123, primo comma, c.c., la cui applicabilità può essere legittimamente negata solo se risulti una contraria convenzione (come espressamente previsto dall'indicata norma) oppure se si accerti che il servizio, per particolari situazioni di cose e luoghi, non può considerarsi reso nell'interesse di tutti condomini. (Nella specie, il S.C., enunciando il surriportato principio, ha ritenuto correttamente applicato l'art. 1123, primo comma, citato dai giudici del merito, che avevano accertato trattarsi di servizio di portierato notturno reso nell'interesse comune, e non dei soli condomini proprietari di autorimesse).

Cass. civ. n. 227/1977

«Spese condominiali necessarie» sono le erogazioni destinate ad assicurare alle cose comuni la destinazione ed il servizio che debbono realizzare e costituenti le finalità del condominio, come le riparazioni per manutenzione ordinaria o straordinaria. Spese «per la prestazione dei servizi nell'interesse comune» (art. 1123 c.c.) sono quelle concernenti opere necessarie alle parti comuni dell'edificio elencate nell'art. 1117 n. 2 e n. 3 c.c., nonché quelle intese ad assicurare il funzionamento dei relativi servizi. Il concetto di «servizi» accolto nell'art. 1123 c.c. non comprende anche le utilità derivanti ai condomini dall'adesione del condominio all'associazione della proprietà edilizia. Pertanto, la spesa per tale adesione non rientra fra quelle necessarie, ai sensi dell'articolo appena citato, ma fra quelle utili.

Cass. civ. n. 3808/1975

L'accordo intervenuto tra i condomini di un edificio in ordine alla ripartizione delle spese condominiali in proporzione agli imponibili catastali di ciascun appartamento non esclude il diritto del singolo condomino di chiedere la formazione, in via giudiziaria, della tabella millesimale e, cioè, l'accertamento dei valori dei vari appartamenti ragguagliati a quello dell'intero edificio ed espressi in millesimi; e ciò, sia perché questo accertamento ha un raggio di efficacia molto più vasto di quella propria allo specifico accordo sulla spartizione delle spese, sia perché quest'ultimo non può ritenersi vincolante per il futuro non essendo agganciato al valore dei piani di proprietà esclusiva dei singoli condomini.

Cass. civ. n. 506/1975

La disciplina condominiale in tema di ripartizione delle spese è in linea di principio derogabile ai sensi degli artt. 1123 e 1138 c.c.; le disposizioni in materia, contenute in un regolamento contrattuale, debbono essere modificate o con una nuova convenzione deliberata da tutti i condomini ovvero, in caso di dissenso tra loro, quando ricorrano le condizioni per la revisione o modificazione dei valori proporzionali dei piani o porzioni di piano, mediante una statuizione del giudice.

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Consulenze legali
relative all'articolo 1123 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

M. P. chiede
lunedì 05/02/2024
“Buongiorno,

fino all’aprile del 2023 sono stato proprietario di un appartamento afferente ad un condominio costituito da un corpo anteriore (rispetto alla pubblica strada) di sei unità abitative e da un corpo posteriore di due appartamenti (piano terra e primo piano), unito al precedente dall’utilizzo della stessa tromba di scale.
L’assemblea dei condomini aveva deliberato, nel novembre 2022, la manutenzione straordinaria della facciata del solo corpo anteriore in detrazione al 50 %, approvando la ripartizione delle spese secondo la tabella delle quote millesimali.
A tale data il mio appartamento, sito al primo piano del corpo posteriore, era già posto in vendita, tramite agenzia; presentatosi un compratore, al fine di predisporre il contratto di compravendita, ho provveduto a saldare le spese condominiali ancora in sospeso, come indicatomi dall’amministratore, inclusa l’importo relativo alla manutenzione straordinaria, calcolato dall’amministratore sulla base della semplice quota millesimale (nel mio caso 87/1000), pari ad euro 4442,60. Nell’atto notarile di vendita (avvenuta nell’aprile del 2023) è stata inserita la titolarità ad ottenere il rimborso in dieci anni del 50 per cento delle spese anticipate dal sottoscritto, prima dell’avvio dei lavori, effettuati nel corso dell’estate susseguente.
Tenendo conto che il corpo posteriore, dove è ubicato l’appartamento, non ha beneficiato del rifacimento della facciata, a differenza del corpo anteriore, a mio avviso ritengo ingiusta la ripartizione delle spese basata esclusivamente sulla tabella millesimale, mentre il mero utilizzo delle scale avrebbe dovuto comportare un calcolo proporzionalmente inferiore rispetto a quanto da me effettivamente versato. Tanto più che i garages, anch’essi collocati nella palazzina posteriore, non sono stati considerati nel computo millesimale (vedasi prospetto di ripartizione delle spese) in quanto non oggetto di intervento manutentivo.
L’urgenza correlata alla vendita dell’immobile non mi ha consentito di sollevare i miei dubbi nel corso dell’assemblea condominiale: nondimeno, nel caso questa mia opinione sia fondata, chiedo a codesto Studio di indicarmi le pezze d’appoggio giuridiche sulla cui base poter richiedere la rimodulazione delle spese già pagate, determinate sulla base di quello che reputo essere un errore a priori, ossia sproporzionato all’uso, come sembrerebbe lasciare intendere il II comma dell’art. 1123 CC.
Sarò grato di un vs. riscontro e porgo cordiali saluti”
Consulenza legale i 10/02/2024
Per poter dare una risposta precisa al quesito sarebbe necessario capire se le facciate dei due corpi di fabbrica possano considerarsi un bene comune ex art. 1117 del c.c. all’intero complesso edile descritto, e quindi alla totalità dei condomini che lo compongono; oppure, se la singola facciata deve considerarsi come un bene comune a solo quei condomini che abitano nel corpo di fabbrica a cui la facciata si riferisce.
La risposta a tale domanda dipende dalle caratteristiche costruttive del complesso edile e può essere data solo da un geometra o un architetto: se fossimo in presenza del primo caso descritto i due corpi di fabbrica dovrebbero considerarsi come un unico condominio al cui interno vi sono però ai sensi dell’ultimo comma dell’art 1123 del c.c. più cortili, scale o comunque impianti destinati a servire una sola parte dell'intero fabbricato; se fossimo invece in presenza del secondo caso descritto, saremmo davanti ad un super condominio previsto dall’ art. 1117 bis del c.c., e i due corpi di fabbrica potrebbero considerarsi due condomini di per sé autonomi, i quali hanno però in comune alcuni beni e servizi (per esempio la tromba delle scale).

Da come sono state suddivise le spese di rifacimento della facciata relativa al corpo di fabbrica anteriore è molto probabile che l’amministratore consideri il complesso edile come un unico edificio e quindi come un unico condominio. Se così fosse, la ripartizione effettuata apparirebbe corretta: l’unico criterio giuridicamente legittimo per poter ripartire le spese condominiali è la suddivisione per mezzo delle tabelle millesimali e, nel caso specifico, la tabella da utilizzare per ripartire i lavori di rifacimento della facciata è quella dei millesimi generali di cui all’ art. 1123 del c.c. e non certamente la tabella scale prevista dal successivo art. 1124 del c.c..

Per la verità leggendo il quesito si ha la sensazione che l’amministratore sia nel giusto, ma non sarebbe la prima volta che un tecnico competente vada a sconfessare l’operato di un amministratore di condominio. Se il tecnico confermasse che i due corpi di fabbrica anteriore e posteriore sono in realtà due condomini autonomi le conclusioni a cui si è giunti prima muterebbero radicalmente. Come già si è detto, in questo secondo caso la facciata dovrebbe considerarsi un bene comune solo a quei condomini che abitano il corpo di fabbrica anteriore: gli altri proprietari, ricompresi nel corpo di fabbrica posteriore, non dovrebbero in alcun modo partecipare alle sue spese di ristrutturazione e manutenzione. Questo per il semplice motivo che questo secondo gruppo di condomini non sono in alcun modo comproprietari della facciata del condominio anteriore e quindi non possono deliberare sui suoi lavori di ristrutturazione e manutenzione, e non devono quindi sobbarcarsi i relativi costi.
Se così fosse, la delibera che ha approvato a suo tempo il riparto di spesa dei lavori di manutenzione della facciata sarebbe gravemente nulla ed impugnabile in ogni tempo anche eventualmente da un ex condomino. La conferma di queste argomentazioni può essere però data solo da un tecnico.

C. G. chiede
venerdì 19/01/2024
“Oggetto: Ripartizione dei Costi per Perdite d'Acqua in Spazi Condominiali Comuni

Gentile Avvocato/i,

Mi rivolgo a Voi per un chiarimento in merito alla ripartizione dei costi derivanti da una perdita d'acqua verificatasi negli spazi comuni del mio condominio. La perdita, situata nella rampa dei box condominiali, è stata presente per diversi anni (dal 2018) e ha portato ad un consumo eccessivo di circa 4.000 metri cubi d'acqua, con un debito accumulato verso ACEA di oltre 30.000 euro.

Nel 2022, dopo la prima chiusura del contatore da parte di ACEA e una successiva richiesta di rateizzazione del debito da parte del nostro amministratore, l'assemblea condominiale ha deciso di dividere un importo di 8.894 euro (saldo delle prime rate) in base ai consumi individuali di acqua di ogni condomino per l'anno 2022. Tuttavia, ogni condomino ha già un contatore individuale e paga annualmente il proprio consumo.

La mia preoccupazione è che la ripartizione basata sui consumi individuali non sia equa o conforme alle normative vigenti, dato che la perdita si è verificata in uno spazio comune e non all'interno delle singole unità abitative. Ho fatto presente in più occasioni che, a mio avviso, la divisione dei costi dovrebbe essere effettuata in base ai millesimi di proprietà e non in base ai consumi individuali dell'anno 2022.

In questo contesto, vorrei sapere se esiste un articolo specifico nel codice civile italiano che regolamenti la ripartizione dei costi per danni o perdite in spazi comuni condominiali, e se la decisione presa dalla nostra assemblea condominiale sia conforme a tale normativa.

Vi sarei grata se poteste fornirmi un parere legale su come dovrebbero essere correttamente ripartiti questi costi e se la modalità adottata dal nostro condominio sia giuridicamente corretta.

Ringraziandovi anticipatamente, resto in attesa di una vostra risposta.


Consulenza legale i 24/01/2024
La ripartizione effettuata dall’amministratore è corretta e conforme alla giurisprudenza dominante sull’argomento.
Sul punto, infatti, la giurisprudenza ha più volte ribadito come le spese attinenti al consumo idrico condominiale in presenza di contatori di sottrazione installati in ogni singola unità immobiliare, debba avvenire sulla base dei metri cubi effettivamente contabilizzati da tali apparati, e quindi in base al consumo individuale di ciascun condomino: solo in mancanza di essi il riparto deve essere effettuato in base ai millesimi di proprietà, così come previsto dal primo comma art. 1123 del c.c. (tra le tante in questo senso Cass. Civ. Sez.II, del 1° agosto 2014 n. 17557). A nulla rileva il fatto che la perdita è avvenuta nelle parti comuni dell’edificio, considerando anche il fatto che l’acqua perduta era comunque destinata al consumo individuale di ciascun condomino.

Ovviamente, il discorso cambia radicalmente in relazione alle spese sostenute per ripristinare la funzionalità delle tubature che hanno causato la perdita. Tali manufatti, trovandosi in spazi condominiali, devono considerarsi beni comuni ai sensi dell’art. 1117 del c.c.: di conseguenza le spese attinenti alla loro manutenzione dovranno essere ripartite tra tutti i condomini in proporzione ai millesimi di proprietà di ciascuno, così come previsto dal 1° comma dell’art.1123 del c.c.


F. I. chiede
lunedì 15/01/2024
“Buonasera.
Le descrivo la questione spero nel più chiaro modo possibile:
Io abito in un supercondominio composto da tre blocchi di abitazioni (non so se serve questa info)
Tutti e tre questi blocchi hanno in comune un unico corsello box interrato con vari accessi pedonali per la sua lunghezza ed una rampa di uscita.
Ad una estremità del corsello box (in prossimità di un accesso pedonale) c’è il locale spazzatura.
Ci sono dei condomini che non hanno né box né posto auto e, anche se accedono solo per il locale pattumiera si ritrovano a pagare le spese del corsello box come chi ha il box o il posto auto.
Secondo voi è corretto oppure in un caso come questo è possibile una ripartizione della parte comune differente?
Spero di aver spiegato al meglio la questione”
Consulenza legale i 19/01/2024
La suddivisione delle spese del corsello box è assolutamente corretta e rispettosa di quanto previsto dall’art. 1123 del c.c.
Il secondo comma dell’art. 1123 del c.c., dispone che: "Se si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione dell'uso che ciascuno può farne": tale norma, tuttavia, non deve assolutamente trarre in inganno e far pensare che nel caso specifico essa autorizzi un riparto delle spese più favorevole per coloro che non sono proprietari di un box o di un posto auto.

La giurisprudenza (su tutte, Cass Civ., Sez.II, n.13160 del 6.12.1991) infatti, ha statuito che il principio racchiuso nella norma citata trova applicazione per quei servizi condominiali che per le loro caratteristiche oggettive, siano suscettibili di un utilizzo separato da parte dei condomini. Il comma 2° dell'art. 1123 del c.c., trova quindi sempre applicazione solo in quegli edifici o complesso di edifici, i quali presentano caratteristiche costruttive tali da non permettere un uso paritario e identico di un determinato bene comune. Al contrario, ai fini dell’applicazione di tale comma, non ha al alcun rilievo il fatto che per una qualsivoglia ragione personale e soggettiva un determinato gruppo di condomini faccia un uso meno intenso rispetto ad altri proprietari di un determinato cespite condominiale.

Nel caso specifico, il gruppo di condomini non possessori di un box auto utilizzano comunque il corsello di manovra, anche se in misura diversa rispetto ai proprietari delle autorimesse: tale utilizzo, anche se qualitativamente minore, comporta che anche tale gruppo di condomini deve partecipare alle spese di tale manufatto in proporzione al valore millesimale della loro proprietà individuale, così come dispone il primo comma dell’art. 1123 del c.c.

E. F. chiede
venerdì 12/01/2024
“Buonasera,

in data 12/09/2022 ho acquistato un ufficio (A10) in un condominio.
Contattato l'amministartore, sono finalmente venuto in posesso del Regolamento Condominiale dal quale scopro che in data 04/03/2003, previa convocazione di Assemble Straordinaria, è stata deliberata la ripartizione della totalità delle spese di manutenzione ordinaria del verde comune a carico delle sole unità ad uso ufficio presenti nello stabile.

Contattato l'amministratore per chiedere chiarimenti in merito, lo stesso, per le vie brevi, mi ha comunicato che il precedente proprietario e costruttore dello stabile, ha accettato la proposta di "caricare" solo sugli uffici la totalità delle spese suddette in cambio di qualcosa di cui non è dato ben sapere. Ovviamente il tutto sembrerebbe essere stato fatto tramite delibera unanime dell'assemblea.

Poichè ritengo la "questione" poco chiara e non del tutto trasparente, oltre ad essere del tutto non equa, ovviamente vorrei si ripartissero tali spese in base ai millesimi di proprietà di tutti i condomini, posso fare qualcosa in merito senza passare dall'assemblea?

Nel caso dovessi passare dall'assemblea, con che maggioranza la revisione dovrebbe essere approvata?

Infine, posso chiedere copia del verbale dell'assemblea straordinaria e delle relative convocazioni a suo tempo fatte per verificare eventuali vizi di nullità/annullabilità? Nel caso, nel 2003 valevano le stesse previsioni di oggi (i.e. convocazione tramite A/R o pec almeno 5 giorni prima del giorno della prima convocazione, etc.)?

Grazie per la collaborazione

Cordialità

Consulenza legale i 16/01/2024
Le ragioni dell’autore del quesito sono assolutamente fondate.
Come è noto, la giurisprudenza in maniera assolutamente granitica e costante ammette che le norme del codice civile disciplinanti la ripartizione delle spese condominiali possano essere derogate da accordi adottati dalla unanimità dei proprietari: il primo comma dell'art 1123 del c.c. prevede infatti che il criterio normativo di ripartizione degli oneri condominiali in base ai millesimi di proprietà possa essere derogato da diversa convenzione adottata da tutti i soggetti che in quel momento vanno a comporre la compagine condominiale.
Tali convenzioni, tuttavia, non possono essere opposte (i.e.: fatte valere) a quei proprietari che hanno acquistato l’appartamento o una qualsiasi altra unità immobiliare ricompresa nel condominio in un momento successivo al loro perfezionamento. Infatti, per il principio delle efficacia relativa del contratto previsto nel nostro ordinamento dall'art. 1372 del c.c., una qualsiasi convenzione adottata a norma del codice civile esplica i suoi effetti solo tra quei soggetti privati che l’hanno accettata (accettazione, che in ambito condominiale si realizza sicuramente anche esprimendo voto favorevole in sede assembleare), ma non può certamente essere estesa a soggetti terzi che non hanno in alcun modo preso parte alla formazione della convenzione medesima.

Per questi motivi la ripartizione del verde condominiale adottata con la delibera del 04.03.2023, anche se presa con l’unanimità di tutti i proprietari che allora componevano il condominio, non può certamente essere opposta al nuovo condomino e autore del quesito.

Per tutti questi motivi, è assolutamente opportuno inviare una pec o una raccomandata cartacea all’ amministratore con la quale disconoscere fin da subito ogni riparto delle spese inerenti al verde condominiale approvato dalla assemblea con criteri diversi rispetto a quelli indicati dagli artt. 1123 e ss. del c.c. Se nonostante tale comunicazione, nel primo bilancio di prossima approvazione le spese inerenti alla ripartizione del verde comune verranno ripartite utilizzando il criterio approvato dalla delibera del 04.03. u.s., vi saranno allora tutti gli estremi per impugnare la delibera di approvazione del bilancio, a patto però che si rispetti il rigido termine perentorio di impugnazione indicato dall’ art. 1137 del c.c..


E. P. chiede
mercoledì 13/12/2023
“Buonasera, sono proprietaria di un box auto situato nel piano seminterrato di un edificio. Al box auto si accede solo attraverso cancello automatico separato mentre all'edificio con 13 unità immobiliari si accede solo attraverso altro cancello condominiale.
Il mio box, insieme ad altri 8 box e una cantina sempre al piano seminterrato è parte di un condominio "parziale" di soli box. Infatti, originariamente l'area era destinata a magazzino. All'atto della divisione del locale in 9 box auto, il proprietario decise di costituire anche un condominio a parte per regolarne la gestione. Stante quanto precedentemente esposto:
è corretto che i proprietari dei box paghino oltre alle spese di elettricità, pulizia e oneri dell'amministratore del proprio condominio di box, anche le spese generali delle unità abitative sovrastanti (elettricità, manutenzione viale accesso, pulizia scale)che costituiscono ulteriore condominio? L'amministratrice sostiene che siano dovute in quanto l'intera area dei box rappresenta anche 221 millesimi dell'intero Fabbricato e che quindi i box sono contemporaneamente condominio parziale e parte del condominio composto anche dalle unità abitative. Inoltre sono stati da poco effettuati dei lavori sul tetto della torretta condominiale (il locale condominiale che funge da accesso alla terrazza condominiale e che quindi ha funzione anche di copertura di metà del terrazzo condominiale) situata al 5° piano, chiedendo ai proprietari dei box di concorrere alle spese secondo i famosi 221 millesimi della tabella A. Ma se così fosse, non dovrebbe essere anche il contrario e cioè che gli stessi proprietari gli appartamenti dovrebbero concorrere alla manutenzione del piano interrato che rappresenta le fondazioni dell'edificio? Perché in questo caso dobbiamo pagare solo noi dei box auto? Spero di esser stata in grado di spiegare al meglio la situazione e di trovare congrua spiegazione da parte vostra. Ringraziandovi anticipatamente rimango in attesa di vostro parere in merito.”
Consulenza legale i 19/12/2023
A parere di chi scrive l’amministratore del condominio non sempre applica in maniera corretta l’istituto del condominio parziale.
Tale istituto giuridico è stato teorizzato dalle pronunce della giurisprudenza della Corte di Cassazione e trova il suo addentellato normativo nel 3° co. dell’art.1123 del c.c. Esso si concretizza: "tutte le volte in cui un bene (es. scale, ascensore, tetto, ecc.) risulti, in ragione delle sue obiettive caratteristiche strutturali e funzionali, destinato al servizio e/o al godimento, in modo esclusivo, di una parte soltanto dell'edificio in condominio, esso rimane oggetto di un autonomo diritto di proprietà, venendo in tal caso meno il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria di tutti i condomini su quel bene" (Cass.Civ.,Sez.II n. 12641 del 17 giugno 2016).

Si deve prestare attenzione, in quanto il condominio parziale non è qualcosa di diverso e distinto rispetto al condominio generale in cui esso è contenuto: esemplificando possiamo dire però che la sua esistenza comporta che i proprietari delle unità immobiliari in esso ricomprese devono considerarsi comproprietari solo di quelle parti dell’edificio e di quei servizi condominiali elencati dall'art. 1117 del c.c. che per ragioni oggettive e strutturali dell’edificio sono necessari per garantire il miglior godimento e la migliore fruibilità delle unità immobiliari di cui sono proprietari. Ragionando al contrario, i condomini che compongono il condominio parziale rimangono invece esclusi dalla comproprietà di quelle parti dell’edificio e da quei servizi condominiali che sempre per ragioni oggettive e costruttive dell’edificio non sono necessarie per assicurare il godimento e la fruibilità della unità immobiliare di cui sono proprietari. Ciò ha un risvolto pratico molto importante: visto che i condomini del condominio parziale non possono considerarsi comproprietari di ciò che seppur presente nel palazzo non è necessario al godimento della unità immobiliare di loro proprietà, essi, tra le altre cose, sono ovviamente esclusi dall’ obbligo di corrispondere i relativi oneri condominiali riconducibili alla manutenzione ordinaria e straordinaria di tali ultimi elementi.

Applicando quanto detto al caso prospettato si può dire che i proprietari dei box auto (i quali costituiscono un condominio parziale), contrariamente a quanto sostenuto dall’amministratore dello stabile, non devono sopportare le spese inerenti gli oneri di pulizia ed elettricità attinenti alla scala che serve unicamente le unità immobiliari site ai piani fuori terra superiori: questo per il semplice motivo che tale scala non è necessaria per permettere ai condomini del condominio parziale di godere ed utilizzare i propri box auto!

Il discorso, però, potrebbe mutare per le fondamenta e il tetto dello stabile: tali parti sono considerate comunemente come elementi necessari per la stessa esistenza dell’ intero edificio condominiale e quindi, a differenza dell’esempio precedente, sono essenziali per garantire ai loro rispettivi proprietari il godimento e l’utilità non solo delle unità immobiliari poste ai piani superiori ma anche per i box auto posti al piano interrato, i quali senza tali elementi semplicemente non esisterebbero materialmente!
Questo da un punto di vista pratico comporta che in caso vi sia la necessità di eseguire lavori di manutenzione ordinaria o straordinaria sulle fondamenta o sul tetto, tutti i proprietari che compongono il condominio nel suo complesso, quindi sia il gruppo di proprietari che compongono il condominio parziale ma anche quelli che ne sono esclusi, dovranno sopportare i relativi oneri concorrendo ai sensi del 1° comma dell’art. 1123 del c.c. in proporzione ai loro rispettivi millesimi di proprietà.

Ad ogni modo per capire se una determinata parte dell’edificio possa considerarsi o meno ricompresa nel condominio parziale (si pensi ad esempio al tetto) è necessario ed essenziale analizzare con un tecnico edile le caratteristiche costruttive del corpo di fabbrica condominiale.

L. P. chiede
domenica 12/11/2023
“Da 5 anni abito in condominio di 9 appartamenti costruito 40 fa. Tra i lavori di ristrutturazione feci installare il contatore dei consumi di acqua fredda). Lo stesso ha fatto un nuovo condomino 2 anni fa. L’addebito dei consumi di acqua fredda viene effettuato sulla base del n. delle persone che risiedono in ogni appartamento. In assemblea due anni fa feci presente che le normative attuali mi consentivano di pagare per i miei consumi effettivi rilevati dal contatore, tanto più che mi assento dall’abitazione per almeno tre mesi all’anno. L’argomento venne rimandato all’assemblea successiva, giugno 2023, nella quale due condomini dissero che le spese per l’installazione di detto contatore erano troppo elevate, un terzo condomino che lavori fatti anni fa nel suo appartamento (credo trasformazione di due appartamenti in uno) non consentivano l’installazione del contatore, al che l’amministratore commentò che probabilmente quella era la situazione !? Il verbale dell’assemblea recita: “La signora XXX chiede di poter rivedere l’addebito dell’acqua per addebiti a persona per chi non ha i contatori e per la lettura dei contatori. L’assemblea approva comunque di continuare con il criterio attuale da sempre esistito.” (non è esattamente così, io mi sono limitata a sostenere la richiesta di pagare per i miei consumi effettivi).
Leggo in altra vostra risposta a quesito analogo che non è necessaria la votazione assembleare a riguardo. Alla prossima assemblea per approvare il consuntivo dell’annualità 01-07-2022 – 30.06.2023 intenderei ribadire che già a partire da tale annualità provvederò a pagare l’acqua fredda sulla base dei consumi rilevati dal mio contatore avendo fotografato i consumi all’inizio ed alla fine dell’annata, dichiarandomi pronta a pagare la mia quota dei consumi di carattere condominiale tipo pulizia parti comuni, ecc. dopo che sarà stato installato un contatore specifico. E’ opportuno che io segnali all’amministratore questa mia posizione prima dell’assemblea?
Ringrazio per la risposta, grata se mi vorrete anche precisare esattamente come mi devo esprimere.

Consulenza legale i 17/11/2023
Rifacendosi alla normativa che disciplina il servizio idrico integrato e richiamando gli obblighi previsti dal DPCM n. 04.03.96 il Tribunale di Milano con l’importante pronuncia n. 4275 del 03.05.2019 ha chiarito come sussista nel nostro ordinamento un diritto soggettivo del singolo condomino di poter dotare il proprio appartamento di sotto contatori tesi a misurare i mc di acqua prodotta dalla unità immobiliare occupata. I giudici meneghini precisano poi che tale diritto non può essere condizionato o limitato da una qualsivoglia autorizzazione assembleare. Logico corollario di tale diritto è la possibilità per il singolo proprietario che ha provveduto a sue spese ad installare il contatore d’acqua individuale di vedersi contabilizzato nel riparto consuntivo di fine anno il proprio consumo in base ai mc indicati nel contabilizzatore e non in base ad altri criteri di riparto.

In merito a questi ulteriori criteri di riparto la giurisprudenza della Corte di Cassazione (su tutte Cass.Civ n.17557/14) ha più volte chiarito come in assenza di sistemi che permettano di attribuire a ciascun proprietario il loro effettivo consumo di acqua, l’unico metodo legittimo per suddividere la bolletta idrica sia la suddivisione tramite millesimi prevista dal 1° co. dell’art.1123 del c.c.: ogni altro criterio, compreso la suddivisione a persona è contrario alla legge se non adottato preventivamente con il consenso unanime di tutti i proprietari.
Sulla base di quanto detto è quindi possibile concludere che in presenza di sistemi che permettano una contabilizzazione individuale dei mc di acqua consumati, l’unico criterio corretto per suddividere la spesa annuale riferibile al consumo idrico del palazzo sia in base ai mc effettivamente riconducibili a ciascun appartamento; in assenza di detti sistemi di contabilizzazione la bolletta dell’acqua intestata al condominio dovrà essere ripartita tra tutti i condomini sulla base dei millesimi di proprietà. La giurisprudenza, all’infuori di questi due criteri di riparto, non ritiene legittimo nessun altro sistema di suddivisione della spesa, ivi compreso il riparto “a persona”, se non preventivamente adottato dalla unanimità dei condomini.

Venendo quindi a trattare il caso specifico, si può dire che l’autrice del quesito ha il pieno diritto di pretendere che l’amministratore attribuisca una spesa individuale di consumo dell’acqua condominiale parametrato ai mc effettivamente indicati dal contabilizzatore da lei installato. Viceversa, una delibera che approvasse un riparto condominiale che gli attribuisse un consumo idrico parametrato al numero di persone che occupano il suo appartamento o in base ai millesimi di proprietà deve considerarsi illegittima e pertanto impugnabile. Tale impugnazione tuttavia non potrà essere proposta in ogni tempo, ma entro i rigidi termini previsti dall’art. 1137 del c.c..
È assolutamente consigliabile e opportuno che l’autrice del quesito renda edotto l’amministratore dei suoi intendimenti prima della riunione annuale di condominio che andrà ad approvare il rendiconto per il nuovo anno contabile.


Anonimo chiede
lunedì 23/10/2023
“Buongiorno,
sono proprietaria di un appartamento inserito in un condominio di 6 appartamenti. Sono al piano terra e ho il giardino. Il Condominio vuole rifare la pavimentazione dell'area cortilizia che dal cancello porta ai garage. Il preventivo selezionato comporta una spesa di circa 15.000,00 euro. Secondo il codice civile andrebbe ripartita per millesimi, fatto salvo che nel regolamento di condominio non sia disposto diversamente per le spese condominiali. Non c'è l'amministratore.

Visto che nel riparto della spesa devo sostenere una quota superiore agli appartamenti più piccoli di circa 1.200.00,00 ho chiesto al condominio di fare il riparto in parti uguali con la seguente motivazione:
a) l'area cortilizia che dal cancello elettrico ai 6 garage viene utilizzata da tutti i condomini tranne la sottoscritta avendo una macchina a Gpl. Pertanto il consumo del cortile è imputabile a loro e non alla sottoscritta.
b) ho invocato l'eccezione all'applicazione del codice civile visto che non abbiamo un regolamento condominiale e trattasi di una spesa "straordinaria".
c) ho precisato che concorro alle spese condominiali generali, ordinarie, in millesimi ma la quota non è corrispondente al reale consumo: vivo con il figlio. Negli altri appartamenti ci sono 4 persone. Vivo al piano terra.
- il costo luce scale per la mia parte è esiguo. Non accendo la luce vista la vicinanza all'area esterna.
- poiché il mio nucleo è costituito da 2 persone, mentre negli altri appartamenti sono in 4, il consumo del depuratore e acquisto sale condominiale è molto ridotto da parte mia.
- non innaffio il giardino, non lavo la macchina all'interno dell'area cortilizia, vado dal benzinaio.
- ho sempre pagato la manutenzione del cancello elettrico e lo spurgo fogne o altre spese
- Ho sempre pagato le spese condominiali, ordinarie, ripartite in millesimi, senza fare storie.

Ma per quanto concerne le spese "straordinarie" ho ragione quando chiedo il riparto dei costi dell'area cortilizia in parti uguali per i motivi suesposti?

Il condominio non vuole fare le certificazioni per quanto concerne il controllo dei fumi sul tetto, dei camini, e il controllo dell'impianto elettrico. Paghiamo un'assicurazione annuale. L'assicurazione ci ha già avvisato che in caso di incendio o fumi condominiali non risponde. Ho chiesto che venga nominato un amministratore ma i condomini non vogliono costi aggiuntivi. E' un condominio del 1988 e non c'è mai stato l'amministratore. Vivo nel condominio dal 1997.
Fino ad oggi non ci sono stati problemi.

Inoltre non ho disponibilità economiche e non riesco, oggi, a sostenere il costo dell'area cortilizia di circa 3.200,00. Ho chiesto al condominio di procrastinare il lavoro passati questi due anni, visto che poi andrò in pensione e potrò utilizzare il Tfr. Al momento ho già impegni finanziari con la banca e ho già raggiunto la quota di 1/5 dello stipendio.

La proroga dei lavori non comporta rischi al condominio, danni vari alle tubature o altro.

Confido di aver illustrato chiaramente le divergenze condominiali e il problema del riparto costo rifacimento area cortilizia.

Cordiali saluti”
Consulenza legale i 03/11/2023
Purtroppo le argomentazioni presenti nel quesito non hanno alcun fondamento giuridico e pertanto le spese riguardanti il rifacimento del cortile non possono essere divisi per teste in parti uguali a meno che questa modalità di suddivisione non venga approvata dalla unanimità dei sei proprietari.

La giurisprudenza in maniera assolutamente granitica e costante ha chiarito come, in assenza di un regolamento di condominio di natura contrattuale nel quale vi siano contenuti disposizioni particolari derogatorie alle norme del codice civile, gli unici criteri validi per ripartire le spese condominiali sono quelli previsti dagli artt. 1123 e ss. del c.c. Per tale motivo l’unico criterio giuridicamente ammissibile per ripartire le spese condominiali è in proporzione ai millesimi attribuiti a ciascun condomino nelle relative tabelle

La nomina dell’amministratore non è obbligatoria in quanto il numero di condomini è basso: come infatti prevede l’art. 1129 del c.c. l’obbligo di nominare un amministratore scatta solo nel caso in cui il numero di proprietari che compongono la compagine condominiale sia superiore ad 8.

Tuttavia sovente nei piccoli condomini come quello descritto nel quesito, proprio la mancanza dell’amministratore comporta che i proprietari tralascino alcune manutenzioni che a prima vista possono apparire non necessarie, ma che invece è importante eseguire per prevenire eventuali ipotetici danni e problematiche assicurative: si fa proprio riferimento al controllo fumi della caldaia e alla messa a norma dell’impianto elettrico.
La mancanza di tali controlli può comportare conseguenze molto spiacevoli per i proprietari dell’immobile nel malaugurato caso che accadano improvvisi incidenti (si pensi a scoppi i incendi ecc. ecc.), conseguenze che saranno resi ancora più gravose dal fatto che l’assicurazione condominiale difficilmente sarà propensa a coprire un ipotetico danno (che può essere anche molto ingente) se gli impianti condominiali non saranno a norma nel momento in cui accadrà l’evento lesivo.
Da questo punto di vista è altamente consigliabile che l’autore del quesito prenda in mano la situazione e ai sensi del 2° co. dell’art. 66 delle disp. att. c.c. provveda a convocare una assemblea di condominio avente come ordine del giorno proprio la messa a norma degli impianti citati nel quesito. Il giorno scelto per la riunione (che solitamente per prassi coincide con quello di seconda convocazione) sarà opportuno procedere ad una accurata verbalizzazione dando atto dei proprietari presenti personalmente o per delega e verbalizzando con cura il risultato di ogni votazione per ciascuno degli argomenti all’ordine del giorno.

Se i condomini riuniti in una assemblea opportunamente convocata seguendo scrupolosamente le norme di legge si rifiuteranno di provvedere alla messa norma degli impianti, si avrà poi la possibilità di ricorrere all’autorità giudiziaria così come prevede il 4° co. dell’art. 1105 del c.c. Secondo tale comma se non si prendono i provvedimenti necessari per l'amministrazione della cosa comune o non si forma una maggioranza è possibile ricorrere al giudice, il quale in sostituzione dei condomini adotterà in camera di consiglio, previo un rapido contraddittorio con i proprietari i provvedimenti necessari e opportuni a tutela delle parti comuni dell’edificio. Queste tipologie di iniziative giudiziarie sono caratterizzate da un rito camerale piuttosto rapido e quindi non si sta parlando di contenziosi particolarmente lunghi nel tempo: ovviamente nulla vieta che il condomino che ha assunto tale iniziativa possa chiedere che il giudice condanni gli altri proprietari al pagamento delle spese di giudizio. Ovviamente, stante quello che si è già detto, anche gli oneri condominiali che conseguiranno al controllo dei fumi e alla messa norma dell’impianto elettrico dovranno essere divise proporzionalmente ai millesimi e al pagamento dovrà concorrere anche il proprietario che ha assunto diligentemente l’onere della iniziativa giudiziaria a tutela delle parti comuni.



D. C. chiede
mercoledì 18/10/2023
“Buongiorno,
vorrei sapere il calcolo delle quote per il subentro in proprietà ed uso di una piattaforma elevatrice installata nella nostra palazzina* da un solo condomine alcuni anni addietro.
• Palazzina composta da 6 condomini – ( 3 piani + 1 piano ex terrazze trasformate di sola pertinenza dei proprietari del 3° piano). L’ascensore è stato progettato e prevede lo sbarco anche al 4° piano di utilizzo solo dei proprietari del 3° piano.

• Scala millesimale utilizzata dal Condominio per la ripartizione delle spese della Scala:
millesimi millesimi
1 piano sx 19,800 1 piano dx 33,110
2 piano sx 28,700 2 piano dx 3 4,150
3 piano sx 33,750 3 piano dx 40,160

• Installazione di un contatore di energia elettrica (già effettuata in luglio 2023) a nome e per conto del condominio a solo esclusivo uso dell’alimentazione dell’ascensore della scala C. (Le spese verranno ripartite secondo la scala millessimale in uso dall’amministratore del condominio.

1) 2018 è stata convocata un’assemblea di scala con raccomandata, il proprietario del 3° piano sx per ragioni di salute, chiede di installare una piattaforma elevatrice e presenta progetto e preventivo di spesa. Da qualche mese erano già state deliberate il rifacimento delle facciate (altre spese già preventivate e deliberate), dunque non si è voluto aderire alla realizzazione della stessa. L’assemblea in quella occasione ha concesso l’autorizzazione all’installazione della piattaforma, con la sola condizione che la cabina dell’ascensore avesse le pareti in vetro e non oscurasse l’illuminazione naturale della scala dalle finestre. Nella stessa occasione i 2 condomini del primo piano dx e sx, hanno comunicato la loro non adesione nemmeno in futuro di un eventuale subentro.

