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Articolo 1669 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 31/01/2024]

Rovina e difetti di cose immobili

Dispositivo dell'art. 1669 Codice Civile

Quando si tratta di edifici o di altre cose immobili destinate per loro natura a lunga durata(1), se, nel corso di dieci anni dal compimento(2), l'opera, per vizio del suolo o per difetto della costruzione(3), rovina in tutto o in parte, ovvero presenta evidente pericolo di rovina(4) o gravi difetti, l'appaltatore è responsabile nei confronti del committente e dei suoi aventi causa(5), purché sia fatta la denunzia entro un anno dalla scoperta(6).

Il diritto del committente si prescrive in un anno dalla denunzia.

Note

(1) La lunga durata del bene deve essere oggettiva e non soggettiva.
(2) Tale termine non è previsto a pena di decadenza (2964 c.c.) o di prescrizione (2936 c.c.) bensì quale momento entro il quale il vizio deve manifestarsi.
(3) Costituisce vizio del suolo, ad esempio, il fatto che questo sia franoso e che non siano state adottate le opportune cautele nell'edificare ovvero che non sia stato rilevato che questo non è idoneo a sopportare un edificio; vizio della costruzione, invece, è quello ascrivibile alla sola attività umana.
(4) E' evidente il pericolo che si può rilevare ictu oculi ma anche quello che si può dedurre da altre circostanze.
(5) La natura della responsabilità dell'appaltatore è discussa: secondo alcuni è contrattuale (1218 c.c.) in quanto deriva dal contratto di appalto (1655 c.c.), e l'estensione agli aventi causa ha natura eccezionale; secondo altri è aquiliana (2043 c.c.) in quanto la norma tutela interessi generali che prescindono quelli delle parti del contratto e, quindi, può essere fatta valere anche da terzi.
(6) A pena di decadenza (2964 c.c.).

Ratio Legis

La ratio sottesa alla norma è diversa a seconda che si ritenga che preveda una responsabilità contrattuale (1218 c.c.) o aquiliana (2043 c.c.): nel primo caso essa è posta a tutela dell'interesse del committente ad usufruire a lungo di un bene a ciò destinato e, perciò, prevede una garanzia che si protrae oltre il termine biennale di cui all'art. art. 1668 del c.c.; nel secondo caso è posta a salvaguardia di un superiore interesse pubblico che si identifica con l'incolumità di chiunque possa venire a contatto con l'immobile.

Spiegazione dell'art. 1669 Codice Civile

La garanzia decennale

L'art 1669 contempla una particolare obbligazione, che incombe all'appaltatore il quale è tenuto a garantire per un periodo di dieci anni l'opera costruita dal vizio del suolo o dal difetto di costruzione.

L'essenza di questa obbligazione secondo qualche autore, sarebbe un obbligo di dare, vale a dire consisterebbe esclusivamente nel risarcimento del danno, mediante il pagamento dell'id quod interest. Per contro, come sembra più esatto, l'Abbello rileva che non si può affermare che la responsabilità dell'assuntore, divenendo solo applicabile quando l'opera sia compiuta, non si risolva nell'obbligo di risarcimento e cioè in un' obbligazione di fare.
Più ammissibile è l'opinione dell'Abbello, tuttavia non è a tacere che in pratica il committente può avere più convenienza a farsi liquidare dall'assuntore il danno ed affidare ad altri i lavori: con che l'obbligazione si risolverebbe in un dare. Questa però è una considerazione d'ordine contingente perché non si può negare che in linea principale l'obbligo dell'appaltatore è quello di riparare l'edificio che minaccia rovina.


Opere che garantisce

Mentre nessun dubbio può esservi sulla parola edifici, è da chiedersi con quale criterio si può stabilire che l'immobile sia destinato a lunga durata. Il criterio sarà desunto praticamente dalla natura stessa dell'immobile, quando ciò risulta evidente, come ad es. nel caso di un ponte in muratura che nessuno certo penserà di costruire per farlo durare poco; mentre viceversa l'ipotesi inversa può risultare dall' intenzione delle parti di costruire un'opera di breve durata, la quale appunto per ciò viene costruita in modo meno solido. Se non che in questa ultima ipotesi può sorgere questione se, ad es. prefissato un periodo di durata ventennale, l'opera minaccia rovina entro il decennio, e sia pure per difetto di costruzione: in questo caso probabilmente è da escludersi questa particolare forma di responsabilità dell'appaltatore e sorge invece, se e in quanto possibile, quella delineata dall'art. 1667 per i vizi occulti.


Responsabilità dell'imprenditore

Allontanandosi dal codice abrogato, il codice del 1942 non parla più di responsabilità dell'architetto e limita l'obbligazione al solo imprenditore. In tal modo esula la responsabilità specifica dell'architetto in questa sede, e costui potrà, se mai, essere chiamato in altra sede, specialmente dal punto di vista della responsabilità professionale.
Le discussioni che si imperniavano sulla reciproca responsabilità vengono ora meno, e rimane solo da vedere in qual misura l'errore di progetto può esonerare l'appaltatore. In genere non si può ammettere l'esonero, perché l'assuntore come uomo dell'arte deve accorgersi (e qualche volta più del committente, se costui è profano) degli errori che contiene la proposta esecuzione e deve quindi suggerire le adatte provvidenze; ma alle volte l'errore è nascosto tra le pieghe del progetto in modo che nemmeno persona pratica se ne può accorgere. Un esempio che destò interesse e studi fu quello della caduta, in corso d'opera, della fiancata del bacino di carenaggio nel Porto di Napoli: l'inchiesta assodò che non era stata ben prevista la circostanza che durante la costruzione mancava la controspinta dell'acqua, la quale si aveva ad opera ultimata. Benché questi casi siano abbastanza rari, tuttavia essi possono verificarsi in modo da esonerare l'assuntore da responsabilità.


Vizi del suolo e difetti di costruzione

La responsabilità nasce da vizio del suolo o difetto di costruzione. È da ritenere che tanto l'uno che l'altro debbono rimanere a carico dell'assuntore. La legge vuole che il committente sia garantito e a questa severità non vale opporre che il terreno vizioso è stato fornito dal committente ovvero che questi abbia fornito i piani e seguito passo passo la costruzione, con l'accettare o respingere i materiali, col verificare le parti d'opera man mano che erano compiute e così via. Se ciò fosse, tanto varrebbe proclamare l'inutilità dell'istituto che stiamo esaminando, parificando l'appalto ad una vendita ed affermare che col collaudo e la ricezione cessa ogni obbligo.

Vi sono però dei casi nei quali l'appaltatore può andare esente da responsabilità, così quando il vizio del suolo è evidente e l'opera deve farsi ugualmente, come nella sistemazione di terreni franosi, oppure quando l'assuntore, malgrado la sua diffida, ha l'ordine scritto promanante da persona esperta, di eseguire o proseguire l'opera in quel dato modo.
Comunque sia, di ciò spetta al committente di provare che la rovina o la minaccia di rovina provengono dal vizio del suolo o da difetto di costruzione e l'assuntore può opporre le prove che tendono a dimostrare la sua irresponsabilità, specie quelle nascenti da cattiva manutenzione o da cattivo uso della cosa da parte del committente, ovvero può dimostrare che l'evento dipende da terzi o da caso fortuito o da forza maggiore. Siamo, pressappoco, nelle condizioni dei danni alle opere in corso di costruzione.

La constatazione della rovina o anche della sola minaccia deve essere fatta, normalmente, in contraddittorio con il costruttore, nel qual caso il verbale, la perizia o altro documento che si fosse redatto avrebbe valore di documento giudiziale. Ma se fatta dal solo committente essa è da ritenere che dovrebbe avere valore di atto di parte la cui veridicità ed importanza dovrebbe valutarsi dal giudice. È da respingere quindi l'opinione di chi la ritiene di nessun valore, specie se vi fosse la constatazione effettiva e materiale dell'edificio rovinato.

Avvenuta la rovina ed accertata la responsabilità dell'appaltatore questi è tenuto a rifare il danno. Il modo di rifazione può essere diversamente concordato tra le parti e può andare da un indennizzo pecuniario al rifacimento materiale della parte rovinata, al rafforzamento dell'edificio, ecc..


Termini per la denuncia

Il codice fissa per questa azione termini che peraltro non si cumulano tra loro.
Il primo termine è quello decennale, vale a dire che il costruttore è tenuto a garantire la stabilità dell'opera per un periodo di dieci anni. Questo periodo comincia dal giorno nel quale il committente ha preso in consegna l'opera o da quello in cui è divenuta operativa la diffida, nel caso di mora del committente medesimo.
Il secondo termine è quello accordato al committente per esperire la propria azione.

Con questo sistema, il committente deve farsi parte diligente a denunciare il fatto entro un anno dalla scoperta, altrimenti decade dal suo diritto; e dopo deve iniziare l'azione entro un altro anno. L' inosservanza di questi termini produce sia la decadenza come la prescrizione.

Relazione al Libro delle Obbligazioni

(Relazione del Guardasigilli al Progetto Ministeriale - Libro delle Obbligazioni 1941)

480 Sia nell'articolo 512 del progetto della Commissione reale, sia nell'articolo 544 del mio progetto i criteri fondamentali della responsabilità ex lege sancita dall'articolo 1639 sono rimasti immutati. Ho tenuto tuttavia conto dei voti espressi attraverso gli organi corporativi delle categorie interessate, accogliendoli nei limiti in cui mi è parso che non pregiudicassero gli interessi dei committenti.
Premesso che la responsabilità di cui si tratta concerne solo opere stabili con destinazione non temporanea, elemento che non risultava dall'articolo 1639 cod. civ. dando così luogo ad applicazione esorbitanti della norma, ho mantenuto il termine di 10 anni come durata della garanzia dell'appaltatore. Tale durata può a prima vista sembrare eccessiva, ma in realtà si è accertato in sede competente che dal punto di vista tecnico una durata minore non trova alcuna giustificazione, essendo frequente il caso di gravi difetti di costruzione che si rivelano assai dopo l'esecuzione dell'opera.
Ho mantenuto l'obbligo della denuncia a pena di decadenza da parte del committente che il progetto stabiliva; ma ho considerato che il termine di 60 giorni era assolutamente insufficiente. Il committente non sempre ha modo di accertare immediatamente la gravità del difetto che a un certo momento si manifesta, e ha bisogno quindi di ricorrere ad accertamenti tecnici spesso lunghi e difficili. Il termine per la denuncia è stato così portato ad un anno, abbreviando però il termine prescrizionale dell'azione da 2 anni a 1.
Ho ritenuto infine opportuno chiarire, accogliendo la costante interpretazione della giurisprudenza, che l'azione può essere esperita anche dagli aventi causa del committente, in coerenza con il carattere legale della responsabilità dell'appaltatore.
Nella disposizione in esame non si parla più, come del resto faceva anche il progetto del 1936, di una responsabilità dell'architetto; ma tale silenzio non significa certo esonero da ogni responsabilità del progettista o del direttore dei lavori, ma solo che la loro responsabilità è regolata dalle norme generali.
Si è mantenuto, invece, malgrado le critiche avanzate da qualche parte, il principio che l'appaltatore risponde anche se la rovina o il grave difetto dell'opera dipende da vizio del suolo. In realtà l'appaltatore ha sempre il dovere di accertare, ancorché vi siano direttori di lavori o progettisti, che il suolo è adatto a sostenere la costruzione, e non può quindi farsi luogo ad esonero nel caso in cui egli abbia fidato sugli accertamenti compiuti da quelle persone.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

704 Sono rimasti sostanzialmente immutati nell'art. 1669 del c.c. i criteri fondamentali della responsabilità ex lege stabiliti dall'art. 1639 del codice abrogato, al quale sono state apportate solo alcune modificazioni, allo scopo di dare soddisfazione ai voti espressi, attraverso gli organi corporativi, dalle categorie interessate, e allo scopo di agevolare la più esatta comprensione della norma. Si è così chiarito che la responsabilità di cui si tratta concerne soltanto opere stabili che hanno una destinazione non temporanea; si è introdotto l'onere della denuncia del vizio, che deve essere fatta, a pena di decadenza, entro un anno dalla scoperta; si è conseguentemente abbreviato il termine di prescrizione dell'azione relativa; si è espressamente affermato, in coerenza con il carattere legale di tale responsabilità, che essa può essere fatta valere anche dagli aventi causa del committente; si è infine omesso di parlare dell'architetto, come soggetto della responsabilità regolata dall'art. 1669, perché è parso più giusto che la posizione dell'architetto, come quella del direttore dei lavori, venga regolata dai principi generali. Innovando poi al codice del 1865 si è creduto di non dover limitare la sfera di applicazione della norma in questione alle sole ipotesi di rovina di tutto o parte dell'opera o di evidente pericolo di rovina, ma si è estesa la garanzia anche alle ipotesi in cui l'opera presenti gravi difetti. Naturalmente questi difetti devono essere molto gravi, oltre che riconoscibili al momento del collaudo, e devono incidere sempre sulla sostanza e sulla stabilità della costruzione, anche se non minacciano immediatamente il crollo di tutta la costruzione o di una parte di essa o non importano evidente pericolo di rovina. Non vi è dubbio che la giurisprudenza farà un'applicazione cauta di questa estensione, in conseguenza del carattere eccezionale della responsabilità dell'appaltatore.

Massime relative all'art. 1669 Codice Civile

Cass. civ. n. 7041/2023

In tema di inadempimento del contratto d'appalto, laddove l'opera risulti ultimata, il committente, convenuto per il pagamento, può opporre all'appaltatore le difformità ed i vizi dell'opera, in virtù del principio "inadimpleti non est adimplendum" al quale si ricollega la più specifica disposizione dettata dal secondo periodo dell'ultimo comma dell'art. 1667 c.c., analoga a quella di portata generale di cui all'art. 1460 c.c. in materia di contratti a prestazioni corrispettive, anche quando la domanda di garanzia sarebbe prescritta ed, indipendentemente, dalla contestuale proposizione, in via riconvenzionale, di detta domanda, che può anche mancare, senza pregiudizio alcuno per la proponibilità dell'eccezione in esame.

Cass. civ. n. 34648/2022

In tema di appalto, la denuncia dei vizi cui all'art. 1669 c.c. non ha natura processuale e pertanto può essere effettuata anche mediante un atto stragiudiziale. Ciò comporta che l'atto interruttivo della prescrizione ad essa relativo si perfeziona in forza dell'avvenuta conoscenza da parte del destinatario, senza che al riguardo possa trovare applicazione il principio di scissione degli effetti della notifica. (Nella specie, la S.C. nel rigettare il ricorso, ha ritenuto prescritta l'azione per essere spirato il termine annuale di cui all'art. 1669 c.c. all'atto della ricezione del ricorso, non rilevando all'uopo che il procedimento notificatorio fosse iniziato entro l'anno).

Cass. civ. n. 19343/2022

Il semplice riconoscimento dei vizi e delle difformità dell'opera da parte dell'appaltatore implica la superfluità della tempestiva denuncia da parte del committente, ma da esso non deriva automaticamente, in mancanza di un impegno in tal senso, l'assunzione in capo all'appaltatore dell'obbligo di emendare l'opera, che, ove configurabile, è una nuova e distinta obbligazione soggetta al termine di prescrizione decennale; ne consegue che il predetto riconoscimento non impedisce il decorso dei termini brevi della prescrizione previsti in tema di appalto.

In tema di appalto, per la piena e completa conoscenza dei vizi e delle loro cause non è necessario che, ai fini della denuncia, sia previamente espletato un accertamento peritale, qualora i vizi medesimi, anche in assenza o prima di esso, presentino caratteri tali da poter essere individuati nella loro esistenza ed eziologia. La valutazione della sussistenza di tali profili compete al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, ove adeguatamente motivata.

Cass. civ. n. 5144/2022

Nell'appalto, sia pubblico che privato, rientra tra gli obblighi dell'appaltatore, senza necessità di una specifica pattuizione, il controllo della validità tecnica del progetto fornito dal committente, anche in relazione alle caratteristiche del suolo su cui l'opera deve sorgere, posto che dalla corretta progettazione, oltre che dall'esecuzione dell'opera, dipende il risultato promesso, sicché la scoperta in corso d'opera di peculiarità geologiche del terreno tali da impedire l'esecuzione dei lavori, non può essere invocata dall'appaltatore per esimersi dall'obbligo di accertare le caratteristiche idrogeologiche del terreno sul quale l'opera deve essere realizzata e per pretendere una dilazione o un'indennizzo, essendo egli tenuto a sopportare i maggiori oneri derivanti dalla ulteriore durata dei lavori, restando la sua responsabilità esclusa solo se le condizioni geologiche non siano accertabili con l'ausilio di strumenti, conoscenze e procedure normali.

