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Articolo 615 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 28/12/2023]

Forma dell'opposizione

Dispositivo dell'art. 615 Codice di procedura civile

Quando si contesta il diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata e questa non è ancora iniziata, si può proporre opposizione al precetto con citazione davanti al giudice competente per materia o valore e per territorio a norma dell'articolo 27 (1). Il giudice, concorrendo gravi motivi, sospende su istanza di parte l'efficacia esecutiva del titolo. Se il diritto della parte istante è contestato solo parzialmente, il giudice procede alla sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo esclusivamente in relazione alla parte contestata.

Quando è iniziata l'esecuzione (2), l'opposizione di cui al comma precedente e quella che riguarda la pignorabilità dei beni (3) si propongono con ricorso al giudice dell'esecuzione stessa [disp. att. 184]. Questi fissa con decreto l'udienza di comparizione delle parti davanti a sé e il termine perentorio per la notificazione del ricorso e del decreto [disp. att. 184, 185, 186] (4). Nell'esecuzione per espropriazione l'opposizione è inammissibile se è proposta dopo che è stata disposta la vendita o l'assegnazione a norma degli articoli 530, 552, 569, salvo che sia fondata su fatti sopravvenuti ovvero l'opponente dimostri di non aver potuto proporla tempestivamente per causa a lui non imputabile(5).

Note

(1) Il primo comma della norma in analisi descrive la c.d. opposizione preventiva, che viene promossa quando l'esecuzione non è ancora iniziata, sotto forma di atto di citazione in seguito alla notifica del precetto. In tal caso, il debitore assumerà la veste di attore in opposizione ed il giudizio si concluderà con una sentenza soggetta alle ordinarie impugnazioni. L'opposizione all'esecuzione si promuove innanzi al giudice competente per materia o valore e per territorio (si v. artt. 17, 27 e 480 c.p.c.).
Diversamente, in materia di lavoro e previdenza, l'opposizione riveste la forma del ricorso.
(2) Nel caso in cui l'esecuzione sia già iniziata, l'opposizione si propone di fronte al giudice dell'esecuzione, organo giudiziario già individuato. In questo caso, l'opposizione assume la forma del ricorso. Il giudice fissa la data dell'udienza di comparizione delle parti avanti a sé, concedendo all'opponente il termine per notificare il ricorso e il pedissequo decreto con cui ha fissato l'udienza. Durante la prima udienza, il giudice decide in ordine all'eventuale istanza di sospensione dell'esecuzione (624).
(3) Sono impignorabili i beni che non possono essere sottoposti ad esecuzione per legge (514-516, 545) oppure quelli che non sono pignorabili perché pertinenze di beni estranei all'esecuzione.
(4) Il giudizio di opposizione si chiude con una sentenza di accoglimento o di rigetto. Nel primo caso l'esecuzione subirà un arresto e, qualora, si accerti la mala fede o la colpa grave del creditore procedente, sarà condannato alle spese. Nella seconda ipotesi, l'esecuzione riprenderà il suo corso e sarà l'opponente ad essere condannato alle spese per aver resistito con mala fede o colpa grave (art. 96 del c.p.c.).
(5) Articolo così modificato dal D. L. 27 giugno 2015, n. 83 e dal D. L. 3 maggio 2016 n. 59.

Ratio Legis

Lo scopo del processo esecutivo consiste nella soddisfazione della pretesa del creditore nei confronti del debitore. Al contempo deve essere comunque tutelata la posizione dell'esecutato, che sia debitore o terzo esecutato, offrendogli la possibilità di difendersi laddove contesti l'ingiustizia della procedura. Infatti, l'opposizione all'esecuzione forzata si pone come una sorta di incidente nel processo esecutivo, che dà luogo ad un autonomo giudizio con cui si può contestare il diritto della parte istante ad agire in executivis, l'esistenza o la persistenza del titolo esecutivo, l'idoneità soggettiva del titolo esecutivo e l'ammissibilità giuridica della realizzazione coattiva del credito.

Spiegazione dell'art. 615 Codice di procedura civile

Oggetto di opposizione è la contestazione dell’esistenza del diritto del creditore istante di procedere ad esecuzione forzata per una delle seguenti ragioni:
  1. mancanza di un diritto alla tutela esecutiva: si tratta dei casi in cui si contesti l’esistenza del titolo esecutivo in sé, che può discendere da:
  1. ineffficacia del titolo esecutivo, originaria o sopravvenuta;
  2. nullità dell’atto contenente il titolo esecutivo, giudiziale o stragiudiziale;
  3. inesistenza del titolo esecutivo.
Un provvedimento giurisdizionale acquista il carattere dell’esecutività o per la sussistenza dei presupposti stabiliti dalla legge oppure per l’accertamento del verificarsi di tali presupposti compiuto dal giudice.

  1. impignorabilità del bene: ogni controversia relativa alla pignorabilità dei beni che, una volta iniziata l’esecuzione, va proposta con ricorso al giudice dell’esecuzione, deve rispettare la forma dell’opposizione all’esecuzione, dato che l’impignorabilità non è altro che la negazione del diritto di procedere all’esecuzione su determinati beni.

  1. inesistenza del diritto in relazione al quale si chiede tutela.

Qualora l’esecuzione non sia ancora iniziata, l’opposizione andrà proposta dinanzi al giudice competente nel merito, mentre se a questa si è già dato inizio andrà proposta davanti al giudice dell’esecuzione.
La legittimazione attiva compete generalmente al debitore ed al terzo assoggettato all’esecuzione, ossia il terzo proprietario del bene espropriando.

Non sussiste litispendenza, per diversità di petitum e causa petendi, nell’ipotesi di opposizione promossa dal debitore dinanzi al giudice competente per materia o valore e per territorio, attraverso cui viene dedotta la nullità del precetto o si contesti la richiesta di interessi, e l’opposizione all’esecuzione dal medesimo proposta dinanzi al giudice dell’esecuzione, attraverso cui si eccepisce la litispendenza e l’insussistenza del debito di interessi.
All’eventuale conflitto di giudicati è possibile porre rimedio per mezzo dell’istituto della sospensione dell’efficacia del titolo esecutivo, adesso espressamente previsto dalla norma in esame, e che il giudice dovrà concedere su istanza di parte ed a condizione che sussistano gravi motivi che giustifichino tale richiesta.

Il giudice fissa con decreto l’udienza di comparizione delle parti, stabilendo anche un termine perentorio entro il quale l’istante deve notificare sia il ricorso che il decreto.
Il giudizio che fa seguito all’opposizione all’esecuzione si configura come un vero e proprio giudizio di cognizione, nel corso del quale è consentito al creditore procedente, che assume la veste sostanziale e processuale di convenuto, di proporre non soltanto le eccezioni dirette a rimuovere gli ostacoli frapposti alla realizzazione del suo diritto, ma anche di chiedere, a seguito di domanda riconvenzionale, che il debitore opponente venga condannato per un titolo diverso (costituendosi, dunque, un nuovo titolo esecutivo che si aggiungerà al primo).

Il D.L. 27 giugno 2015, n. 83, convertito in L. 6 agosto 2015, n. 132, c.d. “decreto giustizia per la crescita”, ha modificato la norma in esame in relazione alla forma dell'opposizione all'esecuzione, al fine di consentire al giudice, in caso di contestazione parziale del diritto dell'istante, di sospendere l'efficacia esecutiva del titolo esclusivamente in relazione alla parte contestata.

Successivamente, l’articolo 4, comma 1, lettera l) del D.L. n. 59/2016, convertito in L. 119/2016,ha modificato la presente norma prevedendo che, nell’esecuzione per espropriazione, l’opposizione è inammissibile se viene proposta dopo che è stata disposta la vendita o l’assegnazione del bene pignorato a norma degli artt. 530, 552 e 569 c.p.c.
Tuttavia, anche dopo tale momento, l’opposizione può essere proposta se fondata su fatti sopravvenuti ovvero se l’opponente dimostri di non aver potuto proporla tempestivamente per causa a lui non imputabile.

Obiettivo di questa norma è quello di snellire la procedura esecutiva, fissando un preciso limite temporale oltre il quale non può essere proposta l’opposizione a pena di inammissibilità.
Tale momento coincide con l’emissione, da parte del giudice dell’esecuzione, del provvedimento con il quale viene disposta la vendita o l’assegnazione; qualora l’opposizione venga proposta oltre tale termine, la sola possibilità che ha l’opponente per non vedersi dichiarato inammissibile il ricorso è quella di dimostrare o che la tardività della stessa si fonda su fatti sopravvenuti (realizzatisi dopo il termine prescritto) ovvero che l’impossibilità di proporla tempestivamente discenda da cause a lui non imputabili.

Massime relative all'art. 615 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 20331/2021

L'ammissione, dopo la conclusione dell'esecuzione e la scadenza dei termini per le relative opposizioni, di azioni volte a contrastare gli effetti dell'esecuzione stessa, sostanzialmente ponendoli nel nulla o limitandoli, è in contrasto sia con i principi ispiratori del sistema, sia con le regole specifiche relative ai modi e ai termini delle opposizioni esecutive. (Rigetta, CORTE D'APPELLO ROMA, 04/06/2015).

Cass. civ. n. 29327/2019

Il giudizio di opposizione all'esecuzione ex art. 615, comma 1, c.p.c. non può essere proseguito dalla curatela fallimentare dopo la dichiarazione di fallimento del debitore opponente, perché la causa è attratta alla competenza del tribunale fallimentare stabilita dall'art. 52, comma 2, l.fall., secondo cui ogni credito deve essere accertato in base alle norme prescritte per la verifica dello stato passivo. (Nella fattispecie, la S.C. ha dichiarato l'improcedibilità dell'opposizione a precetto proseguita dalla curatela fallimentare del debitore opponente benché il creditore opposto, per la stessa ragione di credito, fosse già stato ammesso, con provvedimento non impugnato, al passivo fallimentare).

Cass. civ. n. 26285/2019

Il pignoramento eseguito dopo che il giudice adito con opposizione a precetto abbia disposto la sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo ai sensi dell'art. 615, primo comma, c.p.c., è affetto da nullità, rilevabile - anche di ufficio - dal giudice dell'esecuzione. (Principio enunciato nell'interesse della legge ex art. 363, terzo comma, c.p.c.).

Qualora, pendendo un'opposizione a precetto, il giudice dell'esecuzione - o il collegio adito in sede di reclamo - sospenda l'esecuzione per i medesimi motivi dedotti nell'opposizione pre-esecutiva, le parti non sono tenute a promuovere il giudizio di merito nel termine eventualmente loro assegnato, non conseguendo da tale omissione l'estinzione del processo esecutivo ex art. 624, terzo comma, c.p.c., in quanto l'unico giudizio che le parti sono tenute a coltivare è quello, già introdotto, di opposizione a precetto. (Principio enunciato nell'interesse della legge ex art. 363, terzo comma, c.p.c.).

La proposizione al giudice dell'opposizione a precetto di un'istanza di sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo ai sensi dell'art. 615, primo comma, c.p.c., preclude all'opponente - per consumazione del potere processuale - di richiedere al giudice dell'esecuzione, per le medesime ragioni, la sospensione della procedura esecutiva ex art. 624 c.p.c., ancorché il giudice dell'opposizione a precetto non si sia ancora pronunciato. (Principio enunciato nell'interesse della legge ex art. 363, terzo comma, c.p.c.).

Il giudice adito con opposizione a precetto non perde il potere di provvedere sulla istanza di sospensione dell'efficacia del titolo proposta ai sensi dell'art. 615, primo comma, c.p.c. (come modificato dal d.l. n. 35 del 2005, conv. nella l. n. 80 del 2005) ove sia intrapresa l'esecuzione forzata minacciata con il precetto opposto; in tal caso, il provvedimento sospensivo pronunciato dal giudice dell'opposizione a precetto determina la sospensione ex art. 623 c.p.c. di tutte le procedure esecutive nel frattempo promosse. (Principio enunciato nell'interesse della legge ex art. 363, terzo comma, c.p.c.).

Tra l'opposizione a precetto ex art. 615, primo comma, c.p.c., e la successiva opposizione all'esecuzione ex art. 615, secondo comma, c.p.c., proposte avverso il medesimo titolo esecutivo e fondate su fatti costitutivi identici concernenti l'inesistenza del diritto di procedere all'esecuzione forzata, sussiste litispendenza, qualora le cause siano pendenti, nel merito, innanzi ad uffici giudiziari diversi, anche per grado; qualora invece le cause siano pendenti, nel merito, innanzi allo stesso ufficio giudiziario, ne va disposta la riunione di ufficio, ai sensi dell'art. 273 c.p.c., ferme le decadenze già maturate nella causa iniziata per prima. (Principio enunciato nell'interesse della legge ex art. 363, terzo comma, c.p.c.).

Cass. civ. n. 21240/2019

In sede di opposizione all'esecuzione con cui si contesta il diritto di procedere all'esecuzione forzata perché il credito di chi la minaccia o la inizia non è assistito da titolo esecutivo, l'accertamento dell'idoneità del titolo a legittimare l'azione esecutiva si pone come preliminare dal punto di vista logico per la decisione sui motivi di opposizione, anche se questi non investano direttamente la questione. Pertanto, dichiarata cessata la materia del contendere per effetto del preliminare rilievo dell'avvenuta caducazione del titolo esecutivo nelle more del giudizio di opposizione, per qualunque motivo sia stata proposta, l'opposizione deve ritenersi fondata, e in tale situazione il giudice dell'opposizione non può, in violazione del principio di soccombenza, condannare l'opponente al pagamento delle spese processuali, sulla base della disamina dei motivi proposti, risultando detti motivi assorbiti dal rilievo dell'avvenuta caducazione del titolo con conseguente illegittimità "ex tunc" dell'esecuzione.

Cass. civ. n. 19889/2019

Il provvedimento con il quale il giudice dell'opposizione all'esecuzione, proposta prima che questa sia iniziata ed ai sensi del primo comma dell'art. 615 c.p.c., decide sull'istanza di sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo è impugnabile col rimedio del reclamo ai sensi dell'art. 669-terdecies c.p.c. al Collegio del tribunale cui appartiene il giudice monocratico - o nel cui circondario ha sede il giudice di pace - che ha emesso il provvedimento. (Principio enunciato ai sensi dell'art. 363, comma 1, c.p.c.).

Cass. civ. n. 13111/2019

Qualora sia proposta opposizione a precetto fondato su titolo stragiudiziale, le domande ad essa connesse oggettivamente e per accessorietà sono attratte alla competenza inderogabile e funzionale riguardante la domanda di annullamento di tale precetto ex artt. 27 e 480 c.p.c., senza che operi il principio di necessaria contestazione dei fori alternativamente concorrenti riferibili alle suddette cause connesse ed accessorie. (La S.C. ha affermato il principio di cui in massima in un caso nel quale l'opposizione era stata introdotta assieme ad ulteriori domande afferenti alla validità, efficacia e risoluzione dei contratti di mutuo sottesi al precetto nonché alle correlate pretese di ripetizione di indebito e risarcitorie).

Cass. civ. n. 28583/2018

In materia di riscossione di contributi previdenziali, l'opposizione avverso l'avviso di mora con cui si faccia valere l'omessa notifica della cartella esattoriale, deducendo fatti estintivi relativi alla formazione del titolo (nella specie la prescrizione quinquennale del credito ex art. 3, commi 9 e 10, della l. n. 335 del 1995), ha la funzione di recuperare l'impugnazione non potuta esercitare avverso la cartella, che costituisce presupposto indefettibile dell'avviso, e deve essere pertanto qualificata come opposizione all'esecuzione ex art. 615 c.p.c. e non come opposizione agli atti esecutivi.

Cass. civ. n. 25170/2018

L'atto introduttivo dell'opposizione esecutiva successiva all'inizio dell'esecuzione (ex artt. 615, comma 2, 617, comma 2, e 618, nonché 619, c.p.c..) che eventualmente si discosti dal modello legale (il quale richiede un ricorso direttamente rivolto al giudice dell'esecuzione, da depositarsi quindi nel fascicolo dell'esecuzione già pendente e non da iscriversi nel ruolo contenzioso civile) è nullo, ma la nullità resta sanata, per raggiungimento dello scopo, se l'atto sia depositato nel fascicolo dell'esecuzione e/o comunque pervenga nella sfera di conoscibilità del giudice dell'esecuzione, anche su disposizione di un giudice diverso, che ne rilevi la suddetta nullità, o su richiesta della parte opponente; in tal caso, la sanatoria opera con effetto dalla data in cui sia emesso il provvedimento che dispone l'inserimento dell'atto nel fascicolo dell'esecuzione ovvero dalla data, se anteriore, della richiesta dell'opponente; laddove il mancato tempestivo inserimento nel fascicolo dell'esecuzione non sia imputabile alla parte opponente ma ad un errore della cancelleria, gli effetti della proposizione della domanda resteranno quelli del deposito dell'atto presso l'ufficio giudiziario, tenuto conto che la cancelleria è tenuta ad inserire nel fascicolo dell'esecuzione tutti gli atti che siano oggettivamente interpretabili come diretti al giudice dell'esecuzione, indipendentemente dalla loro forma o dalla loro iscrizione a ruolo.

La preliminare fase sommaria delle opposizioni esecutive (successive all'inizio dell'esecuzione) davanti al giudice dell'esecuzione (ai sensi degli artt. 615, comma 2, 617, comma 2, e 618, nonché 619, c.p.c.) è necessaria ed inderogabile, in quanto prevista non solo per la tutela degli interessi delle parti del giudizio di opposizione ma anche di tutte le parti del processo esecutivo e, soprattutto, in funzione di esigenze pubblicistiche, di economia processuale, di efficienza e regolarità del processo esecutivo e di deflazione del contenzioso ordinario; la sua omissione, come il suo irregolare svolgimento, laddove abbia impedito la regolare instaurazione del contraddittorio nell'ambito del processo esecutivo ed il preventivo esame dell'opposizione da parte del giudice dell'esecuzione - non solo in vista di eventuali richieste cautelari di parte, ma anche dell'eventuale esercizio dei suoi poteri officiosi diretti a regolare il corso dell'esecuzione - determina l'improponibilità della domanda di merito e l'improcedibilità del giudizio di opposizione a cognizione piena.

Cass. civ. n. 21568/2017

La sospensione dei termini processuali in periodo feriale indicata dall'art. 1 della l. n. 742 del 1969, non si applica ai procedimenti di opposizione all'esecuzione, come stabilito dall'art. 92 del r.d. n. 12 del 1941, a quelli di opposizione agli atti esecutivi e di opposizione di terzo all'esecuzione, di cui agli artt. 615, 617 e 619 c.p.c., ed a quelli di accertamento dell’obbligo del terzo di cui all'art. 548 dello stesso codice. Tale regola vale anche con riferimento all'appello avverso un provvedimento di carattere decisorio, avente valore di sentenza, reso nel procedimento esecutivo di obblighi di fare e di non fare, poiché detto appello assume necessariamente valore di opposizione all'esecuzione ex art. 615 per contestare il diritto della controparte ad agire "in executivis" nelle forme di cui agli artt. 612 e segg. c.p.c., atteso che i due mezzi condividono in tal caso l’aspetto funzionale di strumento per in tal caso l'aspetto funzionale di strumento per rimuovere atti del procedimento esecutivo emessi in violazione di legge.

Cass. civ. n. 20924/2017

La conclusione della procedura esecutiva, proseguita, in pendenza di opposizione, a seguito di rigetto dell’istanza sospensiva proposta ai sensi dell’art. 624 c.p.c., non determina la cessazione della materia del contendere nel giudizio di opposizione all’esecuzione, permanendo l’interesse dell'opponente ad una decisione sull'insussistenza del diritto del creditore a procedere ad esecuzione forzata, anche ai fini della dichiarazione di inefficacia degli atti del processo esecutivo.

Cass. civ. n. 20868/2017

In sede di opposizione all'esecuzione, con cui si contesta il diritto di procedere all'esecuzione forzata perché il credito di chi la minaccia o la inizia non è assistito da titolo esecutivo, l'accertamento dell'idoneità del titolo a legittimare l'azione esecutiva si pone come preliminare dal punto di vista logico per la decisione sui motivi di opposizione, anche se questi non investano direttamente la questione. Pertanto, dichiarata cessata la materia del contendere per effetto del preliminare rilievo dell'avvenuta caducazione del titolo esecutivo nelle more del giudizio di opposizione, questa deve ritenersi fondata per qualunque motivo sia stata proposta, e il giudice dell'opposizione non può, in violazione del principio di soccombenza, condannare l'opponente al pagamento delle spese processuali, sulla base della disamina dei motivi proposti, risultando detti motivi assorbiti dal rilievo dell'avvenuta caducazione del titolo con conseguente illegittimità "ex tunc" dell'esecuzione.

Cass. civ. n. 13381/2017

In sede esecutiva, al fine della corretta qualificazione della domanda occorre fare riferimento alla "causa petendi" ed al "petitum", che, nell'opposizione all'esecuzione, investono l'"an" della esecuzione, cioè il diritto del creditore di procedervi, mentre, nell'opposizione agli atti esecutivi, investono il "quomodo", vale a dire le modalità con le quali il creditore può agire in sede esecutiva. (Nella specie, la S.C. ha giudicato erronea la valutazione effettuata dal giudice di merito, che aveva ritenuto essere stata proposta una opposizione agli atti esecutivi, perché era stato impugnato l'avviso di espropriazione di cui all'art. 50 del d.p.r. n. 602 del 1973, vertendosi, invece, in materia di opposizione all'esecuzione, essendo la domanda rivolta a conseguire la dichiarazione di inesistenza del diritto del creditore a procedere ad esecuzione, in conseguenza dell'estinzione del credito per effetto della pronuncia del provvedimento di esdebitazione di cui all'art. 142 l. fall.).

Cass. civ. n. 16649/2016

In tema di foro relativo alla opposizione a precetto, ove il creditore, ai sensi dell'art. 480, comma 3, c.p.c., abbia eletto il proprio domicilio in un luogo "anomalo" rispetto a quello dell'esecuzione, il debitore, ai fini della notifica dell'atto introduttivo del giudizio di opposizione all'esecuzione, è vincolato al luogo del domicilio eletto dal creditore nel precetto quand'anche questo non abbia alcun legame con quello della esecuzione, mentre, ai fini della individuazione del giudice competente per territorio a conoscere della opposizione all'esecuzione, l'elezione di domicilio contenuta nel precetto è inefficace e la competenza per territorio va individuata in base al possibile luogo della esecuzione, compreso il luogo della notifica del precetto.

Cass. civ. n. 16281/2016

Avverso la notificazione di una sentenza cui risulti erroneamente apposta la formula esecutiva, ancorché essa non costituisca idoneo titolo esecutivo, non è esperibile il rimedio dell'opposizione all'esecuzione, utilizzabile solo dopo la notificazione del relativo precetto, ma solo un'azione di accertamento negativo ove alla prima delle suddette notificazioni si accompagni, con manifestazioni di intenti coeva o precedente, un vanto espresso della pretesa coattiva.

Cass. civ. n. 14449/2016

In tema di procedimento esecutivo, la contestazione della possibilità per il creditore di iniziare o proseguire l'esecuzione forzata individuale in costanza del fallimento del debitore, ai sensi dell'art. 51 l. fall., attiene al diritto di procedere all'esecuzione forzata (individuale) e non semplicemente alla regolarità di uno o più atti della procedura ovvero alle modalità di esercizio dell'azione esecutiva, sicché va qualificata come opposizione all'esecuzione ex art. 615 c.p.c. e non è assoggettata al regime, anche di decadenza, di cui all'art. 617 c.p.c.

Cass. civ. n. 12888/2016

Qualora, in sede di opposizione avverso precetto cambiario, si sia formato, quale esito del giudizio di primo grado, il giudicato sull'opposizione e il processo sia proseguito esclusivamente in ordine alla domanda riconvenzionale, la controversia non è più qualificabile come opposizione all'esecuzione, sicché non si sottrae alla sospensione dei termini durante il periodo feriale, anche con riguardo al termine per la proposizione dell'impugnazione.

Cass. civ. n. 12415/2016

Nel giudizio di opposizione all'esecuzione ex art. 615 c.p.c, se l'esecuzione sia iniziata proprio contro il soggetto contemplato nel titolo esecutivo, spetta a quest'ultimo, esecutato opponente, che in giudizio riveste la qualità formale e sostanziale di attore, dare la prova del fatto sopravvenuto che rende inopponibile od ineseguibile nei suoi confronti il titolo, spettando all'opposto, creditore procedente, soltanto la prova che esso esiste ed è stato emesso appunto nei confronti del soggetto esecutato (o che quest'ultimo sia successore di quello contemplato nel titolo).

Cass. civ. n. 12150/2016

La sospensione feriale dei termini processuali non si applica alle opposizioni esecutive anche quando nel relativo giudizio permanga, quale unica questione controversa, quella attinente al regolamento delle spese processuali, in quanto la condanna alle spese assolve alla funzione di assicurare la pienezza di tutela della situazione dedotta nel processo, per cui la lite su tale aspetto, sia che attenga alla soccombenza virtuale sia che riguardi le regole relative alla statuizione sulle spese e sulla loro misura, inerisce sempre alla "ratio" della sospensione disposta per la natura della controversia alla quale le spese stesse si riferiscono.

Cass. civ. n. 3277/2015

Nel giudizio di opposizione all'esecuzione promossa in base a titolo esecutivo di formazione giudiziale, la contestazione del diritto di procedere ad esecuzione forzata può essere fondata su vizi di formazione del provvedimento solo quando questi ne determinino l'inesistenza giuridica, atteso che gli altri vizi e le ragioni di ingiustizia della decisione possono essere fatti valere, ove ancora possibile, solo nel corso del processo in cui il titolo è stato emesso, spettando la cognizione di ogni questione di merito al giudice naturale della causa in cui la controversia tra le parti ha avuto (o sta avendo) pieno sviluppo ed è stata (od è tuttora) in esame.

Cass. civ. n. 24550/2014

Nell'espropriazione forzata immobiliare, il terzo offerente non aggiudicatario è legittimato a proporre opposizione agli atti esecutivi avverso i provvedimenti del giudice dell'esecuzione in quanto interessato al regolare svolgimento del processo esecutivo, sì da non restare pregiudicato da atti che assume non conformi alla legge.

Cass. civ. n. 23158/2014

In sede di opposizione all'esecuzione, come l'opponente può contestare il diritto di procedere all'esecuzione forzata adducendo una ragione di impignorabilità del bene staggito (nella specie, il suo conferimento ad un fondo patrimoniale) sorta anteriormente alla formazione del titolo esecutivo giudiziale od al conseguimento della sua definitività, così, simmetricamente, non è precluso al creditore procedente di replicare che la pignorabilità del bene deriva dall'applicazione dell'art. 192 cod. pen., qualora il fondo sia stato costituito dall'autore del reato dopo la commissione dello stesso, attesa l'inesistenza di un rapporto di pregiudizialità tra azioni revocatorie, tanto più di quella penale, rispetto all'opposizione all'esecuzione che si fondi sull'impignorabilità di beni che siano oggetto di queste. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la decisione con cui il giudice dell'opposizione ex art. 615 cod. proc. civ. ha dichiarato l'inammissibilità della stessa, senza esaminarla nel merito, in ragione del mancato esperimento, in separata sede, delle contestazioni sull'inopponibilità del fondo patrimoniale derivanti dalla prospettazione della sua inefficacia ai sensi dell'art. 192 cod. pen.).