2) Gennaio 2019 installazione della piattaforma elevatrice. Costo del bene documentato da fatture € 24.918,28 + € 1.583,09 (Spese professionisti, bolli, racc., pratiche etc.) Totale € 26.501,37.

In fase di installazione i due condomini del 2° piano (dx e sx) abbiamo aderito all’acquisto della porta e delle modifiche per lo sbarco per un futuro subentro, pagando con bonifico bancario al proprietario del 3° piano sx la quota di € 467,50 cadauno per un totale di € 935,00. (importo documentato da fatture di modifiche fatte dall’installatore). Questo importo e già compreso nel totale del bene di € 26.501,77.

3) Quote di manutenzione richieste per il subentro:
Costo manutenzione ordinaria sino al 31/12/2022 € 425,00
Costo manutenzione ordinaria dal 1/1/2023 al 30/09/2023 € 374,97
Totale € 799,97

Costo del Bene € 26.501,37 + Costo Manutenzione € 799,27 = € 27.301,34

Atto di COMPRAVENDITA QUOTE MONTACARICHI (redatto dall’Avvocato del proprietario 3° piano sx) facente riferimento all’art. 1121 c.c. chiede in pratica € 27.301,34 / 4 = € 6.825,33 è legate e corretto?



Chiedo in base art. 1121 c.c. citato si devono calcolare:
è legale la suddivisione in parti uguali pari al 25% o deve essere calcolato in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascun condomino partecipante
si devono calcolare le rivalutazioni del costo
si deve calcolare il deprezzamento subito dal bene oggetto dell’innovazione a seguito dell’utilizzo continuato e della naturale obsolescenza.
Si devono considerare le detrazioni fiscali usufruite solo dal proprietario del 3° piano sx.

Rimango in attesa di un Vs. riscontro
Grazie.”
Consulenza legale i 25/10/2023
A parere di chi scrive entrambe le modalità di suddivisione avanzate dalle parti in conflitto sono errate.
La giurisprudenza della Corte di Cassazione con un orientamento che si può considerare consolidato (si veda tra le tante Cass. Civ n. 8746 del 18.08.1993 e Cass Civ. n.20713 del 04.09.2017), stabilisce che la tabella scala di cui all’art.1124 del c.c. debba essere utilizzata per ripartire le spese inerenti alla manutenzione ordinaria e quelle riguardanti la manutenzione straordinaria o eventualmente la sostituzione di un impianto ascensore già presente nel palazzo. Viceversa, le spese inerenti all’installazione di un impianto ascensore ex novo prima non presente nello stabile devono essere ripartite tra i condomini utilizzando la tabella generale di proprietà di cui al 1° dell’art. 1123 del c.c., e non, come sosterrebbe il legale di controparte una suddivisione per teste in parti uguali.

Facendo proprio applicazione di tale consolidata giurisprudenza il G.d.P. di Bari con la sentenza n.5632 del 13.10.2011 ha statuito: "In caso di installazione successiva dell’impianto di ascensore (n.d.r., condominiale), trattandosi di innovazione voluttuaria o eccessivamente gravosa, suscettibile di utilizzazione separata, per stabilire il criterio attraverso il quale determinare la contribuzione “pro quota” dei condomini che intendono avvalersene successivamente, l’unico criterio è quello previsto dall’art. 1123 c.c., ossia la quota di ingresso deve essere determinata in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, calcolando, in primo luogo, il costo complessivo dell’ascensore sopportato dal condomino che l’ha installato, rivalutato al momento della domanda; in secondo luogo a tale importo dovranno poi essere detratte le agevolazioni godute dal medesimo (nella specie, per invalidità civile); infine tale importo andrà ripartito tramite le tabelle millesimali generali rivalutate in relazione alla innovazione apportata".

Una volta determinata la quota relativa agli oneri di installazione dell’impianto determinata ai sensi dell’ art. 1123 del c.c., colui che vuole subentrare dovrà anche corrispondere la quota parte delle spese di manutenzione finora sopportate unicamente dal condomino o dal gruppo di essi che ha inizialmente installato e usufruito dell’ impianto: anche in questo caso, tali spese di manutenzione dovranno essere rivalutate al costo attuale della moneta al fine di evitare ingiusti arricchimenti a vantaggio dei subentranti (Cass.Civ n. 8746/1993).
Ovviamente in questo caso a differenza di prima, per determinare l’esatto ammontare della quota di spese ordinarie a cui dovrà far fronte colui che vorrà successivamente usufruire dell’ascensore si dovrà ricorrere all’ utilizzo della tabella scala di cui all’art. 1124 del c.c.

Dato il quadro giuridico generale applicabile nella fattispecie descritta nel quesito si consiglia di rivolgersi all’amministratore del condominio per il calcolo esatto della somma necessaria per subentrare nella proprietà e nell’utilizzo dell’ascensore: tale figura professionale è infatti in possesso delle competenze e di tutti gli elementi necessari per fornire una risposta precisa e corretta.

A. T. chiede
venerdì 06/10/2023
“L’appartamento in cui viviamo, di proprietà di mia moglie, è inserito in un grande edificio costruito negli anni 60 ed inizialmente gestito da un unico condominio che comprendeva i due distinti accessi al fabbricato, posti a due numeri civici diversi il n. 33 ed il n. 35. Il Condominio originario si è costituito in forza del regolamento condominiale contrattuale redatto dal costruttore. Dopo 30 anni circa si è dato vita a due distinti Condomini uno per il civico 33 e l’altro per il civico 35, composti da n.19 condomini ciascuno. Questa suddivisione, ha operato senza grossi problemi sulla base dell’art.1123, 2^ comma CC, ma anche per pacifica consuetudine stante il fatto che i beni comuni sono ben distinti dal piano interrato fino ai lastrici solari.
Il problema nasce ora: quando il terzo Condominio che gestisce i box garage ha deciso di rifare il piazzale di accesso con una nuova asfaltatura. Nei corso dei lavori è venuto fuori che dopo oltre 60 anni di vetustà l’immobile abbisogna di manutenzione straordinaria nei sottosistemi fognari che risiedono interrati nel sedime dell’edificio il cui malfunzionamento avevano causato avvallamenti del piano stradale del cortile in corso di rifacimento. Il sistema fognario unico per tutto l’edificio è per sua natura funzionale non divisibile e/o attribuibile univocamente alle parti di edificio ricadenti nella porzione di sedime dei due distinti Condomini.
Si ritiene quindi di essere in comunione pro-indiviso e tecnicamente non divisibile come attestato anche da due perizie redatte dal Geometra che cura i lavori di rifacimento del piazzale.

Senza richiamare la presunzione legale di comunione pro indiviso di quelle parti del fabbricato che, per ubicazione e struttura, siano in tale momento destinate all’uso comune ovvero a soddisfare esigenze generali e fondamentali del condominio stesso (cfr. Cass. Civ., Sez. 2^, Ordinanza n. 5335 del 02/03/2017), questa fattispecie della comunione necessaria, nel nostro caso, è ben recepita e descritta:

- dai contratti di acquisto degli appartamenti dal Costruttore che espressamente danno atto che “nel complesso edificio segnato dai numeri 31-33-35 …. esistono i pozzetti di scarico e le fosse biologiche nonché le tubazioni relative ai servizi condominiali a servizio del complesso edificio”

- dal Regolamento di Condominio, unico per i civici 33 e 35 di XXX (mai modificato o revocato e che si ritiene, ove occorra ancora vigente) nel quale le cose comuni vengono così disciplinate: al Titolo 1^, Capo I^ Cose Comuni, all’Art. 1 – Consistenza della proprietà condominiale, espressamente statuisce:
“E’ condominiale l’intero stabile posto in XXX, Viale XXX n. civico 33 e n. civico 35, costruito nell’area totale di mq 1.480 circa”.

E all’Art 2 – Cose di proprietà comuni indivisibili, espressamente statuisce:
“Costituiscono proprietà comune indivisibile di tutti i condomini:
- l’area su cui sorge l’edificio, le fondazioni, i muri maestri, le strutture di cemento armato, i portoni di ingresso, il vestibolo, il cortile, le reti di fognatura, i tubi di scarico delle acque e delle materie di rifiuto, il tetto, le scale ed in genere tutte le parti dell’edificio necessarie all’uso comune ;
- gli impianti dell’acqua e gli impianti di illuminazione dei locali comuni, gli impianti di gas ed energia elettrica fino al punto di diramazione ai locali di proprietà esclusiva dei singoli condomini”.

E all’Art. 14 – Contributo alle spese per le cose di proprietà comune indivisibili.
“Tutti i condomini devono contribuire (….omissis….) in ragione delle rispettive quote di comproprietà”.

Poiché l’Amministratore del Condominio del civico 35 ha fatto pervenire la seguente risposta:

“Buonasera, in qualità di amministratore del civico 35 sono a contestare integralmente la missiva pervenutami a firma di alcuni condomini del civico 33.
Quanto era statuito inizialmente è divenuto privo di fondamento all’avvenuta scissione del primo unico blocco in due condomini separati. Non solo anche nel caso che il blocco fosse ad oggi un singolo condominio, l’art. 1123, 2^ del C.C. è chiarissimo in ordine alla ripartizione delle spese in base all’uso.
Ciò detto confermo che il civico da me amministrato provvederà a partecipare alle spese delle sole strutture al servizio del civico 35 e non anche di quegli impianti suscettibili di utilità separata che non riguardano il condominio di XXX.
Cordialmente”

Come appare evidente la risposta, che per quanto ci concerne, si condivide nella sola parte in cui si afferma che le spese in ogni caso vanno ripartite secondo l’art. 1123, 2^ comma del C.C. (come già fatto peraltro fino ad oggi per le parti distinte e facilmente attribuibili ai singoli Condomini) il criterio risulta non applicabile alle parti comuni pro-indiviso dell’edificio e che funzionalmente non sono, per loro natura, divisibili come già accertato da relazione tecnica del Geom. incaricato dei lavori in corso di riparazione del sistema fognario.

Tutto quanto sopra premesso, nell’auspicare un chiarimento ed un accordo tra i due condomini che riguardi questo particolare aspetto della comunione necessaria, tema mai affrontato prima, vorrei comunque una vostra valutazione legale sui criteri di ripartizione da adottare per il riparto delle spese delle cose comuni condominiali indivisibili (non solo per previsione regolamentare, ma anche tecnica) e nel caso come possa formarsi la volontà decisionale unitaria fra i due distinti condomini.
Ringraziando, distinti saluti

Consulenza legale i 17/10/2023
Sulla base di quello che viene riferito nel quesito, non pare che il complesso edile descritto possa considerarsi un supercondominio, ma piuttosto esso deve considerarsi un condominio parziale ai sensi dell’ult. co. dell’art. 1123 del c.c. I due istituti sono sicuramente affini, ma hanno tratti distintivi significativi che devono essere tenuti ben presenti.

Il supercondominio, figura giuridica oggi prevista dall’ art. 1117 bis del c.c. , si ha nel momento in cui un unico complesso edile è costituito da corpi di fabbrica tra di loro strutturalmente e architettonicamente autonomi, ma che hanno tra di loro in comune ai sensi dell’ art. 1117 del c.c. determinati cespiti, come ad esempio un giardino, una piscina, o il cancello di ingresso. Nel caso del super condominio in corrispondenza dei singoli corpi di fabbrica avremo quindi tanti condomini autonomi, ciascuno con il proprio amministratoree la propria assemblea; affianco ad essi avremo un super condominio, anche lui col proprio amministratore e con la propria assemblea chiamato ad amministrare i soli impianti e opere comuni a tutti i palazzi.

Il condominio parziale invece è un istituto giuridico che è stato teorizzato dalla giurisprudenza partendo dall’ultimo comma dell’art. 1123 del c.c. (tra le tante pronunce sul tema si cita le SS.UU n.7449 del 07.07.1993) e si differenza dal super condominio proprio perché il complesso edile in cui viene applicato non è composto da corpi di fabbrica distinti e autonomi, ma da un unico e grande edificio, nel quale però vi sono opere e impianti destinati a servire solo un gruppo di condomini. Per fare un esempio si pensi al caso, molto frequente nella realtà, in cui siamo innanzi ad un unico edificio suddiviso in tante scale distinte (magari anche con numeri civici autonomi), ciascuna delle quali servita da distinti impianti ascensore.

In una situazione come quella descritta, gli insegnamenti della Corte di Cassazione, facendo applicazione dell’ultimo co. dell’art. 1123 del c.c. ci dicono, tra le altre cose, che saranno tenuti al pagamento delle spese ordinarie relative a quel singolo impianto ascensore solo quei condomini che hanno il proprio appartamento ricompreso nella specifica scala servita da quel singolo e distinto ascensore. In altre parole, pagheranno le spese ordinarie relative all’ascensore “A” solo i condomini della scala “A” e non quelli della scala “B” o “C” i quali hanno a loro volta i loro ascensori “B” e “C” a cui dovranno provvedere. In relazione al condominio parziale la Cassazione ci dice anche che saranno competenti a decidere in merito alla manutenzione delle singole opere e dei singoli impianti riferibili solo ad una porzione di edificio esclusivamente quel gruppo di condomini a cui necessariamente tali impianti servono. Tornando all’esempio di prima solo i condomini della scala “A” potranno decidere in merito alla manutenzione del loro ascensore (o di altri impianti similari), e gli altri condomini delle altre scale non avranno alcun potere decisionale in merito.

Vi è da dire però una cosa importante in quanto a differenza del supercondominio, composto come si è detto da tanti condomini autonomi, il condominio parziale non è qualcosa di diverso rispetto al condominio in cui esso è ricompreso: il condominio infatti rimane unico con un solo amministratore e una sola assemblea nella quale si formeranno maggioranze differenti in base alle singole opere e impianti di cui si dovrà discutere di volta in volta.
È ovvio infatti che in un grande e unico edificio composto da tante scale e tanti civici autonomi vi saranno giocoforza beni ed impianti che devono considerarsi comuni a tutte le scale e a tutte le parti dell’edificio e sulle quali avranno potere decisionale tutti i condomini; ad essi, si affiancano opere e impianti che invece sono comuni solo a determinate porzioni dell’edificio medesimo e sulle quali avranno potere decisionale solo quei condomini a cui tali impianti effettivamente servono.
E è proprio questa ultima ipotesi che si è concretizzata nel caso specifico come chiaramente viene indicato dall’art. 2 del regolamento condominiale il quale indica, tra gli altri, le reti fognarie tra le parti comuni ed indivisibili dell’intero edificio.

A parere di chi scrive il problema descritto nel quesito nasce proprio dall’aver applicato erroneamente l’istituto del supercondominio ad un edificio che in realtà nulla aveva a che fare con tale figura giuridica e doveva continuare ad essere gestito come unico condominio all’interno del quale doveva essere fatta corretta applicazione dell’istituto del condominio parziale di cui al 3° co. dell’art.1123 del c.c. Questo è stato un errore di chi amministrava all’epoca l’edificio e dei suoi proprietari i quali non potevano procedere a scindersi in tanti condomini autonomi. In questo senso è molto chiaro l’art. 61 delle disp. att. c.c.: tale norma dispone infatti che un condominio può essere sciolto per dar vita a tanti condomini autonomi quando l’edificio può essere architettonicamente e strutturalmente diviso in più parti distinti che abbiano caratteristiche di edifici autonomi. Nel caso specifico però questo non può dirsi concretizzato in quanto l’edificio mantiene degli impianti comuni a tutte le sue parti, come appunto l’impianto fognario.

Le argomentazioni addotte dall’amministratore del civico 35 sono giuridicamente errate: al di là del fatto che vi sia stata una scissione in più condomini autonomi questo non porta al superamento delle norme del regolamento di condominio (tra l’altro avente natura contrattuale) e certamente ciò non modifica il fatto che siamo innanzi ad un unico corpo di fabbrica dotato di un solo ’impianto fognario funzionalmente unitario come chiaramente dice una perizia appositamente commissionata da alcuni condomini. Per questi motivi le spese di manutenzione straordinaria della rete fognaria devono essere ripartite tra tutti i proprietari dell’intero stabile nel suo complesso (civici 33+35), applicando il 1° co. dell’art.1123 del c.c. e la tabella generale proprietà per tali tipologie di opere comuni, la quale con molta probabilità fu predisposta in passato dal costruttore stante l’unitarietà del corpo di fabbrica.
Per completezza si precisa che alle medesime conclusioni giuridiche si sarebbe giunti anche nel caso in cui si fosse fatta applicazione (la quale rimane comunque errata) dell’istituto del supercondominio in quanto comunque l'impianto fognario si sarebbe giocoforza dovuto considerare un bene comune ai distinti condomini di cui si sarebbe composto il supercondominio nel suo complesso.

R. C. chiede
martedì 26/09/2023
“Riferimento Vostra Comunicazione con la redazione del 26/09/2023 ore 15,51. Vostra richiesta di integrazione pagamento di ulteriore importo pari al quesito base. Riferimento consulenza Q202334607.<br />
Grazie. Attendo vostra replica complessiva.<br />
<br />
Consulenza legale i 28/09/2023
Da un punto di vista fiscale, la normativa prevede che le detrazioni sugli interventi effettuati sulle parti comuni di edifici residenziali spettino ad ogni singolo condomino in base alla quota millesimale di proprietà o dei diversi criteri applicabili ai sensi degli art. 1123 e seguenti del codice civile (Circolare n.11/E del 2014 punto 4.3). La possibilità di ripartire le spese con criteri diversi ai millesimi di proprietà, è stata ribadita anche nella Risoluzione 74/2015 dell’Agenzia delle Entrate.
L’articolo 1123 del codice civile introduce un primo criterio di ripartizione delle spese proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione, e al comma 2 introduce un criterio di proporzione rispetto all’uso che ciascun condomino può farne, se trattasi di interventi destinati a servire i condomini in misura diversa. Al comma 3 lo stesso articolo specifica che “qualora un edificio abbia più scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti destinati a servire una parte dell’intero fabbricato, le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condomini che ne trae utilità”.
Pertanto di fatto le spese possono essere ripartite in base ai millesimi di proprietà, in proporzione all’uso oppure in base all’effettivo utilizzo di solo una parte dei condomini.
Nel 2019 con la risposta all’interpello n. 213/2019 e n. 219/2019, l’Agenzia delle Entrate ha riconosciuto la possibilità di accordarsi per una ripartizione della spesa ancora diversa rispetto ai criteri introdotti dall’articolo 1123 c.c.. Serve in questo caso una convenzione siglata in forma scritta fra tutti i condomini che chiarisca quale modalità di ripartizione spese si intende scegliere (è possibile anche attribuire l’intera spesa ad un solo condomino).
Si ricorda che per poter beneficiare delle detrazioni fiscali è necessario che il pagamento avvenga mediante l’apposito bonifico bancario/postale dedicato.
In sede di eventuale controllo, oltre all’esibizione della convenzione stipulata e oltre alla documentazione solitamente richiesta per beneficiare delle detrazioni (titoli abilitativi, fatture, pagamenti), si dovrà dimostrare che gli interventi sono stati effettuati sulle parti comuni dell’edificio e sarà necessario produrre un’autocertificazione che attesti i lavori effettuati e i dati catastali degli immobili del condominio.

A. F. chiede
lunedì 04/09/2023
“Buongiorno, sono proprietario di un appartamento in un condominio formato da tre differenti edifici aventi uno spazio comune (piccolo cortile) che contiene 6 sole rimesse auto ed un locale tecnico: il tutto è accessibile sia tramite passaggi/cancelli pedonali sia tramite un cancello automatico (passo carraio).
Data la collocazione dell’edificio in cui ho l’appartamento, non utilizzo né transito per tale spazio, che resta defilato rispetto alla palazzina dove risiedo. Tanto è vero che da sempre non utilizzo il passo carraio (cancellone) né posseggo le chiavi/telecomando per l’accesso. Il mio accesso al complesso avviene esclusivamente a piedi e tramite piccolo cancello pedonale.

Vorrei chiedere se non essendo proprietario di rimessa auto e non essendo nemmeno dotato delle chiavi/telecomando per aprire il cancello carraio (come detto non no ho la necessità né ho mai fatto uso dello stesso) devo partecipare alle spese di riparazione del cancello stesso.
Vi ringrazio per la risposta e auguro buona giornata.”
Consulenza legale i 15/09/2023
Il cortile condominiale rientra tra le parti comuni del Condominio ai sensi dell’art. 1117 del c.c..
Per la ripartizione delle spese delle parti comuni, il riferimento è l’art. 1123 c.c. che stabilisce l’obbligatorietà del pagamento di esse per tutti i condomini in base al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione.
Lo stesso articolo indica che: 1) se i beni sono destinati a servire in maniera diversa i singoli condomini, le spese vengono calcolate in misura proporzionale all’uso; 2) le spese per i beni che servono solo una parte dell’edificio, sono a carico solo di coloro che ne godono.

Nel caso di specie il cortile non viene utilizzato come passo carraio dal condomino che non possiede nemmeno le chiavi o il telecomando del cancello.

Il fatto di non avere la rimessa auto, però, non implica per il condomino di non poter accedere al cortile temporaneamente con un proprio autoveicolo, o di qualcuno da lui incaricato, per qualsiasi evenienza.
Un tale divieto dovrebbe essere presente nel proprio atto di acquisto o nel regolamento di Condominio approvato all’unanimità.
In mancanza, il condomino avrà sempre il diritto di richiedere le chiavi per poter entrare nel cortile attraverso il cancello, seppure non possa lasciare lì parcheggiata la propria auto ma solo per necessità per brevi soste.
Allo stesso modo si ipotizza che il cancello venga utilizzato per fare accedere eventuali fornitori del Condominio con i propri veicoli o il personale incaricato di effettuare interventi di manutenzione; in questo caso, quindi, anche se indirettamente, tutti i condomini godono del buon funzionamento del cancello.

Certamente sarebbe corretto però verificare che l’attribuzione delle spese di riparazione del cancello vengano suddivise con un criterio che tenga conto del diverso uso che ne viene fatto dai singoli condomini ai sensi dell’art. 1123 c.c.

Tale criterio dovrà essere approvato dall’assemblea all’unanimità (Cass. civ. n. 12259/2023, Cass. civ. n. 4844/2017).

È, in ogni caso, facoltà del condomino chiedere di essere esonerato dal pagamento dei costi di riparazione del cancello ma difficilmente l’Assemblea acconsentirà per i motivi già espressi.
Qualora invece si riuscisse a trovare un accordo, anche questa convenzione necessiterebbe di un’approvazione all’unanimità.

G. P. chiede
martedì 08/08/2023
“Buongiorno, ci accingiamo a rifare il cortile condominiale con relativi posti auto di proprietà scoperti, 15 in totale, parte dei quali non sono tutti di proprietari appartamento nel condominio ma anche di persone esterne.
Al momento le tabelle millesimali del cortile redatte e accettate si basano per divisione spese sui millesimi di proprietà di ciascuno inglobando il posto auto con i vari appartamenti e per gli esterni solo la loro quota del posto auto.
Da ciò si evince che lo scrivente come altri 2 inquilini del condominio con 146+4millesimi totali paga un tot, mentre gli esterni pagano solo per i 4 millesimi.
Passi che oramai tale suddivisione sia stata accettata negli anni, ma ora che alcuni inquilini hanno acquistato il secondo posto auto da esterni, scopro che per il primo posto auto interviene la proprietà generale, mentre per il secondo si stà applicando ancora il concetto dei soli 4 millesimi.
Concludo accennando che il lavoro di rifacimento pari a circa 50k€, suddividendo per le quote millesimali al sottoscritto viene circa 3.234€ mentre chi ha due posti auto paga 3.234€ per il primo e solamente 86€ per il secondo.
L'assemblea ha deliberato l'inizio lavori ma insiste sul fatto che il C.C si basa sulle proprietà degli immobili, mentre al momento dei passaggi di proprietà di alcuni posti auto da esterni a inquilini, nessuno ha deliberato di far adeguare le tabelle millesimali.
Se necessario invio le tabelle in oggetto con le indicazioni necessarie.
Un cordiale saluto”
Consulenza legale i 14/08/2023
L’autore del quesito cade in un errore di fondo da cui è necessario farlo uscire. Egli considera coloro che sono proprietari solamente di un posto auto come dei soggetti esterni ed estranei al condominio, contrapponendoli ai proprietari degli appartamenti che sono invece considerati dei condomini a tutti gli effetti: ma questa distinzione non esiste nel nostro ordinamento ed è assolutamente contraria alla legge.

Per il nostro codice civile deve considerarsi condomino colui che è proprietario di una unità immobiliare ricompresa all’interno del complesso edile: tale unità immobiliare può essere un appartamento ad uso abitativo o ad uso terziario con le relative pertinenze, ma per essere considerati condomini è sufficiente essere proprietari anche di una semplice cantina, di un'autorimessa oppure, come nel caso specifico, di un semplice posto auto scoperto. Nel caso specifico quindi i proprietari di un posto auto scoperto devono considerarsi condomini e al pari dell’autore della consulenza nei confronti del condominio hanno i medesimi diritti, ma anche i medesimi obblighi.

Ad esempio, anche i proprietari dei soli posti auto hanno diritto a partecipare alla gestione della cosa comune e pertanto devono essere destinatari dell’avviso di convocazione della assemblea condominiale e possono partecipare alla riunione esprimendo il loro voto, così come tutti gli altri condomini. Al pari degli altri condomini anche i proprietari dei soli posti auto devono partecipare alle spese di manutenzione delle parti e dei servizi comuni dell’edificio ai sensi dell’art. 1123 del c.c. e quindi in altre parole concorrere con tutti gli altri partecipanti al condominio al pagamento delle spese di gestione. Come noto, il primo comma dell’art. 1123 del c.c. introduce il principio secondo il quale il pagamento delle spese condominiali deve avvenire in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascun condomino; tale valore proporzionale, secondo gli artt. 68 e 69 delle disp. att. del c.c., viene espresso in millesimi nelle tabelle millesimali.

Chiariti tali concetti che devono essere tenuti ben presenti a chi ci sta leggendo, anche i proprietari dei soli posti auto (come abbiamo visto condomini a tutti gli effetti) devono concorrere nel pagamento delle spese di rifacimento del cortile condominiale e lo devono fare in proporzione al solo valore della loro proprietà, il quale sulla base delle tabelle attualmente vigenti è pari a 4 millesimi. Ovviamente, sempre per il principio espresso dall’art. 1123 del c.c., coloro che sono proprietari di un numero maggiore di unità immobiliari concorrono al pagamento degli oneri condominiali in misura proporzionalmente maggiore, in quanto sono portatori di un numero maggiore di millesimi.
La suddivisione delle spese condominiali descritta nel quesito non appare quindi scorretta od illegale, anzi essa parrebbe essere perfettamente conforme alla normativa di cui si è detto finora: ciò è vero però se le tabelle millesimali sono prive di un qualsivoglia errore nella loro redazione.

Il problema si sposta quindi nel capire se le tabelle millesimali attualmente vigenti nel condominio sono redatte in maniera corretta. L’ art. 69 delle disp. att. c.c. precisa al suo secondo comma che le tabelle millesimali quando errate possono essere corrette in forza di delibera assembleare o, in caso di inerzia di tale organo, per provvedimento giudiziario.
La giurisprudenza (Cass.Civ.n. 116/1982; Cass.Civ. n.3001/2010) ha precisato che l’errore necessario per addivenire ad una correzione delle tabelle è essenzialmente:
  • un errore di calcolo degli elementi necessari per la determinazione del valore delle singole unità immobiliari (estensione, altezza ubicazione, ecc. ecc.);
  • un errore di fatto come l’erronea convinzione che un appartamento abbia una certa estensione invece di quella effettiva;
  • o infine un errore nell’applicazione della normativa vigente, il quale in ambito di tabelle millesimali si risolve in un errata applicazione di quanto dispone il 2° co. dell’ art. 68 delle disp. att. c.c.

Se le tabelle attualmente vigenti nello stabile non sono affette da un tale tipo di errore (e non vi sono state modifiche strutturali nell’ edificio) è molto difficile giungere ad una modifica delle tabelle e quindi in teoria ad una rettifica del valore millesimale attribuito ai posti auto. In altre parole, in assenza di un errore nelle tabelle, la suddivisione delle spese di rifacimento del cortile condominiale deve considerarsi assolutamente corretto.
La figura professionale di riferimento per capire se le tabelle millesimali sono errate è un tecnico edile, come un geometra o un ingegnere, a cui si invita l’autore del quesito a rivolgersi per ogni ulteriore chiarimento. Se tale figura professionale certificherà l’esistenza di qualche anomalia nelle tabelle vigenti si potrebbero valutare ulteriori passi da seguire a livello legale.


M. A. P. chiede
venerdì 30/06/2023
“Buonasera,
sono proprietaria di un appartamento in un condominio in zona turistica composto da 6 unità.
4 di queste unità vengono affittate a turisti da marzo a ottobre.
1 è di proprietà ed è abitata per 6 mesi all'anno.
Il nostro appartamento è a nostro uso e viene occupato molto saltuariamente durante qualche fine settimana.
Il riscaldamento delle unità abitative è alimentato da una pompa di calore e le spese energetiche che ne derivano vengono suddivise in base ai millesimi.
Più volte, visto anche gli aumenti dei costi degli ultimi 2 anni, abbiamo chiesto una revisione della politica di suddivisione dei costi ma le richieste non sono mai state prese in considerazione. Oltretutto gli ultimi 2 anni le assemblee si sono tenute ad orari (primo pomeriggio) che non ci hanno mai consento di parteciparvi per problemi di lavoro.
Non c'è modo per forzare una suddivisione più corretta dei costi secondo il consumo e l'utilizzo che ognuno fa del riscaldamento e del raffrescamento ?
Grazie per la risposta
Cordiali saluti”
Consulenza legale i 07/07/2023
Per dare un parere completo ai dubbi che sono manifestati nel quesito sarebbe necessario affiancare al parere del legale quella di un termotecnico che chiarisca al primo con precisione il tipo di impianto che è presente nel condominio, dando quindi maggiori certezze al legale circa la normativa applicabile al caso specifico.
Si invita quindi l’autrice del quesito a rivolgersi ad un termotecnico per integrare il presente parere, anche perché la normativa che si citerà fa parte del bagaglio tecnico di tale professionista piuttosto che di quello di un legale.

Ad ogni modo, ciò che stupisce è il fatto che in questo condominio non sono presenti strumenti che permettono una contabilizzazione della forza calore consumata dalle singole unità immobiliari. In forza delle disposizioni del D.Lgs. n. 102 del 2014 ormai è obbligatoria l’installazione di tali tipi di apparati, e il tempo concesso ai condomini per uniformarsi a tale normativa è decorso ormai da anni. La mancata installazione di tali tipi di apparati comporta l’irrogazione della sanzione amministrativa prevista dall’art 16 del medesimo D.Lgs. che va da € 500,00 a € 2.500,00 per ciascuna unità immobiliare, sanzione che dovrebbe essere irrogata dalla Regione o molto più probabilmente dai Comuni dallo stesso ente regionale delegati alla attività ispettiva.

A mente dello stesso art. 16 in esame tale sanzione non sarebbe applicabile nel solo caso in cui una relazione di un termotecnico vada a dimostrare che l’installazione di un tale tipo di apparato: non è tecnicamente possibile, non è proporzionata a livello di costi o non garantisce un adeguato efficientamento energetico. Il quesito non offre però sufficienti elementi per capire se il condominio in questione rientri in una delle ipotesi che permettono di sfuggire all’obbligo di installare dei contabilizzatori individuali di calore, ma si ha il forte sospetto che gli altri proprietari si siano volutamente disinteressati del problema.

L’installazione di tali apparati ovviamente è prodromica all’applicazione nei condomini di un nuovo criterio di riparto delle spese attinenti al consumo di forza calore che è previsto dalla lett. d) co. 5° art. 9 del D.Lgs. n.102/2014, che si affianca ai criteri previsti dagli artt. 1123 e ss. del c.c.
Tale norma dispone che negli edifici serviti da sistemi di riscaldamento centralizzato in cui sono stati installati in ciascuna unità immobiliare apparecchi per la contabilizzazione individuale del consumo, una quota di almeno il 50% della spesa complessiva sia attribuita ai prelievi volontari di energia, e quindi accollata alla singola unità immobiliare in base ai mc dalla stessa effettivamente consumati. L’ altra quota della spesa derivante dalla forza calore invece, riferibile ai consumi involontari potrà essere ripartita: "a titolo esemplificativo e non esaustivo, secondo i millesimi, i metri quadri o i metri cubi utili, oppure secondo le potenze installate".

Come si può facilmente notare, la norma lascia un ampio margine di discrezionalità sia in merito alla quota da attribuire ai consumi volontari o involontari sia per quanto riguarda i criteri da utilizzare per ripartire tra i proprietari la quota di consumo involontario. Ovviamente però l’amministratore nel ripartire le spese non potrà applicare tale norma a sentimento: egli dovrà necessariamente fare riferimento alle indicazioni che gli verranno forniti dagli stessi condomini in una apposita delibera adottata dalla assemblea di condominio. Quest’ultima a sua volta dovrà deliberare avendo come riferimento le indicazioni che gli verranno date da un termotecnico in una apposita perizia nella quale il professionista incaricato dovrà indicare, sulla base delle caratteristiche del singolo edificio e dell’impianto presente nello stabile, quale sia la quota più opportuna da attribuire ai consumi volontari e i criteri più idonei per ripartire quelli involontari.

Come già detto, si ha il forte dubbio che gli altri proprietari ben si guardino dall’installare degli strumenti di contabilizzazione individuale proprio per evitare di applicare tale normativa a scapito di quei proprietari che non abitano nel palazzo nei mesi invernali e quindi consumano inevitabilmente meno forza calore.
Stante tuttavia il fatto che vi è un preciso obbligo legislativo di installare apparati di contabilizzazione individuale, obbligo il cui rispetto è questione ritenuta di interesse generale e quindi il mancato rispetto è sanzionato a livello amministrativo, vi sarebbero gli estremi per citare in giudizio il condominio al fine di obbligarlo ad uniformarsi agli obblighi di legge, ovviamente se la mancata installazione dei contabilizzatori non sia impedita da legittime questioni tecniche.


R. A. F. chiede
domenica 04/06/2023
“Buongiorno,
avrei bisogno di una consulenza circa la suddivisione delle spese per la manutenzione ordinara e straordinaria di un tetto facente parte di un condominio.

Abito in un complesso di otto appartamenti cosituito da due edifici.

Un edificio, costituito da quattro appartamenti (due al piano terra + due al primo piano), è coperto da un tetto unico.

Nel secondo edificio, nel quale abito, i tetti sono due: ogni tetto copre due appartamenti (uno al piano terra + uno al primo piano).

Non abbiamo costituito ufficialmente un condominio, non abbiamo un regolamento, ne abbiamo un amministratore. Anche per quanto riguarda l’assicurazione non abbiamo una polizza condominiale.

Recentemente da uno dei due tetti del secondo edificio (quello che copre il mio appartamento) si sono verificate infiltrazioni d’acqua.
Io e il proprietario del secondo appartamento, abbiamo provveduto a fare eseguire i lavori di riparazione.
Durante i lavori sono emersi segni di usura alle tegole della falda esposta a nord per cui a breve si renderà necessario sostituirle tutte.

Da ricerche effettuate su internet + codice civile mi sembra di capire che:

1 - la conformazione dei tetti fa ricadere la nostra situazione nel caso di condominio “parziale” (articolo del codice civile 1123 comma 2).

2 - le spese sia ordinarie che straordinarie ricadono quindi non su tutti gli otto condomini ma solamente sui proprietari degli appartamenti coperti dal tetto oggetto di manutenzione.

Dato che è la prima volta che affronto un problema del genere, prima parlare con gli altri condomini (in modo da essere tutti informati in caso di eventi simili futuri), vorrei avere la certezza di avere interpretato correttamente.

Allego fotografie.

Grazie”
Consulenza legale i 08/06/2023
Il complesso di edifici da lei descritto parrebbe costituire in prima battuta un piccolo super condominio composto da due corpi di fabbrica distinti, i quali vanno a comporre entità condominiali separate tra loro.
In un contesto di questo tipo le spese relative alla manutenzione ordinaria e straordinaria delle parti comuni del singolo corpo di fabbrica devono essere sopportate solo da quel gruppo di condomini proprietari degli appartamenti ricompresi in quello specifico edificio.
Esemplificando, se vi è la necessità di effettuare degli interventi sul tetto dell’edificio A., il quale è una parte considerata comune ai sensi del n.1 dell’art. 1117 del c.c. del c devono sopportare i relativi costi solo quei proprietari che hanno i loro appartamenti ricompresi in quello specifico edificio e non certo i proprietari che compongono l’edificio B, in quanto quest’ ultimo è un condominio giuridicamente autonomo e distinto dal primo.
Essendo nell’ambito di un super condominio dovranno essere suddivisi tra tutti i condomini di entrambi gli edifici (A+B) solo quei servizi comuni ad ambedue i corpi di fabbrica: per esempio, il servizio di manutenzione del giardino ricompreso tra i due edifici e quindi comune ad entrambi ex art. 1117 ter del c.c.

