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Articolo 485 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 06/02/2025]

Chiamato all'eredità che è nel possesso di beni

Dispositivo dell'art. 485 Codice Civile

(1)Il chiamato all'eredità, quando a qualsiasi titolo è nel possesso di beni ereditari(2), deve fare l'inventario entro tre mesi dal giorno dell'apertura della successione [465 c.c.] o della notizia della devoluta eredità. Se entro questo termine lo ha cominciato ma non è stato in grado di completarlo, può ottenere dal tribunale(3) del luogo in cui si è aperta la successione una proroga che, salvo gravi circostanze, non deve eccedere i tre mesi [487 c.c.; 749, 774 ss. c.p.c.](4).

Trascorso tale termine senza che l'inventario sia stato compiuto, il chiamato all'eredità è considerato erede puro e semplice [476 c.c.](5).

Compiuto l'inventario, il chiamato che non abbia ancora fatto la dichiarazione a norma dell'articolo 484 ha un termine di quaranta giorni da quello del compimento dell'inventario medesimo, per deliberare se accetta [470 ss. c.c.] o rinunzia [519 ss. c.c.] all'eredità. Trascorso questo termine senza che abbia deliberato, è considerato erede puro e semplice [476, 488 c.c.](6).

Note

(1) Tale previsione non si applica ai minori e agli incapaci, i quali possono accettare l'eredità solo con il beneficio di inventario (v. artt. 471, 472 del c.c.). Tali soggetti decadono dal diritto di accettare con beneficio di inventario, ove non vengano rispettati i termini di cui all'art. 485 del c.c., solo dopo un anno dal compimento della maggior età o dalla cessazione dello stato di incapacità (v. art. 489 del c.c.).
(2) E' sufficiente il possesso anche di un solo bene ereditario. Il chiamato all'eredità deve essere, però, a conoscenza dell'appartenenza del bene all'eredità e della devoluzione ereditaria in suo favore.
Al contrario l'erede che non sia nel possesso dei beni ereditari, può fare la dichiarazione di cui all'art. 484 del c.c. fino a che non si è prescritto il suo diritto di accettare (v. artt. 480 e 487 del c.c.).
(3) La parola "tribunale" è stata sostituita da "giudice di pace" dall'art. 27, comma 2, lett. a), D. Lgs. 13 luglio 2017, n. 116 con decorrenza dal 31/10/2025.
Il medesimo D. Lgs. ha altresì stabilito (art. 32, comma 5) che "A decorrere dal 31 ottobre 2021 ai procedimenti civili contenziosi, di volontaria giurisdizione e di espropriazione forzata introdotti dinanzi al giudice di pace a norma dell'articolo 27 si applicano le disposizioni, anche regolamentari, in materia di processo civile telematico per i procedimenti di competenza del tribunale vigenti alla medesima data".
(4) Il comma è stato così modificato dal D. Lgs. 19 febbraio 1998, n. 51 (Norme in materia di istituzione del giudice unico di primo grado).
(5) Il chiamato che sia nel possesso dei beni ereditari e che non abbia compiuto l'inventario nel termine di tre mesi dall'apertura della successione, diviene erede puro e semplice. Si acquista l'eredità senza che vi sia stata accettazione, espressa o tacita.
(6) Il chiamato che sia nel possesso dei beni ereditari e che abbia compiuto l'inventario nel termine di tre mesi dall'apertura della successione, deve dichiarare, entro quaranta giorni dal compimento dell'inventario, se intende accettare l'eredità con il beneficio di inventario ai sensi dell'art. 484 del c.c.. Ove tale termine non venga rispettato, il chiamato è da considerarsi erede puro e semplice. Anche in questo caso, come già osservato per il comma precedente, si acquista l'eredità senza che vi sia stata accettazione, espressa o tacita.

Ratio Legis

Prevedendo stretti termini entro i quali procedere all'inventario e all'accettazione beneficiata per l'erede che sia nel possesso dei beni ereditari, si vuole evitare che quest'ultimo possa appropriarsi dei beni ereditari di cui ha la disponibilità materiale, in danno dei creditori dell'eredità.

Spiegazione dell'art. 485 Codice Civile

La norma disciplina gli effetti del possesso dei beni ereditari da parte del chiamato all'eredità al fine di tutelare l'integrità del patrimonio ereditario, l'affidamento dei terzi, l'interesse degli ulteriori chiamati e dei creditori ereditari, la certezza dei traffici giuridici.
Al primo comma la norma prevede che:
  • il chiamato all'eredità titolare di una delazione attuale;
  • consapevole di possedere a qualunque titolo;
  • un bene facente parte del patrimonio ereditario;
  • sia obbligato a redigere l'inventario dell'eredità;
  • entro il termine di tre mesi dall'apertura della successione o dalla notizia della devoluta eredità.
Secondo la dottrina prevalente rileva ai fini dell'applicazione della norma in esame qualunque rapporto materiale giuridicamente rilevante tra il delato e il bene ereditario e dunque tanto il possesso quanto la mera detenzione.

L'obbligo di redigere l'inventario nel termine stabilito dalla norma è presupposto necessario qualora l'erede intenda accettare l'eredità con beneficio di inventario, mentre, secondo l'interpretazione prevalente, non sarebbe necessaria la redazione dell'inventario al fine di rinunziare all'eredità essendo sufficiente, in caso di chiamato possessore, che lo stesso rinunzi entro il termine di tre mesi dall'apertura della successione e dalla notizia della delazione.

La mancata redazione dell'inventario da parte del chiamato possessore nel termine stabilito dalla norma in oggetto così come la mancata accettazione con beneficio di inventario o la mancata rinuncia entro il termine di quaranta giorni da quello del compimento dell'inventario costituiscono eccezionali ipotesi di acquisto dell'eredità senza accettazione.



Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

244 L'art. 485 del c.c. prefigge al chiamato, che si trova nel possesso di beni ereditari, termini rigorosi per compilare l'inventario e per deliberare sull'accettazione o sulla rinunzia. In proposito è stata manifestata la preoccupazione che questo articolo si ritenga applicabile anche nel caso in cui il chiamato, che si trova in possesso di bene appartenente al defunto, lo abbia in buona fede acquistato a non domino e lo possegga ritenendolo proprio. Una siffatta preoccupazione mi sembra ingiustificata, poiché non può sorgere dubbio che la disposizione in esame si applica solo a chi possieda consapevolmente beni che fanno parte dell'eredità al momento dell'apertura della successione. Tuttavia, per eliminare dalla disposizione ogni possibile ragione di dubbio, ho sostituito all'espressione "possesso dei beni del defunto" l'altra "possesso di beni ereditari!, la quale rende manifesto che deve trattarsi di beni facenti parte attualmente dell'asse relitto e che non si richiede per l'applicabilità della disposizione il possesso di tutto il compendio ereditario. Naturalmente la stessa variante di forma è stata introdotta negli articoli 487 e 488. Un'altra modificazione formale ho introdotta nel nuovo testo di questi articoli: ho soppresso, cioè, l'aggettivo «reale» posto a qualificare il possesso, perché l'art. 460 del c.c. esclude che il possesso di diritto passi nel chiamato per il solo fatto della delazione. Manca, in tal caso, la possibilità di contrapporre un possesso reale a un possesso di diritto.

Massime relative all'art. 485 Codice Civile

Cass. civ. n. 15690/2020

L'immissione in possesso dei beni ereditari non comporta accettazione tacita dell'eredità, poiché non presuppone necessariamente, in chi la compie, la volontà di accettare, cionondimeno, se il chiamato nel possesso o compossesso anche di un solo bene ereditario non forma l'inventario nel termine di tre mesi decorrenti dal momento di inizio del possesso, viene considerato erede puro e semplice; tale onere condiziona, non solo, la facoltà di accettare con beneficio d'inventario, ma anche quella di rinunciare all'eredità in maniera efficace nei confronti dei creditori del "de cuius".

Cass. civ. n. 6167/2019

Nella nozione di "possesso" ex art. 485 c.c. è compresa qualunque situazione di fatto che consenta l'esercizio di concreti poteri sui beni ereditari e, quindi, vi è incluso anche il compossesso, essendo irrilevante che taluno degli altri compossessori non sia chiamato all'eredità poiché, pure in questo caso, il chiamato ha la possibilità di esercitare i detti poteri.

Il disposto dell'art. 485 c.c. non opera solo in relazione ai creditori del "de cuius", ma anche con riguardo a quelli dell'erede, poiché, in assenza di una normativa che stabilisca diversamente, la qualità di erede non può essere riconosciuta nei rapporti con taluni soggetti e negata in quelli con altri. (Nella specie la S.C. ha ritenuto che l'accertamento della qualità di erede puro e semplice del chiamato compossessore di beni ereditari che non aveva redatto tempestivo inventario potesse essere domandato pure dai creditori del medesimo chiamato e non solo da quelli del defunto).

Cass. civ. n. 4456/2019

Il possesso dei beni ereditari previsto dall'art. 485 c.c. per l'acquisto della qualità di erede puro e semplice nel caso di mancata redazione dell'inventario nei termini di legge non deve necessariamente riferirsi all'intera eredità, essendo sufficiente il possesso di un solo bene (come ad esempio, un letto ed alcuni effetti personali) con la consapevolezza della sua provenienza; nè deve manifestarsi in una attività corrispondente all'esercizio della proprietà dei beni ereditari, esaurendosi in una mera relazione materiale tra i beni ed il chiamato all'eredità, e cioè in una situazione di fatto che consenta l'esercizio di concreti poteri su beni, sia pure per mezzo di terzi detentori, con la consapevolezza della loro appartenenza al compendio ereditario.

Cass. civ. n. 21436/2018

In tema di successioni "mortis causa", la delazione che segue l'apertura della successione, pur rappresentandone un presupposto, non è da sola sufficiente all'acquisto della qualità di erede, essendo necessaria l'accettazione da parte del chiamato, mediante "aditio" o per effetto di una "pro herede gestio", oppure la ricorrenza delle condizioni di cui all'art. 485 c.c.; nell'ipotesi di giudizio instaurato nei confronti del preteso erede per debiti del "de cuius", incombe su chi agisce, in applicazione del principio generale di cui all'art. 2697 c.c., l'onere di provare l'assunzione della qualità di erede, che non può desumersi dalla mera chiamata all'eredità, non operando alcuna presunzione in tal senso, ma consegue solo all'accettazione dell'eredità, espressa o tacita, la cui ricorrenza rappresenta un elemento costitutivo del diritto azionato nei confronti del soggetto evocato in giudizio nella predetta qualità. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione di merito che aveva ritenuto provata l'assunzione della qualità di erede del convenuto in forza della mancata risposta all'invito di pagare il debito ovvero della mancata allegazione da parte di quest'ultimo della rinuncia all'eredità).

Cass. civ. n. 6275/2017

Nel giudizio promosso o proseguito nei confronti dell'erede del debitore, che sia nel possesso dei beni ereditari ed abbia eccepito l'avvenuta rinuncia all'eredità, il creditore non deve proporre alcuna domanda volta all'accertamento dell'inefficacia di detta rinuncia, per essere la stessa intervenuta dopo la scadenza del termine previsto dall'art. 485 c.c., giacché la prova dell'inutile decorso di tale termine, senza che l'inventario sia stato redatto, implica che il chiamato all'eredità debba essere considerato erede puro e semplice e determina, di per sé, l'inefficacia della rinuncia medesima, facendo, pertanto, venire meno la necessità sia di una sua specifica impugnazione, che di un accertamento, con efficacia di giudicato, sulla questione della qualità di erede.

Cass. civ. n. 16514/2015

In caso di eredità beneficiata, spetta all'erede provare la tempestiva formazione dell'inventario e non al creditore - che intenda far valere la responsabilità "ultra vires" del primo - il ritardo o l'omissione dell'adempimento, trattandosi di un elemento costitutivo del relativo beneficio. (Nella specie, la S.C. ha escluso fosse sufficiente la circostanza che gli eredi, opponenti la cartella esattoriale per debiti del loro dante causa verso l'INPS, avessero accettato in sede notarile l'eredità con beneficio d'inventario, non avendo anche provato che si fossero svolte, nei termini stabiliti, le successive operazioni richieste dalla legge).

Cass. civ. n. 13491/2014

In ipotesi di giudizio instaurato nei confronti del preteso erede per debiti del "de cuius", incombe su chi agisce, in applicazione del principio generale contenuto nell' art. 2697 c.c., l'onere di provare l'assunzione da parte del convenuto della qualità di erede, qualità che non può desumersi dalla mera chiamata all'eredità, non essendo prevista alcuna presunzione in tal senso, ma consegue solo all'accettazione dell'eredità, espressa o tacita, la cui ricorrenza rappresenta un elemento costitutivo del diritto azionato nei confronti del soggetto evocato in giudizio nella sua qualità di erede.

