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Articolo 545 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 28/12/2023]

Crediti impignorabili

Dispositivo dell'art. 545 Codice di procedura civile

(1)Non possono essere pignorati i crediti alimentari, tranne che per cause di alimenti (2), e sempre con l'autorizzazione del presidente del tribunale o di un giudice da lui delegato e per la parte dal medesimo determinata mediante decreto (3) (4).

Non possono essere pignorati crediti aventi per oggetto sussidi di grazia o di sostentamento a persone comprese nell'elenco dei poveri, oppure sussidi dovuti per maternità, malattie o funerali da casse di assicurazione, da enti di assistenza o da istituti di beneficenza (5).

Le somme dovute da privati a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, possono essere pignorate per crediti alimentari nella misura autorizzata dal presidente del tribunale o da un giudice da lui delegato (6) (7).

Tali somme possono essere pignorate nella misura di un quinto per i tributi dovuti allo Stato, alle province e ai comuni, ed in eguale misura per ogni altro credito.

Il pignoramento per il simultaneo concorso delle cause indicate precedentemente non può estendersi oltre la metà dell'ammontare delle somme predette.

Restano in ogni caso ferme le altre limitazioni contenute in speciali disposizioni di legge [c.c. 1881, 1923] (8) (9).

Le somme da chiunque dovute a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza, non possono essere pignorate per un ammontare corrispondente al doppio della misura massima mensile dell'assegno sociale, con un minimo di 1.000 euro. La parte eccedente tale ammontare è pignorabile nei limiti previsti dal terzo, quarto e quinto comma nonché dalle speciali disposizioni di legge.

Le somme dovute a titolo di stipendio, salario, altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, nonché a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione, o di assegni di quiescenza, nel caso di accredito su conto bancario o postale intestato al debitore, possono essere pignorate, per l'importo eccedente il triplo dell'assegno sociale, quando l'accredito ha luogo in data anteriore al pignoramento; quando l'accredito ha luogo alla data del pignoramento o successivamente, le predette somme possono essere pignorate nei limiti previsti dal terzo, quarto, quinto e settimo comma, nonché dalle speciali disposizioni di legge.

Il pignoramento eseguito sulle somme di cui al presente articolo in violazione dei divieti e oltre i limiti previsti dallo stesso e dalle speciali disposizioni di legge è parzialmente inefficace. L'inefficacia è rilevata dal giudice anche d'ufficio (10).

Note

(1) L'articolo in esame contiene un'elencazione che ha carattere tassativo. Si ritiene che la impignorabilità dei crediti ivi menzionati possa essere rilevata anche d'ufficio dal G.E., ferma restando, naturalmente, la possibilità di farla valere mediante opposizione all'esecuzione ex art. 615.
(2) Si segnale che in dottrina manca un'unanime opinione circa l'impignorabilità dei crediti alimentari in quanto, secondo alcuni, la disposizione andrebbe interpretata nel senso che la impignorabilità sarebbe stabilita in modo assoluto soltanto per i crediti alimentari di natura negoziale. Secondo altri, invece, sarebbero impignorabili soltanto gli alimenti dovuti ex lege. Altri ancora, intendono per crediti alimentari impignorabili sia i crediti aventi causa negoziale, sia quelli di natura legale.
Infine, si precisa che secondo l'orientamento giurisprudenziale prevalente sono comprese nella categoria degli alimenti anche le prestazioni dovute in base ad obblighi di mantenimento.
(3) Il giudice stabilisce con decreto anche il quantum pignorabile. Si tratta di un provvedimento necessario in quanto il pignoramento eseguito senza la preventiva autorizzazione del giudice è nullo.
(4) Tale comma è stato così sostituito ex art. 97, d.lgs. 19-2-1998, n. 51, a decorrere dal 2-6-1999. Il testo precedente del comma, in vigore fino al 1-6-1999, così disponeva: «Non possono essere pignorati i crediti alimentari, tranne che per causa di alimenti, e sempre con l'autorizzazione del pretore e per la parte da lui determinata mediante decreto.». Per la soppressione dell'ufficio del pretore si veda l'art. 8 del c.p.c..
(5) In questi casi si parla di crediti assolutamente impignorabili.
(6) Le parole «dal pretore» sono state sostituite dalle seguenti «dal presidente del tribunale o dal un giudice da lui delegato» ai sensi dell'art. 97, d.lgs. 19-2-1998, n. 51, a decorrere dal 2-6-1999. Per la soppressione dell'ufficio del pretore si veda l'art. 8 del c.p.c..
(7) In tali ipotesi, se manca il provvedimento autorizzativo del presidente del tribunale o del giudice delegato, non si determina la nullità del pignoramento ma soltanto la riduzione del quantum al valore ritenuto pignorabile dalla legge.
(8) In relazione ai degli enti pubblici occorre distinguere tra crediti di diritto pubblico e crediti di diritto privato. I primi, che scaturiscono dall'esercizio di pubbliche potestà (es.: i crediti derivanti da obbligazioni tributarie), sono assolutamente impignorabili. Sono invece pignorabili le entrate di diritto privato come ad esempio quelle connesse all'esercizio di un'attività d'impresa, salvo che la loro impignorabilità sia espressamente stabilita dalla legge o da un provvedimento amministrativo.
(9) Ad esempio, il pignoramento degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti dalle pubbliche amministrazioni resta regolato dagli articoli 1- 4 del d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180.
(10) Ultimi tre commi aggiunti dal D.L. 27 giugno 2015, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2015, n. 132; per l’applicazione della disposizione, v. art. 23, comma 6 del medesimo D.L. 83/2015.

Spiegazione dell'art. 545 Codice di procedura civile

L’elencazione contenuta in questa norma ha carattere tassativo e si ritiene che la impignorabilità dei crediti ivi menzionati possa essere rilevata anche d'ufficio dal G.E., salva la possibilità, ovviamente, di farla valere mediante lo strumento dell’opposizione all'esecuzione disciplinato dall’art. 615 del c.p.c..

Il primo comma fa riferimento ai crediti alimentari, disponendo che questi possono essere pignorati alle seguenti condizioni:
  1. per cause di alimenti;
  2. con l'autorizzazione del presidente del tribunale o di un giudice da lui delegato;
  3. per la parte dal giudice determinata mediante decreto.

Circa l’interpretazione di crediti alimentari non vi è uniformità di opinioni, in quanto mentre secondo alcuni l’impignorabilità sarebbe stabilita in modo assoluto soltanto per i crediti alimentari di natura negoziale, secondo altra parte della dottrina sarebbero impignorabili soltanto gli alimenti dovuti ex lege.
In giurisprudenza è prevalente la tesi secondo cui devono comprendersi nella categoria degli alimenti anche le prestazioni dovute in base ad obblighi di mantenimento.
Deve essere il giudice a stabilire con decreto il quantum pignorabile, con la conseguenza che, in mancanza di preventiva autorizzazione, il pignoramento eseguito deve considerarsi nullo.

Il secondo comma individua una categoria di crediti assolutamente impignorabili, e precisamente:
  1. i crediti aventi ad oggetto sussidi di grazia o di sostentamento a persone comprese nell'elenco dei poveri;
  2. i crediti aventi ad oggetto sussidi dovuti per maternità, malattie o funerali da casse di assicurazione, da enti di assistenza o da istituti di beneficenza.

Devono invece farsi rientrare nella categoria dei crediti relativamente pignorabili, secondo quanto disposto al terzo comma della norma, i crediti aventi ad oggetto somme dovute da privati a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento.
In particolare, tali somme possono essere pignorate:
- per crediti alimentari nella misura autorizzata dal presidente del tribunale o da un giudice da lui delegato. Qualora dovesse mancare il provvedimento autorizzativo del presidente del tribunale o del giudice delegato, la conseguenza non è la nullità del pignoramento, ma soltanto la riduzione del quantum al valore ritenuto pignorabile dalla legge. Pertanto, per procedere al pignoramento delle retribuzioni al fine di ottenere la soddisfazione di un credito alimentare occorre la preventiva autorizzazione del presidente del tribunale (o di un giudice delegato) solo ove si intenda superare la misura di un quinto. Infatti, la mancanza del provvedimento autorizzativo non determina la nullità integrale del pignoramento, il quale può ritenersi comunque valido per la quantità di retribuzione ordinariamente pignorabile per legge, pari ad un quinto.

- nella misura massima di un quinto per i tributi dovuti allo Stato, alle province e ai comuni e per ogni altro credito.

In caso di simultaneo concorso di diverse delle cause sopra dette, il pignoramento non può estendersi oltre la metà dell'ammontare delle somme predette.
In ogni caso devono intendersi fatte salve le altre limitazioni contenute in speciali disposizioni di legge (ad esempio, il pignoramento degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti dalle pubbliche amministrazioni resta regolato dagli articoli 1- 4 del d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180).
In relazione al pignoramento avente ad oggetto crediti degli enti pubblici occorre distinguere tra:
  1. crediti di diritto pubblico: sono tali quelli che scaturiscono dall'esercizio di pubbliche potestà (es.: i crediti derivanti da obbligazioni tributarie), e sono assolutamente impignorabili.
  2. crediti di diritto privato: sono pignorabili le entrate di diritto privato come ad esempio quelle connesse all'esercizio di un'attività d'impresa, salvo che la loro impignorabilità sia espressamente stabilita dalla legge o da un provvedimento amministrativo.

Sono ancora relativamente pignorabili:
  • le somme da chiunque dovute a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza: queste non possono essere pignorate per un ammontare corrispondente alla misura massima mensile dell'assegno sociale, aumentato della metà.
Solo la parte che eccede tale ammontare può essere pignorata ma nei limiti di un quinto o nella diversa misura prevista dalle speciali disposizioni di legge.
  • le somme dovute a titolo di stipendio, salario, altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, nonché a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione, o di assegni di quiescenza.
Se tali somme vengono accreditate su conto bancario o postale intestato al debitore, possono essere pignorate per un importo massimo pari al triplo dell'assegno sociale se l'accredito ha luogo in data anteriore al pignoramento; se, invece, l'accredito ha luogo alla data del pignoramento o successivamente, le predette somme possono essere pignorate nei limiti di un quinto oppure nel diverso limite stabilito dalle speciali disposizioni di legge.

In tutti i casi in cui il pignoramento dovesse essere eseguito senza osservare i limiti previsti dalla norma in esame, lo stesso deve considerarsi parzialmente inefficace e la sua inefficacia può essere rilevata dal giudice anche d'ufficio.

Massime relative all'art. 545 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 3981/2021

I limiti alla pignorabilità dei beni di cui all'art. 545 cod. proc. civ. non operano con riguardo al sequestro preventivo ex art. 321, comma 1, cod. proc. pen., spettando tuttavia al giudice, in conformità al principio di solidarietà sociale di cui all'art. 2 Cost. e al criterio di proporzionalità, valutare se, nel caso concreto, la misura si presenti eccessivamente afflittiva non garantendo all'indagato il c.d. minimo vitale. (Annulla con rinvio, TRIB. LIBERTA' GORIZIA, 02/07/2020).

Cass. civ. n. 25042/2019

L'espropriazione presso terzi può riguardare anche crediti non ancora esigibili, futuri, condizionati o anche eventuali, inclusi gli stanziamenti del bilancio della pubblica amministrazione per il finanziamento di un'opera pubblica andati in perenzione amministrativa per decorso del termine di efficacia (nella specie, per mancanza di richiesta del creditore con titolo di spesa idoneamente rendicontato), in quanto la perenzione a fini amministrativi consiste nell'eliminazione dalla contabilità finanziaria dei residui passivi non smaltiti, ma non produce alcun effetto sul diritto di credito fino alla decorrenza dei termini per la prescrizione.

Cass. civ. n. 26042/2018

In tema di esecuzione forzata presso terzi, il trattamento pensionistico versato sul conto corrente e pignorato in data antecedente all'entrata in vigore del d.l. n. 83 del 2015 (conv., con modif., in l. n. 132 del 2015), di modifica dell'art. 545 c.p.c., è sottoposto all'ordinario regime dei beni fungibili secondo le regole del deposito irregolare, in virtù del quale le somme versate perdono la loro identità di crediti pensionistici e, pertanto, non sono sottoposte ai limiti di pignorabilità dipendenti dalle cause che diedero origine agli accrediti, con conseguente applicazione del principio generale di cui all'art. 2740 c.c..

