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Articolo 981 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 07/03/2024]

Contenuto del diritto di usufrutto

Dispositivo dell'art. 981 Codice Civile

L'usufruttuario ha diritto di godere della cosa, ma deve rispettarne la destinazione economica [986, 996, 1015, 2561 2](1).

Egli può trarre dalla cosa ogni utilità che questa può dare(2), fermi i limiti stabiliti in questo capo.

Note

(1) La necessità del rispetto della destinazione economica rappresenta un limite alla possibilità di godimento del bene, che, se superata, implica la violazione del diritto di proprietà, dando diritto, in questo modo, al titolare di domandare la decadenza per abuso (art. 1015 del c.c.) oppure la riduzione in pristino, tramite un'azione negatoria secondo l'art. 949.
(2) La formula "ogni utilità" ricomprende, oltre i frutti, ogni altra entità, come i dividendi dei titoli azionari.
È ammesso l'usufrutto modale, secondo il quale dei frutti della cosa possono godere i terzi o il costituente, senza, peraltro, che vi sia la possibilità di togliere all'usufruttuario la facoltà di godimento, riducendo il medesimo a mero amministratore nell'interesse altrui.

Ratio Legis

La disposizione riprende quanto, dell'istituto in esame, detto dal giurista Paolo, secondo il quale l'usufrutto è lo ius rebus alienis utendi et fruendi, salva rerum substantia, distinguendosi, pertanto, dagli altri diritti reali di godimento su cosa altrui, a causa della peculiare spartizione di poteri e per via delle facoltà che sul bene possono esercitare il nudo proprietario e l' usufruttuario, spettando a quest'ultimo tutti i possibili usi non tralasciati dal titolo, con il doppio svantaggio della temporaneità del diritto (art. 979 del c.c.) e della necessità di osservare la finalità economica del bene.

Brocardi

Iura in re aliena
Ius rebus alienis utendi et fruendi, salva rerum substantia
Rei mutatione interit usufructus
Salva rerum substantia
Ususfructus est ius rebus alienis utendi et fruendi, salva rerum substantia

Spiegazione dell'art. 981 Codice Civile

Il contenuto del godimento dell'usufruttuario

Il contenuto del diritto di usufrutto, nel suo aspetto essenziale, è costituito dalla facoltà di godere della cosa, facoltà che trova il suo limite nell'obbligo di conservare inalterata la destinazione economica della cosa medesima.

Le modificazioni che l'art. 981 apporta alle corrispondenti disposizioni del codice del 1865 (artt. 477 e 479) sono di pura forma: infatti da un lato l'assimilazione che l'art. 477 faceva tra il godimento dell'usufruttuario e quello del proprietario (diritto di godere nel modo che ne godrebbe il proprietario) voleva solo far intendere la pienezza del godimento dell'usufruttuario nel duplice aspetto di uso diretto della cosa e di godimento dei frutti, il che è detto con maggior precisione nel secondo comma dell'art. 171 (l'usufruttuario può trarre dalla cosa ogni utilità che questa può dare) che determina con la maggior ampiezza possibile il contenuto del godimento dell'usufruttuario. Dall’altro lato il fatto che all'obbligo di conservare la sostanza della cosa, come limite principale del godimento dell'usufruttuario, si sia sostituito l 'obbligo di rispettarne la destinazione economica, non comporta alcuna alterazione sostanziale, perché già per il codice del 1865 la più autorevole dottrina aveva esattamente ritenuto che il principio del salva rerum substantia si risolvesse nell'obbligo di non modificare la destinazione economica della cosa, dovendosi aver riguardo, nella determinazione della sostanza di quest’ultima, non già a un criterio materialistico ma a un criterio economico-sociale.

La nozione che l'art. 981 fornisce del contenuto del diritto di usufrutto (godimento della cosa) non vale per tutti i beni che possono formare oggetto dell'usufrutto, ma solo per quei beni di utilità ripetuta, suscettibili cioè di essere goduti senza che ne sia sostanzialmente alterata la loro individualità. Dove invece il godimento non è compatibile col rispetto del limite della conservazione della destinazione economica, perché si tratta di core destinate a un modo di godimento che ne rende necessaria la scomparsa dal patrimonio, allora l'usufrutto si converte in proprietà e l'usufruttuario è solo obbligato alla restituzione dell'equivalente (quasi usufrutto, art. 995 del c.c.).

Né mancano altre ipotesi in cui il godimento dell'usufruttuario assume atteggiamenti in un certo senso incompatibili con l'obbligo di conservare la destinazione, dando luogo a particolari situazioni che saranno di volta in volta illustrate (es. usufrutto su una universalità, sulle pertinenze, sui crediti e così via).