All’interno poi di ciascun condominio vi possono essere ai sensi del 3° co. dell’art. 1123 del c.c. opere o impianti che per obbiettive caratteristiche costruttive e funzionali sono destinate a servire una parte dell’intero edificio: in questo caso le spese relative alla loro manutenzione sono sopportate solo dal gruppo di proprietari che ne trae utilità.
Tale norma è considerata dalla giurisprudenza il fondamento normativo del c.d. condominio parziale, istituto non previsto espressamente dal nostro codice civile, ma pacificamente ammesso dalla Cassazione proprio facendo riferimento al comma citato.

Il vero problema posto dal quesito però è quello di chiedersi se il tetto, bene sicuramente comune, possa considerarsi come un’opera destinata a servire i condomini in maniera diversa. Questo non è assolutamente pacifico in giurisprudenza.
Ad esempio Cass.Civ.Sez.VI, n. 24927 del 07.10.2019, richiamando e rinnovando un risalente orientamento della giurisprudenza ha ritenuto non ammissibile una ripartizione per zone delle spese relative alla manutenzione e al rifacimento della copertura del tetto: in altri termini non è possibile porre dette spese solo a carico dei proprietari delle unità immobiliari (appartamenti, cantine etc.) poste nella verticale sottostante alla zona del tetto da riparare.

La sentenza del 2019, confermando l’orientamento che pare essere quello maggioritario, ha stabilito che le parti dell'edificio in condominio deputati a preservare l'edificio condominiale da agenti atmosferici e dalle infiltrazioni d'acqua, piovana (come appunto il tetto), rientrano, per la loro funzione necessaria all'uso collettivo, fra le cose comuni, le cui spese di conservazione sono assoggettate alla ripartizione prevista dal 1° comma dell’art 1123 del c.c. Viene quindi escluso che tali opere siano destinate a servire una sola parte del fabbricato come rientrati nel perimetro applicativo dei successivi 2° d 3° co. dell’art. 1123 del c.c.

Si ritiene che l’orientamento espresso dalla pronuncia citata sia quello preferibile, e facendone applicazione al caso specifico possiamo dire che restano esclusi dal pagamento i soli condomini il cui appartamento è ricompreso nel primo edificio non interessato a quanto sembra da interventi manutentivi: esso infatti, per quanto detto prima, è un condominio autonomo e distinto rispetto al secondo edificio. Viceversa, le spese per il rifacimento della copertura garantita dal tetto del secondo edificio dovranno essere ripartite in proporzione ai millesimi di proprietà ai sensi del 1° co. dell’art.1123 del c.c. tra tutti i quattro condomini le cui unità immobiliari sono ricomprese in quel corpo di fabbrica.



G. M. chiede
domenica 02/04/2023
“Buon giorno.
PREMESSA.
Io abito a XXX in un supercondominio costituito di 8 corpi scala, tipo villette a schiera.
3 corpi scala hanno per ciascuno 7 unità.
3 corpi scala hanno per ciascuno 5 unità.
2 corpi scala hanno per ciascuno 3 unità.
In totale le unità sono 42.
Il complesso edilizio è all'interno di un ampio parco dove separatamente dal fabbricato principale sono ubicati 2 corpi di fabbricato autonomi destinati al piano terra a salette comuni, al piano interrato a garage ( 7 garages per ogni saletta ).
I rimanenti 28 garages sono ubicati sotto l'area di sedime del fabbricato principale.
Gli attuali millesimi comprendono:
8 tabelle per i millesimi di proprietà ( 1 tabella per ogni corpo scala ).
2 tabelle per i millesimi dei due corpi di fabbrica staccati ( 2 salette comuni in pro quota + i 14 garages sottostanti ).
1 tabella dei millesimi generali del supercondominio che comprende gli 8 corpi scala + le due salette comuni e i 14 garages sottostanti ).
QUESITO:
Attualmente tutto il complesso edilizio è interessato ai lavori di riquaificazione energetica ( 110%-90%-50% ).
I coperti rientrano nel 110%.
Le facciate al 90%.
Gli 8 vani scala, le 2 salette con i 14 garages sottostanti, solo al 50% perchè non vengono coibentati.
L'amministratore ha predisposto la riparizione delle spese a carico di ciascun condomino applicando per i 3 interventi i millesimi del supercondominio.
A mio parere non è corretto.
Applicando i millesimi del supercondominio per i lavori al solo 50% verrebbero inclusi i valori di tutte le 42 unità immobiliari che invece beneficiano del 110% e del 90%.
Analogamente per i lavori del 110% e del 90%, verrebbero inclusi i valori relativi alle 2 salette, ai 14 garages sottostanti e agli 8 corpi scala che beneficiano solo del 50%.
Ritengo che la proposta dell'amministratore sia in contrasto con il 2° e 3° comma dell'art.1123 del C.C.
Sarebbe più corretto ed equo solo per questi lavori di riqualificazione energetica predisporre tabelle millesimali ad hoc, per ciascuno dei 3 interventi in modo da evitare di favorire economicamente alcuni condomini e danneggiarne altri.
Cosa ne pensa Lei avvocato?
Grazie.”
Consulenza legale i 06/04/2023
Non è possibile predisporre delle tabelle millesimali speciali per l’esecuzione di specifici lavori: questo non è previsto dalla legge. Si tenga inoltre presente che la applicazione delle agevolazioni fiscali citate, non comporta una deroga alla normativa condominiale riguardante la suddivisione delle spese e prevista agli artt. 1123 e ss. del c.c.
Il problema descritto nel quesito si risolve applicando correttamente le tabelle millesimali vigenti nel condominio, cosa che, a quanto pare, non sta facendo l’amministratore.

Si inizia col dire innanzitutto che, analizzando la planimetria allegata, il complesso edile in essa rappresentato pare rientrare più nel concetto di condominio parziale che non di supercondominio.

Tale istituto di origine prettamente pretoria è stato teorizzato dai giudici proprio partendo dal dato normativo del 3° co. dell’art.1123 del c.c. il quale dispone:” Qualora un edificio abbia più scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti destinati a servire una parte dell'intero fabbricato, le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condomini che ne trae utilità”

Secondo la Corte di Cassazione: "Sussiste condominio parziale "ex lege", in base alla previsione di cui all'art. 1123, comma 3, c.c., ogni qualvolta un bene, rientrante tra quelli art. 1117 del c.c. , sia destinato, per obiettive caratteristiche strutturali e funzionali, al servizio e/o godimento esclusivo di una parte soltanto dell'edificio condominiale; tale figura risponde alla "ratio" di semplificare i rapporti gestori interni alla collettività condominiale, sicché il "quorum", costitutivo e deliberativo, dell'assemblea nel cui ordine del giorno risultino capi afferenti la comunione di determinati beni o servizi limitati solo ad alcuni condomini, va calcolato con esclusivo riferimento a costoro ed alle unità immobiliari direttamente interessate" (tra le tante, Cass.Civ.,Sez.II, n.4127 del 02.03.2016).

Non si deve cadere nell’errore di considerare il condominio parziale come un ente distinto e diverso rispetto al condominio in cui è ricompreso: se così fosse saremmo di fronte ad un supercondominio. Esso è sostanzialmente un escamotage che permette di raggiungere due obbiettivi: attribuire le spese di manutenzione di un gruppo di beni e servizi condominiali solo a quei condomini che effettivamente se ne servono; fare in modo che proprio quel gruppo di proprietari, attraverso una assemblea ristretta solo alla loro partecipazione, siano gli unici a decidere le modalità di gestione di quei beni e servizi.

Nel caso specifico, applicando correttamente l’istituto del condominio parziale, a parere di chi scrive si dovrebbero suddividere i lavori all’incirca in questo modo:
- gli interventi che riguardano solo i singoli corpi di scala, vanno suddivisi solo tra i proprietari che hanno l’unità immobiliare ricompresa in quella parte dell’edificio, e quindi utilizzando la tabella pensata per quella scala;
- gli interventi che riguardano il corpo di fabbrica staccato deve essere suddiviso attraverso la tabella per esso prevista;
- infine, rientra nella tabella generale, erroneamente definita supercondominiale, i lavori attinenti alla facciata dello stabile, in quanto essa è un intervento che riguarda l’intero stabile nel suo complesso.

Ad ogni modo, le suddivisioni proposte devono intendersi puramente indicative, in quanto solo con il confronto con un tecnico edile, che conosce in profondità le caratteristiche dei singoli interventi, si potrebbe essere in grado di offrire una suddivisione più precisa.
È ovvio che se l’assemblea condominiale procedesse ad approvare un riparto di spesa dei lavori elencati suddivisi in maniera contraria a quanto dispone l’art.1123 del c.c., così come a quanto pare vorrebbe l’amministratore di condominio, la delibera sarebbe viziata e potenzialmente impugnabile ai sensi dell’ art. 1137 del c.c.

G. B. chiede
giovedì 09/02/2023 - Puglia
“In un condominio privo di regolamento, a seguito di infiltrazioni d'acqua in un appartamento dell'ultimo piano di un edificio, si è deliberato di sostituire il tetto spiovente costituito da tegole in laterizio, con pannelli coibentati di finto coppo. La proprietaria dell'ultimo piano, circa 20 anni fa, ha trasformato il sottotetto sovrastante in un appartamento abitabile per l'intera estensione di quello sottostante e li resi comunicanti con scala, accorpandoli con fusione catastale ( su due piani 3° e 4°). La proprietaria lamenta infiltrazionii nell'appartamento del 4° piano, ricavato nel sottotetto, dove a suo tempo anzichè fare il soffitto, ha messo sotto le travi che sostengono le tegole, dei pannelli di cartongesso, creando un controsoffitto chiuso tra l'altro non ispezionabile.1° QUESITO: Dal momento che il soffitto ed il solaio sono costituiti dal tetto di tegole, la ripartizione per la sostituzione del tetto non andrebbe regolata in base all'art. 1125 c.c?
2° QUESITO: Poichè per montare il nuovo tetto di pannelli sarà necessario rimuovere il controsoffitto in cartongesso dell'appartamento dell'ultimo piano, le spese di rimozione e nuova installazione del controffitto a chi sono a carico?
GRAZIE E CORDIALI SALUTI”
Consulenza legale i 17/02/2023
Per rispondere ai due quesiti proposti è necessaria una premessa.
Il tetto costituisce una parte comune dell’edificio ai sensi dell’art. 1117 del c.c. a meno che ci sia un titolo contrario.
Il sottotetto invece non fa parte dei beni comuni e solitamente è di pertinenza dell’appartamento all’ultimo piano tranne quando ha caratteristiche e dimensioni tali da consentirne l’utilizzazione come vano autonomo; in questo caso deve esserci un titolo di appartenenza a favore del proprietario dell’ultimo piano per evitare che venga inteso come parte comune utilizzabile da tutti i condomini (Cass. civ. n. 9383/2020).
Nel caso di specie, non è specificato nulla sulla proprietà del sottotetto, quindi si presume che sia di esclusiva proprietà del condomino del terzo piano che l’ha trasformato in un appartamento abitabile.

Il primo quesito proposto riguarda l’applicabilità alla fattispecie dell’art. 1125 del c.c. sulle modalità di ripartizione delle spese condominiali per il rifacimento di soffitti o solai.
Questo articolo trova applicazione quando il solaio funge da divisorio tra due appartamenti di proprietà diversa per cui per uno costituisce la pavimentazione mentre per l’altro la copertura.
In questo caso le spese sono ripartite unicamente tra il proprietario dell’appartamento sottostante e quello sovrastante.
Per il rifacimento del lastrico solare, non costituendo esso un piano, le spese dovranno essere ripartite tra tutti i condomini ai sensi dell’art. 1123 c.c. (Cass. civ. n. 1694/1959).

Nel caso proposto colui che ha subito le infiltrazioni dal tetto è proprietario dell’appartamento all’ultimo piano dell’edificio ed ha sopra di lui solo il tetto che, a quanto sembra dal quesito, è di proprietà comune a tutti i condomini.
È irrilevante il fatto che il tetto costituisca il solaio ed il soffitto dell’immobile poiché l’elemento per determinare l’applicazione dell’art. 1125 c.c. è che il solaio da rifare funga da divisorio di due proprietà differenti.

Si ritiene quindi che nel caso di specie sia necessario suddividere le spese tra i condomini ai sensi dell’art. 1123 c.c.

Per quanto riguarda il secondo quesito in relazione a chi abbia l’onere di sostenere le spese per la rimozione del controsoffitto, si rileva quanto segue.

All’interno dell’immobile di proprietà il condomino non può eseguire le opere che rechino un danno alle parti comuni o che determinino un pregiudizio alla stabilità, sicurezza e decoro architettonico (art. 1122 del c.c.).
Dalla descrizione della vicenda non sembra che la costruzione di un controsoffitto abbia causato le infiltrazioni lamentate da colui che abita all’ultimo piano.
Sembra piuttosto che il Condominio abbia deciso di prendersi carico della sostituzione del tetto, parte comune su cui ha un onere di vigilanza e custodia.
Il Condominio risponde quindi dei danni causati ai condomini dalle cose che ha in custodia ai sensi dell’art. 2051 del c.c. (Cass. civ. n. 26291/2019).
Poiché sicuramente per colui che ha subito le infiltrazioni d’acqua, il dover rimuovere il controsoffitto costituisce un danno, il Condominio sarà tenuto al risarcimento in forma specifica ex art. 2058 del c.c. che consisterà nel ripristinare la situazione precedente all’evento dannoso e, quindi, alla ricostruzione del controsoffitto a spese del Condominio.

M. M. chiede
mercoledì 07/12/2022 - Marche
“Nel 2019 abbiamo vinto un immobile all’asta sito in via XXX al secondo e ultimo piano.
L’appartamento è divenuto effettivamente di nostra proprietà nella primavera del 2020 e il 1 Agosto 2020 si è costituito un nuovo condominio insieme agli altri nuovi proprietari (tutti subentrati dopo la vendita all’asta dell’intera palazzina).

Il condominio ha un impianto centralizzato per il riscaldamento e l’acqua calda condominiale dotato di contacalorie per i singoli appartamenti presumibilmente installati nel 2015. L’amministratore, invece di utilizzare immediatamente un sistema di contabilizzazione del riscaldamento tramite lettura dei contacalorie, nella riunione tenutasi a fine 2021 stabilisce che le spese per riscaldamento e acqua calda sanitaria debbano basarsi esclusivamente su una sua previsione dei consumi da suddividersi sulla base dei millesimi (non ancora all’epoca comunque verificati e approvati).
Nell’immediato e in tutte le assemblee successive, e in altre comunicazioni fatte all’amministratore, facciamo notare che:
- La previsione formulata dall’amministratore delle spese per il riscaldamento ci sembra abnorme
(1660 €).
- Tale conteggio è scorretto perché, essendo stato il nostro nucleo familiare dislocato in Belgio per
motivi lavorativi (da marzo 2020 a febbraio 2022) abbiamo occupato l’appartamento solo nei mesi
estivi senza mai utilizzare il riscaldamento (nel frattempo completamente disattivato per motivi
tecnici).
- Non c’è ragione di suddividere il riscaldamento sulla base dei millesimi (di cui deteniamo la quota
più alta dell’intero condominio) perché sono già presenti i contacalorie.

Ciononostante, tutte le nostre obiezioni vengono ignorate e non vengono nemmeno messe a verbale.
Nel frattempo, fino a dicembre 2021 l’amministratore non fa nulla per implementare il sistema di contabilizzazione e solo in una riunione tenutasi in dicembre 2021 esordisce con una relazione prodotta da una azienda di consulenza in cui si sostiene che i contabilizzatori, benchè funzionanti, hanno una “certificazione MID” scaduta. Pertanto, durante l’assemblea l’amministratore insiste che venga definitivamente deliberato un criterio di contabilizzazione basato sui millesimi per le
stagioni termiche 2020/21 e 2021/22 senza nessun conguaglio previsto, tale richiesta però non viene effettivamente deliberata in attesa di ulteriori verifiche sull’impianto promosse anche da altri condomini.

Durante l’assemblea obiettiamo quanto segue:

- Che i contacalorie sono comunque operativi e quindi utilizzabili anche in mancanza di certificazione MID.

- A norma di legge, l’adozione di un metodo di conteggio basato interamente sui millesimi è consentito SOLO per la prima stagione termica successiva all’installazione dei dispositivi di contabilizzazione. Quindi, essendo in realtà i contabilizzatori già presenti, l’invito da parte dell’amministratore a ripartire le spese sui millesimi di proprietà per 2 stagioni termiche consecutive appare illecito.

- l’amministratore rifiutandosi di utilizzare il sistema di contabilizzazione già dalla prima stagione termica, egli dovrebbe essere a nostro avviso riconosciuto carente nella gestione verso il condominio.

- Contestualmente abbiamo presentato in assemblea una relazione di una ditta intervenuta sul nostro appartamento la quale ha certificato che il nostro impianto era stato fino a quel momento completamente non funzionante.

Nuovamente, tutte le nostre obiezioni/osservazioni vengono ignorate.

In occasione di una assemblea condominiale, tenutasi il 21/02/2022 l’amministratore torna nuovamente a chiedere la delibera da parte dell’assemblea di un criterio di contabilizzazione basato sui millesimi per le stagioni termiche 2020/21 e 2021/22 senza comunque la previsione di nessun conguaglio e di procedere con la sostituzione dei contacalorie con degli apparati completamente nuovi.

Noi non abbiamo potuto partecipare all’assemblea perché all'estero e quindi avevamo incaricato un altro la moglie di un altro proprietario a rappresentarci.

In ogni caso abbiamo fatto dichiarare in assemblea quanto segue.

- Ribadiamo che l’impianto di riscaldamento per l’intera stagione non è stato da noi acceso, pertanto, per la stagione termica 2020-2021 proponiamo di pagare, pur di giungere ad un accordo, solo il 50% dei costi di riscaldamento e acqua calda stimati dall’amministratore.

- Per il 2022 chiediamo che per il calcolo delle quote per i consumi di riscaldamento e acqua calda a noi addebitate, se il sistema di contabilizzazione non si baserà sui conta calorie, come da noi auspicato, comunque venga deciso il sistema di contabilizzazione (mq o millesimi), non vengano inclusi per la nostra quota di consumi volontari i periodi in cui l’appartamento è inabitato.

Nuovamente, tutte le nostre richieste vengono ignorate.

In primavera 2022 l’amministratore convoca una nuova assemblea in cui si discute di nuovo della sostituzione dei contacalorie. Inoltre con l’occasione ci invia un resoconto delle spese nel quale appare scritto alla voce “FABBISOGNO ENERGETICO” per le stagioni termiche 2020/21 e 2021/22 quanto segue: “6,216 IMPORTO TOTALE DI CONTABILIZZAZIONE RISCALDAMENTO E ACQUA CALDA RIPARTITO CON TABELLA MILLESIMALE DI FABBISOGNO ENERGETICO (DELIBERA ASSEMBLEARE 21/02/2022).

In merito a quanto sopra mi trovo di nuovo ad obiettare che qualora ci sia stata una delibera dell’assemblea
di questo tipo (il verbale non ci è stato mai inviato se non in via "mail" e non tramite pec/raccomandata), ciò costituisce un illecito in quanto, come già rappresentato nelle assemblee passate, tale sistema di calcolo è consentito SOLO per la prima stagione termica successiva all’installazione dei dispositivi di contabilizzazione. Dunque, l’assemblea ha preso a nostro avviso una decisione che esorbita dal suo potere discrezionale e il perdurare dell’adozione di un
sistema di addebito dei costi condominiali per il riscaldamento fatti in tal senso costituisce un abuso nei
nostri confronti.

Recentemente, a fine estate del 2022, poiché comunque l'operato dell'amministratore è apparso carente in vari aspetti alla maggioranza dei condomini decidiamo di revocargli il mandato. Ci aspettavamo un cambio di condotta nel nuovo amministratore. Purtroppo rimaniamo delusi in quanto quest'ultimo si rifiuta di riesaminare la situazione pregressa alla sua nomina e in forza della delibera assembleare del 21/02/2022 ci informa che intende mantenere il sistema di contabilizzazione basato sui millesimi e non sui consumi effettivi.

A questo punto, non sappiamo più che fare per far valere le nostre ragioni. Stiamo provando a promuovere i seguenti punti da inserire all'ordine del giorno da discutere alla prossima assemblea, ma sappiamo che la maggioranza dei condomini ci è ostile perché hanno vantaggi a mantenere lo status quo.

di seguito un estratto del testo della nostra PEC

".... chiede di inserire nell'ordine del giorno della prossima assemblea condominiale i seguenti punti:

1. Che non avendo fornito il Geometra Tizio un riscontro analitico delle spese effettivamente sostenute dai singoli proprietari per costi di acqua sanitaria e riscaldamento basato su consumi effettivi, comprovati da rilievi ricavati dall’impianto di contabilizzazione e relative fatture, si sospenda ogni ulteriore pagamento delle somme richieste in attesa che il Geometra fornisca integralmente le copie delle scritture e i documenti giustificativi. Inoltre che, ai sensi del dispositivo dell'art. 1130 bis Codice Civile, per le annualità 2020-2021-2022, si nomi un revisore che verifichi la contabilità del condominio. Il quale riscontri con esattezza quanto dovuto e determini i conguagli per i singoli proprietari.

2. Che in armonia al d. lgs. n. 73/2020, l’assemblea disponga già fin da questa stagione un addebito dei costi per il sistema di riscaldamento e acqua sanitario basato sul consumo effettivo/ letture del contabilizzatore."

Mi scuso se sono stato prolisso, ma la situazione è complicata e non abbiamo idea di cosa fare.

Cordiali Saluti

Consulenza legale i 13/12/2022
Il D.Lgs n.102 del 04.07.2014 ha tra i suoi obbiettivi principali quello di favorire il contenimento dei consumi energetici anche agevolando nei condomini o edifici polifunzionali la suddivisione delle spese attinenti il consumo di riscaldamento e di acqua sanitaria sulla base dell’effettivo prelievo attribuibile a ciascuna unità immobiliare.
Per raggiungere questo non facile obbiettivo nei condomini raggiunti da una fonte di calore o raffreddamento centralizzata le lettere a) e b) del comma 5° dell’art 9 del D.Lgs n.102/2014 introducevano l’obbligo sia per le aziende che effettuavano le misurazioni che per i singoli proprietari di installare presso gli stabili e vicino ad ogni unità immobiliare degli strumenti di misurazione, i quali avevano il compito di indicare sia il complessivo consumo di calore dell’edificio nel suo complesso sia quello delle singole unità immobiliari di cui era composto.
In particolare dal lato proprietari-condomini era la lettera b) del comma 5° che imponeva nei condomini e edifici polifunzionali: "l'installazione…a cura del proprietario, di sotto-contatori per misurare l'effettivo consumo di calore o di raffreddamento o di acqua calda per ciascuna unità immobiliare". La norma citata come si può facilmente notare non impone che detti sotto-contatori siano conformi ad una determinata certificazione: ovviamente rimane implicito che detti sotto-contatori debbano essere perfettamente funzionanti.

Affianco a questi citati obblighi, i cui termini per uniformarsi sono decorsi ormai da tempo, la successiva lettera d) del comma 5° nel testo così come modificato dal successivo D.Lgs n.73/2020 introduce un nuovo criterio di riparto applicabile alle spese attinenti al consumo di forza calore che si affianca agli altri criteri indicati dagli artt. 1123 c.c. e ss. del c.c. Ovviamente tale normativa speciale dovrà essere pienamente applicata dall’amministratore in carica nel riparto delle spese attinenti al consumo di calore al pari della altre norme codicistiche disciplinanti il riparto delle voci di spesa del bilancio.
Tale nuovo criterio legislativo prevede che nei condomini raggiunti da un impianto di riscaldamento centralizzato o da teleriscaldamento le spese relative al consumo di calore siano ripartite in una quota non inferiore al 50% in proporzione ai prelievi volontari di energia, da calcolarsi ovviamente con l’ausilio dei sotto contatori presenti nello stabile e di cui l’art. 9 del D.Lgs n.102/2014 imponeva l’installazione. La norma precisa, inoltre, che la restante parte della spesa ancora non ripartita (che riguarda i prelievi di calore involontari), potrà essere suddivisa: "a titolo esemplificativo e non esaustivo
  • secondo i millesimi
  • i metri quadri o
  • i metri cubi utili oppure secondo le potenze installate.”

La norma in esame, quindi, da un lato impone che almeno la metà della spesa riguardante il consumo di calore sia attribuita ai singoli condomini in base a quanto effettivamente consumato dalla loro singola unità immobiliare; per quanto riguarda invece la ripartizione dei consumi involontari, la legge lascia libertà di scelta ai proprietari i quali potranno decidere di mantenere la suddivisione per mezzo dei millesimi di proprietà oppure utilizzare un altro criterio più idoneo al loro immobile. La lettera d) fa inoltre salva la possibilità ai singoli proprietari di sottoporre alla suddivisione in base agli effettivi prelievi di calore una quota di spesa superiore al 50%, nel contempo riducendo quindi quella parte di spesa attribuibile ai consumi involontari che potrà essere suddivisa per mezzo di altri criteri.

Ovviamente tutte queste scelte discrezionali non potranno essere effettuate unilateralmente dall’amministratore nel momento in cui egli redigerà nel suo ufficio il rendiconto condominiale. Tali decisioni dovranno essere effettuate dai proprietari riuniti in assemblea, i quali adotteranno, all’ interno dei perimetri della legge citata, le determinazioni che essi riterranno più opportune al loro stabile: ovviamente, tutto ciò dovrà essere realizzato per mezzo di una delibera assembleare da valersi per il futuro e che dovrà quindi poi essere applicata dall’amministratore nel redigere i futuri rendiconti condominiali, delibera che dovrà essere approvata con le maggioranze di cui al 3° co. dell’art. 1136 del c.c..
Per concludere, quindi, questa prima parte, si può dire che a seguito della installazione dei sotto-contatori la lettera d) co. 5°dell’art 9 del D.Lgs n.102/2014 esclude espressamente che la spesa per il consumo di calore possa essere suddivisa solo ed esclusivamente utilizzando i millesimi di proprietà, criterio di riparto che la norma fa salvo solo transitoriamente per la prima stagione termica successiva all'installazione degli apparati di misurazione.

Da quanto detto finora si deve concludere che nello stabile dell’autore vi sia stata una costante violazione delle norme di legge sopraccitate nel momento in cui nei vari rendiconti condominiali si è proceduto a ripartire la spesa di consumo di calore per millesimi, nonostante la presenza di idonei sotto contatori regolarmente funzionanti. Sotto questo aspetto è assolutamente ininfluente il fatto che detti strumenti di misurazione abbiano la certificazione di conformità scaduta, poiché, come già è stato sopra accennato, la lettera b) del co.5° dell’art 9 del D.Lgs n.102/2014, non impone che i sotto contatori da installare presso le singole abitazioni siano in possesso di una qualche specifica certificazione.

Nonostante questo, non è possibile procedere ad una impugnazione giudiziaria delle delibere assembleari che hanno già approvato i riparti di spesa relativi agli anni passati in quanto sono già decorsi i termini per impugnare previsti dall’ art. 1137 del c.c.; inoltre, rappresenta uno sforzo inutile e del tutto fine a sé stesso pretendere di inserire all’ordine del giorno della prossima assemblea gli argomenti da voi citati nel quesito. Infatti, la normativa di cui si è parlato fino adesso è obbligatoria, e i proprietari anche se riuniti in assemblea non hanno il potere di decidere se applicarla o meno: essi, come si è visto, devono limitarsi a rispettarla, avendo solo la possibilità all’interno dei perimetri puntualmente indicati di effettuare determinate scelte.

Pertanto se il prossimo rendiconto condominiale che si dovrà approvare in assemblea presenterà ancora un riparto della spesa attinente al consumo di calore non conforme alle norme di legge, si consiglia durante la riunione di limitarsi ad esprimere voto contrario alla sua approvazione: nel più breve tempo possibile è opportuno poi rivolgersi ad un legale il quale entro i termini indicati dall’art. 1137 del c.c. instaurerà una procedura di mediazione, primo passo necessario per un successivo contenzioso innanzi alla autorità giudiziaria nei confronti del condominio.
In altre parole, se gli altri proprietari, in concorso con l’amministratore in carica, insisteranno nel voler ripartire le spese riguardanti la forza calore in maniera non conforme dell’art 9 del D.Lgs n.102/2014, l’unica strada che rimane è quella di fare causa al condominio.

Infine trattiamo brevemente l’ultimo aspetto posto dal quesito.
Se si ritiene che i rendiconti condominiali presentino delle voci di spesa con importi eccessivi rispetto a quanto effettivamente sostenuto durante la gestione, è sempre possibile per il singolo condomino pretendere di visionare e estrarre copia di tutti i documenti contabili attinenti ai conti condominiali per poi eventualmente far visionare quanto reperito ad un revisore dei conti (ovviamente a spese proprie). Il diritto di accesso ai documenti condominiali trova il suo fondamento normativo negli artt.1129 e 1130 bis del c.c. ed è un diritto soggettivo proprio di ciascun proprietario che non può essere condizionato da una qualche autorizzazione assembleare. Se poi l’amministratore a seguito di tale richiesta terrà dei comportamenti recalcitranti sarà sempre possibile presentare la richiesta di accesso per mezzo di un legale.


P. B. chiede
domenica 13/11/2022 - Lombardia
“Abito in un condominio in cui sono proprietario di due appartamenti e di un box.

L’amministratore vuole ripartire le spese di consumo acqua potabile a millesimi e non più a numero di persone.
Premetto che non abbiamo un regolamento contrattuale, non abbiamo nemmeno un regolamento valido ma solo uno “schema di regolamento” fatto dal costruttore e non abbiamo evidenza di delibere assembleari riguardo alla formazione di un nuovo regolamento.
Inoltre non è possibile installare contattori di acqua.

Il condominio è composto da due fabbricati/blocchi separati. Il primo e un edifico composto da 2 scale ciascuna di 6 piani il secondo e composto da un blocco di 6 box sotterranei privati
I due fabbricati hanno in comune un unico cancello che dà accesso tramite un cortile, transitabile con veicoli, all’edificio a due scale. Il cortile, antistante l’edificio, prosegue con una rampa che permette di giungere ad un corsello sotterraneo con accesso ai 6 box privati retrostanti l’edificio medesimo. Il tetto del corsello è dei box è costituito da un prato verde condominiale
Essi, pur essendo all’interno del perimetro condominiale delimitato da una rete di cinta, sono collocati su un corpo di fabbricato separato e differente dall’edificio principale.
I box auto sebbene non siano in una struttura del tutto indipendente dall’edificio (infatti hanno in comune con esso il cortile, corsello, e cancello) non sono situati sotto la proiezione dell’edificio ma distaccati.
In pratica i box, che sono sotterranei, non si trovano nelle fondamenta dell’edificio principale al piano sotterraneo e quindi non fanno parte integrante di esso.
Inoltre non sono dotati dei medesimi servizi e impianti messi a disposizione dei condomini proprietari degli immobili.
Infatti essi non sono attraversati ne da tubi dell’impianto di riscaldamento, ne dà tubi dell’impianto idrico. Non ci sono rubinetti di acqua ne’ all’interno dei box ne all’interno del corsello.

Essi non fruiscono dell’acqua ad uso domestico (come ho detto prima non sono dotati di un rubinetto individuale collegato all’impianto idrico centrale) ma fruiscono dell’acqua per la pulizia delle parti comuni e irrigazione prato/giardino.
Un rubinetto situato nel cortile antistante l’edificio fornisce l’acqua da utilizzare per le parti comuni.
Voglio tralasciare alcuni aspetti di questa complicata vicenda. Mi interessa invece focalizzarmi solo su questo articolo.

Io sostengo, richiamando l’art. 1123, che in merito alla ripartizione a millesimi delle spese dell’acqua potabile mi spettano solo quelle derivanti dal consumo nelle parti comuni (cortile, giardino corsello) e non quelle derivanti dal consumo domestico di gran lunga molto maggiore.

Anche l’amministratore cita l’art. 1123 ma solo per sostenere che la ripartizione delle spese per acqua deve seguire, appunto in mancanza di un regolamento, la “legge” ossia secondo i millesimi di proprietà inclusi i box. Egli sarebbe d’accordo con me solo nel caso i box avessero un cancello di accesso autonomo ad essi dedicato.

Vengo quindi alla domanda, la struttura del nostro condominio sopradescritta rientrerebbe nei casi in cui è applicabile l’art 1123 nella parte in cui si afferma che la partecipazione a ciascuna spesa debba essere proporzionata al godimento che ogni condomino può trarre dalla cosa comune, e quindi potrei impugnare la delibera dell’amministratore contraria alla mia istanza.
Oppure no in quanto ci sono sentenze che abbiano applicato questo articolo in casi diversi in cui per esempio, come afferma l’amministratore, sono presenti, degli accessi separati.”
Consulenza legale i 18/11/2022
In tema di condominio, fatta salva la diversa disciplina convenzionale (inesistente nel caso specifico), la ripartizione delle spese della bolletta dell’acqua, in mancanza di contatori di sottrazione installati in ogni singola unità immobiliare, va effettuata, ai sensi dell’art. 1123, primo comma, c.c., in base ai valori millesimali delle singole proprietà. Sicché, è viziata, per intrinseca irragionevolezza, la delibera assembleare, assunta a maggioranza, che - adottato il diverso criterio di riparto per persona in base al numero di coloro che abitano stabilmente nell’unità immobiliare - esenti al contempo dalla contribuzione i condomini i cui appartamenti siano rimasti vuoti nel corso dell’anno (tra le tante in questo senso Cass. Civ. Sez.II, del 1° agosto 2014 n. 17557).

Alla luce della giurisprudenza citata, ci si sente di propendere in parte per le ragioni dell’amministratore il quale correttamente applica il 1° co. dell’art. 1123 del c.c. nella ripartizione dell’acqua potabile: la ripartizione “a persona” infatti non è un criterio legislativamente previsto e non è stato convenzionalmente stabilito dai proprietari in un regolamento di condominio o in un separato accordo successivo. Il riparto per mezzo dei millesimi generali però troverebbe corretta applicazione solo se nell’impianto idrico del palazzo non sono installati contatori di contabilizzazione individuali, i quali permetterebbero di attribuire a ciascun appartamento i metri cubi effettivamente consumati. In questo secondo caso, la ripartizione per millesimi dovrebbe fare spazio a quella per metri cubi.

Tuttavia l’amministratore non applica correttamente le norme del diritto condominiale in relazione al corpo di fabbrica in cui sono ricompresi i box auto. Tale corpo di fabbrica, autonomo rispetto a quello in cui sono ricompresi gli appartamenti, non ha tra i suoi beni comuni ex art. 1117 del c.c. l’impianto idrico e fognario, il quale rimane una pertinenza comune del solo fabbricato in cui sono ricompresi gli appartamenti. Per quanto ci è dato capire anche il rubinetto da cui si attinge l’acqua per la pulizia delle parti comuni è ricompreso nel “fabbricato appartamenti” e non nel “fabbricato autorimesse”. Per cui non è dato comprendere a quale titolo le autorimesse debbono partecipare alla ripartizione delle spese condominiali relative ad un impianto di cui in definitiva non usufruiscono, e non lo fanno per oggettive ragioni, poiché esso non fa parte del corpo di fabbrica in cui le autorimesse sono ricomprese.
Le autorimesse quindi sarebbero escluse dalla ripartizione delle spese idriche in virtù dell’ultimo comma dell’art. 1123 del c.c.

La V° Sezione del Tribunale di Roma, con la sentenza n. 18245 del 23.11.2021 detta un principio assolutamente condivisibile: secondo i giudici capitolini le autorimesse non partecipano alla ripartizione delle spese di acqua potabile e fognature a meno che il singolo box non sia allacciato direttamente all'impianto idrico condominiale.

Come già detto questo non pare essere il caso del complesso edile descritto nel quesito, dove le autorimesse sono situate in un corpo di fabbrica totalmente staccato ed autonomo. Ovviamente rimane fermo il fatto che l’autore del quesito dovrà comunque partecipare alla ripartizione delle spese idriche condominiali e anche per uso domestico in qualità di proprietario di due appartamenti, unità immobiliari queste ricomprese nel blocco di fabbrica principale. Nel ripartire tali spese ai sensi del 1° co. dell’art. 1123 del c.c. si dovrà fare applicazione dei millesimi indicati nella tabella generale di proprietà, ma attribuiti alle sole due unità abitative, con esclusione dei millesimi attribuiti al box auto.


C. N. chiede
sabato 29/10/2022 - Campania
“Salve.
Il mio condominio ha un debito non estinto con una impresa per lavori di messa in sicurezza eseguiti 3 anni fa. L'impresa ha inviato solleciti, poi decreto ingiuntivo, poi precetto e poi ha pignorato il conto corrente condominiale. In caso di persistente inerzia dell'amministrazione condominiale e/o dei condomini è possibile pagare la propria quota direttamente al creditore senza passare per l'amministrazione condomoniale evitando anche eventuali richieste in solido da parte del creditore?”
Consulenza legale i 06/11/2022
La natura dell’obbligazione dei condomini nei confronti dei terzi è questione dibattuta in giurisprudenza e dottrina.

La tesi maggioritaria considerava l’obbligazione dei singoli condomini di natura solidale secondo il principio di presunzione di solidarietà dei condebitori stabilito dall’art. 1294 del c.c..
Secondo la giurisprudenza, infatti, l’art. 1123 c.c., che riguarda la ripartizione degli oneri all’interno del condominio, non superava la presunzione suddetta (Cass. civ. n. 17563/2005, Cass. civ. n. 14593/2004).