Cass. civ. n. 22484/2014

L'opposizione a precetto, con la quale si contesta alla parte istante il diritto di procedere ad esecuzione forzata quando questa non è ancora iniziata, rientra, come tutte le cause di opposizione al processo esecutivo, tra i procedimenti ai quali non si applica, neppure con riguardo ai termini relativi ai giudizi di impugnazione, la sospensione dei termini processuali durante il periodo feriale, ai sensi degli artt. 3 della legge 7 ottobre 1969, n. 742 e 92 dell'ordinamento giudiziario. (Principio affermato ai sensi dell'art. 360 bis, primo comma, n. 1, cod. proc. civ.).

Cass. civ. n. 10326/2014

In tema di esecuzione esattoriale, qualora la parte destinataria di una cartella di pagamento contesti esclusivamente di averne ricevuto la notificazione e l'agente per la riscossione dia prova della regolare esecuzione della stessa (secondo le forme ordinarie o con messo notificatore, ovvero mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento), resta preclusa la deduzione di vizi concernenti la cartella non tempestivamente opposti, né sussiste un onere, in capo all'agente, di produrre in giudizio la copia integrale della cartella stessa.

Cass. civ. n. 1984/2014

Qualora il soggetto nei cui confronti sia minacciata o esercitata la pretesa esecutiva, in forza di un titolo giudiziale privo di definitività in quanto ancora "sub iudice" nel processo di cognizione, ponga in dubbio la ricorrenza dei caratteri propri del titolo esecutivo, la relativa contestazione - inerendo l'esistenza del diritto ad agire "in executivis" - può assumere legittimamente la forma dell'opposizione ex art. 615 cod. proc. civ., ancorché il giudizio cognitivo nel quale detto titolo sia ancora in discussione contempli strumenti (artt. 283, 373, 649 cod. proc. civ. ed altri consimili) per sollecitare la sospensione dell'esecutività del titolo stesso. (Nella specie, la S.C., annullando la decisione di rigetto dell'opposizione adottata dal giudice dell'esecuzione, ha ritenuto che la simultanea presenza nel provvedimento monitorio - invocato come titolo esecutivo giudiziale, sebbene non ancora definitivo poiché oggetto di opposizione ex art. 645 cod. proc. civ. - dell'ingiunzione di "pagare senza dilazione" e dell'avvertimento del diritto del debitore "di proporre opposizione", in mancanza della quale il decreto "diverrà esecutivo", avrebbe dovuto portare il giudice di merito a disconoscere al provvedimento monitorio efficacia esecutiva, in base al rilievo che nella disciplina del decreto ingiuntivo la regola è nel senso che la sua emissione avviene in via non esecutiva, essendo le ipotesi contrarie tutte tipizzate e operando, dunque, in via di eccezione).

Cass. civ. n. 1465/2014

Ai sensi dell'art. 7 del r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, le cause di opposizione all'esecuzione proposte ex art. 615 cod. proc. civ. nei confronti della P.A. sono soggette alle regole contenute nell'art. 27 cod. proc. civ., e non a quelle di cui all'art. 25 dello stesso codice, restando devolute alla competenza del giudice nel cui circondario si trovano gli immobili oggetto dell'esecuzione, senza che assuma rilievo che l'opponente formuli una contestuale domanda di accertamento dell'usucapione del bene esecutato, trattandosi di domanda funzionalmente collegata all'esecuzione, e quindi rientrante tra i procedimenti per i quali l'art. 7 cit. esclude l'operatività del foro erariale.

Cass. civ. n. 1123/2014

In sede di opposizione all'esecuzione nel caso in cui l'opposto abbia formulato una domanda riconvenzionale subordinata, volta ad ottenere nel caso di accoglimento dell'opposizione, un nuovo accertamento sulla situazione sostanziale consacrata nel titolo esecutivo, la controversia è soggetta alla sospensione feriale dei termini soltanto se la sentenza abbia accolto l'opposizione e, quindi, abbia deciso sulla riconvenzionale. Viceversa non vi resta soggetta nel caso di rigetto dell'opposizione, in quanto solo l'esito positivo dell'impugnazione della relativa decisione può comportare il successivo ingresso dell'esame della domanda riconvenzionale davanti al giudice d'appello o davanti al giudice di rinvio.

Cass. civ. n. 25638/2013

La denuncia dell'erronea apposizione della formula esecutiva configura opposizione agli atti esecutivi allorquando si faccia riferimento solo alla correttezza della spedizione del titolo in forma esecutiva (di cui non si ponga in dubbio l'esistenza), richiesta dall'art. 475 c.p.c., poiché in tal caso l'indebita apposizione della formula può concretarsi in una irregolarità del procedimento esecutivo o risolversi in una contestazione della regolarità del precetto ai sensi del primo comma dell'art. 617 c.p.c. Viceversa, allorché la denuncia sia motivata dalla contestazione dell'inesistenza del titolo esecutivo ovvero dalla mancata soddisfazione delle condizioni perché l'atto acquisti l'efficacia di titolo esecutivo, l'opposizione deve qualificarsi come opposizione all'esecuzione ai sensi dell'art. 615 c.p.c..

Cass. civ. n. 19488/2013

In materia di opposizione ad esecuzione forzata, quando l'esecuzione sia già iniziata, l'individuazione del giudice competente deve essere effettuata, in applicazione dell'art. 17 c.p.c., sulla base del "credito per cui si procede" e, quindi, dell'importo del credito di cui al pignoramento e non dell'importo del credito di cui al precetto

Cass. civ. n. 13811/2013

Nel giudizio di opposizione, il giudice può compiere nei confronti della sentenza esecutiva ex art. 431 c.p.c., posta alla base della promossa esecuzione, ed al pari della sentenza passata in giudicato, solo una attività interpretativa, volta ad individuare l'esatto contenuto e la portata precettiva sulla base del dispositivo e della motivazione, con esclusione di ogni riferimento ad elementi esterni, e tale interpretazione è incensurabile in sede di legittimità ove non risultino violati i criteri giuridici che regolano l'estenzione e i limiti del provvedimento esaminato e se il procedimento interpretativo seguito dai giudici del merito sia immune da vizi logici.

Cass. civ. n. 8936/2013

Il terzo che, in pendenza dell'esecuzione forzata e dopo la trascrizione del pignoramento immobiliare, abbia acquistato a titolo particolare il bene pignorato, soggiace alla disposizione di cui all'art. 2913 cod. civ., il quale, sancendo l'inefficacia verso il creditore procedente ed i creditori intervenuti delle alienazioni del bene staggito successive al pignoramento, impedisce che egli succeda nella posizione di soggetto passivo dell'esecuzione in corso, e, quindi, che sia legittimato a proporre opposizione all'esecuzione ai sensi dell'art. 615, secondo comma, cod. proc. civ.

Cass. civ. n. 6102/2013

In tema di esecuzione forzata, la contestazione dell'intimato concernente le spese indicate in precetto (asseritamente non dovute perché non conformi alle tariffe professionali in vigore), investe il diritto sostanziale del creditore all'adempimento dell'obbligazione, sicché, ponendo in discussione quel diritto per come compiutamente riportato nel precetto, deve qualificarsi come opposizione all'esecuzione, e non agli atti esecutivi.

Cass. civ. n. 20989/2012

Oggetto dell'opposizione di cui all'art. 615 c.p.c. è, alla stregua dell'ampia formulazione di quest'ultimo, la contestazione, in ogni suo momento ed aspetto, del diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata (in ciò distinguendosi dal rimedio di cui all'art. 617 c.p.c. che investe, invece, il "quomodo" di tale esecuzione), in essa dovendosi ravvisare una richiesta di declaratoria di attuale insussistenza, perché originaria o sopravvenuta, del menzionato diritto (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che, applicando l'art. 616 c.p.c., nella formulazione risultante dall'art. 14 della legge 24 febbraio 2006, n. 52, aveva sancito d'ufficio, l'inammissibilità del gravame avverso la decisione di primo grado resa in una controversia ex art. 615 c.p.c.).

Cass. civ. n. 11169/2012

Ove sia intervenuta sentenza passata in giudicato che abbia accolto la domanda di pensione di invalidità e sia iniziata sulla base di tale sentenza l'esecuzione, è ammissibile l'opposizione all'esecuzione che faccia valere la mancata iscrizione del creditore nelle liste del collocamento obbligatorio, essendo questo un fatto modificativo successivo alla pronuncia che incide su uno degli elementi costitutivi della prestazione e rilevando il giudicato solo a situazione normativa e fattuale immutata.

Cass. civ. n. 29748/2011

In caso di espropriazione contro il terzo proprietario, ai sensi degli artt. 602 e seguenti c.p.c., nel giudizio di opposizione avente ad oggetto la determinazione dell'entità complessiva del credito, nonché dell'eventuale minor parte di esso, di cui debba rispondere lo stesso terzo, quand'anche proposto come opposizione agli atti esecutivi relativi a tale determinazione, è litisconsorte necessario anche il debitore originario o diretto, in quanto soggetto nei cui confronti l'accertamento della ricorrenza o meno dell'azione esecutiva contro il terzo è destinato a produrre effetti immediati e diretti. Ne consegue che la sentenza resa in un'esecuzione promossa sui beni del terzo, a conclusione di un giudizio di opposizione agli atti esecutivi concernente la suddetta determinazione, senza che sia stato evocato in causa anche il debitore originario o diretto, è "inutiliter data", e la conseguente nullità, ove non rilevata dai giudici di merito, deve essere rilevata d'ufficio dal giudice di legittimità con rimessione della causa al giudice di primo grado.

Cass. civ. n. 23471/2011

Nel giudizio di opposizione all'esecuzione, promossa sulla base di un provvedimento con il quale, all'esito del procedimento camerale di revisione delle condizioni stabilite con la sentenza di divorzio, si sia provveduto alla rideterminazione dell'assegno di mantenimento dovuto in favore del figlio, il giudice non è chiamato a decidere in ordine alla decorrenza dell'obbligo di corrispondere l'importo dell'assegno, ma esclusivamente ad interpretare il titolo posto a fondamento dell'azione esecutiva per accertare quale sia la decorrenza in esso prevista, senza possibilità di introdurre censure riguardanti l'interpretazione di norme di legge (come quelle di cui agli artt. 6 e 9 legge n. 898 del 1970), la cui applicazione è coperta dalla definitività del provvedimento posto a fondamento dell'azione esecutiva.

Cass. civ. n. 22310/2011

La diversità tra l'opposizione di cui all'art. 615 c.p.c., proponibile anche nella fase della distribuzione del ricavato dalla espropriazione forzata, e l'opposizione di cui all'art. 512 c.p.c., è data dal differente oggetto delle due impugnazioni, l'una concernente il diritto a partecipare alla distribuzione (art. 512) e l'altra il diritto di procedere all'esecuzione forzata (art. 615), dovendosi ricercare l'ambito oggettivo ed i limiti di applicazione dell'art. 512 c.p.c. nel fatto che non possa formare oggetto di controversia in sede di distribuzione, ai sensi di tale norma, la contestazione del diritto della parte istante di procedere ad esecuzione forzata. Pertanto, quando non occorra più stabilire, mediante l'opposizione di merito ex art. 615 c.p.c., se l'intero processo esecutivo debba venir meno in modo irreversibile per effetto di preclusioni o decadenze ricollegabili alla pretesa d'invalidità (originaria o sopravvenuta) del titolo esecutivo nei confronti del creditore procedente (o di quello intervenuto, quando anche questi, munito di titolo esecutivo, abbia compiuto atti propulsivi del processo esecutivo, inidonei a legittimarne l'ulteriore suo corso), e quando, perciò, la procedura sia validamente approdata alla fase della distribuzione e non sussista questione circa l' "an exequendum", ogni controversia che in tale fase insorga tra creditori concorrenti, o tra creditore e debitore o terzo assoggettato all'espropriazione, circa la sussistenza o l'ammontare di uno o più crediti, o circa la sussistenza di diritti di prelazione, al fine di regolarne il concorso ed allo scopo eventuale del debitore di ottenere il residuo della somma ricavata (art. 510, terzo comma, c.p.c.), costituisce una controversia prevista dall'art. 512 c.p.c., da risolversi con il rimedio ivi indicato.

Cass. civ. n. 21293/2011

Mentre con l'opposizione all'esecuzione forzata fondata su un titolo esecutivo giurisdizionale possono farsi valere soltanto i fatti posteriori alla formazione del provvedimento costituente titolo esecutivo, non essendo ammissibile un controllo a ritroso della legittimità e della fondatezza del provvedimento stesso fuori dell'impugnazione tipica e del procedimento che ad essa consegue, la medesima esigenza, invece, non si riscontra allorché l'esecuzione forzata sia basata su un titolo di natura contrattuale: in tal caso, pertanto, il debitore può contrastare la pretesa esecutiva del creditore con la stessa pienezza dei mezzi di difesa consentita nei confronti di una domanda di condanna o di accertamento del debito, e il giudice dell'opposizione può rilevare d'ufficio non solo l'inesistenza, ma anche la nullità del titolo esecutivo nel suo complesso o in singole sue parti, non vigendo in materia il principio processuale della conversione dei vizi della sentenza in mezzi di impugnazione.

Cass. civ. n. 18110/2011

Nelle opposizioni esecutive il litisconsorzio processuale è necessario coi creditori che rivestano la qualità di procedente o di interventore al momento in cui la singola opposizione sia instaurata, non rilevando a tal fine gli interventi successivamente dispiegati. Tuttavia, la parte che eccepisce la non integrità del contraddittorio ha l'onere non soltanto di indicare le persone che debbano partecipare al giudizio quali litisconsorti necessari e di provarne l'esistenza, ma anche quello di indicare gli atti del processo di merito dai quali dovrebbe trarsi la prova dei presupposti di fatto che giustificano la sua eccezione. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che tale duplice indicazione non fosse stata operata, non potendosi pertanto provvedere sull'eccezione di non integrità del contraddittorio, attesa soprattutto la necessità di verificare che la lamentata pretermissione si fosse verificata con riferimento a creditori che avevano assunto la qualità di intervenuti prima dell'instaurazione del giudizio di opposizione).

Cass. civ. n. 17795/2011

La solidarietà passiva dei confideiussori non determina, nell'opposizione a precetto intimato contro uno di essi, la necessità dell'integrazione del contraddittorio, avendo il creditore la possibilità di richiedere il pagamento dell'intero anche ad uno solo dei fideiussori. Ne consegue che il giudizio d'appello, trattandosi di causa scindibile, può legittimamente proseguire senza dover chiamare in causa tutti i fideiussori, dovendosi escludere la configurabilità di un litisconsorzio necessario sia sostanziale che processuale.

Cass. civ. n. 16610/2011

L'opposizione all'esecuzione a norma dell'art. 615 c.p.c. si configura come accertamento negativo della pretesa esecutiva del creditore procedente che va condotto sulla base dei motivi di opposizione proposti, che non possono essere modificati dall'opponente nel corso del giudizio. L'esistenza del titolo esecutivo con i requisiti prescritti dall'art. 474 c.p.c. costituisce, peraltro, presupposto indefettibile per dichiarare il diritto a procedere all'esecuzione. Ne consegue che il giudice dell'esecuzione ha il potere-dovere - con accertamento che esaurisce la sua efficacia nel processo esecutivo in quanto funzionale all'emissione di un atto esecutivo e non alla risoluzione di una controversia nell'ambito di un ordinario giudizio di cognizione - di verificare l'idoneità del titolo e di controllare la correttezza della quantificazione del credito operata dal creditore nel precetto, mentre in sede di opposizione l'accertamento dell'idoneità del titolo ha natura preliminare per la decisione dei motivi proposti anche se questi non investano direttamente tale questione.

Cass. civ. n. 9698/2011

In tema di qualificazione giuridica dei rimedi oppositivi all'esecuzione forzata, la negazione, da parte dell'intimato, della spettanza di una o più dei crediti indicati nel precetto integra la contestazione, sia pure in ordine al "quantum" ed in "parte qua", del diritto del creditore ad agire in via esecutiva. Tale azione, pertanto, può essere qualificata esclusivamente come opposizione all'esecuzione, con conseguente inapplicabilità di termini decadenziali di proposizione.

Cass. civ. n. 3688/2011

Il giudizio di opposizione all'esecuzione non è soggetto alla sospensione feriale dei termini, nemmeno quando l'opposto abbia formulato una domanda riconvenzionale subordinata finalizzata ad ottenere, nel caso di accoglimento dell'opposizione, la condanna del debitore opponente al medesimo credito portato dal titolo esecutivo, se tale domanda non sia stata presa in esame dal giudice a causa del rigetto dell'opposizione.

Cass. civ. n. 3056/2011

L'impugnazione proposta dal solo cessionario del credito senza estendere il contraddittorio anche al cedente, in giudizio di opposizione all'esecuzione, è valida quando quest'ultimo non abbia impugnato la decisione e le controparti, senza formulare eccezioni sul punto o domande nei confronti del cedente stesso, abbiano accettato il contraddittorio nei confronti del solo cessionario, configurandosi in tal modo di fatto l'estromissione prevista dall'art. 111 terzo comma cod.proc. civ. e venendo meno, anche prima di una formale dichiarazione in tal senso, la qualità di litisconsorte necessario del cedente.

Cass. civ. n. 1328/2011

Nel giudizio di opposizione all'esecuzione ex art. 615 c.p.c., l'opponente ha veste sostanziale e processuale di attore; pertanto, le eventuali "eccezioni" da lui sollevate per contrastare il diritto del creditore a procedere ad esecuzione forzata costituiscono "causa petendi" della domanda proposta con il ricorso in opposizione e sono soggette al regime sostanziale e processuale della domanda. Ne consegue che l'opponente non può mutare la domanda modificando le eccezioni che ne costituiscono il fondamento, né il giudice può accogliere l'opposizione per motivi che costituiscono un mutamento di quelli espressi nel ricorso introduttivo, ancorché si tratti di eccezioni rilevabili d'ufficio. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva considerato tardiva l'eccezione di impignorabilità dei beni formulata dall'opponente in comparsa conclusionale, mentre la norma di legge che sanciva tale impignorabilità era già entrata in vigore al momento della proposizione dell'opposizione).

Cass. civ. n. 1152/2011

A norma dell'art. 616 c.p.c. - nel testo sostituito dall'art. 14 della legge 24 febbraio 2006, n. 52 e sul punto rimasto immutato dopo la modifica operata dalla legge 18 luglio 2009, n. 69 -, l'introduzione del giudizio di merito nel termine perentorio fissato dal giudice dell'esecuzione, all'esito dell'esaurimento della fase sommaria di cui all'art. 615, secondo comma, c.p.c., deve avvenire con la forma dell'atto introduttivo richiesta in riferimento al rito con cui l'opposizione deve essere trattata quanto alla fase di cognizione piena; pertanto, se tale causa è soggetta al rito ordinario, detto giudizio di merito va introdotto con citazione da notificare alla controparte entro il termine perentorio fissato dal giudice, mentre l'eventuale concessione di un ulteriore termine per tale notifica o una nuova citazione ad iniziativa spontanea della parte sono ammissibili solo a condizione che, in relazione all'udienza di comparizione indicata dal giudice o indicata nel nuovo atto di citazione, venga rispettato il termine perentorio a suo tempo fissato dal giudice dell'esecuzione.

Cass. civ. n. 760/2011

L'interpretazione del titolo esecutivo da parte del giudice dell'esecuzione si risolve in un apprezzamento di fatto, incensurabile in sede di legittimità, anche quando non derivi da una pronuncia passata in giudicato ma consista nella statuizione sulle spese di lite contenuta in un provvedimento cautelare (nella specie di rigetto), trattandosi comunque di un titolo di formazione giudiziale contenuto in un provvedimento emesso in un procedimento contenzioso.

Cass. civ. n. 517/2011

La vendita forzata trasferisce all'acquirente, ai sensi dell'art. 2919 c.c., tutti e solo i diritti già spettanti sulla cosa al debitore che ha subito l'espropriazione, mentre la tutela dei diritti che i terzi vantino sul medesimo bene (nella specie, sulla quota di un immobile già oggetto di comunione legale tra il debitore esecutato ed il terzo estraneo alla procedura) si realizza nel caso, come nella specie, di terzo altresì nel possesso del bene ancora non consegnato anche mediante l'opposizione all'esecuzione forzata, ex art. 615 c.p.c., per far accertare in tale giudizio che il bene stesso non apparteneva (o non del tutto) al soggetto che ha subito l'espropriazione ma, in forza di titolo opponibile al creditore pignorante e agli intervenuti, apparteneva per intero o "pro quota" all'opponente, conseguendone, in caso di esito positivo, il difetto, in capo all'aggiudicatario del bene, del potere di procedere all'esecuzione.

Cass. civ. n. 13928/2010

Anche a seguito dell'intervento riformatore di cui alla legge 24 febbraio 2006, n. 52, il procedimento di opposizione agli atti esecutivi (come, del resto, quelli relativi alle altre opposizioni in materia esecutiva) è sottratto all'operatività della disciplina della sospensione dei termini durante il periodo feriale prevista dalla legge n. 742 del 1969, sia con riferimento alla fase sommaria che con riguardo alla fase a cognizione piena, senza che abbia alcun rilievo che la consecuzione di questa abbia luogo mediante un'attività di iscrizione a ruolo del relativo affare agli effetti del suo svolgimento.

Cass. civ. n. 9998/2010

In tema di sospensione dei termini processuali nel periodo feriale, anche a seguito della novella recata dalla legge 24 febbraio 2006, n. 52, la sospensione anzidetta continua a non trovare applicazione (art. 3 della legge 7 ottobre 1969, n. 742) a tutte le opposizioni in materia esecutiva, alla stregua della interpretazione dell'art. 92 del r.d. 30 gennaio 1941, n. 12 (richiamato dal predetto art. 3), al quale deve attribuirsi portata omnicomprensiva là dove dispone che detta sospensione non riguarda i "procedimenti di opposizione all'esecuzione", tra i quali resta incluso, pertanto, anche quello di opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c., la cui tipicità era apprezzabile anche nel regime previgente ed è stata soltanto ribadita dalla novella anzidetta.

Cass. civ. n. 23667/2009

L'inammissibilità delle opposizioni all'esecuzione e agli atti esecutivi, sancita dall'art. 57 del D.P.R. n. 602 del 1973, riguarda, secondo quanto disposto dall'art. art. 29 della L. n. 46 del 1999, soltanto le entrate tributarie, per le quali la tutela giudiziaria è affidata, ai sensi dell'art. 2 del D.L.vo n. 546 del 1992, alle Commissioni tributarie. Sono, quindi, esperibili i rimedi previsti dagli artt. 615 e ss. c.p.c. avverso una cartella esattoriale con cui si richiede il pagamento di sanzioni irrogate dal Garante per la concorrenza ed il mercato, in quanto si tratta di materia diversa da quelle per cui sussiste la giurisdizione del giudice tributario.

Cass. civ. n. 16369/2009

In tema di esecuzione forzata, il provvedimento che chiude il procedimento esecutivo, pur non avendo efficacia di giudicato, stante la mancanza di contenuto decisorio, è tuttavia caratterizzato da una definitività insita nella chiusura di un procedimento esplicato col rispetto delle forme atte a salvaguardare gli interessi delle parti, incompatibile con qualsiasi sua revocabilità, sussistendo un sistema di garanzie di legalità per la soluzione di eventuali contrasti, all'interno del processo esecutivo, desumibile dagli artt. 485, 512 e 615 c.p.c. Ne consegue che i motivi di nullità della procedura esecutiva debbono essere fatti valere con gli strumenti giuridici previsti dalla legge, nel procedimento di espropriazione forzata, restando preclusa, altrimenti, l'esperibilità di un'autonoma azione delle parti interessate mediante separato giudizio.

Cass. civ. n. 10296/2009

Posto che la differenza fra opposizione all'esecuzione ed opposizione agli atti esecutivi deve essere individuata nel fatto che la prima investe l'"an" dell'azione esecutiva, cioè il diritto della parte istante a promuovere l'esecuzione sia in via assoluta che relativa, mentre la seconda attiene al "quomodo" dell'azione stessa e concerne, quindi, la regolarità formale del titolo esecutivo o del precetto ovvero dei singoli atti di esecuzione senza riguardare il potere dell'istante ad agire "in executivis", l'opposizione al precetto basata sulla mancata specificazione della somma dovuta, senza alcuna contestazione del diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata per difetto originario o sopravvenuto del titolo e per altra ragione di merito ostativa alla minacciata esecuzione, attiene alle modalità di redazione del precetto e, quindi, alla regolarità formale dell'atto, con la sua conseguente configurabilità come opposizione agli atti esecutivi.

Cass. civ. n. 9784/2009

Il valore delle cause di opposizione a precetto va determinato, ai sensi dell'articolo 17, primo comma, c.p.c., con riferimento alla somma precettata nella sua interezza, che è il credito per cui esecutivamente si procede. (Nella fattispecie, relativa ad una opposizione a precetto fondato su titoli - un decreto ex art. 342 ter c.c. e un'ordinanza ex art. 708, terzo comma, c.p.c. - emessi in un giudizio, non ancora definito, di separazione tra coniugi, la S.C. ha dichiarato la competenza del giudice di pace e cassato la sentenza con cui il primo giudice aveva erroneamente negato la sua competenza applicando il criterio di determinazione del valore previsto dall'art. 13, primo comma, c.p.c., con riferimento all'importo dell'assegno mensile considerato per due anni).

Cass. civ. n. 7360/2009

L'opposizione proposta dalla P.A. avverso il precetto intimato prima del decorso del termine, previsto dall'art. 14 d.l. 31 dicembre 1996 n. 669 (convertito in legge 28 febbraio 1997 n. 30), così come modificato dall'art. 147 della legge n. 388 del 2000, di centoventi giorni dalla notificazione del titolo esecutivo, deve qualificarsi come opposizione all'esecuzione e non come opposizione agli atti esecutivi. La disposizione citata pone infatti un intervallo tra la notifica del titolo esecutivo e quella del precetto, prima del quale l'esecuzione forzata non può essere intrapresa: pertanto, il decorso del termine legale diviene condizione di efficacia del titolo esecutivo, la cui inosservanza, per l'inscindibile dipendenza del precetto dall'efficacia esecutiva del titolo che con esso si fa valere, rende nullo il precetto intempestivamente intimato, con la conseguenza che la relativa opposizione si traduce in una contestazione del diritto di procedere all'esecuzione forzata e integra un'opposizione all'esecuzione ai sensi dell'art. 615, comma primo cod. proc. civ., non concernendo solo le modalità temporali dell'esecuzione forzata.

Cass. civ. n. 5396/2009

Quando nel giudizio di opposizione all'esecuzione sia eccepito dal debitore esecutato un controcredito ed esso sia contestato dal creditore procedente, se il valore del controcredito non eccede quello del credito per cui si procede, il cumulo di cause (quella di opposizione e quella di accertamento del controcredito) non resta soggetto alla sospensione dei termini per il periodo feriale, mentre, se il controcredito sia eccedente, opera la sospensione cui è soggetta la causa di opposizione all'esecuzione,

Cass. civ. n. 475/2009

L'impugnazione di un provvedimento giurisdizionale deve essere proposta nelle forme ed entro i termini previsti dalla legge rispetto alla domanda così come qualificata dal giudice, anche nell'ipotesi in cui l'impugnante intenda allegare l'erroneità di tale qualificazione. Ne consegue che ove il tribunale qualifichi come opposizione all'esecuzione ex art. 615 cod. proc. civ. l'impugnazione del precetto fondato su un lodo arbitrale, il termine per appellare la relativa sentenza non è soggetto alla sospensione feriale di cui alla legge 7 ottobre 1969 n. 742.