Cass. civ. n. 10054/2014

In tema di accettazione beneficiata, il prolungamento dei termini per la redazione dell'inventario in presenza di minori chiamati all'eredità, ai sensi dell'art. 489 cod. civ., non si estende ai loro rappresentanti che eventualmente siano chiamati in proprio.

Cass. civ. n. 5862/2014

Ai sensi dell'art. 485 c.c. il chiamato all'eredità, che si trovi nel possesso di beni ereditari, ha l'onere di fare l'inventario e la mancanza dell'inventario, nei termini prescritti dalla legge, comporta che il chiamato vada considerato erede puro e semplice e che lo stesso, quindi, perda non solo la facoltà di accettare l'eredità con beneficio dell'inventario, ma anche quella di rinunciare alla stessa.

Cass. civ. n. 5152/2012

In tema di successioni legittime, il chiamato all'eredità nel possesso dei beni ereditari ha l'onere di redigere l'inventario entro il termine di tre mesi dal giorno dell'apertura della successione, anche se sia di grado successivo rispetto ad altri chiamati, poiché, quando l'eredità si devolve per legge, si realizza una delazione simultanea in favore di tutti i chiamati, indipendentemente dall'ordine di designazione alla successione, come si evince dalle disposizioni di cui all'art. 480, comma terzo, e 479 c.c., che, con riferimento al decorso del termine per l'accettazione dell'eredità e alla trasmissione del diritto di accettazione, non distinguono tra i primi chiamati ed i chiamati ulteriori, conseguendone, per tutti, contestualmente, la nascita di facoltà ed oneri e, quindi, l'integrazione dell'ambito applicativo della fattispecie astratta di cui all'art. 485 c.c. Né a diversa conclusione può indurre la previsione, nel primo comma di questa disposizione, della notizia della devoluta eredità come fattispecie alternativa all'apertura della successione ai fini della decorrenza del termine per la redazione dell'inventario, in quanto l'espressione "devoluzione" deve intendersi come sinonimo di "delazione", ed il chiamato nella disponibilità dei beni ereditari è a conoscenza sia dell'apertura della successione sia della circostanza che i beni sui quali esercita la signoria di fatto sono proprio quelli caduti in successione.

Cass. civ. n. 2721/2010

In tema di accettazione di eredità con beneficio di inventario, il decreto con il quale il tribunale rigetta l'istanza di proroga del termine per la redazione dell'inventario non è impugnabile con ricorso per cassazione a norma dell'art. 111 Cost., in quanto, pur riguardando posizioni di diritto soggettivo, esso chiude un procedimento di tipo non contenzioso privo di un vero e proprio contraddittorio e non statuisce in via decisoria e definitiva su dette posizioni, stante la sua revocabilità e modificabilità alla stregua dell'art. 742 c.p.c.

Cass. civ. n. 2033/2010

In tema di accettazione dell'eredità con beneficio d'inventario, la proroga del termine per il compimento dell'inventario, prevista dall'art. 485, primo comma, c.c. e richiamata nel successivo art. 487, può essere concessa una sola volta, onde è perentorio il termine fissato con il provvedimento di proroga.

Cass. civ. n. 11018/2008

In tema di successione legittima, nella quota intestata a favore del coniuge superstite ex art. 581 c.c. non sono compresi i diritti di abitazione e di uso, per cui in caso di prosecuzione, dopo il decesso del marito, della abitazione della casa coniugale e dell'utilizzo dei mobili di arredo ivi esistenti da parte della moglie si configura, ai sensi e per gli effetti dell'art. 485 c.c., il possesso dei beni ereditari in capo al chiamato all'eredità, essendo sufficiente a questo scopo l'instaurazione di una relazione materiale intesa come situazione di fatto, anche circoscritta ad uno solo dei beni ereditari, che consenta l'esercizio di concreti poteri su di essi; ne consegue, in difetto di omessa redazione dell'inventario entro tre mesi dall'apertura della successione, l'accettazione ex lege dell'eredità.

Cass. civ. n. 16507/2006

In tema di successione mortis causa la delazione ereditaria ed il possesso dei beni ereditari da parte del chiamato, pur non risultando sufficienti ai fini dell'acquisto della qualità di erede, in quanto la prima ne costituisce soltanto il presupposto, mentre il secondo non presuppone di per sé la volontà di accettare l'eredità, rappresentano tuttavia circostanze valutabili, unitamente alla mancata redazione dell'inventario, ai fini dell'accertamento di un'eventuale accettazione ex lege di cui sono elementi costitutivi, appunto, l'apertura della successione, la delazione ereditaria, il possesso dei beni ereditari e la mancata tempestiva redazione dell'inventario (nella fattispecie, la S.C., in base all'enunciato principio, ha rigettato il ricorso avverso la sentenza di una commissione tributaria regionale, la quale aveva accertato in alcuni soggetti la qualità di eredi, come tali legittimamente destinatari di un avviso di accertamento di redditi non dichiarati dal de cuius).

Cass. civ. n. 10174/1998

Il termine per la redazione dell'inventario a norma dell'art. 485 c.c. è termine ordinatorio alla cui mancata osservanza non è collegato alcun effetto preclusivo. Tuttavia, ai sensi dell'art. 154 c.p.c. i termini ordinatori possono essere prorogati dal giudice che li ha emessi solo a condizione ch'essi non siano ancora scaduti e che la proroga non superi la durata del termine originario, mentre una eventuale ulteriore proroga è subordinata a che ricorrano motivi particolarmente gravi adeguatamente evidenziati nel provvedimento con il quale venga concessa.

Cass. civ. n. 7076/1995

La situazione di possesso, a qualsiasi, titolo di beni ereditari da parte del chiamato, quale prevista dall'art. 485 c.c. richiede solo una mera relazione materiale tra i beni ed il chiamato alla eredità e cioè una situazione di fatto che consenta l'esercizio in concreto di poteri sui beni stessi, accertata la quale incombe al chiamato, ove voglia sottrarsi alle conseguenze del cit. art. 485, l'onere di provare che, per un qualsiasi eccezionale evento, vi sia stata la materiale impossibilità di esercitare il possesso dei beni riguardo ai quali si configuri l'anzidetta situazione.

