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Articolo 1362 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 31/01/2024]

Intenzione dei contraenti

Dispositivo dell'art. 1362 Codice Civile

(1)Nell'interpretare il contratto si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole.

Per determinare la comune intenzione delle parti, si deve valutare il loro comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto [1326](2).

Note

(1) La norma si ritiene essere la prima di una serie di regole interpretative soggettive, cioè fondate sull'intenzione delle parti (1362, 1363, 1364, 1365 c.c.), contrapposte ai canoni ermeneutici oggettivi (1367, 1368, 1369, 1370, 1371 c.c.) i quali prescindono dal volere dei contraenti e che hanno applicazione residuale rispetto alle prime.
(2) Il comportamento in esame non è solo quello giuridico, cioè relativo al profilo tecnico del contratto, ma anche quello non giuridico, se collegato al contratto stesso. Inoltre, non si deve considerare solo la condotta precedente la stipula, come quella tenuta nel formulare proposta ed accettazione, ma anche quella successiva, ad esempio la condotta adottata nel dare esecuzione all'accordo.

Ratio Legis

La norma indica quale prima regola di interpretazione soggettiva l'intenzione comune delle parti: con ciò si vuole, da un lato, rifiutare il formalismo del senso letterale delle parole usate, dall'altro garantire che si tenga conto della volontà di entrambi i contraenti.

Brocardi

Clausularum repugnantia semper capienda est ea interpretatio, per quam fiat ut utraque clausula operetur
Cum in verbis nulla ambiguitas est, non debet admitti voluntatis quaestio
In contractibus rei veritas potius quam scriptura perspici debet
In conventionibus contrahentium voluntatem potius quam verba spectari placuit
Interpretatio
Plus actum quam scriptum valet
Quaestio voluntatis
Stipulatio certa est, cum ex ipsa pronuntiatione apparet quid, quale, quantumve sit in stipulatione; incerta, ubi id non apparet

Spiegazione dell'art. 1362 Codice Civile

Varianti del testo del 1942 sul testo del 1865

All’art. 1362 si attribuisce funzione dominante, quanto meno sugli articoli 1363, 1364, 1365: esso intende dettare i criteri per l'identificazione della volontà contrattuale.

L'articolo consta di due commi. Nel primo, il testo del 1942 differisce da quello del 1865 (art. #1131#); nel secondo, il testo è completamente nuovo.

Le differenze del primo comma sono due: anzitutto il testo del 1865 non portava epigrafe, mentre il testo del 1942 porta una epigrafe sug­gestiva; intenzione dei contraenti. In secondo luogo, l testo del 1865 diceva: « anziché stare al senso letterale delle parole» mentre il testo del 1942 dice: «e non limitarsi al senso letterale delle parole». La ricordata Relazione afferma, come già si è accennato, che, colla mutazione di linguaggio, si è voluto togliere un dubbio sorto sulla pretesa antinomia fra i criteri di interpretazione della legge (Preleggi, art. 12) e quella del contratto, portando in entrambe la lettera e l'interpretazione sullo stesso piano.

Probabilmente anche il testo del 1865 doveva intendersi come se la formula fosse stata: «anziché stare solamente al senso letterale». Per conseguenza già equivaleva, sotto questo profilo, alla formula del 1942. Ma quando si debbono interpretare le leggi non si incontrano contraenti che abbiano una volontà, comune; la volontà, anziché comune, ci si presenta come collettiva, cosicché essa richiede una investigazione di versa da quella contrattuale. Ma, per restare al tema dei contratti, rimane a vedere come, pel nuovo codice, concorrano la lettera e l'intenzione, poste sullo stesso piano, come vuole il legislatore.


Il primo comma. Volontà ed espressione. La volontà comune

L'art. 1362, primo comma, prescrive di non limitarsi al senso letterale delle parole; esige dunque, implicitamente, che noi anzitutto prendiamo in esame la lettera, e da essa moviamo per le nostre ricerche: non limitarsi ad essa significa bensì studiare la lettera e procedere oltre, ma significa anche dedicare ad essa le prime nostre cure.

Ora, non limitarsi alla lettera vuol dire anzitutto intendere la lettera come espressione di volontà, e, attraverso la lettera cercare la volontà. Già in questo le due ricerche stanno .sullo stesso piano; la lettera costituisce uno strumento necessario, anche se non esclusivo, per l'analisi della volontà; tale analisi forma l'oggetto delle ricerche ulteriori: la seconda parte del lavoro, alla quale la prima parte fornisce la strada maestra.

Nella seconda parte, l'oggetto della ricerca è la volontà comune, come espressamente precisa la norma di legge. Può darsi che si metta capo ad una volontà comune, ma può accadere altresì che si riscontri che, su qualche punto, le parti hanno avuto una volontà divergente. In tal caso sorge uno spinoso problema, se prevalga la dichiarazione che è unica per ambo i contraenti, ovvero l'una o l'altra volontà, che fra loro differiscono. La ricordata Relazione, i lavori preparatori e la dottrina anteriore e posteriore al codice del 1942 trattano tale questione in questa sede. A noi sembra invece che l'argomento sia più opportunamente a studiarsi sotto l’art. 1366, che pone il principio della buona fede imperante nella interpretazione dei contratti. Non già che in proposito l'art. 1362 sia estraneo, tutt'altro; anche noi ammettiamo che esso abbia il suo peso; come, d'altra parte, la tesi opposta alla nostra costantemente ammette che la prevalenza della dichiarazione sulla volontà rimasta unilaterale, e, in sostanza, questione di buona fede. Per tal motivo, i1 problema si risolve dalla comune dottrina e da noi, presso a poco nello stesso modo. Ma, quanto alla collocazione del tema, a nostro avviso, esso che è dominato dall'art. 1366, deve far parte delle applicazioni di tale articolo, mentre la volontà comune menzionata nell’art. 1362 non può identificarsi con quella che è propria di una parte e non anche dell'altra.

Nella ricerca della volontà comune, così come noi la intendiamo, può accadere che essa risulti conforme alla lettera in modo sicuro ed univoco, ed allora non sorgono questioni. Può darsi che risulti in modo sicuro, ma non univoco, nel senso che la lettera ammetta parecchie interpretazioni e la ricerca della volontà comune identifichi quella che ambo le parti hanno avuta. In tal caso l'art. 1362 ha esercitato il suo pieno ufficio e ci ha condotto alla felice soluzione del problema. Se poi la volontà comune non risulta in modo sicuro, il solo nostro articolo non ci soccorre più, e dobbiamo por mano agli articoli seguenti.

Supponiamo infine che ambo le parti abbiano in comune voluto A, ma per qualsivoglia motivo, abbiano detto o scritto B. Una volta stabilito che hanno voluto A, una parte non può costringere l'altra a prestare B, altrimenti si disapplicherebbe l'art. 1362 che comanda di non limitarsi al senso letterale delle parole e di indagare la comune intenzione delle parti, evidentemente non al solo scopo informativo, ma per tenerne conto. Con tale soluzione, però, l'intenzione prevale sulla lettera, e benché di questa soluzione non possa dubitarsi, se l'intenzione inespressa, contraria alla lettera, è davvero comune, tuttavia la lettera, in tal modo, perde terreno sulla intenzione, e l'una e l'altra non si trovano più nettamente sullo stesso piano. Senonché tale innegabile prevalenza dell'intenzione sulla lettera, pure esorbitando della idea espressa nella ricordata Relazione, è in armonia coll'orientamento di tutto l'articolo, ed è espressivamente suggerita anche dall'epigrafe, non priva d'importanza, per dare indizio delle vedute generali del legislatore. Infine è in armonia altresì colla precedente tradizione dottrinale che giustamente considera il corrispondente art. #1131# del codice 1865, come caposaldo per la dottrina della volontà.


Il secondo comma. Il contegno dei contraenti

Il secondo comma dell'art. 1362 indica, come mezzo di determinazione della comune volontà delle parti, non soltanto i1 loro contegno precontrattuale, ma altresì quello posteriore al contratto. La prima ricerca concerne soprattutto le trattative, la seconda, le modalità di adempimento. Ambo i criteri sono conformi alle tradizioni civilistiche; anche il secondo, che, come fu osservato, tien conto della esecuzione, attribuendole significato di una interpretazione contrattuale. Si è accennato addirittura ad una interpretazione autentica. Ma è da notare che mentre questa può avere carattere innovativo, invece l'interpretazione fatta dalle parti in sede di esecuzione, non può mutare il contratto in danno dei terzi; se tale interpretazione lo muta, in realtà, come fu osservato, crea un contratto nuovo, senza pregiudizio dei diritti dei terzi.

Relazione al Libro delle Obbligazioni

(Relazione del Guardasigilli al Progetto Ministeriale - Libro delle Obbligazioni 1941)

215 Le norme relative all'interpretazione dei contratti hanno dovuto adeguarsi al principio della dichiarazione, a cui, entro i limiti dell'affidamento, è stata data prevalenza nel conflitto con il principio della volontà.
Nel sistema adottato, come si è visto, la dichiarazione viene a costituire un indice dell'esistenza di una volontà conforme al suo significato obiettivo; pertanto il contenuto del contratto si deve sempre interpretare in base alla intenzione delle parti.
Questa intenzione si determina, però, valutando il complesso comportamento dei contraenti; in modo da dare, alle dichiarazioni di ciascuno, il significato che in buona fede poteva attribuirvi l'altro (art. 232).
Si considererà complessivamente lo svolgimento delle trattative, ma dovrà anche sfruttarsi il comportamento post-contrattuale: ciò è stato talvolta negato, ma di vero che l'esecuzione data al contratto è, vorrei dire, un mezzo di interpretazione autentica di esso, per la normale corrispondenza tra l'atto compiuto in esecuzione di un obbligo e il contenuto dell'obbligo che si è voluto assumere.
Le dichiarazioni e gli atti di esecuzione devono avere attribuita quella portata che è fatta palese dal significato che socialmente le parole o gli atti acquistano; ed è questa portata di buona fede che il destinatario delle parole o degli atti deve ad essi attribuire.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

624 La direttiva su cui, secondo il nuovo codice, deve orientarsi un'interpretazione intesa a comporre l'eventuale conflitto fra le opposte volontà non è data dalla considerazione dell'intento individuale di ciascuna parte, che la buona fede dell'altra parte può non avere apprezzato, né esclusivamente dal senso letterale delle parole usate, atteso che non vige il sistema del formalismo, ma dal comune intento pratico delle parti contrattuali (art. 1352 del c.c., primo comma). Ma rimane a vedere con quale strumento e secondo quale criterio debba essere ricostruito e determinato questo comune intento. Lo strumento più attendibile deve essere costituito, nella cornice delle circostanze, dall'intero comportamento reciprocamente tenuto dai contraenti (art. 1362 del c.c., secondo comma); ed è nella interpretazione di questo comportamento che deve servire di guida al giudice quei criterio della buona fede nell'orbita dell'ordinamento corporativo al quale si è già accennato (n. 623). Alle proposte e alle dichiarazioni di ciascuna si dovrà cioè attribuire non già il significato soggettivo cui esse vennero, di fatto, intese dalla medesima o dalla controparte secondo una sua accidentale impressione, ma il significato oggettivo in cui la parte accettante poteva e doveva ragionevolmente intenderle secondo le regole della buona fede; significato questo, che è il solo normalmente riconoscibile e sul quale pertanto l'accettante deve poter fare sicuro assegnamento. Solo così il legittimo affidamento fondato sul comune significato delle dichiarazioni trova nell'interpretazione una tutela efficace. E ciò contribuisce in pari tempo a educare nelle parti il senso della responsabilità, giacché il criterio oggettivo dell'interpretazione le sprona a formulare con chiarezza le proposte e le clausole contrattuali cui hanno interesse. Siffatto criterio obiettivo chiarisce quale è il limite entro cui può farsi ricorso ad una indagine condotta sul senso letterale delle parole usate. Al riguardo l'art. 1362 usa una formula che dirime il dubbio sorto in relazione al codice del 1865 su una pretesa antitesi tra il principio fissato nell'art. 1131 di esso e quello contenuto nell'art. 3, primo comma, delle sue preleggi: si pongono sullo stesso piano la lettera del contratto e l'intento dei contraenti, come sullo stesso piano sono poeti la lettera della legge e l'intenzione del legislatore. E a questo punto è d'uopo avvertire che la ricerca del significato letterale delle parole deve farsi, quando queste hanno due sensi, intendendole secondo ciò che è più conforme alla natura e all'oggetto del contratto (art. 1369 del c.c.); così resta meglio precisato il concetto di materia del contratto a cui rinviava l'art. 1133 del codice abrogato, dando luogo a non pochi dubbi. Si aggiunga che, implicando la ricerca del reale intento delle parti una valutazione d'insieme del loro contegno, il materiale d'interpretazione che occorrerà utilizzare per tale indagine è ben più vasto della sola formula finale del contratto; infatti, a tutela dell'affidamento riposto da ciascuna parte sul significato della dichiarazione dell'altra, si attribuisca valore interpretative anche al materiale post-contrattuale, nel senso che debba aversi riguardo altresì all'esecuzione concordemente intrapresa dalle parti (art. 1362, secondo comma). Attiene alla precisazione del reale intento delle parti anche la norma dell'art. 1342 del c.c., primo comma, per cui nel caso di contratti conclusi mediante la sottoscrizione di moduli o formulari, prevalgono le clausole aggiunte su quelle predisposte ove tra le une e le altre si possa riscontrare incompatibilità.

Massime relative all'art. 1362 Codice Civile

Cass. civ. n. 32786/2022

A norma dell'art. 1362 c.c., il dato testuale del contratto, pur importante, non può essere ritenuto decisivo ai fini della ricostruzione della volontà delle parti, giacché il significato delle dichiarazioni negoziali può ritenersi acquisito solo al termine del processo interpretativo, che non può arrestarsi al tenore letterale delle parole, ma deve considerare tutti gli ulteriori elementi, testuali ed extratestuali, indicati dal legislatore, anche quando le espressioni appaiano di per sé chiare, atteso che un'espressione "prima facie" chiara può non risultare più tale se collegata ad altre espressioni contenute nella stessa dichiarazione o posta in relazione al comportamento complessivo delle parti; ne consegue che l'interpretazione del contratto, da un punto di vista logico, è un percorso circolare che impone all'interprete, dopo aver compiuto l'esegesi del testo, di ricostruire in base ad essa l'intenzione delle parti e quindi di verificare se quest'ultima sia coerente con le restanti disposizioni del contratto e con la condotta delle parti medesime. (In applicazione del suddetto principio, la S.C. ha ritenuto corretta la qualificazione, alla stregua di contratto autonomo di garanzia, della polizza cauzionale assunta da una banca a garanzia dell'esecuzione delle opere di urbanizzazione da parte di una società espressamente qualificata come concessionaria di un pubblico servizio, valorizzando l'elemento della natura infungibile della prestazione principale, ad onta della definizione formale del contratto stesso come fideiussione).