La destinazione economica della cosa come limite del godimento

Il rispetto della destinazione economica della cosa non è il contenuto di un obbligo in senso tecnico che incombe sull'usufruttuario, ma è piuttosto il limite del godimento ad esso spettante. In altri termini l'usufruttuario può trarre tutte le utilità, dirette o indirette, che la cosa può dare, sino al punto in cui tale utilizzazione non comporti un’ alterazione della destinazione specifica che essa aveva nell'economia del proprietario. Questo non significa certo che al termine dell'usufrutto la cosa deve essere restituita con la consistenza o col valore che essa aveva nel momento in cui l'usufrutto è stato costituito. Il proprietario non può lamentarsi se, per effetto dell'uso che l'usufruttuario ne ha fatto e delle utilità che ne ha ricavato, la cosa è stata modificata diversamente e maggiormente di quanto sarebbe accaduto se ne avesse goduto egli stesso.

Quel che importa è che sia mantenuta immutata la destinazione, che il proprietario ha dato alla cosa, di procurare in un qualche modo utilità: poiché di regola una cosa è suscettibile di dare diverse utilità a seconda del modo in cui essa viene impiegata, è chiaro che il modo dell'impiego e quindi la determinazione qualitativa dell'utilità che dalla cosa si vuole trarre costituiscono la destinazione economica della cosa. Tale destinazione risulta da un atto di volontà del proprietario e, nei rapporti con l'usufruttuario, può essere resa evidente dalle condizioni oggettive in cui si trova la cosa all'inizio dell'usufrutto o dalla pratica seguita precedentemente dal proprietario o addirittura da un' esplicita dichiarazione di volontà contenuta nell'atto costitutivo dell'usufrutto.

Oltre che nel rispetto della destinazione economica il godimento dell'usufruttuario trova dei limiti ulteriori che saranno esaminati in occasione delle singole analizzate, la cui illustrazione porterà ad una precisa delimitazione del contenuto del godimento dell'usufruttuario.


Il patto di riserva dei frutti a favore di un terzo

Il Progetto preliminare ammetteva espressamente (art. 142) che l'usufrutto potesse costituirsi col patto che l'usufruttuario godesse di una sola parte dei frutti o con la riserva di usufrutto a favore del costituente o di terzi. La norma non è stata riprodotta nel testo definitivo, ma non tutte le ragioni addotte nella Relazione al Re sembrano convincenti.

È certamente esatto il rilievo secondo cui non può concepirsi un usufrutto per cui sia stipulata senz'altro la riserva dei frutti a vantaggio di persona diversa dall'usufruttuario, ma non si vede perché dovrebbe essere impossibile, come pare sia affermato nella relazione citata, la costituzione di un usufrutto modale nel quale il modus consista nella riserva a favore del costituente o di un terzo, per un determinato periodo di tempo, dei frutti della cosa o nell'attribuzione a un terzo di una parte soltanto dei frutti e delle altre utilità della cosa. Una stipulazione di tal genere sarebbe certamente valida salvo che nelle ipotesi in cui l'attribuzione al terzo di tutti i frutti della cosa finirebbe con lo svuotare il contenuto dell'usufrutto e ridurrebbe l'usufruttuario a un semplice amministratore nell'interesse altrui.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 981 Codice Civile

Cass. civ. n. 15913/2022

L'usufruttuario ha un'autonoma legittimazione ad agire ex art. 2043 c.c. per il risarcimento dei danni occorsi al bene oggetto del suo diritto. (Nella specie, la S.C. ha confermato la pronuncia di merito che aveva accolto la domanda dell'usufruttuario di un bosco ceduo, volta al risarcimento dei danni cagionati dall'erronea esecuzione del taglio degli alberi da parte dei terzi titolari del relativo diritto).

Cass. civ. n. 10733/2000

L'usufruttuario ha un'autonoma legittimazione ad agire ai sensi dell'art. 2043 c.c. per il risarcimento del danno cagionato da un terzo al bene oggetto del suo diritto (nel caso di specie l'usufruttuario lamentava fatti integranti una riduzione del suo diritto di godimento, consistenti nel crollo del muro di contenimento del fabbricato in usufrutto).