Cass. civ. n. 4707/1994

Il possesso dei beni ereditari previsto dall'art. 458 c.c. per l'acquisto della qualità di erede puro e semplice nel caso di mancata redazione dell'inventario nei termini di legge non deve necessariamente riferirsi all'intera eredità, essendo sufficiente il possesso di un solo bene (nella specie, un letto ed alcuni effetti personali) con la consapevolezza della sua provenienza, né deve manifestarsi in una attività corrispondente all'esercizio della proprietà dei beni ereditari, esaurendosi in una mera relazione materiale tra i beni ed il chiamato all'eredità, e cioè, in una situazione di fatto che consenta l'esercizio di concreti poteri su beni, sia pure per mezzo di terzi detentori, con la consapevolezza della loro appartenenza al compendio ereditario.

Cass. civ. n. 9142/1993

La disposizione dell'art. 485 c.c., secondo cui il chiamato all'eredità che è a qualunque titolo nel possesso dei beni ereditari, è considerato erede puro e semplice, ove non ottemperi alle disposizioni circa la compilazione dell'inventario nel termine prescritto, non è applicabile (anche ai fini dell'esercizio dell'azione di riduzione dei legittimari) nell'ipotesi di eredità devolute ai minori, posto che nei confronti di tali soggetti la decadenza dal beneficio d'inventario non può avvenire, a norma dell'art. 489 c.c., se non al compimento di un anno dalla maggiore età, restando escluso che, una volta che l'inventario sia stato eseguito, sia pure nel mancato rispetto del termine di cui all'art. 485 citato, ma in costanza della minore età del chiamato, questi debba reiterare, per conservare la posizione di erede beneficiario, un inventario già compiuto, entro l'anno dal raggiungimento della maggiore età.

Cass. civ. n. 1317/1984

Sia gli artt. 959 e 960 c.c. del 1865, sia la corrispondente norma del codice civile vigente (art. 485) nel riferirsi all'erede o al chiamato all'eredità che si trovi nel possesso dei beni ereditari «al momento dell'apertura della successione» danno rilevanza alla sussistenza ma non alla durata del possesso con la conseguenza che nessun effetto negativo dell'attribuzione di quel titolo può derivare dalla circostanza che, dopo aver posseduto anche per un solo giorno i beni ereditari, l'erede (o il chiamato) perda tale possesso, rimanendo sempre a carico del predetto il compimento in tre mesi dell'inventario (o la rinunzia all'eredità) e così, in caso di inottemperanza, l'attribuzione della qualità di erede puro e semplice con la correlativa possibilità di trasmettere in via successoria i beni ereditari.

Cass. civ. n. 2014/1970

La disposizione dell'art. 485 c.c., che considera erede puro e semplice il chiamato all'eredità il quale, essendo in possesso, a qualsiasi titolo, di beni ereditari, non faccia l'inventario entro i termini nella norma stessa previsti, non riguarda il donatario, chiamato per legge, che abbia ricevuto beni dal de cuius quando questi era in vita, con atto di liberalità. In tale caso, vi è un titolo (la donazione) che giustifica il trasferimento del bene, che, quindi, non entra a far parte dell'asse ereditario, salvo che non sia vittoriosamente esperita l'azione di riduzione o, nelle ipotesi di collazione, il donatario non scelga di conferire il bene stesso in natura. Può dunque parlarsi di possesso, da parte del legittimario, di beni ereditari, solo in quanto il medesimo non possa vantare alcun titolo di trasferimento sui beni stessi, il legittimario perciò non può essere considerato erede, ex art. 485 c.c., solo perché in possesso di beni già di proprietà del de cuius, da questi donatigli quando era in vita.

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Consulenze legali
relative all'articolo 485 Codice Civile

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F. A. chiede
domenica 04/05/2025
“Salve, la mia situazione è la seguente: il 25/3 è mancata mia mamma e noi eredi (io, mia sorella e mio papà) abbiamo accettato l'eredità con beneficio di inventario con atto notarile. Dobbiamo ancora fare l'inventario. Mia mamma non aveva né beni immobili né beni mobili intestati. Aveva un conto bnl cointestato con mio papà dove riceveva la pensione e un conto personale intesa-san paolo. Aveva 4 prestiti in essere, per un residuo complessivo di circa 20 mila euro. Richiedo una consulenza per capire come gestire alcune questioni e per evitare di commettere errori che possano farci decadere dal beneficio di inventario. Le mie domande sono le seguenti:

1) Le operazioni fatte da mio papà/passate sul conto cointestato dopo il decesso e prima che il conto venisse bloccato possono costituire un problema e rappresentare un'accettazione tacita? Possono o devono essere giustificate in qualche modo e/o inserite nell'inventario? Le operazioni sono le seguenti:

- accredito di + 5.000 euro per un prestito personale richiesto da mio papà 1 o 2 giorni prima del decesso e accreditato il giorno del decesso.
- 4 prelievi contanti da 250 euro ciascuno, per un totale di 1.000 euro;
- 2 pagamenti con bancomat di mio papà in supermercati, per un totale di 150 euro;
- 1 pagamento con bancomat di mio papà al benzinaio di 40 euro;
- addebito utenza sky intestata a mio papà di 100 euro, passata in automatico;
- accredito pensione di mio papà + 2.000 euro il giorno 1/4, passata in automatico.

Aggiungo che il saldo del conto il giorno del decesso (prima delle operazioni che ho elencato) era di circa - 6.000 euro (il conto aveva un fido di 7.500 euro, che rappresentava la somma di 2 pensioni di mia mamma + 2 pensioni di mio papà). Il saldo finale dopo queste operazioni è di circa - 500 euro. Le 2 operazioni automatiche sono passate dopo che il conto è stato bloccato. Come va gestito il fatto che il saldo attuale è diverso da quello del giorno del decesso? Ci sono operazioni che possono o devono essere stornate in quanto non autorizzate/legittime?

2) Mobili, arredi ed elettrodomestici devono essere stimati e inseriti nell'inventario? Considerando che erano e sono ad uso comune (viviamo tutti nella stessa casa, intestata a mio papà), che i miei erano in regime di separazione dei beni e che i mobili erano dei nonni paterni? quest'ultima affermazione non può essere provata, né può essere provato il contrario.

3) Mio papà può vendere la macchina (valore 7 mila euro) intestata a lui anche se è stata acquistata con il conto cointestato 2 anni fa? Il dubbio è sempre quello di poter decadere dal beneficio di inventario.

4) Come vanno gestite le spese funerarie? noi abbiamo pagato una prima parte di 1.000 euro in contanti e dobbiamo ancora saldare 2.500 euro. Possiamo pagarle? Dobbiamo inserirle nell'inventario? è opportuno giustificare i prelievi contanti di mio papà come spese funerarie? Perché da un lato ho letto che le spese funerarie sono le uniche ammesse dal conto del defunto; dall'altro, invece, ho letto che pagarle con i soldi dell'eredità e non con soldi nostri può essere un problema. Avendo pagato solo una parte in contanti possiamo farle figurare in un modo o nell'altro, dobbiamo solo capire qual è la cosa migliore.