Cass. civ. n. 1545/2017

In tema di espropriazione forzata presso terzi, le modifiche apportate dalle l. n. 311 del 2004 e n. 80 del 2005 (di conversione del d.l. n. 35 del 2005) al d.P.R. n. 180 del 1950 (approvazione del T.U. delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti dalle pubbliche amministrazioni) hanno comportato la totale estensione al settore del lavoro privato delle disposizioni originariamente dettate per il lavoro pubblico, sicché i crediti derivanti dai rapporti di cui al n. 3 dell'art. 409 c.p.c. sono pignorabili nel limite di un quinto, previsto dall'art. 545, comma 4, c.p.c.

L’amministratore unico o il consigliere di amministrazione di una s.p.a. sono legati alla stessa da un rapporto di tipo societario che, in considerazione dell’immedesimazione organica tra persona fisica ed ente e dell’assenza del requisito della coordinazione, non è compreso in quelli previsti dal n. 3 dell’art. 409 c.p.c.; ne deriva che i compensi loro spettanti per le funzioni svolte in ambito societario sono pignorabili senza i limiti previsti dall’art. 545, comma 4, c.p.c.

Cass. civ. n. 685/2012

In tema di espropriazione forzata presso terzi, le modifiche apportate dalle leggi 12 marzo 2004, n. 311 e 14 maggio 2005, n. 80 (di conversione del d.l. 14 marzo 2005, n. 35) al d.p.r. 5 gennaio 1950, n. 180 (approvazione del testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti dalle pubbliche amministrazioni) hanno comportato la totale estensione al settore del lavoro privato delle disposizioni originariamente dettate per il lavoro pubblico. Ne consegue che i crediti derivanti dai rapporti di cui al n. 3 dell'art. 409 c.p.c. (nella specie, rapporto di agenzia) sono pignorabili nei limiti di un quinto, previsto dall'art. 545 c.p.c..

Cass. civ. n. 15374/2007

Il limite della impignorabilità della retribuzione oltre il quinto non opera con riferimento all'esecuzione promossa dal creditore per contributo al mantenimento della prole, avendo questo funzione alimentare.

Cass. civ. n. 4212/2007

Nell'espropriazione forzata, che si svolge con le forme del pignoramento presso terzi, il terzo pignorato non si identifica con il soggetto passivo dell'esecuzione e, per l'effetto, non essendovi assoggettato, non è neppure normalmente legittimato a proporvi opposizione, sotto alcuno dei possibili profili in cui questa può essere articolata. Di conseguenza, nell'espropriazione di crediti, il terzo debitore del debitore esecutato non è legittimato a far valere l'impignorabilità del bene, neanche sotto l'aspetto dell'esistenza di vincoli di destinazione, in caso di somme depositate presso istituto di credito tesoriere di un ente pubblico, poiché in tal caso la questione attiene al rapporto tra creditore procedente e debitore esecutato (il quale ultimo si può avvalere degli appositi rimedi oppositivi previsti dalla legge, con conseguente carenza di interesse del terzo a dedurre siffatta doglianza nella forma dell'opposizione agli atti esecutivi avverso l'ordinanza di assegnazione). Inoltre, la circostanza dell'indicazione dell'esistenza di un vincolo di destinazione in occasione della dichiarazione resa dal terzo ai sensi dell'art. 547 c.p.c. non fa venir meno il carattere di positività della dichiarazione stessa.

Cass. civ. n. 2719/2007

I limiti di pignorabilità posti dall'art. 545, terzo e quarto comma, c.p.c., non sono estensibili alla esecuzione concorsuale, nella quale trova applicazione la normativa specifica dell'art. 46 legge fall., che affida al giudice il potere discrezionale di determinare la eventuale devoluzione al fallito, e conseguente sottrazione all'acquisizione all'attivo fallimentare, di una parte delle somme a lui dovute a titolo di pensione.

Cass. civ. n. 963/2007

A seguito della sentenza 4 dicembre 2002, n. 506 della Corte costituzionale, non sussiste più l'impignorabilità assoluta dei trattamenti pensionistici a carico dello Stato, ma anche essi sono impignorabili (con le sole eccezioni previste dalla legge sui crediti qualificati) per la sola parte delle pensioni, indennità od altri trattamenti di quiescenza necessaria per assicurare al pensionato mezzi adeguati alle sue esigenze di vita, mentre sono pignorabili nei limiti del quinto della restante parte.

Cass. civ. n. 15601/2005

Le somme di denaro della P.A. possono essere considerate impignorabili soltanto per effetto di una disposizione di legge o di un provvedimento amministrativo che nella legge trovi fondamento, non essendo sufficiente, a tal fine, la mera iscrizione nel bilancio, in quanto, al di là dei caratteri di neutralità e fungibilità propri del denaro, al quale non può ritenersi connaturata una specifica destinazione, la funzione amministrativa non può svolgersi in contrasto col principio, sancito dall'art. 2740, secondo comma c.c., secondo cui le limitazioni della responsabilità patrimoniale del debitore sono di stretta competenza del legislatore. Non sono quindi impignorabili i fondi accantonati da un ente pubblico per il trattamento di fine rapporto dei propri dipendenti, non essendo l'indisponibilità degli stessi prevista da alcuna norma, e non potendo estendersi ad essi né l'art. 545, terzo e quarto comma c.p.c. ed il D.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, i quali presuppongono che il debitore escusso sia il dipendente, né l'art. 2117 c.c., il quale, nel dichiarare impignorabili i fondi speciali per l'assistenza e la previdenza, detta una norma di carattere eccezionale, come tale non suscettibile di applicazione analogica.

Cass. civ. n. 9950/2004

Le somme dovute da privati a titolo di stipendio, salario ed altre indennità inerenti al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a cagione di licenziamento, possono essere pignorate nella misura di un quinto per crediti di qualunque genere, a norma del quarto comma dell'art. 545 c.p.c.

Cass. civ. n. 9904/2003

In base al combinato disposto degli articoli 1246, n. 3, c.c. e 545, n. 3 c.p.c., le somme dovute ai privati a titolo di crediti di lavoro sono pignorabili e compensabili nella limitata misura di un quinto; tale limite non opera quando i contrapposti crediti abbiano origine da un unico rapporto, sì che la valutazione delle singole pretese comporti solo un accertamento contabile di dare e avere e non una compensazione in senso tecnico. In particolare, il limite non vale quando il datore voglia compensare il credito risarcitorio per danni da prestazione lavorativa non diligente col credito retributivo vantato dal prestatore, tuttavia, essa torna ad operare, anche in caso di compensazione atecnica, qualora esista una clausola del contratto collettivo che lo preveda, salvo diversi accordi contenuti nel contratto individuale (in applicazione di tale principio di diritto, la S.C. ha cassato per difetto di motivazione la sentenza di merito, che non aveva dato adeguato conto dell'applicabilità o meno alla fattispecie concreta dell'art. 64 del contratto collettivo per le aziende di credito che escludeva la compensazione atecnica illimitata).

Cass. civ. n. 9630/2003

In materia di espropriazione forzata e sequestro conservativo dei crediti, il limite stabilito dagli artt. 545, quarto comma, e 671, c.p.c., all'assoggettamento a pignoramento e sequestro dei crediti di lavoro previsti dall'art. 545, terzo comma, c.p.c., fissato nella misura di un quinto, rinviene la sua giustificazione nella imprescindibile esigenza di non pregiudicare la soddisfazione dei più elementari bisogni della vita del debitore e delle altre persone poste a suo carico e costituisce una situazione giuridica propria del titolare del credito, cosicché non è opponibile dal cessionario del credito ai suoi creditori.

Cass. civ. n. 11345/1999

La parziale impignorabilità delle somme dovute a titolo di stipendio, salario e altre indennità derivanti dal rapporto di lavoro o di impiego sancita dall'art. 545 c.p.c., essendo disposizione intesa a tutelare la fonte esclusiva di reddito del lavoratore subordinato, non è suscettibile di interpretazione analogica; deve pertanto escludersi che l'indennizzo dovuto da una società assicuratrice privata al lavoratore per infortunio sul lavoro, ancorché in virtù di una polizza stipulata dal datore di lavoro in adempimento di un obbligo contrattuale, rientri nella previsione di cui ai commi terzo e quarto dell'art. 345 c.p.c., con la conseguenza che tale indennizzo non può ritenersi, neanche in parte, esente da pignoramento.

Cass. civ. n. 5692/1995

La ritenuta mensile sullo stipendio o salario del prestatore di lavoro subordinato in regime di diritto privato per il pagamento rateale di un mutuo concessogli dal datore di lavoro, effettuata non a causa di una cessione volontaria del credito di lavoro da parte del dipendente, ex artt. 1260 ss. c.c., ma a titolo di compensazione legale di due crediti entrambi liquidi ed esigibili, ex artt. 1241 ss. c.c., va computata, ai sensi dell'art. 545, quinto comma, c.p.c., al fine dell'osservanza della misura massima della metà della retribuzione assoggettabile a pignoramento per il simultaneo concorso di più crediti azionati contro il debitore esecutato nelle forme della espropriazione mobiliare presso terzi.

Cass. civ. n. 4488/1994

In tema di limiti alla pignorabilità e sequestrabilità degli stipendi dei pubblici dipendenti, quali risultanti dalle parziali declaratorie — di cui alle sentenze della Corte costituzionale n. 89 del 1987 e n. 878 del 1988 — di illegittimità costituzionale delle norme di previsione, qualora intervenga un pignoramento contenuto entro tali limiti (del quinto) successivamente ad una cessione di pari misura, regolarmente perfezionata e notificata, non è illegittima la coesistenza ed il cumulo delle due cause riduttive dello stipendio, non risultando superata la quota complessiva della metà dello stipendio medesimo, posta dall'art. 68 del D.P.R. n. 180 del 1950 quale limite assoluto per il concorso di cause siffatte.

Cass. civ. n. 5378/1991

La parziale pignorabilità degli stipendi, salari ed altre indennità relative al rapporto di lavoro privato, è prevista dall'art. 545 c.p.c. in considerazione della natura di tali crediti; natura che non viene meno nel momento della cessazione del rapporto di lavoro che ne costituisce la fonte, come risulta dal terzo comma dello stesso art. 545 che, contemplando espressamente anche le indennità dovute a causa di licenziamento, conferma la derivazione dei limiti di pignorabilità dalla natura di dette indennità e così l'irrilevanza della persistenza o cessazione del relativo rapporto di lavoro.

Cass. civ. n. 3518/1985

Qualora, nell'esecuzione forzata promossa dal lavoratore contro il datore di lavoro per il pagamento di spettanze inerenti al rapporto di lavoro, il debitore esecutato ottenga la conversione del pignoramento mediante il versamento di una somma su libretto bancario di deposito a risparmio intestato al lavoratore procedente, e tale somma venga poi assegnata a tale creditore dal giudice dell'esecuzione, il credito verso la banca depositaria, portato da tale libretto, è autonomo e distinto da quello di lavoro (rimasto soddisfatto a seguito dell'indicata assegnazione), e resta conseguentemente assoggettabile a sequestro o pignoramento, sottraendosi ai divieti o limiti fissati in proposito per i crediti di lavoro (art. 545 c.p.c., D.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180).

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L. M. chiede
venerdì 06/10/2023
“In seguito al fallimento della s.a.s di cui ero legale rappresentante, mi soni stati pignorati tutti i beni immobili e il c/c privato, in cui confluisce la mia pensione. Nel mese di agosto l'INPS mi ha accreditato una somma a titolo di arretrati della pensione. Questi mi sono stati pignorati per intero, mi chiedo se siano state seguite le norme di legge che disciplinano i pignoramenti su pensioni e arretrati. Nel caso in cui fosse stata commessa un' irregolarità, questa sarebbe imputabile alla Banca o al Curatore Fallimentare e a chi, non avendo mezzi per cause o denunce, posso almeno inviare una mail di protesta? Grazie”
Consulenza legale i 23/10/2023
Nelle società in accomandita semplice l’art. 2313 del c.c. dispone la responsabilità solidale e illimitata dei soci accomandatari per le obbligazioni sociali.
L'accomandatario è quindi responsabile degli eventuali debiti contratti dalla società, senza limiti e con il proprio patrimonio personale.