Cass. civ. n. 30135/2022

Anche nell'interpretazione dei contratti collettivi di diritto comune, i canoni legali di ermeneutica contrattuale sono governati da un principio di gerarchia, in forza del quale il criterio del senso letterale delle parole, di cui all'art. 1362, comma 1, c.c. è prevalente, potendo risultare assorbente di eventuali ulteriori e successivi criteri interpretativi. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito che aveva riconosciuto al dipendente di un istituto di credito un premio annuale di rendimento - cd. PAR -, legando l'erogazione al solo fatto che il dipendente occupasse una posizione lavorativa strategica e che vi fosse stato un impegno di spesa in bilancio, trascurando il fatto che l'art. 44 del vigente c.c.n.l. per i dipendenti bancari, con disposizione confermata dal contratto integrativo aziendale, attribuisse all'impresa la facoltà discrezionale e unilaterale di subordinare il pagamento del premio al raggiungimento di determinati specifici obbiettivi fissati dalla banca).

Cass. civ. n. 30141/2022

In tema di interpretazione della contrattazione collettiva trovano applicazione i criteri ermeneutici dettati dagli artt. 1362 e ss. c.c., sicché, seguendo un percorso circolare, occorrerà tener conto, in modo equiordinato, di tutti i canoni previsti dal legislatore, sia di quelli tradizionalmente definiti soggettivi che di quelli oggettivi, confrontando il significato desumibile dall'utilizzo del criterio letterale con quello promanante dall'intero atto negoziale e dal comportamento complessivo delle parti, coordinando tra loro le singole clausole alla ricerca di un significato coerente con tutte le regole interpretative innanzi dette.

Cass. civ. n. 25826/2022

In tema di interpretazione dei provvedimenti giurisdizionali si deve fare applicazione, in via analogica, dei canoni ermeneutici di cui agli artt. 12 e seguenti delle preleggi, in ragione dell'assimilabilità di tali provvedimenti, per natura ed effetti, agli atti normativi, mentre nell'interpretazione degli atti processuali delle parti occorre fare riferimento ai criteri di ermeneutica di cui all'art. 1362 c.c. che valorizzano l'intenzione delle parti e che, pur essendo dettati in materia di contratti, hanno portata generale. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva accolto l'eccezione di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da emotrasfusione espressa negli atti processuali del Ministero della Salute, così interpretando la volontà del convenuto di voler profittare dell'effetto estintivo).

Cass. civ. n. 18971/2022

La presunzione di cui all'art. 1352 c.c., in base alla quale le forme convenzionalmente stabilite anche per singole clausole contrattuali si intendono volute per la validità delle stesse, si applica al recesso per il quale le parti abbiano convenuto la forma scritta, in quanto atto negoziale unilaterale di contenuto negativo, che pone fine agli effetti sostanziali della permanenza del contratto rispetto al quale si esplica.

Cass. civ. n. 18283/2022

In tema di interpretazione del contratto, per l'identificazione della comune intenzione delle parti, ai sensi dell'art. 1362, comma 2, c.c. (che fa riferimento al comportamento dei contraenti), non si può tener conto del comportamento dei soggetti che quel contratto non hanno posto in essere (nella specie, un comune rispetto alla polizza fideiussoria conclusa da una società costruttrice a garanzia dell'esecuzione delle opere di urbanizzazione assunte nell'ambito di una convenzione urbanistica), non potendo essi avere alcun rapporto né con l'interno volere dei contraenti, né con i precetti e i comandi nei quali si è oggettivizzata la loro volontà.

Cass. civ. n. 17159/2022

L'esigenza di chiarezza e di univocità che devono rivelare i divieti ed i limiti regolamentari di destinazione alle facoltà di godimento dei condomini sulle unità immobiliari in proprietà esclusiva, coerente con la loro natura di servitù reciproche, comporta che il contenuto e la portata di detti divieti e limiti vengano determinati fondandosi in primo luogo sulle espressioni letterali usate. L'art. 1362 c.c. allorché nel primo comma prescrive all'interprete di indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti senza limitarsi al senso letterale delle parole, non svaluta l'elemento letterale del contratto, anzi intende ribadire che, qualora la lettera della convenzione, per le espressioni usate, riveli con chiarezza ed univocità la volontà dei contraenti e non vi sia divergenza tra la lettera e lo spirito della convenzione, una diversa interpretazione non è ammissibile.

Cass. civ. n. 11502/2022

In tema di condominio negli edifici, il regolamento condominiale può porre limitazioni ai poteri ed alle facoltà spettanti ai condomini sulle parti comuni, imponendo la conservazione degli elementi attinenti alla simmetria, all'estetica ed all'aspetto generale dell'edificio. L'interpretazione delle clausole di un regolamento contrattuale contenenti limiti nel godimento delle cose comuni deve avvenire secondo le regole legali di ermeneutica contrattuale; inoltre, le prescrizioni del regolamento aventi natura solo organizzativa, come quelle che disciplinano le modalità d'uso delle parti comuni, possono essere interpretate, giusta l'art. 1362, comma 2, c.c., altresì alla luce della condotta tenuta dai comproprietari posteriormente alla relativa approvazione ed anche "per facta concludentia", in virtù di comportamento univoco. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione impugnata che da un lato, a fronte di una clausola del regolamento che imponeva il divieto di intraprendere "alcuna operazione esterna che modifichi l'architettura, l'estetica o simmetria del fabbricato", aveva ritenuto che la trasformazione dell'unità immobiliare destinata a negozio di alimentari in cinque autorimesse, con aperture basculanti al posto delle vetrine preesistenti, fosse lesiva del decoro architettonico per il forte impatto visivo sull'armonia degli elementi strutturali della facciata, dall'altro aveva affermato che altra clausola del medesimo regolamento condominiale, che poneva il divieto di ingombro del cortile comune, non precludesse l'utilizzo di parte dello stesso cortile come parcheggio, stante anche il comportamento tenuto dai condomini che posteriormente alla redazione del medesimo regolamento avevano sempre ivi parcheggiato).

Cass. civ. n. 2173/2022

Nell'interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata, tra cui sono compresi i contratti aziendali, il criterio letterale va integrato, nell'obiettivo normativamente imposto di ricostruire la volontà delle parti, con gli altri canoni ermeneutici idonei a dare rilievo alla "ragione pratica" del contratto, in conformità agli interessi che le parti medesime hanno inteso tutelare, nel momento storico di riferimento, mediante la stipulazione negoziale. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che - pur in presenza del riferimento nell'accordo aziendale al possesso della patente C, ai fini del riconoscimento di un incentivo professionale in favore di autisti aventi un determinato livello - aveva riconosciuto il beneficio anche ai conducenti di mezzi particolarmente complessi, ma privi di detta patente, sul rilievo che il requisito in questione fosse significativo della complessità di guida del veicolo, avuto riguardo alla portata e/o alle caratteristiche tecnologiche di utilizzo dello stesso).

Cass. civ. n. 9461/2021

Posto che l'accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto di un negozio giuridico si traduce in una indagine di fatto affidata al giudice di merito, il ricorrente per cassazione, al fine di far valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., non solo deve fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti non potendo, invece, la censura risolversi nella mera contrapposizione dell'interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata. (in applicazione di tale principio la S.C. ha rigettato il ricorso ritenendo che correttamente il giudice di merito nell'interpretazione della disposizione statutaria, secondo cui l'ingresso del nuovo socio deve essere previamente approvato dall'assemblea, avesse valorizzato il dato letterale invece che accogliere soluzioni ermeneutiche alternative o conferire rilievo a condotte successive al trasferimento delle partecipazioni sociali, non essendo stato dedotto come le stesse potessero elidere il dato letterale).

Cass. civ. n. 3115/2021

In tema di interpretazione del contratto, il procedimento di qualificazione giuridica consta di due fasi, delle quali la prima - consistente nella ricerca e nella individuazione della comune volontà dei contraenti - è un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione in relazione ai canoni di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., mentre la seconda - concernente l'inquadramento della comune volontà nello schema legale corrispondente - si risolve nell'applicazione di norme giuridiche, anche straniere, se ne è allegata e provata la riferibilità al contratto ed il relativo contenuto, potendo pertanto formare oggetto di verifica e riscontro in sede di legittimità sia per quanto attiene alla descrizione del modello tipico della fattispecie legale, sia per quanto riguarda la rilevanza qualificante degli elementi di fatto così come accertati, sia infine con riferimento alla individuazione delle implicazioni effettuali conseguenti alla sussistenza della fattispecie concreta nel paradigma normativo. (Nella specie, in cui una compagnia aerea italiana aveva licenziato un pilota per avere, nel periodo di cassa integrazione, iniziato un'attività lavorativa in favore di una società straniera, la S.C. ha negato che il contratto di lavoro concluso in Quatar secondo la legge di quello Stato potesse essere considerato a tempo determinato, come invocato dal lavoratore, non avendo le parti apposto un termine di scadenza e non rinvenendosi nell'ordinamento estero una disposizione legale idonea a integrare la fonte dell'autonomia privata, secondo un meccanismo equivalente a quello dell'art. 1339 c.c., sì da rendere ogni contratto concluso con gli stranieri a tempo determinato).

Cass. civ. n. 2945/2021

In tema di interpretazione di una clausola contrattuale controversa, solo la lettura dell'intero testo contrattuale consente una corretta comprensione della convenzione e suo tramite della comune intenzione delle parti, mentre l'enucleazione di singole parole può comportare lo stravolgimento del significato della clausola con particolare riferimento alle pattuizioni limitative dell'efficacia del negozio che, in presenza di un processo ermeneutico frammentato, possono amplificare o ridurre la portata dell'accordo (Nella specie la S.C., nell'applicare il principio, ha cassato con rinvio la decisione della corte di merito, che aveva escluso la copertura contrattuale della polizza da fenomeni di incendio dell'immobile assicurato quando essi fossero causati da "incidenti elettrici" sulla base della previsione pattizia di esclusione della garanzia nel caso "di fenomeno elettrico", parole che erano state lette separandole dalle successive: "a macchine ed impianti elettrici ed elettronici" con ciò escludendo la copertura proprio nel caso più comune di sinistro).

Cass. civ. n. 995/2021

Nel giudizio di cassazione, la censura svolta dal ricorrente che lamenti la mancata applicazione del criterio di interpretazione letterale, per non risultare inammissibile deve essere specifica, dovendo indicare quale sia l'elemento semantico del contratto che avrebbe precluso l'interpretazione letterale seguita dai giudici di merito e, al contrario, imposto una interpretazione in senso diverso; nel giudizio di legittimità, infatti, le censure relative all'interpretazione del contratto offerta dal giudice di merito possono essere prospettate solo in relazione al profilo della mancata osservanza dei criteri legali di ermeneutica contrattuale o della radicale inadeguatezza della motivazione, ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti, mentre la mera contrapposizione fra l'interpretazione proposta dal ricorrente e quella accolta dai giudici di merito non riveste alcuna utilità ai fini dell'annullamento della sentenza impugnata.

Cass. civ. n. 701/2021

L'interpretazione degli atti negoziali - che è riservata al giudice del merito ed è incensurabile in sede di legittimità ove rispettosa dei criteri legali di ermeneutica contrattuale e sorretta da motivazione immune da vizi - va condotta sulla scorta di due fondamentali elementi che si integrano a vicenda, e cioè il senso letterale delle espressioni usate e la "ratio" del precetto contrattuale, nell'ambito non già di una priorità di uno dei due criteri ma in quello di un razionale gradualismo dei mezzi d'interpretazione, i quali debbono fondersi ed armonizzarsi nell'apprezzamento dell'atto negoziale. (Nella specie, la sentenza di merito aveva ritenuto che la clausola dell'accordo sindacale - adottato in applicazione dell'art. 4, comma 11, della l. n. 223 del 1991 - secondo cui ai dipendenti in esubero era data la facoltà di avanzare richiesta di adibizione a mansioni e qualifica inferiori con novazione del rapporto, non prevedesse un obbligo del datore di aderire alla richiesta in questione; la S.C., nel cassare la sentenza, ha rilevato che quest'ultima non avesse interpretato la predetta clausola alla luce della funzione gestionale ed obbligatoria dell'accordo, preordinato alla salvaguardia dei livelli occupazionali).

Cass. civ. n. 24480/2020

Ai fini dell'interpretazione delle domande giudiziali non sono utilizzabili i criteri di interpretazione del contratto dettati dagli artt. 1362 ss. c.c. poiché, rispetto alle attività giudiziali, non si pone una questione di individuazione della comune intenzione delle parti e la stessa soggettiva intenzione dell'attore rileva solo nei limiti in cui sia stata esplicitata in modo tale da consentire al convenuto di cogliere l'effettivo contenuto dell'atto e di svolgere un'adeguata difesa.

Cass. civ. n. 13595/2020

Nell'interpretazione del contratto, il carattere prioritario dell'elemento letterale non deve essere inteso in senso assoluto, atteso che il richiamo nell'art. 1362 c.c. alla comune intenzione delle parti impone di estendere l'indagine ai criteri logici, teleologici e sistematici, anche laddove il testo dell'accordo sia chiaro ma incoerente con indici esterni rivelatori di una diversa volontà dei contraenti; pertanto assume valore rilevante anche il criterio logico-sistematico di cui all'art. 1363 c.c., che impone di desumere la volontà manifestata dai contraenti da un esame complessivo delle diverse clausole aventi attinenza alla materia in contesa, tenendosi, altresì, conto del comportamento, anche successivo, delle parti. (Nella specie la S.C., pronunciando in materia di corrispettivo del diritto di superficie, acquisito dal Comune mediante procedura espropriativa e ceduto all'ex IACP, ha rigettato l'impugnativa proposta da quest'ultimo osservando che, sebbene alcune espressioni contenute nelle convenzioni intercorse tra le parti potessero interpretarsi nel senso che l'IACP avrebbe dovuto corrispondere solo quanto versato dal Comune a titolo di indennità di esproprio, in realtà, in applicazione del criterio sistematico, doveva ritenersi che le parti avessero inteso rispettare la previsione di cui all'art. 35 della l. n. 865 del 1871 secondo cui il corrispettivo da versare per la cessione del diritto di superficie deve assicurare al Comune la integrale copertura dei costi di acquisizione delle aree e delle opere di urbanizzazione funzionali alla loro edificabilità).