5) Se dall'inventario non risulta niente di valore (niente beni immobili né beni mobili intestati) ma solo oggetti personali di scarso valore economico (come vestiti, bigiotteria ecc.), dobbiamo pagare qualcosa ai creditori? In quanto eredi beneficiati siamo tenuti a fare qualche operazione di liquidazione dei beni personali o altra procedura dopo l'inventario? C'è la possibilità concreta che i creditori possano richiedere qualcosa o fare qualche tipo di opposizione contro di noi?”
Consulenza legale i 10/05/2025
Il primo comma dell’art. 470 del c.c. dispone che l’eredità può essere accettata puramente e semplicemente oppure con beneficio d'inventario.
La prima forma di accettazione comporta la confusione dei patrimoni, circostanza che non si verifica nel caso di accettazione beneficiata, con la naturale conseguenza che l’erede pagherà i debiti ereditari e i legati solo entro il valore dei beni a lui pervenuti (così il comma 2, n. 2, dell’art. 490 del c.c.).
La ragione per cui il legislatore consente all’erede di limitare la propria responsabilità si ritiene essere quella di evitare che, in caso di eredità gravata da debiti, il chiamato sia indotto a rinunciare, con la conseguenza che il compito della liquidazione finisca per gravare sullo Stato.

Una delle fasi essenziali dell’accettazione beneficiata è la redazione dell’inventario, che deve essere effettuata nelle forme prescritte dagli artt. 769777 c.p.c. e dagli artt. 52, 161 e 192 disp. att. c.p.c.
La finalità dell’inventario, come può apparire evidente, è quella di accertare la consistenza del patrimonio ereditario, individuando le attività e le passività ed elencandole in un apposito documento, al fine di determinare i limiti entro i quali l’erede sarà tenuto a rispondere dei debiti del defunto e di evitare che i beni ereditari possano confondersi con quelli dell’erede, sottraendosi così alle pretese dei creditori ereditari.

Fatta questa premessa di carattere generale, si procederà ora ad analizzare se, nel caso di specie, sussistano le condizioni per avvalersi della forma di accettazione dell’eredità prescelta.
In primo luogo, si ritiene opportuno precisare che, stando a quanto riferito nel quesito, la posizione dei chiamati e, in particolare, del coniuge superstite sembra essere quella di chiamato in possesso dei beni.
Ciò comporta che, anche al fine di conseguire con maggiore certezza l’effetto desiderato, la norma di riferimento debba essere individuata nell’art. 485 c.c., il quale impone di compiere l’inventario entro il termine di tre mesi dall’apertura della successione.
Se entro tale termine l’inventario è stato avviato, ma non si è riusciti a completarlo, è consentito chiedere al Tribunale del luogo in cui si è aperta la successione una proroga che, salvo particolari circostanze, non può eccedere i tre mesi.

La previsione di un termine così ristretto ha l’evidente scopo di tutelare i terzi, in particolare i creditori, sotto molteplici profili, e precisamente:
  1. garantisce l’integrità del patrimonio ereditario;
  2. consente di raggiungere in tempi brevi certezza in ordine alla destinazione dell’eredità.
Per espressa previsione della norma sopra citata, inoltre, il possesso può essere esercitato dal chiamato a qualsiasi titolo, quindi anche a titolo di custodia o di affidamento temporaneo; ciò significa che si dovrà considerare giuridicamente rilevante qualsiasi rapporto materiale tra il chiamato e i beni ereditari, sia che esso si traduca in un possesso propriamente detto (ai sensi dell’art. 1140 del c.c.), sia che consista in una mera detenzione.

Ora, nel caso in esame, si ritiene che il rischio di trovarsi in una situazione di possesso di beni ereditari possa farsi discendere dalla circostanza per cui il coniuge superstite ha continuato a utilizzare il conto cointestato con la de cuius. Tuttavia, ciò non deve destare preoccupazione ai fini di un’eventuale decadenza dal beneficio di inventario, quanto piuttosto confermare – come già anticipato – l’opportunità di attenersi scrupolosamente alle scadenze temporali prescritte dall’art. 485 c.c.
Non sussiste, infatti, alcun rischio di decadenza, non solo perché il conto sul quale si è operato è cointestato, ma anche perché nulla è stato sottratto alla garanzia dei creditori; anzi, il saldo negativo del conto risulta perfino essere stato ridotto dopo l’apertura della successione.

Del resto, trattandosi di un rapporto bancario, risulta estremamente agevole, per il pubblico ufficiale incaricato della redazione dell’inventario, cristallizzare la situazione al momento dell’apertura della successione: basterà, infatti, richiedere all’istituto di credito il saldo alla data di apertura.

A ciò si aggiunga un’ulteriore considerazione.
L’ipotesi del conto corrente cointestato è disciplinata nel nostro ordinamento dall’art. 1854 del c.c., il quale dispone espressamente che gli intestatari del conto sono considerati creditori o debitori in solido dei saldi.
Ciò comporta che, nel momento in cui uno degli intestatari del conto muore, quest’ultimo si divide in tante unità ideali quanti sono gli intestatari.
Nel caso di conto intestato a due coniugi, si formano dunque due unità ideali, delle quali una rimane di proprietà del coniuge superstite cointestatario, mentre l’altra entra a far parte del patrimonio ereditario.

L’istituto di credito presso cui è stato aperto il conto corrente, pertanto, avrebbe dovuto, a rigore, procedere a un blocco parziale del conto – in attesa che gli eredi presentassero all’Agenzia delle Entrate la dichiarazione di successione – senza impedire all’altro cointestatario di operare.
Per quanto riguarda la concreta formazione delle quote, in assenza di una volontà testamentaria della de cuius, trovano applicazione le norme in tema di successione legittima, in particolare l’art. 581 del c.c., che prevede la formazione di differenti quote, a seconda che il coniuge superstite concorra con uno o più figli.

Tutto ciò consente di affermare che le operazioni effettuate tra il momento di apertura della successione e il blocco totale del conto non possono pregiudicare gli effetti del beneficio d’inventario, considerato che, al netto degli addebiti automatici, sono state compiute dal coniuge superstite nella sua qualità di cointestatario del conto corrente.
In sede di inventario, sarà sufficiente produrre e chiedere l’allegazione dell’estratto conto alla data di apertura della successione, da cui risulta un saldo negativo pari a euro 6.000.

