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Articolo 2643 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 31/01/2024]

Atti soggetti a trascrizione

Dispositivo dell'art. 2643 Codice Civile

Si devono rendere [2645 ss., 2651 ss.] pubblici [1403] col mezzo della trascrizione [2644, 2648, 2657, 2658, 2663, 2679 n. 1](1):

  1. 1) i contratti che trasferiscono la proprietà di beni immobili [769, 812, 1197, 1350 n. 1, 1470, 1472, 1543, 2247, 2556, 2648, 2651, 2914];
  2. 2) i contratti che costituiscono, trasferiscono o modificano il diritto di usufrutto [978] su beni immobili, il diritto di superficie [952], i diritti del concedente e dell'enfiteuta [1350 n. 2, 2648, 2651];
  3. 2-bis) i contratti che costituiscono, trasferiscono o modificano i diritti edificatori comunque denominati, previsti da normative statali o regionali, ovvero da strumenti di pianificazione territoriale(2);
  4. 3) i contratti [1350 n. 3] che costituiscono la comunione dei diritti menzionati nei numeri precedenti;
  5. 4) i contratti che costituiscono o modificano servitù prediali [1027 ss., 1058], il diritto di uso [1021] sopra beni immobili, il diritto di abitazione [1022, 1350 n. 4, 2648, 2651];
  6. 5) gli atti tra vivi di rinunzia ai diritti menzionati nei numeri precedenti [507, 1070, 1104, 1350 n. 5];
  7. 6) i provvedimenti con i quali nell'esecuzione forzata [952, 965, 980, art. 1021 del c.c., 1022, 1027, 2019, 555, 574, 586, 590] si trasferiscono la proprietà di beni immobili [812] o di altri diritti reali immobiliari, eccettuato il caso di vendita seguita nel processo di liberazione degli immobili dalle ipoteche a favore del terzo acquirente [2889, 2896];
  8. 7) gli atti e le sentenze di affrancazione del fondo enfiteutico [971, 1350 n. 6];
  9. 8) i contratti di locazione di beni immobili che hanno durata superiore a nove anni [1350 n. 8, 1572, 1599, 1628, 2923];
  10. 9) gli atti e le sentenze da cui risulta liberazione o cessione di pigioni o di fitti non ancora scaduti, per un termine maggiore di tre anni [1605, 2918, 2924];
  11. 10) i contratti di società [2247, 2291, 2313, 2325, 2328 n. 6, 2452, 2463 n. 5, 2511, 2521 n. 5] e di associazione con i quali si conferisce il godimento di beni immobili o di altri diritti reali immobiliari, quando la durata della società o dell'associazione eccede i nove anni o è indeterminata [1350 n. 9; 231 disp. att.];
  12. 11) gli atti di costituzione dei consorzi [862, 863] che hanno l'effetto indicato dal numero precedente [2062, 2063, 231 disp. att.];
  13. 12) i contratti di anticresi [1350 n. 7, 1960; 231 disp. att.];
  14. 12-bis) gli accordi di mediazione che accertano l'usucapione con la sottoscrizione del processo verbale autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato(3);
  15. 13) le transazioni che hanno per oggetto controversie sui diritti menzionati nei numeri precedenti [1350 n. 12, 1965];
  16. 14) le sentenze [1032, 2932] che operano la costituzione, il trasferimento o la modificazione di uno dei diritti menzionati nei numeri precedenti [2945 ss., 2655].

Note

(1) L'obbligo di trascrizione grava sui notai e sugli altri pubblici ufficiali roganti, mentre per le parti rappresenta un mero onere (v. 2671). Il notaio o altro pubblico ufficiale, che ha ricevuto un atto soggetto a trascrizione, ha l'obbligo di assicurarsi che questa venga eseguita nel più breve tempo possibile, risultando tenuto al risarcimento del danno in caso di ritardo.
(2) Il numero è stato inserito dal D. L. 13 maggio 2011, n. 70.
(3) Il numero è stato aggiunto dall'art. 84 bis, comma 1, del D. L. 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modificazioni dalla L. 9 agosto 2013, n. 98.

Ratio Legis

La norma elenca le categorie di atti aventi ad oggetto beni immobili, per le quali è previsto l'obbligo di trascrizione, con l'obiettivo di tutelare l'acquirente. Svolge sostanzialmente la stessa funzione del principio del possesso di buona fede enunciato dall'art. 1155, secondo cui, nel conflitto tra più acquirenti dello stesso proprietario, prevale colui che possiede la cosa alienata bona fide, cioè ignorando di ledere l'altrui diritto.

Brocardi

Prior in tempore, potior in iure

Spiegazione dell'art. 2643 Codice Civile

La trascrizione dei contratti: generalità

L’art. 2643 comprende un elenco di atti la cui trascrizione è disposta agli effetti dell'art. 2644. Tale elenco non è tassativo e va integrato dagli atti cui fa un generale riferimento il successivo art. 2645.

In ogni caso si tratta di atti a cui si rifanno diritti immobiliari, reali o personali. Da un punto di vista economico, peraltro decisivo nel determinare l'esigenza e la struttura del regime di pubblicità, tutti gli atti in questione o riguardano il trapasso di un bene immobile da una sfera di titolarità a un'altra o importano una mutazione più o meno notevole nel valore di un immobile.

Varie classificazioni sarebbero possibili. Non crediamo peraltro che vi sia molta utilità a raggruppare fattispecie ciascuna delle quali ha caratteristiche sue. Qualche considerazione su tale punto faremo in se­guito (commentando l'art. 2645). Qui ci basta rilevare che gli atti da trascrivere possono esser posti in essere da soggetti privati oppure da organi del potere pubblico.

Consideriamo anzitutto i contratti, che sono la principale categoria degli atti privati di cui è disposta la pubblicità. Sotto questa denomina­zione si comprendono atti bilaterali (1, 2, 4, 8, 12), atti plurilaterali o collettivi. Anche la transazione può essere compresa sotto il concetto lato di contratto; ma preferiamo considerarla sotto una diversa categoria.

I possibili oggetti dei contratti da trascriversi sono i più vari e ne vedremo le singole caratteristiche. Comune a tutti è il carattere immobiliare dei diritti il cui atto acquisitivo va pubblicato.

Può trattarsi di contratti traslativi o costitutivi di diritti reali (1, 2, 4); di contratti costitutivi di una comunione; di contratti con effetti personali, o misti reali e personali (8, 9, 10, 11, 12).

Prima di passare a esaminare le varie ipotesi aventi riguardo diversi possibili effetti dei contratti di cui è disposta la trascrizione, corre proporre alcuni quesiti di carattere più generale che attengono a diversi atteggiamenti e modi di essere della volontà contrattuale.

Devono trascriversi i contratti che trasferiscono o che costituiscono, non quelli che obbligano a porre in essere un atto traslativo o costitutivo. È incontroverso ormai che contratti preliminari non vanno trascritti.


Contratti a favore di terzi

I contratti a favore di terzi, ove sempre beninteso abbiano un oggetto immobiliare, vanno trascritti anche per la parte riguardante il terzo. Il nuovo Codice (art. 1411) ha tolto ogni incertezza circa il momento in cui il terzo acquista il diritto, stabilendo che il diritto si acquista dal terzo «contro il promittente per effetto della stipulazione».

Non v'è alcun bisogno di pubblicare una accettazione del terzo, la quale d'al­tronde non va neppure considerata come una tecnica accettazione; essendo una semplice e non necessaria « dichiarazione del terzo di voler approfittare » del beneficio, dichiarazione che ha il solo effetto di segnare il momento oltre quale lo stipulante non può più revocare modificare la fatta stipulazione.


Contratti compiuti per tramite di terzi

Occorre menzionare i casi di contratti compiuti per il tramite di terzi. Può trattarsi di un incaricato (mandatario), con rappresentanza oppure senza rappresentanza. Nel primo caso (art. 1704 del c.c., art. 1388 del c.c.) in forza di quella speciale investitura giuridica in cui consiste la rappre­sentanza, la quale induce un allargamento della sfera di capacità giu­ridica del rappresentato, non c’è dubbio che gli effetti dell'acquisto dell'alienazione — e così della relativa trascrizione — si riportano direttamente e immediatamente in testa al rappresentato, il quale rimane dominus attuale del negozio. Non vi possono perciò essere problemi particolari in tema di trascrizione. Il rappresentato è parte e il suo nome risulterà nella nota di trascrizione (art. 2659, n. 1).

Invece il mandatario che ha contrattato quale rappresentante senza averne i poteri (art. 1398), al pari in generale del mandatario senza rappresentanza che agisce in proprio nome (art. 1705), in linea di massima solo in testa propria acquistano i diritti derivanti dagli atti com­piuti, e, alienando, non possono impegnare che il proprio patrimonio, diversamente si tratta di alienazione di diritti altrui (del mandante) e come tale inefficace, sino almeno al momento in cui intervenga la ratifica.

In previsione di una ratifica attuante in via successiva la procura rappresentativa (il che vale, da parte del ratificante, assumere su di sé gli effetti dell'atto compiuto dal mandatario), non c’è dubbio che la trascrizione del contratto compiuto dal mandatario è pur possibile e condizionatamente efficace, al pari in genere della trascrizione di atti che possono essere annullati (con riguardo ad una possibile convalida). Ciò riguarda — è ovvio — solo i casi in cui il mandatario non ha già radicato in testa propria gli effetti dell'atto compiuto. Non ci pare decisiva la circostanza se il mandatario abbia agito oppur no in nome del mandante. Una successiva ratifica rappresentativa da parte del mandante può intervenire anche nel caso che il mandatario non abbia agito in nome del mandante. Importa invece — è chiaro - che la tra­scrizione sia avvenuta in testa del mandante. Il problema riguarda sia il caso di acquisto che il caso di alienazione di un diritto immobi­liare: trascrizione operata a favore oppure a carico del mandante. In tutti i casi infatti può venire in considerazione una collisione con diritti acquistati da terzi.

Nell'art. 1399 è detto che « la ratifica ha effetto retroattivo, ma sono salvi i diritti dei terzi ». Dicemmo prima, svolgendo considerazioni di portata più generale circa la trascrizione degli atti annullabili, che il quesito di collisione si può risolvere solo dopo che sia definita la sorte del primo acquisto (sanatoria o annullamento : tertium non datur).

Abbiamo detto che la convalida di un atto annullabile previamente tra­scritto scavalca gli acquisti di terzi, trascritti successivamente. È forse diverso il problema in caso di ratifica rappresentativa? Si è detto che una successiva alienazione da parte dello stesso dominus non può va­lere come legale domanda di annullamento del primo atto. Nel caso di rappresentanza, pur mantenendosi il problema identico nei suoi termini generali, vi sono differenze che attengono alle peculiarità della fattispecie. Gli effetti della ratifica si operano in fatto senza che occorra alcuna procedura giudiziale. Il difetto del potere di disposizione nel contraente è motivo di inefficacia (non di invalidità e annullabilità). La ratifica è, sotto questo profilo, paragonabile al realizzarsi della condizione sospensiva piuttosto che alla convalida. Sta di fatto, peraltro, che, mentre nei casi normali di atti condizionati, tra l'atto e il realizzarsi della condizione che ne completa l'efficacia, non vi sono altre pos­sibilità intermedie atte ad influire sulla sorte dell'atto, nel caso in esame prima dell'eventuale ratifica possono intervenire alcuni fatti la cui efficacia contrasta con quella della ratifica. La ratifica o non sarà più pensabile o non sarà più efficiente. Vi è un atto del dominus negotii che contrasta precisamente gli effetti della ratifica: tale è il discono­scimento dell'operato del mandatario. Il disconoscimento può significare oppur no revoca del mandato. A noi occorre soltanto rilevare che il compimento dell'affare da parte del mandante vale revoca tacita o implicita che dir si voglia (art. 1724).

A parte ogni precisazione di concetti che qui meno importa, deve adunque dirsi in generale che alienazioni compiute dal dominus, incom­patibili con quelle poste in essere dal mandatario senza rappresentanza, contrastano la possibilità di una futura ratifica. Ciò agli effetti che il terzo che ha acquistato dal dominus prevale anche a chi, avendo acqui­stato dal mandatario o gestore, ha trascritto. I terzi avranno fatti salvi i loro acquisti (anche se non trascritti nei confronti del previo atto tra­scritto) solo allorché il loro acquisto si fondi su di un atto la cui esistenza escluda definitivamente l'efficacia (e quindi l'esistenza) del previo atto posto in essere dal mandatario. Solo in questi limiti crediamo debba intendersi l'art. 1399, 2° comma, che codificando una diffusa ma non ben precisata opinione dottrinale, ha stabilito che la retroattività della ratifica fa peraltro salvi i diritti dei terzi. I diritti dei terzi sono salvi quando possono esserlo in dipendenza di più generali principii. Altri­menti la ratifica non avrebbe più un senso preciso; quantomeno non gioverebbe più distinguere negli effetti la ratifica in caso di mandato e una possibile c.d. ratifica (o assunzione successiva di effetti giuridici) in caso di operato in nome del dominus da parte di un terzo alienante, fuori del caso di mandato o negotiorum gestio.

Consideriamo ora il caso di trascrizione a favore del mandante. E, anzitutto, è possibile far trascrivere al nome del mandante un acquisto fatto dal mandatario, in previsione di successiva ratifica? Non crediamo che ciò possa intendersi vietato. Certamente è possibile in caso di acquisto per conto del mandante, pur difettando la rappresentanza. (Del pari come in caso di gestione di negozi, ove non solo manca la rappre­sentanza, ma anche l'incarico è presunto). Ma gli effetti della precostituzione della pubblicità sono relativi solo all'ipotesi che non possano assumersi come prevalenti diritti altrui. Infatti se il mandatario non trascrive al nome proprio, l'atto sarà inefficace fino a che con la ratifica non venga integrato il necessario consenso della parte che acquista. Non si tratta né di vizio, né di condizione sospensiva e neppure di di­fetto di potere di disposizione del contraente. Il contraente che, nel­l'ipotesi dianzi considerata, aliena un immobile del dominas negotii, pone in essere un atto pienamente esistente (sol che inefficace per difetto attuale del potere di disposizione traslativa).

Nel caso, invece, di ac­quisto, manca quello che si potrebbe chiamare potere di acquisizione: in parole povere, il contratto non è ancora formato per mancanza di consenso. In un caso il dominus negotii può ratificare oppure disco­noscere l'operato di chi ha contrattato per lui; e il disconoscimento, at­tuandosi ad es. mediante una personale diretta alienazione dello stesso diritto già alienato dal mandatario o gestore, ha un senso preciso pre­clusivo della ratifica. Nel caso di acquisto, invece, non può darsi che un disconoscimento o revoca esplicita, ché non è concepibile un operato del mandante che possa apparire come revoca del mandato precludente la ratifica. Nel primo caso la collisione possibile è fra acquisti di terzi dal mandatario oppure dal dominus negotii (e titolare altresì del diritto alienato); nel secondo caso, tra acquisto del mandatario (che qui è un terzo qualsiasi) e successivi acquisti di altri terzi sullo stesso oggetto. Tali terzi debbono pur trascrivere il loro acquisto innanzi che inter­venga l'eventuale ratifica dell'operato del mandatario primo acquirente, il quale, in ipotesi, già ha trascritto (al nome del mandante).