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Consulenze legali
relative all'articolo 981 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

Angela M. L. chiede
domenica 28/02/2021 - Puglia
“Buonasera,
sono nuda proprietaria di un immobile al 100% e mio fratello è con me usufruttuario al 50%.
In seguito a delle verifiche, mi sono accorta che mio fratello ha effettuato la variazione catastale di alcuni subalterni e della relativa destinazione d'uso. Poteva farlo o avrebbe dovuto informarmi chiedendomi il consenso scritto? In tutto questo il tecnico ha le sue responsabilità?
Sempre in seguito alle sopra indicate verifiche, ho riscontrato un' ipoteca legale per un debito contratto da mio fratello. L'ipoteca è antecedente le variazioni catastali, quindi mi domando se fosse possibile effettuarle.
Preciso che:
- su un subalterno, mio fratello ha modificato la destinazione d'uso da uso ufficio ad uso commerciale e quindi il n° di subalterno senza il mio consenso;
- l'ipoteca legale è stata iscritta in seguito ad un pignoramento presso terzi sulla sua parte di usufrutto.
Nel momento in cui avviene il consolidamento, a cosa vado incontro se mio fratello non salda il debito e se sulla sua parte di usufrutto grava ancora l'ipoteca?
Ringrazio e saluto cordialmente”
Consulenza legale i 10/03/2021
Con riguardo alla prima questione sollevata nel quesito, va premesso che la variazione catastale, per quanto riguarda il rapporto con la P.A., può essere effettuata anche dall’usufruttuario.
La situazione, però, può essere ben diversa nei rapporti tra le parti. Da un punto di vista civilistico, infatti, occorre tenere conto, innanzitutto, della norma di cui all’art. 981 c.c., che impone all’usufruttuario di rispettare la destinazione economica della cosa (nel nostro caso, si è verificato un mutamento di destinazione d’uso da ufficio e commerciale).
In secondo luogo, poiché in questo caso abbiamo un usufrutto pro quota, occorre fare riferimento al disposto dell’art. 1102 c.c. Tale norma vieta al partecipante alla comunione di alterare la destinazione della cosa; inoltre egli non può impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto.
Ora, per comprendere se l’eventuale mutamento di destinazione d’uso dell’immobile sia lesivo o meno dei diritti degli altri partecipanti, occorre verificare in concreto in che limiti esso abbia inciso sulle loro facoltà di godimento.
In particolare, la giurisprudenza (v. Cass. Civ., Sez. II, 19/01/2006, n. 972), ha chiarito che sono legittimi, “ai sensi dell'art. 1102 cod. civ., sia l'utilizzazione della cosa comune da parte del singolo condomino con modalità particolari e diverse rispetto alla sua normale destinazione purché nel rispetto delle concorrenti utilizzazioni, attuali o potenziali, degli altri condomini, sia l'uso più intenso della cosa purché non sia alterato il rapporto di equilibrio tra tutti i comproprietari, dovendosi a tal fine avere riguardo all'uso potenziale in relazione ai diritti di ciascuno".
Quanto alla seconda domanda, va premesso che l’ipoteca, insieme al privilegio e al pegno, è una causa legittima di prelazione (art. 2741 c.c.), ovvero consente al creditore che ne è munito di essere preferito agli altri creditori nel soddisfacimento del proprio credito, che avviene tramite una procedura esecutiva, in deroga al principio generale della par condicio creditorum.
Nel quesito si parla di ipoteca legale; ora, i soggetti aventi titolo all’iscrizione di ipoteca legale sono quelli indicati dall’art. 2817 c.c., ovvero i seguenti:
  1. l'alienante sopra gli immobili alienati per l'adempimento degli obblighi che derivano dall'atto di alienazione;
  2. i coeredi, i soci e altri condividenti per il pagamento dei conguagli sopra gli immobili assegnati ai condividenti ai quali incombe tale obbligo;
  3. lo Stato sui beni dell'imputato e della persona civilmente responsabile, secondo le disposizioni del codice penale e del codice di procedura penale).
Non sappiamo quale delle tre ipotesi ricorra nel caso di specie; in ogni caso, ricordiamo anche il disposto dell’art. 2814 c.c., comma 1, secondo cui l’ipoteca costituita sull'usufrutto si estingue, di regola, col cessare di questo. La durata “naturale” dell’usufrutto coincide con la vita dell’usufruttuario o, se si tratta di persona giuridica, non può superare i trenta anni, ex art. 979 c.c. Le altre cause di estinzione sono quelle previste dall’art. 1014 c.c.
Tuttavia (tornando all’art. 2814 c.c.), se la cessazione si verifica per rinunzia o per abuso da parte dell'usufruttuario, ovvero per acquisto della nuda proprietà da parte del medesimo, l'ipoteca perdura fino a che non si verifichi l'evento che avrebbe altrimenti prodotto l'estinzione dell'usufrutto.
Ora, per rispondere alla preoccupazione che emerge dall’ultima domanda formulata nel quesito, nel caso in cui il cousufruttuario non saldi il proprio debito (assistito da ipoteca), il creditore ipotecario potrà assoggettare ad esecuzione forzata, con preferenza rispetto agli altri creditori non muniti di analogo titolo, solo ed esclusivamente la quota di usufrutto del debitore e non la proprietà del bene né la restante quota di usufrutto sullo stesso.