Una volta aggredito infruttuosamente il patrimonio sociale, i creditori sociali potranno agire nei confronti dei soci accomandatari per l’intero credito vantato nei confronti della società mediante ogni procedura esecutiva che l’ordinamento mette a disposizione, ivi compreso il pignoramento presso terzi; ciò, tuttavia, con i limiti che la legge impone per tale procedura.

Per quanto riguarda il caso in discussione, la legge 21 settembre 2022, n. 142, di conversione del decreto Aiuti-bis, ha modificato il limite di impignorabilità delle pensioni di cui al settimo comma dell’art. 545 del c.p.c., prevedendo che queste non possano essere pignorate per un ammontare corrispondente al doppio della misura massima mensile dell’assegno sociale (che per il 2023 è fissato in € 503,27), con un minimo di 1.000 euro (“minimo vitale”)
La parte eccedente tale importo è pignorabile nei limiti previsti dal terzo, dal quarto e dal quinto comma, nonché dalle speciali disposizioni di legge.
Il nuovo limite di impignorabilità ha efficacia a decorrere dal 22 settembre 2022, data di entrata in vigore della citata legge di conversione, sui procedimenti esecutivi pendenti.
Per pendenti si intendono quei procedimenti esecutivi notificati ai sensi dell’art. 543 del c.p.c. per i quali non sia ancora stata notificata all’INPS, nella qualità di terzo esecutato, l’ordinanza di assegnazione, che rappresenta l’atto conclusivo dell’esecuzione forzata.
Tale aspetto, pertanto, dovrà essere verificato mediante un’analisi degli atti esecutivi.

Nel caso in cui il creditore sia l’Agenzia delle Entrate valgono regole e limiti differenti.

Ciò significa che la pignorabilità pensione riguarda solo la parte della mensilità che eccede il minimo vitale, ricordando comunque che su tale eccedenza, vige l’ulteriore limite della pignorabilità di un quinto.
Per quanto riguarda il pignoramento delle somme dovute a titolo di pensione e già accreditate sul conto corrente del debitore, queste possono essere pignorate per l'importo eccedente il triplo dell'assegno sociale (€ 503,27), quando l'accredito ha luogo in data anteriore al pignoramento; mentre se l’accredito sia avvenuto alla data del pignoramento o successivamente, queste somme possono essere pignorate nei limiti di un quinto.

Infine, anche in relazione alle somme accreditate a titolo di arretrati di pensione in un’unica soluzione, in caso di pignoramento devono essere operate trattenute nei limiti del quinto della quota di pensione eccedente il limite del minimo vitale (Cass., 9001/2023).
Quindi la somma corrisposta dall’ente pensionistico a titolo di arretrati, non potrà mai essere oggetto di pignoramento nella sua interezza, ma sono nei limiti di un quinto e solo per la parte eccedente il limite vitale.

Nell’eventualità in cui non fossero rispettati i limiti dettati dalla norma in commento, lo stesso art. 545 del c.p.c., comma 9, dispone che il pignoramento eseguito oltre i limiti esposti è parzialmente inefficace; l’inefficacia può essere rilevata dal giudice anche d'ufficio.

Nel caso di specie, sembra che il pignoramento eseguito abbia oltrepassato i limiti imposti dall’art. 545 del c.p.c., pertanto il pignoramento eseguito sarebbe parzialmente inefficacie relativamente agli importi di cui è stabilità l’impignorabilità; responsabile di ciò è sicuramente il creditore pignorante (Banca).
Tale inefficacia parziale potrà essere rilevata dal giudice all’udienza di assegnazione; in ogni caso, si consiglia di rivolgersi ad un legale (magari abilitato al patrocinio a spese dello Stato, sempre che ne ricorrano i requisiti reddituali) che si costituisca nella procedura di pignoramento presso terzi in corso ed eccepisca quanto evidenziato.

R. S. chiede
sabato 05/08/2023
“Buongiorno, espongo il seguente quesito:
Ho una ritenuta di 1/5 sulla pensione, pari ad euro 572,81, per debito erariale nei confronti del mio ex datore di lavoro (Ag. Entrate) con scadenza giugno 2033. Tale debito è elencato tra le ritenute presenti nel cedolino della pensione sotto la voce “recupero obbligatorio”.
Ricevo ora dal mio ex datore di lavoro un’intimazione di pagamento riguardante l’indennità di mancato preavviso pari ad euro 13.698,83 (da me contestata), con avvertimento che in assenza del pagamento, verrà attivata la procedura di recupero coattivo.
Volendo limitare l’analisi al solo pignoramento della pensione, vorrei avere conferma del fatto che, esistendo già una trattenuta di 1/5 della pensione presso l’INPS (il cd “recupero obbligatorio” che mi parrebbe equiparabile ad un pignoramento), il pignoramento del conto corrente sarebbe illegittimo.
Trattandosi, infatti, di debiti appartenenti alla stessa categoria (somme dovute alla pubblica amministrazione, tra cui dovrebbero rientrare, peraltro, anche i debiti per imposte) non dovrebbe essere possibile, per quanto mi risulta, più di un pignoramento sulla pensione, se la causa del debito appartiene alla stessa categoria (e ciò tanto più se si tratti dello stesso creditore).
Ringrazio anticipatamente e porgo un cordiale saluto.”
Consulenza legale i 11/08/2023
Ai sensi del comma 7 dell’art. 545 c.p.c. le somme da chiunque dovute a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza, non possono essere pignorate per un ammontare corrispondente al doppio della misura massima mensile dell'assegno sociale, con un minimo di 1.000 euro. La parte eccedente tale ammontare è pignorabile nei limiti previsti dal terzo, quarto e quinto comma, nonché dalle speciali disposizioni di legge.

Il comma 4 prevede che le somme a titolo di stipendio possano essere pignorate nella misura di un quinto per i tributi dovuti allo Stato, alle province e ai comuni, ed in eguale misura per ogni altro credito.

Il comma 5 prevede che il pignoramento per il simultaneo concorso delle cause indicate nell’articolo precedente non possa estendersi oltre la metà dell'ammontare delle somme predette.

Pertanto, ai sensi del combinato disposto dei commi 4, 5 e 7 dell’art. 545 c.p.c., la pensione può essere pignorata per la parte eccedente il doppio della misura massima mensile dell’assegno sociale, con un minimo di 1000 euro, per una somma superiore al quinto e fino alla metà del suo importo solo nel caso in cui concorrano crediti derivanti da cause diverse e non nel caso in cui vi sia una pluralità di crediti derivanti dalla stessa causa.
In tale ultimo caso, il secondo creditore potrà soddisfarsi solo dopo l’estinzione del primo debito sempre attraverso il pignoramento di un quinto della pensione (con i limiti citati) e così via per gli ulteriori creditori.

Il comma 8 del predetto articolo, inoltre, indica il limite di pignorabilità delle somme accreditate sul conto corrente a titolo di stipendio, salario, altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego comprese quelle dovute al licenziamento, a titolo di pensione, di indennità in luogo di pensione o di assegni di quiescenza.

Questi crediti, infatti, possono essere pignorati per la parte che eccede il triplo dell’assegno sociale, se l’accredito era precedente alla data del pignoramento, mentre se l’accredito sia avvenuto alla data del pignoramento o successivamente, queste somme possono essere pignorate nei limiti di un quinto.

Per capire l’importo pignorabile delle pensioni accreditate sul conto corrente, la linea di demarcazione è l’accredito prima o dopo la data del pignoramento.

Si tenga presente, tra l’altro, che solo per i crediti indicati nell’art. 545 c.c. sussiste una limitazione della pignorabilità che deve essere fatta valere dalla parte interessata prima dell’assegnazione.

Tutte le altre somme depositate sul conto corrente sono pignorabili senza limitazioni.

Nel caso di specie, i due crediti vantati, seppure vantati dallo stesso creditore, sono di natura diversa. Da un lato un debito erariale, dall’altro l’indennità di mancato preavviso, quindi un credito di rapporto di lavoro.
È solo un caso che il datore di lavoro sia la stessa Agenzia delle Entrate creditrice delle imposte, ma trattasi di crediti di natura diversa.
È lo stesso comma 4 dell’art. 545 c.p.c. a ritenere crediti di natura diversa i tributi dovuti allo Stato e i crediti di ogni altra natura (in questo caso, indennità di mancato preavviso).

Pertanto, da un lato si potrà aggiungere un pignoramento presso l’INPS, fino alla metà dell’importo della pensione eccedente il doppio dell’assegno sociale. Dall’altro potrà essere attivato un nuovo pignoramento sul conto corrente, tenendo conto dei limiti di cui al comma 8.

L’art. 483 c.p.c. consente, infatti, al creditore di avvalersi, nello stesso momento (quindi cumulativamente) dei vari mezzi di espropriazione forzata previsti dalla legge.
La norma prevede la possibilità per il creditore di promuovere contemporaneamente l'espropriazione mobiliare e quella immobiliare; oppure l'espropriazione mobiliare presso il debitore e quella presso terzi; o, ancora, l'espropriazione immobiliare e quella presso terzi al fine di ottenere piena soddisfazione della sua pretesa.
Il debitore può contrastare la pluralità di pignoramenti presentando l’istanza di riduzione del pignoramento solo se il valore dei beni pignorati è superiore all’importo del debito, sommato alle spese dell’esecuzione forzata e agli interessi (di solito si aumenta il debito della metà).

C. L. chiede
lunedì 10/07/2023
“Per errore ho emesso un bonifico intestato a terza persona su un mio cc bloccato causa una causa di pignoramento, quindi bonifico con coordinate esatte ma nominativo errato.
La banca si è rifiutata di consentire il richiamo della somma da parte della banca emittente in virtù dell'articolo 24 del d.lgs n. 11/2010.
Al di là di quanto previsto dal predetto articolo, certamente non vincolante per tutti gli enti creditizi, vorrei conferma che la pignorabilità di somme presenti su un cc bancario si limita a importi superiori al triplo dell' assegno sociale e se posso, per tali ragioni , esigere la somma dalla banca.”
Consulenza legale i 17/07/2023
Non essendo chiara la vicenda, il motivo del pignoramento e la natura delle somme pignorate, ci si limita a riportare le disposizioni del Codice di procedura civile sulla pignorabilità dei crediti, relativamente alle somme derivanti dal rapporto di lavoro e accreditate sul conto corrente.

L’art. 545 c.p.c. ha la funzione di indicare quali crediti e in che misura siano impignorabili.

Si ritiene utile richiamare e spiegare il comma 8 di predetto articolo che indica il limite di pignorabilità delle somme accreditate sul conto corrente a titolo di stipendio, salario, altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego comprese quelle dovute al licenziamento, a titolo di pensione, di indennità in luogo di pensione o di assegni di quiescenza.
Questi crediti, infatti, possono essere pignorati per la parte che eccede il triplo dell’assegno sociale, se l’accredito era precedente alla data del pignoramento, mentre se l’accredito sia avvenuto alla data del pignoramento o successivamente, queste somme possono essere pignorate nei limiti di 1/5.

Per capire l’importo pignorabile dei crediti relativi al rapporto di lavoro accreditate sul conto corrente, la linea di demarcazione è l’accredito prima o dopo la data del pignoramento.

Si tenga presente, quindi, che solo per i crediti indicati nell’art. 545 c.c. sussiste una limitazione della pignorabilità che deve essere fatta valere dalla parte interessata prima dell’assegnazione.
Tutte le altre somme depositate sul conto corrente sono pignorabili senza limitazioni.

Poiché nel caso di specie pare evidente che il procedimento di pignoramento si sia già concluso e sia già stata emessa un’ordinanza di assegnazione, il rimedio esperibile dal debitore è quello dell’opposizione agli atti esecutivi previsto dall’art. 617 del c.p.c. (Cass. civ. n. 5529/2011) da proporre entro 20 giorni dalla notifica dell’ordinanza di assegnazione.
In tal modo il debitore deve far valere l’inefficacia del pignoramento nella parte relativa ai crediti parzialmente impignorabili suindicati.
L’inefficacia può essere dichiarata d’ufficio anche dal Giudice ma solo qualora la natura dei crediti pignorati risulti dalla documentazione presentata dalla Banca o dal debitore entro l’udienza per l’assegnazione delle somme ai sensi dell’art. 553 del c.c..


