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Articolo 96 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 28/12/2023]

Responsabilità aggravata

Dispositivo dell'art. 96 Codice di procedura civile

Se risulta che la parte soccombente (1) ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave (2), il giudice, su istanza dell'altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni (3), che liquida, anche d'ufficio, nella sentenza [disp. att. 152] (4).

Il giudice che accerta l'inesistenza del diritto per cui è stato eseguito un provvedimento cautelare, o trascritta domanda giudiziale, o iscritta ipoteca giudiziale, oppure iniziata o compiuta l'esecuzione forzata, su istanza della parte danneggiata condanna al risarcimento dei danni l'attore o il creditore procedente, che ha agito senza la normale prudenza. La liquidazione dei danni è fatta a norma del comma precedente (5).

In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata (6).

Nei casi previsti dal primo, secondo e terzo comma, il giudice condanna altresì la parte al pagamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma di denaro non inferiore ad euro 500 e non superiore ad euro 5.000(7).

Note

(1) La norma richiede che la soccombenza della parte sia totale e concreta. Infatti, non può aversi condanna della parte totalmente o parzialmente vittoriosa, nè la norma può trovare applicazione nell'ipotesi in cui ci sia la soccombenza virtuale ad esempio in caso di estinzione del giudizio per inattività delle parti.
(2) Il comportamento sanzionato dalla norma in commento si caratterizza per la mala fede e la colpa grave della parte che agisce o resiste in giudizio con la consapevolezza dell'infondatezza della propria pretesa o difesa, cioè abusando del diritto d'azione o per spirito di emulazione o per fini dilatori ovvero con la mancanza di quel minimo di diligenza o prudenza necessarie per rendersi conto dell'infondatezza della propria pretesa e per valutare le conseguenze dei propri atti.
(3) L'ingiustificata condotta processuale, oltre ai danni patrimoniali, è causa ex se anche di danni di natura psicologica, che per non essere agevolmente quantificabili, vanno liquidati dal giudice in via equitativa sulla base degli elementi in concreto desumibili dagli atti di causa. In ogni caso, grava sulla parte che chiede la condanna per lite temeraria l'onere di allegare gli elementi di fatto necessari alla liquidazione equitativa del danni lamentato.
(4) Il giudice riconosce la responsabilità aggravata solo se espressamente richiesta, riferendosi l'inciso «d'ufficio» alla sola liquidazione dei danni.
(5) Si tratta di ipotesi tassative che specificano il principio generale di cui al primo comma, con la sola differenza che in tale caso la responsabilità è generata anche dalla sola colpa lieve.
(6) La L.69/2009 ha introdotto il terzo comma dell'articolo in commento, il quale deduce un ulteriore strumento di deflazione del contenzioso che si differenzia dalle ipotesi di responsabilità aggravata di cui ai primi due commi, in quanto può essere attivato anche d'ufficio prescindendo da un'esplicita richiesta di parte. La riforma ha introdotto nel nostro codice l'istituto dei "punitive damages" per scoraggiare l'abuso del processo e preservare la funzione del sistema giustizia.
(7) Comma inserito dal D. Lgs. 10 ottobre 2022 n. 140 (c.d. "Riforma Cartabia").
Il D. Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, come modificato dalla L. 29 dicembre 2022, n. 197, ha disposto (con l'art. 35, comma 1) che "Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 2

Ratio Legis

La norma in analisi sanziona quel comportamento illecito della parte, poi risultata soccombente nel giudizio, che dia luogo alla c.d. lite temeraria. Si tratta del comportamento della parte che nonostante sia consapevole dell'infondatezza della sua domanda o eccezione (mala fede), la propone ugualmente, costringendo la controparte a partecipare ad un processo immotivato. Inoltre, viene sanzionata la mancanza di quel minimo di diligenza richiesta per l'acquisizione di tale consapevolezza (colpa grave).
Invero, la legge configura in tale comportamento una responsabilità aggravata, ossia una responsabilità che si aggrava in quanto, essendo fondata su un illecito, comporta l'obbligo di risarcire tutti i danni che conseguono all'aver dovuto partecipare ad un processo privo di fondamento alcuno.

Brocardi

Damnum iniuria datum
Nemo videtur dolo exsequi, qui ignorai causam cur non debeat petere
Non videtur vim nec dolum facere, qui iure suo utitur, et ordinaria actione experitur

Spiegazione dell'art. 96 Codice di procedura civile

Con l’introduzione dell’istituto giuridico della responsabilità processuale aggravata il legislatore ha inteso tutelare l’interesse di una delle parti a non subire pregiudizi a seguito dell’azione o resistenza dolosa o colposa dell’altra parte.
Si riconosce, infatti, al giudice il potere di condannare al risarcimento dei danni (oltre alla refusione delle spese di lite) la parte che, agendo in giudizio, abbia posto in essere il c.d. illecito processuale; a fondamento di tale fattispecie si pone il concetto di abuso del diritto o abuso del processo, ossia l’impiego distorto del “processo” per fini che esulano dal suo scopo tipico e al di là dei limiti determinati dalla sua funzione.
In ordine al suo inquadramento sistematico si sono delineati orientamenti contrastanti, e precisamente:
- secondo alcuni la responsabilità ex art. 96 deve intendersi come una sanzione per l’inosservanza dell’obbligo di lealtà e probità imposto dall’art. 88cpc;
- secondo la tesi dominante, invece, la responsabilità prevista dalla norma in esame costituisce un’ipotesi peculiare da far rientrare nella più ampia categoria della responsabilità aquiliana o extracontrattuale di cui all’art. 2043cc e che riguarda gli illeciti connessi alla qualità di parte del processo (questa è la tesi accolta anche dalla giurisprudenza, sia di legittimità che di merito).
Il primo comma della norma punisce un contegno illecito assunto con dolo o colpa grave dalla parte soccombente, contegno che viene volutamente descritto in modo ampio e generico e come tale riferibile a tutte le possibili attività esplicabili in un processo. Requisito imprescindibile è qui la soccombenza, intesa come difformità tra la richiesta della parte e il provvedimento giudiziale (parte della dottrina ritiene che l’illecito processuale sia configurabile anche nel caso di soccombenza reciproca).
Dal punto di vista soggettivo, l’elemento psicologico richiesto perché si configuri il contegno illecito sono la mala fede o la colpa grave, ovviamente riferiti all’esercizio dell’azione o alla resistenza in giudizio.
La mala fede si fa generalmente consistere nella consapevolezza del proprio torto, ovvero nella consapevolezza di agire slealmente o di abusare del diritto di azione.
La colpa grave, invece, viene individuata nella omissione, nel compimento delle attività processuali, di quel minimo di diligenza e perizia sufficiente ad avvedersi della palese infondatezza delle proprie pretese.
Il secondo comma della norma disciplina, accomunandole tra loro, altre e specifiche ipotesi di responsabilità aggravata; rispetto all’agire temerario a cui si fa riferimento nel primo comma, sono qui fissati dei requisiti ben diversi perché possa dirsi integrato l’illecito processuale.
In particolare, il presupposto di ordine oggettivo viene qui individuato nella inesistenza del diritto, da intendersi come accertata insussistenza della situazione giuridica sostanziale a tutela della quale sono stati compiuti gli atti indicati dalla stessa norma.
Dal punto di vista soggettivo, invece, per integrare la responsabilità non sono richiesti dolo o colpa grave, ma la sola assenza di normale prudenza, da intendere nel senso di colpa lieve; è stato a tal proposito osservato che, data la notevole disomogeneità dei casi disciplinati da questo secondo comma, non è possibile individuare una nozione di difetto di normale prudenza che possa essere valida ed applicabile a tutte le ipotesi.
Si è invece preferito graduare l’intensità dello stato soggettivo colposo sulla base delle attività che la parte pone in essere, distinguendo tra:
a) attività compiute senza alcun controllo da parte dell’autorità giudiziaria (vi rientrano la trascrizione di domanda giudiziale; l’esecuzione promossa su titolo stragiudiziale);
b) attività compiute in esecuzione di un provvedimento giudiziale reso a contraddittorio non integro (è il caso della attuazione di una misura cautelare concessa a seguito di decreto inaudita altera parte);
c) attività compiute in attuazione di provvedimento giudiziale reso a contraddittorio integro.
In considerazione del rapporto di species a genus corrente tra l’art. 96 e l’art. 2043 c.c. si afferma che l’art. 96 ha la funzione di disciplinare tutte le possibili ipotesi di risarcimento per fatti pregiudizievoli eziologicamente derivanti da un’attività svolta nel processo e per il processo, rimanendo esclusa ogni possibile operatività della previsione dell’art. 2043 c.c.
Un identico rapporto di genus a specie, poi, intercorrerebbe tra il primo ed il secondo comma di questo articolo 96: il secondo comma, infatti, contiene una enunciazione analitica delle attività potenzialmente dannose.
Da ciò se ne fa discendere che mentre il secondo comma va considerato come norma di stretta interpretazione, il primo comma ha, al contrario, portata generale ed è suscettibile di interpretazione estensiva.
In ossequio al principio dispositivo e sulla base dei criteri ordinari di distribuzione di cui all'art. 2697 c.c., la prova del danno da illecito incombe sul soggetto leso, il quale avrà l’onere di dimostrare l'esistenza e l'entità di un evento pregiudizievole discendente, con nesso causale, dalla condotta illecita della controparte nonché dallo stato soggettivo che caratterizza quest'ultima.
La condanna al risarcimento per responsabilità aggravata necessita di una espressa istanza di parte e non può essere pronunciata d’ufficio (l’inciso contenuto nella parte finale della norma relativo ad una liquidazione “anche di ufficio” deve intendersi riferito ad un potere di valutazione equitativa del giudice).
Su tale istanza si configura una competenza esclusiva, funzionale ed inderogabile del giudice di merito, cioè del giudice investito della controversia nella quale è stata tenuta la condotta temeraria o imprudente e dal cui esito discende l’insorgere della responsabilità.
Nell’intento, poi, di rafforzare le sanzioni per l’uso distorto degli strumenti processuali, la Legge 69/2009 ha aggiunto a questa norma un terzo comma, con cui viene riconosciuta la possibilità per il giudice di pronunciare, contestualmente alla statuizione sulle spese di lite, condanna, anche di ufficio, della parte soccombente al pagamento in favore della controparte di una somma (ulteriore rispetto alle spese processuali) equitativamente determinata.
Tale condanna postula, da parte soccombente, un'azione od una resistenza contraddistinta, sotto il profilo soggettivo, da malafede o colpa grave.
Occorre ora rivolgere l'indagine al rapporto sussistente tra la fattispecie di cui al 3° co. e quelle disciplinate dai primi due capoversi dell'art. 96; dalla locuzione iniziale “in ogni caso” se ne è dedotto che la condanna di cui al terzo comma può essere irrogata su iniziativa officiosa in aggiunta alla condanna al risarcimento dei danni emessa in accoglimento di un'istanza di parte ex art. 96, 1° o 2° co., oppure in via esclusiva, a prescindere da qualsivoglia richiesta formulata dalle parti.
Per quanto concerne la natura giuridica della condanna di cui al terzo comma, si preferisce la tesi secondo cui essa va inquadrata nella categorie delle sanzioni civili indirette, cioè di quelle misure afflittive patrimoniali legislativamente tipizzate, che vengono irrogate dall’autorità giudiziaria, ma a diretto vantaggio di un soggetto privato.
A seguito della Riforma Cartabia è stato aggiunto alla norma in esame un quarto comma, per effetto del quale si prevede che, nei casi di responsabilità aggravata, come disciplinati dal primo, secondo e terzo comma di questa stessa disposizione, è possibile comminare alla parte soccombente una sanzione pecuniaria, determinata in una somma di denaro non inferiore ad euro 500 e non superiore ad euro 5.000.
Tale somma dovrà essere versata a favore della cassa delle ammende, a compensazione del danno arrecato all’Amministrazione della giustizia per l’inutile impiego di risorse speso nella gestione del processo.