Ma se tra­scrivono prima della ratifica, prevalgono in ogni caso al primo acquisto la cui trascrizione non può che intendersi meramente precostituita e con efficacia dipendente dal completarsi del consenso mercé la successiva ratifica. E si giustifica un acquisto immediato del terzo a differenza che nell'ipotesi di un acquisto successivo a precedente acquisto fondato su atto annullabile, perché in tale caso vi é collisione fra un acquisto annullabile (ma convalidabile) e un acquisto a non domino (del pari sanabile, ma solo in caso di eliminazione del previo acquisto). Non solo, ma è giustificato attendere, posto che in un determinato spazio di tempo si decide se il primo atto si annulla o si convalida (tertium non datur). Nel caso ora in esame invece, la collisione è fra un acquisto inefficace (che può essere ratificato ma potrebbe anche non esserlo e comunque restare in situazione ambigua per un tempo non precisabile) e un successivo acquisto che può ben intendersi a domino, dal momento che fu bensì dal dominus speso il suo potere di disposizione contrattando col primo acquirente ma non fu perfezionato l'accordo attuale dei con­sensi con riguardo alla parte veramente interessata all'acquisto.

Gran parte delle considerazioni esposte si applicano, come già risulta da vari cenni, alla gestione di negozio.

Alcune considerazioni riguardano il caso che il mandatario agendo in nome proprio, acquisti per sé. La trascrizione sarà eseguita utilmente al nome stesso del mandatario. Problemi particolari rispetto ai terzi non sorgono in questo caso, e si applicherà il principio generale dell'art. 2644. Un problema caratteristico, invece, riguarda i rapporti fra mandante e mandatario. Non v'ha dubbio che in forza del mandato l'affare ri­mane sempre del mandante; ma come il mandante resta tutelato? A differenza che per i mobili, non può essere ammesso l'acquisto auto­matico dei diritti immobiliari nel patrimonio del mandante. Pertanto l'art. 1706, 2° comma, ha stabilito « se le cose acquistate dal mandatario sono beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri, il mandatario è obbligato a ritrasferirle al mandante. In caso di ina­dempimento, si osservano le norme relative all'esecuzione dell'obbligo di contrarre ». Dal momento della trascrizione della domanda diretta ad ottenere tale esecuzione sono fatte salve le ragioni del mandante nei riguardi del mandatario obbligato a ritrasferire il diritto acquistato e sono conservati i diritti del mandante in confronto di eventuali atti di disposizione del mandatario. E i creditori del mandatario non possono far valere le loro ragioni su quei beni se la trascrizione dell'atto di ritrasferimento o della domanda diretta a conseguirlo, sia anteriore al pignoramento (art. 1707 del c.c.).


Contratti per persona da nominare

Un altro caso che interessa considerare è il contratto per per­sona da nominare. Il nuovo Codice disciplina agli articoli 1401 e seguenti questa figura sui generis, eliminando alcune incertezze della vecchia dottrina. Quanto alla configurazione, in sostanza si tratta di un feno­meno di rappresentanza, nella duplice forma di previa procura o di ratifica successiva (cfr. art. 1402, 2 comma). La ratifica può anche se­guire ad una gestione non fondata su un esplicito incarico. Il contraente agisce in nome altrui. La vera caratteristica del rapporto sta in ciò che il contraente si riserva la facoltà di nominare la persona che deve acqui­stare i diritti (in sostanza: il nome del rappresentato). Quando segue la dichiarazione di nomina, la persona nominata acquista i diritti con effetto dal giorno della stipulazione del contratto. La dichiarazione può non esser compiuta validamente o anche non aver luogo. In tal caso il contratto produce i suoi effetti trai contraenti originari (art. 1405 del c.c.). Indubbiamente quindi il contratto in questione ha come possibile sog­getto anche il contraente che fa la riserva di nomina, nel caso che non proceda alla nomina. Non crediamo peraltro che la parte acquirente consti di due soggetti: uno il contraente sino al momento della dichia­razione (e anche oltre ove la dichiarazione non segua); l'altro il nomi­nato se la dichiarazione ha luogo. Soggetto invece o è l'uno o è l'altro e ciò sin da principio. Quando la riserva si scioglie, appare qual tipo di contratto sia: o un contratto comune o un contratto per rappresen­tanza. Se la dichiarazione ha luogo, presentando il dichiarante la pro­cura o l'accettazione (ratifica) appare che il contratto è sempre stato un contratto per rappresentanza.

Facciamo applicazione ora al problema della pubblicità. Non v'è dubbio intanto che il contratto concluso con riserva può essere tra­scritto subito. La trascrizione avverrà al nome del contraente, e nella nota di trascrizione, come richiede l'art. 2659 ultimo comma, verrà fatta menzione della riserva. Ove non si effettui più la dichiarazione, quella menzione nel registro resterà vacua e potrà essere cancellata. Nessun problema speciale più ha luogo: si resta in materia di comuni contratti. Per il caso invece che la dichiarazione abbia luogo, la trascrizione con l'indicazione della riserva, anche se operata al nome del contraente rappresentante è come se fosse stata sin dal principio operata in testa al nominato. È notevole a questo effetto che la legge richiede che deve essere pubblicata successivamente anche la dichiarazione di nomina, con l'indicazione dell'atto di procura o dell'accettazione della persona nominata (art. 1403, 2 comma). Tale indicazione va semplicemente sostituirsi alla riserva: si pone un nome là ove era uno spazio bianco. Materialmente ciò si attua mediante annotazione marginale (art. 2655 del c.c.). La trascrizione del contratto opera immediatamente a favore del rappresentato. Ove esista una procura anteriore al contratto (procura che viene pubblicata poi, ma i suoi effetti datano da prima) problemi spe­ciali non sorgono. Il contraente ha acquistato per il rappresentato e l'acquisto si opera direttamente in testa al dominus negotii, in virtù della rappresentanza. Se il contraente nel periodo che va dalla trascri­zione alla pubblicazione della dichiarazione ha alienato il diritto acquistato, si è in presenza puramente e semplicemente di una alienazione a non domino, posto che la procura contemplava l'acquisto e non una successiva alienazione. In ogni caso, comunque, prevale l'acquisto del rappresentato, non fosse altro perché, in ipotesi, risulta trascritto prima Ciò, naturalmente, verrà in considerazione se e quando abbia luogo la dichiarazione: sino a quel momento l'attribuzione non può che essere sospesa. In caso in cui non esista un previo rapporto col dominus negotii, non v'è dubbio che il contraente può anche alienare e valida­mente l'immobile acquistato, ma con ciò non fa altro che rinunciare alla facoltà di nominare chi s'era riservato, dal momento che costui — non fosse altro — eviterà di accettare un affare che più non lo ri­guarda, posto che il diritto acquistato sia stato ulteriormente alienato. E allora si rientrerà nella figura comune di contratto con effetti per le stesse parti contraenti.


Donazione

Devono trascriversi tutti i contratti traslativi, siano essi a titolo oneroso o a titolo gratuito. E del pari è naturale quelli che possono essere sia a titolo oneroso che a titolo gratuito, richiamando talora le regole della vendita e talora quelle delle donazioni.

Sono necessari alcuni rilievi in tema di donazione. Anzitutto è pa­cifico che la donazione può avere per oggetto una cosa (cioè la proprietà) oppure anche un particolare diritto reale di godimento.

Il contratto di donazione è perfetto con l'accettazione. La trascrizione deve riguardare sia l'atto di donazione che l'atto di accettazione. Se l'accettazione è contestuale alla donazione non vi sono problemi.

Può darsi invece che l'accettazione avvenga successivamente. In tal caso la perfezione del contratto prende data dalla notificazione dell'ac­cettazione (art. 782 del c.c.). La trascrizione dell'atto di donazione può avve­nire anche prima che abbia avuto luogo l'accettazione; ma sarà inef­ficace sino a che non si aggiunga ad essa la trascrizione dell'accettazione notificata. Può avvenire che la trascrizione dell'accettazione notificata preceda nel tempo la trascrizione dell'atto del donante. Crediamo poter sostenere che essendo il contratto già perfetto e con piena efficacia traslativa, sia sufficiente a stabilire l'effetto proprio e la data di pub­blicità la trascrizione dell'accettazione. Il completamento della pub­blicazione, cioè la trascrizione della «promessa» del donante, dovrà indubbiamente aver luogo (non fosse altro per obbligo fiscale) e potrà anche ammettersi che l'efficacia della previa trascrizione dell'accetta­zione sia condizionata al completamento della in registrazione di tutti gli elementi del contratto; ma dal momento che la trascrizione dell'ac­cettazione notificata contiene già in sé tutti gli estremi della fattispecie attuando una completa pubblicità, non sappiamo perché dovrebbe farsi dipendere l'efficacia della trascrizione da una ulteriore operazione che può forse condizionare quell'efficacia ma non certo crearla.

Un caso particolare che merita di essere menzionato è la donazione in riguardo di futuro matrimonio (art. 785 del c.c.). Essa non ha bisogno di accettazione, ma non produce effetto finché non segue il matrimonio Deve applicarsi quanto si disse in generale circa la trascrizione degli atti la cui efficacia è dipendente dall'avverarsi di un evento futuro ed incerto (condizione sospensiva).

Altro caso notevole è la donazione con patto di riversibilità, per il caso di premorienza (art. 791). Questo è un caso di condizione risolutiva. Verificandosi la premorienza si risolvono tutti i diritti acquistati dai terzi sui beni donati e questi ritornano al donante liberi da ogni peso o ipoteca (eccezion fatta dell'ipoteca dotale). La trascrizione dell'acquisto non giova certo a salvare questo dalla risoluzione, ma ha efficacia a sta­bilire la priorità dell'acquirente verso i terzi: un acquisto anche sotto condizione se previamente trascritto prevale ad altri acquisti dallo stesso autore. Le alienazioni che compie il donatario sotto condizione sono a domino. Vale la massima: resoluto iure dantis resolvitur et ius accipientis. Ma in questo come in tutti i casi di acquisto risolubile, reputiamo, in base all'art. 2659 e contrariamente all'opinione della dottrina sul vecchio Codice, che non possa mancare nella trascrizione l'indicazione del patto di riversibilità.


Vendita e permuta

Passiamo ora a considerare la vendita, tenendo peraltro pre­sente che alcune soluzioni che considereremo sotto il profilo della vendita valgono anche per la donazione, per ciò che attiene al problema della trascrizione) per la vendita vale, mutatis mutandis, per la permuta. Se essa ha per oggetto la traslazione reciproca di due immobili, dovrà essere fatta menzione di entrambi nella stessa nota o in due note e pro­cedure separate. La trascrizione dell'acquisto da una parte e dall'altra è rimessa all'interesse di ciascun compermutante.

Così come la donazione, la vendita è causa generale di acquisto. Anche la conclusione della compravendita può avvenire manifestandosi le due volontà - in tempi diversi (naturalmente con la necessaria forma scritta trattandosi di diritti immobiliari). La trascrizione deve conte­nere gli estremi sia della proposta che della accettazione, in sostanza gli estremi, dell'accordo anche se questo si è formato in tempi successivi e le volontà concorrenti non risultino da un unico contesto. Nulla esclude che la pubblicazione possa aver luogo materialmente a più riprese: prima dello scritto contenente la volontà del proponente, poi dello scritto ulteriore. Può anche avvenire che prima pubblicata sia l'accettazione della proposta; ma é certo — a differenza di quanto abbiamo opinato in tema di donazione — che la trascrizione sarà come non compiuta sino a che non contenga tutti gli estremi del contratto, che è volontà unica. Né può dirsi che l'accettazione della proposta compendi in sè anche la contrapposta volontà. Non deve dimenticarsi che nei contratti commutativi la volontà, sia di una parte che dell'altra, è al contempo proposta e accettazione.


Vendita di cosa futura

In linea di massima, realizzato l'accordo, si verifica l'effetto traslativo. Ma si hanno varie eccezioni. In ipotesi di vendita di un edi­lizio che sarà costruito (vendita di cosa futura) «l'acquisto della pro­prietà si verifica non appena la cosa ha esistenza » (art. 1472 del c.c.). La tra­scrizione potrà ben essere precostituita (con l'indicazione della speciale modalità, giusta l'art. 2659), ma sarà efficace solo dopo che la cosa avrà avuto esistenza. Non si tratta (secondo l'opinione dominante) di contratto condizionato, per cui non si potrà parlare di retroattività e il diritto daterà dal momento in cui la cosa sarà esistente. Non v'è dubbio tuttavia che la priorità della trascrizione manifesterà una pre­cisa importanza nel caso che la stessa cosa sia stata successivamente venduta ad altri. Ammettiamo pure che non sì tratti di condizione ed escludiamo — poiché la legge lo esclude — ogni retroattività. Co­munque è certo che il contratto esiste, sol che è inefficace. Sì applicherà pertanto quanto sì disse in generale circa la trascrizione degli atti inefficaci.


Vendita alternativa

Si fa ora il caso della vendita alternativa. Alternativamente dedotti possono essere più immobili, o anche un mobile e un immobile. La scelta spetta al venditore, se non é sta attribuita creditore ma differito al momento della scelta o connesso con la circo tra del perimento degli oggetti dedotti meno uno, nel quale caso la vendita diventa semplice. La scelta (da chiunque operata) va considerata un modus adquirodi del diritto venduto. La vendita esiste sin dalla sti­pulazione, ma è inefficace fino a che non sia posto in essere quel fatto che rende attuabile l'effetto traslativo (impossibile fino a che non sia stabilito qual è l'oggetto del diritto venduto). È peraltro anche a dirsi che tale oggetto è stato già dedotto nel contratto, sia pure insieme ad altri che saranno poi scartati; e pertanto la pubblicità del contratto sarà ben possibile (con l'indicazione dei vari oggetti alternativamente dedotti). La sua efficacia sarà, come al solito in casi simili, differita ma non c'è dubbio che potrà essere utile averla precostituita, se si considera che il venditore prima della scelta può effettuare una successiva alienazione delle stesse cose alternativamente, ma anche singolarmente. Senza contare poi che la concentrazione del contratto (in caso di perimento delle altre cose meno una, ma anche in caso di scelta) può av­venire in fatto e all'insaputa del compratore, il quale ha ben ragione di trovarsi cautelato dalla pubblicità, la cui efficacia si manifesterà ipso iure dal momento in cui si determina l'effetto traslativo.


Vendita generica e vendita a prezzo da determinarsi

Anche una ipotesi di vendita generica immobiliare è concepibile, quando si vendano tanti ettari di terreno da distaccarsi da un certo latifondo. Lo «stacco» (determinazione e misurazione in loco) è il modus adquirendi in tale fattispecie, perfettamente confrontabile a quella pre­cedente, essendo irrilevante il fatto che l'operazione di determinazione normalmente formerà oggetto di una prestazione obbligatoria del ven­ditore.

Le stesse considerazioni vanno fatte per il caso confrontabile di vendita a prezzo da determinarsi (art. 1473 del c.c.). Il prezzo, oggetto esso pure del contratto, è elemento essenziale, né può dirsi (secondo l'opinione oggi dominante a cui possiamo anche accedere) che la sua determinazione possa riguardare una condizione, nè che si dia retroattività. Ad ogni buon conto, ci pare ancor qui indubitabile che la trascrizione sia possibile subito e manifesti, ove il caso, efficacia.