Cass. civ. n. 6192/2021

Qualora i vizi di costruzione di un edificio in condominio riguardino soltanto alcuni appartamenti e non anche le parti comuni, l'azione di risarcimento dei danni nei confronti del venditore-costruttore, ex artt. 1669 e 2058 c.c., ha natura personale e può essere esercitata da qualsiasi titolare del bene oggetto della garanzia, senza necessità che al giudizio partecipino gli altri comproprietari. Tale azione va proposta, peraltro, esclusivamente dai proprietari delle unità danneggiate, non sussistendo un'ipotesi di litisconsorzio necessario nei confronti degli altri condòmini, ancorché possa insorgere, in sede di esecuzione ed in modo riflesso, un'interferenza tra il diritto al risarcimento del danno in forma specifica riconosciuto in sentenza ed i diritti degli altri condòmini, dovendo i danneggiati procurarsi il consenso di questi ultimi per procedere, nella proprietà comune, ai lavori necessari ad eliminare i difetti, giacché tale condizionamento dell'eseguibilità della pronuncia costituisce soltanto un limite intrinseco della stessa, che non cessa comunque di costituire un risultato giuridicamente apprezzabile. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO TRIESTE, 26/01/2017).

Cass. civ. n. 20877/2020

L'azione di responsabilità per rovina e difetti di cose immobili, prevista dall'art. 1669 c.c., può essere esercitata, non solo, dal committente contro l'appaltatore, ma anche dall'acquirente contro il venditore che abbia costruito l'immobile sotto la propria responsabilità, allorché lo stesso venditore abbia assunto una posizione di diretta responsabilità nella costruzione dell'opera nei confronti dei terzi e degli stessi acquirenti e sempre che si tratti di difetti gravi che pregiudichino il grave godimento o la funzionalità dell'immobile.

Cass. civ. n. 18289/2020

In tema di appalto, gli edifici e le altre cose immobili "destinate per la loro natura a lunga durata" menzionate dall'art. 1669 c.c. sono suscettibili di identificazione attraverso il riferimento all'art. 812 c.c., che rimandando a immobili e costruzioni incorporate al suolo non a scopo transitorio, senz'altro ricomprende nel proprio perimetro anche i bacini idrici.

Cass. civ. n. 9374/2020

In tema di appalto, l'appaltatore si trova, rispetto ai materiali acquistati presso terzi e messi in opera in esecuzione del contratto, in una posizione analoga a quella dell'acquirente successivo nell'ipotesi della cd. "vendita a catena", potendosi, conseguentemente, configurare, in suo favore, due distinte fattispecie di azioni risarcitorie: quella contrattuale relativa ai danni propriamente connessi all'inadempimento in ragione del vincolo negoziale, deducibili con l'azione contrattuale ex art. 1494, comma 2, c.c. relativa alla compravendita (corrispondente, per l'appalto, a quella ex art. 1668 c.c.), e quella extracontrattuale per essere tenuto indenne di quanto versato al committente ex art. 1669 c.c. in ragione dei danni sofferti per i vizi dei materiali posti in opera.

Cass. civ. n. 4511/2019

La speciale disposizione di cui all'art. 1669 c.c. integra - senza escluderne l'applicazione - la disciplina generale in materia di inadempimento delle obbligazioni con la conseguenza che, in caso di opera non ultimata, restando l'appaltatore inadempiente all'obbligazione contrattuale assunta, si applicano le norme generali in tema di risoluzione per inadempimento ex artt. 1453 e ss. c.c., mentre la speciale garanzia prevista dagli artt. 1667 e 1668 c.c. trova applicazione nella diversa ipotesi in cui l'opera sia stata portata a termine.

Cass. civ. n. 2037/2019

In tema d'appalto, la domanda di riduzione del prezzo in presenza di difetti dell'opera può essere proposta, in luogo di quella originaria di risoluzione per inadempimento, sia nel giudizio di primo grado sia in quello d'appello, giacché, essendo fondata sulla medesima "causa petendi" e caratterizzata da un "petitum" più limitato, non costituisce domanda nuova. Infatti, all'appalto non può essere esteso il principio, dettato per la vendita dall'art. 1492, comma 2, c.c., dell'irrevocabilità della scelta, operata mediante domanda giudiziale, tra risoluzione del contratto e riduzione del prezzo; inoltre, nel caso di inadempimento dell'appaltatore, il divieto di cui all'art. 1453, comma 2, c.c. impedisce al committente, che abbia proposto domanda di risoluzione, di mutare tale domanda in quella di adempimento, ma non anche di chiedere la riduzione del prezzo.

Cass. civ. n. 24717/2018

L'appaltatore è tenuto a denunciare tempestivamente al subappaltatore i vizi o le difformità dell'opera a lui contestati dal committente e, prima della formale denuncia di quest'ultimo, non ha interesse ad agire in regresso nei confronti del subappaltatore, atteso che il committente potrebbe accettare l'opera nonostante i vizi palesi, non denunciare mai i vizi occulti oppure denunciarli tardivamente. La denuncia effettuata dal committente direttamente al subappaltatore non è idonea a raggiungere il medesimo scopo di quella effettuata dall'appaltatore ai sensi dell'art. 1670 c.c., dovendo tale comunicazione provenire dall'appaltatore o da suo incaricato e non già "aliunde" come, ad esempio, dal committente-appaltante principale, poiché i rapporti di appalto e di subappalto sono autonomi e la detta comunicazione ha natura comunicativa o partecipativa la quale impone, in base agli artt. 1669 e 1670 c.c., che non solo il destinatario, ma anche la fonte della dichiarazione si identifichino con i soggetti sulle cui sfere giuridiche gli effetti legali, impeditivi della decadenza, sono destinati a prodursi.

Cass. civ. n. 24230/2018

I gravi difetti che, ai sensi dell'art. 1669 c.c., fanno sorgere la responsabilità dell'appaltatore nei confronti dei committente e dei suoi aventi causa consistono in quelle alterazioni che, in modo apprezzabile, riducono il godimento del bene nella sua globalità, pregiudicandone la normale utilizzazione, in relazione alla sua funzione economica e pratica e secondo la sua intrinseca natura. A tal fine, rilevano pure vizi non totalmente impeditivi dell'uso dell'immobile, come quelli relativi all'efficienza dell'impianto idrico o alla presenza di infiltrazioni e umidità, ancorché incidenti soltanto su parti comuni dell'edificio e non sulle singole proprietà dei condomini.

Cass. civ. n. 29218/2017

In tema di contratto di appalto, il vincolo di responsabilità solidale fra l'appaltatore e il progettista e direttore dei lavori, i cui rispettivi inadempimenti abbiano concorso in modo efficiente a produrre il danno risentito dal committente, trova fondamento nel principio di cui all'art. 2055 c.c., il quale, anche se dettato in tema di responsabilità extracontrattuale, si estende all'ipotesi in cui taluno degli autori del danno debba rispondere a titolo di responsabilità contrattuale.

Cass. civ. n. 28233/2017

La responsabilità regolata dall'art. 1669 c.c. ha natura non contrattuale, derivando da un fatto idoneo a produrre obbligazioni in conformità dell'ordinamento giuridico, ex art. 1173 c.c. ed è, pertanto, esclusivamente a tale disciplina - e non alle norme generali dettate in tema di risoluzione del contratto per inadempimento, ex artt. 1453 ss. c.c. - che occorre fare riferimento in caso di rovina e difetti di immobili, anche laddove l'opera appaltata non sia stata ultimata.

Cass. civ. n. 27250/2017

In tema di responsabilità per rovina e difetti di cose immobili ex art. 1669 c.c., ove il materiale esecutore delle opere non sia legato direttamente da contratto di appalto con il venditore ma indirettamente attraverso una catena di uno o più subappalti (o contratti di altra tipologia) trova applicazione il principio per cui il danneggiato acquirente può agire sia contro l'appaltatore(e gli altri appaltatori) sia contro il venditore, quando l’opera sia a quest'ultimo riferibile - sulla base di un accertamento di fatto relativo all’esistenza di un suo potere direttivo e di controllo sull’appaltatore che non può essere escluso negli appalti a cascata.

Cass. civ. n. 26574/2017

La circostanza che il venditore sia anche il costruttore del bene compravenduto non vale ad attribuirgli le veste di appaltatore nei confronti dell'acquirente con la conseguenza che quest'ultimo non acquista la qualità di committente nei confronti del primo. L'acquirente non può pertanto esercitare l'azione per ottenere l'adempimento del contratto d'appalto e l'eliminazione dei difetti dell'opera a norma degli artt. 1667 e 1668 c.c., spettando tale azione, di natura contrattuale, esclusivamente al committente nel contratto d'appalto, diversamente da quella prevista dall'art. 1669 c.c. di natura extracontrattuale operante non solo a carico dell'appaltatore ed a favore del committente, ma anche a carico del costruttore ed a favore dell'acquirente.

Cass. civ. n. 18891/2017

Il venditore che, sotto la propria direzione e controllo, abbia fatto eseguire sull'immobile successivamente alienato opere di ristrutturazione edilizia ovvero interventi manutentivi o modificativi di lunga durata, che rovinino o presentino gravi difetti, ne risponde nei confronti dell'acquirente ai sensi dell'art. 1669 c.c..

Cass. civ. n. 7756/2017

In tema di contratto d’appalto, l’art. 1669 c.c. è applicabile, ricorrendone tutte le altre condizioni, anche alle opere di ristrutturazione edilizia e, in genere, agli interventi manutentivi o modificativi di lunga durata su immobili preesistenti che (rovinino o) presentino (evidente pericolo di rovina o) gravi difetti incidenti sul godimento e sulla normale utilizzazione del bene, secondo la destinazione propria di quest’ultimo.

In tema di contratto d’appalto, sono gravi difetti dell’opera, rilevanti ai fini dell’art. 1669 c.c., anche quelli che riguardino elementi secondari ed accessori (come impermeabilizzazioni, rivestimenti, infissi, etc.), purché tali da comprometterne la funzionalità globale e la normale utilizzazione del bene, secondo la destinazione propria di quest’ultimo.

Cass. civ. n. 4319/2016

L'ambito della responsabilità, posta dall'art. 1669 c.c. a carico dell'appaltatore per rovina o difetti della costruzione, in mancanza di limitazioni legali, deve ritenersi coincidere con quello generale della responsabilità extracontrattuale e, come tale, include tutte le spese necessarie per eliminare, definitivamente e radicalmente, i difetti medesimi, anche mediante la realizzazione di opere diverse e più onerose di quelle originariamente progettate nel capitolato d'appalto, purché utili a che l'opera possa fornire la normale utilità propria della sua destinazione.

Cass. civ. n. 22553/2015

In tema di appalto, può rispondere ai sensi dell'art. 1669 c.c. anche l'autore di opere su preesistente edificio, allorché queste incidano sugli elementi essenziali dell'immobile o su elementi secondari rilevanti per la funzionalità globale.

Cass. civ. n. 10658/2015

La responsabilità dell'appaltatore ex art. 1669 c.c. trova applicazione esclusivamente quando siano riscontrabili vizi riguardanti la costruzione dell'edificio o di una parte di esso, ma non anche in caso di modificazioni o riparazioni apportate ad un immobile preesistente, anche se destinate per loro natura a lunga durata.

Cass. civ. n. 3040/2015

In tema di responsabilità dell'appaltatore per rovina e difetti di cose immobili ai sensi dell'art. 1669 cod. civ., poiché la disciplina concernente la decadenza e la prescrizione per l'esercizio dell'azione ha lo scopo di non onerare il danneggiato della proposizione di domande generiche a carattere esplorativo, è necessario che la denuncia, per far decorrere il successivo termine prescrizionale, riveli una conoscenza sufficientemente completa del vizio e della responsabilità per lo stesso.

Cass. civ. n. 22036/2014

In tema di appalto, l'assenza, nelle costruzioni, dei livelli prestabiliti di sicurezza garantiti dal rispetto di prescrizioni tecniche uniformi incide sulla sostanza e la stabilità degli edifici o delle altre cose immobili destinate per la loro natura a lunga durata, sicché va annoverata tra i gravi difetti dell'opera, dei quali l'appaltatore è responsabile nei confronti del committente, ai sensi dell'art. 1669 cod. civ.

Cass. civ. n. 9966/2014

Il termine di un anno per la denuncia del pericolo di rovina o di gravi difetti nella costruzione di un immobile, previsto dall'art. 1669 cod. civ. a pena di decadenza dall'azione di responsabilità contro l'appaltatore, decorre dal giorno in cui il committente consegua una sicura conoscenza dei difetti e delle loro cause, e se, da un lato, tale termine può essere postergato all'esito degli accertamenti tecnici che si rendano necessari per comprendere la gravità dei vizi e stabilire il corretto collegamento causale, dall'altro, esso decorre immediatamente quando si tratti di un problema di immediata percezione sia nella sua reale entità che nelle sue possibili origini.

Cass. civ. n. 2284/2014

La previsione dell'art. 1669 cod. civ. concreta un'ipotesi di responsabilità extracontrattuale, con carattere di specialità rispetto al disposto dell'art. 2043 cod. civ., fermo restando che - trattandosi di una norma non di favore, diretta a limitare la responsabilità del costruttore, bensì finalizzata ad assicurare una più efficace tutela del committente, dei suoi aventi causa e dei terzi in generale - ove non ricorrano in concreto le condizioni per la sua applicazione (come nel caso di danno manifestatosi e prodottosi oltre il decennio dal compimento dell'opera) può farsi luogo all'applicazione dell'art. 2043 cod. civ., senza che, tuttavia, operi il regime speciale di presunzione della responsabilità del costruttore contemplato dall'art. 1669 cod. civ., atteso che spetta a chi agisce in giudizio l'onere di provare tutti gli elementi richiesti dall'art. 2043 cod. civ., compresa la colpa del costruttore.

Cass. civ. n. 25015/2013

In tema di appalto, la somma liquidata a carico del costruttore a titolo di risarcimento del danno ex art. 1669 c.c. costituisce un debito di valore, che, non essendo soggetto al principio nominalistico, deve essere rivalutato in considerazione del diminuito potere di acquisto della moneta intervenuto fino al momento della decisione.

Cass. civ. n. 20644/2013

In tema di appalto, l'operatività della garanzia di cui all'art. 1669 c.c. si estende anche ai gravi difetti della costruzione che non riguardino il bene principale (come gli appartamenti costruiti), bensì i viali di accesso pedonali al condominio, dovendo essa ricomprendere ogni deficienza o alterazione che vada ad intaccare in modo significativo sia la funzionalità che la normale utilizzazione dell'opera, senza che abbia rilievo in senso contrario l'esiguità della spesa occorrente per il relativo ripristino.

Cass. civ. n. 17874/2013

L'ipotesi di responsabilità regolata dall'art. 1669 c.c. in tema di rovina e difetti di immobili ha natura extracontrattuale e conseguentemente nella stessa possono incorrere, a titolo di concorso con l'appaltatore che abbia costruito un fabbricato minato da gravi difetti di costruzione, tutti quei soggetti che, prestando a vario titolo la loro opera nella realizzazione dell'opera, abbiano contribuito, per colpa professionale (segnatamente il progettista e/o il direttore dei lavori), alla determinazione dell'evento dannoso, costituito dall'insorgenza dei vizi in questione.

Cass. civ. n. 9370/2013

L'azione di responsabilità per rovina e difetti di cose immobili, prevista dall'art. 1669 c.c., può essere esercitata anche dall'acquirente nei confronti del venditore che risulti fornito della competenza tecnica per dare direttamente, o tramite il proprio direttore dei lavori, indicazioni specifiche all'appaltatore esecutore dell'opera, gravando sul medesimo venditore l'onere di provare di non aver avuto alcun potere di direttiva o di controllo sull'impresa appaltatrice, così da superare la presunzione di addebitabilità dell'evento dannoso ad una propria condotta colposa, anche eventualmente omissiva.

