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Articolo 1492 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 31/01/2024]

Effetti della garanzia

Dispositivo dell'art. 1492 Codice Civile

Nei casi indicati dall'articolo 1490 il compratore può domandare a sua scelta la risoluzione del contratto(1) ovvero la riduzione del prezzo(2), salvo che, per determinati vizi, gli usi escludano la risoluzione.

La scelta è irrevocabile quando è fatta con la domanda giudiziale.

Se la cosa consegnata è perita in conseguenza dei vizi(3), il compratore ha diritto alla risoluzione del contratto; se invece è perita per caso fortuito o per colpa del compratore, o se questi l'ha alienata o trasformata, egli non può domandare che la riduzione del prezzo.

Note

(1) Si tratta dell'azione redibitoria, con la quale l'acquirente è tenuto a restituire il bene ed ha diritto al rimborso del prezzo pagato (v. 1493 c.c.).
(2) Si tratta dell'azione aestimatoria o "quanti minoris". Se l'acquirente ha già versato il prezzo ha diritto alla restituzione di parte di esso, se non l'ha ancora versato a diritto a versare una somma minore rispetto a quella pattuita.
(3) Anche vizi che la cosa può presentare in origine.

Ratio Legis

Il legislatore concede all'acquirente, di regola, la scelta tra risoluzione del contratto e riduzione del prezzo. Se però, la risoluzione non è possibile a causa del vizio, ha diritto solo alla riduzione del prezzo atteso che, in tal caso, la risoluzione non consentirebbe la restituzione del bene, ponendo il venditore in una situazione di svantaggio.
Del pari, se il bene perisce, esso non può più essere restituito all'alienante: quindi, se la causa è il vizio, il venditore sopporta le conseguenze; se, invece, la causa del perimento è il fatto del compratore, è questi a sopportarle.

Brocardi

Actio aestimatoria
Actio quanti minoris
Actio redhibitoria

Spiegazione dell'art. 1492 Codice Civile

Scelta del compratore. Irrevocabilità

Come per l'art. 1489 cod. civ., anche nella garanzia per i vizi della cosa venduta il compratore può scegliere fra la risoluzione del contratto e la riduzione del prezzo.
Normalmente a lui, che è il danneggiato, la legge lascia la facoltà di scegliere col solo limite dell'irrevocabilità della scelta quando è fatta la domanda giudiziale.
La scelta è senz'altro irrevocabile non appena fatta la domanda giudiziale. Qui vige il principio scritto per le obbligazioni alternative nell'art. 1286 cod. civ..
Se però gli usi escludono la risoluzione e limitano la responsabilità del venditore alla sola riduzione del prezzo, non ha da dolersi il compratore, poiché non vi potrebbe essere una più esatta interpretazione della volontà e del giusto equilibrio dell'interesse delle parti, di quella che danno gli usi, formazione spontanea della vita degli affari.

Il compratore, con il rimborso della parte del prezzo che non avrebbe corrisposto se avesse conosciuto i vizi della cosa, è posto nella precisa posizione in cui si sarebbe venuto a trovare al momento della compravendita se avesse pagato il corrispettivo adeguato. Se si facesse carico al venditore di rimborsare al compratore anche le spese incontrate per la cosa, gli si farebbe carico di un facere (il rimediare ai vizi e ai difetti della cosa) che la legge giustamente non gli attribuisce. Le spese che il compratore faccia per mettere in piena efficienza la cosa, dopo averla, con il rimborso di parte del prezzo, pagata come se l'avesse acquistata conoscendone i vizi e i difetti, rappresentano il naturale onere economico per il godimento della cosa stessa una volta che egli abbia accettato di ritenerla, anziché renderla al venditore, come era in sua facoltà, per l'art. 1501 cod. civ.. La quanti minoris tende quindi solamente a ristabilire l'adeguatezza fra la cosa e il corrispettivo in funzione dei vizi o dei difetti dei quali essa risulta affetta e del prezzo per essa pagato, con riferimento al momento della vendita.


Risoluzione per perimento della cosa

Perita in conseguenza dei vizi la cosa consegnata, perita cioè per colpa del venditore, è come se il venditore non l'avesse mai consegnata. Attesa perciò tale fondamentale sua inadempienza non è a parlare di riduzione di prezzo ma addirittura di risoluzione del contratto, anche se gli usi si limitassero a consentire la riduzione; poiché il fatto del perimento ha dimostrato in maniera incontestabile la radicale e irrimediabile inadempienza del venditore.

Perita invece la cosa per caso fortuito o per colpa del compratore o se questi l'ha alienata o trasformata, non v'è alcun nesso tra la colpa del venditore e il perimento.
Il compratore ha avuto la cosa.
Se è perita per caso fortuito, egli non e più in condizione di restituirla. Non essendo del caso fortuito responsabile il venditore, e non potendoglisi restituire la cosa, gli si può chiedere solo la riduzione del prezzo.

Ugualmente se il compratore ha alienato o trasformato la cosa: egli ha dimostrato di non volerla restituire. L'ha utilizzata e può quindi solo domandare la riduzione del prezzo.

Relazione al Libro delle Obbligazioni

(Relazione del Guardasigilli al Progetto Ministeriale - Libro delle Obbligazioni 1941)

345 La garanzia per vizi conferisce al compratore un duplice rimedio: l'azione redibitoria propriamente detta, rivolta allo scioglimento del contratto, e l'azione quanti minoris,
diretta alla riduzione del prezzo.
Il progetto del 1936, pur mantenendo il sistema fondato sulla tradizione romanistica, ha voluto su questo punto integrare la disciplina lacunosa del codice vigente in relazione alle ipotesi di perimento, di alienazione o di trasformazione della cosa. Esso ha disposto (art. 371) che la perdita o il deterioramento della cosa, anche se dovuti a caso fortuito, non impediscono al compratore di esercitare a un scelta la redibitoria o la quanti minoris. Ma questa generalizzazione è contraria al sistema da me adottato sul rischio nei contratti traslativi, che pone a carico del compratore il perimento della cosa (art. 264 di questo progetto); perciò ho distinto da un lato il perimento in conseguenza dei vizi e dall'altro il perimento fortuito o per colpa del compratore, nonché l'alienazione o la trasformazione fatta da compratore stesso.
Nel primo caso il compratore può esercitare l'azione per lo scioglimento, nell'altro invece può soltanto domandare la riduzione del prezzo (art. 376).
Ho seguito la proposta della Commissione reale (art. 368) di attribuire al giudice il potere di ridurre il prezzo anche quando sia domandato lo scioglimento del contratto; la proposta è coerente alla formulazione che ho dato nella parte generale al c.d. principio della conservazione dei contratti.

Massime relative all'art. 1492 Codice Civile

Cass. civ. n. 25417/2022

In tema di vendita di beni di consumo, in caso di difetto di conformità del bene la legge riconosce al consumatore due classi di rimedi subordinate ma non alternative, con la conseguenza che il consumatore che abbia dapprima richiesto al venditore la riparazione o sostituzione del bene può successivamente richiedere la riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto, ove il tentativo di riparazione compiuto non si sia rivelato idoneo a porre rimedio al difetto.

Cass. civ. n. 22539/2022

In tema di compravendita, la parte che abbia chiesto, con la domanda giudiziale, la riduzione del prezzo pattuito, può, in alternativa, chiedere, con la memoria ex art.183, comma 6, c.p.c., la risoluzione del contratto per grave inadempimento, senza per questo porsi in contrasto sia col principio della irrevocabilità della scelta operata inizialmente ex art. 1492 c.c., atteso che esso, trovando il suo limite nella identità del vizio fatto valere, è superato dall'emersione di ulteriori e diversi vizi, sia con quello del divieto di "mutatio libelli" nel processo, stanti l'identità delle parti, del contratto e della complessiva vicenda sostanziale dedotta in giudizio e la connessione per alternatività delle due domande.