Cinzia A. chiede
martedì 06/02/2018 - Lombardia
“Buongiorno, in data 16/06/1995 io, mio marito e i miei genitori abbiamo stipulato un atto di vendita con riserva della proprietà dell'appartamento nel quale risiedono i miei genitori. Nell'atto è riportato letteralmente quanto segue: " I signori A. C. e B. F., sciogliendo la riserva fatta nella scrittura privata di cui in premessa, dichiarano di aver acquistato la proprietà superficiaria della porzione immobiliare oggetto della vendita stessa, in loro nome per il diritto di usufrutto vita natural durante e in nome e per conto dei signori (omissi) e (omissis) per la nuda proprietà."
In data 27/07/2017 mia mamma è deceduta.
L'accrescimento a favore di mio padre non è stato specificato però so che l'accrescimento può risultare anche dal tenore generale dell'atto di costituzione del diritto reale non essendo necessario che esso sia espressamente previsto in apposita clausola se è, comunque, altrimenti implicitamente deducibile.
Pertanto Vi chiedo cortesemente se quanto riportato nell'atto di vendita stesso lo si possa considerare come accrescimento a favore di mio padre, quale coniuge superstite, e quindi evitare che si debba fare un ulteriore atto nel quale si concretizzi l'usufrutto totale a favore di mio padre.
Vi ringrazio anticipatamente per la Vostra cortese risposta.

P.S.: Io è il mio unico figlio, quali unici eredi legittimi, abbiamo già fatto atto di rinuncia al l'eredità in Tribunale.
Se Vi è utile posso inviarVi via mail l'atto di vendita.”
Consulenza legale i 13/02/2018
L’usufrutto è un diritto reale di godimento su cosa altrui che consiste nella facoltà di godimento di un bene uti dominus.

Il diritto di usufrutto è temporaneo in quanto non può eccedere la vita dell’usufruttuario o, se questi è una persona giuridica, oltre il termine di 30 anni.

L’usufrutto può essere costituito anche a favore di più persone, cd. usufrutto congiuntivo, la cui caratteristica consiste nell’accrescimento della qualità dell’[[defref=usufruttuario]]
premorto a favore dei cousufruttuari superstiti, anziché nel consolidamento pro-quota con la nuda proprietà.

Nel caso in cui l’usufrutto congiuntivo, infatti, sia disposto esplicitamente nell’atto, agisce tra i cousufruttuari il diritto di accrescimento con la conseguenza che l’usufrutto si estingue solo alla morte dell’ultimo superstite.

Nel caso in cui non sia previsto il diritto di accrescimento, alla morte di ogni usufruttuario, la relativa quota si consolida con la nuda proprietà.

L’accrescimento è quel fenomeno giuridico che, muovendo da una situazione di contitolarità in capo a due o più soggetti, al verificarsi di determinati eventi, produce l’espansione dell’originario diritto in favore degli altri.

Dunque è ammessa la possibilità che due coniugi in vita stabiliscano un usufrutto congiunto con reciproco diritto di accrescimento a favore del più longevo: ciò consente di mantenere inalterata, in caso di premorienza di uno degli usufruttuari, la quota di usufrutto che, in caso contrario, verrebbe acquisita dal nudo proprietario a discapito dell'usufruttuario superstite.

Il problema che si pone è se il diritto di accrescimento debba essere espressamente pattuito.

Sul punto la Giurisprudenza ha affermato che: “E’ pacifico che, benché non espressamente disciplinata, l’attribuzione dell’usufrutto per atto tra vivi possa essere fatta a favore di più soggetti con diritto di accrescimento. In tale fattispecie non vi sono ragioni per affermare che il diritto di accrescimento debba risultare da una clausola espressa. La costituzione del diritto di accrescimento può pertanto fondarsi anche su una manifestazione di volontà tacita, desumibile dal comportamento complessivo delle parti. Così nell'interpretazione di un contratto di compravendita immobiliare, l'esistenza dell'usufrutto congiuntivo con diritto di accrescimento reciproco dei cousufruttuari può desumersi anche dalla riserva di usufrutto in capo ai danti causa sull'intero immobile "loro vita naturale durante" senza precisazioni di sorta sulla ripartizione delle quote di rispettiva attribuzione” (Corte di Appello Firenze, sent. 10 febbraio 2009, n. 163).

Alla luce dell’orientamento Giurisprudenziale citato, pertanto, riteniamo che, nel caso di specie, benché nell’atto di compravendita non sia espressamente pattuito il diritto di accrescimento, lo stesso possa desumersi implicitamente da alcuni elementi quali:
  • la congiuntività dell’attribuzione effettuata con l’atto del 16.06.1995 caratterizzato dal riconoscimento ad entrambi i coniugi “loro vita natural durante” del diritto di usufrutto
  • nonché dal fatto che nell’atto non è riportata la percentuale di ognuno ma che i coniugi hanno “entrambi in comunione di beni l’usufrutto”.