Cass. civ. n. 24752/2008

Il potere di cognizione del giudice dell'opposizione all'esecuzione è limitato all'accertamento della portata esecutiva del titolo posto a fondamento dell'esecuzione stessa, mentre le eventuali ragioni di merito incidenti sulla formazione del titolo devono essere fatte valere unicamente tramite l'impugnazione della sentenza che costituisce il titolo medesimo (come, nella specie, il prospettato obbligo dell'assicuratore di pagare, indipendentemente dalla sua mala gestio, il danno da sinistro stradale per l'intero, senza il limite del massimale, quale soggetto anticipatario, per la parte eccedente, dell'obbligo risarcitorio del danneggiante).

Cass. civ. n. 23847/2008

L'omesso rilievo, nella sentenza che decide sull'opposizione esecutiva, dell'erronea qualificazione, da parte del ricorrente, dell'opposizione proposta come opposizione agli atti esecutivi e non come opposizione all'esecuzione (nella specie per avere il ricorrente contestato il diritto del creditore procedente ad introdurre nei suoi confronti un secondo procedimento esecutivo quale esatto duplicato di altro precedentemente introdotto), integra un vizio di violazione di norme sul procedimento, decisivo soltanto nei limiti in cui comporti concrete conseguenze sul contenuto della decisione, per aver impedito l'esame nel merito della domanda, ma non quando il merito sia stato esaminato e la relativa decisione sia conforme a diritto. (Nella specie, la S.C. ha escluso la rilevanza dell'omissione, per avere la sentenza affrontato e risolto con logica ed adeguata motivazione il merito dell'opposizione, evidenziando la sostanziale legittimità di più pignoramenti gravanti sugli stessi beni).

Cass. civ. n. 22402/2008

Il potere di cognizione del giudice dell'opposizione all'esecuzione è limitato all'accertamento della portata esecutiva del titolo posto a fondamento dell'esecuzione stessa, mentre le eventuali ragioni di merito incidenti sulla formazione del titolo devono essere fatte valere unicamente tramite l'impugnazione della sentenza che costituisce il titolo medesimo (come, nella specie, il prospettato obbligo dell'assicuratore di pagare, indipendentemente dalla sua mala gestio, il danno da sinistro stradale per l'intero, senza il limite del massimale, quale soggetto anticipatario, per la parte eccedente, dell'obbligo risarcitorio del danneggiante).

Nel giudizio di opposizione all'esecuzione è possibile contestare solo la regolarità formale o l'esistenza del titolo esecutivo giudiziale, ma non il suo contenuto decisorio. La violazione di tale regola da parte dell'opponente costituisce causa di inammissibilità, e non di infondatezza, dell'opposizione, e come tale è rilevabile d'ufficio dal giudice anche in grado d'appello.

Cass. civ. n. 10676/2008

Il giudice dell'opposizione all'esecuzione, ove ritenga che la corretta interpretazione del titolo esecutivo giudiziale comporti la riduzione della pretesa azionata in executivis dal creditore, non può pronunciare una sentenza di condanna del debitore al pagamento della minor somma così determinata, perché in questo caso si duplicherebbe il titolo esecutivo, ma deve limitarsi ad accertare quale sia l'esatto ambito oggettivo e soggettivo del suddetto titolo e, conseguentemente, pronunciarsi sulla legittimità o meno dell'esecuzione già intrapresa, configurandosi, per l'appunto, siffatto giudizio come causa di accertamento negativo, totale o parziale, dell'azione esecutiva esercitata.

Cass. civ. n. 13069/2007

La denuncia dell'errata apposizione della formula esecutiva configura opposizione agli atti esecutivi allorquando si faccia riferimento solo alla correttezza della spedizione del titolo in forma esecutiva (di cui non si ponga in dubbio l'esistenza), richiesta dall'art. 475 c.p.c., poiché in tal caso l'indebita apposizione della formula può concretarsi in una irregolarità del procedimento esecutivo o risolversi in una contestazione della regolarità del precetto ai sensi del primo comma dell'art. 617 c.p.c. Viceversa, allorché la denuncia sia motivata dalla contestazione dell'inesistenza del titolo esecutivo ovvero dalla mancata soddisfazione delle condizioni perché l'atto acquisti l'efficacia di titolo esecutivo (come, ad esempio, quando si deduca la mancanza della prestazione della cauzione), l'opposizione deve qualificarsi come opposizione all'esecuzione ai sensi dell'art. 615 c.p.c.

Cass. civ. n. 9912/2007

La compensazione, quale fatto estintivo dell'obbligazione, può essere dedotta come motivo di opposizione all'esecuzione forzata, fondata su titolo esecutivo giudiziale coperto dalla cosa giudicata, qualora il credito fatto valere in compensazione, rispetto a quello per cui si procede, sia sorto successivamente alla formazione di quel titolo, mentre in caso contrario resta preclusa dalla cosa giudicata, che impedisce la proposizione di fatti estintivi od impeditivi ad essa contrari; nè ha alcun rilievo il fatto che anche il credito del debitore esecutato sia assistito da titolo esecutivo giudiziale, quest'ultimo non privando di efficacia esecutiva il titolo del creditore esecutante in quanto non vale a estinguerne il credito.

Cass. civ. n. 8061/2007

Ai fini della legittimità dell'esecuzione forzata, è sufficiente che il titolo esecutivo sussista quando l'azione esecutiva è minacciata o iniziata e che la sua validità ed efficacia permangano durante tutto il corso della fase esecutiva, sino al suo termine finale. Ne consegue che, così come è inammissibile per tardività una opposizione ex art. 615 c.p.c. proposta dopo il materiale compimento dell'esecuzione forzata, allo stesso modo non è possibile travolgere gli atti di una procedura esecutiva assistiti sino al suo termine finale da valido titolo esecutivo e rispetto alla quale la successiva caducazione del titolo esecutivo non può avere valenza retroattiva per inferirne la invalidità di una procedura legittimamente iniziata e portata a definitivo compimento (fattispecie in cui l'azione esecutiva era stata iniziata ed ultimata sulla base di un decreto ingiuntivo revocato dopo che l'esecuzione era stata completata).

Cass. civ. n. 6940/2007

Nelle cause e nei procedimenti indicati dagli artt. 1 e 3 della legge 7 ottobre 1969, n. 742, e dell'art. 92 dell'ordinamento giudiziario non si applica la sospensione feriale dei termini processuali, al fine di assicurare ad esse una decisione celere, senza tener conto delle articolazioni assunte dai procedimenti nelle varie fasi del giudizio: pertanto, la causa di opposizione agli atti esecutivi si sottrae alla sospensione dei termini anche quando unica questione controversa sia quella dell'attribuzione delle spese al procuratore anticipatario.

Cass. civ. n. 977/2007

La ditta individuale coincide con la persona fisica titolare di essa e, perciò, non costituisce un soggetto giuridico autonomo, sia sotto l'aspetto sostanziale che sotto quello processuale, senza che, perciò, nell'ambito delle opposizioni esecutive proposte dalla ditta individuale, possa ritenersi configurabile un'ipotesi di litisconsorzio necessario nei confronti del titolare di essa. (Nella specie, la S.C., alla stregua dell'enunciato principio, ha cassato con rinvio l'impugnata sentenza con la quale era stata dichiarata la nullità della sentenza di primo grado sull'erroneo presupposto della violazione dell'art. 102 c.p.c. per mancata partecipazione del titolare di una ditta individuale, ritenuto quale litisconsorte necessario in un giudizio di opposizione all'esecuzione avverso un preavviso di rilascio intentato dalla stessa ditta, dovendo, in contrario, rilevarsi che la decisione del primo giudice era, in effetti, da ritenersi emessa nei confronti del suo titolare).

Cass. civ. n. 20634/2006

La sopravvenienza, successivamente alla proposizione dell'opposizione al precetto, delle condizioni di esistenza della pretesa esecutiva non può essere presa in considerazione dal giudice dell'opposizione perché non rilevante al fine di decidere la domanda e, quindi, per statuire sul diritto che ne è oggetto, che è quello di veder acclarato, con un accertamento negativo, che al momento della notificazione del precetto non vi erano le condizioni di esistenza della pretesa esecutiva. Ne consegue che l'eventuale sopravvenienza delle condizioni dell'azione esecutiva non può configurarsi come un fatto principale e, quindi, come un'eccezione, rispetto ai fatti costituivi della domanda proposta con l'opposizione.

Cass. civ. n. 8928/2006

Con l'opposizione avverso l'esecuzione fondata su titolo giudiziale, il debitore non può sollevare eccezioni inerenti a fatti estintivi od impeditivi anteriori a quel titolo, i quali sono deducibili esclusivamente nel procedimento preordinato alla formazione del titolo medesimo. Qualora, a seguito della parziale riduzione della condanna emessa in primo grado, come effetto del giudicato emerga quale fatto impeditivo il diritto alla restituzione di una parte di quanto pagato in esecuzione della prima pronunzia, la rilevanza di esso in sede di opposizione all'esecuzione non è esclusa, ancorché tale fatto non sia stato fatto valere mediante una domanda tesa alla ripetizione di quanto pagato oltre il dovuto. (Nella specie l'opponente era stato condannato da un lodo arbitrale al pagamento di una somma e aveva effettuato il pagamento di oltre settecento milioni di lire al fine di ottenere la sospensione della esecutività del lodo; in sede di appello, a seguito della declaratoria di nullità parziale del lodo, la somma dovuta era stata ridotta a poco più di cinquecento milioni di lire; la S.C., nel confermare la sentenza del giudice di merito che aveva accolto l'opposizione all'esecuzione immobiliare proposta dal debitore, ha precisato che la ripetibilità della somma versata in eccedenza poteva essere fatta valere in sede di opposizione all'esecuzione del titolo sostitutivo del lodo).

Cass. civ. n. 5684/2006

Nelle controversie relative ad opposizione all'esecuzione non trova applicazione la sospensione feriale dei termini processuali, sicché, qualora sia stato proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza di rigetto di una opposizione all'esecuzione, il controricorso deve essere notificato, a pena di inammissibilità, entro il termine di cui all'art. 370 c.p.c., senza che si applichi la sospensione indicata dall'art. 1 della legge 7 ottobre 1969, n. 742

Cass. civ. n. 4507/2006

In tema di esecuzione mobiliare, la tutela cognitoria data dall'opposizione all'esecuzione e la connessa tutela cautelare data dalla sospensione del processo esecutivo sono esperibili sino a quando il processo esecutivo non si chiuda, il che, nell'espropriazione forzata di crediti, avviene con l'emissione dell'ordinanza di assegnazione. Detto atto è suscettibile di opposizione agli atti esecutivi, ma soltanto per vizi suoi propri, restando escluso che il debitore, il quale non si sia tempestivamente avvalso dello specifico mezzo dell'opposizione all'esecuzione, possa far valere il suo diritto con il diverso strumento dell'opposizione agli atti esecutivi. (Fattispecie relativa a opposizione agli atti esecutivi proposta da P.A. — Università — sottoposta a esecuzione in relazione a debito condominiale, senza aver ricevuto preventiva notifica del titolo esecutivo, avendo il creditore notificato il decreto ingiuntivo divenuto esecutivo al solo condominio debitore).

Cass. civ. n. 1331/2006

La sospensione feriale dei termini processuali, prevista dall'art. 1 della legge n. 742 del 1969, non si applica ai giudizi in materia di opposizione all'esecuzione forzata, nozione da intendere nel senso più ampio, come categoria nella quale sono ricomprese anche le opposizioni relative alla distribuzione della somma ricavata.

Cass. civ. n. 21841/2005

L'opposizione avverso la cartella esattoriale rivolta alla riscossione delle spese di custodia liquidate dal giudice dell'esecuzione penale in favore del custode di un autoveicolo sequestrato e successivamente confiscato dal giudice penale deve essere proposta nelle forme degli artt. 615 e 617 c.p.c. dinanzi al giudice competente, che, a seguito della soppressione dell'ufficio del pretore, è il tribunale in composizione monocratica e non il giudice di pace.

Cass. civ. n. 18356/2005

Con riferimento al gravame esperibile avverso un provvedimento giurisdizionale, l'individuazione deve essere fatta sulla base della qualificazione dell'azione compiuta dal giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, con la conseguenza che, nel caso di opposizione di terzo all'esecuzione, ai fini dell'impugnazione non si applica la sospensione dei termini processuali in periodo feriale.

Cass. civ. n. 18355/2005

Proposta opposizione avverso il precetto intimato sulla base di sentenza penale di condanna al pagamento di una provvisionale sprovvista di clausola di provvisoria esecuzione, è irrilevante la sopravvenuta esecutività, nel corso del giudizio di opposizione, della sentenza penale, atteso che non viene meno l'interesse alla prosecuzione del giudizio di opposizione, che è dotato di autonoma rilevanza ed implica l'accertamento dell'esistenza del titolo esecutivo all'atto dell'intimazione del precetto.

Cass. civ. n. 15036/2005

Il socio accomandatario, al quale sia intimato precetto di pagamento di un debito della società in accomandita semplice, può proporre opposizione a norma dell'art. 615 c.p.c. per fare valere il beneficio di preventiva escussione della società non appena gli sia notificato il precetto senza dovere attendere il pignoramento

Cass. civ. n. 14582/2005

In tema di opposizione all'esecuzione, ravvisabile anche nell'ipotesi in cui le contestazioni sollevate dall'opponente, pur concernendo il quomodo dell'azione esecutiva, investano l'an della stessa, nel senso che il debitore abbia fatto valere l'impossibilità giuridica o di fatto di procedere ad esecuzione forzata secondo le modalità concretamente prospettate, non è ammissibile una tesi difensiva dell'opponente fondata su un diritto non ancora costituito. (Nella specie, il proprietario di un edificio si era opposto all'esecuzione della sentenza di condanna alla rimozione di una condotta fognaria da lui costruita su un fondo confinante, facendo valere l'interclusione del proprio fondo, e quindi la possibilità di ottenere la costituzione di una servitù coattiva: la S.C., in applicazione del predetto principio, ha cassato la sentenza impugnata, che aveva qualificato la domanda come opposizione agli atti esecutivi e l'aveva dichiarata inammissibile in quanto tardiva, e, pronunciando nel merito, l'ha rigettata, rilevando che l'opponente non aveva chiesto la costituzione coattiva della servitù).

Cass. civ. n. 14106/2005

Nell'espropriazione presso terzi, il pignoramento impone al terzo di non compiere atti che determinino l'estinzione del credito o il suo trasferimento ad altri, sicché egli è interessato alle vicende processuali che riguardano la legittimità o validità del pignoramento in quanto possano comportare o meno la sua liberazione dal relativo vincolo. Ne deriva che nel giudizio di opposizione all'esecuzione o agli atti esecutivi il terzo pignorato non può in linea di principio ritenersi parte necessaria, perché per assumere tale qualità deve avere interesse all'accertamento della estinzione del suo debito — come nel caso in cui egli abbia soddisfatto il suo creditore prima della notifica del pignoramento e della opposizione agli atti esecutivi proposta dal creditore procedente avverso l'ordinanza del giudice dell'esecuzione che abbia respinto l'istanza di assegnazione del credito ed il terzo invochi l'inoppugnabilità di detta ordinanza — per non esser costretto a pagare di nuovo al creditore, mentre non può assumere la posizione di parte in relazione alla sua qualità di custode, ancorché interessato alle vicende del processo per adeguarvi il suo comportamento (e cioè pagare al suo creditore a processo estinto, ovvero al creditore indicato nell'ordinanza di assegnazione, se non ne è stata sospesa l'efficacia a seguito dell'opposizione).

Cass. civ. n. 2279/2005

Il terzo detentore di bene immobile per un titolo derivato da colui nei cui confronti il proprietario ha ottenuto, per occupazione abusiva, una sentenza di condanna al rilascio, può opporsi all'esecuzione, ai sensi dell'art. 615 c.p.c., ove sostenga di detenere l'immobile in virtù di un titolo autonomo, come tale non pregiudicato da detta sentenza.

Cass. civ. n. 841/2005

La competenza territoriale a decidere l'opposizione all'esecuzione, proposta prima dell'inizio di essa (art. 615, primo comma, c.p.c.), preannunciata in base a titolo giudiziale su una controversia concernente un rapporto di collaborazione di cui all'art. 409, n. 3, c.p.c., spetta esclusivamente al giudice nella cui circoscrizione si trova, o si trovava al momento della cessazione del rapporto, il domicilio del lavoratore, come stabilito dal quarto comma dell'art. 413 c.p.c. (nel testo introdotto dall'art. 1 della legge 11 febbraio 1992 n. 128, ispirato ad esigenze di tutela del medesimo). Infatti, nel caso di rapporto di lavoro già cessato al momento dell'instaurazione dell'opposizione, deve escludersi il domicilio del lavoratore a tale tempo, altrimenti sarebbe consentito a costui - in contrasto con l'art. 25, primo comma, Costituzione - di scegliersi il giudice competente, trasferendo preventivamente il proprio domicilio.

Cass. civ. n. 22430/2004

Il giudice dell'opposizione all'esecuzione è tenuto a compiere d'ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, ed anche per la prima volta nel giudizio di cassazione, la verifica sulla esistenza del titolo esecutivo posto alla base dell'azione esecutiva, potendo rilevare sia l'inesistenza originaria del titolo esecutivo sia la sua sopravvenuta caducazione, che entrambe — determinano l'illegittimità dell'esecuzione forzata con effetto ex tunc, in quanto l'esistenza di un valido titolo esecutivo costituisce presupposto dell'azione esecutiva stessa. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito emessa nel giudizio di opposizione all'esecuzione che, a fronte di una esecuzione promossa sulla base di un decreto ingiuntivo e della definizione del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo con pronuncia di cessazione della materia del contendere, aveva dato atto del venir meno del titolo esecutivo sulla base del quale si era intrapresa l'esecuzione).

Cass. civ. n. 14601/2004

La sospensione dei termini processuali in periodo feriale indicata dall'art. 1 della legge 7 ottobre 1969, n. 742 non si applica ai procedimenti di opposizione all'esecuzione, come stabilito dall'art. 92 del R.D. 30 gennaio 1941, n. 12 (ordinamento giudiziario), a quelli di opposizione agli atti esecutivi e di opposizione di terzo all'esecuzione, di cui agli artt. 615, 617 e 619 c.p.c., ed a quelli di accertamento dell'obbligo del terzo di cui all'art. 548 dello stesso codice; tale esclusione non è posta nell'interesse particolare del debitore esecutato, ma risponde alla finalità della pronta definizione della causa di opposizione, e, quindi, alla pronta realizzazione dei crediti, restando perciò irrilevante (ai fini dell'operatività di detta esclusione) che l'esecuzione sia stata o meno portata a compimento, perdurando le cause di opposizione che costituiscono fattori di ritardo nella definizione della procedura esecutiva.

Cass. civ. n. 11449/2003

Ove nel giudizio di opposizione all'esecuzione il debitore opponente, minacciato col precetto, deduca un suo credito, di entità superiore a quella del debito opposto, non soltanto al fine di impedire e paralizzare l'esecuzione in suo danno, ma anche allo scopo di ottenere la condanna dell'opposto al pagamento della differenza, tale domanda è ammissibile, salvo poi eventualmente a stabilire da parte del giudice dell'esecuzione che, essendo il maggior credito dedotto in compensazione di non pronta e facile liquidazione, il processo esecutivo non possa essere sospeso.

Cass. civ. n. 9394/2003

In tema di procedimento di esecuzione, non è configurabile un tertium genus oltre ai rimedi dell'opposizione all'esecuzione e dell'opposizione agli atti esecutivi, essendo questi ultimi tipici e completi per il sistema processuale della tutela creditoria in executivis. (Nell'affermare il suindicato principio, la S.C. ha rigettato la tesi del ricorrente volta ad accreditare la configurabilità di una opposizione agli atti esecutivi «atipica», ontologicamente diversa da quella ex art. 617 c.p.c. là dove svincolata dai termini di decadenza ivi previsti).

Cass. civ. n. 6448/2003

In tema dì riscossione coattiva delle entrate patrimoniali, la notificazione dell'ingiunzione di pagamento, che nell'esecuzione speciale disciplinata dal R.D. n. 639 del 1910 costituisce (anche) il titolo esecutivo, assolve a funzione non diversa da quella della notificazione del titolo esecutivo ex art. 479 c.p.c., sicché la sua mancanza di fatto o inesistenza giuridica determina (in relazione al profilo considerato) la nullità del pignoramento, da denunciarsi con opposizione agli atti esecutivi, nei cinque giorni successivi a quello del relativo compimento.

Cass. civ. n. 5507/2003

In caso di costituzione di ipoteca a favore di un debito altrui, se il terzo datore di ipoteca aliena i beni sui quali grava la garanzia reale, l'opposizione da lui proposta avverso il precetto notificatogli nella qualità di terzo datore di ipoteca, volta a far accertare di non essere obbligato al pagamento della somma indicata nel precetto, va dichiarata inammissibile per difetto di interesse se dal precetto non si evince l'intenzione del creditore di procedere ad esecuzione coattiva nei suoi confronti in relazione a beni diversi da quelli ipotecati, in quanto l'espropriazione non potrà che cadere sul bene ipotecato, ed a subirla non sarà il terzo datore di ipoteca, alienante, ma l'acquirente del bene ipotecato.

Cass. civ. n. 5368/2003

Il soggetto contro il quale è iniziata un'esecuzione forzata, anche se terzo pignorato, può, ai sensi degli artt. 615 e 617 c.c., sia contestare il diritto della parte istante a procedere a tale esecuzione sia far valere la nullità degli atti con cui è stata iniziata o che l'hanno preceduta.

Cass. civ. n. 4379/2003

L'opposizione all'esecuzione in corso si propone (art. 615, secondo comma) con ricorso al giudice dell'esecuzione (qualora non sia proposta oralmente in una udienza del processo esecutivo) e va, in tal caso, notificata al creditore procedente insieme con il decreto del giudice dell'esecuzione che fissi l'udienza per la comparizione delle parti dinanzi a sé (e ciò nel termine perentorio che il giudice dell'esecuzione abbia stabilito), notificazione che ben può avere, come destinatario, il difensore del creditore procedente cui questi abbia conferito procura, atteso che, in difetto di limitazioni, tale atto abilita il difensore stesso a rappresentare la parte anche nei giudizi di opposizione. Ne consegue che, qualora il creditore procedente abbia azionato il processo esecutivo (mercé notificazione del precetto) dichiarandosi difensore di sé stesso — e stante, per l'effetto, la coincidenza tra parte e difensore — non si pone alcuna questione se il ricorso debba essere notificato alla parte personalmente, ovvero possa esserlo al suo procuratore, trattandosi, in tal caso, di notificare, puramente e semplicemente (come accaduto nella specie), il ricorso alla parte.

Cass. civ. n. 3477/2003

Nel giudizio di opposizione all'esecuzione ex art. 615 c.p.c., l'opponente ha veste sostanziale e processuale di attore, pertanto le eventuali «eccezioni» da lui sollevate per contrastare il diritto del creditore a procedere ad esecuzione forzata costituiscono causa petendi della domanda proposta con il ricorso in opposizione e sono soggette al regime sostanziale e processuale della domanda. Ne consegue che l'opponente non può mutare la domanda modificando le eccezioni che ne costituiscono il fondamento, né il giudice può accogliere l'opposizione per motivi che costituiscono un mutamento di quelli espressi nel ricorso introduttivo, ancorché si tratti di eccezioni rilevabili d'ufficio (nella specie l'opponente non aveva addotto la formazione di giudicati a lui favorevoli e contrastanti con le ingiunzioni azionate nei suoi confronti, né aveva offerto in comunicazione i documenti idonei al rilievo ex officio di questi giudicati, producendo le relative sentenze dopo alcuni anni dal loro deposito).

Cass. civ. n. 571/2003

Il giudizio di opposizione all'esecuzione a processo esecutivo iniziato, è ritualmente introdotto anche oralmente in istanza, ed anche — perciò — se il relativo ricorso non sia stato notificato personalmente alla parte ed il creditore ne abbia avuto conoscenza attraverso il suo procuratore; ciò sia in quanto l'opposizione può essere proposta senza l'osservanza della forma stabilita dall'art. 615, c.p.c. — quando tra le parti si è instaurato il contraddittorio sull'oggetto dell'opposizione e la parte contro cui è proposta è stata messa in condizione di difendersi — sia in quanto essa introduce un giudizio su di una questione incidentale, cosicché il potere di rappresentanza attribuito dal creditore procedente al difensore, in mancanza di limitazione, lo abilita a rappresentarla anche in questo giudizio di cognizione ed a ricevere per la stessa l'atto che lo instaura. (Nella specie, concernente un'espropriazione presso terzi, l'opposizione era stata proposta oralmente all'udienza fissata per la dichiarazione del terzo nella quale era presente il procuratore costituito per il creditore procedente, che aveva preso cognizione dei motivi dell'opposizione e del provvedimento con il quale l'opponente era stato invitato a formalizzare l'opposizione previa iscrizione a ruolo ed era stata altresì fissata l'udienza per la trattazione).

Cass. civ. n. 13757/2002

In materia di procedimento civile esecutivo, in caso di opposizione all'esecuzione già iniziata, il giudice (nel caso, il giudice di pace) individuato come competente per valore ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 615 e 17 c.p.c., è competente a decidere anche il merito della controversia; in quanto giudice dell'opposizione e non dell'esecuzione, esso è viceversa incompetente a decidere le domande di assegnazione o di restituzione.

Cass. civ. n. 11995/2002

Nella ipotesi di opposizione alla esecuzione proposto dopo che questa sia iniziata, ai sensi del secondo comma dell'art. 615 c.p.c., il giudice dell'esecuzione, se la causa non rientra nella competenza per valore dell'ufficio giudiziario al quale appartiene, è competente limitatamente alla prima fase, e cioè per l'esercizio dei poteri ordinatori di direzione del processo, dovendo invece rimettere la cognizione del merito al giudice competente, e, ove si tratti di rapporto la cui cognizione sia riservata al giudice del lavoro, a quest'ultimo giudice.

Cass. civ. n. 11659/2002

Qualora l'opposizione all'esecuzione sia proposta nel corso dell'udienza del procedimento esecutivo, non è necessaria la notifica del decreto di cui all'art. 615, secondo comma, c.p.c., atteso che il contraddittorio è ritualmente instaurato con la conoscenza dell'udienza di comparizione da parte del difensore del creditore procedente presente o, in sua assenza, dalla comunicazione da parte della cancelleria.

Cass. civ. n. 10569/2002

La consegna al destinatario della notificazione di copia della sentenza in forma esecutiva priva della relazione peritale richiamata in dispositivo, quale parte integrante del provvedimento stesso per l'individuazione dell'oggetto della decisione, non dà luogo ad un vizio della notificazione, in quanto la notifica della sentenza in forma esecutiva è sufficiente a soddisfare il disposto dell'art. 479 c.p.c.

Cass. civ. n. 9211/2001

La parte obbligata sulla base di un titolo esecutivo, può proporre opposizione all'esecuzione per chiedere che sia accertato che l'altra non ha diritto a proseguire l'esecuzione forzata per avere, in pendenza del processo esecutivo, ceduto il diritto della cui esecuzione coattiva si tratta; la pronuncia può avere il solo contenuto di un accertamento negativo del diritto della parte istante a proseguire il processo, se il successore è intervenuto nel processo esecutivo per farlo proseguire o nel giudizio di opposizione dichiarando di volerlo proseguire, e, comunque, non ha l'effetto di togliere al successore il diritto di tornare ad iniziare il processo esecutivo sulla base dello stesso titolo, se in seguito lo voglia. (Sulla base di tali principi, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva escluso la legittimazione della parte esecutante a procedere all'esecuzione forzata per la demolizione di una canna fumaria, avendo venduto l'immobile, a tutela della cui proprietà era stata ordinata la demolizione ed avendo i nuovi titolari del bene manifestato la loro intenzione che il processo non proseguisse).