Cass. civ. n. 9953/2020

In tema di contratto preliminare, la consegna dell'immobile, effettuata prima della stipula del definitivo, non determina la decorrenza del termine di decadenza per opporre i vizi noti, né comunque di quello di prescrizione, presupponendo l'onere della tempestiva denuncia l'avvenuto trasferimento del diritto, sicché il promissario acquirente, anticipatamente immesso nella disponibilità materiale del bene, risultato successivamente affetto da vizi, può chiedere l'adempimento in forma specifica del preliminare, ai sensi dell'art. 2932 c.c., e contemporaneamente agire con l'azione "quanti minoris" per la diminuzione del prezzo, senza che gli si possa opporre la decadenza o la prescrizione.

Cass. civ. n. 11748/2019

In materia di garanzia per i vizi della cosa venduta di cui all'articolo 1490 c.c., il compratore che esercita le azioni di risoluzione del contratto o di riduzione del prezzo di cui all'articolo 1492 c.c. è gravato dell'onere di offrire la prova dell'esistenza dei vizi. (Rigetta, GIUDICE DI PACE EMPOLI, 18/11/2013).

Cass. civ. n. 2869/2015

In materia di "factoring", nell'ipotesi in cui il credito oggetto di cessione derivi dalla compravendita di un bene mobile, la legittimazione passiva in ordine alla domanda di riduzione del prezzo, conseguente all'esistenza di vizi della cosa venduta, spetta alla società venditrice e non al "factor", atteso che quest'ultimo non è cessionario del contratto di compravendita ma soltanto del credito relativo al corrispettivo, e che il compratore (debitore ceduto) potrebbe solo opporre al "factor", ove fosse da questi convenuto in giudizio per il pagamento del debito, le eccezioni opponibili al cedente, ma non già agire direttamente contro il "factor" con azioni volte alla risoluzione o alla modifica di un contratto al quale costui è rimasto estraneo. (Rigetta, App. Palermo, 27/10/2010).

Cass. civ. n. 2115/2015

Nella vendita a catena, il principio dell'autonomia di ciascuna vendita non impedisce al rivenditore di proporre nei confronti del proprio venditore domanda di rivalsa di quanto versato a titolo di risarcimento del danno all'acquirente, quando l'inadempimento del rivenditore sia direttamente connesso e consequenziale alla violazione degli obblighi contrattuali verso di lui assunti dal primo venditore. (Cassa con rinvio, App. Napoli, 22/02/2008).

Cass. civ. n. 18202/2013

La trasformazione o l'alienazione della cosa acquistata, di per sé, non preclude al compratore l'azione di risoluzione contrattuale per vizi, ai sensi dell'art. 1492, terzo comma, c.c., se quella condotta non evidenzia univocamente che il compratore, cosciente dei vizi, ha inteso accettare la cosa, rinunciando alla maggiore tutela risarcitoria rispetto alla riduzione del prezzo. In caso di risoluzione contrattuale, attesa l'impossibilità della restituzione in natura, gli effetti restitutori devono essere ordinati per equivalente, nei limiti in cui, malgrado i vizi, la cosa abbia fornito utilità al compratore.

Cass. civ. n. 2060/2013

In ipotesi di trasferimento della proprietà su una porzione di bene inferiore a quanto previsto nell'accordo negoziale, l'obbligazione del venditore di restituire parte del prezzo, conseguente all'accoglimento dell'"actio quanti minoris" ex art. 1480 c.c., ha natura non di debito di valore ma di valuta, trattandosi non di un'obbligazione risarcitoria ma di un rimborso a favore dell'acquirente, in quanto derivante dal venir meno, per effetto dell'accertamento della parziale alienità della cosa, della causa dell'obbligazione di pagamento dell'intero prezzo; né rileva la circostanza che il giudice abbia accordato al compratore, oltre agli interessi legali, anche la rivalutazione della somma, in quanto questa gli è stata attribuita non in virtù del riconoscimento alla stessa della natura di debito di valore ma per soddisfare il compratore del suo distinto diritto al risarcimento del danno, previsto dall'art. 1480 c.c. quale conseguenza dell'inadempimento dell'obbligazione di trasferire per l'intero la proprietà.

Cass. civ. n. 14665/2008

La trasformazione, da parte del compratore, della cosa acquistata, con conseguente obiettiva impossibilità di restituirla, non è di per sé sufficiente a precludergli l'azione di risoluzione contrattuale per vizi ai sensi dell'art. 1492, terzo comma, c.c., occorrendo, a tal fine, che quel comportamento evidenzi univocamente che l'acquirente, cosciente dei vizi, abbia inteso accettare la cosa, così rinunciando alla maggiore tutela dell'azione risolutoria rispetto a quella di riduzione del prezzo; tanto vale a maggior ragione con riguardo all'azione di risarcimento dei danni di cui all'art. 1494 c.c., che è azione distinta da quella di risoluzione del contratto e di riduzione del prezzo di cui all'art. 1492 c.c., non soggetta, quindi, alle preclusioni di cui al terzo comma di tale articolo, ma solo alla decadenza e alla prescrizione di cui all'art. 1495 c.c.

Cass. civ. n. 12852/2008

Nel contratto di compravendita, qualora il bene in oggetto presenti dei vizi che ne determinano la diminuzione del valore in relazione alla minore utilità che dal medesimo si può trarre, il compratore, esercitando l'actio quanti minoris ha diritto di chiedere una diminuzione del prezzo pattuito in una percentuale pari a quella rappresentante la menomazione che il valore effettivo della cosa consegnata subisce a causa dei vizi, in modo tale da essere posto nella situazione economica equivalente a quella in cui si sarebbe trovato se la cosa fosse stata immune da vizi (nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che in relazione all'acquisto di un'area fabbricabile in vista della costruzione di un supermercato, risultata occupata da un'ingente quantità di rifiuti solidi aveva provveduto a ridurre il prezzo di acquisto in misura pari al costo sopportato dalla società acquirente per la bonifica del sottosuolo dalla discarica).

Cass. civ. n. 12382/2006

In tema di garanzia per i vizi della cosa venduta, con riferimento agli effetti di tale garanzia, deve ritenersi che la ratio della preclusione dell'azione di risoluzione, prevista dall'ultimo comma, ultimo periodo, dell'articolo 1492 c.c., per il caso in cui il compratore abbia alienato o trasformato la cosa venduta, risieda nella oggettiva rilevanza della utilizzazione definitiva della cosa viziata, della quale l'acquirente ha usufruito. (Nella fattispecie, relativa all'azione di garanzia esperita nei confronti della venditrice dalla società acquirente di vino destinato all'esportazione, sul presupposto che il tasso alcolometrico non possedeva la graduazione idonea, come invece concordato dalle parti, a consentire il rimborso d'imposta all'epoca previsto dal vigente regolamento europeo sulle esportazioni vinicole, la S.C. ha confermato la sentenza della corte di merito che aveva condannato la venditrice al risarcimento del danno ma respinto la domanda di risoluzione del contratto, per avere rilevato dal comportamento della società acquirente la volontà di questa di tenere fermo, da un lato, il contratto di vendita — che aveva consentito alla stessa di realizzare il fine per il quale era stato stipulato, e cioè l'esportazione della merce acquistata — relegando, dall'altra, la richiesta di risoluzione, di cui all'atto di citazione, a mero espediente per tentare di conseguire anche i vantaggi derivanti da una pronuncia di risoluzione contrattuale — l'estinzione delle obbligazioni non adempiute — tenuto conto della cessione del credito relativo al prezzo della merce, non corrisposto dalla acquirente, effettuata dalla società venditrice).

Cass. civ. n. 1434/2004

In tema di garanzia per vizi della cosa venduta, ha natura irrevocabile la scelta dell'azione di risoluzione, proposta dal compratore in via principale rispetto alla domanda di riduzione del prezzo, tenuto conto che — in considerazione del riferimento ai vizi di cui all'art. 1490 contenuto nell'art. 1492 c.c. — identici sono i presupposti per l'accoglimento delle due azioni. Ne consegue che, disattesa la domanda di risoluzione per l'inesistenza dei vizi di cui all'art. 1490 c.c., non è accoglibile la domanda di riduzione del prezzo basata sugli stessi vizi, formulata dal compratore in via subordinata.