Cass. civ. n. 30686/2019

Benché l'interpretazione del contratto resti tipico accertamento devoluto al giudice del merito, qualora non sia dato rinvenire il criterio ermeneutico che ha indirizzato l'opera del predetto giudice, peraltro in presenza d'emergenze semantiche obiettivamente non corroboranti l'interpretazione proposta, sussiste la violazione delle disposizioni di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., senza che occorra ulteriormente onerare il ricorrente di ricercare, con specificità, la "ratio" decisoria avversata, giacché il giudice viene meno al dovere d'interpretazione secondo i canoni legali, ove fornisca un'esegesi svincolata da regole conoscibili, nel senso di verificabili attraverso il vaglio probatorio, e non giustificata dal contenuto letterale dello strumento negoziale. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata la quale, nell'interpretare il contratto, aveva assegnato alla locuzione "può chiedersi la risoluzione del presente contratto" un significato dimidiato, quale facoltà - cioè - riconosciuta a favore di una sola delle parti, senza spiegare perché l'impersonale "si" dovesse intendersi in tale accezione, peraltro sulla base di considerazioni non corroborate da percorsi argomentativi ripercorribili, a fronte del tenore letterale della locuzione, che non giustificava detta distinzione, nonché della disciplina del contratto condizionale).

Cass. civ. n. 26485/2019

In tema di contratto misto, la relativa disciplina giuridica va individuata in quella risultante dalle norme del contratto tipico nel cui schema sono riconducibili gli elementi prevalenti (cosiddetta teoria dell'assorbimento o della prevalenza), senza escludere ogni rilevanza giuridica degli altri elementi, che sono voluti dalle parti e concorrono a fissare il contenuto e l'ampiezza del vincolo contrattuale, ai quali si applicano le norme proprie del contratto cui essi appartengono, in quanto compatibili con quelle del contratto prevalente. (Nella specie la S. C. ha confermato la sentenza di merito che, in relazione ad un contratto c.d. di "banqueting" per l'organizzazione di un banchetto di nozze, nel quale ravvisava la prevalenza degli elementi dell'appalto di servizi, aveva accolto l'eccezione di decadenza dalla garanzia per i vizi in applicazione dell'art. 1667, comma 2, c.c.).

Cass. civ. n. 21840/2019

In tema di interpretazione del contratto, in base ai criteri legali di cui agli artt. 1362 e 1363 c.c., avuto riguardo in primo luogo allo scopo pratico che le parti hanno inteso realizzare con la stipulazione del contratto, le clausole vanno interpretate le une per mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell'atto, nonché dal comportamento tenuto dalle parti anche dopo la conclusione dello stesso. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione impugnata laddove, interpretando una clausola del contratto di appalto secondo cui i pagamenti andavano effettuati previo benestare del direttore dei lavori, ha ritenuto che tale potere spettasse alla committenza malgrado da altre clausole e dal comportamento delle parti si desumesse che tale potere competeva al direttore).

Cass. civ. n. 21576/2019

L'art. 1362 c.c., allorché nel comma 1 prescrive all'interprete di indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti senza limitarsi al senso letterale delle parole, non svaluta l'elemento letterale del contratto ma, al contrario, intende ribadire che, qualora la lettera della convenzione, per le espressioni usate, riveli con chiarezza ed univocità la volontà dei contraenti e non vi sia divergenza tra la lettera e lo spirito della convenzione, una diversa interpretazione non è ammissibile.

Cass. civ. n. 20294/2019

Nell'interpretazione del contratto, che è attività riservata al giudice di merito, censurabile in sede di legittimità solo per violazione dei canoni ermeneutici o vizio di motivazione, il carattere prioritario dell'elemento letterale non va inteso in senso assoluto, atteso che il richiamo nell'art. 1362 c.c. alla comune intenzione delle parti impone di estendere l'indagine ai criteri logici, teleologici e sistematici anche laddove il testo dell'accordo sia chiaro ma incoerente con indici esterni rivelatori di una diversa volontà dei contraenti; pertanto, sebbene la ricostruzione della comune intenzione delle parti debba essere operata innanzitutto sulla base del criterio dell'interpretazione letterale delle clausole, assume valore rilevante anche il criterio logico-sistematico di cui all'art. 1363 c.c., che impone di desumere la volontà manifestata dai contraenti da un esame complessivo delle diverse clausole aventi attinenza alla materia in contesa, tenendosi, altresì, conto del comportamento, anche successivo, delle parti. (Nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza impugnata, che - in sede di interpretazione della corrispondenza telematica intercorsa tra due coniugi, separati, in lite per la restituzione di una residua somma derivante dalla vendita di un autovettura in regime di comunione legale - era incorsa nella violazione dei criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 e 1363 c.c., avendo ritenuto che dal tenore di uno dei messaggi di posta elettronica si desumesse l'accettazione dell'accordo avente ad oggetto l'accredito della quota spettante per il ricavato della vendita, previa detrazione di una somma per il mancato pagamento dei bolli di circolazione, sebbene dall'esame complessivo del carteggio risultasse il contrario).

Cass. civ. n. 11828/2018

Nei contratti soggetti alla forma scritta "ad substantiam", il criterio ermeneutico della valutazione del comportamento complessivo delle parti, anche successivo alla stipula del rogito, può essere utilizzato solo per chiarire l'interpretazione del contenuto del contratto, per come desumibile dal testo, non per integrare la portata e la rilevanza giuridica della dichiarazione negoziale.

Cass. civ. n. 11190/2018

In tema di contratti degli enti pubblici, stante il requisito della forma scritta imposto a pena di nullità per la stipulazione di tali contratti, la volontà degli enti predetti dev'essere desunta esclusivamente dal contenuto dell'atto, interpretato secondo i canoni ermeneutici di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., non potendosi fare ricorso alle deliberazioni degli organi competenti, le quali, essendo atti estranei al documento contrattuale, assumono rilievo ai soli fini del procedimento di formazione della volontà, attenendo alla fase preparatoria del negozio e risultando pertanto prive di valore interpretativo o ricognitivo delle clausole negoziali, a meno che non siano espressamente richiamate dalle parti; né può aversi riguardo, per la determinazione della comune intenzione delle parti ex art. 1362, comma 2, c.c., alle deliberazioni adottate da uno degli enti successivamente alla conclusione del contratto ed attinenti alla fase esecutiva del rapporto, in quanto aventi carattere unilaterale.

Cass. civ. n. 16181/2017

Nell'interpretazione del contratto, che è attività riservata al giudice di merito, censurabile in sede di legittimità solo per violazione dei canoni ermeneutici o vizio di motivazione, il carattere prioritario dell'elemento letterale non va inteso in senso assoluto, atteso che il richiamo nell'art. 1362 c.c. alla comune intenzione delle parti impone di estendere l'indagine ai criteri logici, teleologici e sistematici anche laddove il testo dell'accordo sia chiaro ma incoerente con indici esterni rivelatori di una diversa volontà dei contraenti.

Cass. civ. n. 23701/2016

In tema di interpretazione del contratto, l'elemento letterale, sebbene centrale nella ricerca della reale volontà delle parti, deve essere riguardato alla stregua di ulteriori criteri ermeneutici e, segnatamente, di quello funzionale, che attribuisce rilievo alla "ragione pratica" del contratto, in conformità agli interessi che le parti hanno inteso tutelare mediante la stipulazione negoziale. (Così statuendo, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che, in una controversia fondata sul diritto del conduttore ad ottenere l'indennità per miglioramenti ed addizioni alla cosa locata, aveva rigettato la domanda sulla scorta del tenore letterale di una clausola contenuta in un successivo contratto di compravendita stipulato tra le medesime parti, interpretando, erroneamente, l'impegno dell'acquirente, già conduttore dell'immobile, ad accettare lo stesso "nello stato di fatto e nella condizione di diritto in cui si trova", come volontà di rinunciare al diritto di credito per le addizioni apportate nel tempo al bene locato).

Cass. civ. n. 14355/2016

L'interpretazione del contratto, traducendosi in una operazione di accertamento della volontà dei contraenti, si risolve in una indagine di fatto riservata al giudice di merito, censurabile in cassazione, oltre che per violazione delle regole ermeneutiche, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per inadeguatezza della motivazione, ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., nella formulazione antecedente alla novella di cui al d.l. n. 83 del 2012, oppure - nel vigore della novellato testo di detta norma - nella ipotesi di omesso esame di un fatto decisivo e oggetto di discussione tra le parti

Cass. civ. n. 9380/2016

A norma dell'art. 1362 c.c., il dato testuale del contratto, pur importante, non può essere ritenuto decisivo ai fini della ricostruzione della volontà delle parti, giacché il significato delle dichiarazioni negoziali può ritenersi acquisito solo al termine del processo interpretativo, che non può arrestarsi al tenore letterale delle parole, ma deve considerare tutti gli ulteriori elementi, testuali ed extratestuali, indicati dal legislatore, anche quando le espressioni appaiano di per sé chiare, atteso che un'espressione "prima facie" chiara può non risultare più tale se collegata ad altre espressioni contenute nella stessa dichiarazione o posta in relazione al comportamento complessivo delle parti; ne consegue che l'interpretazione del contratto, da un punto di vista logico, è un percorso circolare che impone all'interprete, dopo aver compiuto l'esegesi del testo, di ricostruire in base ad essa l'intenzione delle parti e quindi di verificare se quest'ultima sia coerente con le parti restanti del contratto e con la condotta delle stesse.

Cass. civ. n. 24421/2015

Nell'interpretazione del contratto l'art. 1362 c.c. impone di compiere l'esegesi del testo, ricostruire in base ad essa l'intenzione degli stipulanti e verificare se l'ipotesi di comune intenzione ricostruita sia coerente con le restanti parti del contratto e con la condotta, anche esecutiva, dei contraenti, sicché non si esclude che debba essere indagato il significato proprio delle parole, imponendosi esclusivamente di negare valore al brocardo "in claris non fit interpretatio". (Nella specie, la S.C., in applicazione del principio, ha cassato la decisione con cui la corte territoriale, davanti alla quale era stato impugnato un recesso datoriale per inidoneità alle mansioni di un giornalista tenuto a redigere articoli su prove di auto e motoveicoli, aveva individuato il nucleo caratterizzante la prestazione nell'espletamento delle prove su strada dei mezzi, trascurando l'impegno, rilevante anche ai fini del cd. "repechage", a redigere almeno un articolo o servizio settimanale).

Cass. civ. n. 5102/2015

In tema di interpretazione dei contratti, la comune volontà dei contraenti deve essere ricostruita sulla base di due elementi principali, ovvero il senso letterale delle espressioni usate e la "ratio" del precetto contrattuale, e tra questi criteri interpretativi non esiste un preciso ordine di priorità, essendo essi destinati ad integrarsi a vicenda. (Omissis).

Cass. civ. n. 2465/2015

In tema di interpretazione del contratto, il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all'ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione addotta, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati.

Cass. civ. n. 25840/2014

A norma dell'art. 1362 c.c., l'interpretazione del contratto richiede, ai fini della ricostruzione della volontà delle parti, che il giudice, anche quando il significato letterale del contratto sia apparentemente chiaro, dopo aver compiuto l'esegesi del testo, verifichi se quest'ultimo sia coerente con la causa del contratto, con le dichiarate intenzioni delle parti e con la condotta delle stesse.

In tema di interpretazione del contratto, il principio "in claris non fit interpretatio" rende superfluo qualsiasi approfondimento interpretativo del testo contrattuale quando la comune intenzione dei contraenti sia chiara, non essendo a tal fine però sufficiente la chiarezza lessicale in sé e per sé considerata, sicché detto principio non trova applicazione nel caso in cui il testo negoziale sia chiaro, ma non coerente con ulteriori ed esterni indici rivelatori della volontà dei contraenti.

Cass. civ. n. 12360/2014

In tema di interpretazione del contratto, il principio "in claris non fit interpretatio" presuppone che la formulazione testuale sia talmente chiara ed univoca da precludere la ricerca di una volontà diversa. A tal fine il giudice ha il potere-dovere di stabilire se la comune intenzione delle parti risulti in modo certo ed immediato dalla dizione letterale del contratto, attraverso una valutazione di merito che consideri il grado di chiarezza della clausola contrattuale mediante l'impiego articolato dei vari canoni ermeneutici, ivi compreso il comportamento complessivo delle parti, in quanto la lettera (il senso letterale), la connessione (il senso coordinato) e l'integrazione (il senso complessivo) costituiscono strumenti interpretativi legati da un rapporto di implicazione necessario al relativo procedimento ermeneutico. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, secondo la quale, nell'interpretare una norma dello statuto del Fondo pensioni per il personale del Credito Bergamasco, il mero riferimento all'assemblea degli iscritti non consentiva di ritenere inequivoca la volontà statutaria di attribuire anche agli ex dipendenti titolari del trattamento pensionistico integrativo, e non solo ai lavoratori attivi, il diritto di partecipazione all'assemblea).

Cass. civ. n. 12535/2012

In tema di interpretazione del contratto, il comportamento tenuto dalle parti dopo la sua conclusione, cui attribuisce rilievo ermeneutico il secondo comma dell'art. 1362 c.c., è solo quello di cui siano stati partecipi entrambi i contraenti, non potendo la comune intenzione delle parti emergere dall'iniziativa unilaterale di una di esse, corrispondente ai suoi personali disegni.

Cass. civ. n. 6641/2012

Nel giudizio di legittimità le censure relative all'interpretazione del contratto collettivo offerta dal giudice di merito possono essere prospettate unicamente sotto il profilo della mancata osservanza dei criteri legali di ermeneutica contrattuale e della insufficienza o contraddittorietà della motivazione, mentre la semplice contrapposizione dell'interpretazione proposta dal ricorrente a quella accolta nella sentenza impugnata non rileva ai fini dell'annullamento di quest'ultima; la denuncia della violazione delle regole di ermeneutica e la denuncia del vizio di motivazione esigono la specifica indicazione del modo attraverso il quale si è realizzata l'anzidetta violazione e delle ragioni dell'obiettiva deficienza o contraddittorietà del ragionamento del giudice, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione di un'interpretazione diversa da quella criticata. (Fattispecie relativa agli artt. 51 e 52 del c.c.n.l. per il personale delle farmacie municipalizzate, interpretati dal giudice di merito nel senso della spettanza del preavviso, o dell'indennità sostitutiva, al dipendente collocato a riposo per raggiunti limiti d'età anche nel caso di opzione di trattenimento in servizio ex art. 6 del d.l. n. 791 del 1981, conv. in legge n. 54 del 1982; la S.C., ritenendo coerente tale interpretazione, ha respinto il ricorso del datore di lavoro, che si era limitato a proporre l'interpretazione opposta e a criticare genericamente la motivazione dell'impugnata sentenza).