Ne consegue, quindi, che, secondo la nostra interpretazione dell’atto di compravendita del 16.06.1995, è da ritenersi operante ex lege, nei confronti di Suo padre, il diritto di accrescimento dell’usufrutto a seguito della morte del cousufruttuario (Sua mamma). E' inutile dire che altro legale potrebbe esprimere una opinione di segno contrario.


Rocco Giovanni T. chiede
lunedì 20/03/2017 - Puglia
“L'usufruttuario di un immobile ad uso civile abitazione, può destinare parte dello stesso ad usi diversi (studio professionale a favore di altra persona) senza l'autorizzazione del nudo proprietario?”
Consulenza legale i 24/03/2017
Ai sensi dell’art. 981 c.c., che postula il contenuto del diritto di usufrutto, all’usufruttuario non è consentito modificare la destinazione economica del bene su cui egli esercita il suo diritto.
Tale divieto viene considerato come limite all’esercizio del diritto medesimo: l’usufruttuario – in altre parole – può trarre ogni utilità dal bene de quo, ma non può alterare la destinazione specifica che al bene venne impressa dal proprietario.

Secondo la dottrina unanime, per destinazione economica del bene si deve intendere l’utilizzo che di tale bene viene fatto, tenendo conto della concreta funzione cui la res era precedentemente adibita dal proprietario (ad esempio, un garage concesso in usufrutto come autorimessa non potrà essere utilizzato come deposito merci).

La giurisprudenza, dal canto suo, ha sancito che “l'usufruttuario, che alteri l'originaria destinazione economica dell'immobile, si rende inadempiente all'obbligazione di godere della cosa con la diligenza del buon padre di famiglia e, essendo tenuto ad indennizzare il nudo proprietario, può essere condannato al risarcimento del danno in forma specifica” (così C. Cass., SS. UU., 14/2/1995 n. 1571).
Secondo questa pronuncia, pertanto, troverebbe applicazione il disposto dell’art. 1015 c.c. ogniqualvolta l’usufruttuario muti la destinazione economica del bene. Egli dunque sarà tacciabile di inadempimento dell’obbligazione di “godere della cosa utilizzando la diligenza del buon padre di famiglia” e, pertanto, condannabile alla riduzione in pristino stato (vale a dire, ripristinare l’originaria destinazione del bene a sue spese) ovvero al risarcimento del danno in favore del nudo proprietario.

Fatta questa necessaria premessa, la risposta al caso di specie parrebbe dunque essere negativa: l’usufruttuario di un bene immobile ad uso abitazione non potrà modificarne la destinazione in locale commerciale (o uso ufficio), nemmeno parzialmente. Il limite del rispetto della destinazione economica non potrà essere pertanto in alcun modo superato. Tale facoltà infatti spetta solo al proprietario, in quanto titolare – tra le altre – della facoltà piena ed esclusiva di disporre della cosa ai sensi dell’art. 832 c.c.
Per poter procedere è bene, dunque, chiedere prima al nudo proprietario di mutare la destinazione d’uso dell’immobile, con conseguente modifica del contenuto del diritto di usufrutto.

Antonio A. chiede
giovedì 17/11/2016 - Abruzzo
“Buon giorno, ho presentato regolare Scia per la ristrutturazione di locali al piano terra con cambio di destinazione d'uso da artigianale a residenziale, senza aggravio carico urbanistico e ampliamento ai sensi della L.R. 16/2009 e s.m.i. del fabbricato. Le firme sono state apposte da me e mia moglie (proprietari di 5/6 dell'immobile) e mia zia (usufruttuaria di 1/6 dell'immobile) Non c'è la firma di mio fratello che ha 1/6 della nuda proprietà dove mia zia ha l'usufrutto. Posso avere dei problemi ???”
Consulenza legale i 20/11/2016
La SCIA è la Segnalazione Certificata di Inizio Attività che consente di iniziare immediatamente i lavori di manutenzione di un immobile senza dover attendere i trenta giorni che invece erano necessari con la c.d. DIA (Dichiarazione di Inizio Attività), ora abolita.