Cass. civ. n. 489/2001

Ai sensi dell'art. 1492 c.c., terzo comma, l'alienazione o la trasformazione della cosa viziata, di per sé, non è sufficiente a precludere, al compratore l'azione di risoluzione del contratto per vizi della cosa venduta perché la regola dettata dalla predetta norma, che esclude la possibilità di chiedere la risoluzione nei casi di alienazione e di trasformazione della cosa, deve esser ricondotta non all'impossibilità di ripristino della situazione in cui le parti si trovavano al momento della conclusione del contratto, ma alla volontà dell'acquirente di accettare la cosa nonostante la presenza del vizio.

Cass. civ. n. 15104/2000

Spetta al giudice di merito accertare, in base alle risultanze processuali, se il compratore che utilizza la merce, dopo averne denunziato i vizi, intenda in tal modo rinunziare all'azione di risoluzione del contratto o di riduzione del prezzo.

Cass. civ. n. 13332/2000

La legge non impone particolari criteri da seguire per la determinazione della somma dovuta per riduzione di prezzo in relazione ai vizi della cosa venduta, ed il ricorso a criteri equitativi ed al prudente apprezzamento del giudice, ancorché non previsto espressamente dal legislatore nella disciplina normativa della vendita, è consentito in questa materia sia in conformità all'origine e alla tradizione storica dell'actio quanti minoris, sia in applicazione di un principio generale, di cui la disposizione contenuta nell'art. 1226 c.c. costituisce una particolare specificazione in tema di risarcimento del danno.

Cass. civ. n. 9098/2000

In tema di garanzia per i vizi della cosa venduta, il compratore può proporre azione di risoluzione e, in via subordinata, chiedere la riduzione del prezzo per l'ipotesi in cui la domanda principale risulti inammissibile, infondata e vi rinunci.

Cass. civ. n. 639/2000

In tema di compravendita, il legittimo esercizio dell'azione di risoluzione per vizi della cosa alienata non presuppone l'esistenza della colpa dell'alienante, giusta disposto dell'art. 1492 c.c., colpa richiesta, per converso, nella diversa ipotesi di risoluzione per difetto delle qualità promesse ex art. 1497 c.c., norma che, a differenza della prima, richiama «le disposizioni generali dell'istituto della risoluzione per inadempimento», fondato, come noto, sul principio della colpa dell'inadempiente.

Cass. civ. n. 3500/1998

L'azione redibitoria deve ritenersi preclusa a norma dell'art. 1492 c.c. quando il compratore, utilizzando la res empta, e così determinandone la trasformazione, modificazione e consumazione, abbia in tal modo espresso la volontà di accettare il bene pur nella consapevolezza dei vizi da cui è affetto e di rinunciare alla maggior tutela derivante dall'esercizio dell'azione di risoluzione. (Nella specie, in relazione all'acquisto da parte di una società sportiva di un giocatore risultato non in perfette condizioni fisiche per i postumi di un intervento chirurgico al menisco, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto preclusa l'azione redibitoria alla società per avere essa utilizzato il giocatore in due stagioni di campionato, spendendo così parte delle sue energie sportive, e aver continuato a fruire delle prestazioni del suddetto giocatore anche dopo l'accertamento dei postumi dell'intervento chirurgico, tenendo in tal modo un comportamento incompatibile con la volontà di provocare l'immediato scioglimento del vincolo).

Cass. civ. n. 11036/1995

In tema di garanzia per vizi della cosa venduta, il principio secondo cui l'azione redibitoria e quella estimatoria (o quanti minoris), essendo incompatibili tra loro, in quanto preordinate alla tutela di un medesimo diritto l'una attraverso la risoluzione e l'altra mercé il mantenimento del contratto, non possono essere esercitate contestualmente, né alternativamente, né subordinatamente, l'una rispetto all'altra, incombendo sul compratore l'onere di operare la scelta relativa, non si applica alle ipotesi in cui l'azione di riduzione è accordata al compratore in via esclusiva (art. 1492, comma terzo, c.c.). Pertanto, in caso di alienazione o trasformazione della cosa venduta, da parte del compratore, qualora originariamente sussista dubbio sull'ammissibilità dell'azione redibitoria, ovvero l'ammissibilità della stessa sia contestata dal venditore-convenuto, il compratore-attore legittimamente può — per il caso in cui detta azione redibitoria dovesse essere ritenuta inammissibile ed al fine di non perdere ogni garanzia — chiedere anche l'unica tutela apprestatagli dall'art. 1492, terzo comma, c.c. nell'ipotesi innanzi indicata, vale a dire l'azione di riduzione del prezzo.

Cass. civ. n. 7863/1995

La domanda del compratore di risoluzione del contratto di compravendita per vizi che rendono la cosa inidonea all'uso (art. 1495 c.c.) non si estende al terzo fornitore della cosa, chiamato in causa dal venditore, perché l'azione in tal modo esercitata nei confronti del terzo ha un titolo fondato su un rapporto contrattuale diverso da quello che è posto alla base della domanda principale e l'obbligazione dedotta dal convenuto principale non si inserisce in giudizio, quindi, in via alternativa con quella dedotta dall'attore a carico dello stesso convenuto; ne consegue che l'eccezione di decadenza della garanzia opposta dal terzo chiamato in causa non può essere estesa alla domanda principale.

Cass. civ. n. 5552/1994

In tema di azione redibitoria per vizi della cosa oggetto del contratto di compravendita, mentre l'alienazione, da parte del compratore, della cosa stessa non può ex se precludere a quest'ultimo la possibilità di sperimentare la detta azione verificandosi, invece, siffatta preclusione solo quando l'atto dispositivo debba intendersi realmente correlato ad una volontà di accettare la cosa nonostante le deficienze in essa riscontrate spetta al compratore, una volta constatata la ricorrenza dell'evento considerato dalla legge (art. 1492, terzo comma, c.c.) potenzialmente preclusivo, dimostrare che questo, per le particolarità della fattispecie, non può essere idoneo a concretare siffatta potenzialità e ad impedire, quindi, la proponibilità della domanda di risoluzione.

Cass. civ. n. 1212/1993

In tema di vizi della cosa oggetto di compravendita, la regola dettata dal terzo comma, ultima ipotesi dell'art. 1492 c.c., che esclude la possibilità di chiedere la risoluzione nei casi di alienazione e trasformazione della cosa, deve essere ricondotta non alla obiettiva impossibilità di ripristino della situazione nella quale le parti si trovavano al momento della conclusione del contratto, ma alla volontà dell'acquirente di accettare la cosa nonostante il detto vizio e deve essere conseguentemente estesa ad ogni forma di utilizzazione che, non essendo unicamente dovuta allo scopo di accertare ed eliminare il vizio o di ridurre il danno mediante l'uso della cosa secondo la sua naturale destinazione, possa considerarsi inequivocabilmente indicativa (secondo l'apprezzamento del giudice di merito non censurabile in Cassazione, se logicamente e congruamente motivato) della predetta volontà del compratore. (Nella specie, l'acquirente non solo aveva continuato ad usare la macchina compravenduta dopo gli inutili tentativi di riparazione ma aveva anche concesso su di essa, dopo i predetti tentativi, un privilegio speciale per garanzia di un mutuo contratto con un istituto di credito Isveimer).

Cass. civ. n. 5065/1992

Nel caso in cui, trattandosi di vendita a consegne ripartite, l'azione di risoluzione per vizi, nonostante il perimento di una parte dei beni, non sia preclusa, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 1492 c.c., perché i vizi riguardavano solo alcune partite della merce, all'obbligo della restituzione specifica dei beni periti si sostituisce quello della restituzione per equivalente, mediante corresponsione di una somma di danaro pari al valore contrattuale (prezzo) delle cose non restituite, senza tenere conto del deprezzamento prodotto dai vizi, essendo ogni possibile pregiudizio subito per questo aspetto dal compratore tutelabile con l'azione di risarcimento di cui all'art. 1494. c.c.