Vendita di quota di un diritto in comunione. Vendita di quota ereditaria e vendita di eredità

L’alienazione e vendita di quota di un diritto in comunione, è alienazione di un elemento del proprio patrimonio. Il caso più da considerare riguarda la vendita di quota di comproprietà, allorché in comunione sia un immobile (e qui non vi sono problemi particolari circa la trascrizione e gli effetti della divisione: si immagina che alienata sia stata proprio la parte dell'immobile spettante alla quota); oppure allorché in comunione sia una universitas comprensiva di vari mobili ed immobili. Un caso interessante riguarda l'eredità e la vendita di quota ereditaria. È presupposto naturalmente in tali casi, perché abbia un senso parlare di trascrizione, che si intenda vendere elementi della parte immobiliare dell'universitas e che tali elementi siano specificati nella nota di trascrizione.

La trascrizione sia della vendita di quota ereditaria che della ven­dita complessiva di eredità presuppone la specificazione degli oggetti. Altrimenti — secondo l'art. 1542 — «chi vende un'eredità senza speci­ficarne gli oggetti, non è tenuto a garantire che la propria qualità di erede ». La vendita di eredità va fatta per atto scritto (art. 1543 del c.c.). Ma è chiaro che essa in sé, quale «trasferimento » di universitas non va trascritta, ché l'universitas non è un « bene immobile ». In so­stanza, anzi, in un primo momento, parrebbe trattarsi dell'acquisto di un status soggettivo analogo a quello dell'erede alienante. Né potrebbe parlarsi di vendita condizionata, dal momento che non i beni singoli sono stati venduti. Ma è detto anche che «il venditore è tenuto a prestarsi agli atti che sono necessari da parte sua per rendere efficace, di fronte ai terzi, la trasmissione di ciascuno dei diritti compresi nell'ere­dità » (art. 1543 del c.c.). Sotto questo profilo, con riguardo ai singoli diritti, sembrerebbe trattarsi di vendita obbligatoria ; ma è chiaro che non può parlarsi di vendita di diritti prima che essi siano specificati.

Attuata la specificazione, potrebbe allora aver luogo per la prima volta la normale vendita dei singoli diritti. Invece non risulta che debba avvenire alcun nuovo atto, dopo quello iniziale, a fine della trasmissione dei singoli diritti. L’azione cui è tenuto il venditore ha soltanto e precisamente lo scopo di rendere efficace la trasmissione di diritti); la quale dunque deve intendersi già avuta con il contratto iniziale. Oggetto voluto è tutto ciò che è compreso nella complessa at­tribuzione patrimoniale facente capo allo status di erede. Non per questo però dovrà intendersi che la trascrizione sia possibile subito, magari con efficacia differita; perché, in mancanza di specificazione, non è possibile attuare la trascrizione (né del complesso, per ciò che si è detto né dei singoli diritti fino a che essi non esistano come entità individuabili dal complesso). Peraltro non si tratta di una impossibilità giuridica; bensì di una impossibilità materiale che può essere vinta da semplici circo­stanze di fatto (neppur sempre necessariamente collegate con il dovere del venditore di cui all'art. 1543 cpv.). Ed è la stessa vendita, giuridica­mente parlando, sia quella che si attua senza specificazione, sia quella che, potendosi, si attui con specificazione sin da principio. E certo che la trascrizione di una vendita senza specificazione non solo non sarebbe possibile e non sarebbe neppur utile ai fini della pubblicità riguardo ai singoli immobili; ma pare anche certo che la trascrizione appena at­tuabile dovrebbe esplicare i suoi effetti siti dal giorno del contratto poiché è da allora che data l'effetto traslativo.

Di fronte al rilievo che non si può attribuire alla trascrizione un'ef­ficacia ex tunc, sovviene una considerazione di fatto: cioè, che fino a tanto che non sia intervenuta la specificazione, neppure il terzo potrà effettuare alcuna trascrizione o iscrizione; sempre che come specifica­zione non possa addirittura valere la alienazione da parte dell'erede di un singolo diritto come oggetto individuato dal complesso già venduto come universitas. È sì stabilito nell' art. 1544 del c.c. che il venditore che «ha venduto qualche bene dell'eredità, è tenuto a rimborsarne il compra­tore »; ma ciò potrebbe non apparir sufficiente a garantire le ragioni del compratore che ancora non aveva trascritto. Non resta altro se non pensare che il compratore stesso si renda diligente nel provocare la specifi­cazione e sorvegliarne il momento di effettuazione onde essere pronto a trascrivere gli acquisti su i singoli beni immobili giusta gli articoli 2659, n. 4 e 2826. Né deve trascurarsi la considerazione che nei casi in cui sia possibile all'erede di alienare separatamente dal complesso dell'eredità, dovrebbe essere non meno possibile, facendosi diligente il compratore, già prima ricercare gli estremi giuridici e di fatto degli immobili ereditari ai fini della trascrizione. Si tratta ad ogni buon conto di una quaestio facti.


Atti di alienazione di quote sociali

Vediamo adesso se e fino a qual punto la trascrizione inter­ferisca in materia di società per ciò che riguarda gli atti di disposizione delle quote sociali.

Il patrimonio sociale consta delle quote conferite dai soci. Le quote di partecipazione possono essere rappresentate da azioni. La società può essere persona giuridica distinta dalle persone dei soci (cfr. art. 2498 del c.c.) in tale caso titolare del patrimonio è la società ; e la quota (art. 2472 del c.c.) o l'azione (articoli 2325, 2462), esprime per tutto il periodo in cui vive la società, oltre che il diritto di partecipazione del titolare della quota o dell'azione alla vita sociale, anche diritti patrimoniali, fra cui il diritto all'eventuale dividendo degli utili quando ci siano. Si tratta di un credito verso la società ; credito che può essere più o meno trasferibile che in ogni caso però, è un bene mobile che non può venire in consi­derazione ai fini della trascrizione. Ma oltre questi diritti (al dividendo talora agli interessi) da far valere in vita della società, le quote e le azioni esprimono anche un diritto di quota al futuro riparto del patri­monio netto della società in liquidazione, in caso di scioglimento. Meglio che il concetto di divisione (relativo alla comunione), vale usare il con­cetto di ripartizione (dell'eventuale attivo residuo a rimborso dei conferimenti nonché partizione proporzionale dell'eventuale eccedenza dopo detto rimborso). Tuttavia, ai fini del nostro tema, divisione o riparto implicano le stesse prospettive, ove tra il bene da dividere (comunione o attivo sociale) vi siano elementi immobiliari la cui ripartizione sia de­stinata ad avverarsi in natura.

Per tale ipotesi non abbiamo alcun dubbio che, pur trovandoci in presenza di persone giuridiche titolari del patrimonio complessivo in cui esistono gli immobili in questione, ogni trasferimento di azioni, concernenti un diritto a una possibile quota di ricomprensiva di elementi immobiliari, vada utilmente trascritto per riparto riguarda gli effetti verso i terzi e sempre salvo, nei limiti pattuiti, potere di disposizione della società circa quei beni. Solo deve dirsi che, mentre nel caso di vendita di quota di comunione e del pari, di quota o di comunione sociale, condomino e il socio dispongono di cosa propria, nel caso di trasferimento di quote o di azioni, una società provvista di personalità, si ha invece disposizione sul patrimonio altrui (della so­cietà). Tuttavia è bene anche rilevare che non è vera e propria vendita di cosa altrui e neppure vendita di un diritto condizionato. Se si ha riguardo al momento dello scioglimento e del riparto del patrimonio della società in liquidazione, e al diritto, espresso dalla quota o dall'azione, a partecipare al riparto (un diritto quindi su beni singoli), la valutazione economica e giuridica della quota del socio di una società personificata non è in molto diversa da quella della quota di un socio di una società non personificata. Questo diritto si realizzerà in futuro, ma « bene » che esprime tale quota) è un bene attuale e anche proprio del socio. La realizzazione futura è eventuale; ma non già, nel senso di una condizione il cui verificarsi o meno ponga o meno in essere il diritto: l'esistenza - presente o futura - del diritto è certa (come diritto di partecipare alla divisione o al riparto); incerto ed eventuale è solo il quantum, e quindi anche la stessa sussistenza materiale dell'og­getto del riparto. Ma ciò non toglie che l'atto traslativo del ius ad rem debba essere trascritto allorché sia possibile che le vicende della società mantengano nel patrimonio sociale .gli immobili da ripartirsi in natura.

Quanto poi all'altro genere di incertezza, dipendente dalla possi­bilità o meno che l'immobile nelle operazioni di divisione venga a spet­tare proprio al possessore della quota in questione, ciò riguarda un altro più generale ordine di considerazioni che attiene al carattere immobi­liare delle alienazioni di quote comuni, del quale problema ci siamo occupati al principio del presente paragrafo.

Ci importa concludere che non vi è nessun argomento che possa contrastare la possibilità di intendere come immobiliari le alienazioni di quote sociali con riguardo al momento della liquidazione e quote o azioni che si svolgano nell'interno dei rapporti sociali (concentramenti, aggruppamenti, controlli, ecc.: articoli 2357-2362) non possono in alcun modo riguardare la trascrizione anche se il patrimonio sociale consti di elementi immobiliari.


Vendita con riserva di proprietà

Il legislatore ha disciplinato la vendita con riserva di proprietà sotto la rubrica della vendita mobiliare. Peraltro nulla osta che una uguale possibilità riguardi anche i diritti immobiliari: in ogni caso, certamente, i mobili iscritti in pubblici registri, per quali è predisposta la trascrizione (cfr. art. 1524, 3 comma).

Il contratto è esistente ma l'efficacia traslativa ne è differita al giorno del pagamento dell'ultima rata. Non v'ha certo effetto retro­attivo. L'attribuzione al compratore è inefficace ma ben presente, per cui la trascrizione non può che far salvo (sia pur con efficacia riservata e dilazionata) il diritto del compratore nei confronti di eventuali suc­cessive alienazioni della stessa cosa da parte del venditore. Il compratore — purché continui a pagare — ha già radicato un suo preciso di­ritto che fa capo a qualcosa che potrebbe chiamarsi acquisto progres­sivo della proprietà: egli non ha ancora la proprietà ma è sulla strada per averla; ha già un diritto a diventare proprietario e quindi è un po' come se già lo fosse. Può anche avvenire che sia il compratore ad alie­nare, prima del termine, la cosa. Per tale ipotesi e nel caso che il con­tratto vada risoluto, si applica la regola resoluto iure dantis resolvitur et ius accipientis. Tuttavia è da far presente che, secondo l' art. 1524 del c.c., la riserva della proprietà — nel caso di macchine di rilevante valore — è opponibile ai terzi acquirenti «purché il patto di riservato dominio sia trascritto in apposito registro tenuto nella cancelleria del tribunale nella giurisdizione del quale è collocata la macchina». Qui è utilizzata la pubblicità regolata dall’art. 2762 del c.c.. È detto però anche, in fine dell'art. 1524, che «sono salve le disposizioni relative ai beni mobili iscritti in pubblici registri », nonché quelle relative ai beni immobiliari. Non v'ha dubbio che il patto di riservato dominio vada trascritto (nell'interesse del venditore) e contemporaneamente alla trascrizione del contratto. La necessità di pubblicare quella modalità (la si definisca termine o condizione poco conta) la si rileva non fosse altro dall' 2659, ultimo comma.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 2643 Codice Civile

Cass. civ. n. 24526/2022

Le clausole contenute in un regolamento condominiale di formazione contrattuale, le quali limitino la facoltà dei proprietari delle unità singole di adibire il proprio immobile a determinate destinazioni, hanno natura contrattuale e, pertanto, ad esse, deve corrispondere una tecnica formativa di pari livello formale e sostanziale, che consiste in una "relatio perfecta" attuata mediante la riproduzione delle suddette clausole all'interno dell'atto di acquisto della proprietà individuale, non essendo sufficiente, per contro, il mero rinvio al regolamento stesso.

Cass. civ. n. 4529/2022

Le clausole del regolamento condominiale di natura contrattuale possono imporre limitazioni ai poteri e alle facoltà spettanti ai condomini sulle parti di loro esclusiva proprietà, e, purchè siano enunciate in modo chiaro ed esplicito, sono vincolanti per gli acquirenti dei singoli appartamenti qualora, indipendentemente dalla trascrizione, nell'atto di acquisto si sia fatto riferimento al regolamento di condominio, che - seppure non inserito materialmente - deve ritenersi conosciuto o accetto in base al richiamo o alla menzione di esso nel contratto.

Cass. civ. n. 1471/2022

In ipotesi di alienazione di un bene immobile unitamente ad una sua pertinenza senza alcuna menzione di quest'ultima nella nota di trascrizione, ove l'autore provveda ad una successiva alienazione del solo bene pertinenziale con tempestiva trascrizione, il secondo avente causa che non trovi trascritto l'acquisto dell'immobile pertinenziale contro l'alienante, ma trovi solo la trascrizione del bene principale, può avvalersi di questo difetto per fare prevalere il proprio acquisto limitatamente alla pertinenza, indipendentemente da ogni indagine sulla buona o malafede.

Cass. civ. n. 10370/2021

In tema di edificio costituito da più unità immobiliari autonome, la comproprietà di una o più cose, non incluse tra quelle elencate nell'art. 1117 c.c. (quale, nella specie, un tetto avente funzione di copertura di una sola delle unità immobiliari compresa in un condominio orizzontale), può essere attribuita a tutti i condomini quale effetto dell'acquisto individuale operato con i rispettivi atti di una quota di tale bene, oppure in forza di un contratto costitutivo di comunione, ai sensi degli artt. 1350, n. 3, e 2643, n. 3, c.c., recante l'inequivoca manifestazione del consenso unanime dei condomini, espressa della forma scritta essenziale, alla nuova situazione di contitolarità degli immobili individuati nella loro consistenza e localizzazione.

Cass. civ. n. 8000/2018

L'indagine sull'opponibilità di una servitù ai terzi successivi acquirenti va condotta con esclusivo riguardo al contenuto della nota di trascrizione del contratto che della servitù integra il titolo, sicchè detta opponibilità può essere ritenuta solo quando dalla nota menzionata sia possibile desumere l'indicazione del fondo dominante e di quello servente, la volontà delle parti di costituire la servitù, nonché l'oggetto e la portata del diritto, anche, quindi, con riferimento all'eventuale sottoposizione della modifica o dell'estinzione del relativo diritto a termine o condizione. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO MILANO, 04/09/2013).

Cass. civ. n. 13695/2011

La sentenza di accoglimento della domanda diretta ad accertare l'avvenuto trasferimento della proprietà di un immobile a mezzo di scrittura privata con firma non autenticata presuppone l'accertamento, con efficacia di giudicato, della autenticità della sottoscrizione di tale scrittura. Ne consegue che, in tale ipotesi, non può essere trascritta la pronuncia giudiziale, in quanto non rientrante in alcune delle fattispecie contenute nell'art. 2643 c.c., ma si può procedere alla trascrizione della scrittura privata ai sensi dell'art. 2657 c.c.

Cass. civ. n. 11812/2011

Il difetto di trascrizione di un atto non è rilevabile d'ufficio, ma deve essere eccepito dalla parte interessata a farlo valere in proprio favore.

Cass. civ. n. 9457/2011

La servitù volontariamente costituita, per essere opponibile all'avente causa dell'originario proprietario del fondo servente, deve essere stata trascritta o espressamente menzionata nell'atto di trasferimento al terzo del fondo medesimo, rimanendo, altrimenti, vincolante solo tra le parti.