L’indirizzo minoritario, invece, riteneva che i condomini fossero obbligati in proporzione alle proprie quote e quindi secondo il criterio di parziarietà.

La Cassazione a Sezioni Unite ha approvato l’orientamento minoritario sostenendo che “la solidarietà nel condominio non è contemplata da nessuna disposizione di legge e che l’art.1123 c.c., interpretato secondo il significato letterale e secondo il sistema in cui si inserisce, non distingue il profilo esterno e quello interno” e di conseguenza la responsabilità dei condomini è governata dal criterio della parziarietà delle obbligazioni assunte nell’interesse del Condominio per la conservazione e per il godimento delle cose comuni dell’edificio (Cass. civ. S.U. n. 9148/2008).
La medesima pronuncia afferma che in caso di condanna dell’amministratore – quale rappresentante dei condomini – il creditore può procedere all’esecuzione individualmente nei confronti dei singoli condomini secondo la quota di ciascuno.

Nonostante la questione sul punto sia ancora dibattuta tra dottrina e giurisprudenza, l’orientamento prevalente attualmente è quello della parziarietà dell’obbligazione condominiale nei confronti del terzo creditore.

La riforma del Condominio intervenuta con la L. n. 220/2012, ha modificato l’art. 63 comma 2 stabilendo il beneficio di escussione per i condomini in regola con i pagamenti delle spese condominiali; i creditori, quindi, potranno agire nei loro confronti solo dopo avere tentato di recuperare il credito dai condomini morosi.

Il condomino che vuole adempiere versando la propria quota del debito condominiale complessivo direttamente al creditore, deve stare attento ad una questione: il pagamento al terzo non lo libererà dal versamento delle spese condominiali deliberate dall’Assemblea in relazione ai costi dell’intervento effettuato dal terzo.

La giurisprudenza ha avuto occasione di affermare, ripetutamente, l’indipendenza dell’obbligo del singolo partecipante di pagare al Condominio le spese dovute rispetto alle vicende debitorie del Condominio verso i suoi appaltatori o fornitori per la diversa causa giuridica da cui scaturiscono le due obbligazioni.
Il condomino, quindi, non può “utilmente opporre all'amministratore che il pagamento sia stato da lui effettuato direttamente al terzo, in quanto, si è detto, ciò altererebbe la gestione complessiva del Condominio: sicchè il singolo deve sempre e comunque pagare all'amministratore, salva l'insorgenza, in sede di bilancio consuntivo, di un credito da rimborso per gli avanzi di cassa residuati” (Cass. civ. n.2049/2013, Cass. civ. 10371/2021).

Si ritiene, quindi, che nel caso di specie il condomino debba pagare correttamente le proprie spese condominiali all’amministratore di condominio senza versare la propria quota direttamente al terzo.
In ogni caso il terzo potrà agire nei confronti dei condomini in regola con i pagamenti delle spese condominiali solo dopo aver inutilmente tentato di soddisfare il proprio credito dal conto corrente condominiale e/o dai condomini morosi.

E. B. chiede
venerdì 14/10/2022 - Lazio
“Salve in un'autorimessa privata costruita all'interno di un complesso residenziale vi sono 35 box chiusi con basculanti in alluminio ed una unica cantina con porta in legno che è la mia ..alla sinistra della mia cantina vi sono 10 box ed alla destra altri 10 box. Dobbiamo ottenere il CPI certificato prevenzione incendio e l'amministratore dell'autorimessa mi ha detto di sostituire la porta in legno con una rei 120 tagliafuoco a mie spese e non ripartirla per quote millesimali tra tutti i 35 proprietari dei box e me compreso per la cantina. Il mio amico ingegnere dice invece che la spesa della porta rei 120 per la mia cantina va ripartita fra tutti... chi ha ragione? grazie”
Consulenza legale i 21/10/2022
Non è possibile dare a tale domanda una risposta univoca e certa. In linea generale è assolutamente pacifico che la porta di chiusura- apertura di una pertinenza del proprio appartamento deve considerarsi un elemento di essa, la quale è sicuramente una parte in proprietà esclusiva del singolo condominio: pertanto le spese per la sua sostituzione devono essere interamente sostenute solo dal singolo proprietario.

Nel caso specifico però entra in gioco la certificazione antincendio, al cui ottenimento ha interesse l’intera compagine condominiale o quantomeno quel gruppo di proprietari che hanno una loro unità immobiliare situata nel piano da certificare.

In particolare in merito alle spese per l’ottenimento della certificazione vi è una parte della giurisprudenza di merito, la quale sembra affermarsi (Trib. Bologna n.493 10.10.2015), che suddivide le misure antincendio da installare per l’ottenimento del certificato in due gruppi: le protezioni attive (estintori, segnaletica impianti di spegnimento dispositivi di allarme ecc. ecc) e i dispositivi di protezione passivi tra i quali rientrano ad esempio le porte taglia fuoco.

Secondo tale orientamento le spese per l’installazione delle protezioni passive essendo di interesse per l’intera collettività condominiale dovrebbero essere ripartite tra tutti i condomini ex art.1123 del c.c.

È evidente che il cambio della porta del locale cantina con una che sia conforme alla normativa antincendio è condizione necessaria per ottenere il relativo certificato. L’ottenimento di tale documento a ben pensare non è un vantaggio solo del singolo proprietario ma dell’intero condominio o quantomeno del gruppo di proprietari che hanno i box auto e le cantine nel locale autorimesse da certificare.

Per tale motivo si potrebbe fare leva su tali motivazioni per pretendere magari anche giudizialmente che la relativa spesa sia suddivisa o tra tutti i condomini ex art 1123 1° co. del c.c. o almeno, ai sensi del successivo 3° co. dell’art. 1123 del c.c., tra il gruppo dei soli condomini interessati all’ottenimento del certificato.

G. G. chiede
domenica 09/10/2022 - Liguria
“Abito in un supercondominio composto da nove condominii indipendenti, una strada che collega i vari edifici, un parco che contiene una piscina, un campo da tennis, un campo bocce e un piccolo campo giochi per bambini. Vi sono inoltre diversi distacchi con alberi e aiuole. I parcheggi sono liberi e qualsiasi condomino può parcheggiare dove vuole.
Il supercondominio è stato costruito nel 1972-74. Il costruttore ha predisposto un regolamento contrattuale che ha citato in tutti gli atti di vendita. Sia negli atti di vendita che nel regolamento contrattuale si specifica che il costruttore concede una comproprietà della piscina e del tennis ai singoli condomini in parti eguali, inoltre, a favore dei restanti terreni e strutture, compresa la strada di collegamento, concede ai condomini uno jus utendi et fruendi perpetuo (scrittura privata autenticata dal notaio e trascritta). Per 48 anni la ripartizione delle spese di manutenzione ordinarie e straordinarie sono state suddivise in quote eguali. Ora 4 condomini su oltre 200 hanno impugnato una delibera dell’assemblea che ha rifiutato la richiesta di pagare le spese a millesimi.
E’ stata avviata una mediazione obbligatoria (prima riunione il 13/10/2021). La proposta di mediazione è stata rifiutata con le maggioranze di Legge nel Luglio 2022. Una seconda riunione della mediazione è stata nuovamente bocciata dall’Assemblea con la maggioranza di Legge (art.1136 c.c) a metà Agosto 2022, a questo punto dovrebbero riunirsi per la terza volta e portare la proposta in una prossima Assemblea.
Considerazioni:
1) L’art. 1117 del c.c. non si applica se contrario il titolo (atto di vendita, regolamento contrattuale)?
2) Lo jus utendi fruendi è da considerarsi una comunione e quindi le quote sono eguali (art.1100 c.c)?
3) Il principio di “consuetudine” è applicabile in quanto per 48 anni nessuno ha contestato il metodo di ripartizione in quote eguali?
4) Una mediazione obbligatoria può durare un anno e più ( Legge 98/2013, art. 6 comma 1)?
5) Una mediazione obbligatoria bocciata due volte dall’Assemblea con maggioranze di Legge è valida?
Desidero avere un vostro parere su queste mie considerazioni.
Grazie, distinti saluti”
Consulenza legale i 19/10/2022
E’ opportuno fare preliminarmente un po’ di chiarezza.

Innanzitutto nel condominio non opera la presunzione di uguaglianza delle quote prevista nella disciplina della comunione ordinaria dal 1° co. dell’art.1101 del c.c.

Nel condominio infatti tale norma è sostituita da quella indicata dagli artt. 1123 e ss. del c.c. e dagli artt. 68 e 69 delle disp. att. del c.c.
A mente del 1° co. dell’art. 1123 del c.c. le quote di comproprietà sui beni e servizi condominiali non si presumono uguali ma sono proporzionali al valore della proprietà di ciascun condomino; secondo poi il 1° co. dell’art. 68 disp. att. del c.c. tale valore proporzionale è espresso in millesimi.

Il 1° co. dell’art. 1123 del c.c., inoltre, detta un altro principio fondamentale per il diritto condominiale: salvo diverso accordo tra i proprietari, le spese per la manutenzione ordinaria e straordinaria dei beni e servizi comuni, nonché per le innovazioni deliberate dalla maggioranza, sono sostenute dai condomini in proporzione al valore della loro proprietà, quindi, argomentando ex art 68 disp. att. del c.c., in proporzione ai millesimi che vengono attribuiti a ciascun condomino nelle tabelle millesimali allegate al regolamento di condominio.

Ora, le norme che si sono tratteggiate poco sopra, per quanto importanti, possono essere derogate da specifici accordi tra i condomini: nella stragrande maggioranza dei casi tali accordi derogativi sono racchiusi nelle pieghe dei regolamenti di condominio di natura contrattuale, i quali a volte, ma non sempre, possono contenere modalità di riparto delle spese condominiali che esulano dai millesimi di proprietà, come, ad esempio, una suddivisone di alcune voci di spesa in parti uguali.

Si presti tuttavia attenzione in quanto in assenza di tali accordi derogatori la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha chiarito che non è possibile utilizzare criteri differenti per ripartire le spese condominiali se non quelli indicati dalle norme del codice civile: conseguentemente, dice sempre la Cassazione, una delibera assembleare che approvasse un riparto condominiale in cui le spese vengono suddivise tra i proprietari in maniera difforme dagli art. 1123 e ss. del c.c. sarebbe annullabile e quindi impugnabile entro i rigidi termini previsti dall’art. 1137 del c.c..
In altri termini, non è possibile ripartire determinate voci di spesa in parti uguali se il regolamento di condominio non contiene una specifica clausola che autorizza tale modalità di riparto.

Si è esaminato con attenzione il regolamento di condominio dato in visione, ma esso non pare contenere una espressa previsione che autorizzi a ripartire determinate voci di spesa - presumibilmente quelle riferibili alla piscina e ai campi da tennis - in parti uguali (e ci si corregga sul punto se abbiamo male inteso, onde meglio valutare le ragioni dell'autore del quesito).
Al contrario, il regolamento di condominio alla sua parte terza rubricata "ripartizione spese", come spesso accade nella pratica, non fa altro che riprendere e meglio adattare al singolo complesso edile la normativa codicistica racchiusa nelle norme già citate.

Ora veniamo a trattare di questo “jus utendi et fruendi” che viene concesso reciprocamente ai singoli palazzi che compongono il complesso edile sopra ad alcuni specifici mappali.

Volutamente non ci si soffermerà sulla natura giuridica di questo particolare diritto perché altrimenti si aprirebbero troppi spunti di riflessione che renderebbero il parere eccessivamente pesante.
Basti solo dire che anche in relazione a tale diritto, in assenza di specifiche norme derogatorie contenute nel regolamento di condominio, opera il principio proporzionale e millesimale previsto dagli artt. 1123 del c.c. e 68 disp. att. del c.c.: ciascun condomino abitante nei singoli palazzi vanta dunque su quel diritto una quota proporzionale al valore della proprietà esclusiva di ciascuno espressa in millesimi.

In verità, dalla lettura del regolamento si evince in maniera molto chiara che siamo di fronte ad un super condominio composto a sua volta da (pare) ben nove condomini autonomi tra loro e dal super condominio medesimo. Tale super condominio è composto dai beni e servizi orizzontali comuni a tutti e nove gli edifici (come, ad esempio, i campi da tennis e le piscine).

Stante la grandezza dell’intero complesso edile si è sicuri che esiste affianco al regolamento di condominio di ciascun palazzo anche un regolamento del super condominio disciplinante l’uso dei beni e servizi super condominiali, il quale a sua volta recherà in allegato le tabelle millesimali che dovrebbero essere usate per ripartire le spese attinenti.

Sulla base quindi di quanto ci è stato dato in visione pare che le contestazioni mosse da un gruppo di condomini abbiano sicuramente argomenti piuttosto forti e poco importa che per quasi cinquanta anni per prassi consolidata si sia provveduto a ripartire alcune voci di spesa in parti uguali.

Come si è già detto poco sopra la giurisprudenza della Corte di Cassazione (in questo senso importantissima la SS. UU. n.9839 del 14.04.2019) ha precisato come sono meramente annullabili le delibere assembleari che approvano rendiconti condominiali nei quali le singole voci di spesa vengano suddivisi in violazione delle norme di legge e del regolamento condominiale vigente. Ciò fa si che i riparti approvati negli anni passati non possano più essere messi nuovamente in discussione: per essi infatti sono già abbondantemente decorsi i termini di cui all’art. 1137 del c.c.,. Questo però non impedisce, in relazione alle delibere di approvazione in cui si è ancora nei termini, che un gruppo di condomini possa spendere una impugnazione per ottenere che determinate voci di spesa siano ripartite per il presente e per il futuro in conformità alle norme di legge e di regolamento.

In effetti, seguendo un certo orientamento giurisprudenziale, si potrebbe sostenere che all’interno della compagine condominiale si sia formato per facta concludentia un determinato accordo circa i criteri di riparto per determinate voci di spesa. Supponendo però che tale circostanza voglia essere sostenuta e dimostrata in giudizio, essa presenta diverse criticità.

In prima battuta, tale accordo implicito non vincolerebbe comunque i nuovi proprietari che sono entrati a far parte nel condominio in epoca recente. Inoltre, visto che a quanto ci è dato capire le voci di spesa che si sono negli anni ripartite in parti uguali attengono a servizi super condominiali (campi da tennis e piscina), sarebbe necessario dimostrare che tale accordo per facta concludentia non si sia formato solo all’interno di un singolo palazzo, ma nell’ambito di una ipotetica assemblea del super condominio.
Ovviamente sotto questo ultimo aspetto si potrebbero fare considerazioni più approfondite solo dopo un esame completo di tutta l’intera vicenda.

In merito al procedimento di mediazione in atto, ci si limita semplicemente a dire che per giurisprudenza assolutamente pacifica (es Tribunale di Roma del 22.10.2014), la procedura di mediazione può durare anche oltre il termine di 90 giorni previsto dal comma 1 dell’art. 6 del D.lgs. 28 del 2010: questo a condizione che tutte le parti in conflitto concordino nel prorogare oltre tale periodo il procedimento di mediazione. Può quindi accadere che un tentativo di mediazione si protragga anche per diverso tempo: spetta ai legali che assistono le parti unitamente ai loro clienti capire e valutare se, dopo diversi accordi respinti dalla assemblea di condominio, sia ancora opportuno coltivare la mediazione, oppure magari chiedere al mediatore incaricato di effettuare una proposta di conciliazione ai sensi dell’art. art. 11 del D.lgs. 28 del 2010 e portare il contenzioso ad un livello successivo.




A. G. R. chiede
sabato 10/09/2022 - Liguria
“Sono proprietario di un box che si trova all’esterno dello stabile condominiale solo una parete del box è in comune con lo stabile, il tetto è formato dalla terrazza del condomino del primo piano. La serranda è solo di mia esclusiva proprietà e si apre sull’esterno; sul regolamento condominiale c’è scritto: "il distacco ad ovest è lasciato ali fondi ad esso sporgenti ed all’autorimessa". Vorrei sapere se devo partecipare alle spese di coibentazione dello stabile (bonus 110) oppure, visto che i due muri di 60 cm per lato a cui è ancorata la serranda (dovrebbero essere di mia esclusiva proprietà) non vengono coibentati perché delimitano una superficie fredda, sono esentato dal pagamento dei lavori ?
Cordialmente”
Consulenza legale i 15/09/2022
Il regolamento di condominio purtroppo non è per nulla chiaro. Ad ogni modo, a parere di chi scrive esso considera il distacco ovest come un condominio parziale, la cui proprietà dell’intero blocco deve intendersi suddivisa in ragione di un 15% a favore del proprietario della autorimessa e il restante 85% a favore del magazzino (al netto di tutte le modifiche che sono intervenute negli anni nello stabile dal momento in cui il regolamento è stato redatto).

Il condominio parziale trova la sua giustificazione normativa nell’ultimo comma dell’ art. 1123 del c.c. ed è un istituto giuridico introdotto dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione. Secondo diverse pronunce degli Ermellini (ad esempio, tra le tante Cass.Civ.,Sez.II, n. 1959 del 12.02.2001) si ha il condominio parziale: "allorché all'interno del cd. condominio allargato talune cose - qualificate come comuni ex art. 1117 del c.c. - siano per oggettivi caratteri materiali e funzionali necessarie per l'esistenza o per l'uso, ovvero siano destinate all'uso o al servizio, non di tutto l'edificio, ma di una sola parte o di alcune unità abitative di esso".

A fronte del fatto che l’intero blocco ovest deve considerarsi un condominio parziale composto in ragione dell’ 85% dal proprietario del magazzino e in ragione del 15% dal proprietario della autorimessa si hanno due importanti conseguenze: la prima, è che ogni lavoro di straordinaria amministrazione che coinvolge quella parte del condominio (come per esempio, la coibentazione della facciata) può realizzarsi solo se i due proprietari prestano il loro consenso unanime; la seconda, è che per determinare l’ammontare delle spese che dovrà sostenere il proprietario del garage si dovrà scomputare dall’ammontare complessivo dei lavori la parte da attribuire al blocco ovest: la somma così determinata, dovrà ulteriormente dividersi in ragione dell’85% da attribuire al proprietario del magazzino e in ragione del 15% da attribuire al proprietario della autorimessa.

Quindi, in conclusione, se la restante parte dei proprietari vorrà eseguire dei lavori di coibentazione sul blocco ovest essi potranno realizzarsi solo se il proprietario della autorimessa, unitamente al proprietario del magazzino, daranno il loro assenso votando favorevolmente in seno alla assembleache andrà ad approvare i lavori. Se questo assenso vi sarà, la spesa dovrà poi essere divisa nel modo spiegato poco sopra.

D. D. chiede
lunedì 27/06/2022 - Piemonte
“Il quesito si riferisce alla situazione trovata in un condominio ubicato nella provincia di Savona, nel quale le mie figlie sono proprietarie di un appartamento con utilizzo seconda casa.
Durante l'atto di acquisto ci fu consegnato il regolamento di condominio; mi accorsi che non mi furono consegnate le tabelle di ripartizione spese che dovevano essere allegate.
Mi fu risposto di rivolgermi all'Amministratore di Condominio, il quale ci rispose inviandoci un resoconto annuale (che allego con una successiva e-mail insieme al Regolamento di Condominio ed al verbale assembleare punto 6) o.d.g.). Potrete notare che la ripartizione della voce "Spese acqua" viene effettuata in millesimi, i medesimi delle spese generali. Purtroppo il condominio è dotato di un solo contatore dal gestore idrico.
A fronte di quanto sopra, durante la ristrutturazione dell'appartamento, a mie spese feci installare un contatore idrico di ripartizione ed ho fatto indicare all'o.d.g. assembleare la mia richiesta di "installazione contatori acqua in ogni unità immobiliare"; l'Assemblea, non essendoci l'unanimità dei millesimi, decide di non procedere.
A voi chiedo: a seguito dei passaggi di cui sopra quali possibilità esistono per poter io pagare l'acqua consumata e non a millesimi? Vi ringrazio anticipatamente”
Consulenza legale i 01/07/2022

Il regolamento di condominio dato in visione è molto articolato in merito alla suddivisione delle spese condominiali, ma, stranamente, nulla dice in merito alla suddivisione del servizio acqua potabile. In assenza di specifici strumenti che possono permettere una contabilizzazione individuale dei mc di acqua consumati e in assenza di specifiche norme nel regolamento di condominio, per procedere alla suddivisione degli oneri condominiali attinenti al consumo idrico è necessario fare riferimento al 1° co. dell’art.1123: questa è l’orientamento della giurisprudenza dominante (Cass.Civ. n. 17557/2014). Per tale motivo esclusivamente sotto questo aspetto è corretta la suddivisione della bolletta per mezzo della tabella dei millesimi generali.

La giurisprudenza della Cassazione precisa anche, però, che quando nel condominio sono installati mezzi tecnici che permettono una misurazione individuale del consumo dell’acqua, non è più possibile suddividere il consumo per mezzo delle tabelle generali, dovendo ricorrere ad una ripartizione che tenga conto dell’effettivo consumo di ciascun appartamento.

Tra l’altro l’art. 146 lett.f) del D.Lgs. n.152 del 03.04.2006 ha reso obbligatorio l’installazione nei condomini di contatori per il consumo dell'acqua in ogni singola unità abitativa, norma che poi è stata attuata da ciascuna regione con apposite normative locali.

Proprio alla luce di questa normativa di assoluto favore, vi sono sentenze dei giudici di merito che stanno iniziando a sostenere come l’installazione di un contabilizzatore individuale non necessiti di una autorizzazione assembleare, potendo ciascun proprietario procedere alla installazione in assoluta autonomia. Quanto deliberato quindi, (o meglio quanto non deliberato) nell’agosto del 2021, oltre ad essere errato è assolutamente ininfluente per il caso specifico, tenendo conto del fatto che l’appartamento dell’autore del quesito è già dotato di un contabilizzatore individuale. Ovviamente nel momento in cui il singolo appartamento è dotato di tali strumenti di misurazione il suo proprietario potrà pretendere che in sede di bilancio che venga calcolato il suo consumo d’acqua in proporzione ai mc effettivamente utilizzati.

Se l’amministratore non ottemperasse a ciò si potrebbe valutare di impugnare il bilancio innanzi alla autorità giudiziaria, previo esperimento di un tentativo obbligatorio di mediazione.


L. B. chiede
mercoledì 22/06/2022 - Piemonte
“Buongiorno vorrei porLe il seguente problema: il nostro amministratore di condominio sostiene che la tassa relativa al passo carraio (Cosap) debba essere pagata solo dai proprietari dei box del cortile.
Il nostro cortile condominiale è diviso in una parte privata, con un cancello privato su cui è apposto il cartello di passo carraio.
Sulla parte privata grava una servitù di passaggio che conduce al cortile comune(condominiale) dove vi sono i box.
Quindi, questa seconda parte, più in fondo, dove si trovano i garage, è la parte comune.
Sulla parte comune si trova una porticina che dà accesso alle scale del condominio, all'ascensore esterno e ai bidoni della differenziata.
Importante è il fatto che anche coloro che non hanno i box usufruiscono dell'intero cortile per carico e scarico materiale, entrano con la macchina loro o di terzi per eseguire lavori privati, destinati alle loro private abitazioni (lavori privati e non condominiali ) ed hanno totale accesso all'intero cortile e alla porticina che collega il cortile alle scale.
Il regolamento di condominio contiene una norma che prevede la divisione delle spese di MANUTENZIONE ordinarie e straordinarie del CORTILE PRIVATO ai soli proprietari dei garage.
Gli amministratori precedenti hanno sempre diviso la Cosap fra tutti i condomini anche quelli sprovvisti di box poiché sostenevano che la tassa comunale Cosap fosse a vantaggio di tutti, potendo tutti usufruire del cortile privato e di quello comune. Sostenevano inoltre che la clausola del regolamento di condominio riguardasse la servitù di passaggio con relative spese e che la tassa sul passo carraio fosse una cosa diversa e distinta, destinata all'utilità di tutti come prevede l'art 1123 del codice civile.
L'amministratore attuale sostiene invece che le spese vanno divise solo tra coloro che
hanno i box perché il regolamento di condominio dispone che le spese relative alla manutenzione ordinaria e straordinaria del cortile privato e della relativa servitù di
passaggio siano a carico dei proprietari dei garage.

Aggiungo che la Cosap è intestata al condominio.
La domanda pertanto è: la cosap deve essere pagata dai soli proprietari dei garage o anche dai condomini sprovvisti dei box ma che comunque usufruiscono dell'intero cortile?
Grazie
Cordiali saluti.”
Consulenza legale i 25/06/2022
Se il regolamento di condominio ha natura contrattuale, e quindi fu all’epoca allegato ai rogiti per mezzo dei quali l’originario costruttore del palazzo vendette ai singoli proprietari le unità immobiliari e poi trascritto nei registri immobiliari, le sue norme prevalgono sulle disposizioni del codice civile di cui agli artt. 1123 e ss. del c.c.
Se fosse così, il comportamento dell’amministratore di condominio è assolutamente corretto.

Se, viceversa, il regolamento è stato approvato dalla assemblea a colpi di maggioranza in un’epoca successiva alla formazione del condominio, esso ha natura assembleare e le sue disposizioni in merito alla suddivisione degli oneri condominiali non possono prevalere su quanto dispone il codice civile.
In questo secondo caso si potrebbe sostenere, invece, che la tassa Cosap debba essere suddivisa tra tutti i condomini ai sensi del 1° co. dell’art.1123 del c.c., in quanto l’ingresso condominiale è comunque utilizzato da tutti siano essi proprietari o meno di un box auto.

Ciò che rileva quindi nel caso specifico è capire con precisione la natura giuridica (contrattuale o assembleare) del regolamento di condominio.


Gabriele M. chiede
venerdì 22/04/2022 - Emilia-Romagna
“Spett. Redazione, Quesito consulenza Q202230615

detto che l’amministratore non risulta inadempiente nel applicare il regolamento contrattuale in fatto di riparto spese luce scale, (non si ravvisano irregolarità art 1129 o art 1130 ) a proposito della mia richiesta, volevo anche chiedere:
- se il riparto spese luce scale, calcolato per mm, analogamente al metodo spesa pulizia scale, non sia comunque in contrasto/conflitto con il regolamento contrattuale, che prevede una ripartizione della spesa in parti uguali…
- se, l’agire dell’amministratore, nel formulare il bilancio possa essere stigmatizzato con la richiesta di attenersi a quanto previsto dal regolamento contrattuale, così come è stato valutato per il riparto spese ascensore, (anomalia della tabella mm, che viene considerata errata, rispetto all’articolo del regolamento contrattuale che ne esprime il metodo di riparto, che quindi prevale)
considerato che quanto dettato/disposto dal regolamento contrattuale in fatto di riparto spese deroga la normativa e altro attinente…a prescindere dal fatto che detto procedimento è stato attuato da … sempre (vedi mia nota già inviata)
Se questo mia ulteriore richiesta di approfondimento/chiarimento, comporta un ticket economico fatemi sapere che provvederò al saldo.
Considerato che il mio amministratore mi deride per le osservazioni che avanzo senza però portarle in assemblea, vorrei presentarmi preparato… con documentazione redatta da esperti…
Grazie”
Consulenza legale i 28/04/2022
In linea generale la ripartizione degli oneri condominiali andrebbe effettuata dall’amministratore seguendo le norme del codice civile ed in particolare gli artt. 1123 e 1124 del c.c. Nella sostanza l’applicazione di tali norme comporta che la ripartizione della spesa luce scale avvenga attraverso l’utilizzo delle tabelle millesimali e nello specifico la tabella scale – ascensore.

Tuttavia, come ben specificato dal codice, gli artt. 1123 e 1124 del c.c. possono essere derogati da diversi accordi adottati dai proprietari con l’unanimità dei consensi dei proprietari, accordi che l’amministratore deve poi applicare nella redazione del riparto spese in virtù del fatto che egli è prima di tutto chiamato a dare attuazione alle decisioni dei condomini che amministra ed è anche chiamato a dare attuazione alle norme del regolamento di condominio.

Nella prassi tali accordi derogativi sono spesso contenuti appunto nei regolamenti condominiali di natura contrattuale e fatti propri dai proprietari con la firma dei rogiti per mezzo dei quali hanno proceduto all’acquisto del loro appartamento.

Nel caso specifico il regolamento dato in visione contiene appunto una clausola la quale prevede che la ripartizione delle spese di luce e scale venga fatta in parti uguali tra tutti i condomini che ne fanno uso. Generalmente la ripartizione in parti uguali non sarebbe un criterio legittimo per suddividere gli oneri condominiali proprio perché non previsto dalle norme del codice civile: nel caso specifico esso trova la sua legittimità proprio nel fatto di essere previsto in un regolamento contrattuale e quindi deve essere applicato dall’amministratore durante la redazione del riparto annuale.

Ripartire gli oneri contrattuali in violazione delle norme di legge o di regolamento comporta che la delibera assembleare che contenga l’approvazione del riparto possa essere annullata con ricorso alla autorità giudiziaria, ricorso che però deve essere proposto entro il rigido termine perentorio previsto dall’art. 1137 del c.c.

Per tale motivo, nel caso specifico, tutti i riparti approvati negli anni passati seppur redatti in violazione delle norme del regolamento contrattuale devono ormai considerarsi pienamente validi ed efficaci. Se però l’amministratore continuerà nella errata prassi di suddividere le spese della luce e scale per mezzo delle tabelle millesimali in luogo del riparto in parti uguali, si potrebbe pensare ad impugnare la delibera che andrà ad approvare il nuovo bilancio per l’anno a venire.


F. P. chiede
martedì 08/03/2022 - Lazio
“Salve,
nello stesso stabile possedevo fino a novembre 2018 due appartamenti.
In quell'anno ne vendetti uno, che era regolarmente attaccato al riscaldamento centralizzato.
Ho pagato per tale appartamento tutti gli oneri condominiali, comprensivi delle spese del gas. Infatti al momento del rogito ho avuto dall'amministratore una liberatoria.
L'altro appartamento invece, ancora in mio possesso, si è distaccato dal riscaldamento centralizzato ed ha sempre pagato le spese per la manutenzione della caldaia ed a seconda del cambiare delle leggi ha pagato una percentuale del gas, intorno al 30%.
Lo scorso gennaio è arrivato un decreto ingiuntivo esecutivo relativo al gas non pagato negli anni 2014 e 2016 dal precedente amministratore ad insaputa di noi condomini che invece avevamo versato le quote.
La nuova amministratrice ha diviso la cifra per millesimi ed io mi ritrovo per l'appartamento distaccato a pagare più di chi usufruisce del gas. Tra l'altro in quegli anni io non ero a bilancio per le spese del gas, pagando solo i costi della caldaia.
Mi sono opposta al pagamento totale, offrendomi di pagare solo gli interessi e le spese legali, ma non la sorte.
Nessuna risposta dall'amministratrice.
Nel frattempo il nuovo proprietario dell'altro appartamento si è rifiutato di pagare la sua quota dicendo che nel 2014 2016 non era lui il proprietario.
Cosa fa fede nei decreti ingiuntivi, la data di emissione (2020) o la data del debito?
Io mi ritrovo da innocente a dover pagare quasi 900 euro per cose che non mi riguardano.
Come stanno le cose?”
Consulenza legale i 14/03/2022
Il comportamento adottato dall’amministratore di condominio è corretto e avvallato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione.

La VI -2 sez. della Corte di Cassazione con la ordinanza n.4259 del 21.02.2018 ha infatti precisato che: "Ove…vi sia stata una condanna giudiziale definitiva del condominio, in persona dell'amministratore (nella specie, a seguito di decreto ingiuntivo non opposto), al pagamento di una somma di denaro in favore di un creditore della gestione condominiale, la ripartizione tra i condomini degli oneri derivanti dalla condanna del condominio va comunque fatta alla stregua dei criteri dettati dall'art. 1123 c.c., salvo diversa convenzione.”
È interessante notare come tale pronuncia è stata resa proprio in relazione ad una vicenda analoga a quella oggi prospettata, in cui vi era un condominio destinatario di un decreto ingiuntivo verso cui non era stata effettuata alcuna opposizione e quindi divenuto definitivamente esecutivo.

Dando per presupposto che nel condominio di cui al quesito non sia vigente un regolamento di condominio di chiara natura contrattuale che deroga a quanto disposto dall’art.1123 del c.c., si deve necessariamente concludere per la correttezza del riparto effettuato dall’amministratore. Tutti i proprietari dovranno quindi sopportare pro quota il pagamento del decreto ingiuntivo anche se il mancato versamento degli oneri di riscaldamento da cui è scaturito poi il provvedimento giudiziario è avvenuto in un’epoca in cui o si era distaccati dall’impianto centralizzato oppure non si era neppure proprietari.

Più che concentrarsi sulla correttezza dell’operato dell’attuale amministratore bisognerebbe chiedersi il motivo per cui il professionista precedente non abbia provveduto ad effettuare i pagamenti dovuti dal condominio venendo meno a dei suoi precisi doveri professionali. Se quanto è successo è stato causato da una sua negligenza, e non ad esempio da un ammanco di cassa dovuto ad esempio a mancati versamenti da parte dei proprietari, si potrebbero valutare azioni legali nei suoi confronti.

S. C. chiede
domenica 13/02/2022 - Piemonte
“Buongiorno, vi contatto per un parere legale in merito a una questione emersa in condominio. 4 anni fa ho acquistato una villetta facente parte di un condominio assicurandomi, al momento dell’acquisto,che fossero saldati i debiti con il condominio del precedente proprietario. Nel condominio è presente un condomino che non pagava da anni le spese e i condomini,circa 10 anni fa,avevano creato un fondo morosità per coprire i debiti di questa persona e pagarne le spese future e il denaro versato all’epoca è stato utilizzato nel corso degli ultimi 10 anni. Quest’anno l’abitazione del condomino moroso è stata venduta all’asta ma, poiché il proprietario aveva numerosi debiti, non è stato possibile recuperare il denaro necessario a saldare anche i debiti di questa persona con il condominio. Oggi, uno dei condomini che a suo tempo aveva versato una quota al fondo morosità, chiede che, poiché non è stato possibile recuperare quei soldi con la vendita, siano gli attuali condomini a doversi ripartire tra loro l’importo del fondo, ormai esaurito,così da restituire ai condomini che avevano creato il fondo, i soldi versati 10 anni fa. La richiesta è legittima?io che ho comprato casa 4 anni fa e che non ero presente al momento della creazione del fondo,posso essere chiamata a risarcire chi aveva contribuito alla creazione di tale fondo anche se all’epoca non vivevo qui?Preciso che dal momento del mio ingresso in condominio, non è mai stata fatta richiesta ai nuovi condomini come me di contribuire a quel fondo, che è stato utilizzato fino al suo esaurimento permettendo di coprire tutte le spese del condomino moroso fino al momento della vendita all’asta del suo immobile.”
Consulenza legale i 18/02/2022
Per rispondere è necessario innanzitutto dire che la giurisprudenza con un orientamento costante ritiene che il credito derivante dalla costituzione di un qualsiasi fondo condominiale, al di là delle finalità per le quali è costituito, segue l’unità immobiliare in condominio e pertanto viene automaticamente ceduto con la sua vendita (tra le tante in questo senso si cita Cass. Civ., Sez. II n.17035 dell’11.08.2016). I giudici con tali pronunce non fanno altro che attuare l’importante principio secondo il quale l’obbligo di corrispondere gli oneri condominiali discende prima di tutto dal fatto di essere proprietari di una unità immobiliare in condominio. E’ ovvio che tale principio debba applicarsi non solo per i debiti che il proprietario ha verso il condominio, ma anche per i pochi casi in cui il proprietario vanta un credito nei confronti della compagine condominiale, come appunto nel caso in cui si sia costituito un fondo spese.
A fronte di questo importante principio, però, è parimenti giusto sottolineare come anche il nuovo proprietario debba partecipare alle perdite del fondo morosità derivante dal non essere riuscito a recuperare le somme dall’ex condomino inadempiente.

Anche, però, le pretese avanzate da una parte del condominio non hanno fondamento.

La giurisprudenza (per es. Corte di Appello di Catanzaro sentenza n.1542 del 24.11.2020) ha infatti precisato che in assenza di specifici accordi presi dalla unanimità dei partecipanti al condominio, il riparto degli importi da destinare al fondo debba avvenire applicando i millesimi generali di cui all’art.1123 del c.c. e non è possibile utilizzare altri criteri magari decisi sul momento durante la riunione (come, per esempio, la suddivisione per teste).

In applicazione di tale principio, la perdita patita dal condominio e causata dal fatto di non essere riusciti a recuperare le morosità pregresse non potranno essere accollate solo ad un gruppo di proprietari, ma dovranno essere ripartiti tra tutti i condomini applicando i millesimi generali. Si potrebbe derogare a tale principio solo nel caso in cui tutti i proprietari all’unanimità raggiungessero un accordo nel quale si convenisse di ripartire le spese con criteri non previsti dalla legge o dal regolamento di condominio, ma non pare proprio che nel caso specifico tale accordo si sia raggiunto.