Massime relative all'art. 96 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 10661/2020

Nel giudizio di opposizione all'esecuzione, la domanda di risarcimento danni da responsabilità aggravata, ex art. 96 c.p.c., non ha natura autonoma, ma meramente accessoria alla domanda di opposizione. Ne consegue che, ove l'appello avverso la sentenza di primo grado abbia ad oggetto unicamente la domanda dell'opponente di accertamento della responsabilità dell'opposta a tale titolo, l'esenzione dalla sospensione feriale dei termini prevista, per la natura della causa, per l'opposizione esecutiva, è applicabile anche alla domanda accessoria, stante la prevalenza del regime previsto per la causa principale, in conseguenza del rapporto di accessorietà necessaria intercorrente tra le due domande. (Dichiara inammissibile, CORTE D'APPELLO L'AQUILA, 11/09/2017).

Cass. civ. n. 32029/2019

La domanda di risarcimento danni ex art. 96, commi 1 e 2, c.p.c. deve essere formulata necessariamente nel giudizio che si assume temerariamente iniziato o contrastato, non potendo essere proposta in via autonoma, riguardando un'attività processuale che come tale va valutata nel giudizio presupposto da parte del medesimo giudice, anche per esigenze di economia processuale e per evitare pronunce contraddittorie nei due giudizi.

Cass. civ. n. 17902/2019

In tema di responsabilità aggravata, la determinazione equitativa della somma dovuta dal soccombente alla controparte in caso di lite temeraria non può essere parametrata all'indennizzo di cui alla legge n. 89 del 2001 - il quale, ha natura risarcitoria ed essendo commisurato al solo ritardo della giustizia, non consente di valutare il comportamento processuale del soccombente alla luce del principio di lealtà e probità ex art. 88 c.p.c., laddove la funzione prevalente della condanna ex art. 96, comma 3, c.p.c. è punitiva e sanzionatoria -, potendo essere calibrata su una frazione o un multiplo delle spese di lite con l'unico limite della ragionevolezza.

Cass. civ. n. 29462/2018

In tema di responsabilità aggravata, ex art. 96, c. 3 c.p.c., costituisce abuso del diritto di impugnazione, integrante colpa grave, la proposizione di un ricorso per cassazione basato su motivi manifestamente infondati, in ordine a ragioni già formulate nell'atto di appello, espresse attraverso motivi inammissibili, poiché pone in evidenza il mancato impiego della doverosa diligenza ed accuratezza nel reiterare il gravame.

Cass. civ. n. 28527/2018

In tema di responsabilità aggravata, la domanda di risarcimento del danno derivato dall'incauta trascrizione di un pignoramento, ai sensi dell'art. 96, comma 2, c.p.c., può essere proposta in via autonoma solo se non sia stata proposta opposizione all'esecuzione, né poteva esserlo, ovvero quando, proposta opposizione all'esecuzione, il danno patito dall'esecutato sia insorto successivamente alla definizione di tale giudizio, e sempre che si tratti di danno nuovo ed autonomo e non mero aggravamento del pregiudizio già insorto prima della definizione del giudizio di opposizione all'esecuzione.

Cass. civ. n. 27715/2018

L'istanza di condanna per responsabilità aggravata ex art. 96, comma 1, c.p.c. può essere proposta anche nel giudizio di legittimità, purché essa sia formulata, a pena di inammissibilità, nel controricorso. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto tardiva la richiesta di condanna avanzata, ai sensi dell'art. 96, comma 1, c.p.c., per la prima volta con la memoria di cui all'art. 380 bis, comma 2, c.p.c.).

Cass. civ. n. 27646/2018

Ai fini della responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., il ricorso per cassazione può considerarsi temerario solo allorquando, oltre ad essere erroneo in diritto, appalesi consapevolezza della non spettanza della prestazione richiesta o evidenzi un grado di imprudenza, imperizia o negligenza accentuatamente anormali.

Cass. civ. n. 22405/2018

La condanna ex art. 96, comma 3, c.p.c. è volta a salvaguardare finalità pubblicistiche, correlate all'esigenza di una sollecita ed efficace definizione dei giudizi, nonché interessi della parte vittoriosa ed a sanzionare la violazione dei doveri di lealtà e probità sanciti dall'art. 88 c.p.c., realizzata attraverso un vero e proprio abuso della "potestas agendi" con un'utilizzazione del potere di promuovere la lite, di per sé legittimo, per fini diversi da quelli ai quali esso è preordinato, con conseguente produzione di effetti pregiudizievoli per la controparte. Ne consegue che la condanna, al pagamento della somma equitativamente determinata, non richiede né la domanda di parte né la prova del danno, essendo tuttavia necessario l'accertamento, in capo alla parte soccombente, della mala fede (consapevolezza dell'infondatezza della domanda) o della colpa grave (per carenza dell'ordinaria diligenza volta all'acquisizione di detta consapevolezza), venendo in considerazione, a titolo esemplificativo, la pretestuosità dell'iniziativa giudiziaria per contrarietà al diritto vivente ed alla giurisprudenza consolidata, la manifesta inconsistenza giuridica delle censure in sede di gravame ovvero la palese e strumentale infondatezza dei motivi di impugnazione. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di appello, che aveva escluso la condanna, nonostante l'artificiosa evocazione in giudizio di una parte, peraltro senza proporre domanda contro di essa, finalizzata a "bloccare" le azioni promosse all'estero, in quanto la pretestuosità sarebbe dovuta essere eccepita dalla stessa parte invece rimasta contumace).

Cass. civ. n. 14911/2018

La domanda di risarcimento del danno per responsabilità aggravata a norma dell'art. 96 c.p.c. può essere proposta per la prima volta anche all'udienza di precisazione delle conclusioni, senza che ciò determini alcun mutamento dell'oggetto e della "causa petendi" delle domande proposte dalle parti, in quanto sovente la parte istante è in grado di valutarne la fondatezza, nonché di determinare l'entità del danno subito, solo al termine dell'istruttoria.

Cass. civ. n. 27623/2017

La condanna ex art. 96, comma 3, c.p.c., applicabile d'ufficio in tutti i casi di soccombenza, configura una sanzione di carattere pubblicistico, autonoma ed indipendente rispetto alle ipotesi di responsabilità aggravata ex art. 96, commi 1 e 2, c.p.c. e con queste cumulabile, volta - con finalità deflattive del contenzioso - alla repressione dell'abuso dello strumento processuale; la sua applicazione, pertanto, non richiede, quale elemento costitutivo della fattispecie, il riscontro dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, bensì di una condotta oggettivamente valutabile alla stregua di "abuso del processo", quale l'aver agito o resistito pretestuosamente.

Cass. civ. n. 25862/2017

L'azione di risarcimento danni ex art. 96, commi 1 e 2, c.p.c. è proponibile in un giudizio separato ed autonomo, rispetto a quello in cui si è verificato l'abuso, ove il danneggiato alleghi e provi che tale scelta sia dipesa, non già da una sua mera inerzia, ma da un interesse specifico a non proporre la relativa domanda nello stesso giudizio che ha dato origine all’altrui responsabilità aggravata, interesse che deve essere valutato nel caso concreto per accertarne l’effettiva esistenza ed escludere che sia illegittimo o abusante.