Cass. civ. n. 7784/2001

In forza del principio secondo il quale l'esecuzione forzata deve essere normalmente preceduta dalla notificazione del titolo in forma esecutiva e del precetto (art. 479 c.p.c.), il chiamato in garanzia, nei confronti del quale sia stata accolta la domanda di garanzia relativa a tutte le somme dovute dal convenuto garantito in relazione al titolo fatto valere, deve tenere indenne quest'ultimo anche dalle spese che il creditore abbia affrontato per ottenere la soddisfazione coattiva del credito (e che il debitore principale è tenuto a rimborsargli), a meno che egli non abbia direttamente adempiuto nei confronti del creditore stesso a mente dell'art. 1180 c.c. prima della notifica del precetto, ovvero non abbia tempestivamente fornito la provvista al garantito, così ponendolo in condizione di soddisfare il proprio creditore senza alcun onere economico, sicché non può dirsi viziata da ultrapetizione la sentenza che condanni il chiamato in garanzia a rimborsare al chiamante anche le spese del precetto (peraltro solo eventuali) che questi debba rimborsare al proprio creditore, quand'anche non esplicitamente richieste.

Cass. civ. n. 7399/2001

La competenza a decidere l'opposizione a precetto per il rilascio di un fondo rustico spetta alla sezione specializzata agraria se, in relazione ai motivi, è qualificabile come opposizione all'esecuzione; spetta invece al giudice dell'esecuzione se investe il quomodo dell'azione esecutiva, ed è quindi qualificabile come opposizione agli atti esecutivi, materia estranea a quella agraria, per cui non vi è ragione di attribuirla al giudice specializzato.

Cass. civ. n. 5685/2001

La contemporanea proposizione, con unico ricorso, di opposizione all'esecuzione e di opposizione agli atti esecutivi, non sposta la competenza funzionale del giudice dell'esecuzione. Ne consegue che l'opposizione proposta davanti al giudice dell'esecuzione che sia diretta contestualmente a negare sia la regolarità formale dell'atto, sia il diritto all'esecuzione, spetta per la prima parte, integrante opposizione agli atti esecutivi, alla competenza per materia del giudice dell'esecuzione, mentre resta soggetta, per la seconda parte, costituente opposizione all'esecuzione, ai comuni criteri di competenza per valore.

Cass. civ. n. 5077/2001

La denuncia dell'esistenza di un limite legale all'esercizio del diritto del creditore procedente di far espropriare i beni del debitore (nella specie, vincolo ex legge n. 230 del 1950) si configura come opposizione all'esecuzione, disciplinata dall'art. 615 c.p.c., in quanto essa è uno dei modi con i quali è svolta la contestazione del diritto del creditore di procedere all'esecuzione forzata. Detta opposizione, peraltro, può essere esperita senza alcun termine di preclusione fino a che non sia esaurito il processo esecutivo e cioè fino all'emissione dell'ordinanza di assegnazione con la distribuzione del ricavato. (Nella specie, la S.C. ha cassato la pronuncia di merito con la quale era stata dichiarata inammissibile la domanda proposta dall'E.R.S.A.P., rivolta a veder riconosciuta la non espropriabilità dei diritti degli assegnatari di terreni ex art. 14 legge n. 230 del 1950, in quanto opposizione tardiva agli atti esecutivi, rinviando al giudice del merito per l'applicazione del suddetto principio).

Cass. civ. n. 3400/2001

Secondo i principi generali regolanti la materia delle opposizioni in seno al processo esecutivo, mentre l'opposizione all'esecuzione investe l'an dell'azione esecutiva (e ciò sia quando risulti contestata l'esistenza o la validità del titolo, sia quando venga posta in discussione la legittimità del pignoramento di alcuni beni), la opposizione agli atti esecutivi attiene al quomodo del procedimento, investendo la legittimità dello svolgimento dell'azione esecutiva attraverso il processo, ossia la regolarità formale del titolo esecutivo, del precetto, ovvero, infine, di tutti i successivi atti esecutivi. Deve, conseguentemente, ritenersi e qualificarsi come opposizione agli atti esecutivi quella con cui l'esecutato deduca la nullità dell'apposizione della formula esecutiva al titolo notificato.

Cass. civ. n. 15523/2000

L'opposizione al precetto fondato sulla sentenza della sezione specializzata agraria determinativa dell'indennità per i miglioramenti e le addizioni relativi al fondo rustico, oggetto del contratto agrario, va proposta, ai sensi degli artt. 615, primo comma, c.p.c. e 9 della legge 14 febbraio 1990, n. 29, davanti alle sezioni specializzate agrarie, dotate di competenza generale ed esclusiva in materia di contratti agrari (alla quale apportano limitata deroga l'eccezione espressa formulata dal secondo comma dello stesso art. 9, in tema di affrancazione delle enfiteusi rustiche, e quelle risultanti dal sistema, in ragione dell'attribuzione di assorbente competenza per materia ad altro giudice).

Cass. civ. n. 15083/2000

Il locatore può chiedere la risoluzione del contratto e la condanna al rilascio del bene nei confronti del conduttore anche nel caso in cui al momento della proposizione della domanda detto bene è detenuto da un terzo, immessovi dal conduttore, perché la sentenza di condanna al rilascio ha effetto anche nei confronti del terzo, il cui titolo presuppone quello del conduttore. Né d'altro canto rileva che il locatore ometta di notificare al terzo detta sentenza di condanna e il precetto, conosciuti pertanto solo al momento dell'accesso dell'ufficiale giudiziario, essendo soltanto lui che può adempiere l'obbligo di restituire il bene al locatore.

Cass. civ. n. 14554/2000

Il giudizio conseguente all'opposizione all'esecuzione è un vero e proprio giudizio di cognizione, nel quale, non ostandovi i limiti stabiliti dalla legge, è consentito al creditore procedente (che ha veste sostanziale e processuale di convenuto) di proporre non soltanto le eccezioni dirette a rimuovere gli ostacoli frapposti alla realizzazione del suo diritto, ma anche di chiedere la condanna del debitore opponente per un titolo diverso, svolgendo all'uopo una domanda riconvenzionale diretta a costituire un nuovo titolo esecutivo che si aggiunge al primo.

Cass. civ. n. 9887/2000

Nell'esecuzione forzata condotta su beni già sottoposti ad ipoteca dal dante causa a garanzia del debitore originario, il terzo acquirente nei confronti del quale si svolga l'esecuzione stessa può far valere, con il rimedio dell'opposizione all'esecuzione, le ragioni che sarebbero spettate al proprio dante causa verso tutti gli altri fideiussori del debitore originario.

Cass. civ. n. 4856/2000

Il terzo acquirente di un bene pignorato è legittimato a proporre in proprio, e non in via surrogatoria rispetto all'alienante, l'opposizione all'esecuzione a norma dell'art. 615 c.p.c.

Cass. civ. n. 1339/2000

Il terzo pignorato è legittimato a proporre opposizione all'esecuzione per far valere la dichiarata improcedibilità del processo esecutivo nei confronti del suo creditore, sopravvenuta all'ordinanza di assegnazione di tale credito.

Cass. civ. n. 1337/2000

L'esistenza del titolo esecutivo costituisce la condizione necessaria dell'esercizio dell'azione esecutiva, e deve, indipendentemente dall'atteggiamento delle parti, essere sempre verificata d'ufficio dal giudice, il quale, pertanto, dovrà dichiarare la nullità del precetto ove questo risulti intimato sulla base di un assegno bancario privo di data e perciò nullo come tale ed inesistente come titolo esecutivo.

Cass. civ. n. 687/2000

Le opposizioni all'esecuzione che si possono svolgere nell'espropriazione presso terzi sono caratterizzate dall'oggetto, costituito dalla contestazione del diritto di procedere ad esecuzione forzata per mancanza del titolo esecutivo o del credito e per impignorabilità dei beni. Consegue che gli unici soggetti legittimati a proporre l'opposizione sono il debitore esecutato o il creditore e non il terzo che ha reso la dichiarazione di cui all'art. 543 c.p.c.

Cass. civ. n. 12696/1999

In tema di opposizioni proposte in sede di esecuzione forzata, qualora il giudice di primo grado abbia (come nella specie) erroneamente qualificato la doglianza come «opposizione agli atti esecutivi ex art. 615 c.p.c.», si rende necessario, in sede di giudizio di legittimità — previa rilevazione di un errore che, nella sua patente contraddittorietà, si risolve in una sostanziale mancata qualificazione dell'opposizione proposta —, procedere ad autonoma qualificazione dell'opposizione stessa, tanto ai fini del merito, quanto a quelli della stessa ammissibilità dell'impugnazione, senza tener conto della terminologia adottata dalla parte, e considerato ancora che uno stesso atto di opposizione può sottendere entrambe le forme di opposizione, tanto all'esecuzione quanto agli atti esecutivi. Ne consegue che, nella parte in cui il giudice di primo grado abbia pronunciato su di una opposizione all'esecuzione, il ricorso per cassazione deve essere dichiarato inammissibile (potendo quel provvedimento essere legittimamente impugnato soltanto con l'appello), mentre, con riferimento alla eventuale parte contenente una vera e propria opposizione agli atti esecutivi (legittimamente ricorribile ex art. 111 Cost.), la Corte è, preliminarmente, chiamata ad una verifica di ammissibilità, sotto il profilo della tempestività, dell'opposizione stessa attraverso un esame diretto degli atti del processo.

Cass. civ. n. 10187/1998

Sia per l'opposizione all'esecuzione che per l'opposizione agli atti esecutivi avanzate nel corso del procedimento esecutivo già iniziato, le forme previste dagli artt. 615 secondo comma e 617 secondo comma c.p.c. non sono richieste a pena di nullità e le predette opposizioni possono, pertanto, essere proposte anche oralmente nell'udienza davanti al giudice dell'esecuzione, ovvero mediante deposito, in tale udienza, di una comparsa di risposta, essendo anche tali forme idonee al raggiungimento dello scopo (costituzione del rapporto processuale cognitivo) proprio degli atti di opposizione predetti; ne consegue che, una volta proposta in uno dei predetti modi l'opposizione, non è necessario un formale atto di costituzione da parte dell'opponente, che deve ritenersi, anche in mancanza di esso, ritualmente presente e costituito nel processo instaurato a norma dell'art. 618 c.p.c.

Cass. civ. n. 10028/1998

In tema di esecuzione forzata, quando il giudice dell'esecuzione adotta un provvedimento che nega alla parte istante di proseguire nel processo esecutivo, si è in presenza di un atto esecutivo, contro il quale è dato di reagire nelle forme dell'opposizione agli atti esecutivi, allo scopo di ottenere che l'espropriazione intrapresa possa continuare. Quando, invece, il giudice dell'esecuzione si limita ad adottare i provvedimenti in cui il processo esecutivo si articola, ancorché in ipotesi sia stato sollecitato a pronunziarsi sulla mancanza del diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata, la reazione contro tali provvedimenti non può essere rappresentata dall'opposizione agli atti esecutivi, ma dall'opposizione all'esecuzione, poiché la ragione della domanda è nella contestazione del diritto a procedere ad esecuzione forzata e il suo oggetto è una pronunzia che accerti che il processo esecutivo non poteva essere iniziato e, quindi, proseguito, cosicché l'annullamento dell'atto cui l'opposizione è rivolta è conseguenza mediata di quell'accertamento. (La S.C. ha cassato senza rinvio la sentenza che aveva omesso di dichiarare improponibile l'opposizione agli atti esecutivi avverso l'ordinanza di assegnazione, sul presupposto che la parte istante sarebbe stata priva di un titolo che le consentisse di procedere all'esecuzione).

Cass. civ. n. 6055/1998

Nel vigore dell'art. 45 della legge 27 luglio 1978, n. 392, se l'opposizione all'esecuzione per il rilascio dell'immobile è proposta dal debitore per sostenere che l'esecuzione non può essere promossa o proseguita perché egli ha diritto all'indennità per la perdita dell'avviamento e questa non è stata pagata e se la controversia si incentra sul punto dell'avere o no il debitore diritto a tale indennità non si è in presenza di due distinte cause — una di opposizione all'esecuzione e l'altra sulla spettanza del diritto all'indennità —, ma di una sola causa di opposizione all'esecuzione, la cui cognizione spetta non al giudice competente per valore (o materia) in relazione al diritto per cui si procede, ma al pretore quale giudice competente a conoscere della controversia sulla spettanza dell'indennità.

Cass. civ. n. 3735/1998

Dopo l'entrata in vigore dell'art. 9 legge 14 febbraio 1990, n. 29 anche l'opposizione all'esecuzione per rilascio di un fondo rustico spetta alla competenza della sezione specializzata agraria se l'opponente assume di detenerlo in qualità di componente di una famiglia coltivatrice e di non aver partecipato al giudizio di cessazione del contratto di affitto svoltosi tra il concedente e un altro componente della famiglia, perché la questione involge l'applicazione dell'art. 48 legge 3 maggio 1982, n. 203, e solo apparentemente i limiti del giudicato.

Cass. civ. n. 2638/1998

La contestazione del debitore il quale sostenga che con l'atto di precetto è stato chiesto il pagamento di interessi sulla somma capitale, non dovuti in tutto o in parte, si configura come opposizione all'esecuzione ai sensi dell'art. 615 c.p.c., il cui esame nel merito non può essere dichiarato assorbito dal rigetto dell'opposizione agli atti esecutivi fatta valere contestualmente dallo stesso debitore.

Cass. civ. n. 10259/1997

L'opposizione all'esecuzione concernente la pignorabilità dei beni può essere esperita soltanto finché non sia esaurito il processo esecutivo e, cioè, nell'ipotesi di espropriazione presso terzi, finché non sia emessa l'ordinanza di assegnazione.

Cass. civ. n. 9571/1997

Nell'espropriazione presso terzi, il pignoramento impone al terzo di non compiere atti che determinano l'estinzione del credito o il suo trasferimento ad altri, di guisa che il terzo è interessato alle vicende processuali che riguardano la legittimità o validità del pignoramento in quanto possono comportare o meno la liberazione del relativo vincolo. Ne consegue che il terzo pignorato è parte necessaria nei processi di opposizione all'esecuzione o di opposizione agli atti esecutivi in cui si contesti la validità del pignoramento, e deve essere chiamato in causa dall'opponente ed in mancanza il giudice deve ordinare l'integrazione del contraddittorio nei suoi confronti.

Cass. civ. n. 7170/1997

Il terzo indicato nell'art. 543 del codice di rito non può legittimamente ritenersi soggetto sottoposto all'esecuzione, rappresentando egli soltanto lo strumento necessario a consentire la prosecuzione del relativo procedimento nei confronti del debitore diretto (ovvero del terzo assoggettato all'esecuzione), con la conseguenza che andrà a lui riconosciuto il diritto di proporre opposizione agli atti esecutivi, ma non anche quello di proporre opposizione all'esecuzione.

Cass. civ. n. 4234/1997

In tema di esecuzione per rilascio, già iniziata sulla base di titolo costituito da ordinanza di reintegrazione nel possesso, l'opposizione ex art. 615, secondo comma, c.p.c., mentre abilita, senz'altro, il giudice dell'esecuzione a provvedere sull'istanza di sospensione, deve, nel merito essere conosciuta dal giudice competente, anche per valore, da identificarsi in base alla dichiarazione di cui all'art. 14 c.p.c. ancorché resa solo implicitamente. Ne consegue che ove l'opponente abbia fatto istanza al pretore adito di provvedere sulla sospensione e di rimettere la causa al tribunale ratione valoris, tale seconda parte dell'istanza stessa equivale alla suddetta dichiarazione implicita di valore eccedente la competenza del giudice adito con l'opposizione ed impedisce l'operatività della presunzione (di competenza di tale giudice) di cui all'ultima parte del primo comma del citato art. 14, applicabile solo quando manchi la indicazione o dichiarazione di valore.

Cass. civ. n. 6968/1996

Nell'ipotesi in cui venga proposta opposizione all'esecuzione mobiliare eseguita presso un terzo, ed il creditore opposto deceda e venga successivamente dichiarato fallito, cosicché il giudizio stesso venga riassunto nei confronti della curatela fallimentare, la competenza a decidere di tale opposizione non spetta funzionalmente al tribunale che ha dichiarato il fallimento. Nella specie, infatti, non ricorre né l'applicabilità dell'art. 51 l. fall. (in quanto oggetto dell'esecuzione non erano beni compresi nel patrimonio del fallito acquisiti al fallimento, ma beni appartenenti a terzi), né dell'art. 24 l. fall. (trattandosi di situazioni giuridiche preesistenti al fallimento).

Cass. civ. n. 9219/1995

L'opposizione all'esecuzione (art. 615 c.p.c.), che ha per oggetto la contestazione del diritto di promuovere l'esecuzione forzata, è esperibile soltanto dal debitore e dal terzo assoggettato all'esecuzione, vale a dire il terzo proprietario del bene espropriando; con la conseguenza che non è legittimato attivamente all'indicata opposizione il promissario acquirente del bene immobile, che sia gravato da ipoteca per un debito altrui e che venga sottoposto ad esecuzione dal creditore ipotecario.

Cass. civ. n. 6072/1995

L'opposizione all'esecuzione disciplinata dall'art. 615 c.c. è quella con la quale il debitore contesta l'azione esecutiva sotto i diversi profili del difetto originario di un titolo esecutivo, della sopravvenuta sua inefficacia, della contestazione del credito risultante dal titolo, della esercitabilità dell'azione esecutiva. In essa non rientra quindi l'ipotesi in cui, senza contestare l'esistenza originaria del titolo esecutivo, si faccia valere la sua mancata produzione nel processo, poiché in siffatta ipotesi, non richiedendosi tale produzione ai fini della verifica delle condizioni dell'azione esecutiva, si introduce una contestazione non dell'azione esecutiva ma del modo attraverso il quale essa è condotta, che configura opposizione agli atti esecutivi, da promuoversi nel termine di cinque giorni dalla notificazione del titolo esecutivo o del precetto.

Cass. civ. n. 3910/1995

Il proprietario acquirente di un bene sottoposto da un istituto di credito fondiario ad esecuzione forzata, fondata sul contratto di mutuo e svolta nei confronti del mutuatario, ha diritto di far valere l'estinzione del credito mediante opposizione all'esecuzione, anche quando non ha notificato all'istituto di credito la comunicazione del suo acquisto.

Cass. civ. n. 9687/1994

Per le cause di opposizione all'esecuzione promosse ad esecuzione iniziata la competenza del giudice dell'esecuzione è circoscritta alla prima fase del processo, fino all'eventuale provvedimento di sospensione dell'esecuzione, mentre la fase cognitiva vera e propria è riservata al giudice competente per valore ex art. 17 c.p.c., salva la ricorrenza di un'ipotesi specifica di competenza per materia dello stesso giudice investito per l'esecuzione (ad esempio in tema di controversie di lavoro e previdenziali, agrarie, di locazione).

Cass. civ. n. 7173/1994

La competenza sulla opposizione alla esecuzione si determina anche secondo i generali criteri per materia, dovendosi escludere che l'applicabilità di questi criteri sia esclusa dal riferimento al solo criterio della competenza per valore contenuto nell'art. 616 c.p.c.

Cass. civ. n. 195/1994

L'art. 9 della L. 14 febbraio 1990, n. 29 ha ricondotto tutte le controversie in materia di contratti agrari, sia sotto il profilo della genesi che del funzionamento ovvero della sua cessazione, alla competenza esclusiva della sezione specializzata agraria con la conseguenza che è venuta meno al riguardo la competenza del pretore ex art. 409 n. 2 c.p.c. per il giudizio di cognizione a favore del detto giudice specializzato, senza che, quindi, possa trovare applicazione l'art. 618 bis c.p.c., tal ché la competenza per l'opposizione all'esecuzione per rilascio di fondo rustico, spetta alla sezione specializzata agraria.

Cass. civ. n. 6135/1993

In tema di opposizione all'esecuzione, quando questa non sia stata iniziata, ancorché si tratti di esecuzione per rilascio di immobile, la competenza deve essere determinata, ai sensi del combinato disposto dagli artt. 615, primo comma e 27 c.p.c., secondo i normali criteri della materia, del valore e del territorio. Ne consegue che, qualora l'opposizione sia motivata dalla mancata corresponsione dell'indennità di avviamento commerciale alla quale il conduttore ritiene di aver diritto, la competenza deve essere attribuita al pretore, unico giudice funzionalmente competente a decidere la questione della spettanza e della quantificazione della indennità suddetta, ai sensi dell'art. 45, terzo comma, della L. 27 luglio 1978, n. 392.

Cass. civ. n. 5146/1991

In tema di espropriazione forzata legittimati passivi e litisconsorti necessari nelle cause di opposizione all'esecuzione sono soltanto il soggetto che ha proceduto al pignoramento ed i creditori intervenuti muniti di titolo esecutivo che abbiano compiuto singoli atti del procedimento, diversamente dalle cause di opposizione agli atti esecutivi in cui sono passivamente legittimati e litisconsorti necessari non solo il creditore procedente, ma anche i creditori intervenuti e tutti gli altri interessati.

Cass. civ. n. 10081/1990

Quando il soggetto, nei cui confronti è stato eseguito il pignoramento, deduca di non essere il soggetto destinatario dell'azione esecutiva, si è in presenza di una opposizione alla esecuzione ed il giudice è investito del potere di interpretazione del titolo in forza del quale si procede, anche se si tratti di titolo giudiziale, con la conseguenza in caso di accoglimento della opposizione che la decisione non può limitarsi all'affermazione della invalidità degli atti attraverso i quali si è avviato o si svolge il processo esecutivo, dovendo contenere la dichiarazione che il diritto di procedere ad esecuzione forzata sulla base di quel determinato titolo non esiste in danno del soggetto nei cui confronti l'esecuzione è stata preannunciata o esercitata.

Cass. civ. n. 9742/1990

Il giudizio di opposizione, instaurato dal debitore contro esecuzione intrapresa dal creditore e poi, a seguito del fallimento di quest'ultimo, proseguita dal curatore, non resta attratto nella competenza del tribunale fallimentare, ai sensi dell'art. 24 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, trattandosi di controversia inerente a diritto già esistente nel patrimonio del fallito.

Cass. civ. n. 9352/1990

L'opposizione all'esecuzione per il rilascio di un immobile, ancorché proposta prima dell'inizio dell'esecuzione medesima, deve essere proposta davanti al giudice del luogo dove è sito l'immobile che è indicato nel precetto.

Cass. civ. n. 5043/1990

Qualora la parte, alla quale sia stato notificato il precetto, proponga opposizione deducendo che la somma richiesta è superiore a quella effettivamente dovuta, si verte in tema di opposizione all'esecuzione e non di opposizione agli atti esecutivi, la quale concerne la regolarità formale del titolo e quindi non può attenere al quantum della pretesa; in tal caso, il valore della causa si determina, non in base alla somma contestata, ma, alla stregua del criterio stabilito dall'art. 17 c.p.c., con riferimento all'importo totale del credito per cui si procede, comprensivo del capitale, degli interessi e delle spese, ancorché la contestazione riguardi interessi o voci di spesa maturati successivamente al rilascio del titolo esecutivo.

Cass. civ. n. 2233/1990

Con riguardo al preavviso e precetto di rilascio di immobile in locazione, intimati in base ad un verbale di conciliazione esecutivo, per il mancato pagamento di canoni già scaduti, la deduzione da parte dell'intimato della nullità del detto verbale per inosservanza della legge n. 342 del 1978, come dell'avvenuto pagamento dei canoni, dà luogo ad un'opposizione all'esecuzione, la cui competenza si determina a norma dell'art. 17 c.p.c. in base al valore del credito per cui si procede e così in base all'importo della somma che nel precetto è stata indicata come dovuta.

Cass. civ. n. 437/1987

Con riguardo all'esecuzione forzata per il rilascio di immobile in ipotesi di «generica» finita locazione, ai fini della determinazione del giudice competente per materia o valore in ordine all'opposizione al precetto con la quale si contesta il diritto del locatore a procedere all'esecuzione, la competenza va determinata non secondo la L. n. 392 del 1978, e conseguentemente non appartiene per materia al pretore, bensì secondo gli ordinari criteri di valore dettati dal codice di rito. Pertanto, ai fini suddetti, va considerato, ai sensi del secondo comma dell'art. 12 c.p.c. in relazione al primo comma dell'art. 17 c.p.c., il valore dell'ammontare del fitto per un anno (o per il periodo controverso) e, nel caso di controversia instaurata dopo l'entrata in vigore della L. 30 luglio 1984, n. 399, se detto valore sia o no superiore a lire cinque milioni (conseguendone, rispettivamente, la competenza del tribunale o del pretore).

Cass. civ. n. 6330/1985

Con riguardo all'esecuzione per consegna o rilascio la legittimazione all'opposizione all'esecuzione spetta pure al detentore reale del bene ancorché sia persona diversa da quella nominativamente indicata nel titolo esecutivo, atteso che la sua estraneità è soltanto formale, restando il titolo esecutivo efficace nei suoi confronti per essere lo stesso l'unico soggetto che può, con la restituzione del bene medesimo, soddisfare la pretesa esecutiva della parte istante. (Nella specie, la Suprema Corte ha confermato in base all'enunciato principio la statuizione del giudice del merito il quale aveva ritenuto legittimato all'opposizione ex art. 615 c.p.c. l'occupante di un immobile, cui era stato intimato il rilascio sulla base di un provvedimento di sfratto emesso nei confronti del conduttore dello stesso e che assumeva di avere stipulato con il locatore-esecutante un autonomo contratto di locazione).

Cass. civ. n. 4840/1985

L'opposizione all'esecuzione e l'opposizione agli atti esecutivi formulate nel corso del procedimento esecutivo possono essere proposte anche oralmente in udienza, non essendo richieste a pena di nullità le forme di cui agli artt. 615, secondo comma, e 617, secondo comma, c.p.c.; in tali casi la notificazione dell'atto di opposizione si considera effettuata alle controparti, rappresentate dai rispettivi procuratori, nella stessa udienza nella quale l'opposizione è proposta, per cui l'opposto, se non si costituisce nel conseguente giudizio di cognizione, deve ugualmente ritenersi che sia stato parte in esso, ancorché contumace.

Cass. civ. n. 4612/1985

Qualora l'immobile pignorato venga trasferito con atto di vendita trascritto dopo la trascrizione del pignoramento, l'inefficacia relativa di tale atto, cioè la sua inopponibilità nei confronti del creditore procedente e dei creditori intervenuti (artt. 2644 e 2913 c.c.), non esclude che il terzo acquirente assume la veste di successore a titolo particolare nel diritto di proprietà sul bene staggito, e quindi di soggetto in cui pregiudizio si svolge il processo espropriativo. In tale situazione, pur non potendo trovare applicazione diretta l'art. 111 c.p.c., dettato per il processo di cognizione, devono ritenersi operanti i principi evincibili dalla norma medesima, previo adattamento con le caratteristiche del processo esecutivo, e deve conseguentemente riconoscersi, ferma restando la prosecuzione del processo stesso fra le parti originarie, la possibilità di detto terzo acquirente di svolgere le attività processuali inerenti all'indicato subingresso nella qualità di soggetto passivo, e, quindi, la facoltà di interloquire in ordine alle modalità dell'esecuzione, di proporre opposizione agli atti esecutivi, a norma dell'art. 617 c.p.c., di proporre opposizione all'esecuzione, ai sensi del secondo comma dell'art. 615 c.p.c., per impignorabilità del bene, nonché di proporre, in via di surrogazione al debitore esecutato, opposizione all'esecuzione per inesistenza o sopravvenuta cessazione del diritto di procedere all'esecuzione medesima, ai sensi del primo comma dell'art. 615 citato.