Per quanto concerne i mobili che arredano l’abitazione in cui ha vissuto la de cuius, occorre fare le seguenti precisazioni.
La permanenza del coniuge superstite nell’abitazione familiare, dopo il decesso dell’altro coniuge, integra l’ipotesi di esercizio del diritto di abitazione e di uso dei mobili.
Tale diritto, secondo quanto affermato dalla giurisprudenza (Cass. 14.05.1994 n. 4707; Cass. 22.06.1995 n. 7076; Cass. 16.11.2015 n. 23406), è riconosciuto in capo al coniuge superstite ex art. 540 del c.c.; pertanto, è escluso che lo stesso – così come gli altri familiari che continuano a vivere nell’immobile – possa essere qualificato come possessore di beni ereditari ai sensi dell’art. 485 c.c.

In altri termini, il possesso dell’abitazione familiare e dei mobili che la corredano, da parte del coniuge superstite, non rileva quale possesso di beni ereditari, in quanto tale permanenza si configura come esercizio dei diritti di abitazione e di uso, spettanti ex lege al coniuge superstite in qualità di legatario.

A prescindere da quanto sopra, si aggiungano le seguenti ulteriori considerazioni:
  1. per i mobili presenti all’interno di un’abitazione vige la presunzione di appartenenza in favore di tutti coloro che risultano ivi residenti;
  2. secondo la regola desumibile dall’art. 514 del c.p.c., rubricato “Cose mobili assolutamente impignorabili”, non possono formare oggetto di espropriazione i beni ivi elencati, indispensabili al debitore e alle persone della sua famiglia conviventi con lui.
Con ciò si vuole, in sostanza, suggerire di invitare il pubblico ufficiale che procederà alla redazione dell’inventario (notaio o cancelliere) a escludere tali beni dall’inventario, sia per le considerazioni sopra esposte – ovvero che non appartengono integralmente alla de cuius e non sarebbero comunque vendibili – sia perché, in ogni caso, il coniuge superstite vanta su di essi un diritto d’uso riconosciuto dalla legge.
Inoltre, coloro che assisteranno alle operazioni di inventario (coniuge e figli) potranno far presente, come indicato nel quesito, che trattasi di mobili trasmessi dai nonni paterni, chiedendone l’esclusione anche per tale ulteriore ragione.

Facendo il punto di quanto detto finora, si possono così fornire risposte alle prime due domande:
  1. le operazioni eseguite sul conto cointestato non possono comportare decadenza dal beneficio d’inventario, trattandosi di un conto sul quale l’altro coniuge ha pieno diritto di operare;
  2. mobili, arredi ed elettrodomestici non dovrebbero essere inseriti nell’inventario, potendosi far presente al pubblico ufficiale redigente che si tratta di beni di provenienza ereditaria, in ogni caso comuni, inespropriabili e sui quali il coniuge superstite vanta un diritto di uso ex art. 540, comma 2, c.c.

L’altro interrogativo che si pone concerne la possibilità o meno di alienare liberamente l’autovettura intestata al coniuge superstite.
È certamente consentito vendere tale bene, in quanto trattasi di autovettura non facente parte della successione della de cuius, essendo intestata all’altro coniuge, il quale, peraltro, era con lei in regime di separazione dei beni.
È infondato il timore che i creditori possano contestare che l’acquisto dell’autovettura sia stato effettuato con l’utilizzo di fondi comuni, poiché, come riferito nel quesito, le somme utilizzate sono state prelevate da un conto cointestato, e risulta dunque impossibile dimostrare se si trattasse di denaro appartenente all’uno o all’altro cointestatario.

Un ulteriore quesito attiene al regime delle spese funerarie.
Al riguardo, va premesso che, secondo una tesi pressoché pacifica, le spese funerarie e di sepoltura rientrano tra i cosiddetti debiti e pesi ereditari, poiché sorgono in conseguenza della morte del de cuius.
In tal senso si è espressa la giurisprudenza di legittimità con la sentenza n. 2975/1991 e, sebbene non esista una norma che lo stabilisca in modo espresso, tale qualificazione può essere altresì desunta dal disposto dell’art. 2751 del c.c., rubricato “Crediti per le spese funebri, d’infermità, alimenti”.
Tale norma riconosce un privilegio generale sui beni mobili del defunto per i crediti relativi alle “spese funebri necessarie secondo gli usi”, dando luogo a una sorta di separazione patrimoniale tra il defunto e l’erede, circostanza che lascia presumere si tratti di veri e propri debiti ereditari, dei quali rispondono gli eredi.

In genere, i costi della sepoltura sono sostenuti dai cosiddetti chiamati all’eredità. Nella prassi accade spesso che uno solo dei chiamati li anticipi, per poi ripartirli tra tutti gli eredi. Colui o coloro che li sostengono hanno diritto a essere rimborsati da chi accetterà l’eredità, in proporzione alle rispettive quote.
Nel caso in esame, tuttavia, poiché i chiamati all’eredità hanno già manifestato la volontà di accettare, seppure con beneficio d’inventario, sarà consentito utilizzare denaro ereditario, se disponibile, per far fronte a tali spese, facendo poi risultare le stesse, al momento della redazione dell’inventario, tra i debiti ereditari.

Infine, rispondendo all’ultima delle domande poste, va detto che, se dall’inventario dovessero risultare solo alcuni oggetti personali della defunta, di scarso valore economico, si potrà fare ricorso alla cosiddetta liquidazione individuale prevista dall’art. 495 del c.c., per la quale non è richiesto il rispetto di particolari formalismi, essendo sufficiente che l’erede provveda al pagamento di creditori e legatari man mano che si presentano.
Qualora, come sembra potersi intuire, nel patrimonio ereditario non vi sia denaro, si potrà procedere, con l’assistenza di un notaio, alla liquidazione degli eventuali beni inventariati, sempre che a tali beni possa essere attribuito un valore economico concretamente realizzabile.
In caso contrario, sarà possibile far constare al giudice delle successioni l’assenza di attivo e richiedere la chiusura dell’eredità beneficiata per mancanza di beni.
In tal caso, gli eredi non saranno in alcun modo tenuti a rispondere dei debiti della defunta.


Anonimo .. chiede
venerdì 10/05/2024
“Spett.le Brocardi.it

Oggetto: Accettazione presunta dell'eredità.