Cass. civ. n. 84/2013

In tema di appalto, i gravi difetti di costruzione che danno luogo alla garanzia prevista dall'art. 1669 c.c. non si identificano necessariamente con vizi influenti sulla staticità dell'edificio, ma possono consistere in qualsiasi alterazione che, pur riguardando soltanto una parte condominiale, incida sulla struttura e funzionalità globale dell'edificio, menomandone il godimento in misura apprezzabile, come nell'ipotesi di infiltrazione d'acqua e umidità nelle murature del vano scala, causata dalla non corretta tecnica di montaggio dei pannelli di copertura.

Cass. civ. n. 18078/2012

Ai fini della responsabilità dell'appaltatore per rovina e difetti di cose immobili destinate a lunga durata, l'art. 1669 c.c., oltre a richiedere che i vizi si palesino entro un decennio dal compimento dell'opera, stabilisce, al primo comma, un termine annuale di decadenza, relativo alla denunzia dei vizi, che decorre dalla scoperta della gravità dei difetti e della loro imputabilità alla prestazione dell'appaltatore, e pone, al secondo comma, un termine annuale di prescrizione, che si lega unicamente, sotto il profilo cronologico, alla denunzia dei difetti, la quale, pertanto, è atto condizionante la decorrenza del termine prescrizionale.

Cass. civ. n. 14650/2012

In tema di contratto di appalto, il vincolo di responsabilità solidale fra l'appaltatore ed il progettista e direttore dei lavori, i cui rispettivi inadempimenti abbiano concorso in modo efficiente a produrre il danno risentito dal committente, trova fondamento nel principio di cui all'art. 2055 c.c., il quale, anche se dettato in tema di responsabilità extracontrattuale, si estende all'ipotesi in cui taluno degli autori del danno debba rispondere a titolo di responsabilità contrattuale. (Nella specie, in applicazione dell'enunciato principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva riconosciuto la responsabilità solidale del progettista e direttore dei lavori e dell'appaltatore per i difetti della costruzione dipendenti dal cedimento delle fondazioni dovuto alle caratteristiche geologiche del suolo, rientrando nei compiti di entrambi l'indagine sulla natura e consistenza del terreno edificatorio).

Cass. civ. n. 8016/2012

Quando l'opera appaltata presenta gravi difetti dipendenti da errata progettazione il progettista è responsabile, con l'appaltatore, verso il committente, ai sensi dell'art. 1669 c.c., a nulla rilevando in contrario la natura e la diversità dei contratti cui si ricollega la responsabilità, rendendosi sia l'appaltatore che il progettista, con le rispettive azioni od omissioni — costituenti autonomi e distinti illeciti o violazioni di norme giuridiche diverse, concorrenti in modo efficiente a produrre uno degli eventi dannosi tipici indicati nel medesimo art. 1669 c.c. —, entrambi autori dell'unico illecito extracontrattuale, e perciò rispondendo, a detto titolo, del danno cagionato. Trattandosi di responsabilità extracontrattuale, specificamente regolata anche in ordine alla decadenza ed alla prescrizione, non spiega alcun rilievo la disciplina dettata dagli artt. 2226, 2330 c.c. e si rivela ininfluente la natura dell'obbligazione — se di risultato o di mezzi — che il professionista assume verso il cliente committente dell'opera data in appalto.

Cass. civ. n. 20307/2011

Il "difetto di costruzione" che, a norma dell'art. 1669 c.c., legittima il committente all'azione di responsabilità extracontrattuale nei confronti dell'appaltatore, come del progettista, può consistere in una qualsiasi alterazione, conseguente ad un'insoddisfacente realizzazione dell'opera, che, pur non riguardando parti essenziali della stessa (e perciò non determinandone la "rovina" o il "pericolo di rovina"), bensì quegli elementi accessori o secondari che ne consentono l'impiego duraturo cui è destinata, incida negativamente e in modo considerevole sul godimento dell'immobile medesimo. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito, che aveva escluso l'applicabilità dell'art. 1669 c.c. in relazione alla progettazione, fornitura e posa in opera di un impianto di ascensore per esterni da installare in un albergo, avendo desunto che l'impianto non incidesse sull'efficienza dell'attività alberghiera, così attribuendo una funzione secondaria all'uso dello stesso impianto per i disabili, nonché al suo richiamo panoramico per i clienti dell'albergo).

Cass. civ. n. 19868/2009

I gravi difetti che, ai sensi dell'art. 1669 c.c., fanno sorgere la responsabilità dell'appaltatore nei confronti del committente e dei suoi aventi causa consistono in quelle alterazioni che, in modo apprezzabile, riducono il godimento del bene nella sua globalità, pregiudicandone la normale utilizzazione, in relazione alla sua funzione economica e pratica e secondo la sua intrinseca natura. (Applicando tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito con la quale era stata negata la tutela ex art. 1669.c.c. con riferimento a vizi consistenti - tra l'altro - in un difettoso montaggio della caldaia ed in una errata pendenza dei balconi, sul presupposto che il committente non aveva nemmeno allegato se il primo vizio incidesse sul funzionamento della caldaia ed il secondo determinasse ristagni di acqua).

La responsabilità dell'appaltatore per gravi difetti dell'opera, ai sensi dell'art. 1669 c.c., non può ritenersi esclusa per il solo fatto che detti difetti siano derivati da cause sopravvenute al completamento dei lavori, là dove le anzidette cause sopravvenute non fossero del tutto imprevedibili al momento dell'esecuzione dei lavori. (Applicando tale principio, la S.C. ha cassato per difetto di motivazione la sentenza con la quale il giudice di merito aveva escluso la responsabilità dell'appaltatore per infiltrazioni d'acqua, dovute all'innalzamento di una falda acquifera sottostante l'edificio da lui realizzato, senza darsi carico di verificare se esse si sarebbero potute prevedere e, quindi, prevenire con adeguate opere di impermeabilizzazione).

Cass. civ. n. 28605/2008

Nell'appalto per la costruzione di edificio in base a progetto fornito dal committente, la responsabilità dell'appaltatore per gravi difetti, ai sensi dell'articolo 1669 cod. civ., sussiste anche quando l'ingerenza e le istruzioni del committente ne limitino autonomia e discrezionalità, tranne il caso in cui queste abbiano una continuità ed un'analiticità tali da elidere, nell'esecutore, ogni facoltà di vaglio, in modo che il rapporto di appalto si trasformi, ipso facto, in un rapporto di lavoro subordinato e l'appaltatore in nudus minister del committente.

Cass. civ. n. 26609/2008

In materia di appalto, ove il committente agisca nei confronti dell'appaltatore, ai sensi dell'art. 1669 c.c., per il risarcimento dei danni conseguenti a gravi difetti di costruzione di un immobile, non può operare tra le parti la clausola di esonero di responsabilità eventualmente pattuita, trattandosi di responsabilità extracontrattuale.

Cass. civ. n. 14812/2008

Le violazioni delle prescrizioni dettate, in base alla legge n. 64 del 1974 (ed attualmente dal D.P.R. n. 380 del 2001), per la progettazione e l'esecuzione delle costruzioni soggette ad azione sismica integrano i gravi difetti, di cui l'appaltatore è responsabile nei confronti del committente ai sensi dell'art. 1669 c.c., incidendo esse sulla sostanza e stabilità degli edifici o delle altre cose immobili destinate per loro natura a lunga durata, non potendo essere sovrapposte alle prescrizioni normative anzidette, in quanto recanti delle presunzioni assolute, una diversa individuazione degli stati limite delle strutture e diversi modelli di calcolo delle azioni sismiche e dei loro effetti.

Cass. civ. n. 1463/2008

In tema di garanzia per gravi difetti dell'opera ai sensi dell'art. 1669 c.c., il termine per la relativa denunzia non inizia a decorrere finché il committente non abbia conoscenza sicura dei difetti e tale consapevolezza non può ritenersi raggiunta sino a quando non si sia manifestata la gravità dei difetti medesimi e non si sia acquisita, in ragione degli effettuati accertamenti tecnici, la piena comprensione del fenomeno e la chiara individuazione ed imputazione delle sue cause, non
potendosi onerare il danneggiato della proposizione di azioni generiche a carattere esplorativo.

Cass. civ. n. 24143/2007

La responsabilità dell'appaltatore ex art. 1669 c.c. trova applicazione esclusivamente quando siano riscontrabili vizi riguardanti la costruzione dell'edificio stesso o di una parte di esso, ma non anche in caso di modificazioni o riparazioni apportate ad un edificio preesistente o ad altre preesistenti cose immobili, anche se destinate per loro natura a lunga durata. (Nella specie, la S.C. ha riformato la sentenza di merito che aveva ritenuto configurabile tale ipotesi di responsabilità in riferimento all'opera di mero rifacimento della impermeabilizzazione e pavimentazione del terrazzo condominiale di un edificio preesistente).

Cass. civ. n. 16202/2007

Ai fini dell'applicazione del regime di responsabilità previsto dall'art. 1669 c.c. riveste la qualità di costruttore-venditore la cooperativa edilizia che ha assegnato ai soci prenotatari unità immobiliari di un complesso condominiale, realizzandosi in tal caso un trasferimento della proprietà a titolo oneroso nonostante l'equivalenza del corrispettivo al prezzo della costruzione e l'assenza di profitto della cooperativa.

Cass. civ. n. 13764/2007

L'appaltatore incaricato della realizzazione di un rilevato ferroviario, il quale, attenendosi alle previsioni del progetto fornitogli dal committente, realizzi l'opera senza creare situazioni di pericolo per l'incolumità delle maestranze e per quella pubblica, è esente da responsabilità anche quando non possa escludersi nel lungo termine la possibilità di deformazioni dell'opera stessa a causa del lento movimento franoso connesso alla natura argillosa del terreno. In questo caso, infatti, resta nell'area esclusiva di governo del committente la scelta degli interventi funzionali al conseguimento delle finalità dell'opera ed all'impiego delle risorse finanziarie, in relazione alla previsione di interventi successivi nel tempo, diretti alla conservazione al potenziamento ed alla eventuale sostituzione dell'opera stessa. 

Cass. civ. n. 12995/2006

Ai fini della costruzione di opere edilizie l'indagine sulla natura e consistenza del suolo edificatorio rientra, in mancanza di diversa previsione contrattuale, tra i compiti dell'appaltatore, trattandosi di indagine implicante attività conoscitiva da svolgersi con l'uso di particolari mezzi tecnici che al medesimo, quale soggetto obbligato a mantenere il comportamento diligente dovuto per la realizzazione dell'opera commessagli con conseguente obbligo di adottare tutte le misure e le cautele necessarie ed idonee per l'esecuzione della prestazione secondo il modello di precisione e di abilità tecnica nel caso concreto idoneo a soddisfare l'interesse creditorio, spetta assolvere mettendo a disposizione la propria organizzazione, atteso che lo specifico settore di competenza in cui rientra l'attività esercitata richiede la specifica conoscenza ed applicazione delle cognizioni tecniche che sono tipiche dell'attività necessaria per l'esecuzione dell'opera, sicché è onere del medesimo predispone un'organizzazione della propria impresa che assicuri la presenza di tali competenze per poter adempiere l'obbligazione di eseguire l'opera immune da vizi e difformità. Ed atteso che l'esecuzione a regola d'arte di una costruzione dipende dall'adeguatezza del progetto alle caratteristiche geologiche del terreno su cui devono essere poste le relative fondazioni, e la validità di un progetto di una costruzione edilizia è condizionata dalla sua rispondenza alle caratteristiche geologiche del suolo su cui essa deve sorgere, il controllo da parte dell'appaltatore va esteso anche in ordine alla natura e consistenza del suolo edificatorio. Ne consegue che per i difetti della costruzione derivanti da vizi ed inidoneità del suolo anche quando gli stessi sono ascrivibili alla imperfetta od erronea progettazione fornitagli dal committente l'appaltatore risponde (in tal caso prospettandosi l'ipotesi della responsabilità solidale con il progettista, a sua volta responsabile nei confronti del committente per inadempimento del contratto d'opera professionale ex art. 2235 c.c.) nei limiti generali in tema di responsabilità contrattuale della colpa lieve, presupponente il difetto dell'ordinaria diligenza, potendo andare esente da responsabilità solamente laddove nel caso concreto le condizioni geologiche non risultino accertabili con l'ausilio di strumenti, conoscenze e procedure normali avuto riguardo alla specifica natura e alle peculiarità dell'attività esercitata.

Trattandosi di opere edilizie da eseguirsi su strutture o basamenti preesistenti o preparati dal committente o da terzi, l'appaltatore viola il dovere di diligenza stabilito dall'art. 1176 c.c. se non verifica, nei limiti delle comuni regole dell'arte, l'idoneità delle anzidette strutture a reggere l'ulteriore opera commessagli, e ad assicurare la buona riuscita della medesima, ovvero se, accertata l'inidoneità di tali strutture, procede egualmente all'esecuzione dell'opera. Anche l'ipotesi della imprevedibilità di difficoltà di esecuzione dell'opera manifestatesi in corso d'opera derivanti da cause geologiche, idriche e simili, specificamente presa in considerazione in tema di appalto dall'art. 1664, 2° co., c.c. e legittimante se del caso il diritto ad un equo compenso in ragione della maggiore onerosità della prestazione, deve essere valutata sulla base della diligenza media in relazione al tipo di attività esercitata. E laddove l'appaltatore svolga anche i compiti di ingegnere progettista e di direttore dei lavori, l'obbligo di diligenza è ancora più rigoroso, essendo egli tenuto, in presenza di situazioni rivelatrici di possibili fattori di rischio, ad eseguire gli opportuni interventi per accertarne la causa ed apprestare i necessari accorgimenti tecnici volti a garantire la realizzazione dell'opera senza difetti costruttivi. La maggiore specificazione del contenuto dell'obbligazione non esclude infatti la rilevanza della diligenza come criterio determinativo della prestazione per quanto attiene agli aspetti dell'adempimento, sicché gli specifici criteri posti da particolari norme di settore (es. il riferimento ai c.d. «coefficienti di sicurezza» previsti dalla L. 5 novembre 1971, n. 1086 ed il relativo regolamento di attuazione D.M. 16 giugno 1976) non solo non valgono a ridurre o limitare la responsabilità dell'appaltatore ma sono per converso da intendersi nel senso che la relativa inosservanza viene a ridondare in termini di colpa grave dell'appaltatore.

Cass. civ. n. 8520/2006

In tema di responsabilità dell'appaltatore per gravi difetti dell'opera, sono ammissibili, rispetto al medesimo evento, sia l'azione prevista dall'art. 1669 c.c., che l'azione contemplata dall'art. 2043 c.c., norma generale sulla responsabilità per fatto illecito. L'azione ex art. 1669 c.c. si pone in rapporto di specialità rispetto alla seconda, risultando questa esperibile quando in concreto la prima non lo sia, perciò anche nel caso di danno manifestatosi e prodottosi oltre il decennio dal compimento dell'opera. Pertanto, poiché nell'ipotesi di esperimento dell'azione ex art. 2043 c.c. non opera il regime probatorio speciale di presunzione della responsabilità del costruttore, in tale caso, spetta a colui che agisce provare tutti gli elementi richiesti dalla norma generale, e, in particolare, anche la colpa del costruttore.

Cass. civ. n. 7634/2006

In tema di responsabilità del costruttore, nell'ipotesi in cui l'immobile presenti gravi difetti di costruzione che, incidendo profondamente sugli elementi essenziali, influiscano sulla solidità e la durata dello stesso, la norma di cui all'art. 1669 c.c., sebbene dettata in materia di appalto, configura una responsabilità extracontrattuale che, essendo sancita per ragioni e finalità di interesse generale, è estensibile al venditore che sia stato anche costruttore del bene venduto.

Cass. civ. n. 3406/2006

L'ipotesi di responsabilità regolata dall'art. 1669 c.c. in tema di rovina e difetti di immobili ha natura extracontrattuale e, conseguentemente, trova un ambito di applicazione più ampio di quello risultante dal tenore letterale della disposizione che fa riferimento soltanto all'appaltatore nei confronti del committente e dei suoi aventi causa, perché operante anche a carico del progettista, del direttore dei lavori e dello stesso committente che abbia provveduto alla costruzione dell'immobile con propria gestione diretta, ovvero sorvegliando personalmente l'esecuzione dell'opera, sì da rendere l'appaltatore un mero esecutore dei suoi ordini. Il suo presupposto risiede quindi, in ogni caso, nella partecipazione alla costruzione dell'immobile in posizione di «autonomia decisionale ». (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, in cui era stata correttamente ravvisata una responsabilità del committente ex art. 1669 c.c. in quanto riferita ai lavori di completamento dell'immobile, previsti nel contratto preliminare come a carico della parte promittente venditrice, e da questa direttamente supervisionati, benché materialmente eseguiti da un'impresa terza ).