Cass. civ. n. 11812/1991

In tema di garanzia per i vizi della cosa compravenduta, nel caso di perimento della cosa stessa dopo la proposizione della domanda di risoluzione, spetta al compratore che sia rimasto nel possesso della cosa, di dimostrare che la sua obbligazione di restituzione si è estinta in dipendenza di caso fortuito con la conseguenza che, in difetto di tale prova, il perimento della cosa si presume imputabile al compratore stesso, onde gli è preclusa l'azione di risoluzione del contratto a termine del terzo comma dell'art. 1492 c.c.

Cass. civ. n. 724/1989

In tema di azione di riduzione del prezzo di cui all'art. 1492 cod. civ., l'obbligazione del venditore di restituire una parte del prezzo ricevuto in pagamento ha natura di debito di valuta, con la conseguenza che la svalutazione monetaria sopraggiunta durante la mora del debitore non giustifica l'automatico risarcimento del maggior danno per quella svalutazione, potendo quest'ultimo essere eventualmente dovuto, a norma dell'art. 1224 cod. civ., nel solo caso in cui il creditore ne faccia richiesta e provi di avere subito un pregiudizio patrimoniale.

Cass. civ. n. 2565/1988

In tema di garanzia per vizi della cosa venduta, e per il caso in cui l'azione di riduzione del prezzo sia accordata al compratore non in via esclusiva (art. 1492 terzo comma c.c.), ma in via concorrente con l'azione di risoluzione (art. 1492 cit., primo comma), deve negarsi l'ammissibilità della domanda di riduzione in modo subordinato, rispetto alla proposizione a titolo principale dell'azione di risoluzione, atteso che entrambe le azioni si ricollegano ai medesimi presupposti, cioè la sussistenza di vizi con le caratteristiche fissate dall'art. 1490 c.c. (il quale detta una disciplina della materia completa e non integrabile con le regole dell'art. 1455 c.c. sull'importanza dell'inadempimento), restando radicalmente esclusa la configurabilità di un rapporto di subordinazione fra le rispettive domande, sicché il compratore deve scegliere fra l'una o l'altra.

Cass. civ. n. 521/1988

La norma dell'art. 1492 c.c., che esclude la risoluzione del contratto, fra l'altro, nel caso di trasformazione della cosa da parte dell'acquirente, pur essendo espressamente dettata solo in tema di vizi redibitori (art. 1490 c.c.), è applicabile, per la sua portata generale, anche alla vendita di cosa non avente le qualità promesse o essenziali all'uso cui è destinata (art. 1497 c.c.) nonché alla vendita di aliud pro alio, che è ravvisabile nella vendita di immobile destinato ad abitazione che non possa essere dichiarato abitabile o comunque privo della dichiarazione di abitabilità, caratterizzando l'immobile in relazione alla sua intrinseca capacità di soddisfare le esigenze abitative dell'acquirente.

Cass. civ. n. 1254/1983

Il principio per cui la risoluzione del contratto è preclusa dall'impossibilità di restituire l'oggetto nel suo stato originario opera, ai sensi dell'art. 1492, terzo comma, c.c., che è espressione di una regola generale e, quindi, non ha valore limitatamente al contratto di vendita, solo quando l'impossibilità di restituzione nello statu quo ante si sia verificata senza colpa di colui che ha consegnato il bene, poiché non è lecito addebitare ad un contraente le conseguenze di un evento (perimento in senso fisico o giuridico di un bene) che è stato determinato quanto meno in modo prevalente da fatto imputabile all'altro contraente.

Cass. civ. n. 582/1982

In tema di garanzia per vizi della cosa compravenduta, nel concorso dei presupposti fissati dall'art. 1490 c.c., la facoltà di scelta dell'acquirente fra risoluzione del contratto e riduzione del prezzo, ai sensi dell'art. 1492 c.c., va riconosciuta a prescindere dalla maggiore o minore gravità dei vizi medesimi.

Cass. civ. n. 3137/1981

La disposizione contenuta nell'art. 1492, comma terzo c.c., la quale preclude al compratore l'azione di risoluzione del contratto se la cosa affetta da vizi sia stata da lui trasformata, è espressione di un principio generale secondo cui non può consentirsi la risoluzione di un contratto in tutti i casi nei quali la restituzione delle cose sia diventata impossibile senza colpa del venditore. Tale disciplina, applicabile agli eventi verificatisi prima della proposizione della domanda di risoluzione del contratto, non trova più il suo fondamento razionale allorché questi stessi eventi si verifichino dopo l'instaurazione del giudizio, determinando il perimento delle cose; dal momento che, in quest'ultima ipotesi, salvo il caso di colpa del compratore, non può dirsi che l'impossibilità di restituzione sia dipesa da caso fortuito, valendo l'opposto principio che la durata del processo non può arrecare pregiudizio alla parte vittoriosa ed incolpevole, mentre sono a carico del venditore le conseguenze per non avere accettato prontamente la risoluzione del contratto e l'offerta di restituzione delle cose.

Cass. civ. n. 3724/1978

Qualora la compravendita venga risolta per i vizi della cosa venduta, il perimento della cosa e la conseguente impossibilità di restituzione della medesima restano a carico dell'alienante, il quale potrà pretendere unicamente la differenza tra i vantaggi ritratti eventualmente dall'acquirente in relazione al perimento stesso e il danno subito dall'acquirente medesimo per la risoluzione del contratto. (Nella specie, i giudici del merito, dopo aver risolta una questione su compravendita di animali che erano risultati affetti da malattia, avevano compensato il credito dell'acquirente per i danni derivanti dalla risoluzione del contratto con le somme ricavate dalla macellazione degli animali acquistati, escludendo che l'alienante potesse pretendere alcunché per l'impossibilità della restituzione delle bestie perite).

Cass. civ. n. 4483/1976

L'azione di riduzione del prezzo della compravendita (art. 1492 c.c.) ha lo scopo di porre il compratore nella situazione economica in cui si sarebbe trovato qualora al momento della contrattazione fosse stato a conoscenza dei vizi della cosa e di fargli, pertanto, conseguire una somma corrispondente alla differenza di valore, rispetto al prezzo pattuito, dipendente dai vizi stessi. Non rientra nel campo dell'art. 1492 c.c., e, perciò, non incide sulla riduzione del prezzo, la circostanza che, successivamente all'acquisto, il compratore avrebbe potuto eliminare o diminuire il danno attraverso un impiego appropriato della cosa.

Cass. civ. n. 4094/1976

La misura della riduzione del prezzo di vendita, per il caso di vizi della cosa venduta e di esperimento da parte del compratore della actio quanti minoris (art. 1492 c.c.), deve essere determinata in funzione della necessità di ripristinare l'equilibrio economico fra le prestazioni contrattuali. Pertanto, l'equivalente in denaro della diminuita utilità o menomata idoneità della cosa, in dipendenza dei vizi da cui è affetta, deve essere detratto dal prezzo pattuito, e non dall'eventuale diverso valore che la cosa stessa avrebbe oggettivamente sul mercato, se immune da vizi.

Cass. civ. n. 2694/1975

Con l'actio minoris, il compratore tende a conseguire una riduzione del prezzo pattuito per l'acquisto della cosa. L'indagine del giudice deve essere, perciò, diretta a determinare il minor prezzo che il compratore avrebbe pagato se avesse conosciuto i vizi dai quali la cosa era affetta. A tal fine, è sufficiente che resti accertato che il vizio della cosa era tale da diminuire in modo apprezzabile, sia pure potenzialmente, il valore della cosa stessa; tale indagine, tuttavia, non pregiudica in alcun modo il concreto accertamento circa l'esistenza dell'effettiva diminuzione di valore e della sua misura, da eseguirsi in sede di liquidazione.

Cass. civ. n. 2471/1974

In tema di contratto di vendita, le azioni di garanzia, le quali tendono a tutelare il compratore nella fase dinamica della esecuzione del contratto, perseguono tale fine prescindendo da ogni indagine sulla colpa del venditore (cioè anche quando risulti che il venditore abbia fatto tutto il possibile per il non verificarsi dell'evento pregiudizievole al compratore od abbia ignorato senza colpa la presenza dei vizi della cosa venduta), ed il compratore, nella garanzia da vizi, non può avvalersi, anche nel concorso della colpa del venditore, della azione di esatto adempimento o dell'eccezione di inesatto adempimento; alternativamente con l'azione di risoluzione e con la quanti minoris entrambe derivanti dalla garanzia, anche se quell'azione o quell'eccezione egli intendesse propone nei termini di decadenza e di prescrizione comminati dall'art. 1495 c.c.