La nonna defunta (A), con testamento dona:
-1) l’immobile alla nipote (B) comprensivo di arredi e mobili necessari per la vita, senza specifico inventario comunque genericamente indicati nel testamento.
-2) In aggiunta, cede al padre (C) della nipote (B), figlio della nonna (A) e unico legittimo erede, il diritto di abitazione (non usufrutto) dello stesso immobile comprendente come suddetto, di arredi e mobili necessari per la vita, genericamente indicati nel testamento.
I suddetti chiamati (B e C) hanno accettato l’eredità come dalle suddette disposizioni testamentarie.
Successivamente il padre (C) della nipote muore, e le passività superano le attività.
Di conseguenza, la figlia rinuncia all’eredità ex art. 519 c. c. presso il Tribunale dell’ultima residenza/domicilio del defunto padre.
Il creditore del padre defunto ha richiesto alla figlia il pagamento del debito del padre, considerando che abbia tacitamente accettato l’eredità del padre in violazione dell’art. 485 c. c.; poiché in sede di rinuncia dell’eredità, avvenuta tre mesi dopo dalla morte del padre, la figlia non ha redatto l’inventario dei beni del padre defunto presenti all’interno dell’abitazione ereditata dalla nonna, per la quale il padre defunto ne aveva il diritto di abitazione.
In sostanza, il creditore ipotizza che all’interno dell’abitazione ci fossero beni mobili appartenenti al padre defunto (oltre a quelli genericamente indicati nel testamento di proprietà della nonna e donati alla nipote con l’immobile).
La sentenza Cass. civ. sez. II n. 7076 del 22.05.1995, è simile al caso di specie, sebben riguardi un immobile lasciato dal padre (e non da un terzo la nonna).
Tuttavia, trattandosi di un usufrutto anziché di un diritto di abitazione come nel nostro caso, la situazione è diversa. Inoltre, sembra che la sentenza implichi che la presunzione del possesso dei beni mobili del defunto all'interno dell'abitazione sussista, solo se nel testamento non vi è alcuna indicazione della loro presenza, il che non è il caso di specie, poiché la donazione dei mobili è inclusa nel testamento, seppur non inventariata.
Anche un inventario dettagliato dei beni mobili presenti nell'immobile non avrebbe superato la presunzione della presenza di ulteriori beni mobili del padre defunto.
L'unica soluzione sarebbe stata offrire al creditore di verificare l'inventario con i beni mobili presenti nell'abitazione. Tuttavia, ciò è un'azione abnorme, considerando che è il creditore a dover provare il possesso dei beni del defunto da parte del rinunciatario all’eredità e non viceversa, come stabilito dall'art. 2697 del codice civile.
Gradirei un parere sulle concrete possibilità del creditore di vedere accolta la sua richiesta da parte del giudice nella fattispecie esposta, e in caso positivo quale ulteriore accortezza avrebbe dovuto adottare la nonna o la nipote, al fine di scongiurare un’ accettazione presunta dell'eredità.

Cordiali saluti”
Consulenza legale i 16/05/2024
La lettura del testamento e delle espressioni usate dalla testatrice avrebbe sicuramente consentito di poter esprimere un giudizio più aderente alla presumibile volontà della de cuius.
Attenendoci semplicemente a quanto riportato nel testo del quesito, si ritiene che la sentenza ivi citata (alla quale, si vuole precisare, hanno fatto seguito la sentenza n. 4845/2003 e l’ordinanza n. 5862/2014 sempre della Suprema Corte di Cassazione) non possa adattarsi al caso di specie.
In particolare, nel caso preso in esame dalla sentenza della Cass. civ. Sez. II n. 7076/1995 alla base della vicenda si pone la donazione dal genitore (debitore) al figlio (erede rinunciante) della nuda proprietà di una casa di abitazione, con riserva di usufrutto in favore dello stesso donante.
Sembra evidente che in un caso come questo tutto ciò che si trova all’interno dell’abitazione non possa che essere di proprietà dell’usufruttuario, essendo questi il solo soggetto cui spetta il diritto di continuare a godere dell’immobile in cui viveva.

Del tutto diversa, invece, è la situazione che qui si presenta, in quanto sia l’immobile ove si asserisce che debbano trovarsi beni mobili di proprietà del defunto che i beni mobili che lo arredano sono inequivocabilmente riconducibili ad un soggetto estraneo alla attuale vicenda successoria, ovvero alla defunta Sig.ra A, nonna di B e madre di C.
Il sig. C, deceduto in data successiva ad A, si trovava all’interno di quell’immobile in forza di un diritto di abitazione concessole per testamento e di semplice uso del mobili che lo arredavano, la cui nuda proprietà (sia dell’immobile che dei mobili) faceva capo al nipote B, sempre in forza di testamento.
Alla morte dell’habitator Sig. C, non può che conseguirne la riunione in capo al nipote B della piena proprietà sia dei mobili che dell’immobile, nulla residuando nel patrimonio di C.

A nulla sarebbe valso redigere un inventario dettagliato dei singoli beni che arredavano quell’abitazione, trattandosi di beni di cui C aveva in ogni caso il semplice diritto di uso; peraltro, come giustamente si osserva nel quesito, anche a voler ammettere che C avesse introdotto in quell’abitazione beni personali, incombe sempre su chi intende portare avanti tale tesi l’onere di sostenerne la non facile prova in giudizio.

A quest’ultimo proposito si potrebbe in contrario richiamare quanto sostenuto dalla S.C. sempre nella sentenza sopra citata, nella parte in cui è detto quanto segue:
“…la Corte del merito è pervenuta alla censurata conclusione, senza tener presente che, per il nostro ordinamento giuridico, le presunzioni semplici, di cui all’art. 2729 del c.c., quando presentino i caratteri della gravità, precisione e concordanza, costituiscono una prova completa, sulla quale il giudice può ben fondare il suo convincimento e, quindi, la decisione della controversia (cfr. Cass. 21 dicembre 1988, n. 6987)…” .
In quel caso le circostanze di fatto che apparivano pacifiche in causa e sulle quali la Corte del merito avrebbe dovuto fondare il suo convincimento erano le seguenti:
  1. che il de cuius aveva donato al figlio la sola nuda proprietà dell’immobile da lui abitato e non anche le suppellettili ed i mobili costituenti l’arredo minimo domestico, indispensabile ai fini dell’abitazione nell’immobile medesimo;
  2. il donante, che si era riservato l’usufrutto dell’immobile, mantenne la sua abitazione in esso fino alla sua morte;
  3. alla morte del genitore, il figlio donatario, anche chiamato ex lege all’eredità paterna, conseguì per la riunione dell’usufrutto alla nuda proprietà, il pieno possesso dell’immobile, nel quale il padre aveva abitato fino al momento della sua morte.