Cass. civ. n. 12029/2017

L’art. 96 c.p.c. si pone in rapporto di specialità rispetto all’art. 2043 c.c., sicché la responsabilità processuale aggravata, pur rientrando nella generale responsabilità per fatti illeciti, ricade interamente, in tutte le sue ipotesi, sotto la disciplina del citato art. 96 c.p.c., senza che sia configurabile un concorso, anche alternativo, tra le due fattispecie, risultando conseguentemente inammissibile la proposizione di un autonomo giudizio di risarcimento per i danni asseritamente derivati da una condotta di carattere processuale, i quali devono essere chiesti esclusivamente nel relativo giudizio di merito. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto inammissibile un’azione risarcitoria, autonomamente proposta, la cui “causa petendi” si fondava sulla scorretta condotta processuale della controparte in un precedente giudizio di opposizione agli atti esecutivi, consistita nella produzione di prove documentali artefatte e nell’allegazione di un credito contestato, dalla quale era derivata la revoca di un provvedimento di riduzione del pignoramento).

Cass. civ. n. 3311/2017

In tema di responsabilità aggravata, l'art. 96, comma 3, c.p.c. (come modificato dall’art. 45, comma 12, della l. n. 69 del 2009) prevede una vera e propria pena pecuniaria, indipendente sia dalla domanda di parte, sia dalla prova del danno causalmente derivato dalla condotta processuale dell'avversario. (Nella specie, la S.C. ha riconosciuto la responsabilità aggravata nella condotta di un soggetto il quale, abusando dello strumento processuale e percorrendo tutti i gradi di giudizio, aveva chiesto il risarcimento di un danno patrimoniale ipotetico, futile e, comunque, di lieve entità, consistente nell’avere ricevuto dieci e-mail indesiderate di contenuto pubblicitario nell'arco di tre anni).

Cass. civ. n. 23271/2016

Il creditore che iscrive ipoteca giudiziale incorre in responsabilità processuale aggravata, ai sensi dell'art. 96, comma 2, c.p.c., esclusivamente nell'ipotesi in cui sia accertata l'inesistenza del diritto per cui l'iscrizione è avvenuta.

Cass. civ. n. 19285/2016

Ai fini della condanna ex art. 96, comma 3, c.p.c., costituisce abuso del diritto all'impugnazione, integrante "colpa grave", la proposizione di un ricorso per cassazione basato su motivi manifestamente infondati, giacché ripetitivi di quanto già confutato dal giudice d'appello, ovvero perché assolutamente irrilevanti o generici, o, comunque, non rapportati all'effettivo contenuto della sentenza impugnata; in tali casi il ricorso per cassazione integra un ingiustificato aggravamento del sistema giurisdizionale, risultando piegato a fini dilatori e destinato, così, ad aumentare il volume del contenzioso e, conseguentemente, ad ostacolare la ragionevole durata dei processi pendenti, donde la necessità di sanzionare tale contegno ai sensi della norma suddetta (Corte cost. 152 del 2006).

Cass. civ. n. 18057/2016

In tema di spese giudiziali, va condannata ai sensi dell'art. 96, comma 3, c.p.c., aggiunto dalla legge n. 69 del 2009, la parte che non abbia adoperato la normale diligenza per acquisire la coscienza dell'infondatezza della propria posizione e comunque abbia agito senza aver compiuto alcun serio sforzo interpretativo, deduttivo, argomentativo, per mettere in discussione con criteri e metodo di scientificità la giurisprudenza consolidata ed avvedersi della totale carenza di fondamento del ricorso. (Nella specie, relativa a giudizio per omesso versamento dell'ICI in riferimento ad un'area destinata dal PRG a verde pubblico, anche attrezzato, in applicazione del suddetto principio, la parte è stata condannata al pagamento, in favore della controparte, delle spese del giudizio di legittimità in misura doppia).

Cass. civ. n. 17078/2016

La proposizione di un ricorso per dichiarazione di fallimento al solo fine di ottenere il più rapidamente possibile il soddisfacimento di un credito giustifica la condanna del ricorrente per responsabilità processuale aggravata ai sensi dell'art. 96, comma 3, c.p.c.

Cass. civ. n. 21798/2015

La domanda di risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c. non può trovare accoglimento tutte le volte in cui la parte istante non abbia assolto all'onere di allegare (almeno) gli elementi di fatto necessari alla liquidazione, pur equitativa, del danno lamentato.

Cass. civ. n. 22226/2014

La domanda diretta al risarcimento dei danni per responsabilità aggravata a norma dell'art. 96 cod. proc. civ. può essere proposta per la prima volta nella fase di gravame solo con riferimento a comportamenti della controparte posti in atto in tale grado del giudizio e non è soggetta al regime delle preclusioni previste dall'art. 345, primo comma, cod. proc. civ., tutelando un diritto che, siccome conseguenza della situazione giuridica soggettiva principale dedotta nel processo, è strettamente collegato e connesso all'agire od al resistere in giudizio e, come tale, non è esercitabile in via di azione autonoma.

Cass. civ. n. 3003/2014

La condanna al pagamento della somma equitativamente determinata, ai sensi del terzo comma dell'art. 96 cod. proc. civ., aggiunto dalla legge 18 giugno 2009, n. 69, ha natura sanzionatoria e officiosa, sicché essa presuppone la mala fede o colpa grave della parte soccombente, ma non corrisponde a un diritto di azione della parte vittoriosa.

Cass. civ. n. 19583/2013

La condanna al risarcimento dei danni a titolo di responsabilità aggravata per lite temeraria in sede di appello presuppone la totale soccombenza della parte in relazione all'esito del singolo grado di giudizio, aggiungendosi essa, ai sensi dell'art. 96, primo comma, cod. proc.civ., alla condanna alle spese, la quale è, invece, correlata all'esito finale della lite.

Cass. civ. n. 13899/2013

Il giudice tributario può conoscere anche la domanda risarcitoria proposta dal contribuente ai sensi dell'art. 96 cod. proc. civ., potendo, altresì, liquidare in favore di quest'ultimo, se vittorioso, il danno derivante dall'esercizio, da parte dell'Amministrazione finanziaria, di una pretesa impositiva "temeraria", in quanto connotata da mala fede o colpa grave, con conseguente necessità di adire il giudice tributario, atteso che il concetto di responsabilità processuale deve intendersi comprensivo anche della fase amministrativa che, qualora ricorrano i predetti requisiti, ha dato luogo all'esigenza di instaurare un processo ingiusto.

Cass. civ. n. 9152/2013

L'accertamento della mala fede del creditore pignorante, per i fini di cui all'art. 96, comma secondo, cod. proc. civ., è devoluto al giudice dell'opposizione all'esecuzione, il quale nel compiere il relativo accertamento dovrà valutare la condotta tenuta dal creditore nel giudizio di esecuzione, e non in quello di opposizione, a meno che non venga invocata dall'opponente anche la responsabilità dell'opposto per avere in mala fede o colpa grave resistito al giudizio di opposizione all'esecuzione, ai sensi del primo comma della norma citata.

Cass. civ. n. 9080/2013

In tema di responsabilità aggravata per lite temeraria, che ha natura extracontrattuale, la domanda di cui all'art. 96, primo comma, cod. proc. civ. richiede pur sempre la prova, incombente sulla parte istante, sia dell'"an" e sia del "quantum debeatur",o comunque postula che, pur essendo la liquidazione effettuabile di ufficio, tali elementi siano in concreto desumibili dagli atti di causa.

Cass. civ. n. 7620/2013

La domanda di risarcimento da responsabilità aggravata, di cui all'art. 96, primo comma, cod. proc. civ., si atteggia diversamente a seconda dei gradi del giudizio, atteso che, mentre in primo grado essa è volta a sanzionare il merito di un'iniziativa giudiziaria avventata, nel secondo grado, regolato dal principio devolutivo, essa deve specificamente riferirsi alla pretestuosità dell'impugnazione, valutata con riguardo non tanto alle domande proposte, quanto, piuttosto, alla palese e strumentale infondatezza dei motivi dell'appello e, più in generale, alla condotta processuale tenuta dalla parte soccombente nella fase di gravame.

Cass. civ. n. 1590/2013

La richiesta di condanna per responsabilità processuale aggravata, ai sensi dell'art. 96, secondo comma, c.p.c., per l'inizio o il compimento dell'esecuzione forzata in mancanza di titolo esecutivo, originaria o sopravvenuta, a seguito dell'accertamento dell'inesistenza del diritto di procedere in via esecutiva, può essere proposta soltanto al giudice del giudizio di merito nel quale il titolo esecutivo si è formato, ovvero dinanzi al giudice dell'opposizione all'esecuzione e non davanti al giudice dell'opposizione agli atti esecutivi.

Cass. civ. n. 21570/2012

In tema di responsabilità aggravata, il terzo comma dell'art. 96 c.p.c., aggiunto dalla legge 18 giugno 2009, n. 69, disponendo che il soccombente può essere condannato a pagare alla controparte una "somma equitativamente determinata", non fissa alcun limite quantitativo, né massimo, né minimo, al contrario del quarto comma dell'art. 385 c.p.c., che, prima dell'abrogazione ad opera della medesima legge, stabiliva, per il giudizio di cassazione, il limite massimo del doppio dei massimi tariffari. Pertanto, la determinazione giudiziale deve solo osservare il criterio equitativo, potendo essere calibrata anche sull'importo delle spese processuali o su un loro multiplo, con l'unico limite della ragionevolezza. (Nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha respinto il ricorso avverso la decisione di merito, che aveva condannato il soccombente a pagare una somma non irragionevole in termini assoluti e pari al triplo di quanto liquidato per diritti e onorari).