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Consulenze legali
relative all'articolo 1492 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

L.O. chiede
venerdì 10/09/2021 - Piemonte
“Buongiorno,
ho acquistato una casa indipendente con rogito effettuato il 18/06/21.
Durante i lavori di ristrutturazione abbiamo riscontrato l'assenza dello scarico in fognatura. E' solo presente una fossa settica con pozzo perdente per il wc, mentre gli scarichi di lavandini, lavabi, lavatrice e vasca scaricano nel canale fronte casa. Nel compromesso sottoscritto il 19/03/21 e successivamente registrato, le venditrici dichiaravano l'allaccio all'utenze tra cui la fognatura. Nel rogito del notaio è riportata la dicitura:" le venditrici dichiarano la regolarità urbanistica ed edilizia degli immobili compravenduti. Nel PRGC del comune di Rivarolo Canavese, comune dell'immobile, risulta come condizione sospensiva dell'abitabilità la mancanza di fogna. Come devo comportarmi? Posso richiedere una somma alle venditrici per l'esecuzione dei lavori? Bisogna necessariamente presentarsi davanti al giudice? Oltretutto il geometra che ha seguito la parte venditrice poteva anche immaginarlo, visto che nele planimetrie del '70 che mi sono state consegnare dopo l'atto, risulta solo la presenza del pozzo perdente.”
Consulenza legale i 15/09/2021
Esaminata la documentazione che ci è stata trasmessa, si osserva quanto segue.
La licenza di abitabilità (oggi agibilità) leggendo il contratto preliminare parrebbe essere stata regolarmente concessa nel 1963.
Bisognerebbe verificare se il PRGC del Comune citato nel quesito sia successivo a tale data. Ciò in quanto l’abitabilità è un requisito essenziale per la vendita di un appartamento. Si veda sul punto la sentenza di Cassazione n.2294 del 2017 che ha ribadito la posizione maggioritaria della giurisprudenza secondo cui “integra ipotesi di consegna di aliud pro alio il difetto assoluto della licenza di abitabilità ovvero l'insussistenza delle condizioni necessarie per ottenerla in dipendenza della presenza di insanabili violazioni della legge urbanistica” in quanto “il venditore di un immobile destinato ad abitazione ha l'obbligo di consegnare all'acquirente il certificato di abitabilità, senza il quale l'immobile stesso è incommerciabile; e che la violazione di tale obbligo può legittimare sia la domanda di risoluzione del contratto, sia quella di risarcimento del danno, sia l'eccezione di inadempimento, e non è sanata dalla mera circostanza che il venditore, al momento della stipula, abbia già presentato una domanda di condono per sanare l'irregolarità amministrativa dell'immobile”).

Ciò posto, ipotizzando che il PRGC sia successivo e che quindi l’abitabilità sia stata all’epoca regolarmente concessa, visto quanto dichiarato nei contratti (preliminare e definitivo) è assolutamente legittimo richiedere al venditore, se non una risoluzione del contratto, quanto meno la riduzione del prezzo di acquisto, oltre l’eventuale risarcimento danni.
Come espressamente previsto dall’art. 1490 c.c., il venditore è infatti tenuto a garantire che la cosa venduta sia immune da vizi che la rendano inidonea all'uso a cui è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore.
In tali casi, in base all’art. 1492 c.c. il compratore può domandare a sua scelta la risoluzione del contratto ovvero la riduzione del prezzo
In questa seconda ipotesi (che riteniamo applicabile al caso in esame) laddove il prezzo sia già stato corrisposto si richiede la restituzione di una parte di esso.
L’art. 1495 c.c. prevede che la denuncia dei vizi debba avvenire a pena di decadenza entro 8 giorni dalla scoperta a meno che il venditore abbia riconosciuto l'esistenza del vizio o l'abbia occultato.

Nella presente vicenda, considerato il tenore dei contratti sottoscritti, possiamo ritenere che vi sia stata una volontà del venditore di tenere nascosta la mancanza di allaccio alla rete fognaria.
Tra l’altro, la circostanza che nel contratto preliminare (punto F) sia stato specificato che vi è l’allaccio alla fognatura comunale costituisce violazione del principio di buona fede e solidarietà tra le parti contrattuali sufficiente di per sé per chiedere la risoluzione del contratto.
Sul punto, la recente sentenza della Corte di Cassazione (n.622 del 2019) ha infatti ribadito che: “il principio della buona fede oggettiva, cioè della reciproca lealtà di condotta, deve presiedere all'esecuzione del contratto, così come alla sua formazione ed alla sua interpretazione e, in definitiva, accompagnarlo in ogni sua fase, sicchè la clausola generale di buona fede e correttezza è operante tanto sul piano dei comportamenti del debitore e del creditore nell'ambito del singolo rapporto obbligatorio (art. 1175 c.c.), quanto sul piano del complessivo assetto di interessi sottostanti all'esecuzione di un contratto (art. 1375 c.c.), concretizzandosi nel dovere di ciascun contraente di cooperare alla realizzazione dell'interesse della controparte e ponendosi come limite di ogni situazione, attiva o passiva, negozialmente attribuita, determinando così integrativamente il contenuto e gli effetti del contratto. La buona fede, pertanto, si atteggia come un impegno od obbligo di solidarietà, che impone a ciascuna parte di tenere quei comportamenti che, a prescindere da specifici obblighi contrattuali e dal dovere del "neminem laedere", senza rappresentare un apprezzabile sacrificio a suo carico, siano idonei a preservare gli interessi dell'altra parte”.

Tutto ciò premesso, in risposta alle domande contenute nel quesito possiamo affermare quanto segue.

Se non è già stato fatto, suggeriamo di inviare quanto prima al venditore una comunicazione formale (tramite pec o raccomandata a/r) con cui si rappresenta che si è constatato in sede di ristrutturazione la mancanza di allaccio alla rete fognaria e ciò in difformità a quanto dichiarato nei contratti. Laddove vi sia comunque interesse a tenere l’immobile acquistato, ci si può limitare a chiedere la restituzione di parte del prezzo versato in sede di rogito. Per la relativa quantificazione, tenuto conto dei lavori da effettuare, si dovrà ovviamente sentire il parere di un tecnico (geometra o altro, oltre la ditta edile che dovrà eseguire materialmente i lavori).

Quanto alla domanda “bisogna necessariamente presentarsi davanti a un giudice?” possiamo rispondere in questi termini.
Se la parte venditrice è disponibile alla restituzione di parte del prezzo non vi è necessità di rivolgersi a un giudice.
Laddove invece non venga raggiunto un accordo tra le parti, per vedere tutelati i propri diritti ci si dovrà purtroppo necessariamente rivolgere ad un giudice entro un anno dalla consegna dell’immobile.

Anonimo chiede
venerdì 14/04/2017 - Piemonte
“Ho venduto recentemente la mia motocicletta ad un signore di Roma, dopo la sua presa visione e averla provata, abbiamo fatto la voltura e il signore si è fatto il tragitto di ritorno guidando fino alla sua abitazione presso L., (Lazio). Pochi giorni dopo, il compratore mi telefona arrabbiatissimo dicendomi di averlo truffato, perché a suo parere il telaio della moto è storto! Io gli avevo anticipato prima della vendita di una mia piccola caduta, dove cera la possibilità che io avessi leggermente storto il manubrio, tutto documentato in una fattura che ho rilasciato al compratore, fatta dal mio meccanico dove inseriva una voce con su scritto manubrio storto. Detto ciò il signore m'ha minacciato di farmi causa, a meno che io vada a riprendermi la moto a L..
In quei pochi giorni il compratore ha effettuato lavori di manutenzione sul mezzo, come olio, filtri, smontaggio di alcune parti del mezzo, anche se non autorizzato a farlo, più una consistente quantità di km all'incirca 600 o più, dove avrebbe potuto benissimo incidentarla o comunque manometterla.
Presupponendo che la moto sia realmente "storta" come afferma il compratore, sono dovuto a risarcimenti o quant'altro?
Vorrei sapere se il compratore, dopo averla provata, comprata, guidata per molti km e averci messo su mani nonostante non sia un meccanico, ha il diritto di chiedermi danni?
Attendo urgentemente la vostra risposta.
Grazie e buona serata.”
Consulenza legale i 24/04/2017
La compravendita, sia mobiliare che immobiliare, è un contratto consensuale ad effetti cosiddetti reali.
Questo significa che la proprietà del bene viene a trasferirsi, dal venditore al compratore, nel momento in cui entrambi esprimono la loro volontà di concludere l’affare.