Cass. civ. n. 19058/2003

La trascrizione non è un istituto di pubblicità costitutiva, bensì dichiarativa, e come tale ha la funzione di rendere opponibile l'atto ai terzi onde dirimere il conflitto tra più acquirenti dello stesso bene, senza incidere sulla validità ed efficacia dell'atto stesso. Configurandosi come un onere, essa è, pertanto, un quid pluris rispetto all'atto trascrivendo, cosicché, ove essa sia necessaria ad integrare una qualsiasi fattispecie normativa, deve essere oggetto di esplicita previsione, ciò che non può dirsi con riferimento all'art. 39 della legge n. 392 del 1978, dettato in tema di riscatto di immobili concessi in locazione ad uso commerciale, che contiene il solo riferimento all'avvenuto atto di trasferimento a titolo oneroso, senza richiedere che esso sia trascritto, menzionando la trascrizione in funzione di altre e diverse finalità, quali la tutela del conduttore (al quale è data la concreta possibilità di conoscere l'atto nei suoi elementi essenziali) e la certezza dei diritti con la fissazione del momento di decorrenza iniziale della decadenza di sei mesi.

Cass. civ. n. 12236/2002

La trascrizione degli atti di acquisto di beni immobili ha natura dichiarativa, e non costitutiva del diritto di proprietà, e svolge la funzione di risolvere eventuali conflitti tra più aventi causa; ne consegue che l'avvenuta trascrizione di un contratto nel quale è previsto l'acquisto di un diritto non preclude l'interpretazione e la valutazione del contenuto del contratto stesso, al fine di verificare se il diritto a cui il contratto si riferisce sia effettivamente venuto ad esistenza (nel caso di specie, la Suprema Corte ha reputato corretta la valutazione del giudice di merito che aveva ritenuto inefficace una condizione sospensiva cui era subordinato il trasferimento di proprietà di una fascia di terreno, a prescindere dal fatto che il contratto nel quale era inserita la condizione fosse stato trascritto).

Cass. civ. n. 11180/1997

Funzione essenziale della trascrizione non è di fornire notizie sulle vicende riguardanti il patrimonio immobiliare, ma di risolvere eventuali conflitti fra più aventi causa. Inoltre la tipicità dei suoi effetti impedisce di — quanto all'estensione dell'onere della trascrizione — fuoriuscire dall'ambito degli atti che producono effetti identici o simili a quelli di un contratto che trasferisce la proprietà di un bene immobile. Alla luce di tali profili caratterizzanti, va affermato come non sia — per sua natura — soggetto a trascrizione l'atto di trasformazione di una società se esso non comporti il trasferimento del diritto immobiliare da un soggetto ad un altro, trattandosi di un mutamento meramente formale dello stesso ente.

Cass. civ. n. 6152/1996

La trascrizione attua una forma di pubblicità a tutela della circolazione dei beni, finalizzata alla soluzione di conflitti fra più acquirenti dello stesso diritto dal medesimo dante causa, ma non incide sulla validità e sull'efficacia dell'atto, ancorché non trascritto, salvo la concorrenza con altri atti trascritti. Ne deriva che la mancata trascrizione dell'atto di acquisto di diritti dominicali non impedisce che tali diritti possano essere incondizionatamente azionati nei confronti di chiunque li contesti, non ricorrendo un'ipotesi di conflitto fra acquirenti dello stesso diritto dal medesimo autore.

Cass. civ. n. 8441/1995

La trascrizione non costituisce un elemento integrante della fattispecie negoziale, ma attua solo una pubblicità (di regola) dichiarativa, per cui essa non ha efficacia sanante dei vizi dell'atto, ma può solo costituire un elemento della fattispecie legale dell'acquisto per usucapione abbreviata, ai sensi degli artt. 1159 e 1159 bis c.c. Ne deriva che non pub essere invocata come titolo la nota di trascrizione redatta, per errore di compilazione del notaio rogante, a favore di persona diversa dall'effettivo acquirente che aveva stipulato l'atto pubblico di acquisto.

Cass. civ. n. 6159/1993

L'istituto della trascrizione ha lo scopo di attuare una forma di pubblicità al fine di tutelare la buona fede e i diritti dei terzi per assicurare la priorità del diritto effettivamente trasmesso ed acquistato, ma non ha alcuna influenza sulla validità e sull'efficacia dell'atto, anche se non trascritto, salvo la concorrenza con altri atti trascritti. Pertanto, la mancata trascrizione dell'atto d'acquisto della comproprietà di un immobile non è di ostacolo alla dimostrazione di un concorrente diritto di proprietà nei confronti del titolare dello stesso bene, non ricorrendo un'ipotesi di conflitto tra acquirenti di diritti di eguale natura.

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Consulenze legali
relative all'articolo 2643 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

G. G. chiede
giovedì 30/06/2022 - Emilia-Romagna
“Salve,
Contesto:
ATTO del 1978 di divisione beni tra 3 fratelli, di una corte ereditata dal padre

Le riporto un punto dell'atto (riferiti a mappali di categoria semin arbor di classe 5 per una superficie di circa 300m2) :


"L'area di cui al mappale N---- di proprietà di Bianchi e quella di cui al mappale N--- di proprietà eredi Rossi rimangono di uso comune a tutti i condividendi."

Domanda: una volta che i condividendi sono defunti l'uso comune permane agli eredi o i proprietari dei mappali ne diventano fruitori esclusivi?

In un altro punto dell'atto vi è la seguente frase:

"il pozzo per acqua, insistente sul mappale N--- del secondo lotto, rimane anch'esso di uso comune ai tre lotti, e così la condotta di adduzione: le spese di manutenzione, sia ordinaria che straordinaria, sono a carico dei condividendi in parti uguali"

Stesso chiarimento: l'uso una volta defunti i soggetti dell'atto si aliena o rimane ai proprietari del lotto o agli eredi?

Grazie”
Consulenza legale i 06/07/2022
Il nostro ordinamento giuridico prevede, accanto al diritto di proprietà (c.d. diritto reale per eccellenza, potenzialmente illimitato ed esclusivo), altri diritti reali di natura limitata, definiti “minori”, i quali a loro volta si distinguono in diritti reali di godimento e diritti reali di garanzia.
I primi (ossia i diritti reali di godimento) si affermano su beni altrui e limitano in buona sostanza il diritto di proprietà di un altro soggetto, mentre i secondi (ovvero i diritti reali di garanzia) permettono di garantire diritti di credito di terzi.

Nel caso in esame quelli che vengono in considerazione sono i diritti reali di godimento, che il codice civile identifica nell’usufrutto, l’uso, l’abitazione, la superficie, l’enfiteusi e le servitù prediali.
In particolare, l’area di proprietà di Bianchi e quella di proprietà degli eredi Rossi risultano sostanzialmente gravate da un diritto reale di uso in favore degli immobili assegnati all’altro condividente, mentre sul pozzo insistente sul mappale del secondo lotto e sulla relativa conduttura di adduzione risulta essere stata costituita una servitù di presa d’acqua in favore dei lotti assegnati agli altri condividenti.

La pattuizione secondo cui le spese di manutenzione, sia ordinaria che straordinaria, dovranno essere sostenute da tutti i condividenti in misura eguale, invece, va configurata come una c.d. obbligazione propter rem, la quale si caratterizza per la connessione con una determinata cosa e per il fatto che i soggetti del rapporto saranno di volta in volta tutti coloro che, successivamente, acquisteranno la titolarità del diritto reale sulla cosa (si definisce per tale ragione “ambulatoria”, appunto perché i soggetti del rapporto obbligatorio mutano in seguito alla circolazione del bene).

Una volta precisata la qualificazione giuridica che va data ai diritti costituiti in sede di divisione (diritto d’uso e servitù di presa d’acqua con relativa obbligazione propter rem), per rispondere alla domanda che viene posta (ossia se tali diritti permangono una volta deceduti i soggetti che hanno preso parte al relativo atto costitutivo) è sufficiente verificare se le pattuizioni che li prevedono sono state trascritte in sede di trascrizione dell’atto di divisione.
In caso positivo (ovvero se risultano dalla nota di trascrizione) si dice che hanno acquistato efficacia reale e, dunque, saranno opponibili nei confronti ed in favore di chiunque diventerà proprietario delle particelle di terreno interessate (così art. 2643 c.c.).
Qualora, invece, quelle pattuizioni non abbiano formato oggetto di trascrizione nei pubblici registri immobiliari, la loro efficacia sarà puramente obbligatoria, ovvero obbligherà soltanto coloro che hanno rivestito la posizione di “parti” dell’atto di divisione, non essendo in grado di esplicare alcuna efficacia giuridica nei confronti dei successivi aventi causa.

In conclusione, solo un esame approfondito dell’originario atto di divisione e della relativa nota di trascrizione potrà consentire di affermare con certezza se trattasi di diritti reali limitati o di diritti con efficacia puramente obbligatoria.

LUIGI O. chiede
mercoledì 28/11/2018 - Lazio
“Avvocato, premesso:
• che negli anni 60/70 l’Ater (allora Iacp) ha venduto n. 7 case a schiera con questa formula: trasferisce in proprietà a …….l’alloggio ………… composto da …………… oltre la proprietà pro-quota e l’uso in comune delle cose indivise (allegato 1);
• che negli atti di passaggio di proprietà c’è allegato una piantina (allegato 2) che recita precisamente: fabbricato e corte comune;
• che casualmente si è venuto a scoprire che detto terreno (particella) catastalmente è ancora intestato Ater;
• che un geometra, invitato a correggere la situazione, ha lamentato il fatto che nonostante il passaggio della proprietà, anche se in forma comune, non c’è un esplicito richiamo al numero di particella che fa da corte.

Chiedo:
come procedere legalmente per correggere catastalmente la situazione? Come dovrebbe procedere il geometra?”
Consulenza legale i 04/12/2018
Sono molto frequenti i casi di questo tipo, ed una cosa purtroppo è certa: occorre mettere mani al portafoglio!
Il geometra interpellato, infatti, ha pienamente ragione, in quanto se la particella relativa alla corte comune, per dimenticanza o per qualunque altra ragione, non è stata inserita nell’atto di trasferimento della proprietà, non è stato possibile effettuarne la trascrizione contro la parte venditrice (IACP) ed a favore degli acquirenti pro quota e, conseguentemente, non è stata aggiornata la situazione catastale.
Stando così le cose, due sono le possibilità di venirne fuori, e adesso vedremo quali.

La prima soluzione è quella più veloce e viene offerta dall’art. 59 bis della Legge notarile (Legge 16 febbraio 1913 n. 89), introdotto dal d.lgs. 2 luglio 2010 n. 110, il quale dispone che «Il notaio ha facoltà di rettificare, fatti salvi i diritti dei terzi, un atto pubblico o una scrittura privata autenticata, contenente errori od omissioni materiali relativi a dati preesistenti alla sua redazione, provvedendovi, anche ai fini dell'esecuzione della pubblicità, mediante propria certificazione contenuta in atto pubblico da lui formato.».
Trattasi di un’attività notarile diversa da quella consistente nella redazione del tradizionale “atto di rettifica”, il quale ultimo richiede la presenza necessaria delle parti che hanno originariamente preso parte all’atto da rettificare (il che, in questo caso, sarebbe impossibile, almeno da parte venditrice, per il fatto che l’ATER, Azienda territoriale per l'edilizia residenziale, ha preso adesso il posto del vecchio IACP).

Con l’art. 59 bis, invece, non solo è possibile rettificare l’atto senza il necessario intervento delle parti originarie, ma è anche consentito ad un pubblico ufficiale (il notaio) di correggere sia gli errori propri che quelli commessi da altri pubblici ufficiali o dalle stesse parti, procedendo poi all'esecuzione delle eventuali consequenziali formalità pubblicitarie (dunque, non serve neppure che sia lo stesso notaio che ha rogato l’atto di vendita a procedere alla rettifica/integrazione).
Presupposto essenziale della rettifica ex art. 59 bis è che essa sia attinente ad errori od omissioni materiali relativi a dati preesistenti alla redazione dell'atto da rettificare, escludendosi che si possano correggere vizi della volontà o vizi delle dichiarazioni che diano luogo ad invalidità dell’atto, nonché dati che si generano in occasione del ricevimento dell'atto stesso.

Per errori od omissioni materiali si intendono proprio quegli errori che riguardano i dati catastali, le indicazioni anagrafiche, riferimenti di eventuali contratti riportati nel documento, di norme richiamate, e così via.
E’ stato anche precisato che nel testo da rettificare devono essere chiari gli accordi delle parti, da intendersi nel senso che l'errore deve riguardare elementi che non devono aver ingenerato incertezza sull'oggetto dell'accordo e sugli elementi essenziali dell'atto; occorre, in buona sostanza, che l'individuazione e correzione dell'errore possa avvenire su basi rigorosamente oggettive e documentali, senza che sia necessaria alcuna attività di interpretazione (la possibilità di interpretazioni alternative escluderebbe la correzione materiale, dovendosi piuttosto fare ricorso ad istituti giuridici alternativi, quali un negozio di accertamento, una transazione ovvero l'accertamento da parte del giudice).

Ebbene, si ritiene che tutti i presupposti fin qui descritti ricorrano appieno nel caso di specie, presentandosi l’errore come una svista di assoluta evidenza ed emergendo chiaramente dallo stesso atto da integrare e dai documenti ad esso allegati (ci si riferisce alla piantina, individuata come allegato 2 all’atto notarile, la quale fa riferimento sia al fabbricato che alla corte comune)
Questa sarebbe la soluzione preferibile da praticare.

Qualora, invece, non si riesca a rinvenire un notaio disposto a svolgere una attività di tale tipo, allora non resta che optare per una seconda soluzione, un po’ più lunga e complessa, in quanto richiede la cooperazione di soggetti diversi.
Per questo tipo di rimedio un ruolo fondamentale assume l’elemento temporale, ossia il lungo tempo trascorso dall’acquisto delle villette, avvenuto negli anni 60/70, ad oggi, il quale ha abbondantemente consentito il maturarsi della c.d. usucapione, ossia l’acquisto di un diritto per antico possesso, come previsto dall’art. 1158 del c.c..
Ciò consente di ricorrere al rimedio offerto dal n. 12 bis dell’art. 2643 c.c., il quale dispone che possono essere resi pubblici con il mezzo della trascrizione gli accordi di mediazione che accertano l’usucapione.

Sul piano pratico, occorrerà che tutti i proprietari delle villette che hanno esercitato il possesso sulla corte comune convochino il legale rappresentante dell’attuale ATER per comparire dinanzi ad un mediatore, il quale avrà il compito di accertare e far risultare da un accordo di natura prettamente privata l’intervenuta usucapione pro quota di quella corte.
Raggiunto tale accordo (materialmente contenuto in un verbale), ci si dovrà recare presso uno studio notarile di propria fiducia, il quale avrà questa volta semplicemente il compito di autenticarne le firme, per poi procedere alla trascrizione di quell’atto ex art. 2643 c.c e conseguenti volture catastali (risultato ultimo desiderato).

I tempi occorrenti per la mediazione si aggirano intorno ai quattro mesi, mentre dal punto di vista fiscale si è esonerati dal pagamento dell’imposta di registro qualora la procedura abbia ad oggetto immobili con valore fino a 50.000 euro (come si presume che sia nel nostro caso).