La condanna al pagamento della somma equitativamente determinata, ai sensi del terzo comma dell'art. 96 c.p.c., aggiunto dalla legge 18 giugno 2009, n. 69, presuppone l'accertamento della mala fede o colpa grave della parte soccombente, non solo perché la relativa previsione è inserita nella disciplina della responsabilità aggravata, ma anche perché agire in giudizio per far valere una pretesa che si rivela infondata non è condotta di per sé rimproverabile.

Cass. civ. n. 20995/2011

In tema di responsabilità aggravata per lite temeraria, l'art. 96 c.p.c. prevede, nel caso di accoglimento della domanda, il risarcimento dei danni, da intendersi, quindi, come ampia formulazione letterale comprensiva sia del danno patrimoniale, che del danno non patrimoniale, quest'ultimo trovando giustificazione anche in ragione della qualificazione del diritto di azione e difesa in giudizio in termini di diritto fondamentale. Ne consegue che, sotto il profilo del danno patrimoniale, in assenza di dimostrazione di specifici e concreti pregiudizi derivati dallo svolgimento della lite, è legittima una liquidazione equitativa che abbia riguardo allo scarto tra le spese determinate dal giudice secondo le tariffe e quanto dovuto dal cliente in base al rapporto di mandato professionale; mentre, sotto il profilo del danno non patrimoniale, la liquidazione equitativa deve avere riguardo alla lesione dell'equilibrio psico-fisico che, secondo nozioni di comune esperienza (anche in forza del principio della ragionevole durata del processo, di cui all'art. 111 Cost. ed alla legge 24 marzo 2001, n. 89), si verifichi a causa di ingiustificate condotte processuali.

Cass. civ. n. 17523/2011

Non è configurabile un concorso tra l'azione generale risarcitoria, di cui all'art. 2043 c.c., e quella speciale di risarcimento del danno per responsabilità processuale aggravata, ai sensi dell'art. 96, secondo comma, c.p.c., il quale disciplina, tra l'altro, la responsabilità del creditore che abbia iniziato o compiuto l'esecuzione forzata in relazione ad un diritto inesistente. In questa ipotesi, diversamente da quanto stabilito dal primo comma della citata norma processuale, è sufficiente il difetto della normale prudenza del creditore; pertanto, il giudice, investito della domanda di risarcimento del danno che si assuma derivante dal mantenimento in vita di un'azione esecutiva immobiliare, deve accertare che il titolo esecutivo sia venuto meno e che il creditore abbia agito nel corso dell'intero processo esecutivo senza rispettare la regola della normale prudenza, la quale si identifica anche con la colpa lieve.

Cass. civ. n. 10846/2011

La norma di cui al terzo comma dell'art. 96 c.p.c., introdotto dall'art. 45 della legge 18 giugno 2009, n. 69, è applicabile - atteso il disposto della norma transitoria di cui all'art. 58, primo comma, legge cit. - soltanto ai giudizi instaurati dopo la sua entrata in vigore e, pertanto, esso non trova applicazione al regolamento di competenza proposto, ancorché dopo l'entrata in vigore della legge, avverso un provvedimento reso nell'ambito del giudizio di merito a quella data già pendente, in quanto il regolamento di competenza si innesta nell'ambito del processo e costituisce un procedimento incidentale di impugnazione.

Cass. civ. n. 6597/2011

Qualora la parte che ha promosso un giudizio avente ad oggetto beni immobili abbia proceduto alla trascrizione della domanda giudiziale al di fuori dei casi di cui agli artt. 2652 e 2653 c.c. - cioè compiendo una trascrizione illegittima - in assenza di una specifica previsione legislativa che radichi presso il medesimo giudice, ai sensi dell'art. 96 c.p.c., la competenza a decidere anche la domanda di risarcimento danni promossa dalla controparte in conseguenza di tale illegittima trascrizione, deve ritenersi che quest'ultima domanda possa essere proposta anche in un diverso giudizio, ai sensi dell'art. 2043 c.c.. In questo caso, infatti, l'accertamento che il giudice è chiamato a compiere - relativo alla verifica dell'esistenza di una norma sostanziale che consenta o meno la trascrizione della domanda giudiziale - ha per oggetto un fatto diverso da quello dell'altro giudizio; tale lettura del sistema, idonea alla maggiore tutela del diritto di difesa costituzionalmente garantito, consente al danneggiato di ottenere il risarcimento anche in ipotesi di colpa lieve, che rimarrebbero escluse ove la domanda risarcitoria fosse proponibile solo in base all'art. 96 del c.p.c..

Cass. civ. n. 17902/2010

Il creditore che abbia iscritto ipoteca per una somma esorbitante o su beni eccedenti l'importo del credito vantato non può essere chiamato, per ciò solo, a risponderne a titolo di responsabilità aggravata ai sensi dell'art. 96, secondo comma, cod. proc. civ., restando possibile, peraltro, configurare a carico del medesimo, una responsabilità processuale a norma dell'art. 96, primo comma, cod. proc. civ., qualora egli abbia resistito alla domanda di riduzione dell'ipoteca, con dolo o colpa grave.

L'applicabilità ai soli procedimenti esecutivi e cautelari della fattispecie tipizzata contenuta nella disposizione speciale del secondo comma dell'art. 96 c.p.c., non esclude applicabilità a tali procedimenti anche del primo comma del medesimo articolo, trattandosi di norma a natura generale.

Cass. civ. n. 15629/2010

La condanna per responsabilità processuale aggravata, per lite temeraria, quale sanzione dell'inosservanza del dovere di lealtà e probità cui ciascuna parte è tenuta (ivi compresa quella controricorrente in sede di giudizio di legittimità), non può derivare dal solo fatto della prospettazione di tesi giuridiche riconosciute errate dal giudice, occorrendo che l'altra parte deduca e dimostri nell'indicato comportamento dell'avversario la ricorrenza del dolo o della colpa grave, nel senso della consapevolezza, o dell'ignoranza, derivante dal mancato uso di un minimo di diligenza, dell'infondatezza delle suddette tesi.

Cass. civ. n. 13107/2010

L'iscrizione d'ipoteca giudiziale in base ad un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo può essere fonte di responsabilità processuale aggravata ai sensi del secondo comma dell'art. 96 c.p.c., esclusivamente nell'ipotesi d'inesistenza del credito, ma non quando il valore dei beni assoggettati ad ipoteca sia largamente superiore all'ammontare del credito azionato in via monitoria, atteso che il creditore non incontra alcun limite quantitativo alla sua possibilità d'iscrivere ipoteca su tutti i beni costituenti, ai sensi dell'art. 2740 c.c., il patrimonio con il quale il debitore è tenuto all'adempimento delle sue obbligazioni.

Cass. civ. n. 10960/2010

Chi intende chiedere il risarcimento del danno per l'eseguita esecuzione forzata illegittima può agire soltanto, ai sensi dell'art. 96, secondo comma, c.p.c. (quale norma speciale rispetto all'art. 2043 c.c.), dinanzi al giudice dell'opposizione all'esecuzione, funzionalmente competente sia sull'"an" che sul "quantum"; pertanto, è inammissibile una domanda di condanna generica, con riserva di agire in un separato giudizio per il "quantum", che, per espressa previsione normativa, può essere liquidato anche d'ufficio.

Cass. civ. n. 10230/2010

L'opposizione alla dichiarazione di fallimento e l'azione di responsabilità aggravata, introdotta ai sensi dell'art. 96 c.p.c., con riguardo all'iniziativa assunta con l'istanza di fallimento, sono legate da un nesso d'interdipendenza da cui consegue la competenza funzionale, esclusiva ed inderogabile del giudice della predetta opposizione su entrambe e l'improponibilità in separato giudizio dell'azione risarcitoria. (Nella specie, la S.C. ha confermato la pronuncia di secondo grado che aveva dichiarato inammissibile, in ordine ad entrambe le domande, l'impugnazione proposta oltre i termini, più ristretti, previsti per l'opposizione alla dichiarazione di fallimento).

Cass. civ. n. 327/2010

L'accertamento, ai fini della condanna al risarcimento dei danni da responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., dei requisiti dell'aver agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave (comma primo) ovvero del difetto della normale prudenza (comma secondo) implica un apprezzamento di fatto non censurabile in sede di legittimità se la sua motivazione in ordine alla sussistenza o meno dell'elemento soggettivo ed all' "an" ed al "quantum" dei danni di cui è chiesto il risarcimento risponde ad esatti criteri logico-giuridici. (Nella specie, la S.C., rigettando il ricorso avverso una sentenza adottata in sede di rinvio, ha ritenuto adeguata la motivazione con la quale era stata respinta la domanda di risarcimento ex art. 96 c.p.c. in ragione della perdurante complessità delle questioni che erano state oggetto del giudizio, tali da escludere che l'esercizio dell'azione fosse stato imprudente, tenendo conto, altresì, che il principio precedentemente enunciato dal giudice di legittimità non aveva escluso la prospettazione di ulteriori questioni rilevanti nella sua applicazione).

Cass. civ. n. 24538/2009

L'azione di risarcimento danni ex art. 96 c.p.c. non può, di regola, essere fatta valere in un giudizio separato ed autonomo rispetto a quello dal quale la responsabilità aggravata ha avuto origine; ne consegue che competente a decidere sull'"an" e sul "quantum" della relativa domanda, qualora riguardi l'instaurazione illegittima di un procedimento di esecuzione forzata, è il giudice dell'opposizione alla stessa.