La peculiarità del caso di specie è il cambio di destinazione d’uso: le disposizioni dell’usufrutto, all’art. 981 c.c., prevedono infatti che l’usufruttuario abbia il diritto di godere della cosa, ma deve rispettarne la destinazione economica. Sarebbe pertanto opportuno quantomeno allegare alla SCIA già presentata una dichiarazione del nudo proprietario che conceda l’autorizzazione all’usufruttuario alla presentazione della SCIA stessa. In caso contrario, infatti, si potrebbero avere problemi in quanto secondo le disposizioni codicistiche si andrebbe a ledere il contenuto del diritto di usufrutto, che prescrivono l'impossibilità - per l'usufruttuario - di modificare la destinazione economica del bene oggetto del diritto.
Infatti, l’usufruttuario ben potrebbe presentare una SCIA, ma solo per lavori di ordinaria manutenzione. Per il caso del cambio della destinazione d’uso, infatti, c’è il limite di cui all’art. 981 c.c. che non può essere superato senza espressa autorizzazione del nudo proprietario.
È bene dunque informarsi presso l’ufficio tecnico del Comune, in quanto in alcuni comuni è sufficiente una semplice autocertificazione da parte del nudo proprietario (Suo fratello) contenente l’autorizzazione de quo.

Giulia M. chiede
giovedì 21/05/2015 - Emilia-Romagna
“Buongiorno
il mio quesito è il seguente.
Ho ereditato da mio padre, deceduto nel 2003, la casa coniugale dove viveva con la sua seconda moglie. Ho quindi solo la nuda proprietà dell immobile. Ora, sembra che la signora abbia adibito l'abitazione a studio legale. Ci vive e ci lavora (è avvocato). Se ciò fosse effettivamente comprovato, posso fare decadere l'usufrutto con un'azione legale? e quali probabilità ho di vincere la causa? resto in attesa di un vostro parere.
Cordiali saluti
Giulia”
Consulenza legale i 21/05/2015
L'art. 981 del c.c. stabilisce al primo comma una norma fondamentale: l'usufruttuario, che può godere della cosa, deve rispettarne la destinazione economica[/def].

La destinazione economica è quella che risulta dall'atto costitutivo del diritto di [def ref=3319]usufrutto
e se questo nulla prevede, l'usufruttuario è tenuto a rispettare la destinazione che alla cosa era stata impressa in concreto dal proprietario anteriormente alla costituzione dell'usufrutto.
Di conseguenza, si ravvisa il mancato rispetto della destinazione economica del bene nel caso in cui un immobile, originariamente destinato ad uso abitativo, viene adibito ad uso commerciale o comunque diverso da quello abitativo.
Quindi, nella vicenda descritta, sussisterebbe in astratto il diritto della nuda proprietaria a chiedere la pronuncia della decadenza dal diritto di usufrutto per abuso (art. 1015, primo comma, c.c.).

Il fatto che la donna continui a vivere nell'immobile è comunque da tenere in considerazione. Difatti, un immobile non può avere una doppia destinazione d'uso (per destinare ad ufficio un immobile abitativo deve essere effettuata una variazione catastale), quindi l'azione dell'usufruttuario avrà probabilmente maggiore successo se il mutamento di destinazione è stato formalizzato. Diversamente, si dovrebbe dare la prova dell'abuso in altro modo, ma tale prova potrebbe non essere semplice, se l'immobile è usato solo come "base di lavoro" dall'avvocato (al quale notoriamente non servono grandi strutture organizzative per svolgere la propria professione), che occasionalmente riceve qualche cliente.

In realtà, nel caso esposto, potrebbe sembrare anche che la moglie del defunto non abbia avuto il diritto di usufrutto, bensì possa vantare in base all'art. 540 del c.c. il diritto di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e l'uso sui mobili che la corredano.

Si tratta di un vero e proprio diritto reale di abitazione, a cui la giurisprudenza ritiene applicabili gli artt. 1021 e 1022 c.c., tranne che "nella parte in cui limitano il diritto in relazione al fabbisogno del titolare" (v. Cass. civ. n. 2263/1999).
L'habitator può utilizzare la cosa soltanto dimorandovi, nei limiti, quindi, della destinazione economica del bene: il suo unico diritto è quello di abitarvi, in particolare nel caso del diritto concesso al coniuge superstite, la cui ratio è quella di tutelarlo sia sotto l'aspetto patrimoniale che quello etico-psicologico, sgravandolo dell'onere di cercare una nuova abitazione una volta rimasto vedovo.

La giurisprudenza ha, in verità, escluso che il coniuge superstite abbia l'obbligo di conservare la destinazione della casa a residenza della famiglia originaria, potendo conservare il diritto anche se contragga un secondo matrimonio. Tuttavia, il mutamento di destinazione del bene da abitativo a commerciale ha una incidenza diversa e appare essere un vero e proprio abuso del diritto di abitazione.
Pertanto, si dovrebbe ritenere applicabile anche in questa ipotesi l'art. 1015 in tema di usufrutto, in virtù del richiamo operato dall'art. 1026 del c.c.. Valgono anche in questo caso le riflessioni sopra esposte circa il doppio uso dell'immobile.