Luigi D. N. chiede
domenica 18/11/2018 - Calabria
“Salve. La situazione che vi sottopongo è questa : una Cooperativa edilizia fra lavoratori dipendenti associati sul finire degli anni '20, diciamo tra il 1924 ed il 1927, costruisce delle case finanziate con mutuo delle FS e le assegna ai soci aventi diritto, con frazionamento ed accollo del mutuo sui soci . Dopo succede che qualche socio, per vari eventi sia personali che "sociali", non effettua il passaggio di proprietà con atto notarile pur detenendo la casa assegnata, che alla sua morte rimane in possesso di due figlie (di nove) dall'immediato dopoguerra ( 1945/6) e fino ai ns giorni , senza che nessuno provveda mai a registrarne il passaggio di proprietà PUR essendo stata nel frattempo accatastata al Catasto Edilizio cittadino a nome degli eredi, appunto nove, del socio originario della Coop , che peraltro negli anni fu sciolta e cancellata dalle carte pubbliche !! Allora oggi che, inoltre, da Certificato Ipocatastale Speciale relativo al periodo 1933-2017 non esiste alcun atto pubblico su quell'immobile nè sugli intestati catastali ormai tutti defunti....!!... oggi i figli dell'ultima delle due rimaste in possesso della casa , che strumenti legali hanno per acquisire finalmente la regolare proprietà della casa in questione, che tra l'altro li ha visti nascere e crescere ?? Chi Vi scrive è uno di quelli . Grazie dell'attenzione e del gradito consiglio che potrete darmi . Distinti saluti. Luigi D.”
Consulenza legale i 22/11/2018
Per la soluzione della situazione prospettata il nostro ordinamento offre un rimedio abbastanza agevole.

Ci si intende riferire allo strumento giuridico previsto dal n. 12 bis dell’art. 2643 c.c., il quale dispone che possono essere resi pubblici con il mezzo della trascrizione gli accordi di mediazione che accertano l’usucapione.
Ormai da qualche anno, infatti, i notai non sono più disposti ad effettuare le c.d. “vendite per antico possesso”, le quale consentivano a chiunque di alienare a terzi un bene sul quale era stato esercitato il possesso per oltre venti anni senza esserne proprietari (ovvero, se si voleva conseguirne la proprietà, a farselo vendere da un terzo estraneo).

Unica alternativa era quella di instaurare un ordinario giudizio di cognizione, volto a far riconoscere l’intervenuta usucapione, con conseguente emissione di una sentenza accertativa della proprietà in capo all’usucapente, costituente titolo per la trascrizione in Conservatoria e per l’effettuazione delle relative volture catastali.

A partire da settembre 2013 il c.d. "decreto del fare", invece, ha consentito di trascrivere l’usucapione di un immobile anche attraverso un negozio di accertamento, cioè un accordo di natura privata che accerta l’intervenuta usucapione del bene.
I tempi di questa procedura sono molto celeri, si aggirano intorno ai quattro mesi, ed è anche abbastanza conveniente dal punto di vista fiscale, in quanto, per immobili con valore fino a 50.000 euro, non si è tenuti a versare l’imposta di registro (imposta molto onerosa).
Ciò che essenzialmente occorre è che tutti gli aventi diritto sull’immobile da usucapire siano concordi nel riconoscere l’avvenuta usucapione e che, nel giorno fissato per la sottoscrizione dell’accordo, tutti coloro che risultano intestatari del bene da usucapire siano presenti personalmente o con procura speciale notarile.

Una volta stilato l’accordo di mediazione, occorrerà recarsi dinanzi ad un notaio di propria fiducia, il quale avrà il compito di autenticarne le firme, onde poter procedere alla trascrizione di quell’atto ex art. 2643 c.c.
In questo caso, dunque, unico inconveniente potrebbe essere quello di riuscire a reperire tutti coloro che risultano dal catasto intestatari del bene o, in loro assenza, gli eredi dei medesimi.

In mancanza dei presupposti per percorrere tale strada, purtroppo, non resterebbe altra scelta che quella di ricorrere ad un Tribunale, affrontare una causa civile e così ottenere una sentenza che riconosca di essere proprietari per possesso ultraventennale di quell’immobile.

Il primo passo che si consiglia di compiere, dunque, è quello di recarsi in uno studio notarile o, ancor meglio, di rivolgersi ad un organismo di mediazione accreditato (se ne trovano anche online), illustrare la situazione in cui ci si trova e prospettare l’intenzione di voler essere riconosciuti e dichiarati proprietari formali di quell’immobile attraverso l’accordo che è stato qui suggerito.

Luigi B. chiede
giovedì 11/10/2018 - Veneto
“Spett.le Studio Broccardi
A seguito di eredità avvenuta nel 1977 ho ereditato, assieme a quattro fratelli 1/5 di proprietà di un terreno di ca 10.000 mq sul quale insistono piante da frutto, prevalentemente ciliegi.
Essendo gli altri fratelli non interessati, d’accordo con loro, ho ininterrottamente coltivato l’area provvedendo alla cura delle piante, alla potatura, alla sostituzione di quelle disseccate concimando il terreno e al taglio del fieno. Il terreno si trova all’interno del Parco Naturale della ....omissis.... Comune di ...omissis...., provincia di ...omissis....
Nel 1983 con il consenso verbale dei fratelli ho costruito a mie spese un fabbricato per il deposito di prodotti e attrezzi agricoli, inizialmente abusivo.
Nel 1986, sempre in accordo con gli altri 4 fratelli ho presentato a mio nome domanda di concessione edilizia in sanatoria che il Comune di ....omissis.... ha rilasciato in data 10/05/1990.
In seguito al decesso di tre dei cinque originali proprietari, sono subentrati gli eredi: vedove e figli. Sempre in accordo anche con gli eredi: cognate e nipoti, ho sempre proseguito la mia opera di gestione e cura dell’area.
Ora i proprietari di tre quote, una del fratello e due degli eredi delle rispettive quote vorrebbero donare al sottoscritto la loro quota per cui avrei la proprietà di 4/5, mentre gli eredi di 1/5 intendono mantenere la loro quota di proprietà.
Chiedo se posso diventare proprietario per usucapione delle tre quote che i proprietari sono disposti a cedermi gratuitamente.
Per la mia attività non ho mai chiesto né ricevuto alcun compenso,
Ogni proprietario e successori hanno regolarmente pagato la tassa IMU.
In attesa di riscontro porgo cordiali saluti

Consulenza legale i 17/10/2018
Il problema che questo caso pone è non solo quello della ammissibilità dell’usucapione di un bene comune, ma anche quello della possibilità di usucapire solo una parte di quel bene.
Dottrina e giurisprudenza, infatti, hanno in diverse occasioni affrontato il tema della usucapione del bene da parte di uno solo dei comproprietari, giungendo alla conclusione che si tratti di un’ipotesi possibile e che l’unica difficoltà può rinvenirsi nel più complesso onere della prova incombente su colui che vuol far valere l’usucapione, in quanto dovrà essere in grado di dimostrare che con il suo possesso ha escluso quello degli altri, ossia che il possesso che ha esercitato sul bene è esclusivo e non discende dal possesso esercitato quale titolare pro quota del bene.

Sotto tale profilo non è sufficiente (in particolare nel caso di comunione ereditaria) un atteggiamento di semplice astensione o mera tolleranza mantenuto dagli altri comproprietari (infatti, ex art. 1144 del c.c. gli atti compiuti con l’altrui tolleranza non possono essere utili all’acquisto del possesso), essendo necessario dare prova di un atto di interversione del possesso, ovvero di un possesso incompatibile con quello degli altri aventi diritto, protratto per oltre venti anni e pacifico.
In altri termini, si richiede che colui il quale voglia far valere l’usucapione debba dare prova di aver goduto del bene in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui, evidenziando a tal fine una inequivoca volontà di possedere uti dominus e non più uti condominus (cfr. Cass. 25.03.2009 n. 7221; Cass. 13.11.2014 n. 24214 e da ultimo Cass. 14.06.2016 n. 12239).

E’ chiaro che in questo caso risulta in certo qual modo agevole fornire una prova di questo tipo, in quanto non ci si trova di fronte alla classica ipotesi della casa familiare caduta in successione e che, con il consenso degli altri coeredi, continua ad essere semplicemente abitata dall’unico figlio rimasto celibe; la prova del possesso esclusivo del bene in questione, invece, può facilmente rinvenirsi sia nella costante coltivazione diretta del terreno, sia, e soprattutto, nell’avere persino realizzato un manufatto su quel terreno, per poi usarlo in maniera esclusiva.

Tuttavia, il vero dubbio che ci si pone è quello di come far conciliare un possesso che si pretende esclusivo ai fini dell’usucapione con la possibilità di acquisire la proprietà solo di tre quote di quel bene.
E’ proprio in ragione di questa situazione, alquanto dubbiosa, che si è indotti a ritenere che la strada migliore per raggiungere il proprio fine sia quella di fare ricorso ad un atto di donazione da parte dei titolari delle tre quote.
D’altro canto, però, non ci si sente di escludere in radice la possibilità di avvalersi dell’istituto dell’usucapione, in quanto in questo particolare caso l’intervenuta usucapione sarebbe frutto di un atto di libertà posto in essere tra privati (un vero e proprio accordo di natura privata), il quale verrebbe ad acquistare ex art. 1372 del c.c. forza di legge tra le parti.

Sotto questo profilo una valida e celere soluzione è quella introdotta dal c.d. decreto del fare (D.L. 69/2013 convertito nella Legge 98/2013), il quale, aggiungendo il n. 12 bis all’art. 2643 c.c., ha previsto e riconosciuto la possibilità di accertare l’usucapione di un bene immobile per mezzo di una procedura di mediazione civile stragiudiziale.
Si avrà così che, colui il quale vuole usucapire un diritto reale, dovrà invitare colui o coloro che risultano proprietari del diritto a partecipare ad una procedura di mediazione civile stragiudiziale, al termine della quale il mediatore redigerà un verbale, in cui viene certificata la volontà delle parti (durante la mediazione occorre essere assistiti da un avvocato).
Una volta raggiunto l’accordo in merito all’usucapione, occorrerà l’intervento di un notaio (pubblico ufficiale) al quale spetterà il compito di autenticarne le firme; solo a seguito di ciò l’atto avrà tutti i requisiti per poter essere trascritto ex art. 2643 c.c.

Il vantaggio di questa forma di riconoscimento dell’intervenuta usucapione sta nel fatto che la stessa potrà essere accertata in breve tempo (circa tre mesi) e che ha un costo molto basso e proporzionale al valore del bene usucapito; inoltre, entro il limite di 50.000 euro di valore, il verbale di mediazione sarà esente dal pagamento dell’imposta di registro.

Per quanto concerne il pagamento dell’IMU da parte di tutti i comproprietari, si ritiene che tale circostanza non possa valere quale atto interruttivo del possesso, in quanto si tratta di un tributo che attesta e che è legato alla sola proprietà del bene e che prescinde dal possesso che dello stesso bene si può avere (a differenza, ad esempio, di ciò che potrebbe valere con il pagamento degli oneri condominiali, i quali sono legati al godimento del bene).
Inoltre, secondo l’orientamento fatto proprio dalla Suprema Corte di Cassazione (cfr. Cass. N. 16234 del 25.07.2011 e Cass. Civ. Sez. II n.1071 del 20.01.2014), per effetto del rinvio operato dall’art. 1165 del c.c. all’art. 2943 del c.c., gli atti interruttivi del possesso (a seguito del quale viene a maturare l’usucapione) risultano tassativamente elencati, potendosi attribuire tale efficacia soltanto ad atti che comportino per il possessore la perdita materiale del potere di fatto sulla cosa, ovvero ad atti giudiziali diretti ad ottenere ope iudicis la privazione del possesso nei confronti del possessore usucapente (sicuramente il pagamento dell’IMU non può incidere in alcun modo sul possesso del bene).

Mario chiede
mercoledì 18/05/2016 - Friuli-Venezia
“Abito in provincia di Trieste dove sugli immobili vige il sistema misto tavolare e catastale.
Nel 1964 mio padre costruisce una casa con un appartamento al primo piano e lasciando vuoto il piano terra.
Nel 1981 mio padre muore e mia madre acquisisce il diritto di abitazione per art. 540 c.c..
Nel 1990 mia madre mi dona la proprietà. Con questo atto notarile appare al tavolare e al catasto anche un diritto di usufrutto -non richiesto- a favore di mia madre restando io nudo proprietario; lavorando io all'estero e non essendo mia madre smaliziata la cosa passa.
Nel 1993 io realizzo un secondo appartamento (utilizzando il piano terra e un ampliamento): a questo punto al Tavolare la (nuda) proprietà e l'usufrutto sono indivise, al Catasto sono iscritti i due appartamenti ciascuno con usufrutto a favore di mia madre (il diritto di abitazione non è citato)e mia nuda proprietà; così mia madre deve pagare l'ICI e poi l'IMU su entrambi gli appartamenti, e il secondo, diventato seconda casa, impone tasse onerose. Penso sempre però che l'usufrutto sia stato un errore del notaio.
Nel 2015 faccio un lieve ampliamento e con l'occasione divido condominialmente in due la casa (dalla vecchia partita tavolare si passa a due nuove); il giudice tavolare trasferisce usufrutto e ANCHE diritto di abitazione a favore di mia madre su entrambi gli appartamenti.
All'inizio del 2016, pensionato e libero, indago al tavolare e al catasto su questi diritti. Scopro che il notaio nel 1990 chiedeva un usufrutto sullo stradello di accesso (una comproprietà mia e di altri) e il funzionario lo ha trascritto invece come usufrutto su entrambi gli appartamenti (!!!) . Al tavolare il giudice cancella d'ufficio l'usufrutto dal 1990. Rimane il diritto di abitazione su due appartamenti, in conflitto con l'art. 540 c.c. che lo prevede solo sull'abitazione coniugale: il funzionario tavolare afferma che può esser tolto con atto notarile (con costi conseguenti).
Poiché il nostro obiettivo è di pagare le tasse come prima casa ciascuno per sé vado al catasto (Agenzia delle Entrate) dove con rettifica di intestazione alla attualità dal 1990 mi tolgono l'usufrutto sui due appartamenti e attribuiscono il diritto di abitazione correttamente all'abitazione di mia madre e piena proprietà al mio.
Con la visura catastale vado al mio comune per variare i nostri dati secondo lo stato catastale e chiedendo anche la restituzione dell'IMU eccedente degli ultimi cinque anni; non riesco neanche a compilare un modulo perché il dirigente del uff. Tributi afferma che a loro NON importa:
a) che attribuire diritto di abitazione a due appartamenti sia contro l'art. 540 c.c.
b) che il catasto (Agenzia delle Entrate) indichi piena proprietà sul mio appartamento
c) che regolamento comunale e decreto istitutivo dell'IMU si riferiscono sempre al catasto e mai al tavolare
per loro ciò che conta è sempre l'indicazione tavolare, quindi applicano il diritto di abitazione su entrambi gli appartamenti anche se ciò è contro il codice civile.
CHIEDO:
1 - Può un comune imporre un tributo che implicitamente violi il codice civile?
2 - È mai possibile che io debba andare da un notaio, con costi relativi, per cancellare al Tavolare il diritto di abitazione sul secondo appartamento che mia madre secondo il codice civile non può avere (da profano credo che si cancelli ciò che si ha...) ?

Consulenza legale i 25/05/2016
Va doverosamente premesso che il cosiddetto sistema “tavolare” è un sistema di pubblicità immobiliare che si differenzia nettamente da quello della trascrizione disciplinato dal codice civile.