Cass. civ. n. 21590/2009

La responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c. integra una particolare forma di responsabilità processuale a carico della parte soccombente che abbia agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, con la conseguenza che non può farsi luogo all'applicazione di detta norma quando non sussista il requisito della totale soccombenza per essersi verificata soccombenza reciproca.

Cass. civ. n. 4383/2009

Le condanne alle spese ed al risarcimento dei danni per responsabilità processuale aggravata, ai sensi, rispettivamente, degli artt.91 e 96 c.p.c., integrando pronunce accessorie e conseguenziali alla decisione della causa, presuppongono che nei confronti della parte soccombente siano state proposte ed accolte domande, eccezioni o difese, processuali o di merito. (Nella fattispecie, la S.C. ha rigettato il ricorso avverso la sentenza del giudice di pace che aveva dichiarato la nullità della citazione in giudizio di un terzo nei cui confronti era stato chiesto il rimborso delle spese di giudizio e il risarcimento per responsabilità aggravata senza che fosse stata avanzata nei suoi confronti alcuna domanda).

Cass. civ. n. 3057/2009

Costituisce causa di responsabilità processuale aggravata, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 96 c.p.c., la proposizione di regolamento di giurisdizione senza il riscontro preventivo - nell'esercizio di un minimo di elementare diligenza - dell'erroneità della propria tesi alla stregua della disciplina positiva e della giurisprudenza, costituendo tale difetto di diligenza un elemento rivelatore di un uso distorto del regolamento ai fini meramente dilatori, oltre che, secondo nozioni di comune esperienza, fonte di conseguenze pregiudizievoli per le controparti. (Principio affermato con riguardo al ricorso per regolamento erroneamente diretto ad ottenere la declaratoria del difetto della giurisdizione italiana sulla istanza di fallimento contro società avente sede in Italia al momento del deposito di tale atto e successivamente trasferitasi in Stato extracomunitario).

Cass. civ. n. 28226/2008

In tema di risarcimento del danno per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c. conseguente a revoca della dichiarazione di fallimento pronunciata in difetto delle condizioni di legge, la relativa liquidazione può essere compiuta anche con il ricorso alla valutazione equitativa, come previsto dall'art. 1226 cod. civ. (richiamato dall'art. 2056 cod. civ.), purchè sia stata fornita la prova certa e concreta del pregiudizio, identificandone il tipo e gli elementi costitutivi; ne consegue che, pur essendo generalmente insito nella dichiarazione di fallimento - poi revocata - di una società un pregiudizio all'immagine, la sua portata dipende dalla situazione in cui la società si trova, dal campo in cui opera, dalla durata del fallimento e da altre possibili varianti legate alla sua specificità.

Cass. civ. n. 24645/2007

L'accoglimento della domanda di condanna al risarcimento del danno ex art. 96, comma 1, c.p.c. presuppone l'accertamento sia dell'elemento soggettivo (mala fede o colpa grave) sia dell'elemento oggettivo (entità del danno sofferto). Il primo presupposto, per concretizzarsi nella conoscenza della infondatezza domanda e delle tesi sostenute ovvero nel difetto della normale diligenza per l'acquisizione di detta conoscenza, è ravvisabile in tutti quei casi in cui venga proposto - contrariamente ad un costante, consolidato e mai smentito indirizzo giurisprudenziale - ricorso per cassazione avverso provvedimenti di natura ordinatoria, quali quelli emessi ex art. 273 e 274 c.p.c. Il secondo presupposto richiede, invece, l'esistenza di un danno e la prova da parte dell'istante sia dell'an che del quantum debeatur il che non osta a che l'interessato possa dedurre, a sostegno della sua domanda, condotte processuali dilatorie o defatigatorie della controparte, potendosi desumere il danno subito da nozioni di comune esperienza anche alla stregua del principio, ora costituzionalizzato, della ragionevole durata del processo (art. 111, comma 2, Cost.) e della legge n. 89 del 2001 (c.d. legge Pinto), secondo cui, nella normalità dei casi e secondo l'id quod plerumque accidit ingiustificate condotte processuali, oltre a danni patrimoniali (quali quelli di essere costretti a contrastare una ingiustificata iniziativa dell'avversario sovente in una sede diversa da quella voluta dal legislatore e per di più non compensata sul piano strettamente economico dal rimborso delle spese ed onorari liquidabili secondo tariffe che non concernono il rapporto tra parte e cliente), causano ex se anche danni di natura psicologica, che per non essere agevolmente quantificabili, vanno liquidati equitativamente sulla base degli elementi in concreto desumibili dagli atti di causa.

Cass. civ. n. 10993/2007

La domanda ex art. 96, secondo comma, c.p.c., in relazione a provvedimenti cautelari adottati nel corso del giudizio di primo grado deve essere proposta in detto grado di giudizio, dovendosi al fine della valutazione della tempestività della stessa avere riguardo al momento del fatto generativo del danno (cioè al momento in cui il comportamento asseritamente dannoso è stato posto in essere) e non a quello, successivo, dell'accertamento della inesistenza del diritto a tutela del quale il provvedimento è stato richiesto, adottato e posto in esecuzione.

Cass. civ. n. 9297/2007

In tema di responsabilità aggravata, la norma dell'art. 96, c.p.c., nell'affidare al giudice avanti al quale si è «agito o resistito» (primo comma) ed a quello che ha compiuto l'accertamento «l'inesistenza del diritto» (secondo comma) il compito di essere investito della relativa istanza, non pone una regola di competenza, cioè non indica avanti a quale giudice si può esercitare un'azione di cui l'istanza è espressione, ma disciplina un fenomeno che si colloca all'interno di un processo già pendente e che si esprime nell'esercizio da parte del litigante di un potere all'interno di esso — quello di formulazione di un'istanza (e non della proposizione di un'azione) — il cui esercizio impone al giudice di provvedere sull'oggetto della richiesta, la quale, dunque, è strettamente collegata e connessa all'agire od al resistere in giudizio. Ne discende che il potere di rivolgere l'istanza, essendo previsto come potere endoprocessuale collegato e connesso all'azione od alla resistenza in giudizio, non può essere considerato (salvo il caso eccezionale che il suo esercizio sia rimasto precluso in quel processo da ragioni attinenti alla sua struttura e non dipendenti dall'inerzia della parte) come potere esercitatile al di fuori del processo e, quindi, suscettibile di essere esercitato avanti ad altro giudice, cioè in via di azione autonoma. Pertanto, quando tale esercizio avvenisse non ricorrerebbe una situazione di esercizio di un'azione davanti ad un giudice diverso da quello che sarebbe stato competente, bensì, l'esercizio di un'azione per un diritto non previsto dall'ordinamento, il quale appunto prevede il diritto di vedersi liquidare il danno da responsabilità aggravata (nelle due ipotesi previste dai due commi dell'art. 96) soltanto come diritto espressione del diritto di azione esercitato in un processo a tutela della situazione giuridica soggettiva principale che vi sia dedotta e, quindi, come diritto che di tale situazione è conseguenza e che, perciò lo è anche dell'azione con cui essa è fatta valere (in via attiva o passiva).

Cass. civ. n. 3388/2007

In tema di responsabilità aggravata per lite temeraria, che ha natura extracontrattuale, la domanda di cui all'art. 96 c.p.c. - proponibile per la prima volta in sede di legittimità se concerne i danni che si riconnettono esclusivamente al giudizio di cassazione - richiede pur sempre la prova incombente alla parte istante sia dell'an che del quantum debeatur o che, pur essendo la liquidazione effettuabile d'ufficio, tali elementi siano in concreto desumibili dagli atti di causa.

Cass. civ. n. 16975/2006

La domanda diretta al risarcimento dei danni per responsabilità aggravata a norma dell'art. 96 c.p.c. può essere proposta per la prima volta nella fase di gravame solo con riferimento a comportamenti della controparte posti in atto in tale grado del giudizio.

Cass. civ. n. 15551/2003

L'art. 96 c.p.c. che disciplina tutti i casi di responsabilità risarcitoria per atti o comportamenti processuali, si pone con carattere di specialità rispetto all'art. 2043 c.c., di modo che la responsabilità processuale aggravata, pur rientrando concettualmente nel genere della responsabilità per fatti illeciti, ricade interamente, in tutte le sue ipotesi, sotto la disciplina dell'art. 96 cit., né è configurabile un concorso, anche alternativo, tra i due tipi di responsabilità.

Cass. civ. n. 8171/2003

L'iscrizione di ipoteca in base ad un decreto ingiuntivo dichiarato provvisoriamente esecutivo può essere fonte di responsabilità processuale aggravata, a norma dell'art. 96, secondo comma, c.p.c., ove venga accertata l'inesistenza del diritto di credito fatto valere in sede di giudizio di opposizione, in concorso con l'elemento soggettivo del difetto della normale prudenza, mentre, ove il giudice dell'opposizione accerti che la clausola di provvisoria esecuzione non poteva essere concessa per mancanza del periculum in mora e l'ipoteca essere iscritta, è configurabile la responsabilità aggravata a norma dell'art. 96, primo comma, c.p.c., in concorso dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, e a prescindere dall'esistenza del credito.