Cass. civ. n. 567/2005

Il termine di un anno per la denuncia del pericolo di rovina o di gravi difetti nella costruzione di un immobile, previsto dall'art. 1669 c.c. a pena di decadenza dall'azione di responsabilità contro l'appaltatore, decorre dal giorno in cui il committente consegua un apprezzabile grado di conoscenza oggettiva della gravità dei difetti e della loro derivazione causale dall'imperfetta esecuzione dell'opera, non essendo sufficienti, viceversa, manifestazioni di scarsa rilevanza e semplici sospetti; il relativo accertamento, involgendo un apprezzamento di fatto, è riservato al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione congrua ed esente da vizi logici o da errori di diritto. (Nella specie, è stato ritenuta correttamente motivata la decisione di merito che aveva fatto risalire la scoperta dei difetti dell'opera alla data del deposito della relazione del consulente nominato in sede di accertamento tecnico preventivo).

In tema di responsabilità del venditore-costruttore per gravi difetti dell'opera, l'art. 1669 c.c., mirando a finalità di ordine pubblico, è applicabile non solo nei casi in cui il venditore abbia personalmente, cioè con propria gestione di uomini e mezzi, provveduto alla costruzione, ma anche nelle ipotesi in cui, pur avendo utilizzato l'opera di soggetti professionalmente qualificati, come l'appaltatore, il progettista, il direttore dei lavori, abbia mantenuto il potere di impartire direttive o di sorveglianza sullo svolgimento dell'altrui attività, sicché anche in tali casi la costruzione dell'opera è a lui riferibile; pertanto, il venditore può essere chiamato a rispondere dei gravi difetti dell'opera non soltanto quando i lavori siano eseguiti in economia, ma anche, nell'ipotesi in cui la realizzazione dell'opera è affidata a un terzo al quale non sia stata lasciata completa autonomia tecnica e decisionale. Ne consegue che il giudice di merito, nel verificare la responsabilità del venditore ex art. 1669 c.c., non può limitarsi ad accertare se l'opera sia stata direttamente compiuta dal medesimo, essendo necessario stabilire anche quando nell'esecuzione siano intervenuti altri soggetti se la costruzione sia ugualmente a lui riferibile, per avere egli mantenuto il potere di direttiva o di controllo sull'operato dei predetti. (Nella specie, è stata ritenuta la responsabilità ex art. 1669 c.c. del venditore, in quanto l'esecuzione dell'opera da parte dell'appaltatore era avvenuta sotto il controllo tecnico affidato dallo stesso venditore a persona di sua fiducia).

Cass. civ. n. 14561/2004

In tema di rovina e difetti di cose immobili destinate per loro natura a durare nel tempo, l'art. 1669 c.c. prescrive, oltre al termine decennale attinente al rapporto sostanziale di responsabilità dell'appaltatore (ricollegabile anche alla posizione del venditore — costruttore), due ulteriori termini: uno di decadenza, per la denuncia del pericolo di rovina o dei gravi difetti, di un anno dalla «scoperta» dei vizi o difetti, e l'altro di prescrizione, per l'esercizio dell'azione di responsabilità, di un anno dalla denuncia. I detti termini sono interdipendenti, nel senso che, ove uno soltanto di essi non sia rispettato, la responsabilità dell'appaltatore nei confronti del committente (o dei suoi aventi causa) non può essere fatta valere.

Cass. civ. n. 8140/2004

Configurano gravi difetti dell'edificio a norma dell'art. 1669 c.c. anche le carenze costruttive dell'opera — da intendere anche come singola unità abitativa che pregiudicano o menomano in modo grave il normale godimento e/o la funzionalità e/o l'abitabilità della medesima, come allorché la realizzazione è avvenuta con materiali inidonei e/o non a regola d'arte ed anche se incidenti su elementi secondari ed accessori dell'opera (quali impermeabilizzazione, rivestimenti, infissi, pavimentazione, impianti, etc.), purché tali da compromettere la sua funzionalità e l'abitabilità ed eliminabili solo con lavori di manutenzione, ancorché ordinaria, e cioè mediante opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici o che mediante opere che integrano o mantengono in efficienza gli impianti tecnologici installati. (Principio affermato dalla Suprema Corte in una fattispecie in cui gli acquirenti avevano agito per responsabilità extracontrattuale nei confronti del costruttore perché le mattonelle del pavimento dei singoli appartamenti si erano scollate e rotte in misura percentuale notevole rispetto alla superficie rivestita). 

Cass. civ. n. 8811/2003

In tema di appalto ed in ipotesi di responsabilità ex art. 1669 c.c. per rovina o difetti dell'opera, la natura extracontrattuale di tale responsabilità trova applicazione anche a carico di coloro che abbiano collaborato nella costruzione, sia nella fase di progettazione o dei calcoli relativi alla statica dell'edificio, che in quella di direzione dell'esecuzione dell'opera, qualora detta rovina o detti difetti siano ricollegabili a fatto loro imputabile. Ne consegue che la chiamata in causa del progettista e/o direttore dei lavori da parte dell'appaltatore, convenuto in giudizio per rispondere, ai sensi dell'art. 1669 c.c., dell'esistenza di gravi difetti dell'opera, e la successiva chiamata in causa di chi ha effettuato i calcoli relativi alla struttura e statica dell'immobile da parte del progettista e/o direttore dei lavori, effettuata non solo a fini di garanzia ma anche per rispondere della pretesa dell'attore, comporta, in virtù di quest'ultimo aspetto, che la domanda originaria, anche in mancanza di espressa istanza, si intende automaticamente estesa al terzo, trattandosi di individuare il responsabile nel quadro di un rapporto oggettivamente unico.

Cass. civ. n. 13158/2002

L'ipotesi di responsabilità regolata dall'art. 1669 c.c. in tema di rovina e difetti di immobili ha natura extracontrattuale e, conseguentemente, un ambito di applicazione più ampio di quello risultante dal tenore letterale della disposizione — che fa riferimento soltanto all'appaltatore nei confronti del committente e dei suoi aventi causa —, perché operante anche a carico del progettista, del direttore dei lavori e dello stesso committente che abbia provveduto alla costruzione dell'immobile con propria gestione diretta, ovvero sorvegliando personalmente l'esecuzione dell'opera, sì da rendere l'appaltatore un mero esecutore dei suoi ordini. Il suo presupposto risiede quindi, e in ogni caso, nella partecipazione alla costruzione dell'immobile in posizione di «autonomia decisionale», in difetto della quale lo stesso appaltatore sfugge a tale forma di responsabilità (nella specie, la S.C. ha escluso che potesse assumere la responsabilità sancita dall'art. 1669 c.c. il fornitore dei materiali utilizzati, non implicando tale prestazione, che si esaurisce nella consegna dei prodotti richiesti, alcuna partecipazione, nemmeno indiretta alla costruzione dell'immobile).

Cass. civ. n. 15488/2000

La responsabilità dell'appaltatore ai sensi dell'art. 1669 c.c. è riconducibile alla violazione di primarie regole (di rilievo pubblico) dettate per assicurare la sicurezza dell'attività costruttiva, sì da potersi configurare una sua attrazione nell'ambito della responsabilità extracontrattuale. Nondimeno, dal crollo o dalla rovina di un edificio deriva, a carico di chi quell'edificio abbia costruito, una presunzione juris tantum di responsabilità, che può essere vinta dall'appaltatore attraverso la prova dell'ascrivibilità del fatto al fortuito o all'opera di terzi. (Nella specie, in base all'enunciato principio la Suprema Corte ha cassato la sentenza che aveva escluso la responsabilità dell'impresa appaltatrice per il crollo di una controsoffittatura avvenuto in un ospedale, sul presupposto che, essendo emerse varie concause nella dinamica produttiva del crollo, delle quali una sola era ascrivibile all'appaltatore, il committente aveva omesso di colmare la residua incertezza probatoria).

Cass. civ. n. 11672/2000

Nel giudizio contro il costruttore di un immobile per il risarcimento dei danni conseguenti ad un grave difetto di costruzione, ai sensi dell'art. 1669 c.c., l'eccezione del costruttore che, senza contestare il difetto denunciato, si limita a negare il suo obbligo di esecuzione delle opere che avrebbero potuto evitarlo, si risolve nel riconoscimento del difetto quando risulti in concreto che quelle pere sarebbero state necessarie per l'esecuzione della costruzione a regola d'arte, e, conseguentemente, assolve il committente (o i suoi aventi causa) dall'onere della denuncia del vizio o del difetto nel termine di decadenza previsto dall'art. 1669 c.c., dovendosi estendere alla responsabilità dell'appaltatore costruttore dell'immobile la regola del capoverso dell'art. 1667 c.c., per il quale, ai fini della garanzia dei vizi dell'opera eseguita dall'appaltatore, la denuncia dei vizi, da parte del committente, nel termine di sessanta giorni dalla scoperta, indicato dalla medesima norma, non è necessaria se l'appaltatore riconosce le difformità o i vizi dell'opera. 

Cass. civ. n. 8288/2000

In tema di responsabilità dell'appaltatore per rovina e difetti di cose immobili, al termine decadenziale previsto dall'art. 1669 c.c. in relazione alla denuncia, la quale si pone come necessario presupposto per poter agire per il risarcimento del danno, non è applicabile il principio della estensione agli altri condebitori, prevista dall'art. 1310, primo comma, c.c., dell'effetto di un atto interruttivo del decorso del termine di prescrizione compiuto nei confronti di uno di essi, avuto riguardo alla ontologica differenza tra i due istituti della decadenza e della prescrizione, che vieta, a norma dell'art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale, l'applicazione alla decadenza, in via di interpretazione estensiva, di una norma che disciplina la prescrizione. 

Cass. civ. n. 8187/2000

In tema, di appalto, poiché, la denuncia dei gravi difetti o del pericolo di rovina dell'opera costituisce, ai sensi dell'art. 1669 c.c., una condizione dell'azione di responsabilità esercitabile nei confronti dell'appaltatore o del costruttore-venditore, quando il convenuto eccepisca la decadenza dall'azione per intempestività della denuncia, costituisce onere dell'attore fornire la prova di avere operato la denuncia entro l'anno dalla scoperta. 

Cass. civ. n. 6682/2000

Dal fatto dannoso cagionato dall'appaltatore ex art. 1669 c.c. scaturisce un debito di valore, da liquidarsi con riguardo al potere di acquisto della moneta al momento della decisione, anche qualora esso venga rapportato all'importo delle spese occorse per riparazioni effettuate dal committente che ha subito il pregiudizio.

Cass. civ. n. 1955/2000

Deve essere cassata la sentenza di merito che affermi la responsabilità dell'appaltatore ai sensi dell'articolo 1669 c.c. limitandosi a osservare che dall'elaborato peritale è risultata l'esistenza tra l'altro di percolamenti e stillicidi che pregiudicano la vivibilità dello stabile e quindi tutti quelli riscontrati devono essere senz'altro qualificati come «gravi difetti». In realtà, è onere del giudice prendere in considerazione singolarmente e analiticamente tutti i vizi indicati dal consulente tecnico d'ufficio e verificare, per ognuno, se siano tali da menomare, sensibilmente, la «vivibilità dello stabile», o se invece ne consentano l'ordinaria fruizione, applicando, in questo ultimo caso, l'articolo 1667 c.c., anche ai fini della soluzione delle questioni di prescrizione e di legittimazione attiva sollevate dall'appaltatore.

In tema di appalto per la realizzazione di edifici o altri immobili destinati per loro natura a lunga durata, il termine annuale previsto dall'art. 1669, secondo comma, per l'esercizio del diritto del committente ad essere risarcito dei correlativi danni, decorrente dalla denunzia di rovina o di pericolo di rovina, o di gravi difetti dell'immobile, è, per espressa definizione normativa, un termine prescrizionale. Ne consegue che, a norma dell'art. 2943 c.c., il relativo decorso viene interrotto non solo dalla proposizione della domanda giudiziale, ma, altresì, da qualsiasi atto stragiudiziale (nella specie, una lettera) che valga a costituire in mora il debitore. Ciò in quanto detto termine si riferisce non già alla sola azione di responsabilità nei confronti dell'appaltatore, ma al diritto di credito del committente, affiancato, come tutti i diritti, dalla facoltà, per il suo titolare, di farlo valere in giudizio, la quale costituisce un modo di esplicazione dello stesso, e non incide sulla sua disciplina sostanziale, ivi compresa la regolamentazione della prescrizione e delle relative cause di interruzione.

Cass. civ. n. 1290/2000

L'esito positivo del collaudo di un'opera non esclude la responsabilità dell'appaltatore ai sensi dell'art. 1669 c.c. — norma di garanzia dell'opera nel tempo, mentre il collaudo costituisce prova di tenuta in un unico contesto — e pertanto egli è tenuto a rispondere in caso di gravi difetti nell'esecuzione. Qualora poi essi dipendano altresì da errori del progettista, anche costui è responsabile, in concorso e in solido con l'appaltatore, ai sensi del medesimo art. 1669 c.c., per i danni derivatine, con la conseguenza che il rapporto processuale tra i predetti condebitori è scindibile e che la notifica della sentenza, da parte del danneggiato, nei confronti dell'uno, non determina la decorrenza del termine breve per impugnare nei confronti dell'altro.

Cass. civ. n. 81/2000

La responsabilità per gravi difetti di cui all'art. 1669 c.c. è di natura extracontrattuale, essendo sancita al fine di garantire la stabilità e solidità degli edifici e delle altre cose immobili destinate per loro natura a lunga durata, a tutela dell' incolumità personale dei cittadini, e, quindi, di interessi generali inderogabili, che trascendono i confini ed i limiti dei rapporti negoziali tra le parti. Ne consegue che detta responsabilità non può essere rinunciata o limitata da particolari pattuizioni dei contraenti e, pertanto, eventuali esigenze di economicità nella costruzione dell'opera, riconducibili alla volontà del committente, non escludono il dovere del progettista e direttore dei lavori di procedere alla sua realizzazione a regola d'arte.

Cass. civ. n. 14218/1999

In tema di appalto, l'onere della denuncia del vizio dell'edificio appaltato sorge, a norma dell'art. 1669 c.c., non già per effetto della semplice manifestazione e percezione del difetto costruttivo, ma per effetto della riconducibilità del difetto alla fattispecie legale, e cioè per effetto della rilevanza del difetto stesso come segnale di rovina, di evidente pericolo di rovina o di gravi vizi dell'opera e, ancora, dell'accertamento della sua dipendenza da insufficienza dell'attività di progettazione o di esecuzione del suo autore e della imputabilità a costui di tale insufficienza di attività. Non rileva, pertanto, che (come nella specie), taluni vizi siano espressamente denunciati solo con la domanda giudiziale, ed accertati, conseguentemente, nel corso del processo, dacché, qualora i relativi estremi possano con certezza emergere soltanto da una consulenza tecnica, è dal momento del deposito di quest'ultima che decorre il termine annuale per la denunzia.

Cass. civ. n. 3756/1999

La presunzione semplice di responsabilità del costruttore posta dall'art. 1669 c.c. per il pericolo di rovina dell'opera o per altro grave difetto costruttivo che si manifesta nel corso di dieci anni, può essere vinta, non già con la prova dell'essere stata usata tutta la diligenza possibile nell'esecuzione dell'opera, bensì mediante la specifica dimostrazione della mancanza di una sua responsabilità conclamata da fatti positivi precisi e concordanti.

Cass. civ. n. 3338/1999

La previsione dell'art. 1669 c.c. concreta un'ipotesi di responsabilità extracontrattuale, con carattere di specialità rispetto al disposto dell'art. 2043 c.c. Peraltro, l'esistenza di questa ipotesi speciale di responsabilità non fa venir meno l'applicabilità della norma generale di cui all'art. 2043 c.c., almeno nei casi in cui non ricorrano le condizioni previste dall'articolo 1669 c.c. (nel caso di specie la S.C. ha cassato la sentenza di merito con la quale si era ritenuto che la società attrice, non essendo legittimata ad esperire l'azione ex art. 1669 c.c., non poteva del pari avvalersi dell'azione ex art. 2043 c.c.).