Cass. civ. n. 925/2012

Le regole legali di ermeneutica contrattuale sono governate da un principio di gerarchia, in forza del quale i criteri degli artt. 1362 e 1363 c.c. prevalgono su quelli integrativi degli artt. 1365-1371 c.c., posto che la determinazione oggettiva del significato da attribuire alla dichiarazione non ha ragion d'essere quando la ricerca soggettiva conduca ad un utile risultato ovvero escluda da sola che le parti abbiano posto in essere un determinato rapporto giuridico. Ne consegue che l'adozione dei predetti criteri integrativi non può portare alla dilatazione del contenuto negoziale mediante l'individuazione di diritti ed obblighi diversi da quelli contemplati nel contratto o mediante l'eterointegrazione dell'assetto negoziale previsto dai contraenti, neppure se tale adeguamento si presenti, in astratto, idoneo a ben contemperare il loro interessi. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, la quale aveva interpretato una fideiussione, rilasciata in occasione della vendita di una quota sociale e prestata a garanzia di "quanto così ceduto", nel senso che essa garantisse, secondo la sua causa concreta, la disponibilità e libertà della quota non relativamente a qualsiasi evento, ma soltanto a quelli afferenti al socio cedente, con esclusione degli eventi pregiudizievoli anteriori ed imputabili a soggetti diversi).

Cass. civ. n. 20057/2011

Nei contratti di diritto privato stipulati dalla P.A., l'obbligo della forma scritta "ad substantiam" non comporta il rilievo esclusivo del criterio dell'interpretazione strettamente letterale del testo contrattuale, dovendo questa essere condotta alla stregua delle regole di ermeneutica di diritto comune, poste dagli artt. 1362 ss. c.c., potendosi quindi accertare con ogni mezzo, compreso l'esame di testimoni, l'eventuale errore materiale contenuto nel documento. (Nell'affermare tale principio, la S.C. ha respinto il motivo di ricorso che censurava la sentenza impugnata per avere interpretato il presso, pattuito "per ogni mq.", come riferito invece al "metro cubo" e non al "metro quadro").

Cass. civ. n. 19876/2011

In tema di interpretazione dell'accordo negoziale, le clausole di stile sono costituite soltanto da quelle espressioni generiche, frequentemente contenute nei contratti o negli atti notarili, che per la loro eccessiva ampiezza e indeterminatezza rivelano la funzione di semplice completamento formale, mentre non può considerarsi tale la clausola che abbia un concreto contenuto volitivo ben determinato, riferibile al negozio posto in essere dalle parti. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, aveva ritenuto che non potesse integrare una clausola di stile la rinuncia, circostanziata e determinata, del locatore di non aver nulla a pretendere dai conduttori a qualunque titolo spesa passati e futuri relativamente al rapporto di locazione, rispetto al quale era intervenuta una transazione tra le stesse parti).

Cass. civ. n. 14460/2011

Nell'interpretare la clausola del regolamento di condominio contenente il divieto di destinare gli appartamenti a determinati usi, si deve considerare che l'esatto significato lessicale delle espressioni adoperate può non corrispondere all'intenzione comune delle parti, allorché i singoli vocaboli utilizzati possiedano un preciso significato tecnico-scientifico, proprio di determinate nozioni specialistiche, non necessariamente a conoscenza dei dichiaranti in tutte le sue implicazioni. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che, in presenza di una clausola recante il divieto di destinare gli appartamenti ad uso "di gabinetto di cura malattie infettive o contagiose", aveva escluso la possibilità di adibire l'immobile a studio medico dermatologico, senza tener conto dell'intero contenuto della clausola in questione e senza accertare l'effettiva destinazione dell'immobile, desumendola non da elementi di fatto concreti ma dalla sola specializzazione medica del proprietario del bene).

Cass. civ. n. 12297/2011

Nei contratti soggetti alla forma scritta "ad substantiam", il criterio ermeneutico della valutazione del comportamento complessivo delle parti, anche posteriore alla stipulazione del contratto stesso, non può evidenziare una formazione del consenso al di fuori dello scritto medesimo.

Cass. civ. n. 11295/2011

Il comportamento delle parti contrario a buona fede oggettiva e posteriore alla conclusione del contratto non può essere valutato come canone interpretativo dello stesso ai sensi dell'art. 1362, secondo comma, c.c., al fine di escludere la vessatorietà di una delle clausole in esso contenute. Tale clausola, ove risulti in sede interpretativa contraria a buona fede, va espunta dal contratto per la sua nullità. (Fattispecie relativa a clausola limitativa di responsabilità in contratto assicurativo).

Cass. civ. n. 9786/2010

In tema di interpretazione del contratto, il giudice di merito, nel rispetto degli artt. 1362 e 1363 cod. civ., per individuare quale sia stata la comune intenzione delle parti, deve preliminarmente procedere all'interpretazione letterale dell'atto negoziale e, cioè, delle singole clausole significative, nonché delle une per mezzo delle altre, dando contezza in motivazione del risultato di tale indagine. Solo qualora dimostri, con argomentazioni convincenti, l'impossibilità (e non la mera difficoltà) di conoscere la comune intenzione delle parti attraverso l'interpretazione letterale, potrà utilizzare i criteri sussidiari di interpretazione, in particolare il comportamento delle parti successivo alla conclusione del contratto ed il principio di conservazione. (In applicazione del principio, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza impugnata, che aveva interpretato un contratto di cessione di beni, utilizzando il criterio del comportamento successivo delle parti sul mero presupposto che "un'univoca esegesi fosse particolarmente difficoltosa, quasi impossibile").

Cass. civ. n. 19104/2009

In materia contrattuale, è rimesso all'apprezzamento del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità se sorretto da congrua e corretta motivazione, lo stabilire se una determinata clausola contrattuale sia soltanto di stile ovvero costituisca espressione di una concreta volontà negoziale con efficacia normativa del rapporto. Tuttavia, sia per il principio di conservazione delle clausole contrattuali, sia perché rispondente all'interesse dell'acquirente di un immobile a non esser limitato nella disponibilità e nel godimento del medesimo, non può ritenersi generica ed indeterminata, e pertanto di stile, senza ulteriori argomenti al riguardo, la clausola secondo la quale l'alienante garantisce la libertà del bene da ipoteche, pesi e trascrizioni pregiudizievoli, pur se essa è sintetica e onnicomprensiva.

Cass. civ. n. 17341/2008

Ai fini dell'accertamento dell'ambito oggettivo di un contratto quadro relativo alla prestazione di servizi di investimento, il giudice di merito non può fermarsi all'intitolazione enunciativa del contratto, ma deve esaminare l'intero contenuto delle pattuizioni contrattuali, astenendosi dal conferire rilievo, ai sensi dell'art. 1362 c.c., al comportamento successivo dell'investitore, ove lo stesso si sia sostanziato nel conferimento di ordini di borsa che, privi del necessario fondamento causale nel contratto quadro per avere ecceduto dai limiti oggettivi dello stesso, non risultino a loro volta impartiti nella forma scritta richiesta dall'art. 23, comma 1, del D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, la quale aveva escluso la responsabilità di una S.I.M. per i danni derivanti dall'esecuzione di operazioni su derivati esteri, senza tener conto che il contratto quadro sottoscritto dall'investitore, pur riferendosi genericamente, nell'intitolazione, alla negoziazione di strumenti finanziari collegati a valori mobiliari quotati «nei mercati regolamentati» ed ai relativi indici, conteneva una clausola che limitava espressamente l'oggetto del contratto al servizio di negoziazione di prodotti derivati italiani).

Cass. civ. n. 6366/2008

Nell'interpretare la norma collettiva, il giudice del merito può limitarsi a ricercare la comune intenzione delle parti sulla base del tenore letterale della sola clausola da interpretare soltanto se questo riveli l'intenzione delle parti con evidenza tale da non lasciare alcuna perplessità sull'effettiva portata della clausola, dovendo far ricorso, in caso contrario, alla valutazione del comportamento successivo delle parti nell'applicazione della clausola ed alla considerazione di tutti gli altri criteri ermeneutici indicati dagli articoli 1362 e seguenti c.c. (Nella specie, al fine di valutare se la previsione dell'art. 40 del ccnl 26 novembre 1994 per i dipendenti delle poste, che elevava il periodo di comporto a 24 mesi per alcune patologie, recasse un'indicazione meramente esemplificativa ovvero tassativa delle patologie rilevanti, la S.C. ha ritenuto insufficiente il ricorso al mero criterio letterale ed ha cassato con rinvio la sentenza impugnata).

Cass. civ. n. 22536/2007

L'interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell'ipotesi di violazione dei canoni legali di emeneutica contrattuale, di cui agli artt. 1362 e seguenti c.c. o di motivazione inadeguata ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell'iter logico seguito per giungere alla decisione. Pertanto onde far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d'interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma occorre, altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato; con l'ulteriore conseguenza dell'inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull'asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa.

Cass. civ. n. 19928/2007

In tema di interpretazione del contratto ex art. 1362 c.c., il comportamento delle parti posteriore alla conclusione dello stesso che può assumere rilievo ai fini della sua interpretazione, è solo quello posto in essere in esecuzione ed in riferimento a quel contratto e non, quindi, un comportamento che si estrinsechi in ulteriori accordi modificativi dei precedenti, dai quali deriva un assetto negoziale autonomo e distinto, fonte di nuovi diritti ed obblighi contrattuali. (Fattispecie in cui la S.C. ha escluso che ai fini di individuazione della comune intenzione delle parti potesse essere rilevante un successivo, ma diverso e autonomo contratto intercorso tra le medesime parti, il quale prevedeva una clausola di proroga non inclusa nel precedente).

Cass. civ. n. 18303/2007

Pur essendo irrilevante il nomen iuris assegnato dalle parti ad un contratto, nondimeno ai fini della ricostruzione dell'intento degli stipulanti, secondo le norme degli art. 1362 c.c. e seguenti, anche la qualificazione è parte delle parole usate e contribuisce ad offrire elementi per ricostruire la comune intenzione dei contraenti; in particolare, dovendosi procedere a verificare la corrispondenza del nomen con il contenuto negoziale, va ritenuta compatibile con la nozione legale di agenzia sia la previsione dello svolgimento dell'attività di promozione svolta dall'agente avvalendosi, a sua volta, di altri agenti coordinati e controllati, sia la carenza di una formale ed espressa indicazione della zona di espletamento dell'incarico, allorché tale indicazione sia per altro verso evincibile dal riferimento all'ambito territoriale in cui le parti operano al momento dell'instaurazione del rapporto.

Cass. civ. n. 15921/2007

In tema di accertamento del diritto di servitù, è legittimo il richiamo operato dal giudice del merito alle espletate prove per testimoni sul concreto esercizio del diritto, a conferma del risultato interpretativo conseguito sulla base del primario criterio ermeneutico della lettera del titolo negoziale ai sensi dell'articolo 1362, primo comma, c.c. Tale richiamo, infatti, è consentito dal secondo comma di detto articolo di legge; che, appunto, al fine di determinare la comune intenzione delle parti, prevede la valutazione del loro comportamento complessivo, anche posteriore alla conclusione del contratto, e ciò senza violazione alcuna sia del requisito formale, ad substantiam previsto per i contratti costitutivi di servitù prediali (articolo 1350 n. 4 c.c.), sia delle norme regolatrici della servitù (articolo 1063 c.c.), secondo cui la estensione e l'esercizio delle servitù sono regolati dal titolo e, in mancanza, dai precetti sussidiari di cui agli articoli 1064 e 1065 c.c.

Cass. civ. n. 12721/2007

La scelta da parte del giudice del merito del mezzo ermeneutico più idoneo all'accertamento della comune intenzione dei contraenti non è sindacabile in sede di legittimità qualora sia stato rispettato il principio del «gradualismo» secondo il quale deve farsi ricorso (anche in caso di atti negoziali unilaterali tra vivi a contenuto patrimoniale ex art. 1324 c.c.) ai criteri interpretativi sussidiari, come l'interpretatio contra stipulatorem in presenza di modulo predisposto da uno dei contraenti ai sensi dell'art. 1370 c.c., solo quando risulti non appagante il ricorso ai criteri di cui agli artt. 1362-1365 c.c., ed il giudice fornisca compiuta ed articolata motivazione della ritenuta equivocità ed insufficienza del dato letterale.

Cass. civ. n. 4176/2007

In tema di interpretazione del contratto, ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti, il principale strumento è rappresentato dal senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate nel contratto; il rilievo da assegnare alla formulazione letterale dev'essere verificato alla luce dell'intero contesto contrattuale, e le singole clausole vanno considerate in correlazione tra loro, dovendo procedersi al loro coordinamento a norma dell'art. 1363 c.c., e dovendosi intendere per «senso letterale delle parole» tutta la formulazione letterale della dichiarazione negoziale, in ogni sua parte ed in ogni parola che la compone, e non già in una parte soltanto, quale una singola clausola di un contratto composto di più clausole, dovendo il giudice collegare e raffrontare tra loro frasi e parole al fine di chiarirne il significato, (Sulla base di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza di appello che, in relazione ad un contratto di appalto di opere pubbliche stipulato da un Comune; — ha ritenuto che le parti avessero inteso recepire, col meccanismo della relatio perfecta tutte le disposizioni legislative e regolamentari relative agli appalti di opere pubbliche stipulati dallo Stato contenute negli artt. da 43 a 51 del DPR n. 1063 del 1962, ivi compreso l'art. 47 nel testo ripristinato a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 152 del 1996, e quindi il complessivo meccanismo di tutela giurisdizionale previsto da detto decreto; — ha interpretato la complessiva disciplina contrattuale nel senso di autorizzare ciascuna parte a ricorrere ad un collegio arbitrale con facoltà della controparte di declinare la competenza arbitrale a favore di quella ordinaria).

