Dell'obbligo di contribuire alle spese per la cosa comune e della liberazione da essa colla rinuncia al diritto
Mentre l'art. 676 del vecchio codice stabiliva che «
ciascun partecipante ha il diritto di obbligare gli altri a contribuire con esso alle spese necessarie per la conservazione della cosa comune », i1 nuovo codice ha anzitutto sostituito alla formula «
diritto di obbligare » quella di
« ciascun partecipante deve contribuire alle spese ».
La modifica è da approvare dal punto di vista costruttivo. L'obbligo di concorrere alle spese necessarie non è una conseguenza dell'esercizio di un diritto potestativo del compartecipante, ma è una conseguenza diretta ed immediata del rapporto di comunione.
Tale obbligo di contribuzione, secondo il vecchio art. 676, era posto espressamente per le spese necessarie alla
conservazione della cosa comune, dovute a caso fortuito o alla naturale vetustà.
Il nuovo codice ha ricompreso anche quelle per il godimento della cosa comune e quelle deliberate dalla maggioranza a norma delle disposizioni seguenti. Ma l'aggiunzione è soltanto formale, poiché anche per il vecchio codice non era da dubitare che il comunista fosse tenuto a concorrere alle spese necessarie per il godimento della cosa comune o a quelle deliberate validamente dalla maggioranza. Appunto perchè necessarie a rendere possibile il godimento, le spese relative non esigono neppure una deliberazione di maggioranza.
Dalle spese di conservazione vanno, però, tenute distinte le spese di ricostruzione della cosa comune distrutta, spese dirette non a una conservazione, ma a una nuova formazione del bene comune, che non possono essere deliberate se non concorre almeno la maggioranza di cui all'
art. 1108 del c.c.. Il mancato versamento importa l'obbligo del risarcimento dei danni.
Dell'onere di tali spese il partecipante non può liberarsi se non rinunciando al suo diritto, formula apparentemente più scialba, è cosi voluta, in confronto a quella del codice vecchio «
abbandono dei propri diritti di comproprietà », ma sostanzialmente identica. La rinunzia abdicativa al diritto, è, infatti, uguale all' abbandono del diritto.
Secondo il primo capoverso, la rinuncia non giova al partecipante che abbia anche tacitamente approvato la spesa. Si è in tal modo positivamente risoluta la questione se per l' inefficacia della rinuncia ai fini del concorso nelle spese occorresse una incondizionata obbligazione al concorso oppure fosse sufficiente un semplice consenso alla erogazione. È prevalsa tale ultima tesi e a buon diritto, perché l'approvazione, anche tacita, della spesa rappresenta la conferma di un onere, dal quale, una volta riportato alla volontà del soggetto obbligantesi, non è lecito che questi si esima. Nell'interesse del bene comune il legislatore ha voluto che ogni partecipante potesse contare sul contributo degli altri, quando questi hanno comunque cooperato all' approvazione della spesa.
Allo stesso scopo di assicurare il versamento dei contributi, infine, coll'ultimo capoverso, il legislatore ha anche previsto l'ipotesi che il partecipante, personalmente tenuto a contribuire alle spese, nonostante la possibile rinuncia, s'induca a cedere i suoi diritti. La cessione non fa risorgere nel cessionario la facoltà di liberazione coll'esercizio del diritto di rinuncia, ma egli è tenuto in solido col cedente a pagare i contributi da questo dovuti e non versati.
Con tale disposizione trapassa nel cessionario non soltanto l'obbligo generico
propter rem di contribuire alle spese che si rendessero necessarie dopo la cessione, ma anche quello di contribuire per le spese resesi necessarie prima, sia che le spese stesse siano state già erogate, e si tratti di rimborso, sia che le spese debbano ancora effettuarsi.
La situazione del cessionario, è sempre, però, identica a quella del cedente, e quindi, se quest'ultimo aveva la facoltà di liberarsi delle spese colla rinunzia al diritto, uguale facoltà compete al cessionario.