È già ovvia di per sé e non necessita di chiarimento l’enunciazione del principio che l'efficacia di una donazione fatta in riguardo di un determinato futuro matrimonio, sia dagli sposi tra di loro, sia da altri a favore di uno o di entrambi gli sposi o della prole nascitura dai medesimi, debba intendersi subordinata alla celebrazione ed all’esistenza del matrimonio.
Un chiarimento, però, può apparire necessario per quel che riflette la forma con cui tale donazione si perfeziona, e ciò per non incorrere nell’erronea opinione di ritenere che qui la legge abbia derogato alla necessità dell’accettazione e si abbia, quindi, un caso in cui la donazione cessa di essere contratto. In effetti un’eccezione esiste, ma non a tale principio, piuttosto a quello dell’accettazione espressa. Per l’ipotesi dell’articolo in commento, non è necessario che l’accettazione sia fatta in modo solenne, per atto pubblico o nell’atto stesso del matrimonio o anche prima, ma in contemplazione del matrimonio; è sufficiente solo che il matrimonio si compia: si ha, così, un’accettazione tacita, implicita, invece di un’accettazione formale, espressa, solenne nelle forme volute dalla legge.
Condizionata la validità della donazione alla celebrazione ed all'esistenza del matrimonio, ne consegue la nullità della donazione quando il matrimonio è annullato o, sebbene la legge non lo precisi, anche se è certo che non potrà più essere celebrato.
È questione, invece, controversa lo stabilire quale sia la sorte della donazione contemplations matrimonii di cui sia stata poi pronunciata la dispensa super rato et non consummate. Dato che la dispensa produce l’annullamento del vincolo, deve ritenersi nulla la donazione; non si può porre in dubbio che il donante si sia determinato alla donazione in vista del matrimonio futuro; se questo, pur celebrato, viene poi meno a causa della dispensa, la donazione non può dirsi efficace.
L’annullamento del vincolo, operando con effetto retroattivo, dovrebbe distruggere anche i diritti che i terzi avessero eventualmente acquistato tra il giorno del matrimonio ed il passaggio in giudicato della sentenza di nullità. Ma, al rigore di siffatta conseguenza, l’art. 785 ha derogato per la tutela dei terzi di buona fede che, perciò, solo se tali (è irrilevante, quindi, la buona o la mala fede dei coniugi) possono veder salvi i loro diritti.
Nel caso di matrimonio putativo, il codice ha ritenuto di dover derogare al principio che per esso sono salvi gli effetti civili, statuendo la nullità della donazione; ciò si giustifica con il duplice rilievo: che questa, fatta con riguardo di un matrimonio, venendo il medesimo a mancare, vien meno anch’essa, e che i beni non devono essere distolti dalla loro destinazione, ossia la costituzione di un eventuale nuovo matrimonio valido. Tuttavia, pur affermato ciò, in conformità all’insegnamento della dottrina e della giurisprudenza, è riconosciuto al coniuge di buona fede il diritto ai frutti maturati sino alla domanda di annullamento del matrimonio.
Resta, invece, efficace la donazione fatta a favore dei figli nascituri e nati dal matrimonio poi annullato, ma sempre quando nei loro confronti si verifichino gli effetti del matrimonio putativo.