Mario V. chiede
lunedì 02/02/2015 - Friuli-Venezia
“Sono in regime di separazione dei beni e sono proprietario di una casa di civile abitazione costituita da due appartamenti: uno occupato dalla mia famiglia e uno dalla famiglia della mia unica figlia coniugata, pure in regime di separazione dei beni. Ho inoltre in esclusiva proprietà un appartamento al mare. In vita ho acquistato, fuori Provincia, un appartamento che ho intestato a mia figlia. Sono intenzionato a lasciare testamento olografo, che vorrei consentisse a mia moglie di continuare ad usufruire interamente delle detrazioni fiscali determinate da importanti lavori di ristrutturazione eseguiti recentemente su i tre immobili di mia proprietà. Vorrei lasciare: - A mia figlia, la nuda proprietà dell'appartamento attualmente occupato dalla sua famiglia, con diritto di usufrutto a favore di mia moglie; - A mia moglie, la proprietà dell'altro appartamento; - Alla mia unica nipote, attualmente minorenne, la nuda proprietà dell'appartamento al mare, con diritto di usufrutto a favore di mia moglie. Ciò premesso sono gentilmente a chiederVi se con le su descritte disposizioni testamentarie, secondo il Vostro parere, riesco a garantire a mia moglie di continuare ad usufruire interamente delle detrazioni fiscali derivanti dai lavori di ristrutturazione eseguiti recentemente su tuti i tre immobili di mia esclusiva proprietà.”
Consulenza legale i 02/02/2015
L'art. 16 bis del TUIR stabilisce che dall'imposta sul reddito lorda si detrae un importo pari al 36 per cento delle spese documentate, fino ad un ammontare complessivo delle stesse non superiore a 48.000 euro per unità immobiliare, sostenute ed effettivamente rimaste a carico dei contribuenti che possiedono o detengono, sulla base di un titolo idoneo, l'immobile sul quale sono effettuati alcuni tipi di interventi, tra cui rientrano le ristrutturazioni edilizie.

L'ottavo comma stabilisce che in caso di decesso dell'avente diritto, la fruizione del beneficio fiscale si trasmette, per intero, esclusivamente all'erede che conservi la detenzione materiale e diretta del bene.

La Circolare Ministeriale n. 24/E del 10.06.2004 dell’Agenzia delle Entrate ha precisato che la detenzione materiale e diretta dell’immobile sussiste qualora l’erede abbia l’immediata disponibilità del bene, potendone disporre liberamente, a prescindere dalla circostanza che abbia adibito l’immobile ad abitazione principale.

Pertanto, nessuna questione dovrebbe sorgere circa l'immobile su cui continuerà a vivere la moglie; quanto alla casa al mare, se su di essa solo la moglie continuerà ad avere la disponibilità materiale, a lei spetterà il beneficio fiscale.

Un dubbio più che fondato potrebbe sorgere in relazione all'appartamento occupato dalla famiglia della figlia: difatti, sarebbe quest'ultima ad avere la detenzione materiale del bene e non la madre, usufruttuaria. Si potrebbe anche ipotizzare che la figlia risulti detentrice dell'appartamento a titolo di comodato (anche se nuda proprietaria).
Con la circolare 13.5.2001 n. 20 l'Amministrazione Finanziaria ha precisato che per il requisito della "detenzione materiale e diretta" non potrà usufruire della detrazione l'erede che abbia concesso in comodato l'immobile su cui sono stati effettuati gli interventi ("Con circolare n. 24 del 2004 è stato chiarito che la “detenzione materiale e diretta del bene”, alla quale l'art. 2, comma 5, della legge n. 289 del 2002, subordina la possibilità di continuare a fruire della detrazione da parte dell’erede sussiste qualora l'erede assegnatario abbia la immediata disponibilità del bene, potendo disporre di esso liberamente e a proprio piacimento quando lo desideri, a prescindere dalla circostanza che abbia adibito l'immobile ad abitazione principale. Con il contratto di comodato di un bene mobile o immobile, ai sensi dell’articolo 1803 e ss. del codice civile, la disponibilità del bene è attribuita al comodatario che lo detiene affinché se ne serva per un tempo e un uso determinato con l’obbligo di restituirlo. L’erede, concedendo in comodato l’immobile, non può più disporne in modo diretto e immediato e, pertanto, non potrà continuare a beneficiare della detrazione per le spese di ristrutturazione sostenute dal de cuius"). La detrazione fiscale relativa a quell'immobile, quindi, si dovrebbe trasmettere interamente alla figlia (anch'essa erede).

Attenzione, perché se il coniuge superstite rinuncia all’eredità, pur mantenendo il diritto di abitazione, non può usufruire delle detrazioni residue in quanto, rinunciando all’eredità, non ha più titolo al beneficio (circolare n. 24/E/2004, punto 1.1).