R. G. chiede
venerdì 28/01/2022 - Lombardia
“Condominio con corpi di fabbrica abitativi, in parte aderenti, uno separato, per un totale di 6/7 scale indipendenti, più due corpi di fabbrica separati terra-cielo adibiti ad autorimesse con ingresso diretto dai cortili comuni. Unico amministratore, unico codice fiscale, unica assemblea. In caso di necessità posso inviare Regolamento Contrattuale del quale anticipo alcuni enunciati.
Il regolamento contrattuale dopo aver dichiarato l’esistenza di “un unico condominio” passa ad elencare le cose "di proprietà" comune indivisibile ed inalienabile:
l’area su cui insistono i corpi di fabbrica adibiti ad abitazione, uffici, magazzini, l’area su cui insistono i corpi di fabbrica adibiti ad autorimesse, i cortili, le fondazioni, i muri maestri, i tetti, le scale, i cornicioni, le grondaie, i terrazzi, i portoni e quant’altro non attribuito in proprietà particolare; i locali destinati ad uso di portineria e alloggio del portiere; i corridoi di disimpegno anche ad uso particolare nelle porzioni non attribuite in proprietà privata particolare; gli impianti, le condutture ed i servizi generali di acqua, gas, energia elettrica e riscaldamento fino alla derivazione dei singoli appartamenti; le centrali idrica, termica elettrica, le cabine, gli impianti degli ascensori e i macchinari annesse gabbie metalliche e guide metalliche, impianti elettrici eccetera e spazi adibiti a tali servizi; le installazioni per le antenne televisive con le relative tubazioni e derivazioni” .
Stabilisce poi con l’articolo 7 ( punteggiatura compresa ) che: “le quote di comproprietà delle parti comuni ed il riparto delle spese tutte (generali, ascensore, riscaldamento, ecc.) salvo quelle per l’acqua potabile d’uso comune e fognature e accessi carrai, che verranno ripartite dall’amministratore secondo i criteri di uso comune e di pratica sono espresse in millesimi nella tabella allegata al presente regolamento.”
Specifico che la tabella riporta i millesimi di proprietà, gestione, riscaldamento, per ogni singola proprietà( compresi i box in corpo separato ) più i millesimi di ascensore dai quali sono esonerati i box.
Apposito articolo del regolamento prevede inoltre: “tutte le spese in genere per la gestione, ivi comprese le quote di ammortamento dl bruciatore e del deposito della nafta e manutenzione ordinaria e straordinaria dell’impianto di riscaldamento e locali adibiti a tale uso, saranno a carico dei singoli condomini nel caso di qualsiasi modifica delle installazioni di ogni singolo condomino in proporzione della superficie radiante utilizzata od utilizzabile da ciascuna proprietà particolare.”
Si noti il richiamo alle disposizioni del primo comma dell’ articolo 1123 c.c. e nessun accenno alla deroga ai successivi comma 2 e 3 e/o all’articolo 1124 c.c. Nel contempo si ammette il principio dell’uso potenziale in paragrafo successivo relativo alle modifiche dell’impianto di riscaldamento. In occasione del distacco dei box in corpo separato dal servizio di riscaldamento si e’ infatti provveduto ad esonerare gli stessi dalle relative spese.
Da anni, a maggioranza con mio voto contrario quale proprietario di solo box senza alcuna abitazione , i box in corpo separato sono chiamati a contribuire alle spese di tutti i corpi abitativi a partire da manutenzione/pulizia di tetti, grondaie, muri, scale, infiltrazioni (anche private), dovute ai vari impianti verticali di acqua, fogne, canne fumarie e quanto altro si voglia aggiungere. Di tali corpi di fabbrica i box non usufruiscono se non per l’unico portone e androne di ingresso al comprensorio situato nella palazzina principale.
La contribuzione e’ ovviamente reciproca, ma non si può non notare la differenza tra le due prestazioni per la totale mancanza di proporzione tra le opere necessarie alla manutenzione/pulizia delle due differenti categorie di immobili e dei relativi servizi.
La giustificazione riportata e’ la “convenzione contraria” contenuta nel Regolamento Contrattuale.
Tanto premesso domando:
• L’enunciato del Regolamento Contrattuale costituisce deroga tacita al principio dell’uso potenziale regolato dall’art. 1123 comma 2 e 3 e/o dall’art.1124 mai citati espressamente?
• Scolasticamente il Regolamento Contrattuale elenca le cose comuni del primo comma dell’art. 1117 per la cui suddivisione richiama il primo paragrafo dell’art. 1123 fornendone le relative tabelle millesimali. Richiama poi il principio dell’uso potenziale nel caso di ipotetica modifica agli impianti di riscaldamento. E’ evidente la mancanza di una qualsiasi deroga anche solo parziale agli articoli pur richiamati e nulla fa presagire di non volersi adeguare al dettato legale dell’uso potenziale. Chiedo pertanto se in un Regolamento Contrattuale la deroga (di importante valore economico ) può essere tacita (confidando sulla sola ingannevole interpretazione/deduzione dal contesto ) o al contrario l’effettiva volontà di derogare agli articoli di legge debba essere chiaramente espressa? “Ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit”. Se voglio derogare lo dico, se non voglio derogare (o forse neppure ci ho pensato) non lo dico.
• Ed ancora bypassando la questione : e’ possibile il riconoscimento/costituzione di supercondominio relativo alle cose comuni a tutti i corpi di fabbrica ex legge 220/2012 ? La iniziale definizione “di proprietà comune indivisibile ed inalienabile" può costituire “titolo contrario” al supercondominio?”
Consulenza legale i 07/02/2022
Nel diritto civile vi sono norme che vengono definite imperative, che come tale non possono essere derogate dalla volontà delle parti e norme che, al contrario, possono essere tranquillamente sorpassate e contraddette da una diversa volontà delle parti. Tali norme hanno più che altro la funzione di intervenire laddove i contraenti nulla hanno disposto nelle pieghe dei loro contratti.

Nel diritto condominiale gli artt. 1123 e 1124 del c.c., che disciplinano la suddivisione degli oneri condominiali tra i diversi proprietari, sono tipicamente norme che possono essere derogate da diversi accordi e pattuizioni adottati unanimemente dai partecipanti al condominio.

Nella stragrande maggioranza dei casi tali accordi derogativi sono racchiusi nei regolamenti di condominio di natura contrattuale, ovvero da quei regolamenti predisposti unilateralmente dal costruttore dell’edificio e allegati ai rogiti di acquisto delle singole unità immobiliari.
Spesso però questi regolamenti non fanno altro che riprendere e richiamare la disciplina dettata dal codice civile, magari introducendo qualche deroga più confacente per il singolo complesso di edifici.

Sulla base degli stralci del regolamento che sono riportate nel quesito non possiamo dire che in tale documento vi siano norme che, derogando a quanto dispongono gli artt.1123 e 1124 e ss. del c.c., accollino ai proprietari dei box in corpo staccato il pagamento di oneri condominiali che nulla hanno a che vedere con la loro proprietà.

In altre parole la suddivisione che è stata fatta fino ad ora degli oneri condominiali è errata alla luce sia delle norme del codice civile che del medesimo regolamento di condominio, e vi sarebbero gli estremi per valutare eventuali impugnazioni alla delibera di approvazione del bilancio di condominio.
I proprietari delle sole autorimesse in corpo staccato sono, infatti, tenuti al pagamento delle sole spese inerenti la loro proprietà (per esempio, come spese ordinarie possiamo citare la luce che illumina il vialetto di uscita e l’area di manovra degli automezzi) e non devono sopportare oneri che attengono a chi è proprietario anche degli appartamenti (es. pulizia scale o manutenzione ascensore o riscaldamento).

Non può porsi a giustificazione della prassi adottata dal condominio, il fatto che nel regolamento si dica che il complesso di edifici di cui al quesito deve considerarsi un unico condominio.

A differenza del regolamento di condominio contrattuale che trova la sua forza nella volontà di chi lo sottoscrive e come tale è in grado di derogare agli artt.1123 e 1124 del c.c., il condominio (o super condominio) in se e per se è una situazione di fatto che si verifica non perché lo vogliono i suoi partecipanti attraverso una delibera assembleare costitutiva, che può tuttalpiù avere un significato organizzativo, ma perché in un edificio o insieme di edifici un tempo appartenente ad unico proprietario, iniziano ad esservi piani o porzioni di piano in proprietà esclusiva a soggetti differenti.

La giurisprudenza ha più volte chiarito che il supercondominio: "viene in essere ipso iure et facto (di fatto n.d.r), se il titolo non dispone altrimenti, senza bisogno d’apposite manifestazioni di volontà o altre esternazioni e tanto meno d’ approvazioni assembleari, sol che singoli edifici, costituiti in altrettanti condomini, abbiano in comune talune cose, impianti e servizi legati, attraverso la relazione di accessorio e principale, con gli edifici medesimi" (Cass. Civ, Sez.II, sentenza n. 1344 del 19.01.2018).

Ad ogni modo, se anche per assurdo, ignorando i più elementari principi del diritto condominiale, si volesse considerare il complesso edile descritto come un unico condominio, ciò non comporterebbe comunque una valida deroga agli artt.1123 e 1124 del c.c. e alle norme del regolamento disciplinanti la suddivisione delle spese che, lo si ribadisce, non accollano in alcun modo ai proprietari dei garage in corpo staccato spese attinenti alla manutenzione di beni e servizi riguardanti altri edifici del complesso.



C. D. D. R. chiede
lunedì 17/01/2022 - Veneto
“Spett. Studio Legale Brocardi,
sono un pensionato residente a XXX, dove ho svolto anche buona parte della mia attività lavorativa, da ultimo nella Scuola Pubblica.
Come proprietario utente, sono l'unico residente stabile, in un appartamento di 45 mc, presso un condominio comprendente undici appartamenti di diversa grandezza, ovvero un condominio abitato, dagli altri condomini, prevalentemente solo durante le ferie invernali ed estive, e che si suole definire "ibrido".

Durante la gestione 2019-2020, con il manifestarsi del covid, e il conseguente divieto di spostarsi nelle seconde case per le ferie invernali, è apparso evidente il fatto che l'amministratrice calcolava solo i millesimi del riscaldamento termico-climatico (oltre tutto con una quota fissa bassa, non adatta ad un condominio "ibrido"), ma non i millesimi riguardanti l'acqua calda sanitaria (ACS). Di conseguenza, il consumo involontario (cioè la dispersione termica, accentuata dallo squilibrio termico dovuta ad un edificio solo parzialmente abitato durante l'anno) è ricaduta, per lo più, tutta sulla mia quota di spesa.

Non essendo pratico di questioni condominiali, non mi ero reso ben conto, in precedenza, della questione, limitandomi a dei consumi parchi almeno per il riscaldamento climatico. Preciso che il regolamento condominiale non prevede alcun che a riguardo del riscaldamento climatico (CLI) e dell'acqua calda sanitaria (ACS). Cercando su internet, ho trovato la pubblicazione dell'Ing. Antonio Magri, esperto ANTA, relativa alla quota fissa nel riscaldamento centralizzato condominiale, e sono così riuscito a ricostruire i conteggi, arrivando ai medesimi importi complessivi per il riscaldamento climatico e l'ACS della amministrazione, ma, applicando anche i millesimi ACS, con una ripartizione differente e con un risparmio, sulla mia quota di spesa ACS, di Euro 258,00. Inoltre, applicando una quota fissa più alta e più idonea ad un condominio per le vacanze o "ibrido", diminuivano i costi dei consumi volontari per il riscaldamento climatico, anche se aumentavano i costi per i consumi involontari, specie per gli appartamenti di metratura più grande.

Con la gestione 2020-2021, è cambiata l'amministratrice, ma non la iniqua prassi di non calcolare i millesimi per l'ACS, e il mio aggravio di spesa ACS è stato di Euro 242,00. Alle mie rimostranze l'amministratrice ha risposto che il mancato conteggio dei millesimi ACS è una prassi comune anche in altri edifici condominiali della zona. E, detto per inciso, si può considerare questo complesso di rincari delle spese, insieme agli affitti esorbitanti di questi paesi di turismo, una concausa dello spopolamento della montagna, insieme alla mancanza di servizi essenziali sul territorio.

Attualmente, mediante una serie di mail ai condomini e alla stessa amministratrice, sto cercando di evidenziare che, in un normale periodo prolungato di ferie invernali e estive, conteggiare anche i millesimi ACS, oltre che quelli per il riscaldamento climatico, e adottare una quota fissa più alta e più idonea ad un condominio "ibrido", risulta, alla fine, un risparmio per tutti i condomini, poiché si dimezzano i costi dei consumi volontari (ad esempio circa 09,00 Euro per un mc ACS, invece di 19,00 Euro, o più, per un mc ACS), ridimensionando la relativa perdita riguardo i consumi involontari per gli appartamenti più grandi. Tutto questo anche nella eventualità che si possa ricorrere al finanziamento del 110%.

Dunque, in sintesi, vorrei sapere se l'articolo nove della nuova normativa, per il riscaldamento climatico e l'ACS centralizzati, del D.legs. 73/20 (almeno il 50% dell'importo complessivo da suddividere per i consumi volontari e la possibilità che gli importi rimanenti siano suddivisi in varie modalità, secondo i millesimi, i metri quadri, ecc.) imponga tassativamente l'applicazione dei millesimi anche per l'ACS, come è logico che sia secondo il testo dell'articolo di legge, o se, invece, possa lasciare una certa discrezionalità alla ammistratrice nell'applicare, o meno, i millesimi.
Ringrazio per l'attenzione e invio cordiali saluti.”
Consulenza legale i 22/01/2022
Innanzitutto è giusto precisare che la normativa da Lei citata è estremamente tecnica. Pertanto, per capire se l’amministratore abbia fatto una corretta applicazione di tale normativa, è necessario rivolgersi ad un termotecnico che potrebbe affiancare poi il legale nel capire se vi siano gli estremi per rivolgere al condominio e al suo amministratore una qualche contestazione.

Fatta questa doverosa premessa quanto mai necessaria, è giusto dire che nel momento in cui si parla di ripartizione di acqua calda sanitaria, si fa riferimento quasi sempre alla ripartizione della forza calore necessaria per riscaldare l’acqua che si fa scorrere attraverso i nostri rubinetti, e quindi deve farsi applicazione della normativa specifica, ed in particolare del D.Lgs. n.102 del 2014 come modificato dal recente D.Lgs.n.73/20.

Gli interventi legislativi citati sono estremamente complessi ed esulano lo specifico campo del diritto condominiale, ma sotto questo ultimo aspetto è sicuramente importante la lett. d) dell’art. 9 del D.lgs. n.102/2014 come modificato dal recente art. 9 del D.Lgs n.73/20.

Tale normativa introduce un nuovo criterio di riparto che si affianca a quelli indicati dagli artt. 1123 e ss. del c.c. che deve essere applicato dall’amministratore nel riparto delle spese attinenti al consumo di calore allo stesso modo in cui vengono applicate le norme del codice civile per il riparto delle altre voci di spesa del bilancio.

In particolare la lettera d) che si sta esaminando trova applicazione nei condomini che sono alimentati da teleriscaldamento o teleraffreddamento o comunque da sistemi comuni di riscaldamento o raffreddamento e deve utilizzarsi per la corretta ripartizione delle spese condominiali connesse al consumo di calore, ma anche, come dice letteralmente la norma, per l'uso di acqua calda per il fabbisogno domestico, se però prodotta in modo centralizzato.

La lettera d) dell’art. 9 in questo senso non lascia dubbi interpretativi e quindi nel caso specifico se la forza calore per scaldare la nostra acqua è prodotta in maniera centralizzata (come pare), il criterio deve trovare sicura e pronta applicazione da parte di chi amministra lo stabile, e sotto questo aspetto non vi è spazio per alcuna discrezionalità.
Dove la norma lascia spazio alla discrezionalità dell’amministratore è nel criterio da utilizzare per suddividere la quota non ripartita in base ai prelievi volontari: si potranno utilizzare infatti:” a titolo esemplificativo e non esaustivo, secondo i millesimi, i metri quadri o i metri cubi utili, oppure secondo le potenze installate.”

È giusto precisare che il criterio indicato dalla lett.d) dell’art. 9 è facoltativo, quindi l’amministratore può anche scegliere di non applicarlo, nel caso in cui nel palazzo siano già installate modalità di contabilizzazione individuale del calore.

Per capire quindi se l’art. 9 dovesse essere applicato al caso specifico bisognerebbe sapere se tali mezzi sono stati a suo tempo installati nell’edificio: per precisione, il D.Lgs. n.102 del 2014 imponeva l’installazione di tali apparati di conteggio della forza calore già a far tempo della sua entrata in vigore.

Ovviamente, se il criterio indicato dalla lett. d) dell’art. 9 del D.Lgs. n.102 del 2014 doveva essere applicato nel momento in cui si sono ripartite in bilancio le spese attinenti al consumo di calore e ciò non è stato fatto, la delibera che approva il rendiconto condominiale potrebbe essere impugnabile innanzi alla autorità giudiziaria. Il quesito però non fornisce sufficienti elementi per capire se la delibera possa essere considerata semplicemente annullabile, e quindi impugnata entro i rigidi termini di cui all’art.1137 del c.c. (caso più probabile), o nulla e quindi contestabile in ogni tempo.





L. O. chiede
venerdì 10/12/2021 - Toscana
“Gentili avvocati, vorrei da voi un chiarimento a proposito della ripartizione delle spese per l'adeguamento dell'antincendio.
Abito in un appartamento di otto piani ( quindi molto alto ) con garage interrati, ma non sono proprietario di garage. Non abbiamo adeguato l'antincendio da molto tempo a causa delle molte spese di manutenzione dello stabile, ma ora è necessario fare i lavori specifici. Alla mia domanda alla amministratrice sul modo di ripartire le spese dell'adeguamento dell'antincendio, la stessa ha risposto secondo i millesimi condominiali. Le ho detto che ero a conoscenza di una sentenza della Corte di Cassazione che attribuiva la spesa "esclusivamente" ai proprietari dei garage in quanto ne avevano loro l'utilizzo esclusivo. Ha ribattuto affermando che data l'altezza dello stabile e la difficoltà da parte dei vigili di raggiungere con le scale gli ultimi piani, l'antincendio era da ritenersi dello stabile al completo ( e quindi a carico di tutti i condomini a seconda dei millesimi). Per la verità una precedente amministratrice, alla specifica domanda relativa sempre al nostro stabile, aveva affermato che la spesa era a carico dei condomini proprietari dei garage. Francamente, prima di pagare, vorrei sapere con certezza come stanno le cose e come vanno ripartite le spese. Grazie mille in anticipo per la vostra risposta chiarificatrice”
Consulenza legale i 13/12/2021
Purtroppo per dare una risposta chiara e precisa sarebbe necessario capire la tipologia dei lavori da effettuare confrontandosi con un tecnico specializzato.
In linea generale possiamo confermare quanto affermato nella prima parte del quesito. La Corte di Cassazione con diversi arresti anche in epoca recente come ad esempio Cass.Civ., Sez. II, n. 24166 del 08.09.2021 ha precisato che le spese per l’adeguamento della normativa anti incendio devono essere attribuite solo ai proprietari dei box auto. Gli ermellini giungono a tale conclusione facendo applicazione dell’importante principio racchiuso nel 2° co. dell’art. 1123 del c.c. secondo il quale: “se si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione dell'uso che ciascuno può farne”.

Le spese per l’adeguamento alla normativa antincendio secondo i giudici sono suscettibili di un utilizzo separato in quanto non giovano alla intera collettività condominiale, come può essere, ad esempio, il rifacimento della facciata dello stabile, ma solo ai proprietari dei box auto. Quanto detto dalla Cassazione però non può considerarsi una regola valevole per tutti i casi concreti. Se, infatti, i lavori che si andranno ad eseguire sono tali per cui il beneficio che se ne trae non ricade solo sui proprietari dei garage interrati ma anche sull’intera collettività condominiale, quantomeno parte dell’importo potrà essere scorporato e ripartito tra tutti i proprietari ai sensi del 1°co. dell’art. 1123 del c.c.

Seguendo questo ultimo approccio alcune pronunce di merito (si veda ad esempio Trib. Bologna n.493 del 10 ottobre 2015) hanno sconfessato almeno in parte quanto sostenuto dalla corte di Cassazione distinguendo tra opere che vanno a protezione delle parti strutturali dell’edificio (c.d. opere di protezione passiva), e lavori che vanno a protezione delle singole autorimesse (c.d. opere di protezione attiva), effettuando tra le due categorie di lavori una distinzione in merito alla modalità di ripartizione delle spese. Infatti, le opere di protezione passiva, in quanto realizzate a protezione dell’intero edificio e quindi nell’interesse dell’intera compagine condominiale, devono essere ripartite tra tutti i condomini, così come dispone il comma 1° dell’art. 1123 del c.c.; le opere di protezione attiva, invece, in quanto poste solo a protezione delle singole autorimesse, e quindi realizzate nell’esclusivo interesse dei soli proprietari di queste, dovranno essere suddivise secondo il criterio del comma 2° dell’art. 1123 del c.c..

A. D. chiede
giovedì 09/12/2021 - Lazio
“Sono proprietario di un box in un garage seminterrato. Ultimamente, stanno facendo adeguamenti alle normative anti incendio, altrimenti hanno detto che con le auto non si poteva piú accedere. La spesa è abbastanza importante, e le spese sono state addebitate solo ai proprietari dei box. Peró, i proprietari dei suddetti, non hanno l'accesso esclusivo a tale area, perché sulla stessa grava praticamente un diritto di servitú, in quanto nella stessa area, c'è il locale autoclave con tutte le tubazioni di adduzione e distribuzione dell'acqua. Inoltre anche tutti gli scarichi fognari, passano nella stessa area, addirittura uno scarico, si trova proprio nel mio box.
La mia richiesta riguarda la legittimitá di tale atto. Personalmente ritengo che siccome non c'è l'esclusività d'uso dell'area, una quota delle spese, spetti anche ai proprietari degli appartamenti, in piú per preservare le strutture, ci hanno obbligato anche a rivestire gli intonaci preesistenti, con un tipo piú resistente al calore, aggravando le spese.”
Consulenza legale i 13/12/2021
La Corte di Cassazione con diversi arresti anche in epoca recente come ad esempio Cass.Civ.,Sez.II, n.24166 del 08.09.2021 ha precisato che le spese per l’adeguamento della normativa antincendio devono essere attribuite solo ai proprietari dei box auto. Gli ermellini giungono a tale conclusione facendo applicazione dell’importante principio racchiuso nel 2°co. dell’art. 1123 del c.c. secondo il quale: “se si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione dell'uso che ciascuno può farne”.
Le spese per l’adeguamento alla normativa antincendio secondo i giudici sono suscettibili di un utilizzo separato in quanto non giovano all'intera collettività condominiale, come può essere, ad esempio, il rifacimento della facciata dello stabile, ma solo ai proprietari dei box auto.

Per la verità, alcune sentenze di merito (si veda Trib. Bologna n.493 del 10 ottobre 2015) in merito alla certificazione per la prevenzione incendi e dei lavori conseguenti, distinguono tra opere che vanno a protezione delle parti strutturali dell’edificio (c.d. opere di protezione passiva), e lavori che vanno a protezione delle singole autorimesse (c.d. opere di protezione attiva), effettuando tra le due categorie di lavori una distinzione in merito alla modalità di ripartizione delle spese. Infatti, le opere di protezione passiva, in quanto realizzate a protezione dell’intero edificio e quindi nell’interesse dell’intera compagine condominiale, devono essere ripartite tra tutti i condomini, così come dispone il comma 1° dell’art. 1123 del c.c.; le opere di protezione attiva, invece, in quanto poste solo a protezione delle singole autorimesse, e quindi realizzate nell’esclusivo interesse dei soli proprietari di queste, dovranno essere suddivise secondo il criterio del comma 2° dell’art. 1123 del c.c. Seguendo questo ultimo orientamento, in un ipotetico contenzioso si potrebbe quindi sostenere che le somme relative ai lavori di rifacimento degli intonaci preesistenti devono essere ripartite tra tutti i condomini in quanto poste a protezione dell'intero edificio. Ovviamente per considerazioni più puntuali sarebbe opportuno un confronto con un tecnico specializzato.

P.V. chiede
venerdì 08/10/2021 - Friuli-Venezia
“Salve, siamo un insieme di tre condomini, A, B, C. Il condominio B è servito da una stradina che si deve in parte ripristinare, rovinata anche da radici dei pini. Codesta serve pure ai quattro garage del condominio C, dove noi siamo proprietari di un garage, ma abitiamo al condominio A. Il nostro vicino è proprietario del garage nel condominio B, dove ci sono cinque garage di cui il secondo è di proprietà di un condomino che abita nelle vicinanze. Nel condominio D i quattro condomini hanno in comune il riscaldamento. Una parte delle proprietari vuole che la riparazione sia pagata dai proprietari dei garage, mentre noi chiediamo che sia per millesimi o metà per millesimi e metà per numero di proprietari che usufruiscono della strada (appartamenti e garage). Vorrei sapere come comportarmi e se per deliberare tale lavoro sia assolutamente necessaria una assemblea.”
Consulenza legale i 13/10/2021
Nel caso descritto siamo di fronte ad un complesso edile che nel suo insieme costituisce un classico supercondominio.

Il super condominio è composto dai manufatti e servizi (come appunto la stradina e l’impianto di riscaldamento comune) che sono posti al servizio e al miglior godimento delle proprietà ricomprese in tutti e quattro palazzi, e giuridicamente deve considerarsi come un ente condominiale autonomo rispetto a quello dei quattro edifici che lo compongono, dotato di un proprio amministratore e di una propria assemblea.

In merito alla assemblea super condominiale, essa è composta da tutti i proprietari dei palazzi A+B+C+D, e ai sensi dell’art. 1135 del c.c. è competente a deliberare su tutti i lavori di manutenzione inerenti i beni comuni ai 4 edifici: quindi, anche della stradina di cui si sta parlando nel quesito. Per deliberare è assolutamente necessario procedere attraverso l’assemblea super condominiale, quindi è necessario che l’amministratore del super condominio, il quale può coincidere o meno con quello dei singoli palazzi, proceda a convocare l’assise affinché prenda le decisioni del caso. Se l’amministratore pone delle resistenze a procedere in tal senso, si può forzargli la mano ricorrendo al procedimento indicato dall’art. 66 disp.att. del c.c., inoltrando quindi al professionista richiesta formale di convocazione sottoscritta da almeno due condomini che rappresentino almeno 1/6 del valore millesimale delle tabelle generali relative al super condominio.

In linea puramente teorica, si precisa che ciascun condomino potrebbe procedere a riparare la stradina scavalcando gli organi e le procedure condominiali ma sobbarcandosi per intero il costo dell’intervento: seguendo questa strada, però, il proprietario diligente non avrebbe diritto ad alcun rimborso, poiché espressamente escluso dall’art. 1134 del c.c. Per questo motivo si ritiene tale soluzione difficilmente percorribile.

Venendo a trattare le modalità di suddivisione della spesa, le fonti normative da seguire per rispondere al quesito sono due. La prima, le disposizioni del regolamento di condominio: pare molto difficile che in un complesso edile di queste dimensioni non viga un regolamento di condominio in cui vengono disciplinati le modalità di suddivisione delle spese relative alla manutenzione della stradina. Nel caso in cui non vi sia un regolamento di condominio, la norma di riferimento è sicuramente l’art.1123 del c.c. ed in particolare i suoi commi 1° e 3°.
Il 1° comma, ci dice che le spese relative alle parti comuni dell’edificio sono sostenute dai condomini in proporzione al valore della proprietà di ciascuno. Il 3° comma, invece, ci dice che qualora ilcondominioabbia opere destinate a servire una parte dell’intero fabbricato le spese per la loro manutenzione sono a carico del gruppo di condomini che ne trae utilità.
Per la verità, si è sicuri che i principi dettati da tali rilevantissimi norme o dalle disposizioni racchiuse nel regolamento di condominio (se vigente), sono da tempo stati tradotti numericamente in tabelle millesimali generali riguardanti i beni e i servizi super condominiali.

Se così fosse (e si è sicuri che è così), sono solo tali tabelle che possono trovare applicazione: non è possibile infatti per i condomini in seno alla assemblea inventarsi dei criteri di riparto alternativi a quelli indicati dalle norme indicate, e approvarli a colpi di maggioranza. In caso contrario, la delibera sarebbe affetta da un gravissimo vizio di validità e sarebbe radicalmente nulla, a meno che tali criteri derogatori non vengano approvati all'unanimità dei proprietari, cioè, trattandosi di assemblea super condominiale, dalla totalità dei proprietari dei palazzi A, B, C e D. Come si può facilmente intuire, quanto descritto è una situazione molto difficile da realizzare nella realtà.

Fabrizio C. chiede
martedì 28/09/2021 - Puglia
“Nel pdf allegato la parte tratteggiata in blu è il lastrico solare di proprietà del condominio la parte in verde rappresenta un elemento architettonico (che erroneamente, forse, ho definito pensilina di coronamento) [foto 1 e 2] che :
1) perimetralmente segue l’andamento del suddetto lastrico
2) si trova ad una quota inferiore allo stesso di circa 40 cm
3) aggetta sui sottostanti terrazzi di proprietà esclusiva ubicati al piano attico sporgendo fuori dai suddetti terrazzi solo sul lato nord [foto 3 e 4]
Il quesito che pongo è il seguente:
per la manutenzione del suddetto elemento architettonico è applicabile l’art. 1123 comma 2 c.c. con la spesa, una parte su tutti, un’altra parte solo su quelli che traggono il beneficio maggiore [Cass. sent. n. 6010/19 del 28.02.2019].”
Consulenza legale i 30/09/2021
Per rispondere adeguatamente al quesito, bisognerebbe capire se effettivamente la pensilina sia un elemento che per le sue caratteristiche tecniche e funzionali possa servire i condomini del corpo di fabbrica interessato in misura diversa (1123 2° comma del c.c.), oppure sia tale da essere utile a tutti i proprietari indistintamente (1123 1° comma del c.c.).

Tale quesito deve essere rivolto non tanto ad un legale, quanto ad un tecnico edile (ad esempio un geometra), che potrebbe poi affiancare l’avvocato in una ipotetica causa nei confronti della compagine condominiale, nella quale si andrebbe ad impugnare l’errato riparto delle spese di riparazione della pensilina.

Esaminando le foto, pare che detta pensilina funga da copertura per i soli balconi sottostanti e quindi forse spetterebbe a tali proprietari far fronte alle spese della sua riparazione, ma se, per esempio, tale pensilina sia un elemento fondamentale per il sistema di scolo delle acque meteoriche dell’intero corpo di fabbrica, il riparto andrebbe fatto utilizzando il 1° co. dell’art. 1123 del c.c. A tutti questi dubbi può dare risposta solo un tecnico edile.


F.C. chiede
mercoledì 08/09/2021 - Puglia
“Buongiorno,
ho un abitazione in un condominio composto da tre scale. Per ogni singola scala, sui balconi affaccianti sul prospetto posteriore è posta una pensilina di coronamento, estensione solo in quel tratto del lastricato solare, che protegge tutte le abitazioni sottostanti e, centralmente, la parte esterna del vano scala (FOTO 1).
Dovendosi provvedere alla manutenzione di due delle tre pensiline esistenti chiedo:
1. I condomini della scala la cui pensilina non necessita di alcun intervento devono partecipare alla spesa?
2. Le spese di manutenzione straordinaria della singola pensilina sono da imputare ai condomini della scala a cui la pensilina si riferisce?
3. I condomini della stessa scala con solo affaccio sul prospetto principale, quindi non protetti in alcun modo dalla pensilina devono comunque partecipare alla spesa? Se si in che misura ?
Certo di un Vs cortese riscontro porgo
Distinti saluti”
Consulenza legale i 11/09/2021
Il lastrico solare è una parte piana dell’edificio posto alla sua sommità che in luogo del tetto a falde funge da copertura del fabbricato. Il n.1) dell’art.1117 del c.c. indica tale manufatto tra le parti condominiali, ma sovente capita che i rogiti di acquisto delle singole unità immobiliari o i regolamenti di condominio attribuiscano il lastrico in proprietà o in uso esclusivo ad uno specifico condomino.

Tale circostanza non è sicuramente di poco conto, soprattutto quando si è chiamati a ripartire le spese relative al rifacimento di tale importante parte dell’edificio, in quanto se il lastrico è condominiale le spese relative alla sua manutenzione ordinaria o straordinaria dovranno essere ripartite secondo le norme generali del codice civile e quindi ai sensi dell’art. 1123 del c.c., se invece il lastrico è in proprietà o in uso esclusivo ad un condomino troverà applicazione la ripartizione straordinaria prevista dall’art.1126 del c.c.

Per quanto ci è dato capire, nel caso specifico i lastrici solari posti sulla sommità dei tre corpi di fabbrica sono condominiali, tali devono essere considerati anche i loro elementi accessori come le pensiline di coronamento: per ripartire le spese di manutenzione siano esse ordinarie o straordinarie, trova applicazione l’art. 1123 del c.c. ed in particolare il 1° e 3° co. di tale norma.
Il 3° co. dell’art.1123 del c.c. ci dice: "Qualora un edificio abbia più scale, cortili, lastrici solari…le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condomini che ne trae utilità".

Applicando la normativa appena citata le spese per il rifacimento della pensilina dovranno essere sopportate solo ed esclusivamente dai proprietari le cui abitazioni sono ricomprese nel corpo di fabbrica sulla cui sommità è posta la pensilina da manutenere: per la sua ripartizione si dovrà applicare quindi la tabella generale riferibile solo a quel corpo di fabbrica.

Sono, quindi, esclusi dalla ripartizione tutti gli altri condomini, compresi quelli che hanno l’affaccio sul prospetto principale, questo perché la pensilina ha una funzione principalmente di copertura e di scolo delle acque piovane di cui beneficiano solo i proprietari del corpo di fabbrica interessato.

Giacinto L. P. chiede
mercoledì 26/05/2021 - Lazio
“Spett. redazione:
Sono proprietario (e residente) a Roma di un appartamento il cui palazzo è costituito da due blocchi di appartamenti con scale di accesso comuni, uno che chiamerò Blocco A e l’altro Blocco B.
L’Amministratore E** BO** del palazzo ha contrattualizzato per € 400.000,00 l’esecuzione di lavori di manutenzione ordinaria in data 11/05/2012 con la soc. Gruppo M****lindo.
Tali lavori sono stati parzialmente realizzati dall’Impresa, e corrispondono solo al 50% del capitolato sottoscritto. Praticamente sono stati eseguiti solo lavori sul Blocco A e non sul Blocco B.
Preciso che i lavori descritti in capitolato e i prezzi erano praticamente paritari tra i due blocchi.
Alla fine, in data 13 marzo 2017 (dopo 5 anni del contratto e a due circa dall’abbandono dei lavori da parte dell’impresa) il contratto è stato risolto con scrittura privata tra l’amministratore e il sig. David P**NA liquidatore della soc. esecutrice lavori, in liquidazione.
In tale risoluzione risulta che il Gruppo M****lindo. aveva ricevuto dalla contabilità del direttore lavori Ing. CRU***ANI maggiori somme per un importo di €. 28,000,00 successivamente restituiti al condominio tramite ulteriori prestazioni dell’impresa.
Naturalmente l’amministratore per tutto il periodo lavori ha emesso fatture a tutti i condomini per pagare le spese in rapporto ai vari stati di avanzamento emessi da D.L., in importo proporzionale ai singoli millesimi di ogni condomino.
Quindi tutti i condomini (Blocco A + Blocco B) hanno pagato le quote dei lavori effettivamente eseguiti e contabilizzati (ripeto solo sul Blocco A) in proporzione dei propri millesimi e non come è giusto “in relazione ai beni dei quali il singolo condomino usufruisce”. In pratica non c’è stata una equa ripartizione delle spese nella contabilità condominiale perché una parte ha pagato senza che nessun lavoro fosse stato eseguito sulla propria facciata o copertura, e l'altra parte ha pagato solo la metà delle opere di cui direttamente gode. In definitiva il 50% dei condomini ha usufruito anche dei soldi versati da altri condomini che non hanno goduto e non godono di nessun lavoro in modo diretto come impermeabilizzazione e sostituzione del proprio tetto e intonaco e riverniciatura di balconi e facciata.
CHIEDO:
1: La parte creditrice ha diritto alla restituzione delle spese ingiustamente pagate, oltre agli interessi legali, a partire dalla data dei versamenti a saldo?
2: La situazione debitoria e creditizia allargata, deve essere resa nota a eventuali acquirenti degli appartamenti, e una volta nota potrebbe incidere sulla possibilità di contrazione mutui, sui rapporti con le banche e con l’agenzia delle entrate, sulla possibilità di ottenere bonus del 100, 90%, e fino a mettere in discussione i contratti di compra-vendita già stipulati anche da tempo e che non abbiano tenuto conto del debito o del credito condominiale automaticamente contratto?”
Consulenza legale i 12/06/2021
Come è noto le norme del codice civile disciplinanti la ripartizione delle spese condominiali ed in particolar modo l’art. 1123 del c.c., il quale troverebbe diretta applicazione nel caso specifico, possono essere derogati da diverse convenzioni sottoscritte tra i proprietari. Tali convenzioni sono nella stragrande maggioranza dei casi racchiusi nei regolamenti di condominio di natura contrattuale allegati ai rogiti di acquisto delle singole unità immobiliari. In questi casi, infatti, le norme che l’amministratore deve seguire per un corretto riparto degli oneri condominiali sono quelle racchiuse nel regolamento, e non quelle previste dal codice civile. Se, in presenza di norme convenzionali derogatorie, l’amministratore applicasse nel ripartire le spese condominiali ciò che prevedono gli artt.1123 e ss. del c.c., la delibera che approva il bilancio di condominio conseguente sarebbe sul punto nulla e impugnabile in ogni tempo anche oltre i rigidi termini previsti dall’art.1137 del c.c.