Cass. civ. n. 12106/1998

In tema di appalto, la norma di cui all'art. 1669 c.c. ha, nonostante la relativa sedes materiae, natura indiscutibilmente extracontrattuale (essendo diretta a tutelare l'interesse, di carattere generale, alla conservazione ed alla funzionalità degli edifici e degli altri immobili destinati, per loro natura, ad una lunga durata), e trascende il rapporto negoziale (di appalto, di opera, di vendita) in base al quale il bene sia pervenuto, dal costruttore, nella sfera di dominio di un soggetto che, dalla rovina, dall'evidente pericolo di rovina o dai gravi difetti dell'opera, abbia subito un pregiudizio. Ne consegue che, pur non configurandosi a carico del costruttore un'ipotesi di responsabilità obiettiva, né una presunzione assoluta di colpa, grava pur sempre sul medesimo una presunzione iuris tantum di responsabilità, che può essere vinta non già attraverso la generica prova di aver usato, nell'esecuzione dell'opera, tutta la diligenza possibile, ma con la positiva e specifica dimostrazione della mancanza di responsabilità attraverso l'allegazione di fatti positivi, precisi e concordanti, ed a prescindere dalle questioni sorte inter partes circa la eventuale nullità del sottostante rapporto negoziale.

Cass. civ. n. 11613/1998

In tema di responsabilità dell'appaltatore per rovina e difetti di cose immobili ai sensi dell'art. 1669 c.c., l'identificazione degli elementi conoscitivi necessari e sufficienti perché possa individuarsi la scoperta del vizio ai fini del computo del termine decadenziale della denunzia e poi, da essa, del termine annuale di prescrizione del diritto del committente al risarcimento, deve effettuarsi sia con riguardo alla gravità dei difetti dell'edificio che con riguardo al collegamento causale dei dissesti all'attività progettuale e costruttiva espletata, sicché, in ipotesi di dissesti, estesi relativi ad opere costruttive complesse, non potendosi onerare il danneggiato della proposizione di azioni generiche a carattere esplorativo, la conoscenza, completa idonea a provocare la decorrenza del doppio termine (decadenziale e prescrizionale) dovrà ritenersi acquisita, in assenza di anteriori esaustivi elementi, solo all'atto dell'acquisizione delle disposte relazioni peritali.

Cass. civ. n. 8689/1998

A differenza dell'azione per la difformità e vizi dell'opera di cui all'art. 1667 c.c., l'azione per gravi difetti, disciplinata dall'art. 1669 c.c., prescinde dalla consegna dell'opera e dal collaudo, mentre il termine annuale per evitare la decadenza decorre non dalla manifestazione esteriore del pericolo di rovina, bensì dalla completa conoscenza di essa e del collegamento causale con l'esecuzione della costruzione e, se dipende da vizi dei materiali impiegati, non perciò l'appaltatore è esonerato da responsabilità, salvo che sia stato mero esecutore del committente.

Cass. civ. n. 3146/1998

Il venditore di unità immobiliari che ne curi direttamente la costruzione, ancorché i lavori siano appaltati ad un terzo, risponde dei gravi difetti (art. 1669 c.c.) — quali devono ritenersi quelli da cui derivi una ridotta utilizzazione di esse, come nel caso di umidità, dipendente da difetto di adeguata coibentazione termica — nei confronti degli acquirenti, indipendentemente dall'identificazione del contratto con essi intercorso, a titolo di responsabilità extracontrattuale, essendo la relativa disciplina di ordine pubblico, ovvero nei confronti dell'amministratore del condominio — legittimato ad agire perché tale azione configura un atto conservativo e perciò rientra nei suoi poteri — se tali difetti sono riscontrati sulle parti comuni.

Cass. civ. n. 2977/1998

Ai fini del sorgere della responsabilità dell'appaltatore in base alla norma di cui all'art. 1669 c.c., applicabile anche nei confronti del costruttore-venditore, i gravi danni alla struttura dell'edificio possono consistere in lesioni alle strutture, imperfezioni, difformità, idonee a diminuire sensibilmente il valore economico dell'edificio nel suo complesso, e delle singole unità immobiliari, senza che necessariamente debba sussistere anche il pericolo di un crollo immediato dell'edificio stesso.

In materia di responsabilità decennale per rovina e difetti di cose immobili di cui all'art. 1669 c.c., la conoscenza del difetto e delle sue specifiche cause, oltreché della sua gravità, consegue alla semplice constatazione dell'aspetto delle cose solo quando si tratti di manifestazioni indubbie (come cadute, rovine estese, e simili). Per lo più, invece, quando si tratti di opere di una certa entità, deriva dall'espletamento di indagini tecniche suggerite dall'ovvia prudenza di non iniziare azioni infondate, con la conseguenza, in questa seconda ipotesi, che il termine di decadenza della prima parte della norma, condizionante il decorso del successivo termine di prescrizione previsto dal secondo comma dello stesso articolo, incomincia a decorrere solo dall'acquisizione della relazione del tecnico.

Cass. civ. n. 1203/1998

I gravi difetti della costruzione in presenza dei quali sussiste la responsabilità dell'appaltatore o costruttore-venditore, ex art. 1669 c.c. e per cui la valutazione può aversi riguardo al pericolo concreto di un loro progressivo aggravamento, sono configurabili (a differenza della rovina parziale o pericolo di rovina dell'edificio) anche in riferimento ad una parte limitata dell'edificio, purché incidano in maniera rilevante sulla funzionalità della parte stessa, comportando come ulteriore conseguenza un'apprezzabile menomazione dell'edificio, purché incidano in maniera rilevante sulla funzionalità della parte stessa, comportando come ulteriore conseguenza un'apprezzabile menomazione dell'edificio o di una sua frazione, indipendentemente dall'entità della somma di denaro occorrente per la loro eliminazione.

Cass. civ. n. 10624/1996

L'art. 1669 c.c., riferendosi genericamente alla responsabilità dell'appaltatore per il caso di rovina o pericolo di rovina di edifici o di altre cose immobili destinate per loro natura a lunga durata, senza precisare la forma con la quale il danno deve essere risarcito e senza, perciò, limitare la responsabilità dell'appaltatore alla particolare forma di tutela della reintegra per equivalente, si ricollega al principio generale che, nei limiti stabiliti dall'art. 2058 c.c., prevede l'alternativa possibilità del risarcimento in forma specifica o per equivalente pecuniario e non esclude, quindi, l'ammissibilità della domanda di condanna dell'appaltatore alla eliminazione diretta dei vizi della costruzione.

Cass. civ. n. 13/1993

La responsabilità dell'appaltatore ex art. 1669 c.c. dà luogo ad un debito di valore che va liquidato avuto riguardo al potere di acquisto della moneta alla data della decisione. Né l'obbligazione risarcitoria perde la sua natura di debito di valore per il fatto che il danneggiato abbia a proprie spese provveduto ad eliminare o ridurre le conseguenze del fatto dannoso.

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Consulenze legali
relative all'articolo 1669 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

V. L. chiede
sabato 17/09/2022 - Toscana
“Faccio riferimento ad un quesito (consulenza Q202231096 su cui già ho ricevuto risposta alcuni mesi fa a cui vi rimando per le informazioni generali) per richiedere ulteriori chiarimenti visti gli sviluppi recenti.

La situazione recente è che, dopo lunga attesa, si è finalmente tenuta l'assemblea condominiale nella quale il nostro consulente (la cui relazione tecnica, con l'individuazione dettagliata del difetto di costruzione - impianto smaltimento reflui condominiali completamente fuori norma, sia nel progetto presentato sia nell'esecuzione dei lavori - che ha causato tanti problemi alla nostra abitazione, era stata inviata all'amministratore e a tutti i condomini).
Esiste tuttora chiaramente il rischio che la nostra casa possa nuovamente allagarsi da parte delle acque reflue condominiali.

Nell'assemblea tutti i presenti, apparentemente, avevano capito il problema, tanto che si era deciso di:
- fare un nuovo sopralluogo in modo che la perizia tecnica potesse essere aggiornata e completata con tutti i problemi riscontrati. in questo sopralluogo i condomini (che pure avevano detto di avere problemi con l'impianto) NON si sono fatti trovare),
- inviare una lettera di messa in mora individuando tutti i soggetti responsabili. (incarico dato a un legale, presentato da un condomino).

Il problema attuale è la lentezza con cui il condominio si sta muovendo:
- invio lettera amministratore e invio relazione tecnica: marzo 2022,
- data assemblea: 7 luglio 2022.
- bozza lettera di messa in mora (senza individuazione dei soggetti responsabili e con motivazione errata, per cui non è stata da noi ritenuta valida) presentata, dopo ns sollecito: 9 settembre 2022.

Noi abbiamo subito richiesto una nuova assemblea urgente per sbloccare la situazione e procedere con quanto prima stabilito ma non abbiamo ancora risposta.

Il quesito ora è:
vista l'evidente riluttanza del condominio (sia l'amministratore che alcuni condomini) a procedere speditamente, dovremmo procedere noi direttamente a proseguire l'azione giudiziaria. In questo caso, vorremmo sapere se è possibile
- inserire il condominio tra i soggetti da mettere in mora e
- mettere a conoscenza della situazione la Direzione Urbanistica del Comune, visto che, col tipo di difetto riscontrato, mai sarebbe stato possibile, per le unità abitative del complesso, ottenere la dichiarazione di agibilità?

In realtà, dopo aver subito la maggior parte del danno e pagato spese non indifferenti per accertarne la causa, non vorremmo continuare a sostenere, solo noi, anche la totalità del costo addizionale per porvi rimedio. C'è una soluzione alternativa per far risolvere al condominio questo problema?

Infine: noi siamo persone anziane (io 81 anni) e da 7 anni subiamo questa situazione.
Gran parte degli altri condomini sembrano collusi con il venditore (tra i più importanti di Firenze).”
Consulenza legale i 26/09/2022
Riportandosi in toto alle considerazioni che si sono già svolte nella precedente consulenza, non si ravvisano elementi sufficienti per coinvolgere l’intera compagine nel giudizio di responsabilità ex. art.1669 del c.c. che inevitabilmente dovrà essere incardinato nei confronti della società costruttrice.

Non si hanno inoltre sufficienti elementi per valutare la possibilità di coinvolgere il condominio e il suo amministratore in un ipotetico contenzioso ex art. 2051 del c.c.

In questa sede, il consiglio più corretto da poter dare in una vicenda come quella che vi vede coinvolti, è di non tentare a tutti i costi di allargare a dismisura le maglie di un conflitto già di per sé molto complesso nel tentativo di coinvolgere più persone possibili. Tale comportamento porta sovente ad una eccessiva confusione e incertezza, confondendo le idee a chi dovrà essere il giudice del contenzioso con conseguenze non sempre positive sul risultato finale della lite.

Per quanto riguarda il profilo più strettamente pubblicistico della questione dell’agibilità, si consiglia di adottare particolare cautela nella decisione di coinvolgere in questa fase l’Amministrazione comunale.
Infatti, il Comune, anche se il fabbricato è formalmente provvisto del certificato di agibilità, mantiene comunque il potere di dichiararne l’inabitabilità per assenza dei necessari requisiti igienico-sanitari tali da non consentirne l’utilizzo a fini abitativi e di ordinarne lo sgombero ai sensi degli art. 222, R.D. n. 1265/1934 e art. 26 del T.U. edilizia.
È chiaro che la situazione, una volta chiarita e accertata definitivamente in un processo o in un ATP, dovrà essere regolarizzata anche dal lato pubblicistico, ma portare ora dinnanzi alla Pubblica Amministrazione una perizia che – per quanto accurata – rimane una perizia di parte, potrebbe paradossalmente aumentare i disagi vostri e degli altri condomini senza produrre alcun particolare beneficio dal punto di vista civilistico-condominiale.
In ogni caso, si nota che sarebbe forse il caso di valutare di rivolgere le proprie contestazioni anche nei confronti dei professionisti che hanno a suo tempo rilasciato le attestazioni necessarie alla presentazione della richiesta del certificato di agibilità e che potrebbero contenere affermazioni o dati non corrispondenti al vero.



D.S. chiede
martedì 02/11/2021 - Marche
“Riguardo all'art 1669 c.c. si chiede che vengano inviati i riferimenti delle sentenze da cui deriva la seguente massima:
"Comunque sia, di ciò spetta al committente di provare che la rovina o la minaccia di rovina provengono dal vizio del suolo o da difetto di costruzione e l'assuntore può opporre le prove che tendono a dimostrare la sua irresponsabilità, specie quelle nascenti da cattiva manutenzione o da cattivo uso della cosa da parte del committente, ovvero può dimostrare che l'evento dipende da terzi o da caso fortuito o da forza maggiore."”
Consulenza legale i 10/11/2021
Il periodo riportato nel quesito, estrapolato dal commento all’art. 1669 c.c., riassume gli orientamenti giurisprudenziali in materia di ripartizione dell’onere della prova relativa alla particolare forma di responsabilità prevista dalla norma in esame.
Come ha chiarito la Cassazione a Sezioni Unite (sentenza 03/02/2014, n. 2284), la responsabilità prevista dall'art. 1669 cod. civ., seppur collocata nell'ambito del contratto di appalto, “configura un'ipotesi di responsabilità extracontrattuale la quale, pur presupponendo un rapporto contrattuale, ne supera i confini, essendo riconducibile ad una violazione di regole primarie (di ordine pubblico), stabilite per garantire l'interesse, di carattere generale, alla sicurezza dell'attività edificatoria, quindi la conservazione e la funzionalità degli edifici, allo scopo di preservare la sicurezza e l'incolumità delle persone”.
Ciò premesso, per quanto qui specificamente interessa, la Suprema Corte osserva come l'art. 1669 cod. civ. non sia norma di favore, diretta a limitare la responsabilità del costruttore, bensì miri a garantire una più efficace tutela del committente, dei suoi aventi causa e dei terzi in generale. Infatti essa stabilisce “un più rigoroso regime di responsabilità rispetto a quello previsto dall'art. 2043 cod. civ., caratterizzato dalla presunzione juris tantum di responsabilità dell'appaltatore, che è stata tuttavia limitata nel tempo, in virtù di un bilanciamento tra le contrapposte esigenze di rafforzare la tutela di un interesse generale e di evitare che detta presunzione si protragga per un tempo irragionevolmente lungo”.
Si tratta di principi consolidati: secondo la più risalente Cass. Civ., Sez. I, 06/12/2000, n. 15488, posto che la responsabilità dell'appaltatore ai sensi dell'art. 1669 c.c. è indubbiamente riconducibile alla violazione di primarie regole - di rilievo pubblico - dettate per assicurare la sicurezza dell'attività costruttiva, “è altrettanto indubbio che dal crollo o dalla rovina di un edificio non può non derivare, a carico di chi quell'edificio abbia costruito, quantomeno una presunzione juris tantum di responsabilità, che può dall'appaltatore essere vinta attraverso la prova della ascrivibilità del fatto a fortuito od a opera di terzi (Cass. 3765/99 - 12106/98 - 2123/91)”.

V.L. chiede
mercoledì 29/09/2021 - Toscana
“Il caso è estremamente complesso e riguarda una vicenda che si trascina da anni. A me e mia moglie interessa avere una valutazione sulla validità della strategia proposta dal nostro avvocato (il primo di cui ci fidiamo dopo vari altri avuti in passato che non hanno ottenuto risultati) nella situazione attuale, con una lunga storia (documentata) di connivenze del venditore con enti locali di controllo, con l'amministratore condominiale e condomini suoi amici.
Il condominio è di nuova costruzione (2015), nel centro storico di Firenze, formato da abitazioni del tipo terratetto.
Il problema: la nostra abitazione è stata allagata dalle acque di scarico condominiale ed è di fatto inagibile (e non utilizzata) da 3 anni.
Per affrontare il prossimo passo dell’azione giudiziaria verrà presentata una perizia tecnica molto dettagliata e, a nostro giudizio, molto valida.
Come controparte ci viene suggerito di citare, soltanto il progettista/direttore tecnico e l’impresa che ha realizzato i lavori.
Una strategia di questo genere sarebbe vincente in quanto supportata da varie sentenze della Cassazione.