A. M. chiede
venerdì 02/12/2022 - Sardegna
“Buonasera,
sono titolare delle quote (90%) di una società soggetta a procedura esecutiva. La società è proprietaria di due immobili, uno già venduto all'asta e l'altro verrà messo all'asta prossimamente.
Oltre a essere titolare delle quote ero anche dipendente, ho cessato il rapporto lavorativo a Dicembre 2021 e dalla società non mi è stato liquidato il tfr. Essendo socia ho firmato delle fideiussioni per la società e non essendo stato pagato il debito la banca oltre ad essere intervenuta nella procedura esecutiva procederà anche nei miei confronti.
Arrivo alla domanda, per avere il TFR dovrei inserirmi nella procedura esecutiva, ed assendoci anche la banca alla quale ho prestato le fideiussioni, chiedo se possono pignorarmi il TFR e per quale importo.
Rimango il attesa di una Vs. risposta.
Grazie

Consulenza legale i 12/12/2022
L’art. 545 c.p.c. ammette il pignoramento del Trattamento di Fine Rapporto (TFR) entro determinati limiti espressamente indicati.
Per stabilire quali siano questi limiti è, tuttavia, necessario distinguere il caso in cui al momento del pignoramento il TFR non sia stato ancora versato al dipendente, dal caso in cui al momento del pignoramento sia già avvenuto il versamento in banca o sul libretto postale del lavoratore.
Per il primo caso, la norma in parola prevede che tutte le somme di denaro dovute dal datore di lavoro a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego (come il TFR), comprese quelle dovute a causa di licenziamento, possono essere pignorate nei seguenti limiti:
  • il TFR è pignorabile per crediti alimentari, nella misura autorizzata dal presidente del Tribunale.
  • il TFR è pignorabile nella misura di un quinto per i tributi dovuti allo Stato, alle Province e ai Comuni;
  • il TFR è pignorabile nella misura di un quinto per ogni altro credito.
Di recente la Cassazione ha ribadito con l’ordinanza n. 19708/2018 che il TFR è un credito certo e liquido che il lavoratore matura durante il rapporto di lavoro. Tale somma, quindi, può essere utile per soddisfare le pretese del creditore.
In questi casi, quindi, il datore di lavoro (che risulta terzo pignorato), rilasciata la dichiarazione di cui all’art. 547 c.p.c. ed atteso l’ordine di assegnazione delle somme da parte del Tribunale, potrà versare il TFR al creditore pignorante solo dopo la cessazione del rapporto di lavoro con il dipendente esecutato.

Inoltre, ai sensi del comma 5 dell’art. 545 c.p.c., “Il pignoramento per il simultaneo concorso delle cause indicate precedentemente non può estendersi oltre la metà dell’ammontare delle somme predette.” Sono quindi possibili simultanei pignoramenti (ad esempio, uno per crediti alimentari ed uno per crediti tributari), purchè limitati alla metà delle somme di denaro spettanti al lavoratore.

Nel caso in cui il TFR sia già stato versato sul conto corrente bancario o su un libretto postale del dipendente, i limiti di pignorabilità del TFR sono diversi.

Originariamente, parte della giurisprudenza riteneva il TFR pignorabile interamente, poichè una volta versato nel conto corrente del dipendente, si confonde con il resto del suo patrimonio.

Tuttavia, il decreto legge 83/2015 ha modificato l’art. 545 codice di procedura civile, stabilendo che “Le somme dovute a titolo di stipendio, salario, altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, nonché a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione, o di assegni di quiescenza, nel caso di accredito su conto bancario o postale intestato al debitore, possono essere pignorate, per l’importo eccedente il triplo dell’assegno sociale, quando l’accredito ha luogo in data anteriore al pignoramento; quando l’accredito ha luogo alla data del pignoramento o successivamente, le predette somme possono essere pignorate nei limiti previsti dal terzo, quarto, quinto e settimo comma, nonché dalle speciali disposizioni di legge”.

Pertanto, se il versamento del TFR in banca è precedente al pignoramento del trattamento di fine rapporto, questo è pignorabile per la somma eccedente i € 18.256,29, ossia il triplo dell’assegno sociale (quantificato per l’anno 2022 in € 6.085,43).

In conclusione, rispondendo al quesito, il TFR potrà essere pignorato per i debiti relativi alle fideiussioni nella misura di un quinto se non ancora versato al dipendente, mentre per la somma eccedente i € 18.256,29, dal momento in cui il Tfr verrà versato in banca.

Anonimo chiede
mercoledì 21/04/2021 - Lazio
“Spett.le Brocardi.it

Sono a chiedere il seguente parere.

A seguito di un espropriazione mobiliare presso terzi (pignoramento conto corrente bancario) dell’Agente della riscossione (già EQUITALIA S.P.A.), il Giudice di merito dell’opposizione all’esecuzione rigetta l’opposizione proposta dall’opponente, ed ulteriormente REVOCA il provvedimento di sospensione della procedura esecutiva, e dichiara pignorabili le somme già sottoposte a pignoramento presso il terzo Banca:

-a) fatta eccezione per l’ultimo accredito a titolo di emolumento ex art. 72 ter comma 2 bis del DPR 602/73, importo, che però non è stato quantificato dal giudice in quanto lo stesso afferma in sentenza che l’entità non era stata individuata dall’opponente.

-b) Il giudice in sentenza non ha ritenuto applicare le condizioni previste dal comma 2 del richiamato l’art. 72 cit., ovvero ha ignorato quanto prescritto dall’art. 545 c.c.
Per quanto suddetto il Giudice condanna il convenuto alla rifusione delle spese di giudizio in favore di già EQUITALIA Servizi di riscossione spa, oltre accessori di legge, spese generali 15%.

Ulteriormente, in relazione al chiesto pronunciato il Giudice dell’opposizione all’esecuzione non si assolutamente pronunciato in merito alla seguente eccezione sollevate in sede di “replica”, ossia :

-1) l’eccepita “nullità”, ai sensi dell'art. 156, comma 2, c.p.c. per la violazione della struttura bifasica del giudizio di merito contestando la nullità dell’atto introduttivo di citazione cha ha introdotto il giudizio all’opposizione all’esecuzione mobiliare presso terzi, per la sua difformità dal modello legale ritenuto per i motivi edotti un atto non idoneo a raggiungere il suo scopo. Infatti si eccepiva, una “irregolarità” del procedimento esecutivo per l’omesso e/o tardivo deposito nel fascicolo dell’esecuzione da parte dell’Agente della riscossione (contestazione della dichiarazione del terzo), e del terzo pignorato (dichiarazione integrativa) inerenti, a fatti giuridici estintivi, modificativi ed impeditivi della pretesa attorea non posti a conoscenza del giudice dell’esecuzione, quali fatti “avvenuti nelle more del procedimento esecutivo” ma PRIMA dell’instaurazione del processo di merito, comportando la “violazione del principio del contraddittorio” e a sostegno della tesi veniva indicata la sentenza della Corte di Cassazione Sez. n. 3 n. 25170 del 11/10/2018.
Si sottolineava che l’ammissibilità di quanto appena eccepito, era dettata dal fatto che seppure si trattava di nuove eccezioni eccepite solamente sede di “replica” le stesse però erano rilevabili d’ufficio, e soprattutto erano sopraggiunte nel corso del processo, ossia dopo il decorso del termine per le memorie ex art. 183, comma 6 c.p.c. informando il Giudice dell’ orientamento della Suprema Corte di Cassazione in tema, laddove afferma il seguente principio di diritto: “La preclusione non si verifica in relazione ai fatti sopravvenuti quando le allegazioni sono state fatte, come nel caso di specie, nel primo atto difensivo utile rispetto al momento della conoscenza disponibilità dei fatti stessi ovvero dal loro emergere come processualmente rilevanti. (ex multis Cass. civ. n. 14131/2006). Ciò posto, sia consentito alla difesa, per agevolare la lettura all’adito Giudicante, versare in atti i documenti sopra richiamati.

Il parere richiesto è:
Quale sarà la condotta ipotizzabile dell’Agente della riscossione alla luce della suddetta sentenza?
Quale percorso difensivo e con quali motivi l’opponete può contrastare la sentenza in oggetto?”
Consulenza legale i 04/05/2021
Il quesito posto è particolarmente complesso, essendoci a base dello stesso atti processuali di notevole complessità.
Una risposta esaustiva necessiterebbe dunque di uno studio analitico di ogni argomentazione trattata oltre che della documentazione esibita sia nel giudizio di esecuzione che in quello di opposizione.

Volendo comunque, senza pretesa di esaustività, tentare di dare una prima consulenza sulla base di una mera lettura degli atti posti a disposizione, comunque insufficienti, ad una analisi completa della vicenda, in via di prima approssimazione è possibile fornire le seguenti risposte:

Procedendo con ordine ed analizzando il primo dei quesiti posti, può sostenersi preliminarmente che le sentenze civili (quale quella di cui si discute) sono ai sensi dell’art. 282 c.p.c. provvisoriamente esecutive tra le parti.
Ciò implica che, in assenza di un provvedimento sospensivo dell’efficacia esecutiva della sentenza, l’agente della riscossione può procedere alla notifica di un atto di precetto, contestualmente alla sentenza munita di formula esecutiva, ed agire, allo scadere dei dieci giorni previsti dal precetto, per il pagamento, con un pignoramento per le somme dovute a titolo di spese legali.
Generalmente l’Agente della riscossione, prima di notificare la sentenza ed il precetto, procede con l’invio al legale del contribuente costituito in giudizio di una comunicazione con la quale chiede il pagamento immediato delle spese di giudizio, agendo in via esecutiva solo in caso di mancato pagamento.
Quanto invece alle somme pignorate e vincolate presso la Banca occorre tenere in considerazione che ai sensi dell’art. 627 c.p.c. il processo esecutivo che era stato sospeso a seguito della opposizione all’esecuzione dovrà essere riassunto con ricorso.
In questo caso, non essendo stato fissato dal giudice un termine per la riassunzione, il processo esecutivo dovrà essere riassunto “non più tardi di sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza di primo grado o dalla comunicazione della sentenza d’appello che rigetta l’opposizione
In pendenza d’appello dunque il processo esecutivo non potrà proseguire e nessuna ordinanza di assegnazione potrà essere pronunciata, mentre le somme pignorate continueranno a rimanere vincolate.

Rispetto al secondo quesito inerente invece gli eventuali motivi di impugnazione, va premesso che dalla lettura degli atti posti a nostra disposizione le questioni oggetto del giudizio appaiono parzialmente diverse rispetto a quelle riassunte nel quesito.
Ad ogni modo, di sicuro in via generale è pacifico il principio secondo cui nel giudizio d’appello debbano essere ribadite tutte le argomentazioni, deduzioni, tesi difensive a domande poste nel giudizio di primo grado, dovendosi esse, diversamente, intendersi rinunciate ai sensi dell’art. 346 c.p.c.

Nello specifico, poi, sarebbe opportuno riproporre la questione che sembrerebbe essere dirimente e cioè quella relativa alla mancata riconducibilità al debitore dei crediti riportati dall'agente della riscossione nell'estratto di ruolo esibito.
Sul punto, infatti la sentenza affronta la questione riconducendo tutte le voci dell’estratto di ruolo al contribuente. In sede di appello vi sarà dunque uno sdoppiamento dell’onere probatorio sul punto. Spetterà all'agente della riscossione dimostrare la riconducibilità formale del ruolo al contribuente ed al contribuente viceversa la non riconducibilità dello stesso alla sua persona, bensì a soggetto ad esso estraneo. Tanto ovviamente nel caso in cui non vi sia stata una legittima iscrizione a ruolo per pendenze societarie trasmissibili nei termini di legge ai soci delle estinte società.
Altra tesi difensiva sulla quale sarebbe opportuno insistere è quella inerente la parziale pignorabilità delle somme accreditate su conto corrente. Contrariamente alla tesi avversaria ed all'opinione espressa dal giudice in sentenza, qualora il pignoramento inerisca somme accreditate su conto corrente a titolo di stipendio, salario o altre indennità relative al rapporto di lavoro, le stesse potranno essere pignorate soltanto nei limiti di cui al comma VIII dell’art. 545 e dunque per l’importo eccedente il triplo dell’assegno sociale, se trattasi di somme accreditate sul conto prima del pignoramento.
L’applicabilità del comma VIII dell’art. 545 ai pignoramenti effettuati da Equitalia costituisce tuttavia oggetto di contrastanti orientamenti tra quanti sostengono la sussistenza di un rapporto di specialità dell’art. 72 ter del DPR 602/73 rispetto all’art. 545 c.p.c. e quanti invece ritengano queste due norme complementari ed integrative.