Nel caso specifico l’art. 8 del regolamento condominiale prevede che tutte le spese attinenti alla conservazione, manutenzione, funzionalità e decoro delle parti comuni indicati dal precedente art. 1 devono essere sopportati dalla interezza dei proprietari e ripartiti secondo le tabelle millesimali allegate. Non ci è dato capire che tipologie di lavoro furono a suo tempo approvate, ma da una prima lettura il riparto operato dall’amministratore pare corretto alla luce delle disposizioni regolamentari vigenti nel complesso, se tali lavori coinvolgono espressamente le parti degli edifici indicati al’art.1 del regolamento.

Venendo a trattare della seconda parte del quesito, tra gli obblighi del venditore vi è quello di consegnare la cosa venduta previsto dal n.1) dell’art.1476 del c.c. Nel caso di vendita di una unità immobiliare tale obbligo si realizza non solo consegnando all’acquirente le chiavi dell’appartamento, ma anche di tutti i documenti ad esso attinenti, tra cui rientra sicuramente l’obbligo di consegnare il regolamento di condominio a cui il nuovo proprietario deve attenersi. Durante la trattativa poi, l’obbligo di buona fede che incombe sulle parti ai sensi dell’art.1377 del c.c., imporrebbe al venditore di rendere edotto il potenziale acquirente della situazione contabile del condominio, della presenza di eventuali situazioni debitorie e delle norme racchiuse nel regolamento. In altri termini se durante la trattativa l’acquirente chiede di prendere visione del regolamento di condominio, essa è una richiesta più che legittima a cui il venditore dovrebbe dare corso.
Posto questo, la situazione descritta non impedisce all’acquirente di contrarre mutui con gli istituti bancari, sulla base della normativa oggi vigente non incide sull’ottenimento di bonus fiscali e sicuramente non va ad incidere sui contratti di vendita già stipulati.

Maria T. I. chiede
mercoledì 28/04/2021 - Campania
“Nel mio condominio avendo degli invalidi (con carrozzella) ed un ascensore che parte dal piano ammezzato e non dal piano terra. Si è deciso di chiedere preventivo sia di un servoscala con poltroncina per superare la prima rampa di scale dal piano 0 al piano ammezzato. E di valutare anche il costo del prolungamento dell'ascensore. Si è poi deliberato all'unanimità di far partire l'ascensore (condominiale) dal piano terra. E di fare i lavori necessari per il prolungamento. In sede assembleare non si è deciso come ripartire la spesa. Poiché in un primo momento si era parlato di servoscala, l'ascensore è condominiale, il prolungamento è utile a tutti i condomini incluso il piano ammezzato. Per me era ovvio un riparto per art. 1123 Tabella di proprietà. Con mia grande sorpresa invece hanno chiesto riparto secondo art. 1124. Vorrei un vostro parere.”
Consulenza legale i 01/05/2021
La giurisprudenza in materia di suddivisione delle spese attinenti alla installazione manutenzione e sostituzione degli impianti ascensore in condominio, in maniera oramai dominante, tende a distinguere tra l’installazione di un nuovo impianto prima non presente nel palazzo, dalla manutenzione e sostituzione di uno già esistente. Le pronunce giurisprudenziali, sia di merito che di legittimità, che effettuano questa distinzione sono veramente copiose: si è usato come “faro guida” la sentenza Cass. Civ., Sez. II, del 25.03.2004 n.5975.

Le spese per la installazione di un impianto ascensore ex novo in un edificio ove prima non vi fosse la presenza di alcun impianto.

In questo caso, sostiene la giurisprudenza, siamo difronte ad una vera e propria innovazione ex art. 1120 del c.c., in quanto i condomini vanno ad introdurre nel condominio un servizio comune che prima non era presente. In questo caso le spese sostenute per l’installazione dell’impianto, vanno ripartite seguendo il principio dell’art. 1123 co.1 del c.c. che, tra le altre cose, disciplina la suddivisione delle spese per le innovazioni deliberate durante la vita condominiale. Applicando il criterio adottato da tale norma, gli oneri condominiali si ripartiscono in proporzione al valore delle singole unità immobiliari, e quindi, in termini pratici, applicando la tabella dei millesimi generali.

Le spese per la manutenzione o per la sostituzione di un impianto ascensore che era già presente nel momento in cui l’assemblea delibera su dette spese.

In questo caso, secondo la giurisprudenza, il criterio da seguire non è quello dell’art 1123 del c.c., ma del successivo art. 1124 del c.c. Applicando tale norma le spese per la manutenzione e la sostituzione degli ascensori, sono ripartite tra i proprietari delle unità immobiliari a cui servono. La spesa viene poi tra essa ripartita per metà in base al valore delle singole unità immobiliari, per l’altra metà esclusivamente in proporzione all’altezza di ciascun piano dal suolo. Generalmente i criteri di riparto indicati nell’art. 1124 del c.c., vengono matematicamente attuati dalla tabella ascensore, la quale viene utilizzata dagli amministratori per ripartire le spese di manutenzione e rifacimento dell’ascensore.

Applicando i principi appena tratteggiati si può concludere come il prolungamento della corsa dell’impianto ascensore esistente essendo teso ad estendere il servizio ad una parte dell’edificio che prima ne era sprovvisto, costituisce una innovazione ai sensi dell’art. 1120 del c.c. e come tale le relative spese devono essere ripartite ai sensi dell’art. 1123 del c.c.
Qualora quindi l’assemblea abbia deliberato di ripartire le spese sulla base del successivo art. 1124 del c.c., ci sono gli estremi per proporre una impugnazione innanzi alla autorità giudiziaria, preceduta da un tentativo obbligatorio di mediazione, se si è ancora nei termini perentori di cui all’art. 1137del c.c. L’impugnazione infatti deve essere proposta entro 30 gg. decorrenti dal giorno della riunione per i condomini dissenzienti o astenuti ma presenti in assemblea; per i proprietari assenti invece il termine per impugnare decorre dal giorno in cui viene loro comunicato il verbale della riunione. Il termine viene rispettato anche con la semplice presentazione della istanza di mediazione presso un organismo abilitato.


Mario C. chiede
venerdì 22/01/2021 - Veneto
“Condominio parziale formato da due fabbricati A e B . Sono proprietario nella scala B (appartamento di 48,976 ml) e nella scala A (garage e magazzino di 8,988 ml) Gestione in comune : amministrazione, manutenzione e illuminazione di tutte le parti in comune, assicurazione , imposte, tasse. sono ripartite tra le u.i. dei vari blocchi utilizzando le tabelle millesimali
Nella scala A non esiste ascensore e la pulizia scale viene eseguita dai proprietari della scala A. Nella scala B esiste l'ascensore e la pulizia eseguita da un'impresa. L'amministratore mi addebita I costi dell'ascensore , pulizie e luce scale in base ai millesimi di proprietà A + B Totale = 57,964 ml anziché 48,976 ml. è corretto ? Inoltre i costi ascensore non vengono ripartiti come da regolamento condominiale secondo percentuali calcolate sulla superficie complessiva S.C. degli alloggi applicando dei coefficienti in base ai vari piani. Ringrazio e Porgo distinti saluti. Mario Cella”
Consulenza legale i 26/01/2021
Non si è avuto modo di esaminare interamente il regolamento vigente nel complesso ma, ad ogni modo, si darà per presupposto, salvo smentita, che esso sia di natura contrattuale e quindi predisposto dall’originario costruttore e allegato ai singoli rogiti di vendita delle unità immobiliari.

Seguendo questa impostazione, in applicazione degli artt.1117 e 1123 del c.c., dovranno essere addebitati: ai proprietari del condominio “A”, le spese riguardanti i beni e i servizi comuni relativi a quel palazzo; ai proprietari del condominio “B”, le spese riguardanti i beni e i servizi comuni relativi a quel palazzo, e, infine, dovranno essere addebitati a tutti i proprietari dei due condomini, i quali, unitamente considerati, compongono il supercondominio, le spese relativi ai beni e servizi supercondominiali.

Ciò è anche confermato dall’art. 17 del regolamento il quale ci indica chiaramente quelli che sono i beni e i servizi riferibili al supercondominio, e quelli riferibili ai singoli blocchi. E’ evidente quindi che nel ripartire le spese, l’amministratore abbia violato precise disposizioni del regolamento: egli, al contrario, avrebbe dovuto usare i millesimi riferibili al solo appartamento per ripartire le spese di ascensore e luce e pulizia scale, in quanto solo l’appartamento è l’unità immobiliare ricompresa nell’edifico B e non quelli attribuibili al garage e magazzino, unità immobiliari situate in un condominio del tutto distinto.
L’amministratore, in altri termini, per un motivo che si ignora ha erroneamente usato la tabella riguardante i servizi supercondominiali per ripartire spese riferibili ai singoli edifici.

Venendo alla seconda parte del quesito, è ovvio che nel regolamento di condominio vi è una clausola la quale prevede un criterio derogativo in deroga a quanto dispone l’art.1124del c.c. in merito al riparto delle spese relative alla manutenzione e sostituzione di scale e ascensori: ciò è perfettamente lecito in quanto le norme del codice civile disciplinanti la suddivisione delle spese condominiali possono essere tranquillamente derogate da accordi tra tutti i condomini racchiusi in regolamenti di natura contrattuale. Anche in questo caso l’amministratore si fa beffe delle disposizioni del regolamento applicando i criteri di legge.

Come giurisprudenza unanime ha da tempo precisato, la delibera condominiale che approva un bilancio nel quale gli oneri condominiali sono suddivisi in deroga alle disposizioni di un regolamento contrattuale, deve considerarsi nulla e come tale contestabile innanzi al giudice anche se decorsi i termini di impugnazione di cui all’art.art. 1137 del c.c.del c.c. In questo senso è quindi spendibile una contestazione innanzi alla autorità giudiziaria preceduta da un tentativo di mediazione obbligatorio.

Luigi O. chiede
sabato 21/11/2020 - Lazio
“Condominio minimo.
Un palazzetto formato da 2 appartamenti e un locale commerciale è così diviso: un proprietario ha 1 appartamento, l'altro 1 appartamento e il
locale commerciale.
Le decisioni sono al 50%
In caso di lavori la fattura va divisa per due?
O per Mq?”
Consulenza legale i 23/11/2020
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la famosa sentenza n. 2046 del 31.01.06, hanno chiarito che il condominiocomposto da soli due proprietari (anche detto condominio minimo), è un condominio a tutti gli effetti a cui si applica la relativa disciplina. In particolare le Sezioni Unite hanno specificato che trova piena applicazione la normativa sul funzionamento della assemblea condominiale di cui all’art.1136 del c.c., poiché, ci dicono le Sezioni Unite, l’applicazione di tale norma, contrariamente ad altri articoli che trattano la materia condominiale, non è stata condizionata dal numero dei partecipanti al condominio.

Seguendo la logica dettata dalle Sezioni Unite anche gli artt. 1123 e 1124 del c.c., i quali disciplinano la modalità di riparto delle spese condominiali, devono trovare piena applicazione nel condominio minimo, poiché anche per tali articoli la loro applicazione non è limitata a condomini con un certo numero di partecipanti. Da ciò deriva, come regola generale, che anche nel condominio minimo gli oneri debbano essere ripartiti in proporzione al valore della proprietà di ciascuno. In linea puramente teorica, quindi, i due proprietari dovrebbero dare incarico ad un tecnico edile affinché lo stesso provveda a redigere le tabelle millesimali, le quali, una volta approvate, dovranno essere usate per ripartire in proporzione le spese riguardanti la gestione dello stabile. Tutto questo può essere fortunatamente evitato, poiché la disciplina dettata dagli artt. 1123 e 1124 del c.c. è tranquillamente derogabile da un diverso accordo delle parti, come espressamente previsto dall’ ultima parte del 1° co. dell’art. 1123 del c.c.

L’accordo deve essere la strada maestra che i due partecipanti al condominio minimo devono sempre seguire sia nella ripartizione delle spese, ma anche, come vedremo, nella modalità di gestione della cosa comune.
Quindi, in merito alla ripartizione delle spese, la cosa che ci si sente di consigliare è quella di redigere (o di fare redigere da un professionista), uno scritto in cui si metta nero su bianco con quali modalità procedere alla suddivisione delle spese condominiali, accordo che dovrà essere il faro guida per suddividere le spese nella future gestioni dell’edificio.

La conclusione a cui si è giunti in merito al riparto delle spese condominiali deve essere seguita anche per quanto riguarda le scelte di gestione della cosa comune.
È vero che la pronuncia delle Sezioni Unite, citata poco sopra, ritiene pienamente applicabili anche al condominio minimo le norme sul funzionamento della assemblea di cui all’art.1136 del c.c., ma chi scrive ritiene che seppur tale soluzione sia corretta da un punto di vista teorico, pecchi di senso pratico.

Come è noto, infatti, i quorum deliberativi previsti dall’art.1136 del c.c. sono sempre composti da una doppia maggioranza per teste e millesimi. A titolo puramente esemplificativo, analizziamo il 2° co. dell’art.1136 del c.c., esso dispone: "Sono valide le deliberazioni approvate con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti (maggioranza per teste n.d.r.) e almeno la metà del valore dell'edificio (maggioranza per millesimi n.d.r.)". Nel condominio composto da soli due condomini è impossibile raggiungere una maggioranza per teste in quanto, o i proprietari sono entrambi concordi sulle decisioni da prendere, oppure non raggiungono accordo alcuno. Nel primo caso, però, non si può parlare di una delibera assembleare, ma di un normalissimo accordo tra due comproprietari riguardanti il loro bene comune, disciplinato tuttalpiù dalle norme sul contratto. Nel secondo caso, la maggioranza non può formarsi: l’unica strada che rimane, pertanto, è quello di ricorrere alla Autorità giudiziaria ai sensi dell’art.1105 del c.c., ed in particolare al suo co.4°, norma pacificamente ritenuta applicabile anche al condominio in forza del rinvio operato dalle norme sulla comunioneda parte dell’art.1139 del c.c.

Quindi, in conclusione, al fine di evitare inutili contenziosi che non avrebbero altro risultato che quello di rallentare la gestione del condominio e danneggiare le proprietà dei due partecipanti, durante lo svolgimento della vita condominiale è sempre opportuno trovare un accordo sia per la gestione che per il riparto delle spese attinenti alla cosa comune.

Giacinto L. P. chiede
martedì 10/11/2020 - Lazio
“Gentile Studio, mi riferisco alla consulenza Q2020262630 a seguito della mia richiesta sul comportamento dell'amministratore di Condominio che ci invia le RATE (fisse) di pagamento del riscaldamento secondo il preventivo dell'anno precedente, e non a consumo. Mi avete risposto in sostanza che questo è giustificato dalla prassi e che la finale compensazione fa in modo che la modalità di pagamento risulti aderente allo spirito della legge 10.
Mi ero dimenticato di dirvi che il preventivo dell'anno precedente non è stato ancora approvato dall'assemblea, ma lo sarà.
Mi scuso se la vostra risposta mi lascia ancora qualche dubbio. La legge 10 giustamente divide le spese di condominio in due, quelle fisse e quelle a consumo. Questa divisione presuppone che le spese a consumo si debbano pagare in rapporto al CONSUMO reale in un tempo determinato (una volta al mese, bimestrale, annuale ecc.): La rata non dovrebbe essere ammessa perché non ha detto che si consumi in un anno quanto si è consumato l'anno precedente perché le abitudini familiari cambiano nel tempo. Così come avviene per l'elettricità, il gas e altri consumi variabili.
D'altra parte pagare ogni mese o ogni bimestre il reale consumo porterebbe a controllare la corrispondenza consumi-pagamento com maggior precisione. Vorrei quindi sapere quanto potrebbe essere realistico costringere pro lege l'amministratore a far coincidere le letture mensili ai pagamenti, sinecura ormai con le normali applicazioni informatiche. Grazie.”
Consulenza legale i 13/11/2020
La “legge 10” a cui si fa riferimento è con ogni probabilità la L. n.10 del 9 gennaio 1991. Tale provvedimento legislativo ha come primaria finalità quello di introdurre norme tese a razionalizzare il consumo energetico e a migliorare la produzione di energia: in questo senso, i destinatari naturali di tali disposizioni sono gli operatori del settore energetico e non gli amministratori di condominio.

E’ anche vero che alcune parti della L. n.10/1991, riguardano direttamente il settore condominiale e il consumo energetico negli edifici condominiali. In particolar modo l’art. 26 prevede, in deroga a quanto dispongono gli artt. 1120 e 1136 del c.c., delle maggioranze assembleari molto vantaggiose qualora si vogliano disporre delle innovazioni negli edifici tese al risparmio energetico. Ai fini del presente quesito è interessante il co. 5° della norma in commento: "Per le innovazioni relative all’adozione di sistemi di termoregolazione e di contabilizzazione del calore e per il conseguente riparto degli oneri di riscaldamento in base al consumo effettivamente registrato, l'assemblea di condominio delibera con le maggioranze previste dal secondo comma dell'articolo 1120 del codice civile". Non ci si deve confondere nel leggere questo comma! L’art. 26 co. 5° della L n.10/1991 poco sopra citato, infatti, prevede solo delle maggioranze più facili da raggiungere nel caso in cui si vogliano introdurre innovazioni tese a migliorare il riscaldamento negli appartamenti e la sua contabilizzazione, ma non interviene modificando le modalità di ripartire le spese tra i condomini, derogando al principio della proporzionalità previsto dall’art.1123 del c.c. In termini più semplici, la L n.10/1991, non obbliga l’amministratore a ripartire tra i condomini le spese di riscaldamento in base al consumo effettivamente registrato!

Per ripartire le spese la norma guida che l’amministratore deve seguire rimane l’art.1123 del c.c., a meno che non sia vigente nel condominio un regolamento contrattuale che detti disposizioni diverse: in questo caso prevalgono le norme del regolamento rispetto a quanto prevede il codice civile.
Stante la grandezza notevole del condominio in cui vive l’autore del quesito, è molto probabile che vi sia un regolamento di condominio che detti norme specifiche sulle modalità di riparto delle spese di riscaldamento, ma fingendo che questo regolamento non esista, le spese di riscaldamento dovranno essere ripartite con il criterio di proporzionalità previsto dall’art. 1123 del c.c., e quindi attraverso le classiche tabelle millesimali di proprietà. Se però l’edificio è dotato di contabilizzatori individuali che indicano il consumo di energia per ogni unità immobiliare, la giurisprudenza ha statuito che è illegittima la suddivisione delle spese in base ai millesimi, dovendole ripartire in base al consumo effettivo registrato dai contatori individuali (in questo senso, da ultimo, Cass.Civ.,Sez.II, ordinanza n.28282 del 4.11.2019).

Quindi applicando tutto ciò alla problematica del quesito, l’amministratore dovrà ripartire le spese di riscaldamento nel consuntivo parziale o definitivo in base al consumo effettivamente avuto da ogni singola unità immobiliare, se l’edificio è dotato di contabilizzazione individuale; nel preventivo parziale o definitivo il professionista potrà tranquillamente suddividere le spese di riscaldamento facendo una stima di quanto ogni singola unità abitativa andrà a consumare per il futuro: nel fare però tale stima, egli dovrà avere come punto di riferimento e di partenza quanto effettivamente consumato nel periodo già trascorso.
Per capire se l’amministratore rispetti quanto detto nel ripartire le spese di riscaldamento si dovrebbe dare in visione i bilanci del condominio ad un revisore dei conti condominiale, affinché si esprima sull’operato dell’amministratore.


. chiede
venerdì 06/11/2020 - Veneto
“Buongiorno, sono proprietario di immobile in condominio, nel corso dell'ultima assemblea del 26/10/2020, a cui non ho preso parte, sono intervenuti (in seconda convocazione) 23 condomini su 45, per complessivi 593 millesimi.
Dal verbale trasmessomi risulta che "l'assemblea unanime delibera di affidare all' Ing. (omissis) l'incarico per la diagnosi energetica e per la valutazione dello stato di salute del condominio" (ai fini del superbonus 110% e 90% facciate).
Il verbale poi prosegue :
"il costo di tale diagnosi ammonta ad € (omissis) per cadauna unità immobiliare. La spesa, interamente anticipata dal condominio, sarà successivamente scomputata dal costo successivo delle opere, nelle modalità e nei termini previsti dalla normativa in materia, solo laddove l'assemblea decidesse di procedere con l'approvazione dei lavori."
L'importo pro capite è stato poi, sempre da verbale, suddiviso in due rate di pari importo.
Infine il verbale si conclude "I condomini presenti sempre con le maggioranze di cui sopra approvano quanto dall'amministratore indicato".
Il mio quesito è il seguente:
è possibile suddividere la spesa per la consulenza energetica, prodromica al superbonus, con metodo capitario e non in base ai millesimi di comproprietà?
Inutile aggiungere che, in base al criterio capitario deliberato dall’assemblea, mi ritrovo a pagare una spesa di circa sei volte superiore a quella in base ai millesimi di comproprietà.”
Consulenza legale i 10/11/2020
La suddivisione delle spese condominiali per teste è una prassi piuttosto diffusa nei condomini, ma sicuramente foriera di possibili e fondate contestazioni alla luce dei recenti arresti giurisprudenziali della Corte di Cassazione.

Un primo e più risalente orientamento dei giudici di legittimità (si veda Cass.Civ.,Sez.II, n. 2916 del 02.08.1969) riteneva ammissibile la suddivisione delle spese con metodo capitario soprattutto per quelle inerenti all’ impianto citofonico e a quello della antenna tv. Il dato normativo da cui tale orientamento prendeva le mosse era il 2° co. dell’art. 1123 del c.c., e da lì si giustificava la suddivisione degli oneri condominiali con metodo capitario per quei servizi che potevano essere utilizzati in misura uguale dai proprietari.

Tale orientamento, però, è stato sconfessato da un più recente arresto della stessa Corte di Cassazione, la quale con Ordinanza n. 4259 del 21.02.2018 ha ritenuto radicalmente nulla la delibera condominiale che, derogando al criterio proporzionale previsto dal co.1° dell’art. 1123 del c.c., dispone la suddivisione degli oneri condominiali per teste e non attraverso l’utilizzo delle tabelle millesimali approvate dalla assemblea.

Secondo i giudici la giustificazione a tale conclusione risiede nel fatto che, in assenza di un apposito accordo sottoscritto tra tutti i proprietari, l’assemblea non può a colpi di maggioranza derogare a quanto dispone l’art. 1123 del c.c., il quale pone il criterio proporzionale come metodo principale per la suddivisione delle spese in condominio. Il fatto che una delibera di tale tenore debba considerarsi nulla, in assenza di un accordo unanime dei proprietari che legittimi un diverso metodo di ripartizione delle spese, comporta che essa possa essere impugnata in ogni tempo, da chiunque vi abbia interesse e anche oltre i rigidi termini previsti dall’art.1137 del c.c.
Alla luce di quanto detto la delibera assembleare descritta nel quesito deve considerarsi nulla, proprio perché la stessa non è stata adottata alla unanimità: alla riunione, infatti, per quanto ci è dato sapere, erano presenti solo 23 proprietari sul totale di 45.

Vi è da dire, inoltre, che a parere di chi scrive tale delibera deve considerarsi nulla non solo alla luce del più recente orientamento della Cassazione, ma anche in forza di quello più remoto. I giudici con le pronunce rilasciate verso la fine degli anni ‘60 del secolo scorso ritenevano legittima la suddivisione per teste delle sole spese attinenti a quei servizi che in linea teorica venivano ritenuti suscettibili di un uso paritario (impianto tv o citofono), ma tale legittimità non veniva estesa de plano a tutte i servizi e le parti comuni dello stabile. I muri maestri, le fondamenta, le travi e i tetti, per fare solo alcuni esempi, sono da sempre state considerate come beni condominiali le cui spese dovevano essere ripartite applicando rigorosamente il disposto dell’art. 1123 del c.c. (sempre in assenza di diversa convenzione). Se analizziamo bene quanto deciso, la assemblea dei proprietari ha dato incarico ad un tecnico affinché si facesse una valutazione complessiva dello stato di salute dello stabile e della sua efficienza energetica: pertanto anche l’orientamento meno recente dalla giurisprudenza mal si adatterebbe ad essere applicato al caso descritto.

GIUSEPPE C. chiede
lunedì 11/05/2020 - Lazio
“Buongiorno,

sono Giuseppe C. amministratore di condominio e avrei bisogno di una consulenza scritta in merito a un criterio di ripartizione da adottare presso il Condominio...

Il Condominio è composto da un fabbricato di 6 scale e con un terrazzo condominiale che copre interamente le scale con rispettivi accessi.

In data 16/03/2020 affacciandosi dai parapetti del terrazzo condominiale in corrispondenza delle scale B e C alcuni condomini hanno riscontrato che i parapetti si muovevano pericolosamente e pertanto sono intervenuto immediatamente mettendo in sicurezza l'area con installazione di due ponteggi in corrispondenza delle sue scale interessate per prevenire eventuali crolli.

Una volta sbloccati i cantieri si è provveduto al lavoro di rafforzamento dei parapetti direttamente dal terrazzo condominiale.

Alcuni condomini affermano che la spesa è di competenza solo delle due scale mentre altri dicono che essendo un unico fabbricato riguarda tutti in quanto i parapetti fanno parte della facciata.

ll regolamento all'art. 3) parti comuni che dice:

sono parti comuni e indivisibili le parti costitutive dell'edificio, le opere, le installazioni e i manufatti che sono indispensabili al godimento e conservazione dell'edificio stesso e in particolare:

- i lastrici solari, le scale, i pianerottoli e gli androni tutti limitatamente alle unità da queste servite

Inoltre si fa presente che la tabella B riguardante l'edificio A ha un valore di 1000 millesimi.

Rimango in attesa di un Vs cortese riscontro visto che devo redarre la ripartizione delle spese sostenute il prima possibile e serve posso allegare regolamento e fotografie”
Consulenza legale i 15/05/2020
E’ giusto innanzitutto dire che le modalità di suddivisione delle spese sono normate da un regolamento di condominio di chiara natura contrattuale. Come è noto gli artt. 1123 e ss. del c.c., disciplinanti le modalità di riparto delle spese attinenti al condominio, possono essere derogati da un accordo preso dalla unanimità dei proprietari e da un regolamento condominiale contrattuale. In questo caso la giurisprudenza assolutamente unanime e costante, ci dice che una delibera assembleare che andasse ad approvare un piano di riparto contrario alle disposizioni del regolamento di condominio di natura contrattuale, deve considerarsi radicalmente nulla (si veda da ultimo Cass.Civ., Sez. II, ord. n. 470 del 10 gennaio 2019).

È quindi assolutamente consigliabile proporre in assemblea una suddivisione delle spese di manutenzione del lastrico che sia il più rispettosa possibile di quanto prescritto nel regolamento; diversamente si correrebbe il rischio che il rendiconto dei lavori straordinari approvato dalla assise possa essere impugnato dai condomini in ogni tempo, anche oltre i rigidi termini impugnatori di 30 gg. previsti dall’art. 1137 del c.c., e anche da quei proprietari che per assurdo abbiano espresso voto favorevole al piano di riparto proposto.

Analizzando le norme del regolamento che sono state date in visione, si nota come il lastrico solare sia considerato un bene comune limitatamente alle unità da questo servite. Coerentemente, la spesa per la manutenzione dei lastrici solari, a cui la tipologia di intervento descritta nel quesito deve gioco forza farsi rientrare, deve essere suddivisa utilizzando la tabella “B” a cui lo stesso regolamento fa chiaro rinvio nel caso in cui si debbano ripartire spese per lavori di manutenzione attinenti al lastrico.
Pertanto è inevitabile concludere che è tale tabella che si deve applicare per ripartire tra i proprietari le spese di ristrutturazione del lastrico: questo almeno se si vuole proporre un piano di riparto idoneo a resistere ad eventuali contestazioni, evitando che possa essere considerato nullo in un ipotetico giudizio.

Rocco O. chiede
domenica 09/02/2020 - Basilicata
“Sono proprietario di un appartamento (3,57 mill.mi) che si trova in un ""complesso turistico residenziale"" ed ogni anno si dibatte sulla liceità dell' assemblea ad approvare il bilancio preventivo dell' amm.re che prevede oltre alle spese di gestione anche l' appostazione di ca. 15mila euro per l' animazione che viene svolta regolarmente.
Il quesito che pongo è il seguente:
-può l' assemblea deliberare il costo, peraltro in parti uguali, dell' animazione?
Io sostengo ogni volta in assemblea, sempre contestato da chi affitta, che l' animazione è una attività ludica che esula dalla gestione per la cui spesa è necessario il consenso di tutti i condomini e che il turismo residenziale è autodiretto;cioè il turista si organizza la sua vacanza secondo le sue esigenze. Diversamente nelle strutture convenzionali (alberghi, villaggi
turistici, ecc.) è l' industria del turismo a provvedere alle esigenze della clientela. Grazie”
Consulenza legale i 11/02/2020
L’animazione deve considerarsi un servizio comune condominiale, così come nei condomini “di città” possiamo avere il servizio di portierato o di giardinaggio, e come tale gli oneri annuali devono essere rendicontati dall’amministratore e inseriti nel bilancio consuntivo e preventivo, per poi essere approvati dall’organo assembleare.

Ciò che forse desta maggiore perplessità nel caso proposto, non è tanto il fatto che il servizio di animazione sia inserito all’ interno del bilancio condominiale, ma il criterio per mezzo del quale vengono ripartite le spese tra tutti i proprietari. Se si analizzano le norme del codice civile disciplinanti le modalità di riparto delle spese condominiali, non esiste un riferimento alla suddivisione in quote uguali. Il 1° comma dell’art. 1123 del c.c. ci dice, come criterio generale, che le spese necessarie per la prestazione di servizi nell’interesse comune, nel cui concetto rientra sicuramente il servizio di animazione, devono essere ripartiti in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diverso accordo tra i condomini.

Applicando tale articolo al caso proposto le spese annuali per il servizio di animazione dovranno essere suddivisi applicando la tabella dei millesimi generali di proprietà, salvo che tutti i condomini alla unanimità non deliberino un metodo di riparto differente, il quale potrà tranquillamente essere la suddivisione in parti uguali. Se però manca tale decisione unanime da parte dell’assise dei proprietari è il criterio previsto dal citato art. 1123 del c.c. che deve trovare applicazione.

La giurisprudenza assolutamente dominante ritiene radicalmente nulla, e quindi impugnabile in ogni tempo da chiunque vi abbia interesse anche oltre il rigido termine di cui all’art.1137del c.c., la delibera assembleare che suddivide gli oneri condominiali con criteri differenti da quelli legislativamente previsti, in assenza di uno specifico accordo derogatorio adottato dalla unanimità dei proprietari (si veda in tal senso Cass. Civ., Sez. II, n. 28679 del 23.12.2012).

È giusto tuttavia segnalare che in merito al criterio di riparto in parti uguali, vi è un risalente orientamento della giurisprudenza (Cass. Civ., Sez. II, n. 2916 del 02.08.1969) che lo ritiene comunque ammissibile anche in assenza di uno specifico accordo tra i condomini, facendo leva su una applicazione eccessivamente estensiva del 2° comma dell’art. 1123 del c.c., il quale disciplina la suddivisione delle spese condominiali di quelle parti e servizi dell’edificio destinati a servire i proprietari in maniera diversa. Oltre al fatto che chi scrive ritiene tale orientamento basato su presupposti logici del tutto errati, è giusto dire che lo stesso non ha trovato conferme, per quanto ci è dato sapere, in pronunce di merito o di legittimità più vicine nel tempo e sotto la vigenza della nuova normativa del condominio.

Per completezza si precisa che il singolo condomino non può autonomamente rinunciare ad un servizio rifiutandosi di pagare gli oneri relativi, ma è assolutamente lecito mettere all’ordine del giorno la rinuncia ad un determinato servizio comune come, ad esempio, nel caso portato dal quesito, il servizio di animazione.
In questo senso la Cass. Civ., Sez. II, n. 3708 del 29.03.1995, ha precisato che se il servizio condominiale è previsto dal regolamento condominiale, di natura assembleare o contrattuale (in questo caso è irrilevante), la sua soppressione comporta una modifica allo stesso che deve essere approvata con le maggioranze di cui al co. 2° dell’art. 1136 del c.c. (maggioranza degli intervenuti che rappresentano almeno la metà del valore dell’edificio: 500 millesimi).

Davide A. chiede
giovedì 09/01/2020 - Lombardia
“Salve,
abitiamo con altri condomini in due palazzine distinte, che hanno in comune il vialetto pedonale per accedere agli ingressi delle medesime.
La prima palazzina ha 4 ingressi indipendenti per 4 appartamenti, mentre la seconda palazzina ha un unico ingresso per 10 appartamenti.
Il vialetto è lungo circa 50 metri, ed i 4+1 ingressi sono posti ad altezze diverse rispetto al cancello pedonale d’ingresso, secondo il seguente schema:
1) Primo ingresso della prima palazzina (A) a 25 metri dal cancello pedonale
2) Secondo ingresso della prima palazzina (B) a 35 metri dal cancello pedonale
3) Terzo ingresso della prima palazzina (C) a 40 metri dal cancello pedonale
4) Quarto ingresso della prima palazzina (D) a 45 metri dal cancello pedonale
5) Unico ingresso della seconda palazzina (E) a 50 metri dal cancello pedonale
Ora, tale vialetto è in condizioni pessime e si deve procedere al rifacimento della pavimentazione, ed il preventivo di spesa è abbastanza oneroso.
Come detto, tale vialetto è parte in comune dei vari condomini, ed ognuno è proprietario di un pezzo di esso in base alle tabelle millesimali.
Infatti attualmente per la pulizia del medesimo si procede secondo i millesimi di proprietà.
Oggi quindi, il condomino che accede al primo ingresso (A) paga per la pulizia del vialetto in base alla tabella dei millesimi, anche se utilizza solo 25 metri dei 50 totali.
Ora però, dovendo sostenere la spesa del rifacimento della pavimentazione, vorremmo sapere se tale spesa deve essere ripartita ancora secondo le tabelle millesimali o se invece, forse più correttamente, non debba essere suddivisa secondo il reale utilizzo da parte dei vari condomini.
Nel nostro caso specifico, il condomino del primo ingresso risulta essere anche quello con il numero di millesimi maggiore, quindi si ritroverebbe a sostenere da solo buona parte della spesa, malgrado utilizzi solo una parte del corsello
Leggendo l’art 1123 del codice civile e relative spiegazioni, in particolare il comma 3. si trova che “le spese di manutenzione sono a carico del gruppo di condomini che ne trae utilità….”
È il nostro caso o dobbiamo applicare i millesimi?
Se fosse corretto il primo caso, come sarebbe l’eventuale ripartizione delle spese?
Oltre a questo, per procedere col rifacimento serve l’unanimità di tutti i condomini o basta la maggioranza, o la sola maggioranza presente all’assemblea?
Nell’attesa di vostro gentile riscontro, ringrazio anticipatamente
Cordiali saluti”
Consulenza legale i 10/01/2020
L’art. 1123 del c.c. al suo 1° comma ci dice che le spese necessarie per la conservazione e il godimento delle parti comuni dell’edificio e dei servizi condominiali sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno: tale criterio generale trova applicazione salvo diversa convenzione. Le tabelle millesimali generali non fanno altro che attuare tale criterio, traducendo in termini matematici il criterio di proporzionalità richiamato dalla norma.

Come si è accennato poco sopra solo una diversa convenzione tra i proprietari può andare a derogare alle disposizioni di cui all’art. 1123 del c.c.: tale diversa convenzione può essere racchiusa o in un regolamento di condominio di natura contrattuale (il classico regolamento allegato ai singoli rogiti di vendita delle unità abitative), in uno specifico accordo sottoscritto dalla unanimità dei condomini, oppure in una delibera condominiale approvata, però, sempre alla unanimità di tutti i partecipanti al condominio, e non solo quindi dei condomini presenti alla riunione condominiale. E’ quindi ben possibile che l’assemblea di condominio approvi alla unanimità dei componenti del condominio un diverso criterio di riparto per l’esecuzione di determinati lavori di ristrutturazione, ad esempio le spese di conservazione del vialetto di accesso al complesso.

È importante sottolineare che in assenza di uno specifico accordo derogatorio adottato da tutti i proprietari, l’assemblea non può a colpi di maggioranza adottare dei criteri di ripartizione delle spese differenti rispetto a quelli legislativamente previsti. Per costante giurisprudenza una delibera condominiale di questo tenore sarebbe radicalmente nulla e quindi impugnabile innanzi alla autorità giudiziaria in ogni tempo, anche oltre i rigidi termini previsti dall’art. 1137 del c.c.
In questo senso è molto importante l’insegnamento di Cass.Civ.,Sez.II, n.19651 del 04.08.2017, la quale ci dice che sono nulle:” tutte le deliberazioni adottate in violazione dei criteri normativi o regolamentari di ripartizione delle spese, e quindi in eccesso rispetto alle attribuzioni dell'organo collegiale, seppur limitate alla suddivisione di un determinato affare o di una specifica gestione, non potendo la maggioranza dei partecipanti incidere sulla misura degli obblighi dei singoli condomini fissata per legge o per contratto, ed occorrendo, piuttosto, a tal fine, un accordo unanime, espressione dell'autonomia negoziale"

Nel caso descritto nel quesito, sarà possibile ripartire le spese di ristrutturazione del vialetto con un criterio convenzionale differente rispetto all’art.1123 del c.c., e quindi non applicare le tabelle millesimali, solo ed esclusivamente se si riuscirà a raggiungere un accordo in tal senso tra tutti i proprietari.