Cass. civ. n. 420/2006

In tema di interpretazione del contratto, il procedimento di qualificazione giuridica consta di due fasi, delle quali la prima — consistente nella ricerca e nella individuazione della comune volontà dei contraenti — è un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione in relazione ai canoni di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 e seguenti c.c., mentre la seconda — concernente l'inquadramento della comune volontà, come appurata, nello schema legale corrispondente — risolvendosi nell'applicazione di norme giuridiche può formare oggetto di verifica e riscontro in sede di legittimità sia per quanto attiene alla descrizione del modello tipico della fattispecie legale, sia per quanto riguarda la rilevanza qualificante degli elementi di fatto così come accertati, sia infine con riferimento alla individuazione delle implicazioni effettuali conseguenti alla sussistenza della fattispecie concreta nel paradigma normativo.

Cass. civ. n. 415/2006

In materia di interpretazione del contratto, il comportamento tenuto dalle parti successivamente alla sua conclusione può rilevare ai fini ermeneutici solo qualora integri gli estremi della condotta comune ad entrambe, al fine di meglio stabilire quale fosse la loro comune intenzione in ordine al contenuto della pattuizione.

Cass. civ. n. 13399/2005

In tema di interpretazione del contratto, il procedimento di qualificazione giuridica consta di due fasi: la prima — consistente nella ricerca e nella individuazione della comune volontà dei contraenti è un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione in relazione ai canoni di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 e seguenti c.c.; la seconda è quella della qualificazione che procede secondo il modello della sussunzione, cioè del confronto tra fattispecie contrattuale concreta e tipo astrattamente definito dalla norma per verificare se la prima corrisponde al secondo. Questa seconda fase comporta applicazione di norme giuridiche ed il giudice non è vincolato dal nomen juris adoperato dalle parti, ma può correggere la loro autoqualificazione quando riscontri che non corrisponde alla sostanza del contratto come da esse voluto. La ricostruzione data dal giudice di merito è incensurabile in sede di legittimità allorquando si risolva nella richiesta di una nuova valutazione dell'attività negoziale oppure nella contrapposizione di un'interpretazione della medesima a quella del giudice di merito. (Nella specie la S.C. ha ritenuto che la sentenza impugnata avesse correttamente qualificato l'operazione contrattuale portata a termine dalle parti come contratto preliminare di vendita per se o persona da nominare e subentro nel suddetto preliminare, con esclusione di attività di mediazione tra gli stessi contraenti in relazione al medesimo affare).

Cass. civ. n. 12120/2005

I criteri legali di ermeneutica contrattuale sono governati da un principio di gerarchia interna in forza del quale i canoni strettamente interpretativi prevalgono su quelli interpretativi integrativi — quale va considerato anche il principio di buona fede, sebbene questo rappresenti un punto di collegamento tra le due categorie — e ne escludono la concreta operatività, quando l'applicazione degli stessi canoni strettamente interpretativi risulti da sola sufficiente a rendere palese la comune intenzione delle parti stipulanti, tenuto conto, peraltro, che, nell'interpretazione del contratto, il dato testuale, pur assumendo un rilievo fondamentale, non può essere ritenuto decisivo ai fini della ricostruzione del contenuto dell'accordo, giacché il significato delle dichiarazioni negoziali può ritenersi acquisito solo al termine del processo interpretativo, il quale non può arrestarsi alla ricognizione del tenore letterale delle parole, ma deve estendersi alla considerazione di tutti gli ulteriori elementi, testuali ed extratestuali, indicati dal legislatore, anche quando le espressioni appaiano di per sé «chiare» e non bisognose di approfondimenti interpretativi, dal momento che un'espressione prima facie chiara può non apparire più tale, se collegata ad altre espressioni contenute nella stessa dichiarazione o posta in relazione al comportamento complessivo delle parti. (Fattispecie relativa all'interpretazione di contratto di locazione con riguardo all'uso dell'immobile locato).

Cass. civ. n. 5954/2005

Nell'interpretazione del contratto, operazione istituzionalmente riservata al giudice di merito l'interpretazione comune che di esso danno le parti, pur non vincolando il giudice, in quanto costituente solo un canone ermeneutico, deve essere tenuta in particolare considerazione. Inoltre, poiché il giudice è vincolato alla domanda e ai fatti confessati dalle parti e poiché l'individuazione della volontà contrattuale ha ad oggetto una realtà fenomenica ed obbiettiva e costituisce un accertamento fattuale del giudice di merito, questi non può adottare un'interpretazione della volontà contrattuale contraria a quanto espressamente e concordemente affermato dalle parti in giudizio e posto pacificamente a base delle loro pretese.

Cass. civ. n. 5624/2005

Costituisce questione di merito, rimessa al giudice competente, valutare il grado di chiarezza della clausola contrattuale, ai fini dell'impiego articolato dei vari criteri ermeneutici; deve escludersi, quindi, che nel giudizio di cassazione possa procedersi a una diretta valutazione della clausola contrattuale, al fine di escludere la legittimità del ricorso da parte del giudice di merito al canone ermeneutico del comportamento successivo delle parti.

Cass. civ. n. 23978/2004

L'espressione «senso letterale delle parole» deve intendersi riferita all'intera formulazione letterale della dichiarazione negoziale, in ogni sua parte e in ogni parola che la compone, e non già limitata ad una parte soltanto o addirittura a singole parole di essa, per cui il giudice, nell'interpretazione di una clausola negoziale, non può arrestarsi ad una considerazione atomistica, utilizzando esclusivamente singole proposizioni o frasi di essa, ma deve verificare il contenuto complessivo del documento (nella specie, atto amministrativo); pertanto, non deroga il giudice all'obbligo di rispettare il criterio primario di cui al primo comma dell'art. 1362 c.c., se ritiene che all'interno di una delibera di approvazione di progetto di opera pubblica, accanto all'esplicita fissazione dei termini per la procedura espropriativa, sia presente la previsione dei diversi termini per il compimento dei lavori, anche se distaccata dalla prima, in quanto dislocata in altra parte dell'atto, in cui si dispone l'inserimento, nel bando di concorso per l'affidamento dei lavori in appalto, della clausola su una determinata durata dei lavori, decorrente dalla consegna all'appaltatore.

Cass. civ. n. 18670/2004

Nell'interpretazione del contratto, il carattere prioritario dell'elemento letterale non va inteso in senso assoluto, in quanto il richiamo contenuto nell'art. 1362 c.c. alla comune volontà delle parti impone, per individuarla, di estendere l'indagine anche all'elemento logico ed anche, qualora una complessa operazione negoziale sia stata posta in essere con la redazione di più contratti, facendo ricorso all'esame dei contratti presupposti, anche se essi siano stati conclusi da parti diverse. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che, per interpretare un contratto di compravendita di un immobile nel quale si dava atto dell'avvenuta costituzione di una servitù temporanea che correva attraverso vari fondi oggetto di separati contratti, aveva ritenuto necessario, per ricostruire i caratteri della servitù e verificarne contenuto e limiti, esaminare ed interpretare unitariamente tutti i rogiti).

Cass. civ. n. 16144/2004

Il contratto di lavoro dà origine ad un rapporto che, fondato sulla volontà delle parti, si protrae nel tempo, restando, tale volontà, inscritta in ogni atto di esecuzione del contratto. L'esecuzione, esprimendo soggettivamente la suddetta volontà ed oggettivamente la causa contrattuale, e protraendosi nel tempo, resta (ai sensi dell'art. 1362 secondo comma c.c.) lo strumento d'emersione di una nuova diversa volontà eventualmente intervenuta nel corso dell'attuazione del rapporto e diretta a modificare singole sue clausole e talora la stessa natura del rapporto lavorativo inizialmente prevista, conferendo, al medesimo, un nuovo assetto negoziale.

Cass. civ. n. 15721/2004

In tema di interpretazione di accordo aziendale stipulato dall'imprenditore con organismi rappresentativi dei lavoratori, può rilevare, ai fini della determinazione della comune intenzione delle parti stipulanti, il comportamento del datore di lavoro, e non già quello dei singoli lavoratori, i quali sono estranei alla formazione dell'accordo e rappresentano solo i destinatari della disciplina negoziale.

Cass. civ. n. 13886/2004

La erronea interpretazione del contratto individuale di lavoro da parte del giudice del merito attiene ad un punto decisivo, ed è perciò idonea a comportare la cassazione della sentenza, solo ove si dimostri che con la interpretazione propugnata il ricorrente conseguirebbe l'oggetto della pretesa. Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva respinto la domanda di un agente di commercio diretta ad ottenere la condanna del proponente alla riliquidazione in suo favore della indennità di scioglimento del rapporto nella misura massima di legge — dovutagli, secondo la prospettazione del ricorrente, per il fatto che il suo contratto di lavoro avrebbe richiamato sul punto non già l'accordo collettivo, come ritenuto nella sentenza impugnata, ma la disciplina legale di cui all'art. 1751 c.c. — alla stregua della circostanza della mancata dimostrazione che la interpretazione invocata dal ricorrente avrebbe consentito la liquidazione della indennità in misura maggiore di quanto spettante sulla base dei criteri di cui all'accordo economico collettivo).

Cass. civ. n. 13839/2004

In tema di interpretazione del contratto, ai fini della ricerca della comune intenzione delle parti contraenti, ex art. 1362 c.c., il primo e principale strumento dell'operazione interpretativa è costituito dal senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate nel contratto, e, quando si faccia riferimento al comportamento delle parti, esso può essere preso in considerazione solo come comportamento complessivo di esse, essendo inidoneo il contegno isolato di una sola delle parti ad evidenziare il contenuto di un proposito comune.

Cass. civ. n. 10484/2004

A norma dell'art. 1362 c.c. l'interpretazione del contratto richiede la determinazione della comune intenzione delle parti, da accertare sulla base del senso letterale delle parole adoperate e del loro comportamento complessivo, anche posteriore alla conclusione del contratto. L'elemento letterale e quello del comportamento delle parti devono porsi, pertanto, in posizione paritaria, onde il giudice non può sottrarsi a tale duplice indagine allegando una pretesa chiarezza del significato letterale del contratto. Anche con riferimento ai contratti conclusi per fatta concludentia ove non sia richiesta la prova scritta ad substantiam opera come principale criterio ermeneutico quello di individuazione della volontà delle parti, desumibile, in assenza di un testo scritto, non dal senso letterale delle parole, ma dal comportamento complessivo delle parti anche posteriore alla conclusione del contratto.

Cass. civ. n. 6233/2004

Nell'interpretazione dei contratti, gli strumenti dell'interpretazione letterale (art. 1362, comma primo, c.c.), del coordinamento delle varie clausole e della individuazione del senso che emerge dal complesso dell'atto (art. 1363) sono legati da un rapporto di necessità ed interdipendenza (diversamente dallo strumento di cui all'art. 1362, secondo comma, che ha rilievo solo eventuale) e assumono funzione fondamentale; di conseguenza, non è possibile isolare frammenti letterali della clausola da interpretare, ma è necessario considerare il testo nella sua complessità, raffrontare e coordinare tra loro frasi e parole, onde ricondurle ad armonica unità e concordanza. (Nella specie, la S.C. ha annullato con rinvio la sentenza impugnata, che, nell'interpretare l'art. 17 dell'accordo interprovinciale degli operai edili della provincia di Udine, aveva ritenuto sussistente l'obbligo del servizio mensa o del convenzionamento con strutture di ristoro solo in presenza di almeno trenta lavoratori interessati, esaminando esclusivamente il terzo comma del suddetto articolo, ma tralasciando di valutare gli elementi emergenti dagli altri commi dello stesso).

Cass. civ. n. 6053/2004

In tema di interpretazione del contratto, i comportamenti complessivi delle parti, anche posteriori alla conclusione del contratto, hanno funzione ermeneutica e non già integrativa del patto, in quanto per il loro tramite l'interprete, senza limitarsi al senso letterale delle parole, giunge a determinare la comune intenzione delle medesime al momento della stipula, e, quindi, la sostanza stessa dell'accordo, ma non integra la volontà pattizia con elementi ad essa estranei.

Cass. civ. n. 2216/2004

In riferimento ai criteri ermeneutica dei negozi giuridici, nei contratti per i quali è prevista la forma scritta ad substantiam (come il contratto per cui è causa, avente ad oggetto la costituzione di un diritto di servitù), la ricerca della comune intenzione delle parti, effettuabile ove il senso letterale delle parole presenti un margine di equivocità, deve essere fatta, con riferimento agli elementi essenziali del contratto, soltanto attingendo alle manifestazioni di volontà contenute nel testo scritto, mentre non è consentito valutare il comportamento complessivo delle parti, anche successivo alla stipulazione del contratto, in quanto non può spiegare rilevanza la formazione del consenso ove non sia stata incorporata nel documento scritto.

Cass. civ. n. 15150/2003

Nell'interpretazione del contratto, il dato testuale, pur assumendo un rilievo fondamentale non può essere ritenuto decisivo ai fini della ricostruzione del contenuto dell'accordo, giacché il significato delle dichiarazioni negoziali può ritenersi acquisito solo al termine del processo interpretativo, il quale non può arrestarsi alla ricognizione del tenore letterale delle parole, ma deve estendersi alla considerazione di tutti gli ulteriori elementi, testuali ed extratestuali, indicati dal legislatore, anche quando le espressioni appaiano di per sé «chiare» e non bisognose di approfondimenti interpretativi, dal momento che un'espressione prima facie chiara può non apparire più tale, se collegata ad altre espressioni contenute nella stessa dichiarazione o posta in relazione al comportamento complessivo delle parti.

Cass. civ. n. 12409/2003

In ragione del limite del sindacato della Corte di Cassazione — cui non è consentita l'interpretazione diretta di disposizioni di natura contrattuale, ancorché interessanti, come quelle collettive, un notevole numero di destinatari, — è «fisiologico» che due opposte interpretazioni di giudici di merito di una medesima disposizione collettiva (nella specie, artt. 46, 47 e 53 del C.C.N.L. dei dipendenti delle Poste Italiane SpA) siano entrambe convalidate o censurate dalla S.C., a seconda del superamento o no del controllo (a questa attribuito) limitato alla verifica della correttezza della motivazione e del rispetto dei canoni ermeneutici di cui agli artt. 1362 e seguenti c.c.

Cass. civ. n. 11193/2003

In tema di interpretazione del contratto, alla Corte di cassazione è affidato il compito di verificare che non sussista un vizio di attività del giudice del merito, rilevabile solo nell'ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale e nel caso di riscontro di una motivazione contraria a logica ed incongrua, tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione. D'altronde, per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data dal giudice al contratto non deve essere l'unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni, per cui, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito, alla parte che aveva proposto l'interpretazione poi disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l'altra.