Sul venditore, così come sull’acquirente, in ragione del contratto gravano alcuni obblighi.
Uno tra tutti, quello di garantire al compratore l’inesistenza di vizi della cosa oggetto della vendita.
Il venditore, stante il disposto di cui all’art. 1490 del codice civile, deve garantire che la cosa venduta sia immune da vizi che la rendano inidonea all’uso cui è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore.
I vizi sono imperfezioni materiali tali che, se conosciute, avrebbero condizionato la volontà di concludere la vendita, in quanto diminuiscono il valore della cosa od incidono sulla sua utilizzabilità.

Certamente l’incurvatura del telaio della moto è un difetto che ne diminuisce il valore commerciale in quanto probabilmente l’acquirente non l’avrebbe comprata, se lo avesse saputo, o sarebbe stato disposto a spendere molto meno.
In questo caso, ammesso e non concesso che il telaio fosse già curvato al momento della consegna del bene, l’acquirente ex art. 1492 può scegliere se chiedere al venditore una riduzione del prezzo proporzionale al diminuito valore del bene, ovverosia alla somma che presumibilmente occorrerà per la riparazione (ove possibile), oppure chiedere la risoluzione del contratto: il bene verrà restituito al venditore il quale provvederà a restituirgli il prezzo pagato.

Tuttavia il venditore non è tenuto alla garanzia per i vizi, e quindi non è tenuto alla restituzione di parte del prezzo ovvero alla risoluzione del contratto, quando tali difetti erano conosciuti o facilmente riconoscibili dal compratore (art. 1491 c.c.).
La nozione di vizio riconoscibile ed il conseguente grado di diligenza dell'acquirente nel verificare lo stato del bene al momento della consegna, dipendono da tutte le circostanze del caso.

Di norma l’inclinazione del telaio, a seguito di incidente, è un difetto che invero è riscontrabile solo con l'uso del veicolo stesso, poiché anche all'acquirente più diligente ed informato, che analizza attentamente il mezzo al momento della consegna, non sarà possibile prendere conoscenza dell’esistenza dello stesso.
Ci sono alcuni motoveicoli, moto cosiddette a telaio nudo, in cui eventuali vizi del telaio sono più evidenti, così come ci sono incrinature particolarmente ben visibili ed altre, al contrario, di cui è possibile accorgersi solo a seguito di un utilizzo protratto del mezzo.
Dunque se il vizio era conosciuto o facilmente riconoscibile dall'acquirente, allor a nulla avrà diritto.

E’ bene anche precisare che in tema di garanzia per vizi, ai sensi dell’art. 1495, è onere del compratore provare non solo l'esistenza del vizio, ma anche di averlo tempestivamente denunciato al venditore entro otto giorni dalla sua scoperta, trattandosi di condizione necessaria per l'esercizio dell'azione (in tal senso Cass. Civ. 29 gennaio 2000 n. 1031; Cass. Civ. 12 marzo 1994 n. 2394).
La denuncia non è soggetta a particolare formalità, ma è onere dell’acquirente precostituirsi la prova di aver portato a conoscenza del venditore la presenza di vizi o la mancanza di qualità, e di averlo fatto tempestivamente.
Di solito infatti l'acquirente utilizza mezzi di comunicazione che ne attestino l'invio e la ricezione, come una raccomandata, un fax, un' email ecc.
Nel suo caso, invece, l'acquirente le ha denunciato i vizi con una telefonata e quindi, in un eventuale e futuro giudizio, per lui sarà più difficile, ma non impossibile, dimostrare di aver adempiuto all'onere di legge nel breve termine anzidetto.

La norma sancisce dunque un termine di decadenza, dopo il quale non sarà più possibile proporre una azione innanzi all’autorità giudiziaria, ma anche un termine di prescrizione, in quanto dovrà, a prescindere dalla denuncia e dalla scoperta del difetto, proporre la domanda in giudizio entro un anno dalla conclusione del contratto, nei casi in cui il l’acquirente sia stato immesso subito nella disponibilità del bene, ovvero dal momento della consegna del bene.

Il venditore è altresì tenuto al risarcimento del danno se non prova di aver ignorato senza colpa i vizi della cosa (art. 1494 c.c.): certamente nella nozione di danno rientrano anche le spese che l’acquirente ha sostenuto per la manutenzione del mezzo (cambio olio e cambio filtri) e quelle sostenute per riportare la moto per la restituzione e la risoluzione del contratto.
Nessun rilievo può avere la circostanza che l’acquirente ha viaggiato per parecchi chilometri in quanto aveva acquistato il bene per utilizzarlo a proprio piacimento e, dunque, se durante tale utilizzo sono emersi vizi occulti non potrà essergli imputato alcunché.
Potrà invece far valere la circostanza che, avendo fatto controllare il motoveicolo da un meccanico esperto ed avendo questi riscontrato solamente l'incurvatura del manubrio e non anche danneggiamenti del telaio, non sarà tenuto al risarcimento del danno in quanto ex art. 1494 ignorava senza alcuna colpa l'esistenza del difetto.

La vendita è uno dei contratti più diffusi, essenziale per l’economia, e quindi il legislatore appronta delle tutele molto forti, tese proprio a garantire la libera circolazione e scambio dei beni.

Se invece la causa dell’incurvatura del telaio è da imputarsi al compratore, che ad esempio dopo la consegna del bene lo ha manomesso o è rimasto coinvolto in un sinistro stradale, allora nulla gli sarà dovuto dal venditore, e non potrà certo richiederle la risoluzione del contratto.
Sebbene non sia facile verificare e provare che il danno al telaio si è verificato dopo la consegna, tuttavia con l’ausilio di un meccanico, magari lo stesso che aveva appurato il difetto del manubrio, è possibile sapere se il difetto del telaio è da ricondursi alla sua caduta oppure ad un’altra causa.

Angelo P. chiede
martedì 10/11/2015 - Emilia-Romagna
“Siamo titolari di un'autosalone e quattro mesi fa abbiamo venduto una vettura usata (anno 2008) ad una ditta di informatica titolare di partita I.V.A. il cui titolare dopo l'acquisto ha fatto montare un impianto a G.P.L.
Adesso (dopo 4 mesi) lamenta un problema relativo ad un malfunzionamento del motore.
Mi potete dire in base alle normative sulla garanzia di conformità se ha diritto al risarcimento e se si in che misura? Grazie”
Consulenza legale i 16/11/2015
Poiché i soggetti coinvolti nella vicenda possono essere entrambi qualificati come "professionisti" (ai sensi dell'art. 3 del codice consumo si tratta della "persona fisica o giuridica che agisce nell'esercizio della propria attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale, ovvero un suo intermediario", mentre il consumatore è "la persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta"), la vendita oggetto del quesito non è disciplinata dalle norme a tutela del consumatore, ma dalle regole ordinarie in tema di compravendita, contenute agli articoli 1470 e seguenti del codice civile.

Nel caso di specie, viene lamentato un malfunzionamento del motore.

Innanzitutto, si dovrà analizzare il contratto di vendita della vettura: quali furono le prestazioni promesse? Quali le garanzie concesse, al di là di quelle ordinarie di legge?
Il contratto, cioè il titolo di acquisto del veicolo, contiene le clausole che regolano prioritariamente il rapporto, pertanto il primo passo da fare è verificare se si sia concessa una qualche forma di particolare garanzia sulla vettura usata.