Ferma restando l’applicazione della tabella millesimali generali vigente nel condominio per la ripartizione delle spese, i lavori di ristrutturazione del vialetto dovranno essere approvati con le maggioranze di cui ai commi 2° e 4° dell’art. 1136 del c.c. (maggioranza degli intervenuti che rappresentano almeno la metà del valore dell’edificio:500 millesimi), questo perché, da quanto ci è dato capire, siamo di fronte ad un intervento di ristrutturazione di notevole entità, come tale rientrante nell’ambito di applicazione del 4° co. dell’art.1136 del c.c.

È appena il caso di precisare che nel caso descritto non può trovare applicazione il co. 3° dell’art.1123 del c.c. Tale comma trova la sua applicazione nel momento in cui vi sono opere impianti destinati servire solo una parte dell’edificio. Il classico caso è un edificio molto grande suddiviso in più gruppi di scale, i quali, ad esempio, hanno ciascuno un impianto ascensore posto al loro servizio: chiaramente le spese riguardanti tale impianto dovranno essere attribuiti solo al gruppo di condomini di quella specifica scala.
Il vialetto del quesito invece è un manufatto che per sua natura è comune a tutto il complesso edile avendo la funzione di permettere l’accesso agli ingressi delle singole palazzine, a nulla rilevando la distanza che vi è tra l’ingresso di ciascuna palazzina e il cancelletto pedonale.

Claudio C. chiede
lunedì 06/01/2020 - Lazio
“Invio richiesta con documentazione allegata come da Vs suggerimento .dopo previo pagamento di € 29,90”
Consulenza legale i 16/01/2020
Rispondendo alla prima domanda, si ritiene che la ripartizione delle spese dei lavori di messa a norma dei garage al secondo piano interrato sia perfettamente conforme alla normativa vigente e al regolamento di condominio di evidente natura contrattuale. Nessun appunto può essere mosso nei confronti dell’amministratore sotto questo punto di vista.
L’art. 36 del regolamento di condominio dice in maniera molto chiara e netta che: "Tutte le spese riguardanti il secondo piano interrato saranno ripartite fra i proprietari dei boxes secondo i millesimi della tabella E". Tale norma del regolamento tra l’altro non fa che ricalcare perfettamente il 3° comma dell’art. 1123 del c.c. il quale dice chiaramente: "Qualora un edificio abbia più scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti destinati a servire una parte dell'intero fabbricato, le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condomini che ne trae utilità”.
.
Le opere di messa a norma descritte nel quesito, non possono che riguardare solo ed esclusivamente i proprietari dei 9 box al 2° piano interrato: in applicazione delle norme vigenti, sulla realizzabilità di tali opere devono decidere solo ed esclusivamente tali condomini e le relative spese sono a carico solo di quel gruppo di proprietari. È utile precisare che, per giurisprudenza assolutamente pacifica e consolidata, una ipotetica ripartizione approvata dalla assemblea di condominio a colpi di maggioranza, che andasse a ripartire fra tutti i condomini le opere di manutenzione che coinvolgevano solo i 9 box al 2° piano interrato, violando apertamente l’art 36 del regolamento di condominio, sarebbe stata nulla, e quindi impugnabile in ogni tempo da chiunque vi abbia interesse anche oltre i termini di cui all’art. 1137 del c.c.

Se gli aggiornamenti alla normativa antincendio erano entrati in vigore dal 2011, vi era tra gli obblighi dell’amministratore quello di informare l’assemblea dei proprietari (ed in particolare i proprietari dei 9 box interessati), delle modifiche normative intercorse, e fare mettere ai voti l’approvazione degli eventuali lavori necessari per mettere a norma le parti dell’edificio interessate. Se ciò non è stato fatto tale comportamento potrebbe configurare un inadempimento da parte del professionista, ma questo non significa automaticamente che si possa richiedere allo stesso un qualche risarcimento. Bisogna infatti dimostrare che tale mancanza di informazione abbia causato dei danni alla proprietà, e su questo aspetto il quesito non ci fornisce elementi sufficienti, ed in ogni caso anche se l’amministratore avesse informato prontamente ed adeguatamente i condomini, la scelta se effettuare o meno i lavori spettava sempre ai proprietari dei 9 box, i quali avrebbero potuto tranquillamente decidere, applicando le maggioranze di cui all’art. 1136 del c.c., di rinviare la realizzazione dei lavori. L’amministratore, in questo caso, non avrebbe potuto fare altro che prendere atto della decisione presa dai condomini amministrati.

Alla luce di quanto detto anche la terza domanda proposta nel quesito non può che essere negativa: non si vede come l’amministratore possa essere responsabile del fatto che ci si è dovuti sobbarcare le spese di messa a norma del garage venduto. I lavori sono stati regolarmente approvati dalla assemblea ed eseguiti, e ciò ha permesso di vendere il garage a norma.
Si tenga conto che vi è un orientamento giurisprudenziale che si sta via via sempre più consolidando, secondo il quale se i lavori straordinari, cioè le spese di ristrutturazione di innovazione delle parti comuni in cui sicuramente rientrano i lavori di messa a norma descritti nel quesito, sono stati deliberati dalla assise dei proprietari prima della vendita della unità immobiliare, il pagamento di tali spese spettano alla parte venditrice. (si veda: Cass Civ.,sez.II, Ord. n. 15547 del 22/6/2017).

Andrea F. chiede
venerdì 11/10/2019 - Lombardia
“Buonasera, sono proprietario di un box situato in provincia di Sassari e parte di un condominio nel quale non ho altre proprietà né possessi. Accedo al box direttamente dalla strada, mentre non ho accesso né ai locali condominiali (scale, androni, insomma all’interno dello stabile) non possedendo le chiavi: ho solo la chiave del mio box che inoltre non ha allacciamenti né utenze private o condominiali...
Riguardo alle spese condominiali mi vengono addebitate le utenze/spese riferite a servizi dei quali non posso fruire né ho interesse a farlo (acqua, autoclave, luce scale, pulizia scale, ascensore): mio utilizzo è l’apertura e chiusura del box direttamente dalla strada, e basta.
Posso evitare di pagare queste spese che riguardano servizi di cui non posso usufruire?”
Consulenza legale i 16/10/2019
Preliminarmente si precisa che si risponderà al presente quesito dando per scontato che non sia vigente nel condominio un regolamento contrattuale, o un qualche accordo approvato da tutti i condomini, che vadano a derogare alle disposizioni del codice civile disciplinanti la suddivisone delle spese condominiali, ed in particolare l’art. 1123 del c.c. Se così non fosse per rispondere adeguatamente al quesito si dovrebbe preliminarmente esaminare i predetti accordi in quanto prevarrebbero sulla disciplina prevista dalla legge.

Posto questo, nella situazione descritta trova piena applicazione l’art.1123 del c.c, ed in particolare il suo secondo comma. Nel primo comma di tale articolo viene introdotto il principio generale in forza del quale le spese condominiali vengono ripartite in misura proporzionale al valore delle proprietà di ciascuno (salvo diversa convenzione). Il secondo comma deroga repentinamente a tale principio generale disponendo che:” Se si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione dell'uso che ciascuno può farne”.
Una risalente pronuncia della Corte di Cassazione che però non ha trovato ad oggi ancora alcuna smentita (per quanto ci è dato sapere), Cass Civ.,Sez.II, n.13160 del 6.12.1991, ha statuito che il principio racchiuso nel 2° comma dell’art.1123 del c.c., trova applicazione per quei servizi condominiali che per le loro caratteristiche oggettive, siano suscettibili di un utilizzo separato da parte dei condomini.

A parere di chi scrive, il caso prospettato rientra perfettamente nell’ambito di applicazione del secondo comma così come interpretato dalla giurisprudenza. Dato che l’unica proprietà nel palazzo è un box auto, tutti quei servizi che per la loro funzione economica oggettiva sono posti al servizio e al miglior godimento delle unità abitative (es: ascensore, pulizia e luce scale, spese idriche ecc. ecc.), non possono essere accollati, ai sensi del secondo comma dell’art. 1123 del c.c., a chi è proprietario della sola autorimessa. A quest’ ultimo, ai sensi del primo comma dell’art. 1123 del c.c., andranno imputate solo le spese di quei servizi funzionali al godimento della sua proprietà, per esempio: la forza motrice necessaria alla apertura del cancello condominiale, le spese di manutenzione e di eventuale messa a norma del cancello condominiale, le spese di manutenzione della rampa di accesso ai locali box, le spese amministrative del condominio auto ecc.ecc. Ovviamente, ai sensi del 1° comma dell'art. 1123 del c.c., si dovrà partecipare a tali spese in base alla quota millesimale attribuita alla sola autorimessa.

Se, in violazione di quanto dispone il 2° comma dell’art. 1123 del c.c., nel rendiconto condominiale viene accollata la ripartizione di un qualche servizio che non può essere oggettivamente utilizzato, è necessario durante la consueta annuale riunione di approvazione del bilancio, esprimere, personalmente o per delega, il proprio voto contrario a tale ripartizione (è sufficiente anche astenersi dal voto sul punto o non presenziare), e successivamente impugnare la delibera di approvazione del bilancio ai sensi dell’art. 1137 del c.c.

Tale articolo ci dice che le delibere condominiali contrarie alla legge o al regolamento di condominio possono essere impugnate innanzi al giudice dai condomini assenti dissenzienti o astenuti entro 30 giorni, i quali decorrono per i condomini presenti alla riunione condominiale (quindi i dissenzienti o gli astenuti), dal giorno in cui si è tenuta la riunione, per i condomini assenti dal giorno in cui viene a loro comunicata la delibera. Il termine di 30 giorni indicato dall’art 1137 del c.c. è assolutamente perentorio, e una volta decorso la delibera diventa inoppugnabile e vincolante per l’intera compagine condominiale, anche se il riparto delle spese sia contrario a quanto dispone la legge.

Quindi, venendo a trattare il caso prospettato, tutti gli oneri condominiali che trovano la loro giustificazione in bilanci condominiali già approvati e non più impugnabili, dovranno essere pagati anche se violano l’art. 1123 del c.c. Nel futuro rendiconto condominiale ancora da approvare, invece, se l’amministratore dovesse attribuire alla proprietà del box auto spese condominiali in violazione del 2°comma dell’art. 1123 del c.c., sarebbe sicuramente possibile procedere ad una impugnazione ex art. 1137 del c.c. della delibera di approvazione del bilancio.

Sebastiano F. chiede
giovedì 03/10/2019 - Lazio
“Il Regolamento di condominio, redatto nel 1977, di una palazzo costruito nel 1961, in cui ho una proprietà, prevede che sono di proprietà ed uso comune a tutti i condomini le fognature sino agli attacchi alle proprietà individuali. Inoltre, la manutenzione ordinaria e straordinaria delle parti ed impianti comuni dell'edificio vengono ripartite fra tutti i condomini in proporzione ai millesimi corrispondenti al valore delle proprietà di ciascuno.
Il condominio si compone di un palazzo con due (2) scale indipendenti e terrazzo non comunicante, venti (20), dieci per scala, appartamenti e dieci (10) negozi nel portico esterno. L'impianto fognario è costituito da sei (6) colonne fecali, tre per ogni scala.
In seguito ad una infiltrazione d'acqua sui soffitti del bagno e dell'adiacente cucina in un appartamento posto al primo piano di una delle tre colonne fecali della metà del palazzo , è stata effettuata una consulenza tecnica d'ufficio che ha determinato che la causa delle infiltrazioni lamentate e riscontrate sono riconducibili al danneggiamento della colonna di scarico condominiale di quella verticale (una delle tre nonché una delle sei) degli appartamenti del palazzo.
Pertanto in considerazione di quanto esposto, visto che l'edificio ha più scale e impianti separati, si richiede se nel caso descritto sia applicabile il 3° comma dell'art. 1123 a seguito della riforma del condominio entrata in vigore nel 2013, in quanto trattasi di cose destinate a servire i condomini in misura diversa di una parte dell'intero fabbricato, e quindi le spese devono essere ripartite in proporzione dell'uso che ciascuno della verticale può farne e che ne trae utilità, non tutti.”
Consulenza legale i 07/10/2019
Prima di entrare nel merito del quesito è opportuno premettere che si dà per scontato che il regolamento condominiale, il quale si pensa essere di natura assembleare in quanto entrato in vigore dopo la costruzione del palazzo, non possa derogare alla normativa prevista dal codice civile, o che comunque non siano stati adottati dalla unanimità dei proprietari accordi che vadano a derogare a quanto dispone l’art. 1123 del c.c. in merito alla ripartizione degli oneri condominiali.

Tale articolo, che giova precisare era già in vigore nel testo attuale anche prima della riforma del condominio, ci indica tre criteri per la ripartizione delle spese condominiali.

Il primo criterio disciplinato dal 1°comma della norma, è quello generale, applicabile per la ripartizione degli oneri relativi a servizi o beni comuni necessari all’intero edificio. Si pensi, per fare un esempio pratico, al servizio di video sorveglianza posto all’ingresso di un mega complesso super condominiale per identificare chi accede alle parti comuni. Un servizio di questo tipo realizza un interesse a vantaggio dell’intero complesso edile e come tale deve essere ripartito tra tutti i proprietari degli appartamenti.

Il secondo criterio disciplinato dal 2° comma, si applica per tutti quei servizi condominiali suscettibili di un utilizzo diverso da parte dei proprietari: in questo caso gli oneri condominiali sono ripartiti in proporzione all’uso che ciascun condomino può farne. In realtà nella pratica sono pochi i servizi che possono essere usati in maniera differente da ciascun condomino: si pensi ad esempio ad un impianto ascensore che grazie ad un accesso tramite chiave viene utilizzato solo da un determinato gruppo di condomini: in questo caso solo i possessori della chiave di accesso all’impianto ascensore saranno chiamati a sopportarne gli oneri di manutenzione.

L’ultimo criterio previsto dal comma 3° è quello che disciplina quei servizi condominiali destinati per la struttura stessa dell’edificio a servire solo una parte dello stesso: questo pare essere proprio il caso descritto nel quesito.
Secondo quanto riferito nello stesso, infatti, i due gruppi da 3 colonne fecali ciascuno sono strutturalmente indipendenti l’uno con l’altro e posti al servizio ognuno di una scala. È chiaro quindi che la spesa per la rimessa in pristino di una colonna fecale appartenente ad un gruppo, ai sensi del co 3° dell’art. 1123 del c.c., dovrà essere ripartita solo tra i proprietari della scala che utilizza quel determinato gruppo di colonne. Ma vi è da dire di più: se la rottura della singola colonna fecale non va ad influenzare il corretto funzionamento delle altre colonne del medesimo gruppo, la spesa per la risistemazione della colonna, applicando sempre i criteri dei commi 2° e 3° dell’art. 1123, non dovrà essere ripartita tra tutti i proprietari della scala, ma solo tra quelli i cui impianti idrici delle loro unità abitative scarichino nella colonna danneggiata.

Sergio P. chiede
venerdì 30/08/2019 - Lazio
“Gentile Avvocati,
la presente per sottoporre alcuni quesiti sulla ripartizione delle spese condominiali relative a lavori di manutenzione:
Le unità abitative sono state edificate dalla ex coop. (omissis) con concessione edilizia rilasciata dal Comune di (omissis) in data 4-6-1984.
Le unità abitative sono n. 16 villette a schiera, edificate su un fianco di una collina con fondo a dislivello ovvero con piani campagna diversi, costituite da n. 4 gruppi autonomi dal punto di vista strutturale (composti ogni gruppo di n. 4 unità abitative), adiacenti tra loro distanziati circa cm. 15/20 in larghezza, chiusi da coprifili metallici, a formare un unico blocco (vedere progetto allegato).
I rogiti notarili stipulati nell'anno 1989 dal notaio (omissis), relativi alle assegnazioni delle unità abitative recitano che trattasi di un condominio.
In data 9-7-2018 la succitata ex coop. (omissis) ha approvato regolamento e tabelle millesimali.
In data 06-05-2019 è stato costituito il Condominio (omissis) e nominato l'amministratore pro-tempore.
La questione è come ripartire le spese di ristrutturazione dei muri di facciata dei prospetti che compongono il blocco del fabbricato, se partecipano alla spesa tutti i condomini e quale tabella millesimale applicare.
Inoltre, alcuni interventi di ristrutturazione riguardano n. 4 “cavedei” e pertanto si ripropone lo stesso quesito posto al precedente punto, quali condomini partecipano alla spesa e quale tabella millesimale applicare.”
Consulenza legale i 06/09/2019
L’art 1123 del c.c. al suo 1°co. ci dice molto chiaramente che le spese necessarie per la conservazione e il godimento delle parti comuni dell’edificio sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, fatta salva diversa convenzione. Il successivo comma 3° ci dice inoltre che: “Qualora un edificio abbia più scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti destinati a servire una parte dell'intero fabbricato, le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condomini che ne trae utilità”. Sulla base della normativa citata i criteri di riparto delle spese condominiali previsti dal codice civile potranno essere derogati solo da un regolamento condominiale di natura contrattuale, o da un successivo accordo firmato da tutti i proprietari eventualmente predisposto per un intervento specifico, oppure da una delibera assembleare approvata con l’unanimità dei consensi.
In mancanza di ciò, qualsiasi decisione della assise che approvasse a colpi di maggioranza criteri differenti per ripartire le spese relative a lavori di ristrutturazione straordinari delle parti comuni, deve considerarsi nulla, e come tale impugnabile in ogni tempo oltre i rigidi termini previsti dall’art.1137 del c.c.: in questo senso la giurisprudenza è chiara, si veda ad es. su tutte Cass.Civ., Sez.II, n.28679 del 23.12.2011.
Nel caso di specie il condominio ha approvato con delibera del 09.08.2018 a semplice maggioranza un nuovo regolamento di condominio che ha natura assembleare (valutazione tratta dalla sola documentazione data in visione).

Dall’analisi delle norme disciplinanti nello specifico la ripartizione delle spese condominiali non si denota un significativo scostamento da quanto dispone il codice civile, se non per l’ultimo periodo dell’art. 14 il quale attribuisce alla tabella generale di proprietà "A": "le spese inerenti alla manutenzione dei paramenti verticali di testata dell’edificio".
Ora, ad avviso di chi scrive, è necessario capire se la manutenzione di tali parti siano architettonicamente e staticamente essenziali all’intero complesso delle villette (ovviamente questo aspetto deve essere affrontato non con un avvocato, ma con un tecnico edile). Se i paramenti verticali fossero essenziali per l’intera struttura del complesso, è chiaro che l’ultimo periodo del regolamento sarebbe in linea con le disposizioni del codice civile e perciò non assoggettabile ad alcuna censura: diversamente saremmo di fronte ad una norma contraria al disposto dell’art. 1123 del c.c. e quindi come tale nulla per via della natura assembleare (e non contrattuale) del regolamento.

L’art. 14 del regolamento si occupa anche del rifacimento dei prospetti (cioè della facciata) dei singoli blocchi in cui è composto l’intero complesso, specificando che qualora ci si trovi di fronte ad un intervento straordinario relativo ad un singolo blocco la spesa di manutenzione dovrà essere ripartita utilizzando la tabella “C”, la quale indica i millesimi riferibili ai singoli 4 corpi di fabbrica in cui è composto l’intero complesso edile. La disposizione del regolamento pare essere conforme a quanto dispone il già citato comma 3° dell’art 1123 del c.c., ma in merito alla facciata si deve tenere presente un altro aspetto determinante: essa è l’elemento fondamentale del decoro architettonico dell’edificio.

Per tale motivo per effettuare una corretta ripartizione è opportuno a nostro avviso scorporare i lavori di ristrutturazione nel loro complesso, distinguendo quelli necessari alla staticità e funzionalità della copertura del singolo blocco, da quelli che influiscono sul decoro architettonico del complesso edile nella sua globalità (ad esempio la pittura): i primi dovranno essere ripartiti con la tabella “C”, i secondi dovranno essere ripartiti invece con la tabella “A”. Tutto ciò tenendo ben presente il discorso che si è sopra fatto a proposito dei paramenti di testata dell’edificio, se i lavori di ristrutturazione coinvolgono anche quella parte del complesso.

Il discorso è sicuramente molto più facile per quanto riguarda i cavedi. Il cavedio è un cortile di dimensioni molto ridotte, la cui funzione principale è quella di arieggiare ed illuminare i vani di servizio, vuoi condominiali, vuoi delle singole unità immobiliari. Di tale funzione necessariamente si avvantaggiano solo ed esclusivamente i condomini dei singoli blocchi in cui è situato il cavedio da ristrutturare e non l’intero complesso. Le spese di manutenzione e ristrutturazione ai sensi dell’art. 1123 3° comma del c.c. (confermato nella sostanza dall’art. 14 del regolamento di condominio), dovranno essere ripartiti utilizzando quindi la tabella “C”, riguardante i millesimi riferibili ai singoli corpi di fabbrica.

Giuseppe V. chiede
lunedì 15/07/2019 - Piemonte
“Sono proprietario di un piccolo appartamento al primo piano di un condominio di 4 piani e con una unica scala. Tre all'oggi per piano nei primi due piani mentre al 3 e 4 piano sono stati unificati alcuni alloggi. ....... Il condomino proprietario di un appartamento sopra il mio ( 4 piano) durante dei lavori di ristrutturazione del suo immobile (pavimenti ed altro )...apre il rivestimento in muratura di una delle tre canaline di scarico della raccolta acque nere. Dagli alloggi le canaline confluiscono poi in un unico punto di raccolta in cantina.
Il condomino discute per questione con l'amministratore (un altro condomino non iscritto all'albo professionale) e fa sostituire un tratto di un metro circa di canalina in eternit contenente, quindi, amianto che era integra.
Per la spesa di 2.400 euro, dopo una fantomatica consulenza legale, viene deciso che deve essere ripartita tra i soli 4 condomini (uno per piano) che hanno "l'uso esclusivo"(?) della canalina.

A me pare non giusto. La canalina non si era rotta ed andava bene cosi. sostituirla e' stata una scelta non un obbligo.
Comunque gli impianti di scarico non sono un un bene comune del condominio ? Perché la spese non deve essere ripartita tra tutti i condomini in base ai millesimi? Vi ringrazio per un parere.”
Consulenza legale i 21/07/2019
Come è noto l’amianto o eternit è un materiale largamente utilizzato in passato nelle costruzioni edili, ma oggi ritenuto altamente illegale, in quanto cancerogeno e quindi pericoloso per la salute.
In forza di tale motivo il D.M. 06.09.1994 disciplinante le metodologie e tecniche per la dismissione e cessazione dell’impiego di amianto, prescrive obbligatorie misure di controllo e di gestione del rischio derivante dalla presenza di tale materiale in edificio, misure che non sempre ne comportano l’automatica rimozione e bonifica.

Senza voler entrare eccessivamente nel tecnico, poiché il rischio di addentrarsi in una materia che sfugge alle strette competenze di un legale è troppo alta, il D.M. citato prescrive due tipologie di materiali: quelli a forma compatta, e quelli a forma friabile. Solo questi ultimi sono considerati altamente pericolosi in quanto in grado di rilasciare particelle di materiale nell’aria che se inalate provocano rischi ben noti alla salute. Solo in presenza, quindi, di materiale friabile scatta l’obbligo di immediata bonifica e rimozione.
E’ ben possibile però che a seguito di lavori di ristrutturazione, materiali di per se sicuri (come poteva essere il tubo in eternit chiuso in un rivestimento in muratura), perdano la loro sicurezza in quanto la ristrutturazione di per se comporta la distruzione dei rivestimenti e quindi l’esposizione del materiale nocivo.

In tali situazioni chi stava eseguendo i lavori di ristrutturazione dell’appartamento, bene ha fatto a coinvolgere l’amministratore di condominio in quanto egli riveste (indipendentemente che sia un amministratore condomino od un professionista abilitato) il ruolo di custode ad ogni effetto di legge delle parti comuni dell’edificio, e quindi è il soggetto chiamato in prima battuta dal D.M. 06.09.1994 a svolgere quel ruolo di controllo e di gestione del rischio di cui si è sopra riferito.
Stante le forti responsabilità a cui l’amministratore andava incontro, la scelta di rimuovere la tubatura in eternit è stata sicuramente opportuna, soprattutto se preceduta da una valutazione fatta da una ditta esperta del settore.

Posto questo primo aspetto, sulla base di quanto riferito nel quesito, in prima battuta ci si sente però di condividere le conclusioni dell’autore del quesito, in quanto la tubatura in eternit era murata nel cemento, in condizioni (pare) di sicurezza e quindi non sembrava rendersi necessaria di una immediata rimozione. È stata l’attività di ristrutturazione dell’appartamento in proprietà esclusiva di un condomino che ha reso urgente e obbligatorio l’intervento di rimozione di una tubatura condominiale: a causa di ciò, è il proprietario dell’appartamento, che ai sensi dell’art. 2043 del c.c., dovrebbe sostenere l’intera spesa di rimozione e messa in sicurezza di tale parte comune.

Per completezza, si precisa anche che qualora si volesse far fronte a livello condominiale a tale spesa, per capire se essa debba essere ripartita tra tutti i condomini o solo nei confronti di alcuni è necessario preliminarmente far periziare le tubature condominiali, per capire se il segmento interessato sia una parte fondamentale dell’impianto condominiale nel suo complesso o sia posto al servizio di solo una parte dell’edificio. In questo secondo caso la spesa sarebbe sicuramente a carico dei soli proprietari interessati ai sensi del 3° co. dell’art. 1123 del c.c.

Claudio P. chiede
lunedì 20/05/2019 - Lazio
“PREMESSA
- Il Condominio è costituito da 3 scale: la scala A è di proprietà di una società che ha acquistato tutti gli appartamenti. Le altre 2 scale (B e C) sono di singoli proprietari;
- Il complesso ha una copertura a lastrico solare che da regolamento condominiale è “proprietà comune indivisibile”.
FATTO
- A seguito di problemi di infiltrazioni si è deciso di effettuare un intervento di manutenzione straordinario sull’intera superficie del lastrico solare;
- La società proprietaria degli appartamenti della scala A ha inteso non partecipare all’intervento. Pertanto sono stati effettuati lavori solo sulle superfici delle scale B e C;
- I lavori sono iniziati a settembre 2017 e terminati a giugno 2018, al termine dei quali abbiamo la seguente situazione: lastrico solare superficie scala A senza intervento, lastrici solare scale B e C con intervento di impermeabilizzazione.
CHIEDO SE
- La società proprietaria degli immobili della scala A era obbligata alla partecipazione dell’intervento in quanto l’intera superficie del lastrico solare è “proprietà comune indivisibile” e se, allo stato attuale, è tenuta alla partecipazione delle spese per i lavori alle scale B e C per i millesimi di competenza;
- L’amministratore è responsabile nella gestione di quanto accaduto.

Cordiali saluti”
Consulenza legale i 22/05/2019
Per lastrico solare si intende quel manufatto che è caratterizzato da un piano orizzontale e che funge come il tetto da copertura del fabbricato, ma a differenza di quest’ultimo non è caratterizzato da falde inclinate; Il n.1) dell’’art.1117 del c.c. lo inserisce tra le parti comuni dell’edificio, se il titolo non dispone diversamente.
Nel caso descritto nel quesito un regolamento condominiale, che si presume essere di natura contrattuale, attribuisce espressamente natura comune al lastrico solare disponendo che lo stesso sia:”di proprietà comune indivisibile”. Tale circostanza ha conseguenze giuridiche estremamente rilevanti tra le altre cose in merito alla suddivisione delle spese di manutenzione ordinarie e straordinarie, in quanto la loro ripartizione non può più essere effettuata utilizzando l’art. 1126 del c.c. (il quale disciplina la ripartizione degli oneri condominiali nei lastrici solati ad uso esclusivo), ma seguendo quanto dispone la norma generale dell’art.1123 co.1 del c.c.
Alla luce di ciò è naturale concludere che ogni riparazione riguardante il lastrico solare condominiale debba essere ripartita utilizzando la tabella dei millesimi generali del condominio: di conseguenza anche la società proprietaria della scala “A” deve essere, o meglio dovrebbe essere, chiamata a partecipare alle spese necessarie per riparare le parti del lastrico che fungono da copertura per le restanti parti del fabbricato.

E’ appena il caso di ricordare che se il regolamento condominiale di natura contrattuale non specifica nulla in merito alla suddivisione delle spese, derogando alle disposizione di cui all’art.1123 del c.c., una delibera assembleare che a colpi di maggioranza decida di escludere una parte dei condomini dal pagamento degli oneri condominiali derogando ai criteri legali previsti dal codice civile, può considerarsi nulla e quindi impugnabile oltre i 30 gg. dalla sua adozione. Su questo aspetto però non ci si sente di esprimere ulteriori considerazioni in quanto il quesito non fornisce elementi sufficienti per una esaustiva valutazione.

Venendo a trattare di eventuali profili di responsabilità dell’ amministratore di condominio, è opportuno precisare che tale organo è prima di tutto un rappresentante della intera compagine condominiale, che ha tra i suoi compiti principali l' attuazione alla volontà dei proprietari e l'esecuzione delle delibere assembleari (si veda in questo senso il n.1) dell’art.1130 del c.c.).
Quindi, fermo restando gli eventuali profili di nullità che si sono sopra accennati e che devono essere meglio indagati, se l’amministratore ha puntualmente dato esecuzione a quanto disposto dalla assemblea nessun rimprovero gli può essere mosso.

La situazione sarebbe diversa se l’assemblea avesse stabilito che ai lavori di rifacimento del lastrico solare debba partecipare anche la società della scala “A” e questa si sottraesse al pagamento degli oneri condominiali di sua spettanza. In questo caso, è compito dell’amministratore ai sensi del n.3) dell’art.1130 del c.c. curare la riscossione dei contributi condominiali, ed attivare tutte le procedure giudiziarie del caso qualora la società non ottemperi volontariamente al loro pagamento.

Vanni B. chiede
martedì 16/04/2019 - Toscana
“Trattasi di un edificio (ex rurale) ristrutturato e suddiviso in 10 piccoli appartamenti poi posti in vendita, costituito da due corpi di fabbrica a L edificati in tempi diversi.
La copertura è a falde inclinate; tra esse non c’è continuità dal punto di vista statico e sono sfalsate a livelli diversi.
Per maggior chiarezza vedasi pianta e foto da diversi punti di vista:
Falda 1: copre 3 appartamenti
Falda 2: copre 1 appartamento
Falda 3: copre 4 appartamenti
Falda 4: copre 2 appartamenti
Falda 5: copre un porticato di passaggio
Falda 6: copre 1 bagno (posto sopra il porticato di passaggio) di un appartamento falda3 e 1 bagno di un appartamento falda4
1^ Domanda: come si considera la manutenzione dei tetti, comune secondo i millesimi di proprietà (art.1123 c1) o secondo l’uso, cioè la copertura che assicurano ai gruppi di appartamenti sottostanti (art.1123 c3)?
Il problema nasce perché la copertura 4 richiede interventi gravosi di manutenzione (impermeabilizzazione e, forse, sostituzione di trave portante). L’impresa di ristrutturazione aveva provveduto al rifacimento del tetto della porzione 3 e 1 (era stato realizzato un cordolo in c.a. per normativa antisismica).
L’amministratore utilizza la tabella “spese generali” per la ripartizione delle spese di piccola manutenzione (pulizia delle falde e sostituzione delle gronde) e intende ripartire le spese allo stesso modo.
2^ Domanda: se i proprietari (4) ricadenti sotto la falda 3 decidessero di realizzare la cosiddetta “linea salvavita” sulla loro copertura, il costo del lavoro sarebbe sostenuto esclusivamente da loro in base ai singoli millesimi di proprietà: è così?
Grazie per le risposte.

Consulenza legale i 02/05/2019
La corretta suddivisione tra i condomini delle spese riguardanti la manutenzione straordinaria e ordinaria del tetto dell’edificio condominiale è influenzata dalla struttura della copertura e dell’intero edificio.
Quando, infatti, le diverse parti della copertura sono strutturalmente collegate tra di loro, anche in funzione del deflusso delle acque meteoriche, la giurisprudenza ritiene che i lavori di ristrutturazione e manutenzione di quella parte comune debbano essere ripartiti tra tutti i condomini dello stabile, applicando il criterio previsto dall’art.1123 co.1 del c.c., quindi ripartendo la spesa attraverso la tabella dei millesimi generali di tutto l’edificio (si veda Cass.Civ.,Sez.II, n.3803 del 16.04.99).
Se invece ci troviamo di fronte a corpi di fabbrica separati, in cui le coperture sono state realizzate in modo tale che non vi sia tra le singole parti alcuna relazione funzionale, la giurisprudenza ritiene che trovi applicazione il criterio adottato dal 3°co. dell’art.1123 c.c. (si veda Cass Civ.,Sez.II, n.1255 del 02.02.1995). In conseguenza di ciò, i lavori di manutenzione della singola falda, dovranno essere pagati solo dai condomini proprietari delle unità abitative ad essa sottostanti, ripartendo la spesa per mezzo della tabella millesimale riconducibile a quello specifico corpo di fabbrica.

Posta questa distinzione è importante, ad avviso di chi scrive, suddividere i singoli interventi sulla copertura del complesso minuziosamente descritto nel quesito, sulla base della funzione che essi sono chiamati a svolgere.
Se, ad esempio, i lavori di pulizia delle falde e rifacimento delle gronde influiscono e migliorano il deflusso delle acque piovane per l’intera copertura del complesso, ecco che tali interventi dovranno essere ripartiti, come fal’amministratore del condominio, attraverso la tabella generale; se, invece, per le caratteristiche costruttive dell’edificio, i lavori di pulizia di una falda non influiscono sulla efficienza dello scolo delle acque meteoriche delle altre falde, si dovrà suddividere la spesa solo tra i proprietari che traggono vantaggio dalla singola manutenzione.

Lo stesso criterio deve essere applicato per i lavori straordinari da effettuarsi sulla falda 4. I lavori di copertura parrebbero interessare solo quella parte del tetto, quindi solo i proprietari dei due appartamenti sottostanti dovrebbero sostenerne le spese, ma se, ad esempio, l’intervento dovesse coinvolgere anche la trave portante della falda, e un ipotetico suo crollo minerebbe anche la stabilità delle altre parti della copertura, i lavori dovrebbero essere ripartiti tra tutti i proprietari attraverso la tabella generale, o comunque trai proprietari che potrebbero subire un danno dal crollo.

La linea salvavita è uno strumento estremamente importante per garantire la sicurezza dei lavoratori nel settore edile, ed in particolare per quei lavori che devono eseguirsi in quota (si pensi all’antennista che esegue un lavoro di manutenzione sull’impianto condominiale). In alcune regioni, ad esempio l’Emilia-Romagna, si sono adottate addirittura specifiche normative locali più severe di quelle nazionali, che hanno nei fatti reso obbligatoria l’installazione di tale importante ausilio.
Fatta questa premessa, è giusto dire che anche per la installazione della linea salva vita si devono richiamare i criteri già precedentemente enunciati: se la sua installazione è funzionale, ad esempio, a migliorare la sicurezza di tutti quei lavoratori che devono accedere al tetto per eseguire manutenzioni nell’interesse dell’intero edificio (ad esempio riparare l’antenna della Tv), la spesa di installazione dovrà ripartirsi tra tutti i proprietari. Si tenga conto che un eventuale infortunio di un artigiano chiamato ad effettuare lavori in quota sulla copertura condominiale potrebbe portare anche a serie conseguenze civili, penali ed amministrative sia all’amministratore di condominio, ma anche a tutti i proprietari, e ciò indipendentemente dalla falda sotto cui si trova il singolo appartamento.
Se, invece, per la struttura dell’edificio l’installazione della linea vita porta un vantaggio solo ad un determinato gruppo di condomini, la spesa di installazione potrà essere sopportata solo da quei singoli proprietari.


C.M. chiede
venerdì 15/12/2023
“Buongiorno ho letto che secondo l'articolo 1117 la ripartizione per il rifacimento del tetto è di 1/3 per l'inquilino sottostante e2/3 al resto degli inquilini vi espongo la mia posizione. Sono proprietario del piano terra di una casetta bifamiliare di due piani il piano e di circa 70/80 mq sia sopra che sotto ho letto inoltre che se l'inquilino che abita sotto il tetto è proprietario dello stesso le spese per il rifacimento spettano tutte a lui .p.s.il tetto è piano. Volevo sapere quanto è la mia reale quota da pagare e quanti millesimi va disa la casa per non incorrere in spese che non mi competono.Cordiali saluti”
Consulenza legale i 20/12/2023
È necessario fare un po’ di chiarezza.
Il n.1 dell’art. 1117 del c.c. include il lastrico solare tra le parti comuni dell’edificio condominiale, ed in particolare tra le parti necessarie all’ uso comune. Tale presunzione di condominialità opera a condizione che non vi sia un titolo (tipicamente un rogito notarile o un regolamento di condominio di natura contrattuale) che disponga diversamente e quindi attribuisca il lastrico in uso o in proprietà esclusiva ad un singolo condomino.
Se il titolo quindi nulla dice in proposito il lastrico deve considerarsi un bene condominiale al pari delle fondamenta del palazzo o delle scale e quindi la sua manutenzione ordinaria e straordinaria deve essere sopportata ai sensi del 1° co. dell’art.1123 del c.c. da tutti i condomini in proporzione ai loro millesimi di proprietà.

