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Articolo 1543 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 31/01/2024]

Forme

Dispositivo dell'art. 1543 Codice Civile

La vendita [1470] di un'eredità deve farsi per atto scritto [1350], sotto pena di nullità [2725](1).

Il venditore è tenuto a prestarsi agli atti che sono necessari da parte sua per rendere efficace, di fronte ai terzi, la trasmissione di ciascuno dei diritti compresi nell'eredità(2).

Note

(1) Ciò anche se l'eredità non contiene beni immobili.
(2) Ad esempio, consegnando all'acquirente i documenti connessi alla vendita.

Ratio Legis

La forma scritta si rende necessaria in considerazione della rilevanza del contratto e delle conseguenze che esso produce per il compratore (v. 1546 c.c.).
La previsione di cui al comma 2, invece, è volta ad agevolare la posizione dell'acquirente.

Spiegazione dell'art. 1543 Codice Civile

Atto scritto

La vendita di un'eredità deve farsi per atto scritto, sotto pena di nullità.
Il venditore è tenuto a prestarsi agli atti che sono necessari da parte sua per rendere efficace, di fronte ai terzi, la trasmissione di ciascuno dei diritti compresi nell'eredità.
Essendo alienazione di cose non semplici ma complesse, e generalmente (per la stessa diversità dei vari oggetti nell'universum jus) di valore abbastanza notevole, è richiesto sotto pena di nullità l'atto scritto.

Inoltre, poiché il venditore deve cooperare all'attuazione del diritto trasferito, il venditore deve prestarsi agli atti necessari da parte sua per rendere efficace di fronte ai terzi la trasmissione di ciascun diritto compreso nell'eredità. Deve perciò, se richiesto, conferire procura per la riscossione nei crediti ereditari (ove per riscuoterli il compratore preferisca averne mandato) ovvero deve fare istanza per il trasferimento di un brevetto o di diritti di autore, ecc.
Deve insomma prestarsi a tutto quanto gli può essere richiesto dal compratore, anche se al solo scopo di rendere più facile ed economico il trasferimento per una via eventualmente più breve e meno costosa dell'abituale.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

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S. T. chiede
giovedì 11/05/2023
“Buongiorno,
vorrei sapere se è possibile fare la successione legittima dopo aver pubblicato il testamento olografo. E se si qual'è la procedura da seguire. Premetto che tutte le parti in causa sono d'accordo.
Grazie, cordiali saluti”
Consulenza legale i 17/05/2023
Purtroppo il nostro ordinamento giuridico non consente di realizzare ciò che si ha in mente.
La successione legittima, infatti, si apre quando la persona defunta non abbia previsto un testamento, ovvero tale testamento non sia stato rivenuto dai suoi prossimi congiunti.
Soltanto in questo caso sopperisce la legge, prevedendo le quote che spettano agli eredi, quali individuati agli artt. 565 e ss. c.c.
Se invece il de cuius ha fatto testamento, la volontà testamentaria prevale sempre su quanto prevede la legge, in quanto è giusto che ciascun soggetto decida a chi devolvere i propri beni per il tempo in cui avrà cessato di vivere (ovviamente sempre nel rispetto delle quote di riserva spettanti ai c.d. legittimari, ovvero figli e coniuge).
Pertanto, qualunque accordo volto a disattendere la volontà espressa nella scheda testamentaria, peraltro già pubblicata con verbale notarile, sarebbe invalido per contrasto con i principi generali voluti dal legislatore in materia di successione.

In tal senso può argomentarsi da quanto sostenuto sia in dottrina che in giurisprudenza in tema di patto di non pubblicazione di un testamento olografo.
Si tratta di un vero e proprio contratto, concluso anche in forma orale fra i chiamati all’eredità, dal quale si fanno derivare obbligazioni aventi contenuto di “non fare”.
Nella maggior parte dei casi la finalità che si intende perseguire con un patto di questo tipo può essere quella di:
a) evitare di sostenere i costi di pubblicazione del testamento olografo;
b) attuare una distribuzione dei beni diversa da quella indicata dal testatore.