Cass. civ. n. 6796/2003

All'accoglimento della domanda di risarcimento dei danni da lite temeraria non osta l'omessa deduzione e dimostrazione dello specifico danno subito dalla parte vittoriosa, che non è costituito dalla lesione della propria posizione materiale, ma dagli oneri di ogni genere che questa abbia dovuto affrontare per essere stata costretta a contrastare l'ingiustificata iniziativa dell'avversario e dai disagi affrontati per effetto di tale iniziativa, danni la cui esistenza può essere desunta dalla comune esperienza.

Cass. civ. n. 3941/2002

La domanda di risarcimento del danno per responsabilità aggravata a norma dell'art. 96 c.p.c. non attiene al merito della controversia, (i cui termini, con riferimento all'oggetto ed alla causa petendi delle domande rispettivamente proposte dalle parti, restano immutati) e, pertanto, può essere formulata per la prima volta anche all'udienza di precisazione delle conclusioni, in quanto la parte istante, sovente solo al termine dell'istruttoria, è in grado di valutarne la fondatezza e/o di determinare l'entità del danno subito. Peraltro, la liquidazione di tale danno, ancorché possa effettuarsi anche d'ufficio, postula pur sempre la prova sia dell'an sia del quantum o almeno la desumibilità di tali elementi dagli atti di causa.

Cass. civ. n. 3573/2002

Poiché la domanda di risarcimento del danno per responsabilità processuale aggravata ai sensi dell'art. 96 c.p.c. può essere formulata esclusivamente, sia per l'an che per il quantum, innanzi al giudice investito del procedimento per il quale si pretende dedurre tale responsabilità e poiché la proposizione di detta domanda non importa alcuna alterazione dell'oggetto della lite, in ipotesi di esecuzione della sentenza di primo grado, iniziata e compiuta senza normale prudenza, l'istanza risarcitoria può e deve essere proposta nel corso del giudizio di appello senza che sia opponibile alcuna preclusione.

Cass. civ. n. 10731/2001

Una volta accertata la ricorrenza della responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c. sussistente allorché sia stato proposto appello avverso un provvedimento meramente ordinatorio, in presenza di consolidata giurisprudenza che escluda l'ammissibilità di tale mezzo d'impugnazione, non è necessario che l'interessato deduca e dimostri uno specifico danno per il ritardo provocato dal gravame inammissibilmente esperito sulla decisione della causa, potendo desumersi detto danno da nozioni di comune esperienza e fare riferimento anche al pregiudizio che la parte resistente abbia subito di per sé per essere stata costretta a contrastare un'ingiustificata iniziativa dell'avversario.

Cass. civ. n. 8738/2001

La parte che, a causa dell'esecuzione di una misura cautelare, abbia subito danni, può far valere il relativo diritto al risarcimento nel procedimento di reclamo in cui impugni la misura cautelare soltanto nel caso previsto dal primo comma dell'art. 96 c.p.c., cioè ove lamenti che la parte istante ha agito con dolo o colpa grave nel domandare la cautela (perché ne mancavano le condizioni) o nell'eseguirla (come, ad esempio, nel caso di sequestro conservativo, se il sequestro sia stato eseguito su bene non suscettibile di pignoramento), e non invece nel caso previsto dal secondo comma dello stesso art. 96, posto che il suddetto procedimento non può costituire la sede in cui può avere luogo un accertamento pieno della inesistenza del diritto cautelato. Nel caso in cui sia fatto valere il diritto al risarcimento ai sensi del suddetto primo comma dell'art. 96, avverso il rigetto della relativa istanza, pur in presenza della revoca della misura cautelare ovvero avverso l'accoglimento dell'istanza che si accompagni alla revoca dei detta misura, è proponibile l'opposizione di cui al terzo comma dell'art. 669 septies c.p.c., rispettivamente dalla parte che aveva proposto l'istanza e dalla parte che aveva chiesto ed eseguito i provvedimento cautelare, ma si concluda con la sua conferma o con la sua modifica (anche consistente nella sola imposizione di una cauzione), il consequenziale rigetto dell'istanza ex primo comma dell'art. 96 c.p.c. non ha valore definitivo e non è, dunque, precluso alla parte istante di far valere detto diritto (eventualmente unitamente a quello ex secondo comma dell'art. 96) o nel successivo giudizio di merito, introdotto dalla parte istante la misura cautelare o, per il caso di mancato inizio di tale giudizio, con un'autonoma domanda (da proporsi al giudice competente secondo le regole ordinarie), restando invece in ogni caso esclusa la ricorribilità in cassazione della suddetta statuizione di rigetto.

Cass. civ. n. 6967/2001

Il valore della domanda di risarcimento dei danni per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., non può essere cumulata ai sensi e per gli effetti dell'art. 10 c.p.c. con il valore della domanda principale, trattandosi di domanda che rientra nella competenza funzionale - sia per l'an che per il quantum - del giudice che è competente a conoscere della domanda principale.

Cass. civ. n. 10196/2000

Con riguardo alla domanda di responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., ove non sia precisata l'ipotesi che si invoca, se quella di cui al primo (mala fede o colpa grave) o quella di cui al secondo comma (inesistenza del diritto) dello stesso articolo, spetta al giudice interpretare la domanda, sulla base, tra l'altro, delle circostanze prospettate dalla parte a sostegno della medesima, accertando in quale delle due fattispecie esse siano sussumibili, ovvero se lo siano in entrambe.

Cass. civ. n. 10116/2000

In sede di regolamento di competenza non possono prospettarsi questioni o temi di indagine diversi da quelli relativi alla competenza. Pertanto, per censurare il capo relativo alla condanna al risarcimento dei danni per lite temeraria è onere della parte proporre l'impugnazione ordinaria.

Cass. civ. n. 9897/2000

Presupposto indefettibile della responsabilità processuale aggravata è la totale soccombenza nel giudizio, non potendosi in caso contrario configurare la mala fede o la colpa grave, elementi necessari per la sussistenza di detta responsabilità.

Cass. civ. n. 9579/2000

In tema di responsabilità processuale aggravata ex art. 96 c.p.c., il carattere temerario della lite, che costituisce presupposto della condanna al risarcimento dei danni, va ravvisato nella coscienza della infondatezza della domanda e delle tesi sostenute, ovvero nel difetto della normale diligenza per l'acquisizione di detta consapevolezza, non già nella mera opinabilità del diritto fatto valere.

Cass. civ. n. 3876/2000

La sentenza con la quale il giudice compensi le spese di lite, indicando le circostanze che integrano i giusti motivi per detta pronuncia, contiene una implicita esclusione dei presupposti richiesti per la condanna della parte soccombente al risarcimento dei danni per responsabilità processuale aggravata e resta quindi sottratta ad ogni censura non solo l'omessa motivazione ma, addirittura, l'omessa pronuncia sull'istanza di risarcimento di tali danni.

Cass. civ. n. 1861/2000

L'azione di risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c. non può, di regola, essere fatta valere in un giudizio separato ed autonomo rispetto a quello dal quale la responsabilità aggravata ha origine, salvo che ciò sia precluso da ragioni attinenti alla stessa struttura del processo e non dipendenti dalla inerzia della parte. (Alla stregua del principio di cui in massima, la S.C. ha cassato la decisione della corte di merito che, in riforma della sentenza del primo giudice, aveva accolto la richiesta di risarcimento dei danni ex art. 96 del codice di rito, avanzata dal proprietario di un immobile sottoposto a pignoramento per errore di persona, e tuttavia non attivandosi, dopo aver appreso il detto pignoramento dalla lettura del Foglio annunzi legali della provincia, con il rimedio giudiziale della opposizione alla esecuzione (e la contestuale richiesta di risarcimento del danno), ma rimasto inerte a seguito delle assicurazioni fornitegli dai legali della banca esecutante in ordine alla richiesta di cancellazione della trascrizione del pignoramento stesso. La S.C. ha ritenuto improponibile la domanda proposta ad un giudice diverso da quello investito della causa cui si riferiva il comportamento imprudente dell'esecutante, e non corretta la decisione del secondo giudice, in quanto fondata sull'erroneo convincimento che l'esecutato, per effetto dell'errore di persona, non potesse essere considerato parte della procedura esecutiva, ma terzo rispetto ad essa, e, pertanto, non fosse legittimato a proporre opposizione alla esecuzione, ma solo opposizione di terzo ex art. 619 c.p.c. - iniziativa, peraltro, non ipotizzabile una volta che la banca esecutante aveva stragiudizialmente riconosciuto l'errore e si era impegnata a richiedere la cancellazione del pignoramento - sicché non gli sarebbe rimasto altro rimedio che la richiesta autonoma di risarcimento del danno).

Cass. civ. n. 12024/1999

La domanda di risarcimento del danno riconducibile ad una responsabilità processuale aggravata inerente ad un procedimento dinanzi ad un giudice amministrativo non può essere proposta avanti al giudice ordinario, perché non attiene a questione patrimoniale consequenziale alla pronuncia circa la legittimità dell'atto o del provvedimento avanti a quel giudice impugnato. Detta domanda è conoscibile solo dallo stesso giudice amministrativo nell'ambito della controversia in relazione alla quale si assumono verificati gli estremi della suddetta responsabilità, spettando a detto giudice la statuizione sull'ammissibilità di quella domanda nel contenzioso amministrativo e sull'eventuale questione di legittimità costituzionale che potrebbe configurarsi per la mancanza di una previsione analoga all'art. 96 c.p.c., con riferimento a quel contenzioso (principio affermato dalla Suprema Corte con riferimento ad una fattispecie in cui taluno aveva convenuto in giudizio, per sentirlo condannare al risarcimento dei danni subiti, il soggetto che aveva a suo dire arbitrariamente intentato contro di lui un giudizio avanti al Tar, ottenendo la sospensione e quindi una decisione di annullamento di una licenza edilizia, poi riformata dal Consiglio di Stato, che aveva pure respinto un ricorso per revocazione).