Nel caso in cui invece un rogito della provenienza od un regolamento di condominio attribuisce il lastrico in uso o in proprietà esclusiva ad un singolo proprietario gli oneri di manutenzione vuoi ordinaria vuoi straordinaria della copertura offerta dal lastrico ai piani sottostanti devono essere ripartiti seguendo l’art. 1126 del c.c. Tale norma dispone che le spese riguardanti la riparazione o il rifacimento del lastrico devono essere sopportate in ragione di 1/3 da chi ne ha la proprietà o l’uso esclusivo; i restanti 2/3 sono a carico dei condomini che usufruiscono della copertura offerta dal lastrico.


Per capire quindi a come dovranno essere ripartite le spese del tetto piano dell’edificio (che dalla descrizione offerta pare proprio essere un lastrico solare) si dovrà in prima battuta esaminare i rogiti che hanno portato alla nascita di questo piccolo condominio: se in questi rogiti vi sono clausole che attribuiscono l’uso o la proprietà del tetto piano ad uno specifico proprietario, allora le spese di rifacimento della sua copertura dovranno essere ripartite secondo l’art. 1126 del c.c. (1/3-2/3); se al contrario questi rogiti nulla dicono sul punto le spese di manutenzione e rifacimento del tetto dovranno essere sopportate da tutti i condomini in proporzione ai millesimi di proprietà.

Come già accennato è molto probabile che il condominio descritto nel quesito sia composto da soli due proprietari o comunque da un numero molto esiguo di condomini, diciamo dai 3 agli 8 proprietari. Ovviamente la normativa che si è descritto finora trova piena applicazione anche in queste tipologie di condominio, vi è però un problema: è molto difficile infatti che in questi piccoli stabili siano vigenti dei regolamenti condominiali e presenti delle tabelle millesimali validamente efficaci, ed è molto probabile che anche la vicenda descritta non faccia eccezione.

Se la realtà fosse davvero questa la cosa migliore è quella di trovare un accordo bonario in merito alla suddivisione delle spese: nei piccoli condomini infatti l’accordo è il modo migliore per avere una gestione serena dello stabile.
Ad ogni modo a seconda dei casi la suddivisione dei lavori di rifacimento del lastrico solare potrebbero essere sostanzialmente 2: se vi è un rogito che attribuisce ad uno dei condomini la proprietà del lastrico (eventualità a dire il vero poco probabile) allora il proprietario del lastrico dovrà pagare 1/3 dei lavori di rifacimento della copertura e i restanti 2/3 saranno a carico dell’ altro (o degli altri) condomini; se invece il lastrico è un normalissimo bene condominiale (eventualità questa decisamente più probabile) allora tutti i condomini dovranno ripartirsi la spesa in proporzione ai millesimi. In questo secondo caso però, visto che è molto difficile che vi siano delle valide tabelle millesimali, si consiglia di raggiungere un accordo con tutti i proprietari del piccolo fabbricato per una suddivisione per teste in parti uguali della spesa.





G. G. chiede
domenica 03/12/2023
“Buonasera,
Ho acquistato da mio padre e dai miei fratelli la proprietà di un appartamento che era di nostra madre e che ora necessità di urgenti lavori di ristrutturazioni sul tetto. L’appartamento è sito al terzo e quarto piano di un edificio e da un atto notarile precedente, i miei nonni acquistano la proprietà delle tettoie. Le tettoie insistono a copertura dell’intero edificio. Quale articolo del codice civile va seguito per la ripartizione delle spese?”
Consulenza legale i 06/12/2023
Il tetto è una parte dell’edificio che solitamente viene considerata condominiale ai sensi dell’art. 1117 del c.c. in quanto assolve ad una funzione necessaria all’uso della collettività condominiale: preservare il fabbricato condominiale dagli agenti atmosferici e dalle infiltrazioni di acqua piovana.
Per tale motivo, come regola generale, la giurisprudenza ritiene che le spese inerenti alla sua conservazione debbano essere ripartiti tra tutti i condomini in proporzione al valore millesimale di ciascuno ai sensi della prima parte dell’art. 1123 del c.c. (tra le tantissime Cass.Civ.,Sez.II, n.24927 del 07.10.19).
La stessa giurisprudenza che si è appena citata repentinamente precisa tuttavia che qualora il tetto venga attribuito in proprietà esclusiva ad un singolo condomino da un titolo della provenienza antecedente, le spese inerenti alla sua conservazione devono essere ripartite non più ai sensi dell’art.1123 del c.c., ma facendo applicazione analogica dell’art.1126 del c.c.: tale norma disciplina la suddivisione delle spese riguardanti la conservazione della copertura del lastrico solare dato in proprietà esclusiva (o in uso) ad un condomino.

È proprio questa ultima fattispecie che si è concretizzata nel caso prospettato: un titolo della provenienza antecedente attribuì ad un precedente condomino (i nonni) la proprietà esclusiva del tetto, proprietà del tetto che poi si è con molta probabilità trasferita assieme a quella inerente alla abitazione principale nelle varie cessioni (inter vivos o successio mortis causa) che si sono concretizzate via via negli anni. Il risultato è che oggi la proprietà del tetto con molta probabilità risulterà essere in capo all’autrice del quesito e ciò, come si è già detto fa scattare inevitabilmente l’applicazione dell’art.1126 del c.c. nel ripartire le spese inerenti alla manutenzione del tetto dell’edificio.
In forza di tale articolo 1/3 di tali spese devono essere sopportate in toto dall’autrice del quesito in quanto proprietaria esclusiva della copertura dell’edificio; i restanti 2/3 dovranno essere suddivisi in proporzione ai millesimi di proprietà tra tutti gli altri condomini in quanto ovvi beneficiari della copertura offerta dal tetto dello stabile.


S. M. chiede
venerdì 23/12/2022 - Piemonte
“Buongiorno,
recentemente abbiamo unito 2 appartamenti i quali avevano accesso da 2 scale diverse.
In seguito all'unione e la relativa modifica catastale, una delle due scale non la utilizziamo più.
L'amministratore continua comunque ad addebitarci le spese per la gestione ordinaria e straordinaria della scala inutilizzata. Volevo sapere se siamo obbligati a dover partecipare a tali spese.
In attesa di cortese riscontro porgo cordiali saluti.

Consulenza legale i 02/01/2023
Le scale, come stabilito dall’art. 1117 del c.c., sono considerate bene di proprietà comune di tutti i condomini, salvo l’esistenza di un titolo contrario.
Infatti, le scale e i relativi pianerottoli sono strutture funzionalmente essenziali del fabbricato che servono, oltre che per permettere di raggiungere i singoli appartamenti, anche come mezzo per accedere al tetto dell’edificio, anch’esso parte comune condominiale in assenza di un titolo negoziale contrario (Cass. civ. n. 9986/2017, Cass. civ. n. 4372/2015, Cass. civ. n. 1498/1998).

Per quanto riguarda la ripartizione delle spese delle parti comuni, il riferimento è l’art. 1123 del c.c. che stabilisce l’obbligatorietà del pagamento di esse per tutti i condomini in base al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convezione.
Lo stesso articolo indica che: 1) se i beni sono destinati a servire in maniera di diversa i singoli condomini, le spese vengono calcolate in misura proporzionale all’uso; 2) le spese per i beni che servono solo una parte dell’edificio, sono a carico solo di coloro che ne godono.

Il principio generale stabilito dall’art. 1123 c.c. si trova esplicitato dall’art. 1124 c.c. che indica le modalità di ripartizione delle spese delle scale.
Le spese sono ripartite tra le unità immobiliari a cui sono asservite e la quantificazione è fatta in base al valore di ciascun immobile e in misura proporzionale all’altezza dal suolo.

Dalle norme di legge si nota che non c’è alcun riferimento all’utilizzo effettivo come criterio per la ripartizione delle spese, sicché si considera che il principio che vige sia quello della potenzialità all’uso del bene comune, non rilevando l’uso più intensivo o la diversa destinazione data ad un appartamento.

Non è quindi rilevante, ai fini di stabilire se le spese per il mantenimento della scala siano dovute o meno, il fatto che il proprietario dell’appartamento non la utilizzi perché non serve più per l’ingresso nella propria unità immobiliare.

Nel caso di specie, dunque, il proprietario delle due unità immobiliari unite che affacciano su scale e pianerottoli diversi, dovrà continuare a sostenere i costi per il mantenimento di essi, indipendentemente dal fatto che usi o meno in concreto la scala.
Può, infatti, potenzialmente riprendere ad utilizzarla in qualsiasi momento e per la natura di bene comune essenziale per la struttura dell’edificio, rimarrà sempre obbligato a sostenerne le spese.

L’unico modo per esonerare il condomino dal pagamento delle spese della scala che non usa, potrà essere l’approvazione di una delibera assembleare votata all’unanimità o la stipula di una convenzione tra tutti i condomini e da essi sottoscritta, che sia opponibile anche ai futuri acquirenti delle unità immobiliari.

M. R. chiede
martedì 06/12/2022 - Lombardia
“Buongiorno,

abito in un condominio formato da due palazzine, la A con 12 unità e la B con 8 unità. nel 2018 abbiamo dovuto rifare entrambi i tetti con preventivo separato ma unica delibera per l'esecuzione dei lavori. nel corso dei lavori un proprietario della palazzina B, imprenditore, è fallito e l'appartamento è andato all'asta senza che il proprietario pagasse la sua quota delle spese straordinarie. Oggi si propone che la quota dell'insoluto venga divisa tra proprietari della palazzina A e B anche se l'insolvente è della palazzina B. Aggiungo che noi non abbiamo alcun passaggio, box o proprietà sotto la palazzina B e quindi il tetto è di pieno godimento dei proprietari di tale palazzina. L'amministratrice dice che l'art. 1123 dice che la competenza delle spese è a carico dei condomini della palazzina B senonché la delibera dei lavori è stata unica. Io che vivo nella palazzina A mi sono opposto al pagamento delle spese che penso siano pendenti verso i soli proprietari della palazzina B in quanto solo loro godono del tetto sotto il quale ci sono i loro appartamenti. Grazie, Saluti”
Consulenza legale i 14/12/2022
Il tetto di un edificio condominiale rientra tra i beni comuni come previsto dall’ art.1117 c.c., a meno che non risulti il contrario in modo chiaro ed univoco, dal titolo di acquisto dei singoli appartamenti o dal regolamento condominiale approvato da tutti i condomini (Cass. civ. 8593/2022, Cass. civ. n. 4060/1995).

Nel caso di specie sono presenti due edifici distinti, entrambi facenti parte dello stesso Condominio e si pone il problema di come suddividere la quota di spese straordinarie, rimaste insolute, per il rifacimento del tetto della palazzina B, relative ad un’unità immobiliare in vendita all’asta.

A tal proposito si osserva quanto segue.
La presunzione di comunione del tetto è stata esclusa nei casi in cui il Condominio sia costituito da più unità immobiliari autonome tali da dar vita ad un “condominio orizzontale” (Cass. civ. n. 10370/2021; Cass. civ. n. 22466/2010).
Il principio alla base di queste pronunce giurisprudenziali è la necessità, affinché si possa ritenere il bene comune a tutti i partecipanti, della sussistenza di “connotati strutturali e funzionali comportanti la materiale destinazione del bene al servizio e godimento di più unità immobiliari appartenenti in proprietà esclusiva a diversi proprietari”.
È facilmente applicabile il medesimo principio anche alla fattispecie in esame in cui il Condominio è costituito da due edifici distinti.
In questo caso il tetto di ogni palazzina è un bene comune per i proprietari sottostanti per cui svolge la funzione di copertura.
Le spese per gli interventi su di esso, quindi, dovranno essere sostenute solo da questi e non da tutti i condomini.

Anche l’analisi dell’art. 1123 del c.c. viene a sostegno di questo principio.
L’art. 1123 c.c. comma 1 del c.c. stabilisce che le spese sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione.
I commi seguenti dell’articolo invece stabiliscono che se il bene comune serve i condomini in misura diversa, le spese saranno ripartite in base all’uso che ciascuno può farne (art. 1123 c.c. comma 1) oppure che in caso in cui una parte comune serve solo una parte dell’immobile, le spese saranno sostenute dai condomini che ne traggono utilità (art. 1123 c.c. comma 1).
Da quest’ultima disposizione è nata la figura del “Condominio parziale” di matrice giurisprudenziale.
Ciò accade quando alcune parti o servizi comuni dell’edificio appartengano o servano solo ad alcuni partecipanti.
Ne deriva quindi un’implicazione riguardo alla gestione e imputazione delle spese perché non sussiste il diritto di tutti i condomini di partecipare all’assemblea e deliberare sui beni o servizi di cui non hanno la titolarità e di conseguenza nemmeno il dovere di pagare le spese.

I condomini di ciascuna palazzina avrebbero dovuto deliberare autonomamente i lavori per il tetto del proprio edificio con la composizione e la maggioranza necessaria per l’approvazione calcolate sulla titolarità effettiva e non sul totale del Condominio (Cass. civ. n. 791/2020, Cass. civ. n. 23851/2010).

Nonostante pare che questo non sia stato fatto e siano stati approvati i lavori con un’unica delibera per tutto il Condominio, a nostro parere i costi dei rifacimenti dei due tetti dovranno rimanere in ogni caso separati.
Le rate straordinarie del costo dei lavori approvate dall’Assemblea si basano su due preventivi differenti per ciascun edificio il che implica che, ragionevolmente, anche le spese siano state suddivise autonomamente per ciascun edificio.
Il Condominio, quindi, ha approvato spese diverse e autonome per ciascuna palazzina per il rifacimento del proprio tetto e i partecipanti rimangono obbligati al pagamento dell’importo approvato relativo alla propria copertura e non certo a quella dell’altro edificio.

Si ritiene, in ogni caso, che l’Assemblea debba deliberare su come assorbire la quota non pagata relativa all’immobile andato all’asta non potendo essere suddivisa sugli altri condomini senza un’approvazione specifica.
In questo caso l’Assemblea avrà il diritto di stabilire come coprire il debito nella maniera che ritiene più opportuna anche, eventualmente, derogando ai principi di legge come stabilisce l’art. 1123 c.c. comma 1 del c.c.

G. M. chiede
mercoledì 02/11/2022 - Emilia-Romagna
“Oggetto: posa di un impianto fotovoltaico per uso proprio, sul tetto comune.
Sono a chiedere un chiarimento relativamente ad una problematica che mi procura dubbi e incertezze…riguarda la dicitura …..farne parimenti uso.
L’art. 1102 stabilisce infatti che ciascun condomino può usare gli spazi comuni a patto che non ne modifichi la destinazione e non impedisca agli altri condomini di farne parimenti uso.
Riguardo a quanto viene detto all’art. 1102 mi chiedo quindi come dovrebbe essere suddivisa la superficie del tetto fruibile per la posa del fotovoltaico.
C’è chi dice che detta superficie
1 deve essere suddivisa per n. condomini in parti uguali…es.: se 100 mq disponibili per 10 condomini, spettano 10 mq. di superficie di tetto cadauno
2 viene anche detto che la superficie può essere suddivisa per mm di proprietà, spettano mq di superficie ripartiti per i millesimi di proprietà
Viene anche specificato che per la divisone della superficie fruibile non deve considerarsi la consistenza della proprietà, cioè i millesimi, quindi vale il primo punto di cui sopra ?
A riguardo, anche leggendo diverse sentenze e diverse indicazioni autorevoli, che si trovano innumerevoli in rete, dove vengono riportate entrambe valide le due soluzioni, che mi sembrano contrastanti, i miei dubbi non solo non si risolvono, ma al contrario mi rendono più contrastato è incerto su come dovrei ragionare per un appropriato dimensionamento dell’impianto che vorrei installare… superficie in parti uguali o per millesimi di proprietà.
Grazie per la cortese attenzione”
Consulenza legale i 09/11/2022
La norma di legge per la questione in oggetto è l’art. 1122 bis c.c. che afferma il diritto dei condomini ad installare gli impianti per la produzione dell’energia da fonti rinnovabili sul lastrico solare o su ogni altra idonea superficie comune e sulle parti di proprietà individuale dell’interessato.

Nel caso in cui l’intervento vada a modificare parti comuni – come è il caso dell’impianto posizionato sul lastrico solare comune - è necessario comunicarlo all’amministratore il quale trasmetterà la notizia all’assemblea che potrà prescrivere, con la maggioranza degli intervenuti ed almeno i due terzi del valore dell’edificio (art. 1136 comma 5), le modalità alternative di esecuzione, imporre cautele a salvaguardia della stabilità, sicurezza e decoro architettonico e ripartirà l’uso del lastrico solare e delle altre superfici comuni.

L’unico limite stabilito dalla legge per questa ripartizione è la salvaguardia delle diverse forme di utilizzo previste dal regolamento di condominio o in qualunque atto.

Si tenga presente che l’art. 1118 del c.c. stabilisce che il diritto di ciascun condomino sulle parti comuni è proporzionale al valore dell’unità immobiliare di sua proprietà salvo che il titolo disponga diversamente.

In linea generale, quindi, si può ritenere che il criterio da applicare per la suddivisione del lastrico solare per il posizionamento del fotovoltaico, sia il medesimo che viene utilizzato per assegnare i diritti sulle parti comuni – e di conseguenza per la ripartizione delle spese - all’interno del condominio.
La suddivisione in millesimi è senza dubbio corretta e può essere sottoposta per l’approvazione da parte dell’assemblea con la maggioranza indicata nell’art. 1136 comma 5.

A parere dello scrivente, però, l’assemblea, può deliberare di suddividere il lastrico solare in maniera diversa, ad esempio, in parti uguali in base al numero di unità immobiliari.
L’art. 1123 del c.c. stabilisce che il criterio legale del valore della proprietà ai fini della ripartizione delle spese condominiali, possa essere modificato con una convenzione tra le parti approvata all’unanimità (Cass. Civ. 6010/2019, Cass. Civ. 21086/2022).
Si ritiene, quindi, che, in via cautelativa e per analogia con l' art. 1123 del c.c., sia opportuno ottenere una delibera assembleare all’unanimità per la suddivisione del lastrico solare in base al numero di unità immobiliari.

La fattispecie trattata è norma speciale rispetto all’art. 1102 del c.c. che, pur rimanendo principio basilare dei rapporti tra partecipanti alla comunione, viene derogata dalla disposizione dell’art. 1122 bis c.c. che permette di adibire una parte comune per un uso esclusivo in relazione all’apposizione di un impianto di energia da fonti rinnovabili e limitatamente all’ampiezza della superficie deliberata dall’assemblea.

A. M. chiede
lunedì 17/10/2022 - Sardegna
“Pre.mo Studio
Sono proprietario di appartamento al piano terra in un condominio di 4 piani con altre 10 proprietà. Il mio appartamento é totalmente autonomo dal condominio, con ingresso separato, servizi esclusivi (luce, acqua) ed autonomi, non partecipo alle spese comuni del condominio (pulizie parti comuni, ascensore, energie condominiali etc .. ), ma solo a quelle di carattere generale.
Il mio appartamento é corredato di un posto auto e di una giardino, non accessibile da alcuna parte del piano terreno del condominio, di mia ESCLUSIVA PROPRIETA', come da atto notarile di acquisto. Peraltro, l'appartamento fu acquistato non dalla ditta costruttrice dell'immobile, ma dal proprietario persona fisica che aveva in godimento tale proprietà.
L'appartamento ha una superficie catastale di 78 mq, il cortile ed il posto auto raggiungono insieme circa 35 mq. Ciò nonostante, il valore millesimale del mio appartamento é indicato come 111/1000, come si rileva dal regolamento del condominio, il secondo valore per importanza dopo l'attico nell'intero condominio. Ho regolarmente pagato sempre le quote a me spettanti, però ora ritengo che la mia proprietà e soprattutto il cortile e il posto auto non debbano essere conteggiate nei valori millesimali, ovvero tali valori sono sempre stati conteggiati in eccesso a mio carico.
Se la mia tesi é corretta, debbo richiedere o posso richiedere la revisione dei millesimi e richiedere il risarcimento delle quote oltremodo ingiustamente pagate ? La revisione millesimale a chi va richiesta ? Cosa può fare l'amministratore del condominio in questa singolare vertenza ?
Grazie per la vostra risposta. Se il mio quesito non é chiaro, posso fornirvi eventuali altre delucidazioni.
Ho provveduto al pagamento della consulenza richiesta.

Consulenza legale i 24/10/2022
Il caso qui prospettato riguarda la richiesta di un condomino, proprietario di un appartamento a piano terra, di un giardino e posto auto all’interno di un Condominio, sulla possibilità di far revisionare le tabelle millesimali allegate al Regolamento di Condominio al fine di avere una riduzione delle spese condominiali.
È utile, in primo luogo, l’analisi delle norme che regolano la complessa materia.
Secondo il Codice Civile, ciascun condomino ha diritto sulle parti comuni proporzionalmente al valore dell’unità immobiliare e questo diritto è irrinunciabile (art. 1118 del c.c.).
Il condomino inoltre non può sottrarsi all’obbligo di contribuire alle spese per la conservazione delle parti comuni (art. 1118 comma 3) e tali spese sono sostenute in misura del valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione (art.1123 c.c comma 1).
Il valore proporzionale di ciascuna unità immobiliare è espresso in millesimi nella tabella che viene allegata al regolamento di condominio (art. art. 68 delle disp. att. c.c. ).
Per quanto riguarda l’onere economico gravante sulla proprietà, esso può essere modificato seguendo due strade differenti:
1) con una convenzione tra le parti sulla ripartizione delle spese che deve essere approvata all’unanimità dai condomini e che deroghi al criterio legale del valore della proprietà come stabilito dall’art. 1123 c.1 (Cass. Civ. 6010/2019, Cass. Civ. 21086/2022);
2) con la revisione delle tabelle millesimali di proprietà con le modalità previste dall’art. 69 disp. att. c.c.
In linea generale, detto articolo stabilisce che la modifica delle tabelle in deroga al regime legale deve essere approvata dall’assemblea all’unanimità.
È però possibile la revisione delle tabelle con la maggioranza qualificata (maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio) prevista dall’art. 1136 c.2 c.c., quando ha “funzione solo ricognitiva di quanto stabilito dalla legge quindi dell'esattezza delle operazioni tecniche di calcolo della proporzione tra la spesa ed il valore della quota o la misura dell'uso” (Cass. Civ. 3401/2021, Cass. Civ. 6735/2020).
Nello specifico, l’art 69 disp. att c.c., stabilisce che questa maggioranza sia necessaria nei casi in cui risulti che la tabella sia conseguenza di un errore o quando per le mutate condizioni di una parte dell’edificio per sopraelevazione o incremento o diminuzione di superfici o di unità immobiliari, il valore proporzionale anche di un solo condomino è alterato per più di 1/5.
In questo caso il costo è sostenuto da chi ha dato luogo alla variazione e legittimato passivo in giudizio è il solo amministratore che ha l’obbligo di darne notizia senza indugio all’assemblea a pena di revoca e all’obbligo del risarcimento degli eventuali danni.
Per il caso di specie è necessario fare una premessa: nel calcolo dei millesimi della proprietà sono ricompresi tutti gli elementi intrinseci (quali la metratura) e tutti gli elementi estrinseci (quali l’esposizione) e le pertinenze, tra cui anche i giardini esterni di proprietà esclusiva che contribuiscono senza dubbio ad aumentare il valore dell’immobile “in quanto consentono un migliore godimento dei singoli appartamenti al cui servizio ed ornamento sono destinati in modo durevole, determinando un accrescimento del valore patrimoniale dell'immobile” (Cass. Civ. 21043/2017).
Inoltre, l’appartamento oggetto della questione fa parte di un complesso condominiale che, pur essendo autonomo come ingresso e come impianti dal resto del Condominio, è sovrastato da altri 4 piani dell’immobile che gli funge da tetto e copertura.
Essendo quindi strutturalmente connesso al Condominio, il proprietario dell’appartamento dovrà partecipare in ogni caso alle spese condominiali anche se proporzionalmente all’uso che potrà farne (art. 1123 c. 2 c.c.).
Avendo impianti e ingresso autonomi, il condomino correttamente non paga null’altro che le spese di carattere generale del Condominio.
Si ritiene quindi che una modifica della modalità di ripartizione delle spese con convenzione tra tutti i condomini (ai sensi dell’art. 1123 c.1) non abbia ragion d’essere poiché il condomino già non contribuisce al mantenimento dei singoli costi delle parti comuni.
Potrebbe invece essere effettuato da un tecnico il ricalcolo delle tabelle millesimali per verificare che effettivamente i millesimi di proprietà siano stati calcolati correttamente.
Nel caso ci fosse stato un errore di calcolo, le tabelle potranno essere modificate con la maggioranza qualificata prevista dall’art. 1136 c.2 c.c. e, in caso non fosse possibile
l’approvazione assembleare e fosse necessario adire in giudizio il Condominio, la legittimazione passiva spetterebbe all’Amministratore ai sensi dell’art 69 c. 2 disp att. c.c. come sopra indicato.
Si sottolinea che la sentenza di modifica delle tabelle millesimali ha natura costitutiva e non dichiarativa e quindi non ha effetto retroattivo.
Non potranno quindi essere annullate le precedenti delibere e non sarà possibile richiedere quanto pagato se non con un’azione di indebito arricchimento ai sensi dell’art. 2041 del c.c. (Cass. Civ. 4844/2017, Corte d’Appello Roma n. 1825/2021).
Nel caso in cui non ci fosse stato nessun errore nella redazione delle tabelle, la ripartizione delle spese in considerazione dei millesimi come previsto dalla legge, potrà essere modificata solo con l’approvazione dell’assemblea all’unanimità.
Si ritiene non sia opportuno rivolgersi all’autorità giudiziaria in caso di rifiuto dell’assemblea di modificare le tabelle poiché, non essendoci alcuna violazione di legge, un’azione giudiziaria avrebbe esito negativo.

B. B. chiede
venerdì 06/05/2022 - Emilia-Romagna
“Tema: “ SPESE CONDOMINIALI O PERSONALI ? ” sviluppato su tre esempi, da valutare singolarmente, tenendo conto del principio posto alla base del termine “spesa condominiale” e cioè: l’utilità comune.

Nel controllare le spese condominiali degli ultimi anni, ho riscontrato che in alcuni casi l’Amministratore addebita costi di natura condominiale ai singoli condòmini, anziché dividerli in base ai millesimi. Questo, secondo me, contrasta con il presupposto di base che recita: “sono considerati condominiali tutti i beni e i servizi che per loro natura sono destinati ad essere utilizzati dal complesso dei condòmini, non risultando tali beni di proprietà esclusiva di qualcuno”.

1) Centrale Termica (spese di conduzione, ricambi, eccetera).
In tema di “spese condominiali o personali”, questa voce presenta molte novità nei fabbricati di ultima generazione. Da noi, l’Amministratore ha risolto la questione considerando tutti i costi d’esercizio della C.T. (Contratto annuo per l’accudienza; Eventuali pezzi di ricambio; Forza motrice; Trattamento delle acque), alla stessa stregua del consumo di gas metano e di conseguenza tutti i costi (fissi e di consumo), vengono imputati ai “consumi volontari” (salvo il 5% per dispersione). Secondo me questa impostazione non è corretta e sostengo che solo il costo del gas metano (variabile dipendente) possa con certezza essere ripartito in base ai Kwh consumati, mentre tutti gli altri costi della C.T. (variabili indipendenti) devono essere ripartiti in base ai millesimi. A tal proposito è bene ricordare che ogni proprietario nell’acquistare l’appartamento ha acquistato anche una quota della C.T. la quale, per svolgere la sua funzione (fornire acqua calda e riscaldamento), deve essere sempre attiva, pronta ed efficiente. Questa costante funzionalità ha dei costi d’esercizio, quelli sopraelencati in parentesi, che non sono influenzati dai consumi.

2) Cassetta di contabilizzazione posta in prossimità dell’appartamento (ricambi).
In questo caso, l’Amministratore addebita tutte le spese al singolo condomino. A me sembra invece che tali cassette siano un naturale prolungamento della Centrale Termica, del cui servizio rappresentano l’atto finale (contabilizzazione dei consumi) e quindi le spese rientrano nella fattispecie di cui al punto 1). A queste cassette, infatti, accedono manutentori della C.T. che rispondono direttamente all’Amministratore; nello svolgimento del loro compito; a volte sono costretti a sostituire qualche pezzo ammalorato per consentire il completamento del servizio che, essendo di “utilità comune”, comporta una ripartizione del costo basata sui millesimi. Anche (e soprattutto) la sostituzione dei contatori, secondo me, rientra nella fattispecie poiché il loro corretto funzionamento è di “utilità comune” (infatti, l’eventuale disfunzione di un contatore, ad esempio, in termini di costi, ricade su tutti i condòmini e quindi la sua sostituzione deve essere gestita a livello condominiale, a tutela di tutti).

3) Videocitofono (ricambi).
Non è più il semplice campanello individuale, oggi è un impianto tecnologicamente evoluto con una centralina (unica) a beneficio di tutti i condòmini: un vero e proprio bene/servizio condominiale e quindi le spese per la sua conservazione e buon funzionamento vanno suddivise in base ai millesimi: d’altronde, la costante funzionalità dell’impianto non può essere “finanziata” da singoli condòmini in modo del tutto casuale (e questo vale anche per i punti di cui sopra). Anche in questo caso, ovviamente, intervengono tecnici gestiti dall’Amministratore e non da tecnici personali di singoli condòmini.
L’unica spesa personale di questo impianto può essere l’eventuale cambio dell’etichetta.

Le vostre risposte, con richiami a leggi vigenti, dovrebbero consentirmi di sottoporre la mia tesi alla votazione dell’assemblea e ottenere la modifica dei criteri di imputazione.

Grazie e cordiali saluti”
Consulenza legale i 13/05/2022
1) Centrale Termica (spese di conduzione, ricambi, eccetera).
Ci si sente di condividere le considerazioni espresse sul punto, a cui francamente rimane da aggiungere ben poco. Le spese di manutenzione ordinaria o straordinaria attengono alla proprietà dell’impianto e non al consumo della forza calore e come tale devono essere ripartite in proporzione alle singole quote di comproprietà dei condomini e non in base al livello di consumo di ciascuna famiglia che abita nei singoli appartamenti. In questo senso è piuttosto chiara anche Cass.Civ. n.1420 del 27.01.2004,la quale ha precisato che tutte le spese che attengono alla integrazione dell’ impianto comune e alla conservazione del suo valore capitale:”… interessano i condomini quali proprietari dell’impianto, a cui carico la legge (articolo 1123 primo comma Cc) pone l’obbligo di concorrere alle spese, configurando a carico di essi obbligazioni propter rem, che, nascendo dalla contitolarità del diritto reale sull’impianto comune, sono dovute in proporzione della quota che esprime la misura della appartenenza.”
Applicando tali principi le spese di manutenzione della centrale termica devono essere ripartite attraverso la tabella millesimi generali e non in proporzione al consumo della forza calore effettuato durante l’anno da ciascun proprietario.


2-3) Cassetta di contabilizzazione posta in prossimità dell’appartamento (ricambi)- Videocitofono (ricambi).

I punti 2 e 3 possono essere trattati congiuntamente, ma in questo caso non è possibile dare sostegno alle ragioni dell’autore del quesito

Il n.3 dell’art. 1117 del c.c. detta un principio estremamente importante in merito agli impianti condominiali, che il legislatore ha ripreso dalla giurisprudenza che è in questo senso è sempre stata costante.

Gli impianti, secondo la norma in esame, devono considerarsi condominiali fino al punto di diramazione ai locali in proprietà individuale dei singoli condomini, o, in caso di impianti unitari fino al punto di utenza.

Ulteriormente banalizzando, la parte dell’impianto che sta all’esterno dell’appartamento è da considerarsi condominiale, mentre la parte che entra nella nostra abitazione diviene in proprietà esclusiva.

Applicando tale principio all’impianto citofonico, deve essere addebitato al singolo condominio la sostituzione del risponditore installato all’interno dei locali in proprietà individuale, devono essere ripartite ai sensi dell’art. 1123 del c.c. e in base alle tabelle generali i lavori che attengono ad esempio alla manutenzione della pulsantiera esterna all’edificio o i fili di collegamento ai singoli punti di utenza.

In merito agli apparecchi di contabilizzazione posti in prossimità dell’appartamento essi rappresentano proprio il punto di utenza del singolo impianto unitario costituendo il punto di snodo tra la parte condominiale e la parte in proprietà individuale dell’impianto. Per tale motivo essi devono considerarsi di proprietà individuale e i costi per la loro manutenzione e sostituzione devono essere sopportati dal singolo proprietario.


L.P. chiede
lunedì 23/08/2021 - Emilia-Romagna
“Se in un condominio sono presenti più scale è possibile, visto che l'assemblea ha deliberato negativamente per il bonus 110%, effettuare gli interventi solo per le unità immobiliari presenti in una scala. In caso negativo può un singolo condomino aderire ai benefici previsti dal bonus 110%?.
Grazie”
Consulenza legale i 24/08/2021
Se gli interventi che si intendono agevolare coinvolgono solo gli appartamenti di quella specifica scala, ai sensi dell’ultimo comma dell’art.1123 del c.c., le decisioni sulla loro fattibilità devono essere adottati solo dai proprietari delle unità immobiliari coinvolte.

La verità però, è che affinché si possa accedere al bonus 110%, è necessario che l’intervento che si intende agevolare comporti un balzo dell’edificio condominiale di due classi di efficientamento energetico (si rinvia al tecnico edile per maggiori chiarimenti sul punto).

Questo comporta nella stragrande maggioranza dei casi che possono essere oggetto di agevolazione solo interventi particolarmente rilevanti che comportano la ristrutturazione dell’intero palazzo (e non solo della specifica scala), spesso coinvolgendo anche le singole unità immobiliari in proprietà esclusiva, con la conseguente necessità che l’intervento agevolabile potrà essere approvato solo con l’unanimità dei proprietari. Anche per tale motivo è molto difficile che il singolo condomino possa aderire ai benefici del 110% per la singola unità abitativa, ma su questo punto è sempre opportuno richiedere il parere di un tecnico edile.



Stefano P. chiede
mercoledì 09/06/2021 - Campania
“La mia palazzina è composta da 1 scala centrale con 2 verticali rispettivamente verticale dx composta da 3 appartamenti e verticale sx composta da 2 appartamenti, sulla verticale dx dei 3 appartamenti ricade il tetto di copertura non praticabile con tetto a falda coperto di guaina, sulla verticale sx dei 2 appartamenti c’è un terrazzo di proprietà dell’ultimo appartamento della verticale dx che come detto è composta da 3 appartamenti. Il tetto dei 3 appartamenti copre per 20mt quadri la verticale sx dei 2 appartamenti, sui 20mq cade acqua piovana che defluisce attraverso la gronda del tetto della verticale dx dei 3 appartamenti.
Sul tetto c’è anche antenna condominiale.
Abbiamo un regolamento con quote millesimali e viene indicato che il tetto a falda è di proprietà in comune dei 5 appartamenti.
Ora c’è un proprietario della verticale sx che dice che gli spetta pagare solo per i 20 mq che copre il suo appartamento, io gli ho risposto che essendo una unica gronda che fa defluire acqua anche per i 20mq del tetto che copre il suo appartamento deve contribuire per l’intera quota di spesa in comune come scritto nel regolamento. Chi ha ragione? Come va divisa la spesa per il rifacimento del tetto di copertura a falda?

Cordiali saluti.”
Consulenza legale i 15/06/2021
Il tetto in quanto parte dell’edificio destinato alla sua copertura deve considerarsi comune ai sensi del n.1) dell’art.1117 del c.c., salvo che il titolo non disponga diversamente. Nel caso specifico non vi è alcun titolo che deroghi a quanto disposto dalla norma citata anzi, la natura condominiale del tetto viene ribadita dal regolamento di condominio. Anche la gronda, in quanto accessorio del tetto medesimo ed elemento fondamentale per il sistema di scolo delle acque meteoriche del palazzo segue la medesima sorte, dovendosi anch’esso considerare bene comune (Trib. Genova n.4766 del 23.11.2005 Trib. Milano del 14.11.1991 e Cass.Civ.,Sez.II, n. 11109 del 15.05.2007).

Accertata la natura condominiale del tetto e della relativa gronda, si dovrebbe concludere che le spese per la loro manutenzione debbano essere ripartite applicando il 1° co. dell’art. 1123 del c.c. e quindi utilizzando la tabella dei millesimi generali, proprio perché il tetto è una parte dell’edificio che assolve ad una funzione utile per l’intera collettività condominiale. Non può quindi farsi applicazione del successivo comma 3° dell’art. 1123 del c.c., il quale troverebbe applicazione quando vi sono beni comuni destinati a servire solo una parte del fabbricato. Vi è da dire però che stante la presenza di un regolamento di condominio è fondamentale verificare che in tale documento non vi siano disposizioni che deroghino a quanto previsto dal codice civile, in quanto in questo caso sarebbero le norme del regolamento a prevalere.


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