Nel dubbio interpretativo, considerato l’importo notevole delle somme soggette a pignoramento, sarebbe auspicabile seguire il secondo orientamento, attendendo che nelle more giunga qualche sentenza della Cassazione confermativa del principio. La pronuncia oggetto di eventuale impugnazione sembra essere sul punto viziata da una motivazione apparente, non avendo specificato per quale ragione la tesi difensiva del Sig. (omissis) non sia accoglibile e pronunciandosi dunque con un mero assunto privo di reale sviluppo argomentativo.

Giovanni P. chiede
lunedì 07/09/2020 - Puglia
“Un soggetto privato lavoratore dipendente industria è soggetto al pignoramento totale del conto corrente bancario se su questo gli arrivano circa 30 Mila euro di TFR, a fronte di un decreto ingiuntivo attuale per debiti verso le finanziarie per 45 Mila euro. Il pignoramento non è ancora attivo.
Il decreto ingiuntivo cita anche assegni alimentari ed a oggi sono circa 10 Mila euro maturati e non pagati.
Sul conto arriva lo stipendio e il futuro TFR penso entro 8 mesi.

ad oggi c è solo il decreto ingiuntivo.
Se fanno il pignoramento prima o dopo l'accredito del TFR sul conto ci sono differenze. Rimarrebbe qualcosa del TFR sul conto del pignorato titolare del conto corrente bancario?
Grazie”
Consulenza legale i 14/09/2020
Le somme percepite a titolo di trattamento di fine rapporto possono essere sottoposte a pignoramento nei limiti imposti dall'art. 545 c.p.c. e dall'art. 2 del d.p.r. n. 180/50.

Ai sensi dell’art. 545, comma 3, c.p.c. “Le somme dovute da privati a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, possono essere pignorate per crediti alimentari nella misura autorizzata dal presidente del tribunale o da un giudice da lui delegato”.

La disposizione normativa prosegue al comma 4 stabilendo che “Tali somme possono essere pignorate nella misura di un quinto per i tributi dovuti allo Stato, alle province e ai comuni, ed in eguale misura per ogni altro credito”.

In caso di concorso simultaneo di cause (crediti alimentari e crediti di altra natura), il comma 5 prevede che il pignoramento non possa estendersi oltre la metà delle somme predette.

La violazione dei predetti limiti determina la parziale inefficacia del pignoramento con riferimento alla parte eccedente, rilevabile anche d'ufficio dal giudice dell'esecuzione.

Il pignoramento del Tfr verrà effettuato in concreto tramite un pignoramento presso terzi che potrà essere effettuato presso il datore di lavoro o presso l'istituto di credito in cui viene accreditata la liquidazione.
In entrambi i casi, il creditore procedente deve provvedere alla preventiva notifica del titolo esecutivo e dell'atto di precetto, e soltanto decorso inutilmente il termine per l'adempimento di cui al precetto, potrà notificare l'atto di pignoramento al debitore e al terzo pignorato.

Quando il pignoramento del TFR viene effettuato alla fonte, cioè presso il datore di lavoro, il terzo provvede a versare le somme direttamente al creditore come da ordinanza di assegnazione (misura stabilita dal tribunale per crediti alimentari, un quinto per altri crediti, fino a metà per concorso simultaneo di cause).
L’esigibilità da parte del creditore procedente delle somme accantonate a titolo di t.f.r. è subordinata alla cessazione del rapporto di lavoro del debitore.

Per quanto riguarda il pignoramento del TFR presso la banca, i nuovi commi 8 e 9 dell'art. 545 c.p.c., introdotti dall’art. 13 del d.l. 27.06.2015, n. 83, prevedono che “nel caso di accredito su conto bancario o postale intestato al debitore, possono essere pignorate, per l'importo eccedente il triplo dell'assegno sociale, quando l'accredito ha luogo in data anteriore al pignoramento; quando l'accredito ha luogo alla data del pignoramento o successivamente, le predette somme possono essere pignorate nei limiti previsti dal terzo, quarto, quinto e settimo comma, nonché dalle speciali disposizioni di legge”.
Pertanto, nel caso in cui il pignoramento avvenga in data successiva all’accredito del TFR sul conto corrente, lo stesso sarà pignorabile nella misura indicata dal tribunale per crediti alimentari, nella misura di un quinto per crediti diversi e fino alla metà in caso di concorso simultaneo di cause.

Nel caso di specie, trovandosi nell’ipotesi del concorso simultaneo di cause, se il pignoramento viene effettuato presso il datore di lavoro, quest’ultimo sarà tenuto a versare direttamente al creditore fino alla metà del TFR.
Se invece il pignoramento viene effettuato presso la banca bisogna distinguere l’ipotesi in cui l’accredito del TFR sul conto corrente avvenga prima o dopo la data del pignoramento.
Nel caso in cui il TFR venga accreditato prima del pignoramento, la banca sarà tenuta a versare al creditore procedente l’importo eccedente il triplo dell’assegno sociale.
Se invece il TFR viene accreditato nella stessa data o successivamente al pignoramento, la banca verserà al creditore fino alla metà delle somme.


Antonella D. N. chiede
martedì 04/02/2020 - Lazio
“Tizio è un dipendente pubblico, con stipendio di 2.000 euro.
Ha un piccolo prestito con l’inps, per cui gli viene detratta una rata mensile dal cedolino di euro 200, percependo quindi in busta paga euro 1.800.
Sta concludendo una cessione del quinto con un istituto, che comporterà una rata mensile di circa 400 euro.
Mensilmente paga un affitto di euro 650 e soprattutto versa il mantenimento per i tre figli alla ex moglie per un importo di euro 700, come da sentenza di separazione.
La ex moglie Caia gli ha fatto causa per le rate di mutuo non corrisposte per la ex casa coniugale (non più abitata da nessuno dei due): causa civile a se stante rispetto a un’istanza di divorzio pure presentata dalla stessa. In caso di esito sfavorevole di tale causa sul mutuo, Tizio puó essere condannato a pagare una somma ingente che non possiede, ed è ragionevole supporre che Caia procederà a fare un pignoramento dello stipendio di Tizio, che non possiede immobili o altro.
Quale sarà la somma massima che potrà essere pignorata a Tizio? Si terrà conto del suo dovere di versare mensilmente i 700 euro di mantenimento?
Grazie”
Consulenza legale i 07/02/2020
In tema di pignoramento di crediti, il nuovo testo dell’art. 545 del c.p.c. (introdotto con la riforma del 2015), oltre a prevedere - come già in precedenza - il limite del quinto per il pignoramento dello stipendio, stabilisce anche la “sorte” di tali somme nel caso di accredito su conto bancario o postale intestato al debitore.
In particolare, lo stipendio accreditato sul conto corrente può essere pignorato, per l'importo eccedente il triplo dell'assegno sociale, quando l'accredito ha luogo in data anteriore al pignoramento.

Ricordiamo che l'assegno sociale è una prestazione economica, erogata dall'I.N.P.S. a cittadini italiani e stranieri in condizioni economiche disagiate e con redditi inferiori alle soglie previste annualmente dalla legge. Nel nostro caso, però, l'importo dell'assegno sociale viene utilizzato come parametro di riferimento per individuare quella somma necessaria a garantire all'individuo il soddisfacimento dei propri bisogni primari ed un'esistenza quanto meno "dignitosa". L’importo dell’assegno per il 2020 è pari a 459,83 euro.
Quando, invece, l'accredito ha luogo alla data del pignoramento o successivamente, le somme in questione possono essere pignorate nei limiti previsti dai precedenti commi dello stesso art. 545 c.p.c. nonché da speciali disposizioni di legge.
Chiaramente, se sul medesimo conto vi sono precedenti pignoramenti e/o - come nel caso in esame - cessioni volontarie del quinto, ai fini del calcolo della base su cui calcolare l’importo pignorabile occorrerà tenere conto delle “ritenute” già operate.

Tuttavia l’importo in concreto pignorabile potrà essere in concreto stabilito solo al momento del pignoramento, sulla base della situazione contabile esistente, e tenendo presente i criteri sopra menzionati.
Quanto alla seconda parte del quesito, ovvero se nella determinazione della quota pignorabile possa tenersi conto dell’obbligo di corrispondere mensilmente un assegno di mantenimento, la risposta è negativa, alla luce del principio generale della responsabilità patrimoniale di cui all’art. 2740 del c.c., secondo cui il debitore risponde dell'adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri.


ANTONIO chiede
mercoledì 15/01/2020 - Marche
“BUONASERA,
IL SOTTOSCRITTO PERCEPISCE LA PENSIONE, LA QUALE E' STATA DIVERSI ANNI FA' PIGNORATA PER 1/5 DA UN MIO CREDITORE SOGGETTO PRIVATO.
HO ALTRI DEBITI SIA L'AGENZIA DELLE ENTRATE RISCOSSIONE COME ANCHE L'AGENZIA DELLE ENTRATE, CON LA NUOVA RIFORMA DEL 2020 PER I PIGNORAMENTI SULLE PENSIONI , E' POSSIBILE CHE MI VENGANO PIGNORATE ALTRE SOMME DAI CREDITORI SOPRA INDICATI? NONOSTANTE CI SIA GIA' UN PIGNORAMENTO ATTIVO DI 1/5? LA MIA PENSIONE E’ INFERIORE A EURO 1.500,00
OPPURE POSSO STARE TRANQUILLO DI NON RICEVERE ALTRI PIGNORAMENTI?
GRAZIE
SALUTI.
ANTONIO”
Consulenza legale i 21/01/2020
Alcune brevi premesse.
La quota pignorabile di una pensione è pari al suo quinto.
Tale quota è determinata detratto il cd. minimo vitale impignorabile che si calcola sommando alla misura dell’assegno sociale erogato dall’Inps (importo annualmente aggiornato) il 50% dello stesso importo (così come disposto dall’ultimo comma dell’art. 545 c.p.c).
Ad oggi, l’importo dell’assegno sociale è pari a 460 euro.
Dunque, attualmente il limite impignorabile di una pensione è pari ad euro 690,00.
Ad esempio, ipotizzando una pensione di 1.500 euro, bisognerà sottrarre 690,00 euro e sul risultato (810,00 euro) calcolare il quinto (162,00 euro).

Ciò posto, più pignoramenti su una medesima pensione sono in astratto possibili nei limiti previsti dal predetto art. 545 c.p.c:” Il pignoramento per il simultaneo concorso delle cause non può estendersi oltre la metà dell'ammontare delle somme predette”.

Ciò brevemente premesso, in risposta al quesito possiamo affermare quanto segue.

Considerato che gli ipotetici ulteriori pignoramenti sarebbero per cause diverse rispetto al primo (come ci pare di capire leggendo il quesito), ciò sarebbe possibile.
In tal caso, tuttavia, il pignoramento della pensione non potrebbe superare la metà della stessa, come espressamente previsto dalla norma sopra citata.
Ad esempio, se il creditore privato e l’Agenzia delle Entrate pignorassero la Sua pensione, il giudice autorizzerebbe al massimo una trattenuta del 50% sull’assegno che andrebbe divisa tra i due creditori.