Il nostro quesito:
Non sarebbe, invece opportuno aggiungere il venditore?
E’ lui che ha garantito, nell’atto di vendita, la piena conformità dell’immobile ai regolamenti edilizi vigenti. Inoltre, sappiamo, come riportato nella perizia tecnica, che il titolare della ditta venditrice ha avuto parte attiva in varie fasi, anche tecniche che hanno preceduto la fase finale della lunga storia che ha portato alla realizzazione degli immobili.
Può l’aggiunta del venditore alle controparti da aggredire nella prossima azione giudiziaria, rallentare e/o ostacolare un esito finale a noi favorevole?”
Consulenza legale i 07/10/2021
Se si analizza la giurisprudenza recente e costante della Corte di Cassazione la scelta operata dal legale parrebbe non giustificata.
La giurisprudenza di legittimità ha più volte ribadito l’applicabilità dell’azione di responsabilità ex art. 1669 c.c. per rovina o gravi difetti dell’immobile verso il costruttore-venditore o verso colui che abbia assunto una diretta responsabilità nella costruzione dell’opera, purché si tratti di vizi e difetti, anche se non incidenti sulla stabilità dell’edificio, idonei a compromettere la funzionalità, il godimento e la normale abitabilità dell’immobile (cfr. Cass. civ. sez. Unite, 27/03/2017, n. 7756; Cass. civ. sez. II, 28/07/2017, n. 18891; Cass. civ. sez. II, 16/02/2012, n. 2238).

In particolare, tale azione può essere esercitata anche dall’acquirente nei confronti del venditore che risulti aver impartito direttamente o tramite il proprio direttore dei lavori dallo stesso nominato indicazioni specifiche all’appaltatore ed esecutore delle opere, gravando sul venditore l’onere di dimostrare di non aver esercitato alcun potere di direttiva o di controllo sull’impresa appaltatrice, così superando la presunzione di addebitabilità dell’evento dannoso (così, Cass. civ. sez. II, 13/01/2014, n. 467; Cass. civ. sez. II, 17/04/2013, n. 9370).

Nel caso specifico trova sicuramente ampio spazio l’azione di responsabilità cui all’art. 1669 del c.c. sia da un punto di vista prettamente oggettivo che soggettivo. Il fenomeno di allagamento dell’immobile che lo ha di fatto reso inagibile, integra senza dubbio quel grave difetto richiesto dai giudici che pregiudica la funzionalità, il godimento e l’abitabilità di quanto acquistato.
Anche da un punto di vista soggettivo parrebbe che l’azione possa essere esperita nei confronti della società che ha venduto l’immobile. Il Tribunale di Modena, ad esempio, con la sentenza n. 414 del 07.03.2018 ha ritenuto che la società non possa considerarsi semplice venditrice nel momento in cui dai rogiti di acquisto emerga il fatto che essa sia proprietaria dei terreni su cui è stato edificato la costruzione gravata dai vizi ed abbia fornito la garanzia del costruttore e dell’appaltatore nel momento della cessione del bene.
Entrambe queste circostanze paiono essersi verificate nel caso specifico, e quindi nel futuro e prossimo contenzioso che avverrà, sarà onere del costruttore dimostrare di non aver esercitato sull’ impresa appaltatrice attività di controllo e direzione, neanche per interposta persona, a mezzo del direttore dei lavori da lui eventualmente nominato.

Da una analisi marginale della vicenda parrebbe quindi opportuno coinvolgere anche la società venditrice nel contenzioso. È anche vero, però, che chi scrive non ha la conoscenza diretta della intera vicenda e soprattutto degli elementi probatori che si hanno a disposizione: si è abbastanza sicuri che il collega che sta direttamente seguendo la vicenda conosca perfettamente la giurisprudenza citata nel parere. A volte, peraltro, le scelte processuali adottate dai legali ubbidiscono a strategie dettate non tanto dalla giurisprudenza vigente quanto dalle necessità del caso concreto, e tali esigenze solo chi sta seguendo il caso può conoscerle.
Il cambio vorticoso di tanti legali sicuramente non giova agli interessi del cliente: spesso, inoltre, ciò che è processualmente più vantaggioso non coincide con i “desideri di vendetta” sottostanti ad ogni contenzioso complesso ed emotivamente coinvolgente come quello descritto. Ma questi sono aspetti che solo l’avvocato a cui vi siete rivolti può opportunamente gestire.

Per un parere definitivo e completo sul caso, andrebbe analizzata a fondo tutta la vicenda.



N.F. chiede
mercoledì 06/05/2020 - Piemonte
“Buongiorno,
ho un quesito da porvi al quale spero possiate darmi un riscontro esaustivo.

La Società costruttrice di un immobile ha consegnato un immobile al committente (che è anch'essa una Società operante nel settore della logistica) e consegna inoltre una polizza Decennale Postuma come previsto di legge.

Dopo meno di un anno, avviene il distaccamento parziale di alcuni calcinacci di intonaco e cemento da alcune strutture del fabbricato.

La Società costruttrice si preoccupa celermente di sanare il difetto che, si noti, non ha compromesso in maniera certa la stabilità dell'opera.

A distanza di qualche settimana, il Committente (ovvero la Società di Logistica) promuove una richiesta di risarcimento danni al Costruttore non solo per i danni "materiali e diretti" al fabbricato ma anche, e soprattutto, per i danni da mancato uso, mancato godimento, da mancato lucro ed altri danni indiretti o maggiori costi connessi all'indisponibilità del Fabbricato.

La polizza Decennale, che copre regolarmente i danni materiali e diretti all'opera, non copre invece i danni "indiretti" e "consequenziali" di cui sopra.

La domanda che Vi pongo è la seguente: in virtù del fatto che l'obbligo assicurativo, ai sensi del D.lgs. 122/05, si limita ad una polizza che garantisca i danni materiali e diretti all'immobile, compresi i danni ai terzi (ma da cui escluderei il committente in quanto non è un "terzo" ma è il soggetto assicurato), esiste l'obbligo per il costruttore di risarcire tali danni indiretti e consequenziali?

In pratica vorrei capire se la responsabilità decennale del costruttore (ex. art 1669) si limita al ripristino del danno materiale diretto o anche a tutte le ulteriori pretese di risarcimento conseguenti e collegate a tale danno.

Grazie.
Cordiali saluti.”
Consulenza legale i 09/05/2020
L’art. 4 del D. Lgs. n. 122/2005, recante “Disposizioni per la tutela dei diritti patrimoniali degli acquirenti di immobili da costruire”, ha espressamente previsto l’obbligo per il costruttore di stipulare, e consegnare all'acquirente all'atto del trasferimento della proprietà, una polizza assicurativa indennitaria decennale a beneficio dell'acquirente e con effetto dalla data di ultimazione dei lavori.
La violazione di tale obbligo è sanzionata con la nullità del contratto, che però può essere fatta valere solo dall'acquirente.
Quanto al contenuto della garanzia assicurativa, la norma limita appunto la copertura ai “danni materiali e diretti all'immobile, compresi i danni ai terzi, cui sia tenuto ai sensi dell'articolo 1669 del codice civile, derivanti da rovina totale o parziale oppure da gravi difetti costruttivi delle opere, per vizio del suolo o per difetto della costruzione, e comunque manifestatisi successivamente alla stipula del contratto definitivo di compravendita o di assegnazione”.
Passiamo ora ad esaminare il testo dell’art. 1669 c.c., che recita testualmente: “quando si tratta di edifici o di altre cose immobili destinate per la loro natura a lunga durata, se, nel corso di dieci anni dal compimento, l'opera, per vizio del suolo o per difetto della costruzione, rovina in tutto o in parte, ovvero presenta evidente pericolo di rovina o gravi difetti, l'appaltatore è responsabile nei confronti del committente e dei suoi aventi causa, purché sia fatta la denunzia entro un anno dalla scoperta. Il diritto del committente si prescrive in un anno dalla denunzia”.
L’articolo in commento, come si vede, non specifica quali voci di danno siano risarcibili, semplicemente perché il codice civile, sia in tema di responsabilità contrattuale, sia in tema di responsabilità extracontrattuale, prevede norme di carattere generale sulla risarcibilità del danno, che vedremo fra poco.
Peraltro, con riferimento al titolo della responsabilità, le Sezioni Unite della Cassazione, con sentenza n. 2284/2014, hanno chiarito che quella prevista dall'art. 1669 c.c. è un'ipotesi di responsabilità extracontrattuale, con carattere di specialità rispetto al disposto dell'art. 2043 del c.c.
Su questa linea Cass. Civ., Sez. II, sentenza n. 4319/2016 ha affermato che “l'ambito della responsabilità, posta dall'art. 1669 c.c. a carico dell'appaltatore per rovina o difetti della costruzione, in mancanza di limitazioni legali, deve ritenersi coincidere con quello generale della responsabilità extracontrattuale e, come tale, include tutte le spese necessarie per eliminare, definitivamente e radicalmente, i difetti medesimi, anche mediante la realizzazione di opere diverse e più onerose di quelle originariamente progettate nel capitolato d'appalto, purché utili a che l'opera possa fornire la normale utilità propria della sua destinazione”.
Dunque il danno risarcibile ex art. 1669 c.c. comprende sicuramente, in primo luogo, le spese necessarie per rimuovere i “gravi difetti”.
Questo non significa, tuttavia, che il danno risarcibile sia limitato a tali spese.
Infatti l’art. 2056 del c.c., nell'ambito della responsabilità extracontrattuale, quanto alla valutazione dei danni rinvia espressamente agli artt. 1223, 1226 e 1227 del c.c., dettati con riferimento alla responsabilità del debitore per inadempimento.
In particolare l’art. 1223 c.c. stabilisce che il risarcimento del danno per l'inadempimento deve comprendere sia la perdita subita dal creditore (c.d. danno emergente) sia il mancato guadagno (c.d. lucro cessante), a condizione che siano conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento (o del fatto illecito, nel caso della responsabilità extracontrattuale).
Il secondo comma dell’art. 2056 c.c. precisa che il lucro cessante è valutato dal giudice “con equo apprezzamento delle circostanze del caso”.
L’art. 1226 c.c. si riferisce invece alla valutazione equitativa del danno (“se il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare, è liquidato dal giudice con valutazione equitativa”); l’art. 1227 c.c. disciplina il concorso del fatto colposo del creditore, prevedendo in tal caso una diminuzione del risarcimento secondo la gravità della colpa e l'entità delle conseguenze che ne sono derivate, ed escludendolo in relazione a quei danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza).
Peraltro, proprio la sentenza n. 4319/2016, sopra citata, ribadisce che "la liquidazione dei danni deve ispirarsi ai criteri dettati in materia dagli artt. 2056, 1223, 1226 e 1227 c.c.".
Concludendo, i danni diversi da quelli “materiali e diretti all’immobile” e cioè, stando a quelli elencati nel quesito, “danni da mancato uso, mancato godimento, da mancato lucro”, potranno rientrare nel danno risarcibile ai sensi dell’art. 1669 c.c. solo laddove si tratti di conseguenze immediate e dirette del fatto illecito, cioè dei gravi difetti dell’immobile.
Non è chiaro invece quali siano gli “altri danni indiretti o maggiori costi connessi all'indisponibilità del Fabbricato”; bisognerebbe conoscere nel dettaglio il contenuto della richiesta risarcitoria. Al riguardo, però, è importante non confondere le due categorie di danno patrimoniale (danno emergente e lucro cessante) con il nesso di causalità (per cui il danno risarcibile deve essere conseguenza immediata e diretta del fatto dannoso). Infatti, come si è visto, anche il mancato guadagno è risarcibile, purché sia anch’esso conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento o del fatto illecito.

LIVIU G. chiede
venerdì 26/04/2019 - Lombardia
“Spettabile Redazione

1° quesito: eccezione rilevabile d’ufficio
L’amministratore del condominio di cui sono condomino ha citato in giudizio ai sensi dell’art. 1669 c.c., per vizi di impermeabilizzazione delle parti comuni dell’edificio, la società costruttrice-venditrice (la quale svolge, quale attività caratteristica specificamente indicata nell’oggetto sociale, la costruzione e la vendita di immobili), il progettista ed il direttore lavori (che erano stati nominati dalla società costruttrice-venditrice).
L’avvocato del condominio ha riferito in assemblea che il progettista ed il direttore lavori si sono costituiti nei termini di cui all’art. 167 c.p.c. (chiedendo di chiamare in causa l’appaltatore esecutore materiale e le compagnie di assicurazione per la loro responsabilità professionale) mentre la società costruttrice-venditrice si è costituita due giorni prima dell’udienza ex art. 183 c.p.c., rilevando la propria carenza di legittimazione passiva in quanto mera venditrice e inoltre per avere essa, con clausola contenuta nel rogito di compravendita delle unità immobiliari del condominio, declinato ogni responsabilità riguardo eventuali vizi e difetti di cui all’art. 1669 c.c., traslandola sugli appaltatori esecutori materiali dell’opera indicati in tale clausola (i quali tuttavia non hanno partecipato al rogito di compravendita) e sulla Compagnia di assicurazioni indicata nella polizza decennale rilasciata agli acquirenti (polizza che tuttavia copre solo il rischio di rovina, espressamente escludendo la copertura dei vizi di impermeabilizzazione lamentati nel caso di specie). L’avvocato del condominio ha inoltre riferito di avere rilevato nella prima udienza che tale clausola riguardava norme di ordine pubblico e quindi inderogabili.
Confrontandomi con un mio conoscente, avvocato, questi mi ha riferito che se il giudice ritiene la suddetta clausola, un’eccezione soggetta a preclusione, l’avvocato del condominio avrebbe sanato la preclusione con l’accettazione del contraddittorio, mentre invece l’avvocato del condominio ritiene che l’eccezione non era soggetta a preclusioni ed ha citato una sentenza della Cassazione n. 2951/2016.
Ciò premesso, chiedo se la preclusione in cui la società costruttrice-venditrice possa essere incorsa è stata sanata? L’avvocato del condominio ci ha riferito in assemblea che comunque con la memoria n. 1 eccepirà in via preliminare la tardività dell’eccezione di difetto di legittimazione passiva e in subordine la nullità della clausola di esclusione di responsabilità per l’art. 1669 c.c. Cosa ne pensate ?

2° quesito: Legittimazione singoli condomini
Poiché, nelle more del giudizio di cui sopra (è stata fissata la nuova prima udienza a seguito della chiamata dei terzi) il procedimento di negoziazione assistita promosso da alcuni condomini (tra i quali il sottoscritto) dello stesso condominio per vizi inerenti le rispettive proprietà esclusive, ha avuto esito negativo, tali condomini, con intervento adesivo autonomo, potrebbero, tra l’altro, eccepire la preclusione della (ritenuta) eccezione di legittimazione passiva formulata dalla società venditrice-costruttrice solo in riferimento ai vizi delle proprietà esclusive o anche per quelli relativi alle parti comuni ?
3° quesito: Legittimazione progettista e direttore lavori
Il progettista e i direttore lavori hanno chiesto di chiamare in causa sia l’appaltatore esecutore delle opere, sia le assicurazioni per la r.c. professionale, ma nulla hanno argomentato riguardo il difetto di legittimazione passiva della società costruttrice-venditrice. Sono costoro legittimati a contrastare la dichiarata carenza di legittimazione passiva fatta sollevata dalla società costruttrice-venditrice?
Ringrazio e porgo distinti saluti

Consulenza legale i 05/05/2019
Il nostro rito civile disciplinato dal codice di procedura è caratterizzato da determinate preclusioni: in questo senso le parti del processo possono compiere certe attività difensive solo entro momenti e termini rigidamente disciplinati dalla legge, decorsi i quali tali attività non potranno essere più compiute e quindi vengono, appunto, precluse alla parte inadempiente.

Di fronte al potere di azione dell’attore principale, nel nostro caso il condominio in persona dell’amministratore pro-tempore, la parte convenuta, che nel caso prospettato è la società costruttrice, ha il potere di difendersi adducendo tutte le ragioni che possono portare al respingimento della domanda avanzata dalla controparte: il modo più comunemente usato per farlo è sollevare una eccezione.