Se il contratto nulla dice o, addirittura, si è concluso verbalmente, si dovranno applicare le norme di legge.
Poiché l'acquirente lamenta la presenza di un vizio, cioè di un difetto o non conformità che rende la cosa comprata inidonea all'uso a cui è destinata o ne diminuisce in modo apprezzabile il valore (queste le espressioni utilizzate dall'art. 1490 del c.c.), potrà trovare applicazione la garanzia per i vizi che la legge pone quale obbligo in capo al venditore (art. 1476, n. 3, c.c.).

La garanzia può essere ottenuta solo se ricorrono le seguenti condizioni:
- il vizio/difetto deve essere preesistente alla vendita (la prova della sua esistenza ed entità deve essere data dallo stesso compratore che ne lamenta l'esistenza!); ciò, a meno che i vizi della cosa fossero conosciuti o facilmente riconoscibili (la garanzia torna ad operare comunque se il venditore abbia dichiarato che la cosa era esente da vizi, di fatto "ingannando" il compratore, art. 1491 del c.c.);
- il compratore ha prontamente denunciato i vizi entro i termini strettissimi previsti dalla legge.
Difatti, la garanzia per i vizi va escussa entro i termini previsti dall'art. 1495 del c.c.: deve essere fatta denunzia del vizio entro 8 giorni dalla scoperta (per scoperta si intende il momento in cui il compratore ha avuto piena consapevolezza del vizio della certificazione, ad esempio a seguito di una perizia commissionata sul bene); successivamente, entro un anno dalla consegna (non dalla stipulazione del contratto, ma dal materiale impossessamento da parte dell'acquirente) va esperita l'azione con cui si chiede la riduzione del prezzo o la risoluzione.

Nel caso di specie, quindi, si dovranno valutare alcuni aspetti fondamentali: che il vizio lamentato esista davvero e se - soprattutto! - esso esisteva già al momento della vendita, sul presupposto però che il venditore sapesse che l'acquirente sarebbe andato ad installare un impianto a G.P.L., di fatto modificando il motore della vettura.
Difatti, se il venditore era all'oscuro di questa intenzione del compratore, questi, ritoccando il motore, avrebbe reso pressoché impossibile dimostrare al venditore che il vizio esisteva al momento dell'acquisto, non potendo provare che la vettura, prima della modifica, presentava il difetto. In assenza di prove del vizio, la garanzia evidentemente non è dovuta.

Se, al contrario, il venditore era perfettamente a conoscenza che il compratore avrebbe convertito il veicolo a G.P.L., è possibile porsi il problema relativo al fatto che il vizio sorto dopo l'installazione dell'impianto a gas in realtà attenesse ad un difetto occulto della vettura preesistente, che si è rivelato in un momento successivo. All'evidenza, è necessario che un tecnico super partes valuti lo stato del veicolo, non potendosi in questa sede dare indicazioni tecniche più precise.

Il venditore, in conclusione, a sua tutela, potrà difendersi esigendo innanzitutto la prova della esistenza del vizio da parte del compratore; inoltre, se non era a conoscenza che la vettura sarebbe stata dotata di impianto G.P.L., potrà dire che non rientrava nell'accordo delle parti che il veicolo presentasse una data caratteristica che avrebbe consentito il corretto funzionamento a gas, oppure che il vizio è sorto direttamente a causa del nuovo impianto e mai si sarebbe verificato in assenza di ritocchi al motore.

In ogni caso, si ribadisce, è il compratore a dover provare il vizio. L'onere della prova dei difetti - e delle eventuali conseguenze dannose, nonché dell'esistenza del nesso causale fra i primi e le seconde - fa carico al compratore che faccia valere la garanzia per i vizi della cosa venduta, mentre la prova liberatoria della mancanza di colpa incombente al venditore opera soltanto quando la controparte abbia preventivamente dimostrato l'effettiva sussistenza della sua denunciata inadempienza: vedi, tra le altre, le sentenze della Cassazione, sez. II, 18.7.1991, n. 7986; 10.9.1998, n. 8963; 12.6.2007, n. 13695.
Peraltro, il compratore dovrà provare anche che ha scoperto l'esistenza del vizio non oltre 8 giorni prima della denunzia fattane al venditore.

Se il vizio dovesse essere effettivamente provato, il compratore potrà chiedere a sua scelta la risoluzione del contratto o la riduzione proporzionale del prezzo. Nel primo caso, il venditore deve restituire il prezzo e rimborsare al compratore le spese e i pagamenti legittimamente fatti per la compravendita (art. 1493 del c.c.). In entrambi i casi si può chiedere anche il risarcimento del danno, che consiste nel pregiudizio subito al di là del prezzo pagato, quindi, eventuale discredito commerciale (es. perché il veicolo si è guastato di fronte a dei clienti, rovinando l'immagine dell'azienda) o la perdita di clienti (es. il malfunzionamento della vettura ha impedito alla ditta di eseguire un contratto con un cliente, che ha poi perso).

Serenella chiede
martedì 25/02/2014 - Lazio
“Buongiorno ho acquistato un immobile ad un determinato prezzo firmando un preliminare nel 2011.
A seguito della crisi del mercato immobiliare ho chiesto al costruttore uno sconto che però non mi è stato concesso. Ho rogitato a settembre 2013 e scopro oggi che una mia vicina che ha rogitato a novembre 2013 ha acquisto la stessa casa spendendo € 200.000,00 in meno. Cosa posso fare? Vi prego fatemi sapere Grazie”
Consulenza legale i 07/03/2014
Il prezzo costituisce un elemento essenziale della compravendita e viene stabilito, di regola, in modo autonomo dalle parti del contratto.
Se dopo aver espresso liberamente il proprio consenso all'acquisto, l'acquirente ritenesse che il prezzo pagato sia eccessivo, potrà impugnare il contratto chiedendone l'annullamento solo nei seguenti casi:
- errore (artt. 1428 ss. c.c.): deve trattarsi di un errore essenziale e riconoscibile dall'altro contraente. L'essenzialità è data dal fatto che l'errore cade sulla natura o sull'oggetto del contratto, sull'identità dell'oggetto della prestazione o su una sua qualità (oppure sull'identità o sulle qualità dell'altro contraente, ma non è questo il caso di specie); l'errore di diritto è essenziale solo quando è stata la ragione unica o principale del contratto. Si parla invece di riconoscibilità dell'errore quando una persona di normale diligenza avrebbe potuto rilevarlo.
- dolo (artt. 1439-1440 c.c.): sussiste quando l'altro contraente ha posto in essere una serie di raggiri ed inganni per indurre la controparte a concludere il contratto. La prova del dolo deve essere fornita con particolare rigore, non essendo sufficienti semplici induzioni o presunzioni.

Supponiamo ora che non sussista alcun altro profilo di impugnabilità del contratto (es. grave inadempimento del venditore che comporti la risoluzione del contratto).
Nel caso di specie l'errore non può ritenersi sussistente. Difatti, l'errore sul valore di un bene, in linea di principio, è irrilevante, in quanto corrisponde ad uno sbaglio nella valutazione della convenienza dell'affare. L'orientamento giurisprudenziale e dottrinale maggioritario nega che l'errore sul valore possa considerarsi essenziale, proprio perché incide solo sull'opportunità dell'affare concluso, rimessa esclusivamente alla parte che ha preso la decisione poi rivelatasi non conveniente. Ad esempio, con sentenza n. 5139/2003 la Corte di cassazione ha ritenuto che l'errore sulla valutazione economica della cosa oggetto del contratto non rientri nella nozione di errore di fatto idoneo a giustificare una pronuncia di annullamento del contratto, in quanto l'ordinamento non riconosce e non tutela il "cattivo uso" dell'autonomia privata contrattuale, né tutela la parte caduta in errore sulla base di personali valutazioni, delle quali ciascun contraente assume il rischio.

Anche il dolo è difficilmente ravvisabile, sulla base degli elementi di fatto forniti nel quesito. Peraltro, si sottolinea che la dottrina esclude come causa di annullamento del contratto il dolo c.d. "negativo", inteso come mera conoscenza dell'errore in cui la controparte sia caduta (ad esempio, anche se è difficile che si possa configurare come errore quello sul prezzo, l'errore dell'acquirente sul reale valore del bene).