Cass. civ. n. 134/1984

Si ha opposizione all'esecuzione unicamente ove s'impugni l'azione esecutiva per una questione di merito, ove si deduca cioè la ingiustizia dell'esecuzione perché senza titolo o contro il titolo esecutivo; si ha invece l'opposizione agli atti esecutivi, prevista dall'art. 617 c.p.c., in ogni altro caso in cui si denunzino irregolarità formali del titolo esecutivo e del precetto, le quali, oltreché concernere la nullità della notificazione del titolo esecutivo, possono riguardare anche l'invalidità del pignoramento immobiliare perché privo della sottoscrizione prescritta dall'art. 170 disp. att. c.p.c.

Cass. civ. n. 2438/1982

Se in una procedura di esecuzione mobiliare il debitore esecutato proponga opposizione deducendo, oltre che l'inesistenza del diritto del creditore a procedere ad esecuzione forzata e l'impignorabilità assoluta dei beni staggiti, anche vizi formali del titolo esecutivo, del precetto e del pignoramento, la domanda configura una opposizione all'esecuzione per i primi motivi ed un'opposizione agli atti esecutivi per gli altri, con la conseguenza che, se il valore della causa ecceda i limiti della sua competenza, il pretore dovrà rimettere al tribunale soltanto la cognizione della prima, e ritenere, invece, il giudizio relativo all'opposizione agli atti esecutivi, devoluto alla sua competenza esclusiva ed inderogabile.

Cass. civ. n. 5299/1980

L'opposizione al precetto cambiario è regolata dalle disposizioni del codice, salvo le modificazioni del regime processuale imposte dagli artt. 64 e 65 della legge cambiaria applicabile in quanto non sia formalmente incompatibile con le disposizioni generali attualmente vigenti. Pertanto, l'opposizione anteriore all'inizio della esecuzione va proposta con citazione al giudice competente ai sensi dell'art. 615, primo comma, c.p.c.; ma, allegando la citazione notificata potrà chiedersi con ricorso al presidente del tribunale o al pretore la sospensione dell'esecuzione e, quindi, del suo stesso inizio, in base all'art. 64 legge cambiaria, salvo riesame del provvedimento nel caso di giudizio, in base all'art. 65 successivo. Per contro l'opposizione successiva all'inizio dell'esecuzione va proposta con ricorso al giudice dell'esecuzione a mente dell'art. 615, secondo comma, c.p.c., e sarà lo stesso giudice che, prima dell'eventuale rimessione delle parti avanti al giudice competente, nel merito deciderà in ordine alla sospensione.

Cass. civ. n. 2913/1980

L'opposizione all'esecuzione per rilascio di un immobile promossa contro il terzo datore di ipoteca in forza di un decreto di trasferimento emesso dal giudice dell'espropriazione immobiliare, deve essere proposta, quando l'esecuzione sia già iniziata, con ricorso al giudice dell'esecuzione stessa (art. 615, secondo comma, c.p.c.) cioè al pretore, il quale, nel caso in cui la controversia ecceda la propria competenza per valore, provveda alla rimessione delle parti dinanzi al giudice competente per valore. In tal caso, pertanto, il ricorso al giudice della espropriazione immobiliare è inammissibile e non può trovare applicazione la sanatoria della intervenuta nullità a termini dell'art. 156 c.p.c.

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L. D. chiede
giovedì 02/11/2023
“Buonasera, ho ricevuto dall'agenzia delle entrate una intimazione di pagamento relativa ad una serie di sanzioni (5) al codice della strada per un valore complessivo di circa € 3300 la data di notifica delle singole cartelle riportate sul presente atto va dagli anni 2011 al 2014. La mia domanda è se esiste un tempo di prescrizione (a quanto mi è stato detto essere 5 anni dall'ultima notifica) e se nel caso mi convenga fare ricorso e a chi mi posso rivolgere.
Grazie cordiali saluti.
In allegato copia dell'atto.”
Consulenza legale i 09/11/2023
L’intimazione di pagamento segue alla notifica delle cartelle di pagamento ed interrompe i termini di prescrizione.
Quindi, nell'ordine, abbiamo:
1) Notifica della cartella
2) Intimazione di pagare la cartella (evidentemente non pagata dal destinatario della cartella dopo averla ricevuta)

Nel caso che ci occupa le cartelle, al momento della notifica dell’intimazione di pagamento, risulterebbero già prescritte. Come correttamente sostiene il contribuente, infatti, le sanzioni amministrative di prescrivono in cinque anni che cominciano a decorrere nuovamente dal momento della notifica della cartella esattoriale. La cartella notificata nell’anno 2014 sarebbe dunque prescritta già nell’anno 2019 e quella notificata nell’anno 2011 sarebbe già prescritta nell’anno 2016.

Salvo che tra la notifica delle cartelle e la notifica dell’ultima intimazione di pagamento non siano stati notificati altri atti interruttivi, dal momento che si tratta di una contestazione su fatti successivi alla formazione del titolo e sopravvenuti alla notificazione, è possibile formulare un’opposizione all’esecuzione (ex art. 615 c.p.c.), senza limiti di tempo, davanti al Giudice di Pace del luogo di residenza del contribuente.

Visto il valore dell’intimazione di pagamento è necessaria l’assistenza tecnica di un difensore ed il contribuente non potrà proporre personalmente ricorso.

E’ consigliabile, onde evitare spiacevoli sorprese in giudizio, chiedere ad Agenzia Entrate Riscossione se via siano (i.e.: se risultino documentati) atti interruttivi della prescrizione antecedenti all’ultima intimazione di pagamento, estraendo così copia degli atti eventualmente esistenti e delle ricevute di avvenuta notifica.

La richiesta può essere formulata telematicamente attraverso i moduli rinvenibili sul sito di Agenzia Entrate Riscossione, ma è preferibile fissare appuntamento presso lo sportello e verificare direttamente l’esistenza degli atti. Attendere la risposta all’istanza formulata via pec potrebbe far passare troppo tempo con il rischio che Agenzia Entrate Riscossione provveda nelle more ad attivare procedure cautelari (fermo amministrativo ad esempio) o esecutive (pignoramento presso terzi ex art. 72 bis DPR 602/73).

S. S. chiede
venerdì 03/12/2021 - Puglia
“1-. Conferisco ad uno Studio di Commercialisti costituito come Società a Responsabilità Limitata l'incarico con contratto scritto di elaborare uno Studio di Fattibilità tecnico, economico, finanziario per la partecipazione ad un bando regionale per contributi a fondo perduto a favore di impese ricettive(Case vacanze, B&B, alberghi), mediante l'utilizzo di un fabbricato con 5 stanze.
2-. Il Commercialista del detto studio professionale mi convince della fattibilità della partecipazione al bando avendo il fabbricato tutti i requisiti richiesti, asserendo di aver elaborato il pattuito "Studio di Fattibilità", e che prestando buona fede non richiedo.
3-. Sulla base del detto Studio di fattibilità ritenuto elaborato e positivo, con altro contratto affido sempre al citato Commercialista l'incarico di approntare la domanda, di elaborare tutti i documenti ed atti richiesti dal bando, e di seguirlo fino al collaudo dell'albergo, pattuendo il compenso pari al 4,5% del contributo erogato, e patto che la Regione emanasse il "Provvedimento di concessione del contributo"(clausola specifica).
4-. Anticipo, che il Commercialista del detto studio professionale con il quale avevo rapporti, mi aveva ingannato, in quanto il Bando Regionale era aperto esclusivamente a Società di imprese alberghiere, e non a imprese individuali, il fabbricato aveva soltanto 5 stanza quando un albergo deve avere un minimo di 7 stanze(ascensori, garage, bagni sufficienti, ecc.,), e non avevo la professionalità pregressa in conduzione e amministrazione di alberghi(requisito previsto dal bando).
5-. Non so per quale macchinazione, la Regione ammette la mia domanda ai contributi "ammissibili", in assenza totale dei requisiti richiesti dal bando, e la inserisce nella "Graduatoria provvisoria" delle domande presentate.
6-. Detta Graduatoria provvisoria diveniva Graduatoria Definitiva quando le domande ritenute "ammissibili"(e quindi non ancora ammesse) ottenevano dai comuni "il Permesso di Costruire le opere murarie e la Variazione d'uso del fabbricato da abitazione ad albergo".
7-. Il comune non concedeva detto permesso di costruire e la variazione d'uso del fabbricato(per non avere i requisiti per essere adibito ad albergo, ecc.) e la Regione cassava la mia domanda dalla graduatoria provvisoria e non la inseriva in quella definitiva, e ovviamente la Regione non emanava a mio favore il "Provvedimento di concessione del contributo", al quale era legata la condizione della maturazione del compenso al Commercialista
8-. Il Commercialista, pur sapendo che mi aveva tratto in inganno sullo Studio di Fattibilità dell'iniziativa, sui falsi requisiti dichiarati nella domanda di partecipazione al bando, che la Regione aveva erroneamente incluso la mia domando tra quelle ammissibili, presentava un Decreto Ingiuntivo, nel quale asseriva falsamente che il contributo regionale era stato erogato e che io vi avrei rinunciato.
9-. Mi oppongo al Decreto Ingiuntivo, e il Giudice stabilisce che la condizione pattuita della maturazione del compenso professionale soltanto se fosse stato emanato dalla Regione " il Provvedimento di concessione del contributo", non si è avverata, e che non avevo affatto rinunciato al contributo, e condanna alle spese il professionista.
10- Il Commercialista ricorre in appello, e il Giudicante della Corte di appello incredibilmente dà ragione al professionista , e la cui sentenza:
a)ignora la clausola della maturazione del compenso dovuto soltanto all'esito delle emissione del detto "Provvedimento di concessione del contributo";
b) dà per esistente "lo Studio di Fattibilità tecnico, economico finanziario" pattuito con il Commercilaista, TOTALMENTE INESISTENTE;
C)dà per esistente il "Provvedimento di concessione del contributo" da parte della Regione, totalmente INESISTENTE!

9-. Ricorro in Cassazione, e avendo il professionista riferito che non avrebbe proceduto esecutivamente e di aspettare l'esito della sentenza della Cassazione, a cui prestava fede anche perchè non aveva notificato la sentenza d'appello, non chiedo la sospensione della esecutività della sentenza, nello stato psicologico in cui mi trovavo e per i tempi ristretti per ricorrere in cassazione.
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Senonchè, la Società dello studio professionale, prima della sentenza della Corte di Appello, e prima della "conclusionale" del giudizio di appello, veniva messa in liquidazione con perdite, e in caso di soccombenza, non avrebbe potuto pagare le spese di giudizio e danni.
All'uscita della Sentenza favorevole alla società estinta, mi viene notificata proprio ieri la sentenza e Atto di precetto, da una società, inattiva, a responsabilità limitata, in perdita, ecc., alla quale qualche giorno prima della sua estinzione avrebbe ceduto "il ramo d'azienda", e anche questa in caso di soccombenza in Cassazione non avrà da pagare le spese di giudizio.

Quesito:
a)che motivo posso utilizzare per oppormi all'Atto di Precetto notificatomi, per evitare la conseguente esecuzione, che sarebbe disastrosa se l 'esito del giudizio in Cassazione mi è favorevole, e la società di cui sopra non potrebbe restituire le somme(che non ho, e che dovrà necessariamente rifarsi sul mio patrimonio).
b)posso eccepire la disonestà della società che ha notificato la sentenza d'appello che non si è costituita durante il giudizio della Corte di Appello, pur sapendo che la società da cui aveva ricevuto "il ramo d'azienda" si era estinta.
c)posso eccepire nell'opposizione all' Atto di Precetto che l'oggetto del contratto tra me e lo Studio dei commercialisti era IMPOSSIBILE da conseguire in assenza assoluta dei requisiti richiesti dal bando, e che era finalizzato in sostanza a TRUFFARE la regione di fondi pubblici, sapendo di non averne diritto da parte mia ma in buona fede, e da parte dei professionisti a mio danno avendo corrisposto acconti sostanziali. Non sarebbe nullo un contratto simile con un oggetto impossibile e con finalità truffaldine?
Mi scuso per la prolissità.
Distinti ossequi”
Consulenza legale i 15/12/2021
Per rispondere al quesito va, in primo luogo, richiamata la fattispecie della successione a titolo particolare nel diritto controverso disciplinata dall’art. 111 c.p.c..
Con tale espressione ci si riferisce al caso di trasferimento del diritto oggetto di causa, che può avvenire pure durante la fase di esecuzione, tra una parte processuale ed un terzo mediante un qualsiasi atto tra vivi a titolo particolare, tra i quali rientra anche la cessione di ramo di azienda avvenuta nel caso di specie.
In tale evenienza, il processo prosegue tra le parti originarie, ferma restando la facoltà lasciata al terzo di intervenire o essere chiamato nel processo (eventualmente estromettendo la parte originaria).
È bene sottolineare che, qualora sia rimasto estraneo al processo, il successore ne subisce comunque gli effetti anche in sede esecutiva, ma è di contro legittimato ad impugnare la sentenza sfavorevole al suo dante causa ovvero ad avvalersene se favorevole (Cassazione civile, sez. I, 06 aprile 2021, n. 9264).
Pertanto, non esistono allo stato le basi per contestare il comportamento della società cessionaria, in quanto essa si è semplicemente avvalsa dalla possibilità stabilita dalla legge di evitare di partecipare al processo e di portare in esecuzione una sentenza efficace anche nei suoi confronti.
La risposta in merito al punto b) è, quindi, purtroppo negativa.

In secondo luogo, si nota che l’opposizione al precetto ex art. 615 c.p.c. è finalizzata, oltre che ad ottenere la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo, altresì specificamente a contestare alla radice il diritto della parte istante a procedere all’esecuzione.
Nel nostro caso, tuttavia, si deve tenere conto che il titolo esecutivo azionato è una sentenza (non definitiva e sulla quale pende un ricorso per cassazione) della Corte di Appello, che si è già espressa sui profili sostanziali delle pretese di controparte, ritenendole fondate.
Come chiarito dalla giurisprudenza, il titolo esecutivo giudiziale copre i fatti estintivi, modificativi o impeditivi del credito intervenuti anteriormente alla sua formazione e non può essere rimesso in discussione dinanzi al giudice dell'opposizione all'esecuzione allegando fatti anteriori alla sua definitività, in virtù dell'intrinseca riserva di ogni questione di merito al giudice naturale della causa (Cassazione civile, sez. lav., 14 febbraio 2013, n. 3667).
Ne consegue che, qualora a base di una qualunque azione esecutiva sia posto un titolo esecutivo giudiziale, il giudice dell'esecuzione non può effettuare alcun controllo intrinseco sul titolo, diretto cioè ad invalidarne l'efficacia in base ad eccezioni o difese che andavano dedotte nel giudizio nel cui corso è stato pronunziato il titolo medesimo, potendo solo controllare la persistente validità di quest'ultimo ed attribuire rilevanza ai fatti posteriori alla sua formazione (Cassazione civile, sez. III, 17 febbraio 2011, n. 3850).
Un’eventuale opposizione basata sui motivi illustrati al punto c) del quesito, pare perciò difficilmente prospettabile, dato che avrebbe ad oggetto circostanze di fatto il cui esame avrebbe dovuto trovare posto nel giudizio di merito e non nella fase esecutiva.

Visto quanto consigliato anche nel precedente parere (ed integrazioni), pare che sia più opportuno proporre non un’opposizione al precetto, bensì un’istanza di sospensione della sentenza di secondo grado ai sensi dell’art. 373 c.p.c..
Come già scritto, tale richiesta viene indirizzata al Giudice che ha emesso la decisione da sospendere (nel nostro caso la Corte d’Appello) ed ha come presupposto la presenza di un ricorso per cassazione e il grave e irreparabile danno derivante dall’esecuzione della sentenza.
Nella fattispecie, essa potrebbe validamente essere motivata deducendo tutte le circostanze illustrare nel quesito in merito alla situazione economica dell’istante e soprattutto alla probabilità di non poter recuperare -in caso di successo del giudizio davanti alla Cassazione- le somme versate alla società cessionaria.
Una illustrazione più approfondita dell’istituto, comprensiva della giurisprudenza rilevante, era stata già fornita con l’integrazione del 11.12.2020 al quesito 26818, alla quale dunque si rinvia.


Luca Q. chiede
lunedì 15/06/2020 - Piemonte
“Buongiorno, ho ricevuto un decreto ingiuntivo perchè da un fornitore ho ricevuto fatture riferite a tariffe diverse da quanto eseguito, ho inizialmente contestato i costi maggiorati ma l'azienda fornitrice dell'assistenza tecnica in oggetto nulla vuol sentire a riguardo, anche se l'ente di controllo sull'attività oggetto di contributo ha fatto una sanzione per attività non conforme.
Per il problema ricevo decreto ingiuntivo, mi rivolgo ad un legale locale e facciamo opposizione, purtroppo non teniamo conto degli allegati che di fatto non ho ricevuto (non li hanno notificati a me con il decreto iniziale notificatomi), l'opposizione risulta quindi debole ed il giudice da ragione alla parte attrice indicandomi di pagare. Alla prima udienza però gli allegati vengono fuori e non riesco contestarli al momento; dopo qualche tempo ed alcuni controlli mi accorgo che una firma su una parte di autorizzazione servizi è falsa, e il contratto di incarico per assistenza riporta si la mia firma, ma è frutto di un collage far una prima parte di autorizzazione accesso dati privati firmata, ed una seconda parte con riferimenti alla tariffa che non è mai stata firmata, ma al seguito è stata incollata dinuovo la pagina firmata iniziale facendo sembrare firmato il tutto, cosa non vera.
Mi sembra questa una grossa scorrettezza ed un falso, ho indicato la cosa all'avvocato che mi dice che schiverà un'opposizione per la causa, ma per ora non posso far nulla. In realtà vorrei denunciare tutto ai carabinieri, ma questo non piace all'avvocato. Lo scorso lunedì ho ricevuto comunicato di precetto per pagare, non mi è chiaro cosa succederà se non pago, ed in che tempi, l'avvocato è vago, chiedo indicazioni.
Non ho ancora pagato e non intendo pagare servizi non eseguiti, anche perchè un'altra parte di servizi ricevuti l'ho pagata ma questi non sono oggetto del decreto ingiuntivo. L'importo a decreto è circa 7400 Euro distribuiti su più anni.
Se andassi dai Carabinieri di mia iniziativa, potranno loro fermare il procedere della cosa, l'avvocato a cosa fatte non potrà che adeguarsi ?
Cordialmente ringrazio”
Consulenza legale i 19/06/2020
Nel quesito non è specificato se il precetto sia stato notificato su decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo (e quindi con giudizio di opposizione ancora in corso) oppure a seguito di rigetto dell’opposizione.
Dalle Sue frasi “l'opposizione risulta quindi debole ed il giudice da ragione alla parte attrice indicandomi di pagare” e “l’avvocato mi dice che scriverà un’opposizione per la causa” deduciamo che il primo grado si sia concluso con rigetto dell’opposizione.
Occorre precisare a tal proposito che quando viene notificato un decreto ingiuntivo, la documentazione allegata non viene trasmessa all’ingiunto.
Pertanto, quanto da Lei specificato secondo cui: “purtroppo non teniamo conto degli allegati che di fatto non ho ricevuto (non li hanno notificati a me con il decreto iniziale notificatomi)” non è un motivo per non difendersi in giudizio.
Ci spieghiamo meglio: una volta ricevuto un decreto ingiuntivo, occorre verificare in cancelleria (oggi ciò avviene telematicamente a seguito di istanza di visibilità) i documenti depositati dalla controparte. Del resto, per fare opposizione vi sono 40 giorni di tempo nei quali è possibile prendere cognizione della documentazione allegata.

Ad ogni modo, tralasciando quanto sopra, dal punto di vista dell’esecuzione, avendo ricevuto un atto di precetto la situazione è la seguente.

Se non paga nel termine di dieci giorni dalla sua notifica, il fornitore potrà dare impulso all’azione esecutiva nei Suoi confronti.
Ciò significa che il creditore potrà fare, ad esempio, un pignoramento presso terzi o pignoramento mobiliare a Suo carico.
Di fronte ad una esecuzione è possibile fare l’opposizione di cui all’art. 615 c.p.c.
Tuttavia, occorre tenere presente che davanti al giudice dell’esecuzione non sono invocabili fatti estintivi anteriori alla formazione del titolo.
A tal proposito citiamo, tra le tante, la sentenza di Cassazione n.8928 del 2006 secondo cui: “con l'opposizione avverso l'esecuzione fondata su titolo giudiziale, il debitore non può sollevare eccezioni inerenti a fatti estintivi od impeditivi anteriori a quel titolo, i quali sono deducibili esclusivamente nel procedimento preordinato alla formazione del titolo medesimo”.
E ancora, nella sentenza di Cassazione n.27159 del 2006 leggiamo: “attraverso l'opposizione all'esecuzione instaurata sulla base di una sentenza o di un provvedimento giudiziale esecutivo, non possono essere fatti valere motivi di merito inerenti a fatti anteriori alla formazione della sentenza o del provvedimento giudiziale esecutivo e l'eventuale contemporanea pendenza del giudizio cognitivo impone che ogni vizio di formazione del provvedimento sia fatto valere in quella sede, ed esclude la possibilità che il giudice dell'opposizione sia chiamato a conoscere degli stessi vizi già dedotti o che avrebbero potuto essere dedotti davanti al giudice della cognizione”.

Nella presente vicenda, leggiamo che durante il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo Lei si sarebbe accorto di falsità varie nei documenti allegati al ricorso.
Tali falsità, tuttavia, non sono state eccepite nel giudizio.
Ebbene, come sopra specificato, non è possibile nel giudizio di opposizione all’esecuzione sollevare eccezioni inerenti fatti estintivi anteriori a quel titolo (come, nel caso di specie, un documento falso prodotto per ottenere il decreto ingiuntivo) che si sarebbero potute -e dovute – sollevare tempestivamente nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo.

Fermo quanto precede, quanto da Lei descritto nel quesito parrebbe integrare il reato di frode processuale di cui all’art. 374 c.p. in quanto controparte -secondo quanto riferito – avrebbe alterato i documenti prodotti in giudizio al fine di ottenere il decreto ingiuntivo.
Pertanto, una denuncia in tal senso appare fondata.
Occorre però tenere presente che essa non bloccherebbe in ogni caso l’esecuzione in sede civile.
Lei però, laddove la denuncia presentata ai carabinieri avesse un seguito in un processo penale, potrebbe costituirsi parte civile e chiedere i danni da reato nel processo penale oppure azionare una autonoma causa risarcitoria civile.



Maurizio S. chiede
domenica 31/05/2020 - Lazio
“Spett.le Brocardi,
M.S. Lazio

Sono con la presente a richiedere la presente consulenza legale in tema di successione ereditaria,

oggetto: al chiamato, dopo avere rinunciato all’eredità le sopravvengono la notificazione di atti a suo nome da parte di creditori del padre defunto, in quanto ritenuto a tout court erede del padre.

I fatti:

Il figlio del defunto notifica presso il Tribunale dell’ultimo domicilio del padre, la rinuncia all’eredità.

È inteso che la rinuncia dell’eredità viene pubblicata nel registro delle successioni e ulteriormente viene notificata dal
Tribunale stesso all’Agenzia delle Entrate.

Successivamente alla pubblicazione della rinuncia all’eredità e al depisto presso l'Agenzia delle Entrate, al figlio rinunciatario:

- 1) nella qualità di erede del padre debitore, gli viene notificato la riassunzione dei giudizi civili e tributari radicati nei confronti del defunto padre,

- 2) nella qualità di erede del debitore padre, le vine notificato un decreto ingiuntivo da parte di un ulteriore creditore per debiti del padre defunto,

- 3) viene messo in mora nella qualità di erede del padre debitore con A/R dall’Agenzia delle Entrate riscossione.

- 4)vengono pignorati dall’Agente della riscossione i beni del figlio, a seguito della notifica della messa in mora sopra riportata a mezzo A/R.

Il figlio del debitore defunto di già come detto rinunciatario dell’eredità del padre ancor prima della ricezione degli atti, dimentica le notifiche sopraddette (1,2,3,4), (notifiche che possono essere state notificate tempestivamente ma dimenticate dal figlio, o che sono state ritirate successivamente con l’avviso di giacenza ma a termini decaduti per le impugnazioni), e quindi diviene contumace nei giudizi e impossibilitato per la decadenza dei termini alle impugnazioni degli atti e da tale condotta omissiva ne sono derivati i pignoramenti in oggetto, seppure non erede del defunto padre debitore in quanto ab origine rinunciatario dell’eredità stessa.

Il quesito:

per quanto sopra esposto sono a chiedere se il figlio rinunciatario dell’eredità può opporsi ex art. 615 comma 2 c.p.c. ai pignoramenti succeduti dai giudizi riassunti (civile e tributario), ma di cui è stato contumace per non avere informato la parte nei giudizi della sussistenza della rinuncia all’eredità, e per non essersi opposto dai decreti ingiuntivi e pignoramenti derivati dagli atti notificati successivamente alla rinuncia all’eredità.
Il figlio eccepisce che i pignoramenti sono illegittimi e l’azione è temeraria, in quanto il difetto di legittimazione passiva era di già esistente al momento delle notifiche di tutti gli atti di cui sopra (1,2,3,4,), notificati dopo che il figlio chiamato avesse di già rinunciato (di fatto e di diritto) all’eredità, e quindi al momento delle notifiche non era giuridicamente legittimato ad essere destinatario di notifiche riferite a debiti appartenenti al padre defunto, in altri termini al fine di individuare correttamente il legittimato passivo, i creditori avrebbero potuto (dovuto?) consultare il registro delle successioni anche per verificare la presenza o meno del curatore dell’eredità, art. 528 c.c. (pubblicazione della nomina in G.U. e iscrizione nel registro delle successioni).

Osservazioni:

Si rileva che la rinuncia all’eredità era per il creditore conoscibile con l'ordinaria diligenza tramite la mera consultazione del registro delle successioni che ha effetto di pubblicità – notizia ( si ritiene che la ratio dell’esistenza del registro delle successioni sia anche per informare il creditore che il soggetto a cui vuole destinare gli atti non è giuridicamente legittimato a ricevere le notifiche per conto dell’originario debitore defunto), quale circostanza idonea a dimostrare che il titolo a succedere sia venuto a mancare (rinuncia all’eredità) verificatosi alla data anteriore della notificazione degli atti e per ciò si ritiene che in quei specifici giudizi ed esecuzioni sia venuto a meno sul figlio l'onere di dimostrare il contrario e di chiarire la sua posizione in tempo utile, cosa diversa sarebbe stata (inopponibilità per decadenza dei termini) se gli atti fossero stati notificati prima che il figlio avesse rinunciato all'eredità.

Per quanto riguarda l’attività esecutiva dell’Agenzia delle Entrate, va rilevato che l’inerzia ad opporsi alla messa in mora del figlio rinunciatario dell’eredità del debitore, è avvenuta in un contesto in cui lo stesso Ufficio finanziario era di già in possesso della rinuncia all’eredità del figlio chiamato illegittimamente a pagare i debiti erariali del padre, in quanto la rinuncia all’eredità non solo è stata pubblicata nel registro delle successioni, ma ulteriormente è stata anche inviata da parte del Tribunale all’Agenzia delle Entrate con il pagamento da parte del rinunciatario di € 200 per i dritti di deposito ancor prima della notifica degli atti.