Quest’ultima può essere definita la forma di pubblicità necessaria perché determinati atti, riguardanti la condizione giuridica della proprietà immobiliare, abbiano efficacia contro chiunque.
Ciò significa che la trascrizione non rappresenta un modo di acquisto della proprietà o di un altro diritto reale in genere (tali diritti, infatti, si acquistano con il semplice consenso tra le parti), bensì costituisce solamente un requisito perché il nuovo rapporto giuridico creatosi venga portato a conoscenza dei terzi, in modo che nessuno possa poi invocare a proprio favore l’ignoranza di esso.

L’atto, invece, iscritto (“intavolato”) nei registri del sistema tavolare, ha efficacia costitutiva esclusiva, ovvero il trasferimento della proprietà o di altro diritto reale si perfeziona non con il consenso ma obbligatoriamente con l’intavolazione.

E’ opportuno, per comprendere il rapporto esistente tra legge tavolare e codice civile, riportare il testo dell’art. 2 della legge tavolare (Regio Decreto n. 449 del 1929), che così recita: “a differenza di quanto disposto dal Codice civile italiano, il diritto di proprietà e gli altri diritti reali sui beni immobili non si acquistano per atto tra vivi se non con l’iscrizione del diritto nel libro fondiario”.

La lettera della norma è molto chiara: quanto previsto nella legge tavolare costituisce un’eccezione al contenuto del codice civile, per cui rispetto a quest’ultimo la legge tavolare si pone in rapporto di specialità (il codice civile è una norma generale, la legge tavolare costituisce una legge speciale che - secondo il noto brocardo "lex specialis posterior derogat priori generali" - fa eccezione al codice civile nei casi espressamente previsti ed indicati dalla legge tavolare stessa).

Altro dato importante, specialmente ai fini della risposta al quesito, è che il procedimento di iscrizione nei libri fondiari avviene (obbligatoriamente) attraverso una procedura giurisdizionale (di carattere, per così dire, amministrativo/di controllo) che vaglia la legittimità del titolo e ne ordina con decreto del Giudice (Giudice tavolare) l’iscrizione nel libro.

Vanno quindi, sotto quest’ultimo profilo, riportati alcuni articoli significativi della legge tavolare:

Art.31
L'intavolazione non può eseguirsi se non in forza di sentenza o di altro provvedimento dell'autorità giudiziaria, di atto pubblico o di scrittura privata, purché in quest'ultimo caso le sottoscrizioni dei contraenti siano autenticate da notaio o accertate giudizialmente.


art. 93
Il giudice deve decidere sulle domande in base allo stato tavolare esistente sino al momento della loro presentazione
.

art. 94
Il giudice tavolare ordinerà un'iscrizione tavolare solo se concorrono le seguenti condizioni: 1) se dal libro fondiario non risulta alcun ostacolo contro la chiesta iscrizione; 2) se non sussiste alcun giustificato dubbio sulla capacità personale delle parti di disporre dell'oggetto a cui l'iscrizione si riferisce, o sulla legittimazione dello istante; 3) se la domanda risulta giustificata dal contenuto dei documenti prodotti; 4) se i documenti prodotti hanno tutti i requisiti di legge per l'iscrizione richiesti. quando si tratta di iscrizioni tavolari ordinate da altra autorità, il giudice tavolare si limiterà a decidere sull'ammissibilità dell'iscrizione con riguardo allo stato tavolare risultante dai libri fondiari di sua competenza.


art. 95
Salvo i casi previsti dagli articoli 45, 68 e 104 della presente legge, nonché dalla legge 6 febbraio 1869, b. l. i., n. 18, il giudice tavolare deciderà sulle domande tavolari con decreto, senza sentire le parti, accogliendo o respingendo la domanda. tranne i casi previsti negli articoli 88 e 89, non sono ammessi provvedimenti interlocutori. (…)


art. 102
Le iscrizioni nel libro fondiario non possono aver luogo che in seguito al decreto del giudice tavolare e secondo il suo contenuto.


Secondo quanto fin qui detto, per intavolazione deve intendersi l’iscrizione nel libro fondiario di un titolo, in regola nella forma e nella sostanza, che produce l’effetto costitutivo degli accordi contrattuali tra vivi. Laddove, invece, il titolo non sia completo, l’art. 35 della legge tavolare consente la prenotazione dell’intavolazione allorché l’atto o la sentenza, in forza di cui si chiede l’intavolazione, non ha tutti i requisiti prescritti dagli artt. 31 e seguenti, ma possiede in ogni caso almeno i requisiti generali di cui agli artt. 26 e 27 della legge tavolare, e cioè: valida causa, esenzione da vizi visibili che ne diminuiscono l’attendibilità, identificazione delle parti, indicazione della data, nonché la provenienza del predecessore tavolare. Le prenotazioni hanno però natura provvisoria, in quanto devono essere successivamente giustificate con il perfezionamento formale e sostanziale del titolo.

Ciò premesso, si risponde ai due quesiti:
1) Evidentemente non si può imporre un tributo in violazione di una norma del codice civile (salvo che la norma che impone il tributo stesso, naturalmente, non preveda l’eccezione): tuttavia, nella fattispecie, la questione va in realtà esaminata sotto un diverso punto di vista. L’imposta sugli immobili, infatti, si ricollega semplicemente al possesso di un immobile (o a titolo di proprietà o in forza di un diverso diritto reale, come l’usufrutto, l’abitazione. ecc.), e si calcola – come correttamente è stato riferito dall’Ufficio Tributi - sulla base della rendita catastale; quindi il Fisco non va a verificare se la situazione giuridica che risulta dai registri immobiliari (in questo caso, il possesso di due appartamenti in capo alla madre) sia legittima nella sostanza, ma si limita al mero dato formale. Laddove, insomma, vi è il possesso documentato dai registri, vi è l'obbligo di versamento delle imposte.

2) Come appare evidente dalla lettura delle sopra indicate norme, la cancellazione dell’iscrizione tavolare o comunque qualsiasi altra variazione non può avvenire solo sulla base della presentazione di documenti (come la visura catastale), ma richiede il preventivo vaglio del Giudice competente (secondo i citati articoli 95 e seguenti della legge tavolare sopra citati) il quale attesti la regolarità della richiesta, anche sotto il profilo documentale.
Va però detto che, a giudizio di chi scrive, il formalismo del funzionario dell’Ufficio Tributi appare forse un poco eccessivo e che non è così irrilevante che lo stato dei registri tavolari risulti difforme dal codice civile.

In effetti, correttamente è stata variata la situazione catastale per ripristinare il diritto di abitazione ai sensi dell’art. 540 c.c. a favore della madre limitatamente ad uno soltanto dei due immobili (e precisamente a quello originariamente adibito ad abitazione familiare).
La giurisprudenza, infatti (anche se in materia esistono pochissime pronunce), nega che questo diritto possa estendersi ad un immobile diverso e non adibito ad effettiva residenza del coniuge superstite: “Il diritto di abitazione, che la legge riserva al coniuge superstite (art. 540, comma 2 c.c.), può avere ad oggetto soltanto l’immobile concretamente utilizzato prima della morte del "de cuius" come residenza familiare. Il suddetto diritto, pertanto, non può mai estendersi ad un ulteriore e diverso appartamento, autonomo rispetto alla sede della vita domestica, ancorché ricompreso nello stesso fabbricato, ma non utilizzato per le esigenze abitative della comunità familiare.” (Cass. Civ. Sez. II, 14/03/2012, n. 4088).

La situazione di fatto, pertanto, creatasi a seguito della realizzazione di due unità immobiliari distinte e regolarizzata al catasto, dovrà necessariamente essere variata anche in sede tavolare.
E’ peraltro probabile, come già osservato, che il funzionario intendesse semplicemente evidenziare come la procedura di modifica dell’intavolazione precedente debba avvenire secondo delle modalità ben precise (passaggio dal notaio e/o dal Giudice).

Maria P. chiede
martedì 29/03/2016 - Lombardia
“Quesito 15697 chiedo un maggior chiarimento. Ha una prescrizione il mancato passaggio da agricolo a edificabile dei soli 8000 mq. Penso che per ICI e IMU si (mi pare che dal 2007 siano 5 anni) ma per quanto riguarda Comune e catasto?? È regolare che nel 2014 il costruttore sopprima la particella di 35500 mq. origine agricola e crei una nuova particella con il restante residuo prato irriguo (togliendo l'aerea fabbricata e quelle passate a strade e posteggio)??? Regolare tutto ciò?
Altra domanda nel Comune è ancora tutt'oggi in essere una autocertificazione da parte del progettista di conformità alle norme /sanitarie, prevenzione incendi ecc./. Ma se queste nome non vengono rispettate??? che sanzioni ci sono e hanno una prescrizione o sono ancora valide dopo 8/9 anni????
Questo perché in un controllo sulla mia proprietà il Comune ha trovato delle irregolarità (sono in causa col costruttore) proprio inerenti al non rispetto delle norme ASL. CHI DEVE ATTIVARSI PER QUESTO IL COMUNE???? GRAZIE”
Consulenza legale i 06/04/2016
Si procede a rispondere con ordine ed in maniera necessariamente sintetica ai singoli quesiti.
1. Ha una prescrizione il mancato passaggio da agricolo a edificabile dei soli 8000 mq. Penso che per ICI e IMU si (mi pare che dal 2007 siano 5 anni) ma per quanto riguarda Comune e catasto??
Al fine del recupero delle imposte l'Amministrazione Finanziaria può procedere a notificare l'avviso di accertamento al contribuente entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione (cfr. art. 43, comma 1, del Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi: "Gli avvisi di accertamento devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione").
In sostanza, entro il 31 dicembre 2016, l'Amministrazione finanziaria potrebbe provvedere a notificare un avviso di accertamento nel quale, ammesso che effettivamente vi sia discrasia tra l'imponibile indicato in dichiarazione dal contribuente ed il maggiore imponibile accertato (a causa dell'indicazione del terreno come agricolo anziché come edificabile), provveda a contestare l'anno di imposta 2010, per il quale è stata presentata la dichiarazione nell'anno 2011.
Con riferimento agli anni di imposta precedenti al 2010, laddove si provvedesse ad accertare un maggiore imponibile e quindi la doverosità di una maggiore imposta, e se si ricevesse la notifica dell'avviso di accertamento, si potrebbe eccepire la sopravvenuta decadenza dell'Amministrazione nel procedere all'accertamento.
Il D.P.R. n. 600/1973, all'art. 43, comma 3, prende altresì in considerazione l'ipotesi in cui il contribuente non presenti affatto la dichiarazione o la dichiarazione sia nulla: "Nei casi di omessa presentazione della dichiarazione o di presentazione di dichiarazione nulla l'avviso di accertamento può essere notificato entro il 31 dicembre del settimo anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata".
In questo caso, che comunque non sembra ricorrere nel caso di specie, l'Amministrazione avrebbe più tempo per intimare al contribuente il versamento delle imposte asseritamente dovute.
Per quanto riguarda le imposte di registro, in generale, possono essere richieste dall'Amministrazione entro cinque anni dal giorno in cui avrebbero dovuto essere versate.
Si rinvia nel dettaglio all' art. 76, comma 1, del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 99, il quale prevede che:
"1. L'imposta sugli atti soggetti a registrazione ai sensi dell'art. 5 non presentati per la registrazione deve essere richiesta, a pena di decadenza, nel termine di cinque anni dal giorno in cui, a norma degli articoli 13 e 14, avrebbe dovuto essere richiesta la registrazione o, a norma dell'art. 15, lettere c) , d) ed e), si è verificato il fatto che legittima la registrazione d'ufficio. Nello stesso termine, decorrente dal giorno in cui avrebbero dovuto essere presentate, deve essere richiesta l'imposta dovuta in base alle denunce prescritte dall'art. 19".
2. È regolare che nel 2014 il costruttore sopprima la particella di 35500 mq. origine agricola e crei una nuova particella con il restante residuo prato irriguo (togliendo l'aerea fabbricata e quelle passate a strade e posteggio)??? Regolare tutto ciò?.
Stando alla ricostruzione del caso di specie (prospettata nella formulazione del precedente quesito ed alla luce degli ulteriori elementi forniti nell'odierno quesito), sembrerebbe che il costruttore abbia provveduto nel 2014 a distinguere l'area edificabile (di proprietà dei singoli acquirenti degli immobili) dalla particella che è costituita dal restante prato irriguo.
A tale proposito, oltre a confermare che il costruttore, come spesso accade nella prassi, sembra avere provveduto alla suddivisione delle particelle in ritardo (si pensi che l'acquisto dell'immobile risale al 2007), si ribadisce che a livello pratico sarebbe opportuno verificare tramite un geometra la situazione odierna della propria abitazione presso il catasto.
Occorre segnalare, infatti, come anticipato in parte nella risposta al precedente quesito, che si ritiene possa configurarsi comunque un onere dell'acquirente dell'immobile alla verifica dell'allineamento tra stato dei luoghi, registri immobiliari, e risultanze catastali.
Molto spesso, infatti, nello stesso atto di acquisto - ed allo stato della conoscenza della questione non è dato sapere se anche nel caso di specie ricorra tale ipotesi - viene inserita una specificazione relativa agli obblighi del costruttore e dell'acquirente relativi alle suddivisioni o frazionamenti catastali. Pertanto, al fine di delineare eventuali profili di responsabilità del costruttore per comportamenti omissivi, dovrebbe altresì leggersi con attenzione l'atto di vendita notarile.
3. nel Comune è ancora tutt'oggi in essere una autocertificazione da parte del progettista di conformità alle norme /sanitarie, prevenzione incendi ecc./. Ma se queste nome non vengono rispettate??? che sanzioni ci sono e hanno una prescrizione o sono ancora valide dopo 8/9 anni???? Questo perché in un controllo sulla mia proprietà il Comune ha trovato delle irregolarità (sono in causa col costruttore) proprio inerenti al non rispetto delle norme ASL. CHI DEVE ATTIVARSI PER QUESTO IL COMUNE????
Risulta difficoltoso individuare con precisione quali sanzioni amministrative o penali potrebbero essere comminate al progettista che ha attestato la conformità dell'immobile venduto alle norme sanitarie, prevenzione incendi, etc.
Si tratta, infatti, di dichiarazioni di conformità dello stato dei luoghi rispetto a disposizioni di legge o regolamentari vigenti al momento del rilascio della dichiarazione stessa. Tali norme, come noto, dato l'interesse sotteso e tutelato (incolumità, sicurezza, etc.), vengono modificate continuamente dal Legislatore, per cui risulta impossibile, ad ora, individuare le precise sanzioni di cui risponderebbe il progettista. Al fine di fornire una risposta puntuale ci si riserva pertanto di conoscere la documentazione del caso.
In ogni caso, sembra emergere che il Comune ha già provveduto a riscontrare delle irregolarità tra lo stato dei luoghi e le dichiarazioni del costruttore e del progettista.

In ogni caso, in seguito alle irregolarità poste in essere dal costruttore, sembrerebbe essere stata proposta una causa volta ad accertare le responsabilità dello stesso e, quindi, volta a risarcire l'acquirente per i tutti i danni e le spese subìte.

Ora, occorrerebbe verificare se il giudizio in questione avesse ad oggetto altresì l'accertamento delle responsabilità del progettista.

In ogni caso, laddove la presenza di tali false dichiarazioni sottoscritte dal progettista, o comunque di profili di responsabilità in capo al progettista, fosse emersa solo nel corso del giudizio, si dovrebbe verificare se il progettista sia stato chiamato in causa (appunto, al fine di accertare se una parte dei danni subìti dall'acquirente sia a lui imputabile).