Cass. civ. n. 4849/1999

La domanda di risarcimento del danno per responsabilità processuale aggravata, ancorché proposta in via riconvenzionale dal convenuto nella causa di merito, cui è relativa, non è idonea a determinare uno spostamento di competenza ai sensi degli artt. 34 e 36 c.p.c., in quanto deve essere necessariamente proposta avanti allo stesso giudice che decide la causa nel merito, il quale è funzionalmente competente a conoscerla. Inoltre, ove vertasi nell'ipotesi di procedimento pendente innanzi al giudice di pace e questi, per i limiti di valore della controversia debba emettere una pronuncia secondo equità, la domanda riconvenzionale di risarcimento ex art. 96 c.p.c. non può influire neppure sui criteri della decisione e non può - quindi - finire per imporre al giudice di seguire le norme del diritto.

Cass. civ. n. 7051/1997

Qualora l'istante per la condanna della controparte per responsabilità processuale, ex art. 96 c.p.c. abbia individuato, tra le due ipotesi normative ivi previste, la fattispecie di cui al primo comma (dolo o colpa grave nell'agire o resistere in giudizio) come quella idonea a fondare la propria richiesta di risarcimento, incorre nel vizio di extrapetizione la sentenza che, in accoglimento della domanda, ritenga sussistente, in fatto, la (diversa) fattispecie di cui al secondo comma della norma citata (nella specie, prosecuzione del procedimento di espropriazione forzata senza la normale prudenza), attesa la evidente diversità degli elementi costitutivi dell'una e dell'altra previsione normativa.

Cass. civ. n. 8857/1996

L'espressa previsione, da parte dell'art. 96 c.p.c., del potere del giudice di liquidare il danno da responsabilità processuale aggravata si basa sulla considerazione che tale danno non può di norma essere provato nel suo esatto ammontare e quindi deve poter essere liquidato equitativamente dal giudice.

Cass. civ. n. 448/1995

La condanna al risarcimento dei danni per responsabilità aggravata ai sensi dell'art. 96, primo comma, c.p.c. può essere emessa anche dalle sezioni unite in sede di regolamento preventivo di giurisdizione, a carico di chi abbia proposto la relativa istanza con la consapevolezza o con l'ignoranza, gravemente colpevole, della sua inammissibilità (derivante, nella specie, dalla prospettazione di questioni che la costante giurisprudenza esclude che possano essere dedotte con il regolamento preventivo di giurisdizione, per attenere al merito o comunque alle modalità di esercizio della giurisdizione spettante al giudice adito). Ai fini della quantificazione del danno peraltro non è necessario che la controparte deduca e dimostri uno specifico danno per il ritardo provocato dal ricorso, tenendo conto che la Corte di cassazione, che ha facoltà di desumere detto danno da nozioni di comune esperienza, può far riferimento anche al pregiudizio che detta controparte abbia subito di per sè per essere stata costretta a contrastare una ingiustificata iniziativa dell'avversario, neppure compensata, sul piano strettamente economico, dal rimborso delle spese e degli onorari del procedimento stesso, liquidabili secondo tariffe che non concernono il rapporto fra parte e cliente.

Cass. civ. n. 1861/1995

Ove sia accertata l'inesistenza del credito a tutela del quale è stato richiesto ed eseguito sequestro conservativo, la responsabilità processuale aggravata del creditore procedente trova la sua disciplina nel secondo comma dell'art. 96 (per il quale è sufficiente che si sia agito senza la normale prudenza) e non nel primo comma del medesimo articolo (che richiede, invece, il dolo o la colpa grave) indipendentemente dal motivo del provvedimento di rigetto della istanza di convalida ed anche quando, quindi, il rigetto sia dipeso dalla incompetenza del giudice che ha autorizzato il sequestro, come nel caso di provvedimento emesso dal presidente del tribunale, anziché dal giudice istruttore dinnanzi al quale pendeva la causa di merito.

Cass. civ. n. 1037/1994

Ai fini della condanna al risarcimento dei danni per responsabilità aggravata, ex art. 96, secondo comma, c.p.c., della parte soccombente che abbia chiesto ed ottenuto, provvedendo poi ad eseguirle, misure cautelari a tutela di un diritto inesistente, siffatta nozione di inesistenza è da ritenere comprensiva anche della notevole sproporzione fra il quantum accertato e quello per cui sono state sollecitate le dette misure, con riguardo alla differenza fra tali importi.

Cass. civ. n. 6957/1993

La sussistenza di responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., per la proposizione di un regolamento di giurisdizione in funzione di espediente meramente dilatorio, va affermata anche con riguardo al contenzioso concernente le elezioni amministrative quando si disconosca la spettanza della controversia alla giurisdizione amministrativa, pur avendo essa ad oggetto situazioni di interesse legittimo, in quanto il cittadino elettore che impugni il risultato delle elezioni stesse — sia direttamente, sia intervenendo ad adiuvandum nel giudizio da altri proposto — e subisca un ritardo della decisione a causa del detto espediente, è titolare di un diritto soggettivo al risarcimento del danno prodotto da tale ritardo e non bisognevole di specifica dimostrazione, ma desumibile da nozioni di comune esperienza.

Cass. civ. n. 12642/1992

La domanda di risarcimento del danno da responsabilità processuale aggravata di cui all'art. 96 c.p.c. può essere proposta solo nello stesso giudizio dal cui esito si deduce l'insorgenza della detta responsabilità e del danno, non solo perché nessun giudice può giudicare la temerarietà processuale meglio di quello stesso che decide sulla domanda che si assume temeraria, ma anche e soprattutto perché la valutazione del presupposto della responsabilità processuale è così strettamente collegata con la decisione di merito da comportare la possibilità, ove fosse separatamente condotta, di un contrasto pratico di giudicati.

Cass. civ. n. 550/1992

Con riguardo a ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione, l'affermazione della responsabilità processuale aggravata dell'istante, ove risulti la consapevolezza o l'ignoranza gravemente colposa dell'infondatezza o dell'inammissibilità del ricorso, non trova ostacolo nella circostanza che l'inammissibilità discenda dalla proposizione dell'atto personalmente ad opera della parte, anziché per il tramite di avvocato iscritto all'albo speciale, in quanto il dovere di lealtà processuale grava anche sulla parte stessa, non soltanto sul suo difensore.

Cass. civ. n. 522/1991

La responsabilità aggravata, ai sensi dell'art. 96 primo comma c.p.c., per il pretestuoso esperimento del ricorso per cassazione od anche del ricorso per regolamento di giurisdizione (responsabilità configurabile pure quando la contesa non investa posizioni di diritto soggettivo, in relazione agli oneri che il resistente deve assumere per contrastare la temeraria iniziativa avversaria), può essere affermata solo in presenza di una domanda risarcitoria formulata con il controricorso, non quindi con la memoria di cui all'art. 378 c.p.c. o nel corso della discussione orale, in considerazione dell'esigenza di tutelare il diritto di difesa del destinatario della domanda stessa, con un congruo termine per esercitare la facoltà di replica.

Cass. civ. n. 11936/1990

La domanda di risarcimento danni per responsabilità processuale aggravata per la inesistenza del titolo esecutivo in base al quale è stata iniziata la esecuzione, può essere proposta esclusivamente nel giudizio di opposizione alla esecuzione, che all'uopo sia stato instaurato.

Cass. civ. n. 8363/1990

La domanda di condanna al risarcimento dei danni per responsabilità processuale aggravata, ai sensi dell'art. 96 c.p.c., può essere proposta anche in sede di legittimità, per i danni che si assumono derivanti dal giudizio di cassazione — a causa della proposizione del ricorso o del controricorso — ma quando si riferisca a danni conseguenti alla proposizione del ricorso, deve essere formulata, a pena di ammissibilità, nel controricorso e non anche nella memoria presentata ex art. 378 c.p.c. o nel corso della discussione orale della causa.

Cass. civ. n. 6349/1990

Il risarcimento dei danni derivanti dall'esecuzione di una misura cautelare è dovuto al danneggiato ai sensi dell'art. 96 c.p.c. soltanto nel caso in cui il giudice accerti l'inesistenza del diritto in base al quale è stato eseguito il provvedimento, di guisa che non è sufficiente l'accertamento ex post della mancanza del solo periculum in mora, ove risulti positivamente accertato il fumus bonis iuris.

Cass. civ. n. 1876/1983

L'inesistenza del diritto per cui è stata iniziata o compiuta l'esecuzione forzata, che comporta l'applicabilità dell'art. 96, secondo comma, c.p.c., ricorre non solo nell'ipotesi dell'insussistenza assoluta del diritto azionato, ma anche quando il creditore (effettivamente tale) proceda esecutivamente su beni di un terzo al di fuori delle ipotesi previste dall'art. 2910, secondo comma, c.c. (bensì vincolati a garanzia del credito ovvero oggetto di un atto revocato perché compiuto in pregiudizio del creditore) poiché in tal caso il creditore esecutante stesso si trova nei confronti del terzo, nella medesima condizione di inesistenza del diritto nella quale lo porrebbe la mancanza del credito nei confronti del debitore esecutato.