Cass. civ. n. 4129/2003

A norma dell'art. 1362 c.c., l'interpretazione del contratto richiede la determinazione della comune intenzione delle parti, da accertare sulla base del senso letterale delle parole adoperate e del loro comportamento complessivo, anche posteriore alla conclusione del contratto. Più in particolare, se la parola scritta è il primo oggetto dell'attenzione e della ricerca dell'interprete, quando il testo si presenti non chiaro è necessaria valutare il comportamento, successivo alla conclusione del negozio, tenuto dalle parti. (In applicazione di tale principio, la Corte ha considerato legittima l'interpretazione giudiziale che, in una fattispecie relativa a un contratto di appalto di pulizie, recante una discordanza tra il corrispettivo indicato come importo globale dell'appalto e quello ottenuto sommando le singole «voci» relative alle varie attività che lo componevano, ha escluso l'errore materiale anche sulla base del contegno dei contraenti posteriore alla conclusione dell'accordo).

Cass. civ. n. 1097/2003

Il principio secondo cui l'interpretazione delle domande, eccezioni e deduzioni delle parti dà luogo ad un giudizio di fatto, riservato al giudice del merito, non trova applicazione quando si assume che tale interpretazione abbia determinato un vizio riconducibile nell'ambito dell'error in procedendo; in tal caso la Corte di cassazione è giudice anche del fatto ed ha, quindi, il potere-dovere di procedere direttamente all'esame ed all'interpretazione degli atti processuali, tenendo conto della situazione dedotta in causa, della volontà effettiva della parte e delle finalità che essa intende perseguire.

Cass. civ. n. 83/2003

Nell'interpretazione delle clausole contrattuali il giudice di merito deve arrestarsi al significato letterale delle parole, e non può far ricorso agli ulteriori criteri ermeneutici quando dalle espressioni usate dalla parti emerga in modo immediato la volontà comune delle medesime, in quanto il ricorso agli altri criteri interpretativi, al di fuori dalle ipotesi di ambiguità della clausola, presuppone la rigorosa dimostrazione dell'insufficienza del mero dato letterale ad evidenziare in modo soddisfacente la volontà contrattuale. (In applicazione di questo principio di diritto, la S.C. ha ritenuto che avesse fatto corretta applicazione delle norme sulla interpretazione del contratto il giudice di merito che aveva escluso, in base al tenore letterale di un documento prodotto in atti, contenente una riserva di eventuale assunzione, che esso potesse configurarsi come una proposta contrattuale).

Cass. civ. n. 11707/2002

In tema di interpretazione del contratto, il comportamento complessivo dei contraenti, costituente elemento idoneo per ricavarne la comune volontà, può essere anche quello che, nell'ambito di rapporti che tra le medesime parti si rinnovano e si ripetono in negozi successivi, è desumibile dalla disciplina univoca, costante e ricorrente nei diversi e precedenti contratti aventi lo stesso contenuto, da cui sia lecito presumere che in proseguo le medesime parti ad essa vorranno continuare ad uniformarsi nella stipulazione dei contratti di quel tipo, specie quando ciò avvenga mediante un formulario standard in base ad un testo sempre identico per impostazione e per contenuto.

Cass. civ. n. 11609/2002

In tema di interpretazione degli atti negoziali, l'art. 1362 c.c., nel prescrivere all'interprete di non limitarsi al senso letterale delle parole, non intende svalutare l'elemento letterale nell'interpretazione, ma anzi ribadire il valore fondamentale e prioritario che esso assume nella ricerca della comune intenzione delle parti, onde il giudice può ricorrere ad altri criteri ermeneutici solo quando le espressioni letterali non siano chiare, precise ed univoche, mentre, quando le suddette espressioni si presentino univoche secondo il linguaggio corrente, il giudice può attribuire alle parti una volontà diversa da quella risultante dalle parole adoperate soltanto se individua ed esplicita le ragioni per le quali le predette parti, pur essendosi espresse in un determinato modo, abbiano in realtà inteso manifestare una volontà diversa.

Cass. civ. n. 11247/2002

Nei contratti di diritto privato stipulati da un ente pubblico, la volontà negoziale deve essere tratta unicamente dalle pattuizioni intercorse tra le parti contraenti e risultanti dal contratto tra esse stipulato, interpretato secondo i canoni di ermeneutica di cui agli artt. 1362 ss. c.c., senza che possa farsi ricorso alle deliberazioni dei competenti organi dell'ente, le quali attengono alla fase preparatoria e non hanno alcun valore di interpretazione autentica o ricognitivo delle clausole negoziali. Gli eventuali vizi relativi al processo di formazione della volontà dell'ente pubblico comportano l'annullabilità del contratto, la quale può essere fatta valere, in via di azione o di eccezione ai sensi degli artt. 1441 e 1442 c.c., esclusivamente dall'ente stesso e non può essere dedotta per la prima volta in sede di legittimità.

Cass. civ. n. 5635/2002

Le regole legali di ermeneutica contrattuale sono esposte negli artt. 1362 e 1371 c.c. secondo un principio gerarchico: conseguenza immediata è che le norme cosiddette strettamente interpretative, dettate dagli artt. 1362 e 1365, precedono in detta operazione quelle cosiddette interpretative integrative, esposte dagli artt. 1366 e 1371 c.c. e ne escludono la concreta operatività quando la loro applicazione renda palese la comune volontà dei contraenti. Avuto riguardo a questo principio di ordinazione gerarchica delle regole ermeneutiche, nel cui ambito il criterio primario è quello esposto dal primo comma dell'art. 1362 c.c., ne consegue ulteriormente che qualora il giudice del merito abbia ritenuto che il senso letterale delle espressioni impiegate dagli stipulanti riveli con chiarezza ed univocità la loro volontà comune, così che non sussistano residue ragioni di divergenza tra il tenore letterale del negozio e l'intento effettivo dei contraenti, detta operazione deve ritenersi utilmente compiuta, anche senza che si sia fatto ricorso al criterio sussidiario del secondo comma dell'art. 1362 c.c. che attribuisce rilevanza ermeneutica al comportamento delle parti successivo alla stipulazione; né, in tale ipotesi, il giudice del merito può comunque desumere elementi contrari dal contegno processuale delle parti ex art. 116, secondo comma, c.p.c:, il quale — tra l'altro — configura un potere discrezionale del giudice, solo il cui esercizio (e non già il mancato esercizio, come accade invece nel caso delle prove tipiche), va dal giudice motivatamente giustificato, versandosi in tema di c.d. prove atipiche o innominate.

Cass. civ. n. 11089/2001

Nell'interpretazione del contratto l'elemento letterale assume funzione fondamentale, ma la valutazione del complessivo comportamento delle parti non costituisce un canone sussidiario bensì un parametro necessario e indefettibile in quanto le singole espressioni letterali devono essere inquadrate nella clausola questa deve essere raccordata alle altre clausole e al complesso dell'atto deve essere esaminato valutando il complessivo comportamento delle parti. In questa progressiva dilatazione degli elementi dell'interpretazione può assumere rilievo anche il comportamento delle parti posteriore alla conclusione del contratto, ma deve trattarsi di un comportamento convergente (e tale può essere anche un comportamento unilaterale che sia accettato dall'altra parte contrattuale, eventualmente anche tacitamente) in quanto come è «comune» l'intenzione delle parti, quale fondamentale parametro di interpretazione, «comune» deve essere il comportamento quale parametro strumentale di valutazione della suddetta intenzione. (Nella specie la S.C. ha escluso che il comportamento di una parte consistente nel coltivare la controversia pendente con l'altra parte contrattuale anche dopo la conclusione di una transazione che avrebbe dovuto porvi fine potesse essere uno strumento interpretativo della transazione stessa).

Cass. civ. n. 15380/2000

Sia per il principio di conservazione delle clausole contrattuali, sia perché rispondente all'interesse dell'acquirente di un immobile a non esser limitato nella disponibilità e nel godimento del medesimo, non può ritenersi generica ed indeterminata e pertanto di stile, senza ulteriori argomenti al riguardo, la clausola secondo la quale l'alienante garantisce la libertà del bene da ipoteche, pesi e trascrizioni pregiudizievoli, pur se essa è sintetica e onnicomprensiva.

Cass. civ. n. 10250/2000

Nella ricerca della comune intenzione delle parti contraenti ex art. 1362 c.c., il primo e principale strumento dell'operazione interpretativa è costituito dal senso letterale delle parole ed espressioni del contratto, coordinato con l'elemento logico. Il comportamento delle parti posteriore alla conclusione del contratto che può assumere rilievo in sede di interpretazione di quest'ultimo, o di una sua clausola, è solo quello posto in essere in esecuzione ed in riferimento a quel contratto, e non, quindi, un comportamento che si estrinsechi in ulteriori accordi modificativi dei precedenti, dai quali deriva un assetto negoziale autonomo e distinto, fonte di nuovi diritti ed obblighi contrattuali.

Cass. civ. n. 9944/2000

Rispetto alla determinazione della natura giuridica di un contratto e al suo inquadramento in uno piuttosto che in altro schema negoziale, non assume rilievo decisivo il nomen iuris eventualmente adottato dalle parti, dovendo la qualificazione «giuridica» essere effettuata sulla base di quanto disposto dalla legge e, quindi, in termini rigorosamente obbiettivi e del tutto distaccati dalla volontà privata. Tuttavia detta «qualificazione» trova il suo ineliminabile presupposto nell'accertamento della «comune intenzione» delle parti, secondo i criteri stabiliti dagli artt. 1362 e ss. c.c. e, se del caso, anche da elementi estrinseci all'atto considerato, ovvero da situazioni complesse, caratterizzate dal collegamento di più fattispecie negoziali. Pertanto deve escludersi che l'amministrazione finanziaria possa (ri)determinare la natura di un contratto, prescindendo dalla volontà concretamente manifestata dalle parti e magari in contrasto con essa.

Cass. civ. n. 1589/2000

Per interpretare la volontà negoziale della parte che assume un'obbligazione naturale, ben può essere valutato, ai sensi dell'art. 1362 c.c., il successivo comportamento dell'obbligato nella concreta attuazione degli impegni assunti. (Nella specie — in relazione alla delibera della Cassa di Risparmio di Volterra con cui era stato soppresso il Fondo di previdenza aziendale e disposta l'assegnazione in favore dei dipendenti iscritti di determinate somme per la conservazione dei precedenti benefici economici derivanti dall'iscrizione al Fondo — la sentenza di merito, confermata dalla S.C., aveva attribuito valore decisivo all'operato della banca, attuativo degli obblighi assunti con la citata delibera, rimasto incontestato da parte dei beneficiari).

Cass. civ. n. 5734/1997

In tema di interpretazione dei contratti il criterio del riferimento al senso letterale rappresenta lo strumento di interpretazione fondamentale e prioritario, con la conseguenza che, ove le espressioni usate dalle parti siano di chiaro ed inequivoco significato, resta superata la necessità del ricorso agli ulteriori criteri ermeneutici, sempre che l'interpretazione letterale consenta comunque di cogliere la comune intenzione delle parti.

Cass. civ. n. 5715/1997

In tema di interpretazione dei contratti, l'art. 1362 c.c., pur prescrivendo all'interprete di non limitarsi, nell'attività di ermeneutica negoziale, all'analisi del significato letterale delle parole, non relega tale criterio al rango di strumento interpretativo del tutto sussidiario e secondario, collocandolo, al contrario, nella posizione di mezzo prioritario e fondamentale per la corretta ricostruzione della comune intenzione dei contraenti, con la conseguenza che il giudice, prima di accedere ad altri, diversi parametri di interpretazione, è tenuto a fornire compiuta ed articolata motivazione della ritenuta equivocità ed insufficienza del dato letterale, a meno che tale equivocità non, risulti, ictu oculi; di assoluta non contestabile evidenza.

Cass. civ. n. 5893/1996

In tema di interpretazione dei contratti, la scelta da parte del giudice del merito del mezzo ermeneutico più idoneo all'accertamento della comune intenzione dei contraenti non è sindacabile in sede di legittimità qualora sia stato rispettato il principio del gradualismo, secondo il quale deve farsi ricorso ai criteri interpretativi sussidiari solo quando i criteri principali (significato letterale delle espressioni adoperate dai contraenti e collegamento logico tra le varie clausole) siano insufficienti all'identificazione della comune intenzione stessa.

Cass. civ. n. 4333/1995

In tema di interpretazione della volontà delle parti (con riferimento, nella specie, ad una transazione intervenuta nel corso di un giudizio di risarcimento del danno) quando l'ambito dell'accordo sia stato individuato sulla base delle pretese dedotte in giudizio, e la comune intenzione delle parti sia stata ricostruita, senza incertezze, in base al testo da esse sottoscritto resta escluso il ricorso al criterio sussidiario del comportamento delle parti successivo all'accordo, sicché qualora la parte abbia rinunziato in tale accordo agli interessi ed alla rivalutazione del capitale, è irrilevante la circostanza che essa abbia egualmente coltivato il giudizio nel quale gli interessi e la rivalutazione erano stati chiesti.

Cass. civ. n. 3205/1995

Le operazioni collegate all'interpretazione dei contratti possono scomporsi, da un punto di vista strutturale, in varie fasi consistenti, la prima, nella ricerca della comune volontà dei contraenti, la seconda nella descrizione del modello della fattispecie giuridica e, l'ultima, nel giudizio sulla rilevanza giuridica qualificante degli elementi di fatto concretamente accertati. Soltanto le ultime due fasi, risolvendosi nell'applicazione di norme di diritto, possono essere liberamente censurate in sede di legittimità, mentre la prima, configurando un tipo di accertamento di fatto che è riservato al giudice di merito, è sindacabile in cassazione soltanto per difetto di motivazione.

Cass. civ. n. 7937/1994

Nell'indagine sulla comune volontà dei contraenti non si deve cercare e chiarire l'integrale intenzione di ciascuna parte ma quel tanto delle rispettive intenzioni che si siano fuse, venendo così a dar luogo a quella comune volontà che costituisce la legge del contratto.

Cass. civ. n. 6484/1994

L'interpretazione degli atti negoziali — che è riservata al giudice del merito ed è incensurabile in sede di legittimità ove rispettosa dei criteri legali di ermeneutica contrattuale e sorretta da motivazione immune da vizi — va condotta sulla scorta di due fondamentali elementi che si integrano a vicenda, e cioè il senso letterale delle espressioni usate e la ratio del precetto contrattuale, nell'ambito non già di una priorità di uno dei due criteri ma in quello di un razionale gradualismo dei mezzi d'interpretazione, i quali debbono fondersi ed armonizzarsi nell'apprezzamento dell'atto negoziale.