Per quanto riguarda l'accertamento di eventuali profili di responsabilità penale, per quanto riguarda la falsa attestazione di conformità, si rende noto che, in ogni caso, l'acquirente dell'immobile può presentare al giudice un'istanza in cui si richieda che gli atti del giudizio (quindi le dichiarazioni false) vengano trasmessi alla competente Procura della Repubblica al fine di accertare eventuali profili di responsabilità.
In questo modo, ogni profilo di responsabilità civile e/o penale verrebbe accertato ed i responsabili sarebbero chiamati a risponderne, sia in sede civile che penale.

Maria P. chiede
lunedì 07/03/2016 - Lombardia
“Buongiorno, ho un dubbio che mi perseguita.
Nel 2007 acquisto una villetta, questa villetta è inserita in una lottizzazione registrata da un notaio/Comune del 2002.
Questa lottizzazione riguardava una parte di terreno 8000 mq. passato fabbricabile ed una cessione di altri 3000 mq. quali opere di urbanizzazione primarie e secondarie.
Questa superficie viene ricavata da un'unica particella di 35000 mq. prato irriguo di proprietà di un costruttore.
Ho trovato la convenzione registrata, ma trovo che nei registri immobiliari si fa riferimento a tutta la particella di 35000 mq. e poi ci sono le note relative alla cessione aree e all'area fabbricabile.(ma semplici note)
la particella originale di 35000 mq. non viene suddivisa, anzi nell'atto di vendita (e non solo il mio) tutte le villette costruite portano la medesima provenienza .......al fine della provenienza la parte venditrice dichiara di essere divenuta proprietaria............ecc.ecc. per la piena proprietà della particella x che a seguito di frazionamenti ha generato tra l'altro la particella Y sulla quale è stato costruito il fabbricato...(13 per l'esattezza)
domando A- come è possibile fare riferimento ad una particella X di 35000 mq. ancora ad oggi prato irriguo (per la differenza rimasta)
B) come è possibile che nella registrazione al catasto questa particella risulti ancora in essere fino al 03/2014 e poi soppressa improvvisamente dopo ben 5 anni dall'ultima villetta costruita.
C) come è possibile che nella stesso giorno venga creata un'altra particella con un residuo di prato irriguo
D) che tutte le nostre particelle riportano una provenienza da prato irriguo part. x ancora oggi.
E) le strade interne che dovrebbero essere comunali riportano provenienza prato irriguo part. x anzi una strada proprio non è stata volturata ed è ancora di proprietà costruttore.
Inoltre due villette hanno un pezzo di giardino in area cimiteriale ed agricola, era obbligatorio il certificato di destinazione urbanistica. Il notaio che ha rogitato (per tutti) è lo stesso che ha registrato la convenzione della lottizzazione (scelto dal costruttore)
Ho ragione di preoccuparmi.., come possiamo risolvere la questione. grazie”
Consulenza legale i 15/03/2016
Con il presente quesito vengono richiesti diversi chiarimenti relativi all'acquisto di un'abitazione perfezionatosi nel 2007, in relazione al quale, in seguito a successivi controlli effettuati dall'acquirente, sembrano evidenziarsi delle irregolarità o comunque delle imprecisioni poste in essere dal costruttore-venditore e/o dal notaio.
Si precisa che sembrano essere emerse irregolarità anche con riferimento ad altre posizioni analoghe di altri acquirenti.
Si ritiene che le singole "incongruenze" elencate possano essere ricondotte, in generale, ad una mancata corrispondenza tra lo stato dei luoghi, il contenuto dell'atto di acquisto, le risultanze delle visure catastali e le trascrizioni nei registri immobiliari.
In questa sede si procede ad individuare gli effetti di quanto sopra e il da farsi per provvedere a uniformare le risultanze documentali con lo stato dei luoghi.
Preliminarmente occorre chiarire, come sembra essere noto all'acquirente dell'immobile in questione, che la "particella catastale" è costituita da "una porzione continua di terreno o da un fabbricato, che siano situati in un medesimo comune, appartengano allo stesso possessore, e siano della medesima qualità o classe, o abbiano la stessa destinazione", come stabilito dal risalente Regio Decreto 8 ottobre 1931, n. 1572 (in particolare, all'art. 2, comma 2).
Nel caso di specie, dalla ricostruzione prospettata, non sembra che il costruttore abbia provveduto alla suddivisione della particella madre; non ha quindi provveduto alla divisione delle singole proprietà (si parla di particella Y sulla quale sono state realizzate ben 13 unità immobiliari separate, tra cui quella oggetto della nostra analisi).
Proprio al fine di provvedere ad un riordino e ad un allineamento tra lo stato dei luoghi, le visure catastali e le risultanze dei registri immobiliari, l'art. 19 del Decreto Legge del 31 maggio 2010, n. 78 ha modificato l’art. 29 della Legge 27 febbraio 1985, n. 5252.
In particolare, l'art. 19, comma 14, del D.L. n. 78/2010 ha previsto l'aggiunta dell'art. 1-bis all'art. 29 della Legge n. 52/1985. Pertanto, ora l'art. 29, comma 1-bis, della Legge n. 52/1985 stabilisce che: "Gli atti pubblici e le scritture private autenticate tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali su fabbricati già esistenti, ad esclusione dei diritti reali di garanzia, devono contenere, per le unità immobiliari urbane, a pena di nullità, oltre all'identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale. La predetta dichiarazione può essere sostituita da un'attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale. Prima della stipula dei predetti atti il notaio individua gli intestatari catastali e verifica la loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari ".
In sostanza, il legislatore ha previsto la sanzione della nullità (ovvero, in breve, della mancata produzione di effetti giuridici) con riferimento ad un contratto di acquisto di un immobile nel quale le parti non si assicurino di verificare e attestare la conformità del contenuto del contratto di acquisto alle risultanze catastali. Inoltre, il notaio deve necessariamente effettuare un'ulteriore verifica della conformità di quanto inserito nel contratto e nelle visure catastali, rispetto a quanto inserito nei registri immobiliari (Conservatoria dei Registri Immobiliari).
Occorre subito precisare che le disposizioni ora richiamate "si applicano a decorrere dal 1° luglio 2010", come previsto dallo stesso D.L. n. 78/2010.
Pertanto, poiché il rogito dell'atto di acquisto risale al 2007, nel caso di specie, si ritiene che la sanzione della nullità del contratto per il caso in cui le parti non abbiano adempiuto a tali adempimenti non sia applicabile.
Tuttavia, seppure il dettato della norma non abbia efficacia retroattiva e pertanto non possa applicarsi al contratto del 2007, in applicazione della ratio sottesa alla novità legislativa (consistente nella regolarizzazione dei dati catastali) e a tutela della propria proprietà, si suggerisce di provvedere a sollecitare il costruttore-venditore alla corretta divisione della particella originaria, in virtù della realizzazione e della vendita di ben 13 villette (le quali corrispondono a singole unità abitative).
Certamente l'aiuto di un valido geometra potrebbe aiutare a comprendere appieno la situazione catastale e a suggerire le pratiche idonee da svolgere presso il catasto per tentare di rendere la situazione di fatto conforme a quella catastale.
Si suggerisce di richiedere un incontro presso il catasto competente e di recarsi accompagnati da un geometra al fine di comprendere le problematiche esistenti e l'iter che sarà necessario seguire per regolarizzare il tutto.
Su www.agenziaterritorio.it si trovano preziose indicazioni.
Si precisa - per quanto possa apparire ovvio - che il problema del "disallineamento catastale" non pregiudica in alcun modo la proprietà dell'immobile acquisito. Problemi potrebbero nascere, però, qualora si desiderasse alienare il bene a terzi.

Enzo S. chiede
martedì 09/08/2022 - Emilia-Romagna
“Nell'anno 1994 ho acquistato un appartamento con due cantine ed un garage facente parte di una palazzina di cinque appartamenti posta in zona collinare.
La palazzina è composta da tre appartamenti che si sviluppano sul fronte strada (ammezzato, primo piano, secondo piano) e nel retro (versante collinare) due appartamenti e cantine seminterrate: al piano ammezzato le cantine seminterrate, un appartamento al primo piano (rispetto al piano strada ma a livello del giardino) ed un appartamento al secondo piano.
L'appartamento che ho acquistato è quello del primo piano (versante collinare) livello giardino in parte privato ed in parte condominiale.
Sotto all'appartamento, si trovano tutte le cantine.
Dall'appartamento accedo ad una terrazza costruita già in fase di edificazione (abusiva ma poi condonata) lunga come tutta la parete della casa e che copre integralmente uno scannafosso (abusivo poi condonato) nel quale si affacciano le finestre delle cantine.
Unitamente all'appartamento ho acquistato due cantine (quindi sottostanti il mio appartamento) e l'uso esclusivo dello scannafosso che peraltro era accessibile solo attraverso il garage (esterno all'area di sedime e quindi riconosciuto come estraneo al condominio) che ho acquistato sempre con lo stesso rogito delle altre unità citate.
Dopo circa due anni ho eseguito lavori di ristrutturazione al termine dei quali sono andato ad abitare l'appartamento.
Con tali lavori ho innalzato la pavimentazione dello scannafosso portandola al livello delle cantine aperto due porte (una per ogni cantina) per collegarle allo scannafosso
installato un ascensore che dall'appartamento scende al livello cantine in tal modo ho collegato l'appartamento con le due cantine e con il garage.
poiché le cantine hanno finestre nello scannafosso ho costruito un solaio che isola il mio corridoio dalle finestre che ora si affacciano su una intercapedine sotto al terrazzo e sopra al mio corridoio. Alle cantine ho dato aria aprendo delle finestre nell'inercapedine e luce installando blocchi di vetrocemento sul pavimento della mia terrazza.

Recentemente ho eseguito (a mie spese) una impermeabilizzazione del muro controterra che presentava infiltrazioni.
Lo scannafosso è sempre stato ritenuto condominiale sia nel mio rogito (ovviamente) che al catasto.
Alcuni anni fa ho fatto sistemare la posizione catastale nella quale però l'ex scannafosso è indicato come unità condominiale.
Non esiste regolamento condominiale.
Abbiamo un amministratore.

Posso vantare la proprietà dello scannafosso (sia nella parte praticamente integrata nel mio appartamento che nella intercapedine che ho realizzato per dare aria alle cantine) per usucapione?”
Consulenza legale i 21/08/2022
La questione che con il presente quesito si chiede di affrontare è sostanzialmente quella, abbastanza diffusa, della usucapibilità o meno delle parti comuni di un edificio condominiale.
Di tale problema si è occupata in diverse occasioni la Suprema Corte di Cassazione, affermando quanto segue:
il “comproprietario che voglia dimostrare di avere usucapito la quota degli altri comunisti deve dimostrare di averla posseduta uti dominus e non più uti condominus, senza che possa considerarsi sufficiente che gli altri partecipanti si astengano dall'uso della cosa comune (Cass. n. 23539/2011; Cass. n. 3238/2018), ossia può usucapire la proprietà esclusiva della cosa comune solo possedendola ma è necessario che la possieda animo domini, per il tempo necessario, in modo inconciliabile con la possibilità di fatto di un godimento comune, come nel caso in cui la cosa venga attratta nella sua sfera di materiale ed esclusiva disponibilità mediante una attività che valga, comunque, ad escludere il concorrente compossesso degli altri comproprietari (Cass. n.5640/1995).”

Tale principio si trova ribadito in una recente sentenza di merito della Corte d’Appello di Brescia del 2 luglio 2021, nella quale viene appunto statuito che, onde procedere all’acquisto a titolo originario, il possessore risulta onerato di esplicare in via esclusiva, continuativa e senza alcun limite il potere di fatto corrispondente all’esercizio del relativo ius potestativo, palesando un comportamento capace di mettere in evidenza, anche agli occhi dei terzi, una incontestabile e piena signoria de facto sul cespite che si intende usucapire.

Ora, analizzando la disciplina generale dell’usucapione, quale dettata dagli artt. 1158 e ss. c.c., va detto che gli elementi costitutivi dell’acquisto a non domino sono dati dalla pacificità, pubblicità e continuità, senza apprezzabile interruzione, del possesso da parte del rivendicante il diritto, nonché dal c.d. animus possidendi, inteso come volontà di atteggiarsi quale proprietario e non dalla semplice convinzione di esserlo, esprimendo facoltà riconducibili a quel determinato ius e tali da apparire ai terzi quale proprietario (così Corte App. Roma Sez. IV 29.10.2002, Cass. vic. Sez. II del 15.07.2002 n. 10230, Cass. civ. Sez. II del 6 maggio 2014 n. 9671).
Sul piano processuale, l’attore, che agisce al fine di vedersi riconosciuta per usucapione l’attribuzione del diritto reale su un determinato bene immobile, è onerato di dimostrare i predetti elementi costitutivi e, dunque, sia l’animus che il corpus.
In particolare, per quanto riguarda l’animus possidendi, si ammette che lo stesso possa desumersi per presunzione allorquando l’attore compia atti o fatti tali da manifestare l’intenzione di avere la res quale bene proprio (cfr. Cass. civ. Sez. II 11.06.2010 n. 14092); di contro, sull’effettivo titolare del diritto, ovvero il convenuto, incombe l’onere di provare che il godimento, conduzione o disponibilità a qualsiasi titolo del bene in capo all’attore discende da un titolo idoneo.

Entrando adesso nel merito della fattispecie in esame, si ritiene che chi pone il quesito sia in condizione di provare agevolmente la sussistenza di entrambi i presupposti richiesti dalla legge ai fini dell’usucapione dello scannafosso (ossia il corpus e l’animus possidendi), avendo posseduto quel bene in modo esclusivo, pacifico ed ininterrotto per un ventennio, con incontrovertibile esclusione degli altri condomini dal compossesso della res comune.
Peraltro, si ritiene che i lavori eseguiti sullo scannafosso (quali descritti nel quesito) possano valere ad escludere ogni presunzione di legittima possibilità di concorrente, e perfino parziale e saltuario, esercizio del diritto da parte dei residuali comunisti, costituendo prova provata che tale esercizio non possa effettivamente più sussistere ed occorrere (cfr. in tal senso Cass. civ. Sez. II n. 23539 del 10.11.2011, Trib. Nocera Inferiore sez. I del 02.02.2021).

Unica eccezione a cui si rischia di andare incontro, e che potrebbero sollevare gli altri condomini, è quella derivante da quanto viene riferito nella parte iniziale nel quesito, ove viene detto che, unitamente all’appartamento, è stato acquistato “l’uso esclusivo dello scannafosso”.
Occorrerebbe, infatti, comprendere bene se tale “uso esclusivo” sia stato configurato come un vero e proprio diritto reale d’uso (il che si porrebbe come ostacolo all’acquisto della piena proprietà del bene per usucapione) ovvero come un semplice diritto personale di godimento (solo l’esame del titolo di provenienza può contribuire a chiarire la natura di tale diritto).

In ogni caso, si tenga presente che, per effetto del decreto legge n. 69/2013, che ha aggiunto il numero 12 bis all’art. 2643 del c.c., la materia dell’usucapione dei diritti reali rientra tra quelle oggetto di mediazione obbligatoria, con la conseguenza che oggi è possibile usucapire un bene, mobile o immobile che sia, ricorrendo a tale istituto, con un notevole risparmio di tempi e di costi rispetto a quanto avveniva seguendo la procedura ordinaria (già in tale sede ci si potrà rendere conto di quali opposizioni intenderanno avvalersi gli altri condomini ed eventualmente decidere di non portare avanti il giudizio di merito).