Cass. civ. n. 1722/1982

L'affermazione della responsabilità processuale aggravata della parte soccombente, secondo la previsione dell'art. 96 primo comma c.p.c., postula, oltre al carattere totale e non parziale di tale soccombenza, che l'avversario deduca e dimostri la concreta ed effettiva esistenza di un danno in conseguenza del comportamento processuale della parte medesima, nonché la ricorrenza, in detto comportamento, del dolo o della colpa grave, cioè della consapevolezza, o dell'ignoranza derivante dal mancato uso di un minimo di diligenza, dell'infondatezza delle proprie tesi, ovvero del carattere irrituale o fraudolento dei mezzi adoperati per agire o resistere in giudizio.

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Consulenze legali
relative all'articolo 96 Codice di procedura civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

Giuseppe R. chiede
lunedì 04/02/2019 - Lombardia
“Concretizza il reato di violenza morale la condotta di chi cita in giudizio, in qualità di aspirante (designato) alla devoluzione ereditaria per legge e non di legittimario, una persona avente il diritto assoluto di proprietà e godimento del patrimonio di un defunto ereditato per testamento e accettato, pur essendo a conoscenza di tale devoluzione e considerando che il convenuto è costretto, comunque a scanso di pregiudizi, a costituirsi in giudizio pur non essendo colpevole di alcunché ? Tale condotta è rilevabile d'ufficio o su impulso del convenuto previo deposito di perizia m.l. allegata all'atto di costituzione in giudizio. ?”
Consulenza legale i 12/02/2019
Come già da noi evidenziato nella richiesta di chiarimenti, l’esperire una azione giudiziale infondata non costituisce un illecito penale.
Ciò anche laddove l’azione non sia singola ma vengano intraprese più cause.

Pertanto, nessun reato di violenza o molestia è ravvisabile in tale condotta.

Fermo quanto precede, per completezza, segnaliamo che l’ordinamento prevede comunque una forma di tutela di fronte a cause palesemente temerarie ed infondate: l’art. 96 del codice di procedura civile.
I primi due commi di tale articolo prevedono che se risulta che la parte soccombente abbia agito o resistito in giudizio con malafede o colpa grave, il giudice, su istanza dell'altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche d'ufficio, nella sentenza (il secondo comma ha ad oggetto alcuni provvedimenti specifici e l'esecuzione forzata).
Il terzo comma dell'art. 96 c.p.c. (introdotto dalla legge 69/2009) stabilisce invece che, in ogni caso, il giudice quando pronuncia sulle spese ex articolo 91 c.p.c., anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata.
Come ha osservato la Corte di Cassazione con sentenza n. 4926/2013: “la condanna ad una somma equitativamente determinata a danno della parte soccombente ex art. 96, comma 3, c.p.c. può essere disposta d'ufficio. Non vi è poi alternatività ma cumulabilità tra la condanna alle spese richiamata e la responsabilità da "lite temeraria" ex art. 96, comma 1, c.p.c. Pertanto, il giudice può pronunciare condanna per entrambe le disposizioni, dovendo comunque evitare duplicazioni risarcitorie.”

La responsabilità processuale di cui ai primi due commi dell’art. 96 c.p.c. costituisce una ipotesi speciale della responsabilità extracontrattuale di cui all’art. 2043 c.c.
La Corte di Cassazione (sentenza n. 23367/2016) ha sottolineato infatti che “l'art. 96 c.p.c., nel regolare tutti i casi di responsabilità risarcitoria per atti o comportamenti processuali, si pone con carattere di specialità rispetto all'art. 2043 c.c. senza che sia configurabile un concorso, anche alternativo, tra i due tipi di responsabilità.”

Quanto all’altra ipotesi di responsabilità per abuso del diritto processuale di cui al sopra citato III comma dell’art. 96 c.p.c., come ha osservato la Suprema Corte (sentenza n. 4136/2018): “la norma di cui all'art. 96, comma 3, c.p.c., si pone come presidio dell'abuso dei diritti processuali, introducendo nell'ordinamento una sanzione la cui natura non è intrinsecamente difforme dal danno punitivo.”
E in altra precedente pronuncia la Corte ha altresì sottolineato che: “Per l'applicazione dell'istituto della responsabilità processuale aggravata di cui all'art. 96, comma 3, c.p.c, deve escludersi la necessità dell'adduzione e della prova del danno, elementi invece indispensabili per la condanna ai sensi dei primi due commi dell'art. 96 c.p.c.” (sentenza n.15017/2016).
In sostanza, si tratta di una vera e propria sanzione pecuniaria a carico della parte che ha perso la causa e che abbia “abusato” dello strumento processuale.

Alla luce di quanto precede, tornando al caso in esame, laddove dunque vengano intraprese una o più cause palesemente infondate e temerarie, chi le ha proposte (cioè il “lontano parente del de cuius”) potrebbe essere condannato, oltre al pagamento delle spese processuali di lite, anche a quello per responsabilità processuale da lite temeraria nelle ipotesi previste dal predetto art. 96 c.p.c.

Renato D. G. chiede
mercoledì 13/05/2015 - Puglia
“Posso chiedere il risarcimento danni per essere stato oggetto di decreto ingiuntivo, pignoramento e esecuzione per onorari e diritti di avvocato sproporzionati e risultati in appello non dovuti e quelli dovuti in misura largamente inferiore.
In concreto su una richiesta di € 55.000,00 ed esecuzione per € 80.000,00 sono stati accertati e riconosciuti € 21.000,00.
Grazie”
Consulenza legale i 19/05/2015
La situazione descritta sembra aver fatto maturare il diritto a chiedere la restituzione dell'eccedenza pagata e il risarcimento del danno.
Si deve distinguere tra:
1- richiesta di restituzione di somme già versate in seguito ad esecuzione forzata, poi rivelatasi priva di fondamento, quantomeno in parte;
2- domanda del risarcimento del danno patrimoniale e/o non patrimoniale subito a causa dell'ingiusta azione dell'avvocato.

Quanto al primo tipo di domanda, con sentenza della sez. lavoro, n. 16659 del 2005, la Cassazione si è pronunciata sulla natura dell'azione di ripetizione delle somme pagate in esecuzione della sentenza di primo grado provvisoriamente esecutiva, successivamente riformata in appello con sentenza confermata dalla Cassazione, stabilendo che tale domanda non va qualificata come richiesta di indebito ai sensi dell'art. 2033 del c.c.: il diritto alla restituzione sorge in virtù della pronuncia che riforma la sentenza di primo grado, unico titolo che la parte vittoriosa può vantare nei confronti della parte soccombente in appello (ma che aveva vinto in primo grado).
Coerentemente con questo assunto, la Suprema Corte sostiene quindi che non hanno alcun rilievo in questo caso gli stati soggettivi di buona o mala fede dell'accipiens e di conseguenza gli interessi legali devono essere riconosciuti dal giorno del pagamento e non da quello della domanda.
L'orientamento risulta costantemente accolto dalla giurisprudenza (vedi Cass. civ., sez. VI, ordinanza 8.5.2014, n. 9929).

La domanda di restituzione può essere proposta già in appello, e in quel caso il giudice di secondo grado deve statuire su di essa ("non incorre nel vizio di omessa pronuncia il giudice di appello che, nel riformare completamente la decisione impugnata, dispone la condanna della parte vittoriosa in primo grado a restituire gli importi ricevuti in forza dell’esecuzione della sentenza appellata, atteso che tale obbligo sorge automaticamente, quale effetto conseguenziale, dalla riforma della sentenza", Cass. civ. n. 2006/15295).

Se ciò non è stato fatto, risulta normalmente necessario instaurare un nuovo giudizio avente ad oggetto la domanda di ripetizione delle somme versate in eccedenza rispetto a quelle accertate definitivamente come dovute.

Tuttavia, quando le somme siano state pagate in base ad un decreto ingiuntivo, si ritiene che la domanda di ripetizione di somme, già corrisposte in forza della provvisorietà esecutività del decreto, sia implicita nella domanda di revoca del decreto stesso (v. tra le altre Cass. civ. n. 2003/8043; n. 2000/4990). Pertanto, il titolo per il recupero degli importi non deve essere ottenuto in un altro giudizio, ma è costituito dalla stessa sentenza conclusiva del grado di appello. In questo caso, la Corte di Cassazione ha giudicato possibile agire immediatamente con decreto ingiuntivo (Cass. civ., sez. VI, 17.12.2013, ordinanza n. 28167), poiché il diritto alla restituzione delle somme pagate in esecuzione della sentenza di primo grado sorge ai sensi dell’art. 336 del c.p.c. per il solo fatto della riforma della decisione in sede di impugnazione.
Si è anche sostenuto che la proposizione della domanda di restituzione delle somme pagate in esecuzione di sentenza di primo grado riformata prescinda dal successivo sviluppo del giudizio, cioè possa essere avanzata anche se pende il giudizio di grado successivo - ad esempio, nel nostro caso, il giudizio di cassazione - (Cass. civ., SS.UU., ord. 2.7.2004, n. 12190).

Invece, la domanda che abbiamo indicato al n. 2, di risarcimento del danno cagionato dall'azione pretestuosa ed esagerata dell'avvocato, deve essere oggetto di un autonomo processo, perché un giudice deve valutare l'esistenza di un danno al cliente convenuto in giudizio (es. esborsi economici legati all'esagerata esecuzione subita; eventuali ricadute sulla salute psicofisica della persona; etc.), il nesso di causalità tra tale pregiudizio e la condotta dell'avvocato, nonché la quantificazione del danno stesso. Si tratta di una azione più delicata rispetto a quella di recupero delle somme indebitamente versate all'intimante e accertate come non dovute. Quindi, dovrà essere ponderata con attenzione la probabilità di successo, esaminando tutta la documentazione processuale ma anche stragiudiziale del caso.