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Braga condominiale: chi risponde per le infiltrazioni?

Braga condominiale: chi risponde per le infiltrazioni?
Per le infiltrazioni derivanti dalla "braga" condominiale non è responsabile il condominio se il punto di rottura si trova all'interno di una proprietà.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19045 del 2010, si è occupata di un interessante caso in materia condominiale.

Nel caso esaminato dalla Cassazione, i due proprietari di un appartamento sito all’interno di un condominio, avevano agito in giudizio nei confronti del condomino del piano superiore, evidenziando come il loro appartamento fosse stato interessato “da infiltrazioni di acqua provenienti dalle tubature dell'impianto dell'appartamento soprastantee come la convenuta si fosse “opposta a far accedere alla propria abitazione un idraulico per l'esecuzione delle necessarie riparazioni”.

Dopo una prima pronuncia, a seguito di procedimento d’urgenza, ai sensi dell'art. 700 del c.p.c., la condomina era stata condannata a “provvedere all'immediata esecuzione dei lavori atti ad eliminare le infiltrazioni”. Tali lavori venivano eseguiti e si apprendeva che la perdita aveva avuto origine dalla “braga di innesto dello scarico del lavandino” della condomina convenuta “alla colonna condominiale”.

Di conseguenza, i condomini danneggiati agivano in giudizio al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti a seguito delle infiltrazioni.

La domanda veniva accolta in primo grado e la sentenza veniva confermata in grado d’appello, ove si precisava che “la perdita d'acqua infiltratasi nel soffitto dell'appartamento sottostante era stata determinata dalla rottura della tubazione di scarico nel tratto obliquo creato per convogliare le acque del lavandino della condomina alla colonna condominiale”.

Secondo la Corte d’appello, inoltre, “la distinzione, operata dalla appellante, tra tratto di proprietà esclusiva e tratto costituito da un elemento speciale formante corpo unico con la colonna verticale di proprietà condominiale, non trovava alcun riscontro sul piano tecnico e contrastava con la definizione comunemente data alla "braga" in questione; che quindi correttamente il tribunale aveva affermato l'appartenenza del tratto di tubazione in questione in proprietà esclusiva alla F. ed aveva ravvisato la sussistenza in capo alla stessa della responsabilità per cose in custodia ex art. 2051 del c.c.”.

In sostanza, secondo il giudice di secondo grado, il tratto di tubazione tra l’impianto centralizzato condominiale e l’impianto autonomo della convenuta doveva ritenersi di proprietà esclusiva della condomina stessa, la quale, dunque, rispondeva dei danni derivanti dal bene stesso, ai sensi dell’art. 2051 del c.c. (responsabilità da cosa in custodia).

La condomina, ritenendo la sentenza ingiusta, proponeva ricorso per Cassazione, evidenziando la violazione, da parte della Corte d’appello, dell’art. 1117 del c.c., in quanto “il punto di rottura della tubazione di scarico è stato individuato nel tratto obliquo che convoglia le acque del lavandino di proprietà di essa ricorrente alla colonna condominiale”.

Di conseguenza, secondo la ricorrente, la perdita d’acqua era “da ascriversi alla rottura di un elemento comune dell'edificio. Infatti la '"braga di innesto" tra la colonna di scarico condominiale e l'utenza esclusiva di un singolo condomino costituisce un corpo unico con la colonna condominiale ed è un elemento di esclusiva proprietà del condominio”.

Secondo la ricorrente, inoltre, sarebbe stato violato anche l’art. 2051 del c.c., in quanto la condomina non aveva “mai avuto un potere di intervento sulla parte della tubatura in questione trattandosi di un pezzo da considerarsi un tutt'uno con la braga condominiale. Infatti per poter intervenire è stata necessaria una delibera condominiale”.

Pertanto, la responsabilità per cosa in custodia, ai sensi dell’art. 2051 del c.c., andava riconosciuta in capo al solo condominio.

La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter aderire alle argomentazioni svolte dalla ricorrente, ritenendo la decisione della Corte d’appello “ineccepibile”.

In particolare, secondo la Cassazione, ai sensi dell'art. 1117 del c.c., “i canali di scarico sono oggetto di proprietà comune solo fino a punto di diramazione degli impianti ai locali di proprietà esclusiva, e poichè la braga, quale elemento di raccordo fra la tubatura orizzontale di pertinenza del singolo appartamento e la tubatura verticale, di pertinenza condominiale, è strutturalmente posta nella diramazione, essa non può rientrare nella proprietà comune condominiale, che è tale perchè serve all'uso (ed al godimento) di tutti i condomini”.

Di conseguenza, la Corte d’appello aveva correttamente ritenuto che il punto di rottura della tubazione fosse di proprietà esclusiva della condomina convenuta, con conseguente sua responsabilità per i danni dal medesimo derivanti.

Quanto alla questione relativa alla sussistenza della “responsabilità per cosa in custodia”, la Cassazione, nel confermare la decisione di primo grado, precisava solo che l’art. 2051 del c.c.prevede una forma di responsabilità che ha fondamento giuridico nella circostanza che il soggetto chiamato a rispondere si trovi in una relazione particolarmente qualificata con la cosa, intesa come rapporto di fatto o relazione fisica implicante l'effettiva disponibilità della stessa, da cui discende il potere - dovere di custodirla e di vigilare, affinchè non arrechi danni a terzi”.

Si tratta, in sostanza, di una “responsabilità oggettiva (…), essendo sufficiente per l'applicazione della stessa la sussistenza del rapporto di custodia tra il responsabile e la cosa che ha dato luogo all'evento lesivo indipendentemente dalla pericolosità attuale o potenziale della cosa stessa, e, perciò, trova applicazione anche nell'ipotesi (ricorrente nella specie) di cose inerti”.

Pertanto, “il custode convenuto è onerato di offrire la prova contraria alla presunzione iuris tantum della sua responsabilità mediante la dimostrazione positiva (nel caso in esame non offerta) del caso fortuito, cioè del fatto estraneo alla sua sfera di custodia, avente impulso causale autonomo e carattere di imprevedibilità e di assoluta eccezionalità”.

Dunque, anche da questo punto di vista, la decisione del giudice di secondo grado appariva corretta.

Alla luce di tali considerazioni, la Cassazione rigettava il ricorso, confermando integralmente la sentenza di secondo grado e condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali.


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