Cass. civ. n. 4121/1994

Nella ricerca della comune intenzione delle parti contraenti, il primo e principale strumento dell'operazione interpretativa è costituito dalle parole ed espressioni del contratto e, qualora queste siano chiare e dimostrino una loro intima ratio, il giudice non può ricercarne una diversa, venendo cosa a sovrapporre la propria soggettiva opinione all'effettiva volontà dei contraenti. (Nella specie la sentenza impugnata, cassata dalla S.C., aveva attribuito, in sede di interpretazione di una clausola di un contratto collettivo, preminente rilievo al comportamento successivo delle parti senza aver approfonditamente valutato il significato delle espressioni adoperate).

Cass. civ. n. 2415/1994

In tema d'interpretazione del contratto, la parte che denunci in cassazione l'erronea determinazione, in sede di merito, della volontà negoziale è tenuta ad indicare quali canoni o criteri interpretativi siano stati violati; in mancanza, l'individuazione della volontà contrattuale — che, avendo ad oggetto una realtà fenomenica ed obiettiva, si risolve in un accertamento di fatto, istituzionalmente riservato al giudice del merito — è censurabile non già quando le ragioni addotte a sostegno della decisione sono diverse da quelle della parte, bensì allorché esse siano insufficienti o inficiate da contraddittorietà logica o giuridica.

Cass. civ. n. 12758/1993

A norma dell'art. 1362 c.c. l'interpretazione del contratto richiede la determinazione della comune intenzione delle parti, da accertare sulla base del senso letterale delle parole adoperate e del loro comportamento complessivo, anche posteriore alla conclusione del contratto. L'elemento letterale e quello del comportamento delle parti devono porsi, pertanto, in posizione paritaria, onde il giudice non può sottrarsi a tale duplice indagine allegando una pretesa chiarezza del significato letterale del contratto.

Cass. civ. n. 4507/1993

Il giudice di merito, chiamato ad interpretare il contratto (nella specie, accordo aziendale del 1987), deve arrestarsi al significato letterale delle clausole, che evidenzi chiaramente la volontà delle parti, e non è tenuto a motivare su ipotetici ulteriori significati delle parole usate dai contraenti, potendo il supposto ulteriore senso di queste essere indagato solo nel caso in cui vengano forniti argomentati indizi dell'intenzione delle parti di attribuire alle parole usate un senso diverso da quello del mero significato letterale delle stesse.

Cass. civ. n. 6610/1991

In tema d'interpretazione del contratto, il contrasto insanabile, sul piano testuale, tra il nomen juris del contratto stesso e le singole clausole dimostra di per sé l'inadeguatezza dell'interpretazione letterale e la necessità del ricorso ai criteri sussidiari, progressivamente, nell'ambito dell'interpretazione soggettiva e storica (artt. 1362-1365 c.c.) e, quindi, in quello dell'interpretazione oggettiva (artt. 1367-1370), cui deve aggiungersi il criterio residuale contenuto nell'art. 1371 c.c. Solo quando la volontà delle parti sia effettivamente e chiaramente individuata, anche con l'eventuale ricorso ai suddetti criteri sussidiari, e tuttavia sussistano clausole in contrasto con il negozio effettivamente voluto, è consentito considerare nulle tali clausole, in base alla disciplina dell'art. 1419, secondo comma, c.c.

Cass. civ. n. 4914/1991

In tema di interpretazione del contratto, per l'identificazione della comune intenzione delle parti, ai sensi dell'art. 1362 secondo comma c.c. — il quale si riferisce al comportamento dei contraenti — non si può tener conto del comportamento dei soggetti che quel contratto non hanno posto in essere (nella specie: aventi causa delle parti contraenti) e che quindi non possono avere alcun rapporto né con l'interno volere dei contraenti né con i precetti e i comandi nei quali si è oggettivizzata la loro volontà.

Cass. civ. n. 2009/1988

Le norme sulla interpretazione dei contratti si applicano anche ai negozi unilaterali nei limiti della compatibilità dei criteri stabiliti dagli artt. 1362 e ss. c.c. con la particolare natura e struttura della predetta categoria di negozi. Pertanto, nei negozi unilaterali non può aversi riguardo alla comune intenzione delle parti, che non esiste, ma si deve indagare soltanto quale sia stato l'intento proprio del soggetto che ha posto in essere il negozio senza far ricorso, per determinarlo, alla valutazione del comportamento dei destinatari del negozio stesso.

Cass. civ. n. 1082/1988

In tema di interpretazione del contratto anche nel caso di formale riproduzione nelle relative clausole di obblighi già nascenti dalla legge o il richiamo espresso di norme di legge comunque integrative della disciplina negoziale l'interprete deve accertare, in base ai criteri legali di ermeneutica, l'effettiva portata del rinvio o del richiamo, atteso che questo, come può avere valore di pura clausola di stile, così può assumere, per volontà delle parti, un particolare significato, che nelle concrete circostanze sia tale da trascendere il limite del dato legale recepito.

Cass. civ. n. 4472/1987

Il principio in claris non fit interpretatio, anche se non può essere inteso nel suo significato letterale, posto che al giudice del merito spetta sempre l'obbligo di individuare esattamente la volontà delle parti, è sostanzialmente operante quando il significato delle parole usate nel contratto sia tale da rendere, di per sé stesso, palese l'effettiva volontà dei contraenti, nel quale caso l'attività del giudice può — e deve — limitarsi al riscontro della chiarezza e univocità del tenore letterale dell'atto per rilevare detta volontà e diventa inammissibile qualsiasi ulteriore attività interpretativa che condurrebbe il giudice a sostituire la propria soggettiva opinione alla volontà dei contraenti.

Cass. civ. n. 756/1986

La denominazione che le parti danno ad un istituto contrattuale in tanto assume rilevanza nel procedimento di ermeneutica del negozio giuridico in quanto essa corrisponda al significato giuridico della pattuizione che le parti intendono esprimere, mentre, nel caso in cui sussista divergenza tra il significato della dizione usata ed il contenuto della pattuizione, la qualificazione di quest'ultima va desunta dalla natura della materia dedotta nel patto contrattuale. (Nella specie il giudice del merito aveva ritenuto che la cosiddetta indennità di trasferta forfettizzata, prevista dalla contrattazione collettiva dei dipendenti dell'Enel, non si riferiva al rimborso di spese di una vera e propria trasferta, ma costituiva il corrispettivo del maggior disagio di quei lavoratori che erano obbligati ad operare continuativamente fuori sede e quindi rappresentava un elemento integrativo della retribuzione, da computare ai fini del calcolo dell'indennità di anzianità; la Suprema Corte - nel confermare tale pronuncia - ha affermato il suddetto principio di diritto).

Cass. civ. n. 5409/1985

Qualora, nel sottoscrivere il documento negoziale, la parte inserisca in esso una dichiarazione aggiuntiva (nella specie, riserva di interessi di mora e danni sollevata dall'appaltatore di opera pubblica in sede di regolarizzazione per iscritto di un contratto verbale che aveva già avuto esecuzione), tale dichiarazione aggiuntiva viene a costituire elemento integrante del documento medesimo, e deve essere quindi valutata per individuare la comune intenzione dei contraenti alla stregua del complessivo contenuto dell'atto, e non può pertanto essere qualificata come mero elemento extratestuale, né come comportamento di un contraente posteriore alla conclusione del contratto.

Cass. civ. n. 4641/1985

L'interpretazione di una clausola contrattuale, in applicazione dell'art. 1362 primo comma c.c., non può essere fondata sul solo senso letterale delle parole usate, qualora questo, divergendo dal complessivo spirito e contenuto del contratto, non sia di per sé idoneo ad evidenziare la comune intenzione delle parti. (Nella specie, in una polizza di assicurazione contro il furto in appartamento, era inserita una clausola che subordinava la copertura assicurativa alla chiusura, con avvolgibili ed altri adeguati congegni, delle finestre. I giudici del merito avevano affermato che il suddetto patto escludeva l'indennizzo, in caso di finestre aperte, anche nell'ipotesi di furto diurno in presenza degli abitanti dell'appartamento. La S.C. ha ritenuto tale interpretazione non conforme al criterio ermeneutico di cui sopra, dovendosi accertare se la lettera della clausola comportava l'effettiva intenzione di imporre all'assicurato un onere di perenne chiusura delle finestre).

Cass. civ. n. 1198/1982

Il giudice, nell'interpretare il contratto, non può mai prescindere dalla ricerca della comune intenzione dei contraenti, posto che l'oggetto della ricerca ermeneutica è proprio tale comune intenzione, rispetto alla quale il senso letterale delle parole adoperate dai contraenti si pone come il primo degli strumenti di interpretazione. Pertanto, anche se le espressioni usate nel contratto siano di chiara e non equivoca significazione, la ricerca della comune intenzione dei contraenti lungi dall'essere esclusa, può solo ritenersi conclusa ove l'elemento letterale assorba ed esaurisca ogni altro strumento d'interpretazione soggettiva.

Cass. civ. n. 5294/1977

Il principio in claris non fit interpretatio non è accolto dal sistema dell'interpretazione previsto dal nostro ordinamento che, invece, attribuisce al giudice il potere-dovere di stabilire se la comune volontà delle parti risulti in modo chiaro e immediato dalla dizione letterale del contratto o se occorra accertarla mediante indagini ulteriori. Ciò comporta che il giudice intanto può limitare la propria disamina al senso letterale delle parole in quanto, a suo giudizio, la comune volontà delle parti emerga in modo certo e immediato dalle espressioni adoperate, mentre deve ricorrere ai criteri legali sussidiari di interpretazione quando tali espressioni gli si presentino ambigue o, comunque, insufficienti per l'individuazione di quella volontà; ond'è che la stessa questione an in claris versetur assume carattere di questione di fatto, rimessa come tale al giudice di merito, e la cui soluzione non è censurabile in sede di legittimità se dalla sentenza emergono adeguate ragioni che esplicitamente o anche implicitamente la giustifichino.

Cass. civ. n. 5281/1977

In tema di interpretazione del contratto, così come del negozio giuridico in genere, il sindacato della Corte di cassazione può riguardare la delineazione della fattispecie astratta, nonché la riconduzione ad essa della specie in concreto accertata, trattandosi di operazioni implicanti l'applicazione di norme di diritto, ma non anche l'individuazione degli elementi costitutivi di quella specie concreta, ivi compresa l'identificazione delle parti del contratto e la ricerca del contenuto e della portata delle sue clausole, la quale si traduce in una indagine e valutazione di fatto, affidata esclusivamente al giudice del merito, e censurabile in sede di legittimità solo per il caso di violazione delle norme ermeneutiche, ovvero di illogicità ed inadeguatezza della motivazione, tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione.

Cass. civ. n. 5146/1977

In materia di interpretazione dei contratti il principio di gerarchia vige non solo tra le norme meramente interpretative e quelle integrative, nel senso che le prime hanno la precedenza sulle seconde, ma anche tra le stesse norme interpretative, anch'esse suscettibili di una graduale applicazione in funzione del carattere sussidiario di una norma rispetto alle altre; pertanto il ricorso al comportamento delle parti successivo alla stipulazione del negozio ha carattere sussidiario rispetto all'esame del contenuto del contratto ed è, quindi, consentito solo nell'ipotesi in cui il giudice non possa ricostruire la comune volontà delle parti attraverso le espressioni del testo negoziale.

Cass. civ. n. 4693/1977

Le norme del c.c. sull'interpretazione dei contratti debbono essere divise in due gruppi: il primo, che comprende gli artt. 1362-1365, regola l'interpretazione soggettiva (o storica) del contratto, in quanto tende a porre in luce la concreta intenzione comune delle parti; il secondo, costituito dagli artt. 1366-1370, disciplina l'interpretazione oggettiva, cosa detta perché tende ad eliminare ambiguità e dubbi. Tra i due gruppi di norme esiste un rapporto di subordinazione logica del secondo al primo, dato che l'interprete può far ricorso alle regole dell'interpretazione oggettiva soltanto quando non possa determinare senza dubbiezza la comune volontà delle parti. Ai due gruppi si aggiunge l'art. 1371, la cui applicazione, volta a realizzare l'equo contemperamento degli interessi delle parti, è doppiamente subordinata all'accertata insufficienza dei criteri interpretativi contenuti negli articoli che precedono.

Cass. civ. n. 2225/1977

Il comportamento delle parti posteriore alla conclusione del contratto ed idoneo ad interpretarlo può consistere anche nella loro attività processuale, purché rappresenti espressione di volontà comuni e coincidenti.

Cass. civ. n. 221/1977

Non è inibito al giudice, al fine di identificare la portata della volontà negoziale, di trarre argomento di prova anche da contratti conclusi da una delle parti con terzi.

Cass. civ. n. 3480/1976

Le convenzioni preliminari e le trattative precontrattuali possono fornire elementi d'interpretazione solo per l'identificazione della natura e dell'oggetto del contratto definitivo, ma al fine di determinare ed interpretare il contenuto delle singole pattuizioni occorre far capo soltanto al contratto definitivo, il quale assorbe le convenzioni e le trattative predette togliendo ad esse ogni efficacia negoziale e dettando l'unica disciplina dei rapporti che esse contemplavano, atteso che l'autonomia contrattuale delle parti nel concludere il contratto definitivo è libera sia d'introdurre nuove clausole sia di modificare od espungere altre contenute negli accordi preliminari, dando vita alla definitiva e stabile normazione del regolamento dei loro interessi.

Cass. civ. n. 1590/1976

Nei contratti conclusi mediante la sottoscrizione di moduli o formulari predisposti da uno dei contraenti per la disciplina uniforme di una serie di rapporti, l'elemento letterale ricavato dal contesto del contratto può costituire espressione sicura della comune intenzione delle parti quando, in relazione all'oggetto della pattuizione controversa ed alle particolari circostanze del caso, essa possa ritenersi frutto dell'effettiva autonomia negoziale di entrambi i contraenti, dovendosi altrimenti fare ricorso agli elementi sussidiari di interpretazione indicati negli artt. 1362 e ss. c.c.

Cass. civ. n. 91/1976

In tema di interpretazione del contratto, compito del giudice del merito è quello di determinare la comune intenzione delle parti, come trasfusa nel contratto stesso, e, pertanto, l'indagine sui motivi o sulle cause che hanno indotto i contraenti a negoziare, ma che non sono esternate in clausole del negozio, potrà essere rilevante, ove tali motivi o cause abbiano dato luogo a comportamenti esteriori, solo al fine di trarne elementi utili per l'individuazione di detta comune intenzione, secondo il criterio ermeneutico sussidiario di cui all'art. 1362 secondo comma c.c., ma non al fine di accertare una volontà non risultante dal contratto.