Anonimo chiede
domenica 13/10/2019 - Lombardia
“Salve,
mi chiamo (omissis) , ho 44 anni è sono titolare di una pensione di invalidità civile,dal 2008 (Euro 285,86) con indennità di accompagnamento(euro 517,84)TOTALE=803,7 euro
Vorrei intraprendere una causa di riconoscimento per mio figlio concepito nel 2006 con la mia convivente di allora.
Vorrei sapere se LA MIA EX CONVIVENTE(una volta che la mia paternità sia stata legalmente riconosciuta) PUO' FAR RIVALERE PER IL MANTENIMENTO DI MIO FIGLIO,un assegno di mantenimento,sulla pensione che percepisco oppure essendo appunto una pensione di invalidità non vi può essere nessuna rivalsa.
In parole semplici:un giudice può decidere che io debbo dare un assegno a mio figlio tenendo presente che la pensione di invalidità è l'unico introito da me disponibile?
Grazie.
Cordiali Saluti

Consulenza legale i 18/10/2019
In realtà le questioni da risolvere sono due.
In primo luogo, occorre stabilire se un soggetto, invalido al 100%, titolare di pensione di invalidità nonché di indennità di accompagnamento, possa essere tenuto - in forza di una decisione del giudice - a versare un contributo per il mantenimento di un figlio.
In proposito si è espressa molto chiaramente la giurisprudenza della Corte di Cassazione: in particolare, secondo Cass. Civ., Sez. VI, ord. n. 4801/2018, il dovere di provvedere al mantenimento della prole incombe anche sul soggetto che sia pensionato, il quale è al contempo creditore di un trattamento pensionistico adeguato, ovviamente secondo le proprie possibilità.
Quindi, nel caso in esame, qualora venga riconosciuta giudizialmente la paternità, al padre potrà essere imposto il versamento di un assegno per il mantenimento del figlio minore (o maggiorenne non autosufficiente), naturalmente parametrato alle condizioni economiche del genitore.

Vi è poi l’ulteriore questione della possibilità di sottoporre a pignoramento la predetta pensione e l’indennità di accompagnamento in caso di inadempimento, da parte del padre, rispetto al pagamento dell’assegno stabilito dal giudice.
Infatti l’art. 545 del c.p.c., in materia di crediti impignorabili, prevede, al secondo comma, che “non possono essere pignorati crediti aventi per oggetto sussidi di grazia o di sostentamento a persone comprese nell'elenco dei poveri, oppure sussidi dovuti per maternità, malattie o funerali da casse di assicurazione, da enti di assistenza o da istituti di beneficenza”.
Ora, sia la pensione di invalidità civile che l’indennità di accompagnamento sono prestazioni a carattere assistenziale anziché previdenziale, e sono pertanto ricomprese tra i crediti assolutamente impignorabili di cui al secondo comma dell’art. 545 c.p.c.
Secondo Tribunale di Padova, 14/01/2016, un trattamento pensionistico (quale la pensione per ciechi totali) assimilabile a quello (pensione di invalidità civile) percepito nel nostro caso, nonché l’indennità di accompagnamento, costituiscono “erogazioni a carattere non previdenziale ma assistenziale, in quanto volte a garantire unicamente il cd. minimo vitale e a reintegrare essenziali espressioni di vita menomate dalla malattia, con conseguente applicabilità alle stesse [...] dell’art. 545 co. 2 c.p.c., ed impignorabilità dei relativi importi”.

Giuseppe G. chiede
domenica 11/03/2018 - Sardegna
“Un pensionato che riceve una pensione mensile di circa 1.600 € sulla quale grava un prelievo volontario del quinto di € 258, può essergli attivato un successivo pignoramento? E se sì, quale potrebbe essere il suo ammontare?
Grazie.”
Consulenza legale i 13/03/2018
La norma di riferimento in merito al pignoramento della pensione è l’art. 545 c.p.c. così come novellato dall’art. 13 del d.l. n. 83/2015 che ha introdotto un nuovo comma prevedendo che: “le somme da chiunque dovute a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza, non possono essere pignorate per un ammontare corrispondente alla misura massima mensile dell'assegno sociale, aumentato della metà. La parte eccedente tale ammontare è pignorabile nei limiti previsti dal terzo, quarto e quinto comma nonché dalle speciali disposizioni di legge”.
Inoltre, sempre nel predetto articolo leggiamo che: “le somme dovute a titolo di stipendio, salario, altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, nonché a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione, o di assegni di quiescenza, nel caso di accredito su conto bancario o postale intestato al debitore, possono essere pignorate, per l'importo eccedente il triplo dell'assegno sociale, quando l'accredito ha luogo in data anteriore al pignoramento; quando l'accredito ha luogo alla data del pignoramento o successivamente, le predette somme possono essere pignorate nei limiti previsti dal terzo, quarto, quinto e settimo comma, nonché dalle speciali disposizioni di legge.

Ciò premesso, osserviamo quanto segue.
Ad un prelievo volontario della cessione del quinto, può seguire un pignoramento coattivo.
Quello che però occorre tenere presente sono i limiti entro i quali ciò possa avvenire.

Per individuare l’importo che non può essere pignorato occorre far riferimento alla misura dell’assegno sociale per l’anno in corso aumentato della metà.
Nel 2018 l’importo di tale assegno è pari ad euro 453,00.
Pertanto, l’importo non pignorabile sarà pari ad euro 679,50.

Nel caso in esame, abbiamo dunque la seguente situazione:
- importo pensione: euro 1600,00(che dobbiamo ritenere sia al netto di imposte e contributi);
- importo impignorabile: euro 679,50;
- importo residuo pignorabile: euro 920,50;
- cessione quinto precedente: euro 258,00.
L'importo residuo su cui calcolare il quinto da pignorare corrisponde quindi ad € 662,50.

Pertanto, in risposta alla domanda contenuta nel quesito, l’ulteriore quinto pignorabile mensilmente è pari ad euro 132,50.

Per completezza, occorre precisare che tale calcolo riguarda l’ipotesi del pignoramento effettuato direttamente presso l’ente pensionistico, cioè prima dell’eventuale accredito su un conto corrente.
Nel caso in cui, invece, il pignoramento riguardi una pensione già accreditata su conto bancario o postale intestato al debitore prima della notifica del pignoramento, potrà essere pignorato solo l’importo che eccede il triplo dell’assegno sociale pari ad euro 1359,00 (come disposto dall’art.545 cpc sopra riportato). Quindi, nel caso in esame, non sarebbe possibile effettuare alcun pignoramento.
Se invece l’accredito sul conto avviene successivamente al pignoramento, allora vale quanto sopra precisato.

Pietro L. chiede
martedì 20/02/2018 - Toscana
“Buongiorno, mia moglie ha una cifra cospicua di contributi arretrati con la cassa ENPAP alla quale fece l'ultimo versamento nel 1998, tra l'altro parziale e la loro richiesta ora ammonta a oltre 60.000,00 €. La sua attività era la libera professione, lavorava come consulente di piscologia aziendale per conto di una primaria (allora) ditta del settore: teneva come docente corsi a banche, grandi industrie, settori dei servizi, ecc. ecc.
I motivi del cessato pagamento furono diversi: in primis il cambio di residenza con conseguente cambio del commercialista: mentre quello che la seguiva prima le faceva di tutto, il successivo ignorò completamente la questione/contributi; poi,poco dopo il trasferimento nella nuova residenza, si ammalò di una grave malattia cronica debilitante che tuttora insiste sotto forma cronica. Questo le ha permesso di accedere alla pensione di invalidità civile (ca 280€ mensili) essendosi vista ricosciuta l'invalidità civile al 100,00%.
Detto quanto sopra e tenuto conto che non intende/ non intendiamo pagare certa cifra preciso: 1. che Lei (ovviamente) intende rinunciare alla pensione - 2. che non ha beni immobili intestati (siamo in separazione dei beni) 3. che l'unica rendita che riscuote è la suddetta pensione di invalidità.
Chiedo se,
- avendo ancora sua madre anziana in vita con una piccola abitazione popolare di proprietà, sarà sufficiente effettuare una dichiarazione di rinuncia all'eredità e se questa va fatta subito dopo il decesso o se è preferibile farla prima;
- in caso di premorienza di mia moglie, pur essendo con me i sep.ne beni, l'ente creditore può rivalersi anche su di me che sono intestario di beni immobili.
Grazie”
Consulenza legale i 04/03/2018
Al momento del matrimonio i coniugi possono scegliere il regime patrimoniale della famiglia, regolando così i futuri acquisti e la gestione del patrimonio, con riflessi sui crediti e sui debiti di ciascuno.

Senza dilungarsi troppo sui vari regimi patrimoniali esistenti, è bene chiarire che mentre la comunione legale implica una contitolarità e cogestione degli acquisti, e non di tutti i beni già esistenti nel patrimonio di uno dei coniugi, nel regime della separazione ognuno dei coniugi resta proprietario esclusivo dei beni acquistati durante la vita matrimoniale e conserva la proprietà esclusiva dei beni acquistati prima del matrimonio.

Il regime patrimoniale scelto, si diceva, ha implicazioni anche con riguardo ai debiti dei coniugi.
Se infatti i debiti sono stati contratti da uno dei coniugi per il perseguimento di interessi comuni alla famiglia, tra i quali potrebbe rientrarvi l’esercizio dell’attività lavorativa del coniuge finalizzata a percepire un reddito per la sussistenza della famiglia, i creditori possono aggredire sia i beni che fanno parte della comunione sia, in una ridotta misura, i beni personali dell’altro coniuge.

Non è così, invece, nel caso che i coniugi abbiano scelto la separazione dei beni: il coniuge estraneo al debito dell'altro, non è tenuto a garantire per lui; non è tenuto al pagamento del debito ed i creditori non possono rifarsi sui suoi beni.

Ciò fermo, bisogna poi analizzare la questione della pignorabilità o meno della pensione di invalidità, e cioè bisognerebbe comprendere se concretamente i creditori possono iniziare un’esecuzione forzata su quella somma, supponendo che il credito non sia altrimenti prescritto.

L’art. 545 c.p.c. sancisce che “Le somme da chiunque dovute a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza, non possono essere pignorate per un ammontare corrispondente alla misura massima mensile dell’assegno sociale, aumentato della metà”.
Si tratta della cosiddetta impignorabilità del “minimo vitale”, quella misura minima che serve ad assicurare al pensionato adeguati mezzi di vita.

Tale somma, per il 2018, è pari a 679,50 euro (453 euro pensione sociale + 1/2) e quindi nel caso specifico siamo ben al di sotto della soglia per la pignorabilità della pensione, circostanza per la quale l’Ente di Previdenza non potrà agire con il pignoramento sull’anzidetta pensione.

E’ però utile far concretamente attenzione al fatto che, sebbene non si possa utilmente esperire un pignoramento presso terzi presso l’INPS per pignorare l’assegno di invalidità, l’Ente creditore potrebbe sempre pignorare le somme che il debitore ha in deposito in banca per l'importo eccedente il triplo dell'assegno sociale, quindi per € 1.359,00, se le somme sono state accreditate in data anteriore al pignoramento (art. 545 c.p.c.).
Quindi, se ad esempio il debitore avesse accumulato sul conto corrente € 2.000,00 derivanti da un risparmio della pensione, l’Ente potrebbe pignorare fino ad € 641,00 (ovvero la differenza tra 2.000 e 1.359).

Sicuramente pignorabile è invece il patrimonio mobiliare ed immobiliare acquisito a seguito della devoluzione dell’eredità da parte di un parente.

Tuttavia per evitare che l’Ente creditore venga a soddisfare le proprie ragioni su tali beni caduti in successione è utile fare una rinuncia all’eredità, necessariamente successiva alla morte della persona della cui eredità si tratta.
La rinuncia all’eredità, ai sensi dell’art. 519 c.c., è un atto formale: la relativa dichiarazione deve essere ricevuta da un notaio o dal cancelliere del Tribunale nel cui circondario si è aperta la successione, ed è bene che venga fatta in tempi rapidi.

Non è possibile rinunciare all’eredità prima ancora che una persona sia deceduta.

E’ pur vero che i creditori potrebbero impugnare la rinuncia all’eredità in quanto questo atto li lede, essendo anzi preordinato a far sì che gli stessi non soddisfino le loro ragioni creditorie sui beni acquisiti a seguito della devoluzione patrimoniale, e, per questo, possono farsi autorizzare dal Tribunale ad accettare l’eredità in nome e per conto del rinunciante (art. 524 c.c.), ottenendo così comunque quanto sarebbe spettato al debitore.
In questo senso la rinuncia appare pressoché inutile.