In attesa porgo Cordiali saluti.”
Consulenza legale i 07/06/2020
Nella situazione in cui ci si trova, purtroppo, non vi sono tanti mezzi alternativi per evitare di continuare a subire una procedura esecutiva già intrapresa.
L’unico strumento di cui ci si può avvalere è proprio quello dell’opposizione all’esecuzione, quale prevista e disciplinata dal secondo comma dell’art. 615 c.p.c.
La Corte di Cassazione si è occupata di un problema per molti versi assimilabile a quello in esame, con riferimento tuttavia a soggetto che si trovava nella posizione di chiamato all’eredità (cfr. Cass. Civ. Sez. III n. 18534 del 03.09.2007).
In particolare, in tale sentenza è stato affermato che nei confronti del chiamato all’eredità non è esperibile alcuna azione avente ad oggetto obbligazioni contratte dal de cuius, non avendo lo stesso acquisito lo status di erede e non potendo, dunque, ancora considerarsi soggetto passivo delle obbligazioni del de cuius.
Ciò, indubbiamente, vale ancor di più in un caso come quello in esame, in cui il chiamato all’eredità ha perfino rinunciato espressamente e formalmente all’eredità, ponendo in essere tutti gli adempimenti a tale rinuncia connessi, quali l’inserzione di essa nel Registro delle successioni e la notifica del medesimo atto all’Agenzia delle entrate (nella sua qualità di creditrice del de cuius).

Tuttavia, quanto statuito dalla S.C. nella sentenza citata assume rilevanza anche sotto un altro profilo.
Infatti, si legge in tale sentenza che costituisce preciso onere del convenuto, nel momento in cui viene citato in giudizio, pur non essendo soggetto passivo delle obbligazioni (per aver rinunciato all’eredità), comparire in giudizio per manifestare la sua posizione, ossia nel caso di specie l’insussistenza della propria qualità di erede per aver rinunciato all’eredità, mentre nel caso preso in esame dalla Corte quella di semplice chiamato all’eredità.

La ratio giustificatrice di tale onere si rinviene nella considerazione, fatta propria da un consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo cui se il convenuto non compare, una volta che attraverso il giudicato si sia venuto ad accertare il diritto di una parte nei confronti di un’altra, tutte le questioni che avrebbero potuto essere fatte valere nel giudizio e che, se lo fossero state, avrebbero potuto condurre a negare quel diritto, non possono più esserlo né possono più formare oggetto di opposizione all’esecuzione.

Sulla stessa scia si è posta la successiva sentenza della Corte di Cass. Sez. II n. 25151 del 26.11.2014, nella quale viene presa in esame proprio la posizione del chiamato il quale riceva una notifica di riassunzione a seguito di interruzione del processo per morte della parte debitrice.
Si afferma in detta sentenza che “qualora l’atto di riassunzione del giudizio interrotto per morte della parte sia stato notificato nei confronti del solo chiamato all’eredità che, lamentando il proprio difetto di legitimatio ad causam, abbia successivamente rinunziato all’eredità, la sentenza di primo grado è nulla attesa l’efficacia retroattiva della rinunzia all’eredità, con la conseguenza che il giudice d’appello deve rimettere il giudizio al primo grado, ai sensi dell’art. 354 del c.p.c., per consentire la regolarizzazione del contraddittorio, eventualmente previa nomina di un curatore dell’eredità giacente ex art. 486 del c.c.”.

Anche da questa sentenza, dunque, se ne deve dedurre la necessità che colui il quale viene citato in giudizio, anche a seguito di atto di riassunzione, dovrà costituirsi per far valere il difetto di legittimazione passiva (nel caso che ci occupa producendo in giudizio la rinuncia all’eredità, antecedente alla notifica dello stesso atto di riassunzione).

Ciò posto, va a questo punto detto che uno spiraglio positivo, che può far sperare in un possibile esito favorevole dell’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. (di cui ci si intende avvalere), lo si può rinvenire proprio nel disposto del menzionato art. 486 c.c. nonché in una recentissima sentenza della medesima Corte di Cassazione, Sezione lavoro, n. 21436 del 30.08.2018.

In particolare, si ritiene innanzitutto che, sebbene l’art. 486 c.c. si trovi inserito sotto la sezione dedicata al beneficio di inventario, quanto statuito al suo secondo comma costituisca un principio di applicazione generale, anche perché tale norma va collegata con l’art. 460 del c.c., che attribuisce al chiamato la legittimazione passiva a stare in giudizio per rappresentare l’eredità, non potendo la semplice difesa comportare accettazione tacita dell’eredità.
Dispone, infatti, tale norma che se il chiamato all’eredità viene convenuto in giudizio per rappresentare l’eredità e non compare, l’autorità giudiziaria provvede alla nomina di un curatore all’eredità affinchè la rappresenti in giudizio.
Si tratta di una figura non dissimile dal curatore specialeal quale si fa ricorso ai sensi del secondo comma dell’art. 78 del c.p.c. per il giudizio in cui il chiamato abbia interessi propri contrastanti con quelli dell’eredità e si è anche ritenuto che la necessità della nomina debba essere valutata in relazione alla domanda giudiziale secondo l’apprezzamento del giudice adito, il quale non ha alcun obbligo di procedere (così Cass. n. 920/1977).

Pertanto, già da questo può dedursi che, nel momento in cui è stata accertata la mancata comparizione in giudizio del presunto erede, il giudice investito della controversia ben avrebbe potuto fare applicazione del suddetto art. 486 c.p.c. al fine di integrare regolarmente il contraddittorio; parte della dottrina ha perfino aggiunto che il terzo attore, in caso di mancata comparizione di colui il quale viene convenuto in luogo del defunto, ha il preciso onere di sollecitare la nomina del curatore, anche solo per riassumere il processo intentato contro il defunto e sospeso per via della sua morte.

Alla tesi, poi, fatta propria dalla Cassazione e sopra richiamata, secondo cui sarebbe stato preciso onere del convenuto eccepire nella sua prima difesa il proprio difetto di legittimazione passiva, si ritiene possa essere utile contrapporre il successivo e più recente orientamento espresso sempre dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 21436/2018 sopra richiamata.
Si afferma in tale sentenza che nel caso in cui venga instaurato un giudizio nei confronti del preteso erede per debiti del de cuius, incombe su chi agisce, facendo applicazione del principio generale di cui all’art. 2697 del c.c., l’onere di provare l’assunzione da parte del convenuto della qualità di erede.
Tale qualità non può desumersi dalla semplice chiamata all’eredità, in quanto non è prevista alcuna presunzione in tal senso, ma può solo conseguire all’accettazione dell’eredità, sia essa in forma espressa che tacita, la cui ricorrenza costituisce elemento costitutivo del diritto azionato nei confronti del soggetto chiamato in giudizio in detta qualità.

In particolare, nel caso specifico preso in esame dalla S.C., la Corte di Appello, la cui sentenza è stata impugnata, aveva confermato la decisione del Tribunale di primo grado di rigetto dell’opposizione proposta avverso il decreto ingiuntivo emesso nei confronti di una presunta erede, sostenendone la natura di res iudicata per non avere il destinatario originario dell’ingiunzione interposto alcuna impugnativa nei termini di legge; riteneva, così, infondata l’eccezione di carenza di legittimazione passiva della ricorrente, in quanto non era stata fornita prova della rinuncia all’eredità nei confronti del de cuius originario debitore, pur a seguito di specifica diffida ad adempiere al pagamento del credito sostenuto dal titolo esecutivo da parte del creditore procedente.

La Corte di Cassazione, invece, accoglie le motivazioni addotte dalla ricorrente, la quale contesta che il Giudice del gravame aveva erroneamente posto a suo carico l’onere di dimostrare la carenza di legittimazione passiva, così invertendo i principi in tema di rispettivi oneri probatori, affermando il seguente principio di diritto: “In tema di successioni mortis causa, la delazione che segue l’apertura della successione, pur rappresentando un presupposto, non è di per sé sola sufficiente all’acquisto della qualità di erede, essendo a tale effetto necessaria anche, da parte del chiamato, l’accettazione, mediante aditio oppure per effetto di pro herede gestio oppure per la ricorrenza delle condizioni di cui all’art. 485 del c.c.”.

Da ciò se ne fa conseguire che, nell’ipotesi di giudizio instaurato nei confronti del preteso erede per debiti del de cuius, incombe su chi agisce, ex art. 2697 c.c., l’onere di provare l’assunzione da parte del convenuto della qualità di erede (così anche Cass. n. 10525/2010), né tale onere può intendersi assolto con la mancata risposta alla diffida ad adempiere o con la mancata costituzione in giudizio (non potendo tali fatti costituire indicatori di una accettazione tacita di eredità).

Sulla scorta delle superiori considerazioni, dunque, si ritiene che si disponga di sufficienti argomentazioni giuridiche per tentare di bloccare, ex art. 615 c.p.c., l’esecuzione intrapresa contro un soggetto che, di fatto, non ha mai assunto la qualità di debitore.


MESSA M. chiede
venerdì 19/04/2019 - Puglia
“Mi e' stato notificato un decreto ingiuntivo cui non mi sono opposto per negligenza (non sono un giurista) ed e' passato in giudicato; la richiesta oggetto del decreto, che si basa su 4 fatture di materiale professionale a me intestate, ma di cui solo una parte e' a me pervenuta e quindi da me pagata, poiche' la restante parte e' stata ritirata dalla rappresentante della ditta fornitrice e venduta (in nero) ad altri; il mio avvocato dice che sono costretto a pagare per poi rivalermi sulla rappresentante.
Pero' preciso che:
- non conoscendo l'oggetto della richiesta (le fatture) le ho richieste prima per telefono, poi per pec l'ultimo giorno utile per fare opposizione, e non mi sono state notificate se non sei mesi dopo;
- su 2 delle 4 fatture e' chiaramente indicato che la merce e' stata recapitata non al mio studio ma a casa della rappresentante;
- la rappresentante mi ha reso una dichiarazione per iscritto in cui spiega che solo la parte della merce da me pagata e' stata a me consegnata, la restante parte e' stata trattenuta da lei.
Alla luce di tutto questo non mi va di pagare merce che non ho ricevuto; possibile che non ci sia modo di opporsi?”
Consulenza legale i 30/04/2019
L’avvocato dell’ingiunto ha, purtroppo, risposto correttamente quando ha detto al cliente che non c’è più modo di contestare il decreto ingiuntivo già emesso e non opposto: il termine per far valere eventuali contestazioni sul merito della domanda (come l’inesistenza, totale o parziale, del credito) è infatti perentorio ed è quello dei successivi 40 giorni dalla notifica del provvedimento.

Esiste, è vero, una residua possibilità di difesa nel momento in cui ancora non sia iniziata - oppure anche quando sia già iniziata - l’esecuzione forzata in forza del titolo (decreto), che è la cosiddetta “opposizione all’esecuzione” di cui all’art. 615 c.p.c., azione precisamente finalizzata a contestare “il diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata”.
Tuttavia, quando l’esecuzione in questione si basa su un provvedimento la cui fondatezza e i cui presupposti dovevano essere contestati entro un certo termine (precedente), non sarà evidentemente più possibile farlo ricorrendo all’azione di cui all’art. 615 c.p.c., altrimenti ciò si tradurrebbe in un abile “stratagemma” per aggirare la legge (e precisamente, nel nostro caso, la norma che impone il rispetto del termine di 40 giorni per l’opposizione al decreto ingiuntivo: art. 641 c.p.c.).
Si potrà, dunque, eventualmente, agire in tal senso solo per far valere fatti modificativi o estintivi del credito azionato con il decreto ingiuntivo che sono sopravvenuti al decreto stesso (ovvero che si sono verificati successivamente alla sua emissione).

Si riportano alcune significative pronunce sul tema:

In sede di opposizione all'esecuzione avverso un decreto ingiuntivo dichiarato esecutivo, in quanto non opposto, il debitore non può contestare il diritto del creditore per ragioni che avrebbe potuto, e dovuto, far valere nel giudizio ad opposizione al decreto ingiuntivo, ma può far valere esclusivamente fatti modificativi od estintivi sopravvenuti”. (Tribunale Taranto, 19/01/2017)

Ed ancora:

Il titolo esecutivo giudiziale (nella specie, decreto ingiuntivo dichiarato esecutivo perché non opposto) copre i fatti estintivi (o modificativi o impeditivi) del credito intervenuti anteriormente alla formazione del titolo e non può essere rimesso in discussione dinanzi al giudice dell'esecuzione ed a quello dell'opposizione per fatti anteriori alla sua definitività, in virtù dell'intrinseca riserva di ogni questione di merito al giudice naturale della causa, per cui, qualora a base di una qualunque azione esecutiva sia posto un titolo esecutivo giudiziale, il giudice dell'esecuzione non può effettuare alcun controllo intrinseco sul titolo, diretto cioè ad invalidarne l'efficacia in base ad eccezioni o difese che andavano dedotte nel giudizio nel cui corso è stato pronunziato il titolo medesimo, potendo solo controllare la persistente validità di quest'ultimo ed attribuire rilevanza ai fatti posteriori alla sua formazione.” (Tribunale Milano Sez. XIII Sent., 11/07/2013).

L’unica strada percorribile, in definitiva, rimane quella suggerita dal legale, ovvero quella di pagare e poi rivalersi nei confronti del o dei soggetti responsabili per un ristoro dell’ingiusto danno subìto.


V. A. chiede
venerdì 16/11/2018 - Campania
“Buongiorno a tutti. Di seguito espongo una problematica che a dir poco mi sta tormentando la mia vita di queste ultime settimane.
Dunque,
premesso di essere residente in (omissis) dal lontano 2012, l' Agenzia delle entrate riscossione sede di (omissis) tentava una notifica all'indirizzo su detto, nel quale oramai da molti anni or sono non sono più residente; successivamente la stessa Agenzia delle entrate riscossione sede di (omissis) mi notificava in data 26.09.2018 la cartella di pagamento n. (omissis) asseritamente riferita a:
1- contravvenzione codice della strada l.689/81 per l'anno 2013 oltre interessi, maggiorazioni ecc. per un totale di 1072,94;
2- contravvenzione codice della strada l.689/81 per l'anno 2013 oltre interessi, maggiorazioni ecc. per un totale di 1072,94 di cui alle cartelle esattoriali sopra indicate;
per entrambe ruolo emesso dalla Prefettura di (omissis)

Dalla cartella di pagamento risulta che dette contravvenzioni sono state notificate, riguardo la prima contravvenzione in data 10.09.2013 e, per la seconda contravvenzione notificate in data 18.09.2013, quindi entrambe oltre cinque anni prima rispetto alla cartella di pagamento notificata, come innanzi detto, in data 26.09.2018.

Ad oggi dalla data di notifica del 26 settembre 2018 sono trascorsi più di 30 giorni e,
purtroppo da come ho avuto modo di leggere sulle ricerche fatte sul web, sembra che l'unico termine per impugnare la suddetta cartella di pagamento, per chiederne la prescrizione, sia per l'appunto sempre e soltanto 30 giorni.


Si chiede nell’eventualità sia possibile ancora impugnare la cartella di pagamento di cui sopra, oltre i trenta gironi:

a) Quale sia l’autorità competente a decidere nonché quale sia l’autorità competente per territorio;
b) Chi sia il soggetto a cui contestare l’avvenuta prescrizione tra polstrada del comune di (omissis), prefettura di (omissis), Agenzia delle entrate riscossione di (omissis);
c) Attraverso quale tipologia di atto chiedere la prescrizione (ricorso al giudice, ricorso al Prefetto di (omissis), polstrada del comune di (omissis), Prefettura di (omissis) oppure eventuali richieste di esercizio del potere di autotutela indirizzate al Prefetto di (omissis)e/o polstrada del comune di (omissis) e/o Prefettura di (omissis) e/o all'agenzia delle entrate riscossione di (omissis); per quest'ultima domanda in particolare si chiede gentilmente di citare la normativa di riferimento; nonché si chiede eventualmente esistente di citare anche la normativa di riferimento che permette di chiedere la prescrizione anche dopo che siano decorsi i trenta giorni dalla notifica del 26.09.2018 della cartella di pagamento sopraindicata.
Si allegherà la cartella di pagamento secondo vostre indicazioni, se occorrente.

L'occasione è gradita per inviare cordiali saluti.

Consulenza legale i 20/11/2018
In primo luogo, precisiamo che il diritto a riscuotere le somme dovute per le violazioni di cui al codice della strada si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata commessa la violazione (art. 209 C.d.S che richiama l’art. 28 Legge 689/81).
A ciò si aggiunga che in base all’art. 1 comma 153 della L.244/2007 “gli agenti della riscossione non possono svolgere attività finalizzate al recupero di somme, di spettanza comunale, iscritte in ruoli relativi a sanzioni amministrative per violazioni del codice della strada di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, per i quali, alla data dell'acquisizione di cui al comma 7, la cartella di pagamento non era stata notificata entro due anni dalla consegna del ruolo".
Ciò significa che l’agente della riscossione deve notificare, a pena di decadenza, la cartella esattoriale entro due anni dalla data in cui il Comune ha consegnato il ruolo con la multa.
In tal caso, se la multa non è ancora prescritta (perché non sono decorsi 5 anni), l’ente creditore può comunque richiedere il pagamento al debitore attraverso un’azione di recupero crediti ordinaria (cioè rivolgendosi al giudice e non tramite agente di riscossione).

Ciò precisato, ai fini del calcolo dei cinque anni di occorre far riferimento non alla data di quando la cartella è pervenuta all’indirizzo del destinatario ma a quella di quando essa è stata spedita dall’agente di riscossione.
Tale principio è consacrato anche nella sentenza a Sezioni Unite della Corte di Cassazione n.12332/2017.

Nel caso in esame (a parte l’aspetto dell’eventuale decadenza trascorsi i due anni dalla consegna del ruolo) occorre quindi preliminarmente verificare la data di spedizione della cartella ai fini della intervenuta prescrizione. Se essa è effettivamente posteriore ai cinque anni, anche di un solo giorno, potrà essere eccepita l’intervenuta prescrizione (sempre che non vi siano stati atti interruttivi nel frattempo) che comporta la nullità della relativa cartella avente ad oggetto un credito estinto.

Una volta appurato tale aspetto, circa il termine per impugnare la cartella, se si fa riferimento al rito speciale di cui all’art. 7 D.Lgs 150/2011, esso è di 30 giorni dalla notifica con ricorso dinanzi al Giudice di Pace competente per territorio.
Si sarebbe potuto fare ricorso a tale procedimento se, ad esempio, i verbali di contravvenzione non fossero mai stati notificati.
Tuttavia, il caso in esame non appare rientrare in tali ipotesi.
Eccependo l’intervenuta prescrizione (sempre che essa sia maturata nel senso sopra indicato) si contesta il diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata in quanto viene fatto valere un fatto estintivo sopravvenuto alla formazione del titolo (la prescrizione, appunto).

Si deve pertanto proporre opposizione ai sensi dell’art. 615 c.p.c. (che non prevede il predetto termine decadenziale di trenta giorni) dinanzi il giudice ordinario mediante atto di citazione.
Infatti, ai sensi dell’articolo 29 comma 2 del D.Lgs. n. 46/1999 alle entrate di natura non tributaria non si applica la disposizione del comma 1 dell'articolo 57 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 e le opposizioni all'esecuzione ed agli atti esecutivi si propongono nelle forme ordinarie.

Ciò premesso, in risposta alle domande contenute nel quesito possiamo dunque affermare quanto segue.

a) L’autorità competente a decidere l’opposizione ai sensi dell’art. 615 c.p.c. è il Giudice di Pace.
Ciò trova conforto anche nella pronuncia della Corte di Cassazione n. 7139 del 20.03.17 secondo cui “il motivo di opposizione relativa alla riscossione di sanzioni amministrative pecuniarie per violazioni del codice della strada, configurata come opposizione ad esecuzione non ancora iniziata (nella specie proposta per sopravvenuta prescrizione del diritto all'esazione), spetta alla competenza del giudice di pace, avuto riguardo ai criteri di competenza per materia individuati dal D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 7, al pari della cognizione relativa all'opposizione al verbale di accertamento presupposto”.

Il Giudice di Pace competente per territorio è quello individuato ai sensi degli artt. 27 e 480 c.p.c. e quindi il giudice del luogo in cui la cartella è stata notificata.

b) Circa la legittimazione passiva (“il soggetto a cui contestare l’avvenuta prescrizione”) essa è dell’agente di riscossione.
Infatti, l’art. 39 del D.Lgs 112/99 testualmente prevede: “Il concessionario, nelle liti promosse contro di lui che non riguardano esclusivamente la regolarità o la validità degli atti esecutivi, deve chiamare in causa l'ente creditore interessato; in mancanza, risponde delle conseguenze della lite.”
A ciò si aggiunga che con la recentissima ordinanza n.23627 del 2018 la Cassazione ha ribadito che: “L’agente della riscossione è titolare esclusivo dell’azione esecutiva per la riscossione dei crediti esattoriali (come è noto, in proposito, la legge prevede una eccezionale scissione tra titolarità del credito e titolarità dell’azione esecutiva), e pertanto è da ritenersi necessariamente legittimato passivo nelle opposizioni esecutive avanzate del debitore. Esso è anzi l’unico legittimato passivo necessario, quale soggetto titolare dell’azione esecutiva, avendo l’onere di chiamare eventualmente in giudizio l’ente creditore, laddove siano in discussione questioni attinenti al credito o comunque che non riguardino esclusivamente la regolarità degli atti esecutivi, ai sensi dell’art. 39 del decreto legislativo n. 112 del 1999”.

c) A questa domanda si è sostanzialmente già risposto: l’atto con cui eccepire l’intervenuta prescrizione è l’atto di citazione proposto ai sensi dell’art. 615 c.p.c.

Fermo quanto precede, suggeriamo di tentare anche la strada dell’autotutela chiedendo l’annullamento in via stragiudiziale della cartella in questione.

Elena B. chiede
lunedì 11/09/2017 - Lombardia
“In qualità di fideiussore non mi sono opposta a decreto ingiuntivo nell'anno 2015.Il debito aziendale era certo. ora la finanziaria sta agendo contro i miei beni immobili, ma ho scoperto che hanno usato una fideiussione apocrifa e di importo superiore a quella da me rilasciata , di cui non ho copia , cosa fare per bloccare la procedura nei miei confronti, quale fideiussore? ( il debito aziendale ove io sono l'amministratore invece è certo ). grazie”
Consulenza legale i 08/10/2017
Ai sensi dell'art. 1936 del Codice Civile è fideiussore colui che, obbligandosi personalmente verso il creditore, garantisce l'adempimento di un'obbligazione altrui.

Più precisamente, la fideiussione è il contratto in forza del quale il fideiussore si obbliga a garantire l'obbligazione altrui, obbligandosi a propria volta nei confronti del debitore. Si tratta di una garanzia personale, cioè relativa alla persona del fideiussore, il quale si obbliga con tutto il proprio patrimonio, che produce la nascita di un nuovo rapporto obbligatorio, accessorio rispetto all'obbligazione principale, nel senso che l'obbligazione di garanzia esiste se e fintantoché esiste l'obbligazione principale garantita. Con la fideiussione si aggiunge al rapporto un ulteriore debitore, che con il suo patrimonio rafforza la garanzia del creditore.

La fideiussione, dunque, fa sorgere un rapporto giuridico unicamente tra il creditore e il garante, non essendo richiesto, ai fini della sua validità, neanche il consenso del debitore principale, il quale resta del tutto estraneo rispetto alla fideiussione.

Dal quesito emerge la falsità della sottoscrizione della fideiussione attivata dalla finanziaria.
Lasciando da parte la fideiussione originale, che è quella che può e deve essere attivata dalla finanziaria al fine di vedersi garantito il credito, il consiglio è quello di opporsi all'utilizzo della falsa fideiussione presentando richiesta di disconoscimento della sottoscrizione (oltre che di risarcimento dei danni subiti).

Essendo stato abrogato, con il Decreto Legislativo 15 gennaio 2016, n. 7, art. 1, lettera a), l’articolo 485 del Codice Penale che prevedeva il reato di falso in scrittura privata, la fattispecie non è più considerata reato dalla legge; i fatti di falso in scrittura privata ora sono descritti quali illeciti civili dall’art. 4, co. 4, lett. a), c), d) ed e), del citato decreto, e per essi è prevista la sanzione pecuniaria civile da Euro 200 a 12.000.

Inoltre, per bloccare l'esecuzione contro i beni immobili, il consiglio è di proporre opposizione contestando il diritto del creditore a procedere: se l'esecuzione non è ancora iniziata, l'opposizione all'esecuzione si propone con opposizione al precetto quale atto prodromico all'esecuzione stessa. Tale istituto costituisce una tutela per il debitore opponente quando l'esecuzione gli sia stata soltanto preannunciata con la notifica del titolo esecutivo e del precetto. In questo caso, ai sensi dell'art. 615 c.p.c., l'opposizione deve essere formulata, con l'assistenza di un legale, con atto di citazione innanzi al giudice competente. In seguito a tale opposizione, nel processo di esecuzione si apre una parentesi di cognizione quale incidente per giudicare l'an dell'esecuzione, nella quale si consiglia di richiedere che la dichiarazione di nullità del precetto in quanto fondato su un titolo esecutivo, il decreto ingiuntivo, emesso sulla base di un contratto di fideiussione falso.


Enrico C. chiede
sabato 15/07/2017 - Lazio
“Vorrei cortesemente sapere come ci si possa opporre ad un'esecuzione forzata eseguita mediante pignoramento.”
Consulenza legale i 28/07/2017
Nel caso di pignoramento già eseguito (il quesito lascia presumere che la procedura sia già arrivata a questo punto), ovvero:

- nel caso di pignoramento mobiliare, l’ufficiale giudiziario si è già recato presso il luogo indicatogli dal creditore per l’esecuzione (è irrilevante che abbia trovato o meno dei beni da aggredire);
- nel caso di pignoramento immobiliare, l’atto di pignoramento che descrive esattamente quale sia l’immobile che dev’essere pignorato ai fini della vendita forzata e lo vincola (per cui il debitore esecutato/proprietario non può più disporne) dev’essere già stato notificato al debitore;
- nel caso di pignoramento presso terzi, l’atto di pignoramento che individua esattamente quale sia il credito che un terzo soggetto ha nei confronti del debitore esecutato e che lo vincola per metterlo a disposizione del creditore procedente, dev’essere già stato notificato sia al debitore che al terzo;

esistono solo due modi per opporsi, che dipendono dalle ragioni per le quali si ritiene che l’esecuzione non debba/non possa essere proseguita.

1) Ragioni di merito: ovvero se si ritiene (e soprattutto se si possa provare) che non è mai esistito o non esiste più il diritto di credito del procedente, per cui quest’ultimo non ha (o non ha più) alcun titolo per agire nei confronti del soggetto esecutato.

Lo strumento è dato dall’art. 615 c.p.c., secondo comma, in forza del quale si può presentare ricorso al Giudice dell’esecuzione, ricorso che aprirà, dunque, una vera e propria causa. Per proporre questo tipo di esecuzione c’è tempo fino all’esaurirsi della procedura stessa (fino, cioè, all’ultimo atto esecutivo, presumibilmente il pagamento del creditore con le somme ottenute attraverso l’esecuzione).