A. B. chiede
giovedì 23/06/2022 - Estero
“Gentili Signori,
ho bisogno ancora di un vostro parere. Ci siamo recentemente sentiti in merito ad una servitù di passaggio.
La controparte da me contattata ha risposto e afferma che per lei non esiste documentazione in merito alla servitù. Il passaggio usato attraverso gli anni è stato concesso, secondo lei, per bontà del padre recentemente deceduto.

Ora nell'atto di compra-vendita, registrato e conservato si legge chiaramente che l'accesso alla stalla e cortile, appartenenti alla proprietà M.N.2193 e M.N.2889, viene attraverso il pianterreno e corte della casa adiacente distinta con il M.N.2888.

La mia domanda è se l'atto di compravendita, che spedirò nella sua interezza, è anche valido come documentazione di una servitù di passaggio.

Cordiali saluti”
Consulenza legale i 30/06/2022
L’atto di provenienza trasmesso a questa Redazione può senza alcun dubbio valere quale valido titolo costitutivo della servitù che adesso il proprietario del fondo servente intende contestare.
Come si ritiene possa essere ben noto, la servitù di passaggio è il diritto reale di godimento che consente al titolare di un fondo di passare su un fondo altrui per accedere al proprio.
Si tratta di un diritto reale e non personale, ovvero il diritto appartiene al proprietario solo in quanto proprietario del “fondo dominante”.
Ciò significa che il passaggio di proprietà del fondo dominante comporta il trasferimento automatico del diritto di servitù anche senza che ne sia fatta espressa menzione nell’atto di trasferimento; a sua volta, il peso imposto sul “fondo servente” segue le vicende del fondo, passando da un proprietario all’altro, con il trasferimento del bene immobile.

In particolare, poi, la servitù di passaggio, il cui requisito indispensabile è che i fondi appartengano a proprietari diversi, ha lo scopo di realizzare l’utilità di passare attraverso un fondo per raggiungerne un altro.
Il fondo servente può anche essere chiuso con un cancello o recintato, ma in ogni caso deve essere consentito il passaggio al proprietario del fondo dominante, consegnandogli ad esempio le chiavi del cancello (Cass. civ. sez. VI, ord. 2/09/2019 n. 21928), dovendosi evitare di apporre ostacoli (come siepi, alberi etc..) che rendano più gravoso il passaggio.

L’art. 1031 c.c. individua i possibili modi per costituire una servitù, distinguendo innanzitutto tra servitù costituite volontariamente e servitù costituite coattivamente; tra le forme di costituzione volontaria possono individuarsi il contratto ed il testamento.
Nella specifica ipotesi di servitù costituita per contratto (fattispecie chiaramente ricorrente nel caso di specie), da esso devono risultare con certezza l’identificazione del fondo servente, del fondo dominante e dell’utilità derivante a quest’ultimo dal peso imposto sul primo fondo.

La forma del contratto deve essere, a pena di nullità, l’atto pubblico o la scrittura privata (in tal senso dispone il n. 4 del comma 1 dell’art. 1350 c.c.), mentre la trascrizione del contratto è necessaria ai fini dell’opponibilità ai terzi della servitù (così il corrispondente n. 4 del comma 1 dell’art. 2643 c.c.).
L’eventuale assenza di trascrizione non incide sulla valida costituzione della servitù, ma soltanto sulla sua efficacia, in quanto una servitù non trascritta non sarà opponibile ai successivi acquirenti e sarà destinata ad esplicare la sua efficacia soltanto a favore ed in danno di coloro che hanno sottoscritto il contratto che la costituisce.

Fatte queste necessarie premesse di carattere generale, può dirsi che nel caso di specie sussistono tutti i presupposti per poter confermare l’efficacia reale della servitù di cui si discute, e precisamente:
1. dall’atto costitutivo del 31.10.1940 risultano con certezza l’identificazione del fondo servente (mappale n. 2888), del fondo dominante (stalla e orto, mappali nn. 2193 e 2889), nonché l’utilità derivante a quest’ultimo dal peso imposto sul primo (accedere alla stalla e all’orto);
2. risulta rispettata la forma dell’atto pubblico, facendosi espressa menzione di essa alla pagina 3 dell’atto di vendita;
3. della medesima servitù, infine, si fa menzione nella nota di trascrizione del suddetto atto di vendita, il che determina la sua opponibilità c.d. erga omnes, ossia nei confronti di tutti coloro che nel corso del tempo diventeranno proprietari del fondo servente.

Pertanto, salvo il verificarsi medio tempore di una causa di estinzione della servitù (che, stando a quanto riferito, non dovrebbe sussistere), il titolo con relativa nota di trascrizione inviato a questa Redazione può sicuramente essere utilizzato per provare l’esistenza della servitù in favore del proprio fondo ed a carico del fondo servente identificato con il mappale n. 2888.

P. M. C. chiede
martedì 23/11/2021 - Lombardia
“consulenza n. Q202129083

Buongiorno.
Davvero ho apprezzato la vostra correttezza professionale sulla quale non ho mai avuto dubbi. Ho sempre ricevuto, in risposta ai miei quesiti, una consulenza approfondita, completa e chiara.

Seguendo il vostro consiglio mi sono rivolta a un avvocato il quale ha espresso apprezzamento per la qualità della consulenza da voi fornita, condividendo le vostre conclusioni. Secondo l'avvocato il punto debole per chiedere e ottenere la cancellazione della servitù è rappresentata dal discorso della reciprocità, molto difficile da sostenere.
C’è qualche considerazione, suggerimento, riflessione che potreste aggiungere a questo proposito?

Ho eseguito immediatamente quanto richiesto dall'avvocato dei vicini; ora il cancello è stato spostato di circa un metro verso casa mia, anche se le sue dimensioni, più di tre metri, sono rimaste inalterate. Questo perché i miei cugini, alle lamentazioni del vicino che, diminuendo la larghezza del cancello avrebbe avuto difficoltà ad accedere alla sua proprietà, per “non aver rogne con avvocati" glielo hanno concesso. Purtroppo per me!
Confesso, quindi, che sto maturando l’idea di lasciar perdere tutto, vendere la casa e trasferirmi altrove; devo solo riuscire a superare l’ostacolo affettivo.

Nel caso prendessi questa decisione mi si presenterà un grosso problema, problema che si sarebbe risolto automaticamente con l’acquisto del terreno.
Si tratta di questo: mio padre, nel 1983, aveva acquistato dai parenti una porzione del prato, circa 10 metri quadrati, davanti alla facciata nord di casa, dove c’è l’ingresso. Aveva poi recintato la parte realizzando un terrazzino. Davanti al terrazzino, sempre sul prato dei parenti, mio padre parcheggiava la sua auto; lo stesso facciamo ora noi.
Purtroppo, però, non abbiamo alcuna prova scritta dell'acquisto per cui il terreno risulta essere ancora di proprietà dei miei cugini.
Questo problema esiste da sempre, ma, qualora mi risolvessi a vendere casa, il problema diventerebbe pressante: innanzitutto la casa sarebbe priva di parcheggio, inoltre il fatto di abitare a piano terra in mezzo a un prato e non poter passare del tempo all’aperto rappresenterebbe un forte deterrente per un eventuale acquirente. Sicuramente influirebbe sul valore della casa.

La cosa più semplice sarebbe quella di registrare finalmente l’atto di acquisto, ma non sono certa che i miei cugini accetterebbero, loro intendono vendere l’intera proprietà, oppure niente.
Sarò, quindi, costretta a procedere per usucapione.
Chiedo, pertanto, il vostro prezioso aiuto per capire come si procede, quali prove servono, quali sono gli ostacoli e i tempi.

Le mie richieste sono due:
1. un approfondimento, se possibile, per quanto riguarda il discorso della reciprocità della servitù prediale, descritta nell’atto costitutivo del 1909,
2. una guida per l’usucapione.

Attendo indicazioni per l' integrazione del costo della consulenza; devo aprire un’altra consulenza per l’usucapione?
Ringrazio anticipatamente per l’aiuto.

Un cordiale saluto”
Consulenza legale i 29/11/2021
Il primo aspetto in relazione al quale vengono richiesti chiarimenti è quello relativo all’asserita natura reciproca delle servitù di cui si discute.
Detta natura si ritiene che possa chiaramente desumersi dallo stesso tenore letterale dell’atto notarile in forza del quale è avvenuta la loro costituzione, dal quale risulta che la servitù era stata costituita tra il nonno di chi pone il quesito e Caio al fine di soddisfare esigenze reciproche, ossia da un lato consentire al nonno di raggiungere il suo fienile intercluso e dall’altro a Caio, proprietario dei terreni che il nonno doveva attraversare per raggiungere il fienile, di avere un accesso ulteriore per raggiungere il suo di fienile, seppure godesse già di un altro accesso.
Questo è ciò che si legge nell’atto notarile del 18/06/1909:
“T.R…..dichiara concedere come concede al presente ed accettante C.G. il diritto di passare a pedoni ed anche con carro …..
Alla sua volta il C.R. concede alla presente ed accettante T.R. il diritto di passare a pedoni e con carro…
Si intende così di costituire tra i contraenti un andito a pedoni e con carro uguale e reciproco fra di essi e tutti i corrispettivi cointestati…
Il C. paga qui all’atto lire….a titolo di corrispettivo per la presente concessione di servitù….Tale servitù è uguale e reciproca tra i fondi”.

Sembra evidente, come detto nelle precedenti consulenze, che nel caso di specie si sia in presenza di una tipica ipotesi di servitù coattiva (C.G. aveva diritto di passare sul fondo altrui per raggiungere il suo fienile intercluso), costituita volontariamente tra le parti.
Si è anche precisato che, nell’ambito di tale fattispecie costitutiva di servitù, sia il pagamento del corrispettivo di lire…. che la costituzione in favore di T.R. della servitù reciproca integrano quell’indennizzo che, ex art. 1053 del c.c., il proprietario del fondo servente (ossia T.R.) ha il diritto di pretendere nei confronti del proprietario del fondo dominante.

Una volta cessata l’interclusione (per successiva alienazione del fienile da parte di C.G.) deve ritenersi venuto meno il presupposto essenziale in forza del quale quelle servitù reciproche erano state costituite, con la conseguenza che potrebbe farsi valere dinanzi al giudice l’estinzione della servitù ancora gravante sul proprio fondo per difetto del requisito della reciprocità.
A quest’ultimo proposito sarebbe possibile invocare l’applicazione in via analogica del disposto di cui all’art. 1463 del c.c., norma che, seppure dettata in materia contrattuale, esprime il concetto che si ritiene applicabile ad ogni ipotesi di prestazioni corrispettive, ovvero quello secondo cui l’impossibilità sopravvenuta della prestazione di una delle parti legittima l’altra parte a non continuare ad eseguire la propria prestazione.

E’ questa in estrema sintesi la linea difensiva che si suggerisce di portare avanti qualora ci si decidesse ad agire in giudizio, al fine di convincere il giudice sia dell’inutilità della servitù attualmente esercitata sulla particella 188 (godendo il fondo dominante di un accesso perfino più comodo alla pubblica via) sia del venir meno del carattere reciproco per il quale quella stessa servitù è stata a suo tempo costituita.

Passando adesso ad occuparci del tema dell’usucapione, può dirsi che nel caso di specie sembrano sussistere tutti i presupposti per potersi avvalere di tale fattispecie acquisitiva con riguardo a quella porzione di prato dei parenti di cui non è stata mai formalizzata la vendita.
Come si ritiene possa essere ben noto, l’usucapione si fonda essenzialmente sul possesso esercitato su un determinato bene, possesso che deve avere dei requisiti ben precisi, ossia deve essere:
a) duraturo, ossia prolungato nel tempo;
b) pacifico, ovvero occorre avere acquisito il possesso del bene in modo non violento (ricorre il carattere della violenza, ad esempio, quando si invade con la forza un terreno, rivolgendo minacce al legittimo proprietario di non essere disturbati nel possesso);
c) pubblico: non può giovarsi dell’usucapione chi ruba un bene ad un altro soggetto, senza che questo se ne accorga (si dice che l’acquisto non deve essere clandestino);
d) continuato o ininterrotto: deve essere esercitato costantemente e uniformemente sulla cosa per tutto il periodo di tempo prescritto dalla legge, senza che siano stati posti in essere atti provenienti da terzi, per effetto dei quali il possessore sia stato privato del bene.

Nel caso di specie non sembra possano sussistere dubbi sulla presenza di tutti i requisiti appena elencati, considerato che il possesso è stato conseguito dal padre di colei che pone il quesito in virtù di una promessa di vendita (seppure verbale, ma comunque in modo pacifico) ed esercitato da costui e dai suoi eredi (la figlia) in modo non clandestino (vi è stata perfino realizzato un terrazzino recintato e vi si parcheggiano le auto).
Inoltre, sono abbondantemente maturati i tempi utili per il prodursi dell’usucapione, tempi che il codice civile fissa in venti anni per gli immobili (per il caso in cui non si sia in ossesso di alcun titolo), trovando peraltro applicazione il principio della c.d. successione nel possesso di cui all’art. 1146 del c.c..

Ovviamente, qualora, come in questo caso, si voglia disporre giuridicamente di quel bene (alienandolo a terzi) è necessario che ci si munisca di una valido titolo che accerti l’intervenuta usucapione, ovvero occorre ottenere una sentenza c.d. dichiarativa, in quanto da essa ne conseguirà non tanto la costituzione del diritto (in quanto l’usucapione produce i suoi effetti col semplice avverarsi delle condizioni di legge sopra viste), quanto piuttosto la semplice formalizzazione dell’intervenuto acquisto della proprietà per usucapione (così Cass. civ. sent. n. 12609 del 19 marzo 2008).

E’ pur vero che secondo un recente orientamento giurisprudenziale (cfr. Cass., sent. n. 32147 del 12 dicembre 2018) deve ritenersi valido e non nullo il contratto di compravendita con cui viene trasferito il diritto di proprietà di un immobile su cui il venditore abbia esercitato il possesso per un tempo sufficiente al compimento dell’usucapione, sebbene l’acquisto della proprietà da parte sua non sia stato giudizialmente accertato in contraddittorio con il precedente proprietario, ma è anche vero che l’accertamento giudiziale dell’usucapione non può non considerarsi necessario allorchè l’usucapione sia controversa, così come è anche vero che il potenziale acquirente avrebbe tutte le sue buone ragioni per non effettuare l’acquisto da chi ha usucapito senza un preventivo accertamento giudiziale (lo stesso notaio rogante è tenuto a precisare nell’atto di acquisto che il compratore è consapevole che l’acquisto del presunto bene usucapito possa essere a rischio, inserendo nel negozio stipulato tra le parti una specifica clausola in tal senso).

Stando così le cose, si può solo sperare che, trattandosi di materia per la quale è prevista la mediazione obbligatoria (reintrodotta con il decreto del fare D.L. 21 giugno 2013 n. 69 convertito in legge 9 agosto 2013 n. 98), si possa evitare di dover fare ricorso all’autorità giudiziaria (e dunque affrontare una causa civile) risolvendo il tutto con un accordo in sede di mediazione, per effetto del quale le parti riconoscano bonariamente e consensualmente l’intervenuta usucapione, dando così la possibilità a chi pone il quesito (parte usucapiente) di formalizzare il suo acquisto e alienare liberamente la proprietà di quella porzione di prato quale pertinenza del suo immobile.

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