Per questo sembrerebbe più opportuno che l’anziana madre, consapevole dei debiti della figlia, con testamento devolvesse i suoi beni al genero oppure ai nipoti, sì da far in modo che almeno una parte dell’immobile non venga ad essere espropriata per mano dell’Ente di Previdenza.
In questo modo, al più, i creditori potrebbero spiegare le loro ragioni solo sulla quota legittima, cioè la quota “minima” che la Legge riserva alla figlia, ma non sull’intero immobile.
In alternativa si potrebbe pensare a una vendita per un prezzo di favore da fare già oggi. La madre, in questo modo, traferirebbe la proprietà dell'immobile per esempio al genero (riservandosi l'usufrutto per se), ed in cambio riceverebbe una somma di denaro, che poi potrebbe donare alla figlia.
Ci sono varie soluzioni, ma chiaramente occorrerebbe una disamina più approfondita del caso.

Sebastiano S. chiede
martedì 06/02/2018 - Sicilia
“Percepisco pensione di 2400 euro, con cessione del quinto di 472 euro, verso assegno all ex coniuge di 1230 euro, vorrei conoscere l'importo pignorabile per debiti verso finanziarie. Grazie”
Consulenza legale i 07/02/2018
Il pignoramento della pensione è disciplinato dall’art. 545 del c.p.c., il quale, nel testo attualmente in vigore (come risultante a seguito delle modifiche introdotte con D.L. 83/2015, conv. in L. 132/2015), prevede l’impignorabilità delle somme dovute a titolo di pensione per un ammontare corrispondente alla misura massima mensile dell'assegno sociale, aumentato della metà. La parte eccedente tale ammontare è pignorabile per crediti alimentari nella misura autorizzata dal presidente del tribunale o da un giudice da lui delegato nonché nella misura di un quinto per i tributi dovuti allo Stato, alle province e ai comuni, ed in eguale misura per ogni altro credito.
In caso di simultaneo concorso delle cause indicate precedentemente il pignoramento non può estendersi oltre la metà dell'ammontare delle somme predette, ferme le altre limitazioni contenute in speciali disposizioni di legge.
Al fine di individuare la somma in concreto assoggettabile a pignoramento occorre, innanzitutto, detrarre dall’importo della pensione l’ammontare corrispondente alla misura mensile dell’assegno sociale (che per il 2018 è pari ad € 453,00), aumentato della metà: dunque la quota impignorabile, per l’anno corrente, sarà pari ad € 679,50.
Pertanto nel caso in esame la situazione sarà la seguente:
- Importo pensione (da intendersi quale pensione netta): € 2.400,00
- Importo impignorabile ex art. 545 c.p.c. (c.d. “minimo vitale”): € 679,50
- Importo pignorabile: € 1.720,50
- Precedente cessione del quinto: € 472,00
- Residuo su cui calcolare il quinto pignorabile: € 1.248,50
- Quinto pignorabile: € 249,70.
L'obbligo di corrispondere l'assegno divorzile non incide, in questo caso, sul calcolo della quota pignorabile.
Si precisa che quanto sopra esposto vale nel caso di pignoramento effettuato direttamente presso l’Ente pensionistico, e dunque prima dell’accredito su conto corrente: questa infatti sembrerebbe l’ipotesi descritta nel quesito.
Nel caso in cui, invece, il pignoramento riguardi la pensione già accreditata su conto bancario o postale intestato al debitore (e quindi sia effettuato presso la banca o le poste), le relative somme potranno essere pignorate nei seguenti limiti:
- per l'importo eccedente il triplo dell'assegno sociale, quando l'accredito ha avuto luogo in data anteriore al pignoramento;
- nei limiti descritti nella prima parte del presente parere, quando l'accredito ha luogo alla data del pignoramento o successivamente.
Da ultimo, il pignoramento della pensione, laddove eseguito senza osservare i divieti e i limiti di legge, è parzialmente inefficace (cioè è inefficace limitatamente all’importo pignorato in violazione dei predetti divieti e per la parte eccedente i predetti limiti). L'inefficacia è rilevata anche d'ufficio dal giudice.

Giuseppe C. chiede
domenica 23/04/2017 - Lazio
“Per un debito sto subendo il pignoramento della mia pensione. Già in sede di dichiarazione del terzo pignorato (Inps) la trattenuta in via cautelare era stata di 1/5 della mia pensione pari a Euro 339,29. Dopo circa due anni il Giudice dell’esecuzione con sentenza Rep. 774/16, ha stabilito che il terzo pignorato debba corrispondere al mio creditore sino alla concorrenza della somma precettata un importo pari a 1/5 della differenza mensile tra l’importo percepito a titolo di pensione e l’ammontare dell’assegno sociale aumentato della metà. In esecuzione di detta sentenza l’Inps sta ora (pensione di Aprile 2017) corrispondendo al mio creditore l’importo mensile di Euro 212,60, calcolato come previsto in sentenza. Dal mio cedolino di pensione del mese di Aprile 2017, risulta che l’Inps abbia corrisposto al mio creditore anche tutte le somme accantonate in via cautelare, prima della sentenza, pari a Euro 6.446,51.
QUESITO.
E’ corretto che l’Inps abbia corrisposto al mio creditore anche le somme accantonate in via cautelare senza una specifica prescrizione in sentenza ????

Consulenza legale i 01/05/2017
La risposta è negativa.

Va in primo luogo chiarito il motivo di quanto stabilito dal Giudice in sentenza, ovvero il motivo per cui il calcolo effettuato all’esito del procedimento risulta diverso da quello effettuato in via cautelativa in sede di pignoramento, quando è stato trattenuto 1/5 dell’importo della pensione.

Con il Decreto Legge n. 83 del 27 giugno 2015 è intervenuta un’importante modifica dell’art. 545 del codice di procedura civile, il quale nel nuovo testo stabilisce: “Le somme da chiunque dovute a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza, non possono essere pignorate per un ammontare corrispondente alla misura massima mensile dell'assegno sociale, aumentato della metà. La parte eccedente tale ammontare è pignorabile nei limiti previsti dal terzo, quarto e quinto comma nonché dalle speciali disposizioni di legge.
Le somme dovute a titolo di stipendio, salario, altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, nonché a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione, o di assegni di quiescenza, nel caso di accredito su conto bancario o postale intestato al debitore, possono essere pignorate, per l'importo eccedente il triplo dell'assegno sociale, quando l'accredito ha luogo in data anteriore al pignoramento; quando l'accredito ha luogo alla data del pignoramento o successivamente, le predette somme possono essere pignorate nei limiti previsti dal terzo, quarto, quinto e settimo comma, nonché dalle speciali disposizioni di legge.”

L’importo massimo pignorabile, dunque, non è sempre uguale poiché dipende dalla misura annua della pensione sociale: quest’ultima è un parametro fissato dalla legge per determinare fino a quanto si può spingere il pignoramento del debitore.

Ogni anno è l’INPS a fissare con apposita circolare la misura dell’assegno sociale per l’anno in corso.

Il pignoramento massimo consentito è di “un quinto” del netto della pensione, detratto dunque il cosiddetto «minimo vitale», somma garantita al pensionato per consentirgli un’esistenza dignitosa. Il minimo vitale è pari all’assegno sociale erogato dall’Inps aumentato della metà.

Le nuove norme introdotte dal decreto citato sono entrate in vigore immediatamente, il 27/6/2015, ed hanno trovato applicazione, dunque, anche con riferimento ai procedimenti già pendenti a quella data.

Da quel che si può facilmente evincere dal quesito, la procedura esecutiva in oggetto è iniziata prima del 2015, mentre la sentenza che ha chiuso il procedimento è intervenuta successivamente alla modifica legislativa di cui sopra. Ragione per cui il Giudice ha dovuto applicare la nuova norma e ricalcolare l’importo spettante al creditore procedente.

Ciò chiarito, per quel che riguarda la questione posta nel quesito, va detto che il pignoramento è efficace sin da subito, e quindi costringe il terzo che è nel possesso delle somme oggetto di esecuzione a lasciarle nelle condizioni in cui si trovano al momento della notifica dell’atto, per cui egli, da quest’ultimo momento, non può più disporne liberamente.
L’esatta precisazione del credito del creditore procedente e la determinazione esatta delle somme pignorate da liquidare a quest'ultimo (o da accantonare a suo favore) viene fatta, tuttavia, solamente in un secondo momento e diviene definitiva e vincolante con l’ordinanza di assegnazione giudiziale (o con la sentenza, se interviene all’esito di un processo di merito) che conclude il procedimento.
Fino a quel momento, poiché – come detto – il creditore procedente è impossibilitato a disporre delle somme pignorate, in via del tutto cautelativa le trattiene, di norma, interamente; nel caso – come quello in esame – della pensione, prima del 2015 si accantonava non il 100% del pignorato ma la misura di un quinto, perché era certo che più di quella misura non si sarebbe potuto pignorare al debitore.

Per tornare al quesito e rispondere - essendo intervenuta la sentenza definitiva che ha precisato la misura esatta dell’ammontare da trattenere sulla pensione INPS del debitore esecutato - non è stato corretto che l’INPS riconoscesse al creditore tutte le somme in precedenza accantonate, perché si trattava di importi calcolati in via solamente prudenziale ed approssimativa, in quantità, in effetti, maggiore rispetto a quella poi riconosciuta come legittima dal Giudice.
La parte di somme, in definitiva, liquidate in eccedenza dall’INPS al creditore procedente dovranno essere senz’altro restituite al debitore esecutato.

Gian P. G. chiede
lunedì 21/11/2016 - Emilia-Romagna
“Buongiorno Egregi Avvocati.
Ho un' amica di nome Cinzia, che mi chiede di porvi questo quesito :
Cinzia è separata dal marito da tanti anni, separata consensualmente, Cinzia percepisce dal marito 400 euro mensili, 4.800 euro l' anno di mantenimento. ( ha solo questo reddito.)
Cinzia ha ultimamente chiesto al marito , ( non sono ancora divorziati) di poter avere un aumento di circa , 200 - 300 euro mensili, per arrivare a percepire circa 8.000 euro annui.
Il marito è d' accordo, ma Cinzia ha questo problema :
Cinzia ha delle vecchie cartelle di Equitalia non pagate, per molte migliaia di euro, in più avendo perso una Causa Civile, con un suo creditore al quale deve tante migliaia di euro, Cinzia domanda,... sia Equitalia che il creditore, per il momento sono stati fermi con le azioni giuridiche, per pignorare eventualmente 1 quinto o 2 quinti del suo redditto, che è solo di 4.800 euro annui, non ha altri redditi.
Ed è un reddito che possiamo chiamare di " povertà",
ma se il reddito diventa invece di 8.000 euro annui, cosa succede.?
Se Equitalia o il creditore si rivolgono al Giudice, il Giudice, a fronte di un reddito, di 8.000 euro annui, può concedere il pignoramento di 1 quinto, o 2 quinti, degli alimenti che Cinzia andrebbe a percepire dal marito.? Grazie Cordiali Saluti.”
Consulenza legale i 28/11/2016
Va primaditutto ricordato che l’assegno di mantenimento che l’ex coniuge o il coniuge separato versa mensilmente al debitore esecutato può essere pignorato, a differenza dei crediti alimentari. Teoricamente, potrebbe essere pignorato anche per l’intero, se il beneficiario godesse di ulteriori fonti di reddito che gli garantissero un adeguato sostentamento.

Nei casi come quello di specie – in cui l’assegno costituisce l’unica fonte di reddito e di sostentamento del beneficiario – il pignoramento potrà essere eseguito solo nella misura in cui la parte residua (quella che non è stata pignorata) continui a garantire le esigenze primarie di vita del soggetto che ne beneficia.
I crediti alimentari, infatti, non vanno confusi con i crediti finalizzati al mantenimento. L'assegno di mantenimento non presuppone una situazione di bisogno del soggetto che ne beneficia ed ha lo scopo di soddisfare tutte le esigenze di vita (non solo la sopravvivenza). L'assegno di mantenimento, infatti, viene quantificato al fine di garantire all'ex coniuge, ed eventualmente ai figli affidati, la conservazione dello stesso tenore di vita economico goduto prima dell'intervenuta separazione, e pertanto potrebbe ben superare, nell’importo, le strette esigenze di vita dei beneficiari.
Al contrario, il credito alimentare dovrebbe garantire esclusivamente le esigenze di vita primarie del beneficiario, insomma la sua sopravvivenza.