Purtroppo, quindi, non sembra sussistere alcuna causa "canonica" di annullamento del contratto.

Anche la possibilità di ottenere un risarcimento del danno ai sensi dell'art. 1337 del c.c., che prevede un obbligo per le parti, in fase di formazione del contratto, di comportarsi secondo buona fede e correttezza, sembra in salita. Non è infatti sostenibile che il venditore, nel caso in esame, sia venuto meno al dovere di informazione nei confronti dell'altra parte, mantenendo il riserbo sull'acquisto di altro simile immobile da parte di terzi a prezzo decisamente inferiore, togliendo così al potenziale acquirente la possibilità di giungere alla conclusione del contratto dopo attenta ponderazione di tutti gli elementi in gioco. Questo perché la vendita successiva è del 2013, quindi di ben due anni dopo rispetto al preliminare del 2011. E certamente dal 2011 al 2013 le quotazioni del mercato immobiliare sono calate ulteriormente (e non poco) e possono giustificare un prezzo diverso per la compravendita.


D. C. chiede
mercoledì 16/11/2022 - Puglia
“Salve il 7 ottobre ho venduto la mia auto da privato, una XXX del 2006 con 207.000 km a prezzo di 2000€. L'auto è stata acquistata da un signore (senza redigere nessun contratto privato, effettuando semplicemente il passaggio di proprietà) che al momento della visione dell' auto non ha voluto fare un giro di prova, non ha voluto che accendessi la macchina per far sentire il motore come suona, insomma ha comprato la macchina in modalità vista e piaciuta.Sì è semplicemente basato sullo stato esterno della macchina, e semplicemente chiedendomi: la macchina ha qualche problema? La mia risposta è stata "no". Dopo circa 1 mese dal passaggio, avendo utilizzato l'auto normalmente e avendo percorso anche un po di km, mi chiama dicendomi che l'impianto di riscaldamento non funziona (con me era perfettamente funzionante) e che la lancetta che segna la temperatura nel momento in cui si accelerava tendeva a muoversi , per poi ritornare su 90. Questo "problema" era stato riscontrato da me circa un anno fa, cioè quando acquistai l'auto. Chiedendo spiegazioni al mio meccanico di questo problema, mi fu detto che anche cambiando alcuni pezzi il problema non si sarebbe risolto, dato che è un problema di serie dell'auto. Non contento della risposta del mio meccanico, andai dall'elettrauto e lui mi disse la stessa cosa. Mi feci convinto di questo "problema" e continuai ad utilizzare l'auto normalmente, infatti non ho mai avuto nessun tipo di problema (come già mi avevano rassicurato i due esperti da me interpellati). Questa cosa dentro di me risultava come una normalità dell'auto e quindi alla domanda: "ha problemi l'auto?" Risposi di no. L'acquirente pertanto mi ha accusato di aver nascosto questi vizi (da me non è stato nascosto niente dato che se si fosse fatto un piccolo giro di prova, avrebbe potuto riscontrare questi "problemi" con molta facilità, e avrei spiegato a lui quanto detto prima sopra) citandomi l'art. 1490 cc chiedendo di pagargli le spese per la sistemazione dell'auto. Nel caso io non volessi pagare le spese dell' auto si rivolgerà ad un avvocato. In questo caso come dovrei comportarmi? Devo pagare le spese per la riparazione dell'auto, oppure non sono spese che mi competono dato che il riscaldamento può rompersi da un momento all'altro?”
Consulenza legale i 25/11/2022
Posto in premessa che il contratto di compravendita dell’auto usata sia stato regolarmente stipulato attraverso il deposito della documentazione presso il PRA (ad es. dichiarazione dei vendita con firma autenticata da parte del venditore redatta sul retro del certificato di proprietà con apposizione di marca da bollo), per riscontrare il quesito del cliente è necessario un breve richiamo all’art. 1490 del c.c., che disciplina l’istituto della garanzia per vizi nell’ambito del contratto di compravendita.

Ai sensi del primo comma di tale disposizione “il venditore è tenuto a garantire che la cosa venduta sia immune da vizi che la rendano inidonea all'uso a cui è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore”.


Pertanto, il venditore è tenuto a garantire dai vizi il bene ceduto se il venditore è a conoscenza del vizio del bene e non ne abbia informato il proprietario antecedentemente alla vendita. La garanzia per vizi copre solo il valore del bene e non eventuali danni ulteriori.

Il diritto di garanzia per vizi può essere escluso dalle parti solo mediante un accordo scritto e espresso, sottoscritto dalle stesse.
In ogni caso, la garanzia, ai sensi dell’art. 1491 del c.c., è esclusa qualora al momento della conclusione dell’affare il compratore della cosa conosceva i vizi, oppure nel caso in cui tali vizi erano facilmente riconoscibili.

Qualora il compratore abbia diritto alla garanzia, può alternativamente scegliere di:
- risolvere il contratto, (chiedendo la restituzione della somma pagata contro la restituzione dell’autovettura)
- la riduzione del prezzo pagato

Ai nostri fini, è d’uopo stabilire:
  1. se l’eventuale apposizione nell’atto di vendita della clausola di "vista e piaciuta" esoneri a prescindere il venditore dall’obbligo di garanzia;
  2. se il vizio riscontrato dall’acquirente sia riconducibile ai vizi riconducibili al novero di quelli garantiti ai sensi del precitato articolo, in quanto tale da rendere inidonea l’autovettura all'uso a cui è destinata ovvero a diminuirne in modo apprezzabile il valore.
Con riferimento al punto n. 1, si segnalano due orientamenti giurisprudenziali contrastanti invalsi in materia di compravendita di beni usati:
  • il primo reputa che, non avendo carattere di clausola di stile, la clausola "vista e piaciuta" determina una limitazione della garanzia per vizi della cosa rep ( T. Casale Monferrato 31.7.2000);
  • il secondo, e più recente, che non esonera invece il venditore dal prestare la garanzia per i vizi occulti (A. Bologna 22.4.2004; T. Catania 12.2.2018).
Il secondo orientamento è stato adottato anche dalla Corte di Cassazione: nello specifico con la Sentenza sez. VI, 19/10/2016, n. 21204: “Il venditore di una vettura usata è tenuto alla garanzia per i vizi occulti, anche se la vendita sia avvenuta «nello stato come vista e piaciuta» e ciò a prescindere dal fatto che la presenza di essi non sia imputabile ad opera del venditore, ma esclusivamente a vizi di costruzione del bene venduto”.
Pertanto, è ragionevole ritenere che l’acquisto dell’autovettura usata in modalità “vista e piaciuta” non esonera di per sé il venditore alla prestazione della garanzia per vizi.

Fermo restando quanto sopra esposto, con riferimento al secondo punto, i vizi in relazione ai quali il compratore è sempre garantito consistono in “imperfezioni materiali della cosa”, concernenti il processo della sua produzione, fabbricazione e formazione, ed incidenti sulla sua utilizzabilità, rendendola inidonea all'uso cui è destinata ovvero diminuendone il valore in modo apprezzabile (C. 19199/2004; C. 5153/2002; C. 8537/1994; C. 1424/1994; C. 6988/1986; C. 24343/2017).

A nostro giudizio, l'impianto di riscaldamento è parte dell'autovettura soggetta a possibile usura (motore delle ventola). Se è stata venduta con il riscaldamento funzionante, allora il fatto che si sia in seguito rotto fa parte della normale usura. Poteva capitare prima come dopo. Potrebbe essere accaduto lo stesso ad un alzacristalli elettrico. Sono parti che si usurano e si rompono senza ... preavviso. Hanno un ciclo di vita non precisamente definito, che dipende da molte variabili (intensità utilizzo, clima, etc.) e possono usararsi, fino a rompersi, in un momento non precisato.

Riguardo la spia, trattasi di difetto congenito dell'autovettura, probabilmente di tutte le autovetture di quel medesimo modello. Non ne inficia l'uso, basta essere a conoscenza dell'anomalia.

Si suggerisce di appurare cosa si è esattamente guastato dell'impianto di riscaldamento (banalmente, potrebbe essere anche soltanto un fusibile).


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