Ebbene, nessuna di tali circostanze può considerarsi ricorrente nel caso di specie, in quanto:
  1. sia l’immobile che i mobili non sono mai stati di proprietà del de cuius, ma della di lui madre Sig.ra A;
  2. fino a prima della morte di A quell’immobile aveva costituito abitazione della stessa A e non di C, il che induce a non poter ritenere sussistente la circostanza di cui alla lett. b);
  3. alla morte di C il figlio B consegue la piena proprietà di beni che non sono mai entrati nel patrimonio dello stesso C, avendone questi soltanto un diritto di uso.
Tali considerazioni valgono anche ad escludere che possa ritenersi ricorrente nel caso in esame quello che la S.C., nella citata sentenza, considera quale presupposto imprescindibile dell’acquisto, ovvero che il chiamato si trovi a qualsiasi titolo nel possesso di beni ereditari, anche se mobili, dal che se ne deve far conseguire, ex art. 485 c.c., l’acquisto da parte dello stesso chiamato della qualità di erede per mancata redazione dell’inventario entro il termine di tre mesi dall’apertura della successione.


SERAFINO D. B. chiede
venerdì 30/03/2018 - Lazio
“Sono trascorsi 12 anni dalla morte del de cuis , non ho mai fatto né l'inventario, né la rinuncia, né l'accettazione, non ho mai usato la casa oggetto dell'eredita, né posseduto mai la chiave, a differenza di altri eredi che hanno usato la casa e provveduto a tutte le spese dell'immobile. Ora quale e' la mia posizione? L'eredita non mi interessa, e vorrei uscire fuori completamente e per sempre da questa eredità e da tutte le responsabilità future. Ringrazio per un chiarimento.”
Consulenza legale i 09/04/2018
Il diritto di accettare l’eredità si prescrive entro il termine di 10 anni: lo stesso termine si ha per rinunciare all’eredità stessa o per accettarla con beneficio d'inventario.

Inoltre, la prescrizione è fatta salva anche per gli eredi del chiamato all’eredità, nel senso che:
  1. se egli muore prima del decorso di 10 anni, trasmetterà ai suoi eredi il diritto di accettare (ciò, però, sempre nel rispetto del termine originario: vale a dire che se il chiamato muore dopo 6 anni dall’apertura della successione, i suoi eredi avranno il diritto di accettarla al posto suo ancora per 4 anni solamente);
  2. se egli non accetta entro i 10 anni e muore dopo 14 anni dall’apertura della successione, anche i suoi eredi avranno ormai perso il diritto di accettare.
Diverso, però, è se il chiamato si trova nel possesso di beni ereditari (ad esempio un figlio che viva assieme al padre nella casa di proprietà di quest’ultimo ed il padre muoia).
In tal caso, infatti, la legge prevede un’ipotesi di acquisto dell’eredità ex lege, anche contro la volontà del chiamato.
Infatti, se quest’ultimo non effettua l’inventario entro tre mesi oppure lo completa ma non rende poi la relativa dichiarazione al notaio o al cancelliere del Tribunale competente (art. 484, 1° comma, c.c.), si considera erede “puro e semplice”, ovvero il suo patrimonio si mescola a quello del de cuius, come accade nell’ipotesi di accettazione dell’eredità, con tutto ciò che ne consegue in ordine a debiti e pesi ereditari, di cui l'erede si dovrà far carico integralmente.

Perché si verifichi quest’ipotesi basta il possesso di uno qualsiasi dei bei ereditari, anche se si ritiene che debba trattarsi di beni che hanno un qualche rilievo economico. Inoltre, condizione necessaria è quella per cui il chiamato deve essere a conoscenza della chiamata (che, cioè, si è aperta la successione e che lui è uno dei possibili eredi) nonché del fatto che il bene di cui è in possesso è bene appartenente all'eredità (Cass. civ. Sez. II, 30/03/2012, n. 5152).
Per possesso, infine, deve intendersi qualsiasi forma di apprensione materiale, compresa la semplice detenzione: “(…) per possesso si deve intendere qualunque relazione materiale con un bene ereditario da parte del chiamato all'eredita consapevole dell'appartenenza del bene al compendio ereditario.” (Trib. Monza, 11/01/2006).

Per tornare al quesito, dunque, la posizione del chiamato dipende dalla circostanza che egli sia o meno nel possesso effettivo (detenzione materiale) di un bene ereditario: se non lo è, egli sarà definitivamente libero da ogni vincolo (compresi i debiti ereditari), essendosi ormai prescritto il termine per accettare o per rifiutare l'eredità; se invece lo è e non ha fatto l'inventario nel termine di tre mesi dall'apertura della successione, è automaticamente divenuto erede, senza bisogno di accettazione, e dovrà farsi carico dei pesi ereditari.

Angela chiede
lunedì 23/04/2012 - Toscana
“Il mio quesito è se mio padre, in possesso dei beni di mia madre (deceduta da più di tre mesi)può ancora rinunciare all'eredità, visto che al CAF ci avevano informati che la rinuncia poteva essere fatta entro un anno dal decesso.
Considerando inoltre che nell'asse ereditario non esiste alcuna passività e che io (figlia)e coerede sono disposta ad accettare l'eredità stessa.
Spero vogliate chiarirmi. Grazie”
Consulenza legale i 23/04/2012

Se il chiamato all'eredità si trova a qualsiasi titolo nel possesso dei beni ereditari, anche di un solo bene del compendio, la legge stabilisce che trascorsi tre mesi dall'apertura della successione o della notizia della devoluzione dell'eredità, senza che sia intervenuto un atto di rinuncia o che che sia stato compiuto l'inventario, il chiamato si intende erede puro e semplice (art. 485 del c.c.).

Si tratta di un'ipotesi di c.d. accettazione legale, coatta o presunta, in quanto le conseguenze dell'accettazione sono stabilite dalla legge a prescindere dalla volontà espressa o tacita del chiamato.

Nel caso prospettato, il chiamato si trovava nel possesso dei beni all'apertura della successione, che si verifica al momento della morte e nel luogo dell'ultimo domicilio del defunto (art. 456 del c.c.). Essendo trascorsi più di tre mesi da tale momento senza che il chiamato abbia rinunziato o abbia fatto l'inventario dei beni, quest'ultimo si deve considerare erede puro e semplice.


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