Ebbene, in linea generale, si sostiene che per la validità di questo tipo di patto è necessaria la partecipazione di tutti i soggetti che possono vantare qualche interesse nella successione.
Inoltre, a prescindere da tale presupposto essenziale, si distinguono due diverse tesi, e precisamente:
1) secondo una prima tesi, la valutazione della liceità dell’accordo dovrebbe eseguirsi analizzando il suo contenuto, con la conseguenza che il patto può ritenersi lecito soltanto qualora il suo scopo sia semplicemente quello di evitare le spese di pubblicazione, mentre sarebbe illecito qualora con esso si intenda non dare attuazione alle disposizioni testamentarie (sempre nel rispetto del principio di carattere generale della assoluta prevalenza della volontà testamentaria);
2) secondo altra tesi, invece, la liceità del patto di non pubblicazione deve essere valutata con riguardo al contenuto del testamento e non a quello dell’accordo; ciò comporta che può ritenersi valido soltanto il patto di non pubblicazione di un testamento contenente disposizioni non patrimoniali oppure revocato / invalido.
In queste ipotesi, il patto di non pubblicare porterebbe all'indiscusso beneficio di evitare la pubblicazione di una (eventuale) pluralità di schede ogniqualvolta queste non influiscano sulle volontà dispositive post mortem del patrimonio del de cuius.

Anche la Corte di Cassazione, con sentenza n. 2145 del 17.07.1974, ha ritenuto che il patto di non pubblicazione possa ritenersi lecito nel rispetto di alcuni principi fondamentali, precisando che tale accordo non deve ostacolare la certezza dei rapporti successori fondamentali e che non può essere finalizzato all’ottenimento di un risultato che porti quale conseguenza all’indegnità dei suoi sottoscrittori.
Si è così osservato che ove detto patto influisca sul titolo della delazione (quindi, per esempio, nei casi in cui la delazione da testamentaria mutasse in legittima), vi sarebbe la lesione del primo dei due principi sopra espressi (quello relativo alla certezza dei rapporti successori fondamentali), con l’inevitabile conseguenza che, attenendo tale principio all’ordine pubblico, si avrebbe un caso di nullità del patto.

Quanto fin qui detto, dunque, si ritiene possa essere a fortiori sufficiente per escludere in radice la validità di una pattuizione quale quella che qui si intende concludere, incidendo questa su quel principio inderogabile proprio del nostro ordinamento giuridico, secondo cui si fa luogo alla successione legittima solo in mancanza di una espressa volontà testamentaria.
A questo punto, se i chiamati non intendono far valere la delazione testamentaria in quanto vogliono dividersi il patrimonio ereditario in base alle regole della successione legittima, rimane una sola possibilità, ossia quella di avvalersi della c.d. vendita di eredità, disciplinata dagli artt. 1542 e ss. c.c., per effetto della quale si potrà disporre come si vuole delle relative quote ereditarie.
Tale atto richiede la forma scritta ex art. 1543 e comporta accettazione tacita dell’eredità ex art. 478 c.c.
In tal senso si è espressa la Corte di Cassazione, Sez. II civile, sent. 28.11.1988 n. 6414, così massimata:
Qualora i chiamati all'eredità convengano di non far valere il testamento del de cuius e di ripartirsi l'asse ereditario in parti uguali secondo la successione legittima, ne deriva un atto di disposizione delle relative quote che, ove comportante il trasferimento di beni immobili da uno degli eredi favorito in base alle disposizioni testamentarie all'altro erede, deve rivestire la forma scritta ad substantiam e non soltanto ad probationem, senza che possa essere provato a mezzo di atti scritti successivi (nella specie, vendita di beni ereditari) che lo presuppongono; né può ritenersi che tale forma scritta possa essere costituita dalla denuncia di successione, con cui le parti, abbiano dichiarato essere stata l'eredità devoluta secondo legge, atteso che la denuncia di successione - atto di rilevanza puramente fiscale - è una dichiarazione di scienza che ha la sola funzione di portare a conoscenza della p. a. i dati di fatto necessari per la riscossione dei tributi”.