2) Ragioni di regolarità formale degli atti esecutivi: ovvero, quando si ritiene che vi siano delle irregolarità nella procedura (è stato “saltato un passaggio”, è scaduto un termine, ecc.) oppure dei vizi di forma nei vari atti dell’esecuzione (vizi dell’atto di precetto, dell’atto di pignoramento o degli atti del Giudice come l’ordinanza che dispone la vendita).

In questo caso il riferimento è l’art. 617 c.p.c., il quale consente di proporre opposizione, sempre al Giudice dell’Esecuzione, entro però – si noti bene - venti giorni “dal primo atto di esecuzione, se riguardano il titolo esecutivo o il precetto, oppure dal giorno in cui i singoli atti furono compiuti”.

Esiste, poi, una terza forma di opposizione (che non si ritiene riguardi, però, il caso di specie), che è quella dei terzi, disciplinata dall’art. 619 c.p.c.: “Il terzo che pretende avere la proprietà o altro diritto reale sui beni pignorati può proporre opposizione con ricorso al giudice dell’esecuzione prima che sia disposta la vendita o l’assegnazione dei beni”.

Carlo P. chiede
venerdì 07/10/2016 - Sardegna
“FATTO
1. Equitalia esegue un pignoramento pensione INPS sulla base di estratti di ruolo relativi ad una serie di vecchi tributi per tasse di registro, successione etc., tutti notificati per trascorsa giacenza, per i quali il pignorato contesta la mancata esibizione della cartella, da lui mai ricevuta, e la prescrizione del tributo e la presenza di tributi da lui non dovuti.

2. Nell’opposizione al pignoramento il giudice del Tribunale delle Esecuzioni emette ordinanza in cui dichiara la validità dei titoli presentati da Equitalia e assegna al pignorato un termine perentorio per instaurare il giudizio sul merito, previa iscrizione a ruolo.

3. Trattandosi prevalentemente di imposte di registro, il ricorso sul merito viene (erroneamente ?) presentato alla Commissione Tributaria Provinciale, anziché al Tribunale (ordinario o delle esecuzioni ?), con il risultato che detta Commissione Tributaria si dichiara incompetente e condanna alle spese di giudizio il pensionato.

4. Il termine fissato dal giudice dell’esecuzione per il ricorso sul merito è nel frattempo scaduto, sicché il pignoramento procede indisturbato.

QUESITO
A quale tribunale sarebbe dovuto essere presentato il giudizio di merito nei termini fissati dal giudice delle esecuzioni?
Quale via resta al pignorato per chiedere ad Equitalia il rimborso delle somme che vengono a lui pignorate e che egli afferma non essere dovute, perché prescritte e/o affette da errore ?”
Consulenza legale i 13/10/2016
Il giudizio di merito doveva essere presentato al Tribunale Ordinario (e non nuovamente al Giudice dell’Esecuzione).

In una prima fase, infatti – fase in cui la cartella di pagamento è già stata emessa e notificata e l’ente di riscossione ha già avviato la procedura esecutiva vera e propria procedendo, come in questo caso, con una richiesta di pignoramento - essendo in contestazione il diritto nel merito di procedere con l’esecuzione forzata (ad esempio perché la pretesa creditoria è infondata nel merito oppure ancora perché, nonostante sia fondata la pretesa, il credito si è prescritto) è corretto sollevare opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 c.p.c.: “Quando si contesta il diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata e questa non è ancora iniziata, si può proporre opposizione al precetto con citazione davanti al giudice competente per materia o valore e per territorio a norma dell'articolo 27.(…) Quando è iniziata l'esecuzione, l'opposizione di cui al comma precedente e quella che riguarda la pignorabilità dei beni si propongono con ricorso al giudice dell'esecuzione stessa (…)”.

Il giudizio sul merito successivo va, quindi, instaurato avanti al Giudice ordinario e non alla Commissione Tributaria. Ciò a norma del D.Lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, art. 2, nel testo modificato dai successivi interventi normativi, per il quale appartengono alla giurisdizione tributaria tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie comunque denominati, compresi quelli regionali, provinciali e comunali e il contributo per il Servizio sanitario nazionale, nonché le sovrimposte e le addizionali, le sanzioni amministrative (aventi natura tributaria) irrogate da uffici finanziari, gli interessi e ogni altro accessorio, ad eccezione delle “controversie riguardanti gli atti dell'esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento" (Cassazione civile, sez. un., 29/04/2015 n. 8618).

Con la definitività della cartella di pagamento viene infatti meno la possibilità di formulare contestazioni che concernano il rapporto tributario ed i suoi elementi costitutivi, assegnate alla cognizione delle commissioni tributarie (Cass., sez. un., 18 febbraio 2014, n. 3773), appartenendo invece alla giurisdizione del giudice ordinario "gli atti posti in essere durante la successiva espropriazione forzata, atti che non propongono questioni di natura tributaria, ma riguardano le situazioni giuridiche tutelabili dinanzi al giudice dell'esecuzione" (come è correttamente avvenuto nel caso di specie).

Qualora, tuttavia, la parte (l’opponente) cui spetta la riassunzione del processo davanti al giudice del merito non rispetti il termine stabilito dal Giudice, non avrà, purtroppo, alcuna possibilità che la controversia venga riesaminata, appunto, nel merito della pretesa contributiva: nel caso di specie, in particolare, il termine è stato rispettato ma il giudizio è stato riassunto davanti ad un Giudice incompetente.
Ciò equivale ad aver “perso un’occasione", l’unica concessa, perché la norma (art. 616 c.p.c.: “Se competente per la causa è l'ufficio giudiziario al quale appartiene il giudice dell'esecuzione questi fissa un termine perentorio per l'introduzione del giudizio di merito secondo le modalità previste in ragione della materia e del rito, previa iscrizione a ruolo, a cura della parte interessata, osservati i termini a comparire di cui all'articolo 163-bis, o altri se previsti, ridotti della metà; altrimenti rimette la causa dinanzi all'ufficio giudiziario competente assegnando un termine perentorio per la riassunzione della causa.”) parla espressamente di termine “perentorio” per la riassunzione, il che significa che se tale termine non viene rispettato o si commette un errore non si può più rimediare.

Francesco S. chiede
domenica 11/09/2016 - Lombardia
“Risiedo all estero ( Filippine) da circa otto anni a gennaio 2016 si e conclusa udienza per espropriazione presso terzi (INPS) PER 1/5 della mia pensione ed il sottoscritto mai avvisato ne informato e stato dichiarato "Contumace" nonostante INPS (BRESCIA) FOSSE A CONOSCENZA DA ANNI DI DOVE RISIEDO CON INRIRIZZO, NUMERO TELEFONICO E EMAIL.. ..NESSUNA CITAZIONE E A TUTTO OGGI NESSUNA NOTIFICAZIONE UFFICIALE MI E OPERVENUTA MA INPS STA ACCANTONANDO GIA DA GENNAIO 1/5 DELLA MIA PENSIONE . CHIEDO SE POSSO OPPORMI E RICORRERE E DIFENDERMI DA UN PROCESSO CELEBRATO IN MIA TOTALE ASSENZA E INSAPUTA DOVE ESISTONO TUTTI I PRESUPPOSTI PER PER PROVARE CHE LA CONTROPARTE ( UNA AZIENDA DI CREDITO) MI HA IMPOSTO TASSI SPESE E CONDIZIONI A DIRE IL ;POCO ANATOCISTICHE SE NON ATTIRITTURA DI USURA.TUTTO CIO TENUTO ALLOSCURO DAL GIUDICE CHE OVVIAMENTE IN MANCANZA DI CONTRADDITTORIO SI E LIMITATO AD ACCOGLIERE QUANTO L ACCUSA RICRIMINAVA. IN ATTESA SALUTO CORDIALMENTE”
Consulenza legale i 22/09/2016
Purtroppo si sono esaurite le possibilità di sollevare opposizione all’esecuzione in oggetto, dal momento che quest’ultima si è conclusa da mesi.

Andando con ordine, va innanzitutto osservato che la competenza territoriale del Giudice nei casi di esecuzione presso terzi nei confronti del debitore che risieda all’estero è questione ancora oggi molto dibattuta, a motivo dell’esistenza di una lacuna normativa nel codice di procedura civile.

Il Decreto Legge n. 132/2014, in vigore dall'11 dicembre 2014, in materia di esecuzione coattiva, con specifico riferimento agli artt. 543 e segg. c.p.c. e, pertanto, del pignoramento di crediti del debitore che risultino in possesso di terzi soggetti, ha rideterminato la competenza territoriale: ” b) dopo l'articolo 26 è inserito il seguente: «Art. 26-bis (Foro relativo all'espropriazione forzata di crediti). - Quando il debitore è una delle pubbliche amministrazioni indicate dall'articolo 413, quinto comma, per l'espropriazione forzata di crediti è competente, salvo quanto disposto dalle leggi speciali, il giudice del luogo dove il terzo debitore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede. Fuori dei casi di cui al primo comma, per l'espropriazione forzata di crediti è competente il giudice del luogo in cui il debitore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede.»”.

Il problema, già da molti sollevato, si pone nel momento in cui il debitore risulti residente (o con sede) all'estero e, tuttavia, si vogliano sottoporre a pignoramento crediti del debitore verso terzi o cose del debitore che siano in possesso di terzi, residenti o con sede in Italia.
L'art. 26 bis c.p.c., infatti, pur nella recente formulazione, non prevede la suddetta ipotesi (debitore con domicilio o sede estera e terzo con domicilio o sede in Italia).

Visto che la norma nella sua nuova formulazione è entrata in vigore da non molto tempo e che ancora oggi non vi sono quindi pronunce giurisprudenziali, considerato altresì che la competenza territoriale per l'esecuzione forzata, per espressa previsione normativa (art. 38 c.p.c.), non è derogabile, la questione è di primaria importanza.

Tra le varie soluzioni ipotizzate dai commentatori si è ritenuto fosse la migliore quella che richiama l'art. 26 c.p.c. – il cosiddetto “foro generale dell'esecuzione forzata” - nel quale viene esplicitamente previsto come: “Per l'esecuzione forzata su cose mobili (tra le quali il denaro e altri beni) o immobili è competente il giudice del luogo in cui le cose si trovano”.
Ciò posto, in caso di debitore residente (o con sede) all'estero, la competenza territoriale dovrebbe radicarsi, in virtù della norma di portata generale sopra richiamata (art. 26 c.p.c.), presso il giudice del luogo in cui i beni mobili si trovano e, quindi, in caso di pignoramento presso terzi, nel luogo in cui il terzo detiene i beni o le somme di denaro di pertinenza del debitore.

A favore di questa tesi, peraltro, vi è la ragione per cui la competenza territoriale per l'esecuzione forzata – come già detto - è inderogabile, per cui risulta preferibile l'applicazione della norma di riferimento in materia di esecuzione forzata in generale.

Ciò detto, pare che la scelta del creditore di rivolgersi – nel caso concreto al nostro esame - al Giudice italiano non sia, quindi, censurabile sotto il profilo logico/giuridico e del rispetto dei criteri generali dell’ordinamento, anche se, a rigore, non essendoci alcuna norma che lo prevede, ciò potrebbe costituire una fondata eccezione processuale.

Tuttavia, come già anticipato, non è purtroppo più possibile presentare opposizione all’esecuzione ai sensi dell’615 c.p.c. che recita: “Quando è iniziata l'esecuzione, l'opposizione di cui al comma precedente e quella che riguarda la pignorabilità dei beni si propongono con ricorso al giudice dell'esecuzione stessa. Questi fissa con decreto l'udienza di comparizione delle parti davanti a sé e il termine perentorio per la notificazione del ricorso e del decreto.

Formalmente, infatti, l’esecuzione presso terzi si conclude con l’emissione – da parte del Giudice – dell’ordinanza di assegnazione delle somme pignorate al creditore procedente; la giurisprudenza conferma che una volta conclusosi il procedimento, non è più possibile opporsi ai sensi della norma citata (tra tutte, si vedano Cassazione civile, sez. III, 07/07/2009, n. 15892 e Tribunale Milano, sez. III, 13/11/2012, n. 12499).

Si tenga presente, poi, che l’opposizione ad un’esecuzione, finalizzata, come nel caso di specie, a contestare non solo eventuali irregolarità processuali ma altresì l’inesistenza stessa del credito per cui si è proceduto, è possibile solo nelle forme sopra descritte (615 c.p.c.), non trovando applicazione in questa ipotesi nessun’altra norma del codice di procedura civile tra quelle che disciplinano l’esercizio, per così dire, tardivo dei propri diritti (consentendo, ad esempio, un’impugnazione o comunque l’apertura di un processo anche oltre il termine di legge).

Va infine precisato, per completezza, che a nulla rileva la circostanza per la quale l’INPS fosse a conoscenza del trasferimento di residenza e del nuovo indirizzo del debitore, dal momento che nel procedimento di esecuzione presso terzi l’onere di impulso processuale spetta al creditore, il quale probabilmente – nel caso di specie – non aveva alcun riferimento anagrafico diverso se non la vecchia residenza, presso la quale le notifiche non sono andate a buon fine. Si può, in effetti, solo ipotizzare (dal momento che non si ha copia degli atti del giudizio) che il Giudice abbia avuto sufficienti elementi per constatare e quindi dichiarare l’irreperibilità del destinatario delle notifiche, con conseguente dichiarazione di contumacia.

In ogni caso, ad avviso di chi scrive, sarebbe utile ed opportuno – poiché è ovviamente consentito alla parte processuale farlo ed anche in considerazione del fatto che non è trascorso che qualche mese dal pignoramento – rivolgersi all’archivio del Tribunale che ha trattato quel procedimento e recuperare copia del fascicolo di parte, se non altro per chiarire cosa sia accaduto.

Andrea P. chiede
venerdì 08/07/2016 - Sardegna
“FATTO
A distanza di 8-10 mesi uno dall’altro, Equitalia sta eseguendo due pignoramenti presso l’INPS sulla pensione di un pensionato per debiti fiscali di quest’ultimo. I due pignoramenti sono effettuati da Equitalia esattamente per gli stessi debiti (sembrano quasi fatti in fotocopia) e riguardano entrambi lo stesso bene (la pensione del debitore).

Si sta dunque cercando di pignorare due volte lo stesso bene per lo stesso debito ripetendo due volte la stessa procedura esecutiva in tribunale.

Da ambienti ben informati vicino al giudice, giunge voce che lo stesso giudice potrebbe approvare entrambi i pignoramenti disponendo così il pignoramento di somme in eccesso a quello di 1/5 massimo pignorabile sulla pensione, previsto dall’art. 545 del cpc.

QUESITO

Che arma resta al pensionato per opporsi

- alla ripetizione dello stesso procedimento esecutivo
e
- al pignoramento per debiti fiscali di somme di pensione in eccesso al massimo consentito dalla legge,

in una situazione in cui il giudice dell’esecuzione (che, per chissà quale motivo, appare favorire Equitalia) non eccepisce nulla contro la ripetizione dell’identico pignoramento, ed giudici del collegio sono pronti a ratificarne l’operato?”
Consulenza legale i 21/07/2016
Il pignoramento presso terzi è una delle procedure esecutive che consentono al creditore di aggredire somme di cui il debitore principale è a sua volta creditore direttamente nei confronti del debitor debitoris. Ciò in risposta ad un’esigenza di salvaguardia del creditore stesso.

La situazione prospettata nel caso di specie appare quantomeno fumosa: Equitalia sta eseguendo un nuovo pignoramento presso l’INPS nei confronti della pensione di un suo debitore, esattamente per lo stesso debito e per lo stesso importo.

La prima questione da affrontare è relativa all’esistenza di un secondo titolo esecutivo a favore di Equitalia nei confronti del pensionato: in caso di risposta positiva (ma non parrebbe il caso di specie, posto che si parla di “stesso debito”), il Giudice dell’Esecuzione dovrebbe comunque attenersi – nell’ordinanza di assegnazione delle somme in favore di Equitalia - al disposto dell’art. 545, comma 7 (in combinato disposto con il comma 8) c.p.c., il quale dispone che “le somme da chiunque dovute a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza, non possono essere pignorate per un ammontare corrispondente alla misura massima mensile dell’assegno sociale, aumentato della metà. La parte eccedente tale ammontare è pignorabile nei limiti previsti dal terzo, quarto e quinto comma nonché dalle speciali disposizioni di legge”. Per l’anno in corso, l’INPS ha fissato tale assegno in € 5.825,00 annui (€ 448,07 mensili per 13 mensilità), di talché la somma non pignorabile sarebbe pari a € 732,10 (si badi, somma questa al lordo delle imposte).

L’art. 545, comma 9 c.p.c. stabilisce inoltre che “il pignoramento eseguito sulle somme di cui al presente articolo in violazione dei divieti e oltre i limiti previsti dallo stesso e dalle speciali disposizioni di legge è parzialmente inefficace. L’inefficacia è rilevata dal giudice anche d’ufficio”. In caso di mancato rispetto di tale assunto, ben sarebbe possibile agire ai sensi dell’art. 617 c.p.c. per far valere l’inefficacia parziale del pignoramento così eseguito (sì come stabilito dalla Corte di Cassazione, sez. VI, sentenza 03/07/2015 n. 11493).

Il caso di specie parrebbe essere così prospettabile – anche se sarebbe necessario un approfondimento della questione, vista la carenza di elementi a disposizione e riguardanti i due pignoramenti – : uno stesso titolo esecutivo, una procedura esecutiva già iniziata (ed andata a buon fine, visto il pignoramento della pensione), una seconda procedura esecutiva intentata con lo stesso titolo esecutivo. Sembra appena il caso di accennare che lo stesso bene (la pensione) è comunque assoggettabile a più pignoramenti. Non così invece per quanto concerne uno stesso pignoramento per uno stesso debito scaturente dal medesimo titolo esecutivo.

Il rimedio è l’opposizione all’esecuzione di cui all’art. 615 c.p.c. Occorre solo distinguere: qualora il secondo pignoramento sia già stato intentato, occorre procedere con ricorso di cui all’art. 615, secondo comma c.p.c., da depositare dinanzi al Giudice dell’Esecuzione, che fisserà l’udienza e il termine perentorio entro cui il debitore opponente dovrà notificare il ricorso ed il pedissequo decreto di fissazione udienza; qualora, invece, il secondo pignoramento non sia ancora iniziato (e quindi – come parrebbe nel caso di specie – è stato solo notificato il precetto), occorre procedere con un normale atto di citazione da depositarsi presso la cancelleria del Tribunale competente per l’esecuzione, ai sensi dell’art. 615, primo comma c.p.c.

In conclusione pertanto:
- il pensionato può esperire una opposizione all’esecuzione per quanto concerne il secondo pignoramento, facendo valere l’impignorabilità delle somme – in quanto già sottoposte a precedente pignoramento scaturito dallo stesso titolo esecutivo (stesso debito), con una richiesta specifica di sospensione dell’esecuzione stessa;
- il pensionato ben può esperire – anche nel caso del primo pignoramento, qualora questo ecceda i limiti del quinto della somma pignorabile in concreto – una opposizione agli atti esecutivi, facendo valere il limite della somma impignorabile ai sensi dell’art. 545, comma 7 c.p.c., pari – per l’anno 2016 – alla somma lorda di € 732,10. In estrema sintesi, dunque, la pensione potrà comunque essere pignorata, ma per una somma pari ad un quinto della somma pignorabile (data dall’ammontare lordo della pensione a cui si sottrae la somma di € 732,10).

Loredana S. chiede
domenica 03/04/2016 - Veneto
“nel 1996 sono stata vittima di un arbitrato irrituale truffaldino, l'avv della controparte ha detto che i lavori edili sono stati effettuati dopo le fatture a saldo, falso, il gip nel 2007 ha affermato che i lavori non sono stati eseguiti ma prescrizione, sono stata soccombente in tutte le cause malgrado ll decreto del gip.la snc si e cancellata nel genn.2008,ho pagato i crediti.l'avv si e sempre reso disponibile, in causa a consegnarmi la documentazione. dei lavori effettuati dopo le fatture a saldo, non l'ha mai fatto adducendo varie scuse, nelle cause ha sempre dichiarato che la snc e in liquidazione ma inattiva, abbiamo sempre depositato la visura della camera di commercio.in febb 2016 ricevo un precetto x pagare spese processuali ,(di una causa di appello Iniziata nel 2003 e conclusa nel 20011) ,intestato ai soci di una snc in liquidazione ma inattiva, società con la stessa p.va di quella cancellata nel 2008 sic! il giudice non dice nulla anzi mi condanna a pagare dicendo che i crediti vanno in via successoria ai soci, ha mentito anche nelle precedenti cause sostenendo chela snc e in liquidazione ma inattiva. cosa posso fare legalmente contro questo avv e ex soci che continuano a torturarmi dicendo il falso.”
Consulenza legale i 14/04/2016
In primo luogo si ritiene che nel caso di specie - al fine di contestare la pretesa creditoria - non possa efficacemente eccepirsi la nullità del precetto notificato. Ciò perchè la parte istante non risulta essere la Società cancellata, bensì gli ex soci della medesima Società.
Infatti, in generale, in seguito alla riforma del diritto societario (attuata con il D.Lgs. n. 6/2003) la cancellazione della società produce l'effetto costitutivo dell'estinzione della società stessa, per cui, il precetto notificato su istanza di una società estinta sarebbe certamente nullo, poiché intimato da un soggetto inesistente.
In questo senso, si veda la sentenza del Tribunale Bari, Sez. II, 30 settembre 2015, n. 4125, secondo la quale: "il nuovo testo dell'art. 2495 c.c., comma 2, antepone al vecchio testo, che prevede le azioni dei creditori insoddisfatti nei confronti di soci e liquidatori, la proposizione "ferma restando l''estinzione della società"'. In tal modo il legislatore della riforma ha chiaramente manifestato la volontà di stabilire che la cancellazione produce l'effetto costitutivo dell'estinzione irreversibile della società anche in presenza di crediti insoddisfatti e di rapporti di altro tipo non definiti". Il precetto è stato notificato il 3.06.2014. nonostante che fin dal 24.05.2013 la società fosse già stata cancellata. Deve quindi dichiararsi la nullità del precetto perchè intimato da soggetto inesistente".
Nel caso di specie, però, il precetto - da quel che si intende - sembra essere stato notificato su istanza degli ex soci della Società cancellata. E ciò è corretto, alla luce del fatto che, in presenza di una Società estinta (sia di persone che di capitali), la Giurisprudenza ha affermato che gli ex soci diventano titolari dei rapporti giuridici facenti capo alla Società medesima.
Le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, 12 marzo 2013, n. 6071, hanno chiarito tale fenomeno successorio tra la Società estinta e gli ex soci: "Dopo la riforma del diritto societario, attuata dal d. lgs. n. 6 del 2003, qualora all'estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale:
a) l'obbligazione della società non si estingue, ciò che sacrificherebbe ingiustamente il diritto del creditore sociale, ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate, fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali;
b) i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa, con esclusione delle mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi, la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un'attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale), il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato, a favore di una più rapida conclusione del procedimento estintivo".
Pertanto, nel caso di specie, si ritiene non potersi eccepire il vizio della nullità dell'atto di precetto, poiché quest'ultimo, invero, non è stato notificato da un soggetto inesistente, bensì dai soggetti effettivi titolari dei crediti sottesi allo stesso precetto (gli ex soci).
Lo strumento che, in astratto, sarebbe proponibile al fine di contestare il diritto degli ex soci a procedere ad esecuzione forzata, laddove questa non fosse ancora iniziata - come sembra essere nel caso di specie - è l'opposizione all'esecuzione ai sensi dell'art. 615, comma 1, del c.p.c., tramite atto di citazione davanti al giudice competente per l'esecuzione.
L'art. 615, comma 1, del c.p.c. prevede che:
"Quando si contesta il diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata e questa non è ancora iniziata, si può proporre opposizione al precetto con citazione davanti al giudice competente per materia o valore [17] e per territorio a norma dell'articolo 27. Il giudice, concorrendo gravi motivi, sospende su istanza di parte l'efficacia esecutiva del titolo. Se il diritto della parte istante è contestato solo parzialmente, il giudice procede alla sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo esclusivamente in relazione alla parte contestata".
In sostanza, tramite l'opposizione alla esecuzione, si può contestare, in generale, sia l'importo indicato nel titolo (nel caso di specie, nella sentenza dell'appello), sia le spese legali richieste per il successivo atto di precetto (cfr. Tribunale Torre Annunziata, 9 settembre 2013, n. 919, secondo il quale "l'istante ha qualificato la domanda proposta come opposizione all'esecuzione e non agli atti esecutivi, atteso che viene in contestazione non già la regolarità formale del precetto, ma l'ammontare del credito in esso indicato, sia in relazione all'importo indicato nel titolo, sia in relazione alle spese legali richieste).
Pertanto, "ha natura d'opposizione all'esecuzione la domanda con cui la parte sostiene che è superiore a quella da lei dovuta la somma di cui le viene intimato il pagamento e per la cui realizzazione coattiva la controparte minaccia di procedere all'esecuzione forzata. Ciò anche se l'eccesso della somma richiesta rispetto a quella dovuta riguarda le spese successive alla sentenza o gli onorari e diritti relativi agli atti, compiuti con il ministero di difensore, compresi tra la pubblicazione della sentenza costituente titolo esecutivo e la notificazione del precetto (cfr. Cassazione Civile, sez. III, 7 dicembre 2000, n. 15533).
La contestazione del diritto a procedere ad esecuzione forzata, volta a negare l'esistenza di un valido titolo esecutivo a fondamento (della totalità o di parte) della pretesa creditoria, non è soggetta a particolari termini perentori, purché l'esecuzione non sia iniziata: "in materia di esecuzione forzata, l'opposizione a precetto con la quale la parte deduce che una parte delle somme chieste nell'atto di precetto in base al titolo esecutivo, ancorché relativa a spese legali successive alla formazione del titolo ed esposte nel precetto, non è dovuta, costituisce opposizione all'esecuzione, in quanto con essa la parte contesta, sia pure entro questi limiti, il diritto aprocedere a esecuzione forzata, adducendo che per detto credito manca un titolo esecutivo, e perciò l'opposizione deve ritenersi ammissibile anche qualora sia stata proposta oltre il termine di cinque giorni dalla notifica del precetto" (cfr. Cassazione Civile, Sez. III, 30 ottobre 2008, n. 26273).
In ogni caso, l'aspetto importante da evidenziare è che "in sede di opposizione all'esecuzione promossa in base a un titolo giudiziale, il debitore può invocare soltanto fatti estintivi o modificativi del diritto del creditore verificatisi posteriormente alla formazione del titolo, e non anche quelli intervenuti anteriormente, i quali siano deducibili esclusivamente nel giudizio preordinato alla formazione del titolo (Ciò vale naturalmente anche per la compensazione, quale fatto estintivo dell'obbligazione, la quale può essere dedotta come motivo di opposizione all'esecuzione forzata, fondata su titolo esecutivo giudiziale coperto dalla cosa giudicata, qualora il credito fatto valere in compensazione, rispetto a quello per cui si procede, sia sorto successivamente alla formazione del titolo, mentre in caso contrario resta preclusa dalla cosa giudicata, che impedisce la proposizione di fatti estintivi od impeditivi ad essa contrari), cfr. Tribunale Lucca, 22 dicembre 2015, n. 2197).
In senso conforme, si veda anche Tribunale Salerno, Sez. III, 16 ottobre 215, n. 4246: "Qualora il titolo in forza del quale si agisce coattivamente abbia natura giudiziale, il giudice investito dell' opposizione all' esecuzione non può effettuare alcun controllo intrinseco diretto ad inficiarne l'efficacia sulla base di deduzioni ed eccezioni che andavano formulate nel processo nel cui contesto è stato emesso, dovendo limitarsi esclusivamente a verificare l'eventuale validità ed esistenza del titolo, in modo da poter stabilire se esso costituisca effettivamente il fondamento della preannunciata o incardinata esecuzione forzata o sia venuto meno per fatti posteriori alla sua formazione".
Infine, in sede di citazione per opposizione alla esecuzione può essere formulata altresì l'azione di risarcimento per i danni subiti in seguito all'illegittimo esercizio dell'azione esecutiva (cfr. Tribunale Modena, Sez. I, 30 gennaio 2009, n. 112: "la domanda di ristoro del danno che si assume conseguente all'illegittimo esercizio dell'azione esecutiva, deve essere fatta valere davanti al giudice dell'esecuzione, il quale può procedere alla quantificazione del danno, ivi compreso quello ex art. 96 c.p.c., anche equitativamente ex art. 2056 e 1226 c.c.).