Le eccezioni si possono dividere in due grandi gruppi: le eccezioni in senso ampio e le eccezioni in senso stretto; con le prime si intendono qualsiasi difesa sia di rito che di merito consistente nelle allegazioni di fatti o nella esposizione di teorie difensive, le seconde si hanno invece quando il convenuto eccepisce l’esistenza di un fatto: estintivo, modificativo o impeditivo della domanda fatta valere dall’attore.

La differenza appena descritta non è di poco conto, in quanto le eccezioni in senso stretto possono essere proposte solo dalla parte convenuta e non possono essere rilevate d’ufficio dal giudice: l’art.112 c.p.c. dispone infatti che:” (il giudice n.d.r.) … non può pronunciare d'ufficio su eccezioni, che possono essere proposte soltanto dalle parti.”
Ai sensi dell’art 166 del c.p.c. il convenuto deve costituirsi:” … almeno venti giorni prima dell’udienza di comparizione fissata nell'atto di citazione”: la mancata costituzione entro detto termine comporta, ai sensi del 2° co. dell’art.171 c.p.c., il maturare nei suoi confronti delle preclusioni previste dall’art. 167 c.p.c., non potendo più essere proposte dalla parte convenuta le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d'ufficio (le c.d. eccezioni in senso stretto.)

Il convenuto che si costituisce tardivamente, seppur con le armi spuntate, non è privo di difesa in quanto rimane sempre possibile per la parte far valere in giudizio le eccezioni in senso lato, che, come si è detto poco sopra, non sono soggette a preclusioni e possono essere fatte valere in ogni stato e grado del processo.
Le sezioni unite della Corte di Cassazione con l’importante arresto n.2951 del 16.02.2016 hanno chiarito, ponendo fine ad un precedente contrasto tra giudicati, che l’eccezione di difetto di legittimazione passiva, come quella avanzata dalla società costruttrice, non è soggetta ad alcuna preclusione: essa è quindi una eccezione in senso lato che può essere fatta valere in ogni stato e grado del procedimento.

Alla luce di tale importante sentenza, bene ha fatto l’avvocato del condominio nella prima difesa utile (la prima memoria ex art. 183 c.p.c.), ad accettare il contradditorio e a prendere posizione nel merito sul punto, in quanto la controparte ha compiuto una attività difensiva che secondo oramai la giurisprudenza prevalente è processualmente ammissibile.

È opportuno precisare che il difetto di legittimazione passiva avanzata dalla società costruttrice non pare assolutamente accoglibile nel merito. Sotto questo aspetto, si ritiene che il legale della compagine condominiale sia favorito nel sostenere in giudizio la non derogabilità della fattispecie di responsabilità posta a carico del costruttore di cui all’art.1669 del c.c. In questo senso, infatti, una consolidata prassi giurisprudenziale (ex multis Cass. n. 15488/2006; Cass. n. 7634/2006; Cass. n. 26609/08; Cass. n. 8520/2006; Cass. n. 1748/2005; Cass. n. 1746/2005), colloca tale fattispecie di responsabilità nell’ambito del torto extra contrattuale, e questo sia per una maggiore efficacia della tutela di eventuali terzi acquirenti dell’immobile da parte dell’originario committente, sia per finalità e ragioni di carattere generale, costituite dall'interesse pubblico alla stabilità e solidità degli immobili destinati ad avere lunga durata, al fine di proteggere l'incolumità e la sicurezza dei cittadini.
Ponendosi a tutela di interessi pubblici che vanno al di là di quelli dei singoli contraenti, l’art.1669 del c.c. deve considerarsi norma imperativa e quindi inderogabile da pattuizioni contrattuali di segno contrario. In virtù di quanto detto, la clausola citata nel quesito ed inserita dalla società costruttrice nei singoli contratti di vendita deve considerarsi priva di effetti e, quindi, non vincolante per gli acquirenti delle unità abitative che l’hanno sottoscritta.

Il tentativo della società costruttrice di traslare la responsabilità di cui all’art.1669 del c.c. verso le imprese che hanno materialmente costruito l’immobile è anche vanificato da quella parte della giurisprudenza che ritiene operabile tale responsabilità non solo nei confronti della società costruttrice, ma anche dalla impresa non costruttrice, che ha fatto realizzare l’opera a terzi, ma che ha mantenuto su di essi un preciso potere di indirizzo (si veda Cass. Civ. n.2436 del 04.02.2014 e Cass. Civ. n.25767 del 15.11.2013).
A parere di chi scrive, neppure il rilascio all’acquirente di idonea polizza assicurativa obbligatoria prevista per gli immobili da costruire dall’art. 4 del D.Lgs. 20.06.2005 n.122 (la c.d. decennale postuma), è idoneo a traslare la responsabilità di cui all’art.1669 del c.c. dal costruttore alla impresa assicuratrice.
Non è previsto in alcuna norma di legge, ed in particolare nel D.Lgs. n.122/05, che l’obbligo legislativo di consegnare la polizza agli acquirenti esenti il costruttore dalla responsabilità di cui all’art.1669 del c.c.: anzi si può dire che l’obbligo di polizza decennale, lungi da escludere tale responsabilità, la presuppone andando ad affiancare, in caso di danni, la garanzia patrimoniale della impresa assicuratrice a quella già prevista del costruttore. Quanto detto è reso ancora più forte dal fatto che, secondo quanto riferito, la polizza assicurativa rilasciata non copre espressamente i vizi di copertura.

Venendo a trattare ora la seconda parte del quesito, si deve sottolineare che l’azione di cui all’art. 1669 del c.c., può essere promossa sia dall’amministratore di condominio, per vizi che hanno colpito le parti comuni dell’edificio, sia dai singoli proprietari, i quali potranno promuovere l’azione sia per lamentarsi dei vizi che hanno colpito le parti in proprietà esclusiva che le parti in proprietà comune (si veda tra le tante Cass.Civ. 28.09.1973 n. 2429).
Ai sensi dell’art.105 del c.p.c. un soggetto, detto terzo, può intervenire volontariamente nel processo sia al fine di far valere un proprio diritto compatibile con quello fatto valere dall’attore originario (c.d. intervento adesivo autonomo), sia per sostenere le ragioni di uno delle parti, quando vi ha un proprio interesse (c.d. intervento adesivo dipendente).

A fronte del fatto che si è concluso il procedimento di negoziazione assistita e si è avuto un differimento della prima udienza nel procedimento già pendente, è assolutamente consigliabile che i singoli condomini spieghino nel processo un intervento volontario sia per far valere le proprie ragioni come proprietari, sia per “aiutare” processualmente l’azione già proposta dall’amministratore di condominio: questo avrà il vantaggio di evitare che sulla medesima controversia vi sia la pendenza di un ulteriore processo e il sorgere di due giudicati. Ai sensi dell’art 267 del c.p.c. i singoli proprietari potranno costituirsi direttamente alla prima udienza già fissata, depositando una memoria che ha i contenuti previsti dall’art. 167 del c.p.c., non incorrendo in particolari preclusioni di sorta in quanto il processo è ancora fermo alla prima udienza. Per le ragioni che si sono prima esposte è opportuno che anche le difese dei singoli proprietari accettino il contraddittorio in merito alla carenza di legittimazione passiva della società venditrice ed esplichino le loro difese sul punto in maniera analoga a quanto già fatto dal legale del condominio.

In merito alla posizione del progettista e del direttore dei lavori, fermo restando che per un migliore parere sul punto sarebbe opportuna l’analisi degli atti processuali, in linea generale essi avrebbero tutto l’interesse a coinvolgere la società venditrice, in quanto ciò potrebbe comportare una ripartizione con più soggetti o diminuzione della responsabilità a loro derivante ai sensi dell’art.1669 del c.c. Il fatto che le loro difese non hanno preso posizione sulla legittimazione passiva della società venditrice, può derivare dalla consapevolezza che tale aspetto sarebbe stato sicuramente ampiamente dibattuto tra le difese del condominio e della società stessa,anche alla luce della clausola inserita nei rogiti di vendita.

Liviu G. chiede
martedì 16/04/2019 - Lombardia
“Il condominio, (in persona del suo amministratore) di cui l’appartamento di mia proprietà fa parte, ha citato in giudizio il costruttore venditore, il progettista ed il direttore lavori per gravi vizi di impermeabilizzazione delle parti comuni (solaio del corsello box e vani cantina interrati).
L’amministratore di condominio ha riferito che il progettista e il direttore dei lavori si sono costituti “nei termini”, mentre il costruttore venditore si è costituito in giudizio due giorni prima dell’udienza, dichiarando di non essere responsabile dei vizi succitati, in quanto nel contratto di compravendita era stabilito che “…Le Parti prendono atto che gli immobili sono stati costruiti in forza di contratto di appalto eseguito da xxxxx S.p.a., cod. fisc…….., con sede in ………….. e da yyyyy S.r.l. Ogni azione per vizio o difetto degli Immobili, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1669 c.c. dovrà essere svolta nei confronti degli Appaltatori.
Il rilascio di polizza assicurativa decennale postuma estingue ogni e qualsiasi residua legittimazione passiva di Parte venditrice per vizi e difetti degli Immobili. La Parte Acquirente accetta quanto sopra e con tale accettazione libera la parte venditrice dall’obbligo di garanzia per i vizi anche di cui all’art. 1476 n. 3 c.c.”
Considerato che:
-in alcuni contratti di compravendita non è stata inserita la clausola suindicata (che comunque non copre i vizi denunciati);
-l’avvocato del condominio nella prima udienza ha rilevato l’inderogabilità dell’art. 1669 c.c.;
Vorrei sapere:
a) se la responsabilità stabilita dall’art. 1669 c.c. è derogabile, anche tenuto conto che le imprese appaltatrici indicate nei rogiti non li hanno sottoscritti;
b) nell’ipotesi in cui sia derogabile, essa spieghi effetto anche verso quegli acquirenti (condomini) che non l’hanno sottoscritta e verso l’amministratore di condominio (il quale ovviamente non l’ha sottoscritta) e che agisca per le parti comuni;
Consulenza legale i 23/04/2019
Da una rapida lettura del codice civile le figure del venditore e dell’appaltatore sembrano assolutamente distinte. Il venditore è quel soggetto che, dietro il pagamento di un prezzo, trasferisce all’acquirente la proprietà o altro diritto insistente su un bene determinato. Ai sensi del n.3) dell’art. 1476 del c.c. tra gli obblighi principali del venditore vi è l’obbligo di garantire l’acquirente dai vizi della cosa oggetto del contratto.

L’appaltatore è generalmente un imprenditore il quale, dietro il pagamento di un corrispettivo, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, assume su di sé il compimento di un’opera, come può essere la costruzione di un edificio. In altri termini, a differenza del venditore, l’appaltatore realizza una determinata opera commissionata da un committente, il quale per tale attività paga l’imprenditore.

Così come il venditore anche l’appaltatore, ai sensi dell’art. 1668 del c.c., è tenuto a tenere indenne il proprio committente dai vizi dell’opera realizzata, e il successivo art.1669 del c.c. prevede una particolare garanzia a carico dell’appaltatore in caso di rovina o gravi difetti delle cose immobili.
Capita sovente nella pratica che una società costruttrice ponga in vendita “sulla carta” unità immobiliari ancora da edificarsi, assumendo su di sé sia l’obbligo di vendere tali immobili, ma, nel contempo, anche quello di edificarli. In questi casi il soggetto che cede i beni assume su di sé l’onere sia delle garanzie del venditore che quelle dell’appaltatore, rendendo applicabile alla fattispecie appena descritta sia la garanzia di cui all’art. 1476 del c.c., che le garanzie previste agli artt. 1668 e 1669 del c.c.

Fatta tale doverosa premessa, è opportuno soffermarci sul cuore del quesito: la responsabilità dell’appaltatore-costruttore per rovina e difetti di cose immobili di cui all’art. 1669 del c.c.
La responsabilità in esame è posta a favore del committente o dei suoi eventuali aventi causa e trova applicazione nel caso in cui l’edificio, per difetto dell’opera o del suolo sopra cui la stessa è realizzata, rovina in tutto o in parte, presenta gravi difetti, oppure si verifica un pericolo di rovina. La garanzia in esame opera per dieci anni dal compimento dell’opera e il diritto si prescrive entro l’anno dalla denuncia.
Vi sarebbero molte considerazioni da fare sull’art. 1669 del c.c., ma, per non appesantire eccessivamente l’esposizione, ci si soffermerà, secondo quanto richiesto, sulla possibile derogabilità di tale articolo.

Sotto questo aspetto, si ritiene che il legale della compagine condominiale sia favorito nel sostenere in giudizio la non derogabilità di tale importante fattispecie di responsabilità posta a carico del costruttore. In questo senso, infatti, una consolidata prassi giurisprudenziale (ex multis Cass. n. 15488/2006; Cass. n. 7634/2006; Cass. n. 26609/08; Cass. n. 8520/2006; Cass. n. 1748/2005; Cass. n. 1746/2005), colloca la responsabilità dell'appaltatore ex art. 1669 del c.c. nell’ambito del torto extra contrattuale, e questo sia per una maggiore efficacia della tutela di eventuali terzi acquirenti dell’immobile da parte dell’originario committente, sia per finalità e ragioni di carattere generale, costituite dall'interesse pubblico alla stabilità e solidità degli immobili destinati ad avere lunga durata, al fine di proteggere l'incolumità e la sicurezza dei cittadini. Ponendosi a tutela di interessi pubblici che vanno al di là di quelli dei singoli contraenti, l’art. 1669 del c.c. deve considerarsi norma imperativa e quindi inderogabile da pattuizioni contrattuali di segno contrario. In virtù di quanto detto, la clausola citata nel quesito ed inserita dalla società costruttrice nei singoli contratti di vendita deve considerarsi priva di effetti e, quindi, non vincolante non solo per quegli acquirenti che tale clausola non l’hanno sottoscritta, ma anche per coloro che se la ritrovano nei loro rogiti di acquisto.

Il tentativo della società costruttrice di traslare la responsabilità di cui all’art. 1669 del c.c. verso le imprese che hanno materialmente costruito l’immobile è anche vanificato da quella parte della giurisprudenza che ritiene operabile tale responsabilità, non solo nei confronti della società costruttrice, ma anche dalla impresa non costruttrice, che ha fatto realizzare l’opera a terzi, ma che ha mantenuto su di essi un preciso potere di indirizzo (si veda Cass. Civ. n.2436 del 04.02.2014 e Cass. Civ. n.25767 del 15.11.2013).

A parere di chi scrive, contrariamente a quanto sostenuto nei contratti di vendita, neppure il rilascio all’acquirente di idonea polizza assicurativa obbligatoria prevista per gli immobili da costruire dall’art. 4 del D.Lgs. 20.06.2005 n.122 (la c.d. decennale postuma), è idoneo a traslare la responsabilità di cui all’art.1669 del c.c. dal costruttore alla impresa assicuratrice.
Non è prevista alcuna norma di legge, ed in particolare nel D.Lgs. n.122/05, che esenti il costruttore dalla responsabilità di cui all’art. 1669 del c.c. mediante la consegna della polizza decennale postuma agli acquirenti : anzi si può dire che l’obbligo di polizza decennale, lungi da escludere tale responsabilità, la presuppone andando ad affiancare, in caso di danni, la garanzia patrimoniale della impresa assicuratrice a quella già prevista del costruttore.
Inoltre contrariamente ad altre ipotesi legislative (si pensi al Codice delle assicurazioni private di cui al D.Lgs. n.209/2005), non è prevista nel D.Lgs.n.122/05 una azione diretta del soggetto danneggiato nei confronti della impresa di assicurazione che ha rilasciato la polizza: in conseguenza di ciò, il legale del soggetto intenzionato a chiedere i danni ex art. 1669 del c.c. alla impresa costruttrice, dovrà citare in giudizio in solido sia quest’ultima che la compagnia assicurativa.

