Variazioni ed aggiunte necessarie per il buon andamento dei lavori: l'actio de in rem verso
La prescrizione che andiamo ad esaminare ha analogie con la discussione che si svolge nel campo delle opere pubbliche e cioè se sia possibile l' actio de in rem verso contro la pubblica amministrazione nel caso di opere eseguite dall'appaltatore senza il preventivo ordine scritto. La soluzione dottrinale e giurisprudenziale è in un senso di rigore e solo si ammette il rimborso a favore dell'assuntore quando l'amministrazione spontaneamente accetta il maggiore o diverso (e più costoso) lavoro.
In diritto privato, mancando nel committente quella supremazia che ha la pubblica amministrazione e mancando soprattutto quella minuta regolamentazione sul modo come progettare, approvare e fare eseguire opere aggiunte o variate, il codice si rimette al prudente arbitrio del giudice. Sorge la questione di conoscere se il giudizio sul necessità ed importanza delle variazioni debba istituirsi prima di introdurre le varianti ovvero se l'appaltatore può rivolgersi al giudice dopo aver iniziate o addirittura eseguite le variazioni al progetto. Dal testo della legge sembrerebbe che tale giudizio debba essere preventivo, vale a dire che l'appaltatore se non è autorizzato dal committente deve rivolgersi al giudice perché lo facultizzi ad eseguire le varianti, siano quelle reputate indispensabili dallo stesso assuntore, siano quelle che il giudice sarà per ammettere. Questa soluzione che appare la più aderente al testo del codice, può urtare, nella pratica, contro difficoltà notevoli e pur senza giungere al periculum in mora una sospensione dei lavori in attesa del responso dell'autorità giudiziaria può portare danni ai lavori medesimi ed esporre l'assuntore a responsabilità piu gravi di quanto forse non gli convenga eseguire la variante anche senza aumento di prezzo.
Limiti delle variazioni aggiunte
Quale che sia il modo col quale le variazioni siano state introdotte nel progetto di esecuzione, il codice fissa un limite oltre il quale si può sciogliere il contratto. Tale limite — evidentemente ispirato alla analoga norma che esiste per le opere pubbliche — è fissato dal codice nella misura di un sesto del prezzo complessivo convenuto, oltre il quale l'appaltatore può recedere dal contratto ed ottenere, secondo le circostanze, un'equa indennità.
Al di là del sesto, come si è detto, l'appaltatore può recedere dal contratto ed ottenere, secondo le circostanze, un' equa indennità. Quale sia la misura dell'indennità e il modo di liquidazione non è possibile dire con formule generali; soccorrerà il prudente arbitrio del giudice di merito il quale valuterà se le circostanze siano tali da consentire la liquidazione dell'indennità e come debbano influire sulla sua misura. Per orientarci tuttavia con qualche esempio, si può dire che se siamo in presenza di un'opera pressoché ultimata e per la quale l'assuntore non crede di accettare i nuovi lavori, l'indennità potrà essere negata, avendo l'appaltatore raggiunti i fini e gli utili fissati in contratto: mentre per converso, se fossimo in presenza di un lavoro appena iniziato, l'indennità sarà accordata e la sua misura dipenderà dall'apprezzamento relativo alle spese generali ancora da ammortizzare, e quindi, in principal luogo, dalle spese sostenute per l'impianto del cantiere. Ben s'intende che in tutta questa valutazione non vi debba essere motivo di responsabilità da parte dell'assuntore, perché per quanto il codice consenta il recesso non motivato quando le varianti superino il sesto del prezzo, tuttavia il recesso deve essere basato su elementi congrui e non su pretesti non fondati o che si possono appianare; ed anche qui entriamo nell'apprezzamento del giudice di merito.
Facoltà del committente
L'ultimo comma dell'art. 1660, riallacciandosi alla valutazione delle varianti, consente al committente di recedere dal contratto quando le variazioni sono di notevole entità, con l'obbligo però di corrispondere un equo indennizzo. Come questa si possa determinare è compito del giudice di merito, in caso di disaccordo delle parti, e naturalmente nella valutazione influiranno i vari elementi, quali ad es. l'ammontare dei lavori eseguiti rispetto a quelli ancora da compiere, in modo da valutare quanta parte delle spese di impianto sia stata ammortizzata.
La formula ampia, adoperata dal codice, non consente la prefissazione di criteri rigidi o di schemi di liquidazione e quindi la misura dell'indennità varierà da caso a caso in relazione alle singole situazioni. Oltre a ciò la norma deve essere posta in relazione alle disposizioni dell' art. 1671 in forza delle quali il committente può recedere dal contratto anche se è stata iniziata l'esecuzione dell'opera o la prestazione del servizio, purché tenga indenne l'appaltatore delle spese sostenute e dei lavori eseguiti e lo risarcisca del mancato guadagno.
Ancora è da tener presente l'art. 1373, sul quale per ora non ci soffermiamo, che ugualmente concede — come norma generale — il recesso unilaterale, negandogli tuttavia effetto per le prestazioni già eseguite o in corso d'esecuzione.
L'armonica applicazione di queste disposizioni può portare alla conseguenza che l'appaltatore per ragioni di urgenza, inizia varianti, pur di notevole entità, il committente deve accettare le varianti eseguite, quante volte esse siano state riconosciute ammissibili dal giudice, e conseguentemente il recesso avrà effetto dal giorno della intimata sospensione e per la parte di opera non ancora eseguita. Si intende pure che, pur dopo la intimata sospensione, debbono essere portati a compimento a spese del committente quei lavori che si rendono necessari per salvaguardare la parte di opera sin qui eseguita.