Anonimo chiede
giovedì 16/06/2022 - Veneto
“Il sottoscritto (Tizio) è proprietario al 50 % di un immobile indiviso, proveniente da successione ereditaria.. Rimanente 50 % è proprietà della sorella Caia.
Nel 2020 Tizio dona a sua figlia Sempronia l’usufrutto vitalizio per la sua quota. La sorella afferma che in base alla sentenza delle sezioni Unite n 5068 del marzo 2016 la donazione dell’usufrutto contrasta con il divieto di cui all’art. 771 cc e ne chiede l’annullamento ( vedi punto 1 e 2 dell’allegato)
NOTA BENE :
1 Tizio rimane nudo proprietario del suo 50 % -
2 – dall’atto di usufrutto risulta essere noto alle parti che la quota di un mezzo donata è indivisa ( vedi punto 3 dell’allegato)


DOMANDA : contrasta questa donazione con la sentenza cassazione civile sezioni unite nr 5068 del 15-03-2016? sul tema donazioni beni futuri ??”
Consulenza legale i 22/06/2022
L’elemento che contraddistingue la donazione in esame dall’ipotesi giunta al vaglio della Cass. civ., Sez. Unite, Sent., 15/03/2016, n.5068 è la natura del diritto che ne costituisce l’oggetto.
Nella particolare fattispecie analizzata dalla S.C., infatti, ciò che ha formato oggetto di donazione è la quota indivisa di nuda proprietà (con riserva di usufrutto) di due appartamenti, rientranti nella massa comune.
La Corte di Cassazione non fa altro che confermare la decisione dei giudici di primo e secondo grado, i quali avevano dichiarato la nullità della donazione in forza di quanto disposto dall’art. 771 c.c., sostenendo che la “futurità” a cui fa riferimento tale norma debba intendersi non solo in senso oggettivo, ma anche in senso soggettivo, dovendosi ricomprendere nel concetto di bene altrui anche la quota indivisa sul bene facente parte di un compendio ereditario, “non esistendo una quota ideale della proprietà di questi beni in capo al donante finchè non intervenga la divisione”.

In particolare, secondo le Sezioni Unite una valida donazione di beni altrui richiede una formale ed espressa assunzione da parte del donante (risultante dallo stesso atto di donazione) dell’obbligazione di procurare al donatario la proprietà della cosa, acquistandola dal terzo proprietario.
In tal modo la donazione di beni altrui può valere come donazione obbligatoria di dare; tuttavia, affinchè ciò possa verificarsi, occorre che la circostanza dell’altruità del bene e l’assunzione dell’obbligo da parte del donante risultino espressamente e formalmente dall’atto pubblico, non potendosi desumere da un’interpretazione complessiva delle clausole del contratto né dal contegno delle parti, ancorchè posteriore alla conclusione dello stesso.

Ora, è proprio nella argomentazione appena riportata nonché nella circostanza che oggetto di donazione è stato il diritto di usufrutto, che si ritiene possa rinvenirsi il fondamento della piena validità della donazione in esame.
Come risulta abbastanza chiaramente dalla comune definizione che dell’usufrutto viene data, è tale quel particolare diritto reale che consente a chi ne è titolare (l’usufruttuario) di godere e disporre della cosa altrui, traendo da essa tutte le utilità che può dare, compresi i frutti, con l’obbligo di non mutarne la destinazione economica (cfr. art. 981 del c.c.).
Ciò che ha costituito oggetto di donazione, dunque, non è un bene futuro, bensì un diritto reale di godimento attuale, consistente nel potere di usare il bene e di farne propri i frutti.
L’altruità del bene, a cui fa riferimento la S.C., pertanto, è già insita nella natura stessa dell’usufrutto, non necessitando per tale ragione che di essa se ne faccia espressa menzione nell’atto di donazione.

Neppure può opporsi, al fine di far valere la nullità della donazione, la circostanza che la stessa abbia avuto ad oggetto beni non ancora facenti parte del patrimonio del donante, in quanto il diritto di usufrutto si caratterizza per la sua temporaneità.
Da ciò se ne deve far conseguire che, qualora in sede di divisione il bene interessato dalla donazione del diritto di usufrutto dovesse essere attribuito ad un coerede diverso dal donante, il diritto di usufrutto verrebbe ipso iure ad estinguersi, potendosi tale ipotesi assimilare a quella del perimento della cosa su cui è stato costituito ex art. 1014 n. 3 c.c.

In conclusione, dunque, la donazione del caso di specie deve ritenersi valida per le seguenti ragioni:
a) il diritto di usufrutto donato è un diritto attuale e non futuro;
b) l’altruità del bene è insita nella natura stessa dell’usufrutto;
c) si tratta di un diritto che viene in ogni caso ad estinguersi nel momento in cui, in sede di divisione, i beni sui cui l’usufrutto è stato costituito non dovessero essere assegnati al nudo proprietario.

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