Non vi sono, tuttavia, percentuali predeterminate costituenti il limite della pignorabilità dell’assegno, ma è il giudice che decide in merito e che può disporre il pignoramento solo di quella parte del mantenimento che non sia destinata a soddisfare le strette esigenze di vita del beneficiario.
Infatti l’assegno di mantenimento non rientra in nessuna delle fattispecie specifiche elencate nell’art. 545 c.p.c. relativo ai crediti impignorabili: non è, come già detto, un credito alimentare, non è una pensione, non è stipendio, salario o altra indennità relativa al rapporto di lavoro o di impiego.

In conclusione, nel caso in esame, si può affermare ragionevolmente che l’aumento dell’importo del mantenimento annuale renderà probabilmente più facile per il creditore procedente il pignoramento: se infatti € 400,00 costituiscono un importo difficilmente riducibile – se si intende lasciare al debitore pignorato quanto gli è necessario per vivere (basti pensare che il limite di pignorabilità per le pensioni è parametrato all’assegno sociale, che per il 2016 è di € 448,07) - € 700,00 costituiscono una somma – se pur di poco – maggiormente aggredibile.

Maurizio S. chiede
giovedì 03/12/2015 - Umbria
“1) Un dipendente ha lavorato per una società dal 01/04/2008 al 31/10/2013 e sul suo conto corrente personale sono stati accreditati solo bonifici relativi alle buste paga.
Vorrei sapere nel caso di pignoramento da parte di Equitalia, a quanto ammonta la quota che verrebbe pignorata nel c/c bancario, considerando anche attualmente l’ex dipendente è ancora disoccupato, come da circolare interna di Equitalia n° 4404/2013. Infatti nella circolare dicono che “tali azioni saranno attivabili solo dopo che sia stato effettuato il pignoramento presso il datore di lavoro e/o ente pensionistico e che, in ragione delle trattenute accreditate, il reddito da stipendio / pensione risulti pari o superiore a 5 mila euro mensili”.
Come si comporterà Equitalia per il disoccupato?

2) “La pignorabilità oltre che degli stipendi può essere eseguita anche sulle pensioni e sul TFR dei lavoratori dipendenti pubblici che privati purché titolari di un contratto di lavoro di durata non inferiore a 3 anni”.
Ovvero in caso di durata del contratto di lavoro sotto i 3 anni non può esserci il pignoramento?

3) “Per i lavoratori a tempo determinato e per i collaboratori la cessione dello stipendio non può eccedere il periodo di tempo rimanente per la scadenza del contratto in essere, mentre i lavoratori parasubordinati sono legittimati alla cessione solo se il proprio rapporto di lavoro ha una durata non inferiore ai 12 mesi.”
Ovvero in caso di durata del contratto di lavoro come parasubordinato sotto i 12 mesi non può esserci il pignoramento?”
Consulenza legale i 09/12/2015
1) In base ai dati forniti nel quesito, si comprende che la persona debitrice di Equitalia è attualmente disoccupata. Il suo patrimonio (immaginando che non vi siano beni immobili) è dato solo dal denaro depositato presso un conto corrente bancario, denaro proveniente da una sua precedente occupazione come dipendente.

Il limite al pignoramento dello stipendio ha ad oggetto, appunto lo stipendio: questo può essere oggetto di esecuzione solo nei limiti previsti dall'art. 545 del c.p.c. (di regola, un quinto).

La nota interna di Equitalia cui si fa riferimento nel quesito (Circolare n. 2013/4404 del 22/04/2013) ha stabilito che non si debba procedere a pignoramenti sui conti correnti bancari e postali sui quali vengono versati stipendi e pensioni; più precisamente, la circolare dispone che "nelle more degli approfondimenti che si rendono necessari all’esito delle problematiche emerse in merito ai pignoramenti di conti correnti sui quali affluiscono stipendi/pensioni, si dispone, con decorrenza immediata, che per i contribuenti lavoratori dipendenti e/o pensionati non si proceda, in prima battuta, a pignoramenti presso istituti di credito/poste. Tali azioni saranno attivabili solo dopo che sia stato effettuato il pignoramento presso il datore di lavoro e/o ente pensionistico e che, in ragione delle trattenute accreditate, il reddito da stipendio/pensione risulti pari o superiore a 5 mila euro mensili".

La ratio è quella di evitare lo svuotamento dei conti correnti dove affluiscono i redditi da lavoro dipendente o pensione fino a che non sia previamente esperita la strada del pignoramento del quinto dello stipendio, al fine di tutelare il lavoratore.

Nel nostro caso, però, la circolare non trova applicazione.
Difatti, nel caso in esame il pignoramento non avrebbe ad oggetto lo stipendio, che attualmente non è percepito: si tratterebbe, invece, di un ordinario pignoramento presso terzi (artt. 543 e seguenti c.p.c.) del conto corrente bancario, per il quale non è previsto alcun limite particolare.

Anche la nuova disciplina introdotta nell'art. 545 c.p.c. non viene in nostro aiuto (né è applicabile, visto che nel nostro caso - si ripete - non si tratterebbe di pignorare lo stipendio). Essa stabilisce che le somme presenti su conto corrente - ricevute in relazione ad un rapporto di lavoro in essere - possono essere pignorate per l’importo che eccede il triplo dell’assegno sociale se sono state acceditate in data anteriore al pignoramento, mentre se l’accredito in banca ha una data uguale o posteriore rispetto a quella del pignoramento le predette somme possono essere pignorate entro i limiti stabiliti dalla legge ovvero nella misura concessa dal giudice e, in ogni caso, mai oltre il quinto.

Nel caso di specie, quindi, Equitalia potrà procedere a pignorare il conto corrente del disoccupato per l'intera somma dovuta come debito nei confronti del fisco. E' irrilevante la provenienza del denaro depositato in banca dall'accredito di stipendi relativi a un precedente lavoro.

Va sottolineato che il pignoramento avrà ad oggetto le somme che si trovano sul conto intestato al debitore al momento della notifica dell'atto di pignoramento alla Banca: quindi, se il conto è a saldo zero, Equitalia non troverà alcun bene da pignorare e la procedura si estinguerà (resta salvo ovviamente il diritto del creditore di promuovere una nuova azione esecutiva quando troverà altri beni da pignorare).

2) Quanto al secondo punto, la frase riportata è un estratto delle disposizioni modificate con l'art. 1, c. 137, della legge n. 331/2004 (Legge finanziaria 2005), la quale ha esteso le disposizioni previste per i dipendenti pubblici riguardanti l’insequestrabilità, il pignoramento e la cessione degli stipendi (Testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, D.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180), ai lavoratori privati, e stabilisce che questi lavoratori, purché titolari di un contratto di lavoro di durata non inferiore a 3 anni, abbiano la possibilità di estinguere eventuali prestiti contratti attraverso la cessione della propria retribuzione, ma solo in misura non superiore ad un quinto dello stipendio percepito, al netto di ritenute, per periodi non superiori a dieci anni.

Non è quindi corretto affermare che se il contratto di lavoro è inferiore ai tre anni non può esserci il pignoramento, in quanto la norma parla di cessione volontaria e non di esecuzione forzata.
La possibilità di pignorare lo stipendio è indipendente dalla durata del contratto di lavoro.

3) Anche il terzo punto riporta un brano relativo alla disciplina sulla cessione volontaria dello stipendio, in particolare in caso di richiesta di prestiti personali. La norma non si riferisce ai pignoramenti (cioè alle esecuzioni forzate promosse dai creditori contro la volontà del debitore), quindi risulta irrilevante a tal fine la durata del contratto di lavoro come parasubordinato.

Anna . G. chiede
mercoledì 09/11/2011 - Calabria
“Vorrei sapere cortesemente se la pensione di invalidità di E. 681.00 mensili di una persona di età 87 anni è pignorabile, se si in quale misura? Se questa persona viene a mancare i debiti vanno in eredità? Grazie e saluti.”
Consulenza legale i 03/01/2012

Originariamente, secondo le norme dell'art. 128 del r.d. 1827/1935, convertito, con modificazioni, nella l. 1155/1936, e gli artt. 1 e 2 del d.p.r. 180/1950, era esclusa la pignorabilità per ogni credito dell'intero ammontare di pensioni, assegni ed indennità erogati dall'INPS.

In seguito, con l'intervento della Corte Costituzionale (sentenza n. 506/2002), sono state dichiarate costituzionalmente illegittime, per contrasto con l'art. 3 della Costituzione, le norme sopra citate, nella parte in cui escludono la pignorabilità per ogni credito delle pensioni erogate dall'Inps anzichè prevedere: l'impignorabilità, con le eccezioni previste dalla legge per crediti qualificati, della sola parte della pensione, assegno o indennità necessaria per assicurare al pensionato mezzi adeguati alle esigenze di vita e la pignorabilità nei limiti del quinto del totale della residua parte.

Pertanto, se le somme dovute rientrano tra i crediti qualificati (come ad esempio i tributi dovuti allo Stato), la pignorabilità della pensione è da ritenere consentita, nei limiti di un quinto.

Per ciò che concerne i debiti, è sufficiente ricordare che, in caso di eredità, e dunque di successione a titolo universale, l'erede si sostituisce al de cuius nella totalità o in una quota dei sui rapporti attivi e passivi. L'erede è il continuatore della personalità del de cuius e come tale risponde anche dei suoi debiti.


A. V. chiede
martedì 25/10/2022 - Lombardia
“Buongiorno,
l'Agenzia Riscossione, a seguito di debiti tributari d'importo superiore a € 20.000, ha pignorato il mio conto corrente.
Sullo stesso vengono esclusivamente accreditati gli stipendi che percepisco da lavoro dipendente e addebitate le spese correnti per la gestione famigliare (ho 3 figli maggiorenni e sono monoreddito - divorziata e non percepisco assegno divorzile).
La banca mi ha detto che l'ultimo stipendio accreditato di € 1.270,00 non verrà pignorato, mentre la cifra rimanente (pari a € 1.781,00) sarà pignorata interamente.
E' corretto?
La cifra residua (€ 1.781,00) è comunque di provenienza da precedenti stipendi (che non superano mai i € 1.500,00/mese).
L'agenzia Riscossione la può pignorarla interamente o è possibile applicare la riduzione a 1/10 o frazioni differenti?
In attesa di gentile risposta, ringrazio e porgo cordiali saluti.”
Consulenza legale i 09/11/2022
Si rimanda alla lettura completa dell'art. art. 72 ter delle disp. risc. imp. redditi.


Poi, l’art. 545 del c.p.c. così come in vigore dal 22/09/2022 (modificato da: Decreto legge del 09/08/2022 n. 115 Articolo 21 bis) prevede che “Le somme dovute a titolo di stipendio, salario, altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, nonché a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione, o di assegni di quiescenza, nel caso di accredito su conto bancario o postale intestato al debitore, possono essere pignorate, per l'importo eccedente il triplo dell'assegno sociale, quando l'accredito ha luogo in data anteriore al pignoramento; quando l'accredito ha luogo alla data del pignoramento o successivamente, le predette somme possono essere pignorate nei limiti previsti dal terzo, quarto, quinto e settimo comma, nonché dalle speciali disposizioni di legge.
Il pignoramento eseguito sulle somme di cui al presente articolo in violazione dei divieti e oltre i limiti previsti dallo stesso e dalle speciali disposizioni di legge è parzialmente inefficace. L'inefficacia è rilevata dal giudice anche d'ufficio.


Per l’anno 2022 l’importo dell’assegno sociale ammonta ad euro 469,03 euro.

Ne consegue che ai sensi dell’art. 545 c.p.c. l’importo impignorabile, alla data odierna, sul conto corrente in cui vengono accreditati esclusivamente gli stipendi, fatto salvo ovviamente l’ultimo emolumento, ammonta ad euro 1407,09, se presente sul conto al momento del pignoramento. Resta pignorabile la somma residua.

Le somme successivamente accreditate potranno essere invece pignorate nei limiti stabiliti dall’art. 72 ter del DPR 602/73 a cui, ancora una volta, si rimanda.

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