Cass. civ. n. 2858/1975

Una dichiarazione diretta, dopo la conclusione del contratto, da un contraente all'altro, e da quest'ultimo accolta senza dissenso, ben può essere utilizzata dal giudice del merito, ai sensi dell'art. 1362 secondo comma c.c., come criterio suppletivo per la determinazione della comune intenzione delle parti, e per la conferma o meno del convincimento tratto dall'esame dei patti contrattuali.

Cass. civ. n. 2705/1975

Clausola di stile è solo quella che si limita a riprodurre una costante prassi stilistica di determinati atti, senza alcun riscontro nella volontà delle parti.

Cass. civ. n. 3082/1973

Per determinare la comune intenzione delle parti è lecito tenere conto solo dei comportamenti che siano in rapporto diretto, se non immediato, con la stipulazione e l'esecuzione del contratto da interpretare. Tali non possono essere considerati i comportamenti tenuti fuori da ogni contrasto con i controinteressati, a soli fini fiscali, quali le denunce di successione o operazioni bancarie del singolo avente causa di uno dei contraenti, nei quali comportamenti possono avere avuto parte determinante considerazioni estranee ad un'esatta ricognizione della portata del contratto a suo tempo stipulato. L'art. 1362, comma secondo, c.c., nel disporre che «per determinare la comune intenzione delle parti si deve valutare il loro comportamento» fa riferimento al comportamento delle parti indicate nel primo comma dell'articolo e non già al comportamento degli eredi od aventi causa, che costituisce espressione di una volontà aggiuntiva che non può essere cumulata con quella negoziale.

Cass. civ. n. 2092/1973

La favorevole disposizione a transigere una lite non può essere assunta a criterio di interpretazione di un contratto ai sensi dell'art. 1362 c.c. Il comportamento delle parti, al quale questa norma si riferisce, concerne invero quell'attività postcontrattuale che sia diretta alla realizzazione degli interessi regolati dal negozio e, per questo, offre uno strumento sussidiario di accertamento della volontà negoziale non chiaramente desumibile dal testo del contratto.

Cass. civ. n. 2067/1973

L'art. 1362 c.c., nel prescrivere in sede di interpretazione contrattuale che il giudice ai fini della individuazione della comune intenzione delle parti debba valutare il loro comportamento complessivo, richiede non la valutazione di ogni singolo atto posto in essere dalle medesime, ma la considerazione globale della loro condotta in relazione agli elementi di fatto che possono avere importanza per l'interpretazione del contratto.

Cass. civ. n. 43/1971

Nei contratti nei quali una delle parti sia un soggetto della P.A. il principio della presunzione di legittimità dell'azione amministrativa può servire come mezzo sussidiario di interpretazione, per ricercare, nei casi dubbi, quale sia stata la reale volontà dell'amministrazione.

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Consulenze legali
relative all'articolo 1362 Codice Civile

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P. R. chiede
venerdì 05/01/2024
“Buonasera
Un caro amico è deceduto ed ha lasciato un testamento olografo. Questa persona non aveva discendenti diretti, solo 4 cugini.
Secondo il suo testamento lascia un bene immobile ad un cugino, un altro bene immobile ad un altro cugino, ed il conto corrente a me.
Abbiamo fatto la pratica di successione. Regolarmente registrata ho trasmesso copia alla banca che mi ha risposto cosi:
"Buongiorno il nostro ufficio successioni ci richiede dichiarazione sostitutiva di atto notorio in originale dove vengono elencati i soli eredi legittimi e che riporti le loro generalità complete, e non quelli testamentari.
Al ricevimento di tale documento, avuto nulla osta da parte del nostro ufficio successioni, la banca in fase di liquidazione, liquiderà le somme a firma degli eredi legittimi che provvederanno ad onorare il legato testamentario in suo favore".

- È legittimo richiedere questo atto notorio?
- È corretta la modalità di liquidazione delle somme?
-"liquiderà le somme a firma degli eredi legittimi" : chi sono e cosa vuol dire?”
Consulenza legale i 11/01/2024
La risposta della Banca è per certi versi corretta ed ha, ovviamente, un suo fondamento giuridico.
Sulla base della sintetica trascrizione che del testamento è stata fatta, può in effetti dirsi che nel caso in esame non risulta che il testatore si sia preoccupato di designare un suo erede, avendo manifestato la sola volontà di destinare determinati suoi beni a quei soggetti che vengono specificatamente designati nella scheda testamentaria.
Ora, in caso di disposizioni testamentarie di questo tipo il problema che si pone è quello di riuscire a capire quale sia stata l’effettiva intenzione del testatore, ovvero se quella di dividere i suoi beni tra i soggetti nominati ovvero quella di istituire i medesimi quali eredi ex certa re o, infine, quella semplicemente di disporre di quei beni a titolo particolare (legato), senza individuare un erede universale.

Ebbene, si ritiene che si debba innanzitutto escludere che possa qui configurarsi la fattispecie giuridica della divisione fatta dal testatore, tenuto conto del fatto che ciò che caratterizza essenzialmente tale istituto giuridico, distinguendolo peraltro dalla c.d. institutio ex re certa, è la circostanza che mentre in questa seconda ipotesi non si ha predeterminazione di quote (che occorrerà determinare ex post, verificando il rapporto proporzionale tra il valore delle res certae attribuite ed il valore dell’intero asse), nella prima, invece, le quote sono già predeterminate dal testatore.
Ciò comporta che, a differenza di quanto accade nel caso della divisione del testatore ex art. 734 del c.c., quando si è in presenza di una disposizione testamentaria a titolo universale in forma di istituzione ex re certa, non potrà aver luogo la successione legittima, tenuto conto della forza espansiva che alla stessa si attribuisce per eventuali beni o diritti ignorati dal testatore o sopravvenuti alla redazione del testamento (così, tra le tante, Cass. civ. sent. n. 12158/2015).

Quanto fin qui detto consente di poter affermare che se la volontà manifestata dall’amico deceduto nel suo testamento può essere interpretata quale institutio ex re certa, allora la pretesa avanzata dall’istituto di credito è sicuramente illegittima, in quanto i soggetti ivi nominati vengono a conseguire la qualifica di eredi seppure per beni determinati (con tutti gli effetti che l’acquisto di tale qualità comporta, ivi compreso l’obbligo di rispondere di eventuali debiti ereditari ultra vires hereditatis).
Se, invece, come sembra aver ritenuto la Banca, quel testamento deve interpretarsi come contenente solo disposizioni a titolo particolare, allora è corretta e legittima la richiesta che l’istituto di credito avanza, in quanto occorre necessariamente individuare l’erede o gli eredi legittimi (che nel caso di specie sembrano essere i quattro cugini), a cui i legatari dovranno chiedere la consegna dei beni legati, secondo quanto espressamente disposto dal terzo comma dell’art. 649 c.c.

Solo l’esame della scheda testamentaria potrà consentire di capire in che termini il testatore ha voluto disporre di quei beni, dovendosi a tal fine compiere una duplice indagine: la prima, di carattere oggettivo, con riferimento al contenuto dell’atto, la seconda, di carattere soggettivo, sull’effettiva volontà del testatore in ordine alla natura del lascito (così Cass. n. 9467/2001).
In tale indagine le espressioni usate dal testatore non hanno valore decisivo, tant’è che la stessa giurisprudenza ha affermato che l’attribuzione meramente formale, da parte del de cuius, del titolo di erede o di legatario, è irrilevante se in contrasto con l’intrinseca natura della disposizione, mentre può essere utilizzata quale elemento sussidiario per confermare il risultato dell’analisi condotta sull’obiettiva consistenza della disposizione stessa.

Si tenga presente che la Suprema Corte, in mancanza di formale istituzione di erede, ha voluto qualificare come legatario il beneficiario mortis causa di una consistenza immobiliare, ritenendo non rilevante, in senso contrario, la circostanza che lo stesso fosse stato onerato di partecipare alle spese funerarie del de cuius, né tantomeno la mancata menzione nel testamento di altri soggetti o di altri beni la cui inesistenza non era stata dimostrata (cfr. Cass. n. 15239/2017).
Del resto, sempre la S.C. considera pacifico che un testamento possa anche non contenere alcuna istituzione di erede e distribuire in legati tutto l’asse ereditario (Cass. 712/1953).

Sotto il profilo meramente pratico, ciò che si consiglia per risolvere la questione è di prendere contatti diretti con l’ufficio legale della Banca interessata e cercare di raggiungere una soluzione concordata della vicenda, adducendo a sostegno della propria richiesta argomenti in forza dei quali la Banca possa convincersi che ci si trova di fronte ad una institutio ex re certa e non ad un testamento contenente solo legati.
Qualora la Banca non dovesse convincersi della tesi, purtroppo, le soluzioni che si hanno sono due:
  • ricercare gli eredi legittimi e convincerli ad accettare quell’eredità, per poi chiedere loro il possesso dei beni legati;
  • instaurare una controversia con la Banca, nel qual caso sarà il giudice a decidere come debba interpretarsi la volontà del testatore.
Si tenga presente che in questo secondo caso l’accertamento di tale volontà costituisce una questione di fatto, che va esaminata dal giudice di merito attraverso le normali regole ermeneutiche e che tale accertamento, se congruamente motivato, è incensurabile in Cassazione (così Cass. 13835/2007, Cass. 3016/2002)


G. P. chiede
martedì 06/09/2022 - Sicilia
“Ho sottoscritto, quale titolare della Ditta venditrice, un contratto per la fornitura futura di olio.
Si è posto un problema d'interpretazione di questo contratto che, a seguire, vi riporto.

Il contratto testualmente prevede quanto a seguire:

"MERCE: Olio di oliva conforme al Reg.CE 2568/91 e modificazioni successive di produzione italiana campagna 2022/2023.

QUANTITA': Vendita esclusiva a favore del compratore di tutta la produzione della campagna 22/23 secondo la quantità totale dichiarata nel registro SIAN (italiano) a partire dalla data del contratto fino al 28/02/2023.

PREZZO: Minimo prezzo finale garantito:.........."

Premettendo che la mia Ditta è produttrice di olio italiano, non volendo violare i termini del superiore contratto ed essendo insorti dei problemi interpretativi con la controparte, al fine di chiarire al meglio tale questione vi pongo i seguenti quesiti:

1. L'olio oggetto del presente contratto deve essere esclusivamente prodotto dalla mia Ditta?

2. L'olio oggetto del superiore contratto può essere anche quello acquistato presso terzi (ovviamente di produzione italiana)?

Infine, per opportuna chiarezza, mi preme puntualizzare che nel registro SIAN (italiano) nella quantità totale viene incluso sia l'olio prodotto che quello acquistato, distinti da un diverso codice identificativo ( produzione propria "Cod. G8" - olio acquistato di produzione italiana "Cod. C0").

In attesa di ricevere Vs. tempestivo riscontro, vi saluto

Cordialmente”
Consulenza legale i 30/09/2022
Per riscontrare efficacemente il quesito del cliente, risulta opportuno premettere che elementi essenziali del contratto del contratto di compravendita sono la qualità, ovvero, la descrizione della merce oggetto della compravendita e la quantità della merce ed il prezzo.

Le disposizioni contrattuali che individuano della compravendita in discorso sono – come diligentemente segnalato dallo stesso cliente - quelle rubricate “Merce” e “Qualità”.

Il dubbio interpretativo da chiarire per ricostruire il corretto significato del contratto verte intorno all’espressione “tutta la produzione”.
In particolare, è necessario stabilire se il riferimento alla totalità della produzione sia volto ad indicare la quantità di merce prodotta direttamente dal venditore durante la campagna 2022-2023, ovvero l’ammontare complessivo della quantità della merce prodotta direttamente dal venditore e quella da quest’ultimo acquistata da terzi al fine di rivendita durante il medesimo periodo (che sarebbe una produzione aziendale "indiretta").

Risulta in ogni caso pacifica l’individuazione qualitativa della merce, che non può essere disattesa ai fini della corretta esecuzione del contratto: “Olio di oliva conforme al Reg. CE 2568/91 e modificazioni successive di produzione italiana campagna 2022/2023”.

Ebbene, il nostro codice civile reca espressamente alcuni criteri interpretativi da applicare al testo contrattuale.
Tali criteri si dividono in soggettivi (dall’art. 1362 del c.c. all’art. 1365 del c.c.) – i quali vanno applicati in prima istanza – ed i criteri oggettivi (dall’art. 1366 del c.c. all’art. 1371 del c.c.), applicabili solo in via residuale, ossia quando attraverso il ricorso ai criteri soggettivi non si riesce ad interpretare il contenuto del contratto.

Il criterio interpretativo a cui attenersi in prima istanza è enucleato dall’art. 1362 del c.c. e corrisponde alla “comune intenzione delle parti”. In virtù di tale criterio, il testo negoziale non deve essere interpretato avendo conto esclusivamente del dato contrattuale ma anche alla luce della effettiva volontà delle parti. L’intenzione delle parti può essere desunta attraverso i comportamenti posti in essere dalle stesse durante le trattative e/o l’esecuzione contrattuale.

Tra i criteri obiettivi da utilizzare in via residuale si segnala l’art. 1368 del c.c. che afferma: “Le clausole ambigue s'interpretano secondo ciò che si pratica generalmente nel luogo in cui il contratto è stato concluso. Nei contratti in cui una delle parti è un imprenditore, le clausole ambigue s'interpretano secondo ciò che si pratica generalmente nel luogo in cui è la sede dell'impresa”.
Nell’impossibilità di rintracciare l’effettiva volontà delle parti attraverso i comportamenti posti in essere dalle stesse, nel caso di specie, le clausole “Merce” e “Qualità” potranno essere interpretati secondo gli usi del luogo in cui è concluso il contratto, ovvero – nel caso in cui l’acquirente sia un privato non esercente attività imprenditoriale - nel luogo in cui la sede della ditta venditrice ha la propria sede.

Non siamo in grado di fornire specifiche indicazioni sugli usi del luogo, che attengono eminentemente alle pratiche commerciali del luogo, di cui gli operatori economici possono avere maggior contezza.

In ogni caso, si consiglia di rimuovere qualunque margine interpretativo procedendo ad un addendum contrattuale che faccia riferimento, ad esempio, ove si indica la quantità della merce che il venditore si impegna a cedere al venditore, al codice utilizzato ai fini della dichiarazione al Registro SIAN.