ATTILIO G. chiede
martedì 02/02/2016 - Sicilia
“Ho insegnato per oltre trenta anni e godevo della pensione. contemporaneamente
svolgo attività professionale ed ho un debito verso una ex dipendente per differenze di retribuzione. In seguito al contraddittorio secondo la legge Fornero, il giudice ha stabilito il debito a carico dello scrivente per € XXX. La banca mi ha pignorato la pensione. Lo scrivente ritiene ingiusto l'operato della banca. Lo scrivente ritiene che vi siano dei parametri per l'impignorabilità:come fare per riavere anche parte della pensione??”
Consulenza legale i 09/02/2016
Il quesito, nell'ambito del pignoramento presso terzi, fa riferimento a due profili della vicenda: il blocco del conto (su cui viene versata la pensione) da parte della banca ed il pignoramento della pensione da parte della creditrice ex dipendente.

L'istituto del pignoramento presso terzi comprende anche l'ipotesi di crediti che il debitore ha verso terzi.
Nell'ambito di un tale procedimento la banca è, appunto, terzo rispetto al rapporto sostanziale tra debitore e creditore perché è parte del procedimento solo agli effetti processuali. In quanto tale anche ad essa è notificato l'atto di pignoramento, ex art. 543 del c.p.c.. Dalla notifica la banca, che è debitrice del debitore (debitor debitoris), è soggetta agli obblighi del custode entro i limiti di cui all'art. 546 del c.p.c., cioè per essa tali somme sono indisponibili.

La legge individua in ogni caso dei limiti alla pignorabilità dei crediti (es. art. 524, 545 c.p.c.). Con recente riforma (d.l. 83/2015) il legislatore ha introdotto nuovi limiti alla pignorabilità di alcuni crediti, tra cui la pensione (v. art. 545 del c.p.c.).

Qualora il debitore ritenga che il pignoramento non rispetti tali limiti, si ritiene che debba procedere con opposizione all'esecuzione, secondo quanto dispone l'art. 615 co. 2 c.p.c.: "Quando e' iniziata l'esecuzione, l'opposizione di cui al comma precedente e quella che riguarda la pignorabilità dei beni si propongono con ricorso al giudice dell'esecuzione stessa. Questi fissa con decreto l'udienza di comparizione delle parti davanti a sé e il termine perentorio per la notificazione del ricorso e del decreto". Di ciò sembra trarsi conferma anche da quanto affermato dalla Cassazione: "Il processo di cognizione instaurato, ai sensi dell'art. 548 c.p.c., per l'accertamento dell'obbligo del terzo pignorato, in caso di sua mancata o contestata dichiarazione nel relativo processo esecutivo, è rivolto esclusivamente all'accertamento dell'esistenza e dell'ammontare del diritto alla consegna delle cose o al pagamento delle somme dovute; ne consegue che la sentenza con cui esso si conclude non spiega efficacia di giudicato su questioni estranee, come quelle attinenti alla esperibilità o alla validità del pignoramento o comunque ad una qualità del credito del debitore esecutato, come la sua impignorabilità, potendo esse costituire unicamente oggetto di opposizione all'esecuzione ex art. 615 c.p.c." (Cass. 1949/2009).

In conclusione, si consiglia di contattare un legale al fine di valutare la possibilità concreta, in relazione al caso specifico, di procedere alla suddetta opposizione.

Guido chiede
lunedì 17/11/2014 - Campania
“Nella causa di sfratto tra me e mia moglie, infatti mia moglie mi cita per occupazione abusiva di un fondo di sua proprietà sul quale di comune accordo ho costruito un circolo di tennis dal valore di circa 1000000,00 di euro. Detto circolo è stato costruito con i proventi istituzionali di una ASSOCIAZIONE SPORTIVA DILETTANTISTICA SENZA SCOPO DI LUCRO. Il giudice letto le comparse sciogliendo la riserva scrive in data 20/04/2011 che i ricorsi sono inammissibili!!!!! Oltre a dichiarare i ricorsi inammissibili ritiene non necessaria la comparizione delle parti e che ASD ai sensi dell'ex art. 107 non pouò essre chiamata in causa. In data 14/12/2011 emette l'ordinanza, convoca le parti ammette le prove orali e sente come testi il fratello di mia moglie e sua zia. in data 2012 emette la sentenza e mi condanna al rilascio dell'immobile che detiene l'associazione.
L'ASSOCIAZIONE in fase di sfratto fa opposizione del terzo ed il giudice accoglie l'opposizione sospendendo l'esecuzione "inaudita altra parte". Mia moglie fa Reclamo ed il collegio lo accoglie e revoca la sospensione dell'esecuzione. Di fatto si condanna l'associazione dopo che il giudice aveva affermato che non faceva parte di quel giudizio.... E' possibile?”
Consulenza legale i 17/11/2014
Nella vicenda esposta vi sono:
(1) un giudizio per occupazione abusiva tra Tizio (presunto occupante abusivo) e Caia (proprietaria del fondo);
(2) una procedura esecutiva per il rilascio di beni immobili tra Tizio e Caia;
(3) un procedimento di opposizione all'esecuzione ex art. 615 e 619 c.p.c. da parte di un terzo (l'associazione);
(4) un reclamo ex art. 624, secondo comma, c.p.c., proposto da Caia, che si innesta nella procedura 2, sospesa.
Più precisamente, diciamo che il processo di esecuzione (2) è stato sospeso ai sensi del primo comma dell'art. 624 del c.p.c. in virtù dell'opposizione proposta dall'associazione (3) e, ai sensi del secondo comma dello stesso articolo, contro l'ordinanza che provvede sull'istanza di sospensione è stato proposto reclamo da Caia (4), che è risultata vittoriosa.

Nel primo processo (1), il giudice ha ritenuto che non sussistessero i presupposti per una chiamata in causa dell'associazione da parte del giudice stesso: tale valutazione normalmente deriva dalla rilevata mancanza di una connessione oggettiva tra la posizione del terzo e quella delle originarie parti in causa. Nel nostro caso, il giudice ha ritenuto di non poter chiamare in causa l'associazione in quanto nessuna delle parti (nemmeno Tizio) aveva eccepito che il contratto di comodato fosse di titolarità di quest'ultima, mentre sia Tizio che Caia erano concordi nel sostenere che esistesse un rapporto di comodato solo tra loro.
Pertanto è ragionevole che il giudice, rilevando l'assenza di un collegamento tra l'associazione e l'oggetto della causa (cioè: quale soggetto detiene l'immobile?), abbia ritenuto non opportuno farla chiamare in causa.

Quanto al processo esecutivo, nel procedimento (2), che consiste nell’esecuzione per rilascio di beni immobili, è "terzo" il soggetto estraneo sia al titolo esecutivo sia alla procedura esecutiva, quindi colui che non è destinatario né del precetto né dell’avviso di rilascio ex art. 608 del c.p.c.. L'associazione è rimasta estranea al processo (1), quindi correttamente è inquadrabile come terzo.
Essa ha proposto opposizione ex art. 615 c.p.c. sostenendo di avere un autonomo titolo per detenere l'immobile. Tale circostanza però, come emerge dalla sentenza della causa (1), che non sembra corrispondere a realtà: quindi, il giudice del reclamo - giudizio (4) -, come si legge nell'ordinanza che lo accoglie, sostiene che, sebbene la sentenza conclusiva del giudizio (1) non possa estendere i suoi effetti all'associazione, contiene pur sempre un'affermazione obiettiva di verità, che "spiega efficacia anche nei confronti dell'associazione nei limiti in cui tale accertamento induce ad escludere l'esistenza di un rapporto di comodato autonomo ed indipendente" rispetto a quello intercorrente tra Tizio e Caia, in ordine al quale si è formato il giudicato.
Il collegio conclude sostenendo che l'opposizione all'esecuzione da parte dell'associazione non era ammissibile per mancanza di legittimazione, in quanto l'ente avrebbe dovuto opporsi ex art. 404 c.p.c. alla sentenza emessa all'esito del giudizio (1).

Rispetto alla vicenda esposta nel quesito, letti i provvedimenti emessi dai diversi giudici, non si può che ribadire che la sentenza emessa nel 2012 ha effetto ed è vincolante solo tra chi ha preso parte a quel giudizio (come stabilisce la regola generale dell'art. 2909 del c.c.), cioè Tizio e Caia. Va pertanto escluso che tale provvedimento possa esplicare una efficacia diretta nei confronti dell'associazione.
Correttamente, il giudice del reclamo non ha applicato direttamente la sentenza all'associazione: egli - che doveva valutare i presupposti di ammissibilità della sospensione dell'esecutorietà della sentenza - ha ritenuto di utilizzare il contenuto di quella sentenza come prova del fatto che l'associazione non avesse un titolo autonomo per la detenzione dell'immobile. Così facendo, il collegio è giunto alla conclusione che mancasse la legittimazione a proporre l'opposizione all'esecuzione.
Su questo punto ci sembra di poter condividere la decisione del collegio.

Il fatto che nel giudizio (1) il giudice abbia ritenuto di non chiamare in causa l'associazione (si tratta di chiamata "sollecitata" da Tizio) è slegato alle sorti dell'esecuzione.
Difatti, molte erano le alternative diverse alla chiamata in causa da parte del giudice ex art. 107 c.p.c.: Tizio avrebbe potuto fare la chiamata di terzo ai sensi dell'art. 106 del c.p.c. (se fatto entro il termine di decadenza dell'art. 167, il giudice non avrebbe potuto negarla); l'associazione avrebbe potuto intervenire volontariamente nel giudizio ex art. 105 del c.p.c.; oppure, l'ente avrebbe potuto iniziare un altro giudizio nei confronti di Caia, avente ad oggetto lo stesso immobile, e chiederne poi la riunione con il procedimento (1); ancora (come suggerisce il collegio che si è occupato del reclamo), l'associazione avrebbe poi potuto, anzi, dovuto, proporre opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c., in quanto l'ente contesta il merito della causa (a chi spettava la detenzione dell'immobile? all'associazione o a Tizio?) e non la "regolarità" dell'esecuzione.

Pertanto, la domanda posta nel quesito parte dal presupposto - errato - che l'associazione non avrebbe potuto esercitare altra azione in sua difesa che non una opposizione all'esecuzione. Ciò non corrisponde al vero: essa avrebbe potuto agire in diversi modi per evitare il passaggio in giudicato della sentenza nel processo (1), ma non lo ha fatto. Scegliendo di muoversi solo sul piano dell'esecuzione, ha commesso un errore di strategia non attualmente rimediabile. Non si vedono infatti motivi per impedire allo stato attuale l'esecuzione della sentenza che condanna Tizio a rilasciare l'immobile.

Naturalmente, però, resta in piedi il procedimento di merito attivato ai sensi dell'art. 616 del c.p.c.. In quel giudizio, l'opponente associazione potrà provare le proprie ragioni e chiedere il risarcimento del danno che ad essa potrebbe essere derivato per l'esecuzione della sentenza tra Tizio e Caia.

Anonimo chiede
martedì 08/11/2022 - Lazio
“Spett.le Brocardi.it

Il contribuente pensionato, riceve dall’Agente della Riscossione un atto di pignoramento “diretto”dei crediti verso terzi ex art. 72 bis DPR n. 602/1973, notificato all’Istituto di credito, il cui conto corrente al momento della notifica dell’atto di pignoramento aveva un saldo a zero, affluendo in tal conto esclusivamente la pensione di circa euro 2.000.

Ebbene, è plausibile ritenere che vi sia il rischio che l’istituto bancario ignorando l’art. 72 bis cit. che esclude il pignoramento diretto della pensione, possa comunque eseguire entro i 60 giorni, il pignoramento diretto per i crediti pensionistici disattendendo la norma e per ciò accreditando all’Agente della Riscossione limitatamente alla parte pignorabile della pensione senza l’ordine del Giudice?

Al fine di ovviare a tale evenienza è auspicato già da subito un intervento legale e in che modo, o si deve attendere il decorso degli eventi ?

In ipotesi che la Banca accrediti direttamente quindi illegittimamente la parte della pensione pignorata all’Agente della riscossione, quale è la strategia legale che deve porre in essere il pensionato?

Il parere dovrà tenere conto anche l’evenienza in cui la banca accrediti totalmente la somma laddove giacente nel c/c laddove a seguto di una svista non si avvede che la causale è “ accredito pensione INPS” interpretando la provvista come somma totalmente da pignorare, in quanto non sono a conoscenza se la banca tramite la causale della rimessa, deve soddisfare il controllo della natura della provvista giacente nel conto corrente.

Cordialità.”
Consulenza legale i 16/11/2022
LAgenzia delle entrate-Riscossione è l’ente che svolge per conto dello Stato l’attività di riscossione dei tributi e dei contributi vantati dagli enti creditori.
Il legislatore nel 2015, ha previsto un procedimento “speciale” per quanto riguarda il pignoramento presso terzi dell’Agente della riscossione.
Come, ad esempio, il pignoramento sul conto corrente del contribuente caso oggetto della presente consulenza. La peculiarità è che diversamente a quanto accade nella procedura esecutiva ordinaria in questo caso l’agente procede alla riscossione mediante inserimento nell’atto di pignoramento dell’ordine al terzo, possessore dei beni del debitore o suo debitore, di pagamento delle somme dovute dal debitore. Nel procedimento ordinario di espropriazione invece nell’atto di pignoramento con cui si dà avvio al procedimento dev’essere contenuto l’atto di citazione in giudizio del debitore.
Venendo al caso concreto se lo stipendio o la pensione del debitore vengono accreditati su un conto corrente postale o bancario a lui intestato, tali somme non possono venire pignorate in toto. Infatti, se lo stipendio o la pensione si trovano accreditate sul conto corrente prima della notifica dell’atto di pignoramento, possono essere pignorati nella parte che eccede il valore di un mezzo dell’assegno sociale.
Annualmente il tetto massimo di pignorabilità viene modificato in base a quella che viene identificata come soglia del cosiddetto “minimo vitale”. Una cifra che individua la somma bastevole ad una persona per poter condurre una vita dignitosa. Tale limite viene calcolato in base al valore dell’assegno sociale ed è pari ad 1,5 volte il suo valore, quest’anno pari a 468,10 euro. Ciò significa 702,15 euro.
Se lo stipendio o la pensione vengono accreditati nella stessa data di notifica dell’atto di pignoramento o successivamente, la somma può essere vincolata entro le percentuali di seguito indicate
Se il pignoramento riguarda stipendi, salario, pensioni o qualsiasi altra indennità derivante da rapporto di lavoro o di impiego, esistono per l’Agente della riscossione alcuni limiti:
• fino a 2.500 euro la quota pignorabile è un decimo;
• tra 2.500 e 5.000 euro la quota pignorabile è un settimo;
• sopra i 5.000 euro la quota pignorabile è un quinto.
Per poter usufruire dei limiti del pignoramento del conto con lo stipendio o con la pensione è necessario che sul predetto rapporto bancario non confluiscano redditi di natura diversa.
Pertanto, nel caso di specie è obbligo della Banca effettuare tale controllo stante l’assenza di redditi diversi rispetto alla pensione.
Nel caso in cui la Banca per un errore di mancata diligenza non provvedesse al controllo della natura delle somme accreditate sul conto derivandone l’assegnazione al Agenzia delle Entrate - Riscossione per una percentuale più elevata e/o per l’intera somma accreditata sul conto, il debitore può tutelarsi procedendo ad instaurare un giudizio di opposizione ai sensi dell’art. 615 del c.p.c..
Infatti, tale strumento può essere utilizzato per contestare il diritto del creditore alla soddisfazione della pretesa ovvero a procedere con l’esecuzione. Per i crediti tributari è intervenuta la Corte Costituzionale nel 2018 modificando la disciplina contenuta nell’art.[[ 57dispaccimpred]]. Nel 2018, con la sentenza n. 114 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del punto a) del primo comma dell’articolo art. 57 delle disp. accert. imp. redditi che non permetteva l’applicabilità di tale articolo.
Con ordinanza della Corte di Cassazione, Sezione Unite, n. 7822/2020 è stata stabilita la competenza del Tribunale Ordinario in merito alle opposizioni al pignoramento presso terzi avente ad oggetto il diritto di procedere all’esecuzione fra cui ricade la fattispecie del pignoramento di beni impignorabili, ovvero la fattispecie analizzata.
In ogni caso, il contribuente può evitare il blocco del conto corrente bancario o postale chiedendo la rateizzazione del debito. Il termine per la richiesta è di 60 giorni dalla notifica dell’atto di pignoramento presso terzi. Dopo il pagamento della prima rata del piano di ammortamento, il contribuente può ottenere lo sblocco del conto corrente.
Inoltre, il contribuente può usufruire della legge salva-suicidi o anche detta legge sul sovraindebitamento che consente una riduzione sostanziale dell’esposizione. In particolare:
  • per le obbligazioni contratte a seguito della propria attività lavorativa o professionale, si presenta in tribunale un programma di pagamento che deve trovare il consenso di almeno il 60% dei creditori; l’accordo viene poi ratificato dal tribunale (è il cosiddetto accordo coi creditori). Secondo la giurisprudenza questo iter si può azionare anche quando il creditore è uno solo, ossia l’Agenzia Entrate Riscossione. Con la legge salva suicidi, chi non per sua colpa non ha pagato le cartelle esattoriali e l’esposizione è talmente alta da non consentirgli di rimediare coi redditi di cui dispone, può quindi proporre all’Esattore un “saldo e stralcio”. Il programma di liquidazione va presentato a mezzo di un organismo di composizione della crisi (anche un avvocato o un commercialista);
  • per tutte le altre obbligazioni (non quindi quelle collegate all’impresa o all’attività lavorativa) si può ottenere la decurtazione del debito direttamente dal tribunale, senza il consenso dei creditori (cosiddetta procedura del piano del consumatore). Qui è il giudice a valutare la meritevolezza dell’offerta fatta dal contribuente e, se la valuta positivamente, accorda il taglio sul debito (che, a volte, può raggiungere cifre fino al 70-80%;
  • in ultimo è possibile disporre la vendita dei propri beni attraverso il tribunale e procedendo alla ripartizione del ricavato tra i creditori (cosiddetta procedura di liquidazione del patrimonio).

Infine, in merito all’opportunità di far intervenire immediatamente un legale, si ritiene che possa essere utile sia per interfacciarsi subito con la Banca così da evitare l’assegnazione errata dei beni ed in ogni caso la valutazione di risoluzioni alternative al fine di addivenire ad una chiusura anche bonaria con l’Agenzia delle Entrate – Riscossione.


Anonimo chiede
venerdì 02/07/2021 - Puglia
“Mi aggancio a quanto chiesto da Fabio C.
giovedì 27/08/2020 - Campania

Nel dettaglio:
1. la banca creditrice ha ipoteca sui beni della de cuius.
2. la banca non pignora i suddetti beni ipotecati, ma pignora l'abitazione principale dell'erede fideiussore (con beneficio d'inventario) (mutui del 2000 e del 2002) e procede col pignoramento.
3. i beni ipotecati soddisfano la pretesa creditizia, anche se la banca-unica ipoteca- sostiene siano di scarso valore (falso).
4. Il debitore esecutato ha depositato istanza di estinzione per violazione art. 2911 cc, (la vendita non è stata ancora disposta), il Ge si deve pronunciare.
5. Il creditore sostiene che i beni ipotecati oggetto di eredità beneficiata sia impignorabili.
Chiedo
1. Sussiste la violazione ex art.2911 cc?
2. E' corretta l'istanza come formulata senza stigmatizzarla in un opposizione ex 615, 2 o 617, 2 c.?
3. Di talchè, si è incorsi in delle decadenze?
4.E' legittima la procedura esecutiva avverso il fideiussore o v'è violazione del 2911cc?
Attendo fiduciosa un vostro parere quanto prima. Grazie

Consulenza legale i 08/07/2021
Il quesito a cui ci si intende riagganciare fa riferimento ad una fattispecie un po’ diversa da quella qui descritta, in quanto in quel caso non era presenta la figura del fideiussore.
Com’è noto e come si può agevolmente ricavare dalla lettura degli artt. 1936 e 1944 c.c., l’obbligazione assunta dal fideiussore ha natura accessoria e la posizione dello stesso si assimila, per precisa esplicazione dell'art. 1944 c.c., a quella del coobbligato in solido col debitore principale al pagamento del debito.
Tuttavia, qualora non sia stato pattuito il beneficium excussionis, l'obbligazione del fideiussore, pur avendo carattere accessorio e pur essendo subordinata all'inadempimento del debitore principale, è solidale con quella di quest'ultimo e non può essere considerata né sussidiaria né eventuale.

A ciò si aggiunga che il fideiussore, in applicazione del successivo art. 1945 c.c., può opporre al creditore tutte le eccezioni, anche riconvenzionali, che spettano al debitore principale, salvo quelle derivanti da incapacità.
Con ciò si intende innanzitutto chiarire che:
  1. l’azione esecutiva posta in essere dalla Banca non può essere censurata per il fatto che la stessa ha scelto di aggredire un bene di proprietà dell’erede accettante con beneficio di inventario, in quanto la posizione giuridica di quest’ultimo viene in rilievo non quale erede del debitore principale, ma quale fideiussore di quest’ultimo, avente come tale responsabilità solidale;
  2. il fideiussore può opporre tutte le eccezioni che avrebbe potuto opporre il debitore principale, compresa quella che si andrà qui di seguito a suggerire.

Precisato ciò, va detto che la regola dettata dall’art. 2911 c.c., in effetti, è abbastanza chiara nel vietare al creditore pignoratizio o ipotecario di pignorare altri beni del medesimo debitore se contestualmente non sottopone ad esecuzione “anche” i beni gravati da pegno o ipoteca.
Con tale norma, dunque, il legislatore non ha inteso escludere la generale garanzia patrimoniale di cui all’art. 2740 del c.c. né il correlativo diritto di agire in via esecutiva di cui all’art. 2910 del c.c., ma si è soltanto limitato ad imporre delle particolari modalità operative ai creditori assistiti da una garanzia specifica, impedendo a questi ultimi di assoggettare ad esecuzione esclusivamente beni non vincolati alla garanzia.

Ciò va inteso nel senso che il creditore assistito da garanzia specifica può indubbiamente pignorare beni non vincolati, ma a condizione che siano stati pignorati “anche” quelli vincolati ed a condizione ancora che questi ultimi beni siano insufficienti a soddisfare l’importo delle spese e dei crediti del creditore pignorante e dei creditori intervenuti.
La valutazione in ordine alla eventuale insufficienza dei beni assoggettati a garanzia specifica non può, però, mai essere compiuta in via preventiva (come vorrebbe sostenere la banca nel caso di specie), ma soltanto dopo che sia stato compiuto il pignoramento ulteriore: solo in questo momento sarà possibile far luogo ad un controllo giurisdizionale sulla violazione dell’art. 2911 c.c.

Per quanto concerne le conseguenze della mancata osservanza dell’art. 2911 c.c., due sono gli orientamenti al riguardo sviluppatisi.
Secondo una prima tesi sarebbe sempre consentita l’estensione dell’azione esecutiva ad altri beni, salvo l’intervento del giudice dell’esecuzione, su istanza del debitore esecutato, volto ad evitare eccessi nell’uso del mezzi esecutivi, in conformità anche alle norme processuali di cui agli artt. 483 c.p.c. (che limita il cumulo dei diversi mezzi di espropriazione) ed all’art. 496 c.p.c. (relativo alla riduzione dell’unico pignoramento eseguito).
Conforme a tale tesi è anche parte della giurisprudenza di legittimità (in particolare si veda Cass. n. 2604/1995), secondo cui le speciali misure previste dall’art. 2911 c.c. e dagli artt. 483, 496, 504 e 588 c.p.c. si risolvono in istanze con cui il debitore esecutato, senza contestare il diritto della controparte a procedere ad esecuzione forzata né dedurre vizi formali della procedura, lamenta che il creditore abbia ecceduto nell'uso del procedimento di espropriazione forzata, con la conseguenza, da una parte, che tali istanze appartengono alla competenza del giudice dell'esecuzione, e, dall'altra, che il provvedimento, negativo o positivo, al riguardo emanato dal giudice dell'esecuzione, in quanto atto esecutivo, è impugnabile con l'opposizione ex art. 617 c.p.c. con riferimento sia ad eventuali irregolarità formali che alla sua inopportunità, in quanto con essa non viene denunciato un limite legale all'esecuzione (in tal senso si è espressa anche Cass. n. 1033/2007).

Secondo un’altra tesi, invece, la norma di cui si discute (ossia l’art. 2911 c.c.) introduce un’ipotesi di impignorabilità relativa, da far valere con l’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c., con la conseguenza che la violazione del divieto di cui all’art. 2911 importa la nullità del pignoramento, salva la possibile sanatoria conseguente al successivo assolvimento successivo dell'onere di cui all'art. 2911.
A differenza della prima, questa seconda tesi trova conforto nella giurisprudenza di merito (Tribunale di Camerino 02.04.1971 e Tribunale di Torino 04.11.2003), la quale precisa che il ricorso con cui il debitore lamenta la violazione dell'art. 2911, costituisce un'opposizione all'esecuzione per impignorabilità dei beni ex art. 615 c.p.c., sicché può essere legittimamente proposta oltre il termine di decadenza di cui all'art. 615.

Ora, ritornando al caso in esame, ciò che dovrebbe costituire oggetto di contestazione non è l’estensione dell’azione esecutiva a beni ulteriori e diversi da quelli ipotecati, con conseguente diritto a chiedere la riduzione a questi ultimi ex art. 617 c.p.c., come afferma la prima delle tesi sopra riportata.
Ciò che va contestato e fatto valere è piuttosto l’impignorabilità relativa del bene che la banca ha deciso di aggredire, ed a tal fine lo strumento che si ritiene più corretto utilizzare è quello di cui all’art. 615 c.p.c.

Questo non esclude che possa egualmente considerarsi corretta l’istanza già depositata, dovendosi tuttavia tenere presente che occorrerà avvalersi del rimedio di cui all’art. 617 c.p.c. per impugnare l’eventuale provvedimento di diniego che il Giudice dell’esecuzione potrebbe emettere, e ciò in conformità a quanto statuito da Cass. Civ. Sez. I, sentenza n. 1033 del 17.01.2007, sopra citata.
Qualora, poi, la procedura esecutiva dovesse nel frattempo andare avanti, si consiglia di proporre opposizione ex art. 615 c.p.c., attraverso cui far valere l’impignorabilità relativa dell’immobile sottoposto ad esecuzione forzata per mancato rispetto del disposto di cui all’art. 2911 c.c.
Sotto quest’ultimo profilo può dirsi che non si è ancora incorsi in alcuna decadenza, non essendo tra l’altro ancora stata disposta la vendita del bene.


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