Michele R. chiede
lunedì 11/03/2019 - Calabria
“Salve
Nell'ottobre 2009 ho acquistato, con mia moglie, da una società (SAS) costruttrice, che dopo qualche anno è stata sciolta, un appartamento in una palazzina costituita da tre alloggi (uno per piano).
Preciso che la palazzina è stata ultimata nel settembre 2009.
Qualche giorno fa dalla soletta del balcone aggettante dell'appartamento soprastante il mio si è staccato parte dell'intonaco.
Ho consultato immediatamente un ingegnere di mia fiducia che dopo un sopralluogo, in attesa di una perizia scritta, mi comunicava verbalmente che la causa del distacco era dovuta ad una cattiva messa in opera dell'intonaco.
A chi tocca la riparazione? Al costruttore nella persona del socio accomandatario (in considerazione del fatto che non sono ancora passati 10 anni dall'acquisto), all'inquilino sopra di me o ad entrambi?”
Consulenza legale i 16/03/2019
L'acquisto di un immobile dal costruttore integra la fattispecie di un contratto misto di vendita e appalto e pertanto in caso di rovina totale o parziale dell’edificio o di evidenti gravi difetti verificatisi entro 10 anni dall’ultimazione dell’opera è presente una responsabilità del costruttore - appaltatore ex art. 1669 del c.c..
Trattasi di una forma di responsabilità extracontrattuale, applicabile anche all'ipotesi di vendita dal costruttore - vedasi sent. Cass. civ. n. 25015/2013 -, che ricorre in tutti quei casi in cui si manifestano nell'opera difetti costruttivi che non solo incidono sulla struttura, ma che in qualche modo ne pregiudicano il godimento in misura apprezzabile (Cass. Civ. nn. 27193/2007; 5015/2013).
Detta responsabilità del costruttore si prescrive entro il termine decennale decorrente dalla costruzione dell'immobile e non dalla vendita (Cass. civ. n. 4510/1996).
Inoltre, sono previsti un termine (decadenza) di un anno dalla scoperta, entro il quale il compratore deve procedere alla denunzia del vizio nei confronti del venditore-costruttore ed un ulteriore termine di prescrizione di un anno dalla denunzia per la proposizione dell'azione giudiziale.
Si precisa anche che eventuali clausole contrattuali di esonero o limitazione di tale responsabilità sono da considerarsi nulle.
Ciò posto, considerato che l'immobile è stato costruito nel settembre del 2009 e che quindi ad oggi non sono decorsi i 10 anni, e visto che, come da parere rilasciato dal tecnico consultato, il distacco dell'intonaco dalla soletta del balcone soprastante è dovuto ad una cattiva messa in opera dello stesso al momento della costruzione dell'opera, si può affermare che è presente una responsabilità della Società sas che ha costruito e di poi venduto l'immobile.
A ciò si aggiunga che il difetto manifestato dal balcone soprastante, anche se non incide sulla stabilità dell'edificio, compromette la possibilità al proprietario dell'appartamento di godere pacificamente e senza problemi del balcone. Il balcone di fatto non può essere utilizzato. E ciò si aggrava se tale balcone rappresenta l'unico dell'appartamento.
Inoltre, siccome il difetto si è manifestato da pochi giorni, il compratore non è nemmeno ancora incorso in decadenza.

Si rileva pure che ai sensi degli art. 2324 del c.c. e art. 2312 del c.c. i soci accomandatari, anche dopo lo scioglimento della società, rimangono illimitatamente responsabili per le obbligazioni contratte dalla società, anche oltre le somme conferitegli in base al bilancio finale di liquidazione (ordinanza Corte Cass. n. 12953 del 23.05.2017).
Dunque, è necessario che si proceda immediatamente a denunziare il vizio dell’immobile al socio accomandatario della società sas, ormai sciolta, mediante invio di una lettera raccomandata con la quale si rappresenta che il distacco dell’intonaco dal balcone soprastante è dovuto ad una cattiva messa in posa dello stesso al momento della costruzione dell’edificio. A ciò andrà altresì aggiunta la richiesta che si proceda, entro 10 gg. dal ricevimento dalla lettera, alla riparazione del danno mediante l’esecuzione di opere materiali direttamente da parte del socio oppure con corresponsione delle somme necessarie per incaricare un’altra ditta per l'esecuzione dei lavori, da quantificarsi previo comune accordo. Sarebbe auspicabile anche precisare che ci si rende disponibili ad una valutazione congiunta della problematica.
Qualora ciò non sortisca nessun effetto, si procederà ad inoltrare allo stesso socio accomandatario una diffida con eventuale confutazione delle avverse eccezioni proposte e nuova richiesta di ripristino dell'intonaco del balcone, oltre al risarcimento del danno e, con avvertimento che, in difetto, si procederà a tutelare i propri interessi davanti alle competenti autorità giudiziarie.

Nelle more è opportuno precostituirsi delle prove mediante fotografie attestati lo stato dei luoghi e relazione tecnica (redatta da un geometra, ingegnere, architetto, perito edile) da poter utilizzare in sede di eventuale successivo giudizio.
Per completezza espositiva, si afferma l'insussistenza di responsabilità in capo all’inquilino o proprietario del piano superiore, pur essendo il diretto proprietario del balcone aggettante interessato dal distacco dell’intonaco.
Ad ogni modo, anche qualora il distacco dell’intonaco dipendesse da una cattiva manutenzione dell’immobile soprastante imputabile ad una condotta omissiva del suo proprietario (art. 2051 del c.c.), il danno inizierà ad esserci soltanto quando dal balcone soprastante si manifesterà in una parte di proprietà esclusiva dell'unità immobiliare sottoposta.
Unico accorgimento che può essere adottato in casi come questo è quello di inviare comunque una comunicazione, preferibilmente scritta, anche all'inquilino e al proprietario dell’appartamento sovrastante di modo che prendano contezza della situazione e siano messi nella condizione di poter prendere decisioni opportune al riguardo.

Potrebbe essere anche utile coinvolgere il proprietario del balcone nella vicenda, il quale potrà inviare a suo nome una lettera di denunzia del vizio di pari contenuto di quella sopra illustrata.

Fulvia S. chiede
giovedì 07/08/2014 - Sardegna
“Buongiorno,
Dopo solo un anno dall'acquisto del mio appartamento (nel 2008) in un condominio di nuova costruzione si sono verificati le seguenti problematiche:
- fenomeni di muffa e condensa;
- forte umidità;
- infiltrazioni di acqua in giornate di abbondanti piogge;
- ristagni di acqua all'ingresso del condominio e sotto i contatori elettrici (causa pendenze sbagliate);
- miasmi all'interno dell'appartamento;
- impianti idrico-sanitario-fognario mal funzionanti;
- impianto di climatizzazione mal funzionante (non è presente impianto riscaldamento);
- umidità da risalita in corrispondenza delle colonne portanti con evidente distacco di intonaco;
- fessurazioni e crepe lungo tutto il perimetro dell'edificio;
- sgretolamento di intonaco sotto i cornicioni e nei muri esterni delle verande (causa infiltrazioni);
- degrado generale del fabbricato a causa di lavori fatti con scarsa cura e competenza ma soprattutto incompiuti;
- fogne che traboccano allagando il parcheggio condominiale di liquami;
- le dichiarazioni di conformità degli impianti sono incomplete e non sono datate.

Per le parti comuni sono stati necessari interventi di riparazione straordinari da parte dell'idraulico e dell'autospurgo (di emergenza - quindi pagando di più) almeno due volte l'anno con spese che hanno superato in 5 anni i €20.000.

L'amministratore condominiale che ha sempre peccato d'inerzia e non risponde quasi mai alle telefonate o alle lettere ha sempre spalmato queste spese tra i condomini anziché rivalersi sulla garanzia decennale del costruttore. Il mio appartamento non è l'unico ad essere interessato dalle problematiche sopra descritte ma sono stata l'unica a informare più volte il costruttore di queste anomalie che oggettivamente sono dei veri e propri difetti di costruzione. Il costruttore ha effettuato degli interventi sulle pareti esterne ma è stato inutile perché i problemi persistono e si aggravano di anno in anno.
Nel 2012 tramite avvocato depositavo (senza la solidarietà degli altri condomini) ricorso ex art. 696 e 696 bis cpc. La CTU purtroppo si è rivelata molto lacunosa e contraddittoria, nonché incompleta e a mio avviso il CTU non ha operato nell'interesse comune delle parti anzi il suo operato ha avvantaggiato il costruttore. Per esempio afferma che i ponti termici non sono stati corretti in fase costruttiva per poi arrivare alla conclusione che la presenza di condensa e muffa sia dovuta ad un insufficiente ventilazione e ricambio d'aria negli ambienti. Mentre non affronta per nulla le problematiche relative agli impianti. Non si è avvalso di strumentazione tecnica e nella perizia ha riportato informazioni stratigrafiche ottenute dal costruttore senza verificarle di persona. Dati poi che si sono rivelati non veri a seguito di alcuni saggi fatti effettuare dal CTP sulle pareti. Per esempio i forati non erano da 8cm ma da 6cm e il pannello isolante non era poliuretano da 3cm ma polistirolo da 2cm. Ha omesso di verificare lo spessore dell'intonaco (anch'esso isolante) ma ho constatato che è di pochi millimetri. Aggiungo che il geometra CTU non ha nemmeno tentato la conciliazione tra le parti prima del deposito della relazione in tribunale. Il CTP di contro smentisce e smonta l'elaborato peritale del CTU affermando che la muffa e la condensa sono dovute alla mancanza di isolamento termico all'interno dell'appartamento imponendo l'applicazione di un cappotto esterno. Il CTU inoltre afferma che non può dire se l'immobile è stato costruito a regola d'arte perché non vi è una norma che definisce quanto un opera è da considerarsi a regola d'arte nonostante ammetta l'esistenza di standard tecnici o specifiche tecniche emanate da questo o quell’ente o categoria professionale.


Parte dell'appartamento è invivibile durante l'inverno a causa dell'umidità, il riscaldamento non è presente ma c'è solo un impianto di climatizzazione anch'esso mal funzionante con un assorbimento energetico di oltre 3.50kW. Ciò significa che le tre unità non possono operare insieme contemporaneamente.
Poiché l'accertamento tecnico preventivo è stato una perdita di tempo sembrerebbe necessario intraprendere una causa. Le mie domande sono:
1. Si profila negligenza del CTU? Il CTU doveva tentare la conciliazione tra le parti? Posso chiedere il risarcimento danni al CTU? Posso evitare una nuova CTU (sebbene auspicabile) per evitare di incorrere in ulteriori spese dal momento che esiste anche la relazione di parte?
2. Posso citare in giudizio sia il costruttore ex art. 1669 cc e il condominio nella figura dell'amministratore condominiale come custode dei beni e dei servizi comuni? E in base a quale articolo?
3. Posso citare in giudizio il costruttore oltre che richiamando l'art. 1669 anche l'art. 1490 contemporaneamente per inadempimento contrattuale? oppure i due articoli insieme sono incompatibili? Il bene venduto doveva essere privo di vizi e difetti ma così non è stato.
4. C'è inoltre il problema del decoro architettonico del fabbricato e di un possibile deprezzamento del suo valore economico.
5. Posso pretendere che il cappotto esterno venga applicato su tutto l'edificio e non solo intorno al mio appartamento? Si noterebbe subito che un intervento riparatorio è stato fatto e potrebbe pregiudicare in futuro la vendita del mio immobile.
6. Posso chiedere il risarcimento danni non patrimoniali (amministratore o costruttore?) per la mancata godibilità di parte del mio appartamento e da quale data questi danni verrebbero calcolati?
7. Posso chiedere la restituzione di parte delle quote condominiali pagate indebitamente per la riparazione degli impianti in garanzia e per manutenzioni generali dell'edificio?
Ringraziandovi fin da subito, vi saluto cordialmente.”
Consulenza legale i 11/08/2014
Letta la situazione di fatto e i rimedi giurisprudenziali già vanamente intrapresi, si risponderà alle domande poste nel quesito riprendendo la numerazione dell'utente, anche se in ordine leggermente variato.
2. Nella situazione descritta la responsabilità del costruttore sembra emergere in modo evidente: appaiono, cioè, sussistenti quei gravi difetti dell'immobile di cui parla l'art. 1669 del c.c. e che sono fonte di obbligazione risarcitoria in capo all'appaltatore dell'opera edilizia.
Tuttavia, potrebbe sussistere nel caso di specie un problema di prescrizione.
Difatti, in caso di gravi difetti di costruzione, l'art. 1669 prevede che l'appaltatore-costruttore sia responsabile nei confronti del committente e dei suoi aventi causa (es. il successivo acquirente dell'immobile), purché sia fatta la denunzia entro un anno dalla scoperta. Il diritto del committente si prescrive poi in un anno dalla denunzia.
Il termine per effettuare la denunzia è stato individuato dalla giurisprudenza nel momento in cui il committente (o avente causa) ha la piena consapevolezza della gravità dei difetti: nel caso di necessità dell'espletamento di indagini tecniche, il termine viene fatto decorrere dall'acquisizione della relazione peritale (v. Cass. civ. 567/2005). Quindi, se la perizia nel procedimento ex artt. 696-696 bis c.p.c. è stata depositata oltre un anno fa, la denunzia fatta oggi sarebbe tardiva. E' ipotizzabile cercare di dimostrare che la completa comprensione della gravità del fenomeno sia stata acquisita dal proprietario dell'immobile in un momento successivo.
Qualora una porzione di proprietà esclusiva, all’interno di un edificio condominiale, risulti danneggiata a causa della presenza di vizi relativi a parti comuni, anche se imputabili all’originario costruttore-venditore, deve, comunque, riconoscersi al titolare di detta porzione di proprietà esclusiva, la facoltà di esperire azione risarcitoria anche nei confronti del condominio (cfr. Cass. Civ. Sez. II, 12.07.2011, n. 15291).
La responsabilità del condominio come custode dei beni e servizi comuni è configurabile in base all'art. 2051 del c.c.: è consigliabile chiamare in giudizio sia il condominio che l'amministratore personalmente, in quanto secondo alcune pronunce sarebbe lui il titolare dell'obbligo di custodia (v. Cass. civ. 25251/2008).
3. La risposta è positiva in via astratta. Se il costruttore è anche venditore, egli è tenuto alla garanzia per i vizi di cui agli artt. 1490 ss. c.c. Tuttavia, si profila nuovamente un problema di prescrizione, più grave di quello al punto precedente. L'art. 1495 del c.c. chiede che la denuncia per i vizi sia fatta entro 8 giorni dalla scoperta, momento che viene fatto coincidere anche in questo caso con il deposito della relazione peritale nel giudizio di accertamento tecnico preventivo. Inoltre, l'azione per avvalersi della garanzia per vizi si prescrive in un anno dalla consegna dell'immobile, termine che purtroppo è ampiamente decorso.
Supponendo, tuttavia, che la garanzia per i vizi possa ancora essere attivata, va precisato che nell'atto di citazione essa avrebbe dovuto essere chiesta in subordine, in via alternativa alla domanda ex art. 1669 c.c., in quanto le due domande poggiano su presupposti differenti.
4. Questo elemento (decoro architettonico del fabbricato) si inserisce nella tematica del risarcimento del danno e può costituire senza dubbio una voce importante dell'importo complessivo dovuto a titolo risarcitorio. Il deprezzamento economico dell'immobile sarà valutato dal giudice, di regola, sulla base delle risultanze di una perizia tecnica.
5. Questa domanda ne implica un'altra: il condomino che agisca da solo in giudizio per danni all'intero complesso condominiale, può chiedere il ristoro del pregiudizio anche per l'intero condominio?
Come noto, il condominio non è un soggetto giuridico dotato di propria personalità distinta da coloro che ne fanno parte, bensì un semplice ente di gestione. Quindi, il condomino conserva il potere di agire non solo in sua difesa, ma anche dei suoi diritti di comproprietario pro quota delle parti comuni, con possibilità di ricorrere all'autorità giudiziaria nel caso di inerzia dell'amministratore di condominio (principio della c.d. legittimazione sostitutiva).
Quindi, il singolo condomino può chiedere la tutela degli interessi comuni di tutto il condominio e quindi la riparazione del danno a tutte le parti comuni, fintantoché non chieda invece tutela di un mero interesse personale ("il principio della c.d. rappresentanza reciproca e della legittimazione sostitutiva, secondo cui il condomino può agire a tutela dei diritti comuni nei confronti dei terzi, non può essere invocato qualora il condomino, nel chiedere il rimborso anche delle spese anticipate dagli altri comproprietari rimasti estranei al giudizio, agisce non a tutela di un bene comune o di un interesse collettivo ma fa valere l'interesse personale alla reintegrazione del patrimonio del singolo condomino che ha corrisposto il relativo importo: in tal caso il condomino non è legittimato ad agire in giudizio nè a interporre impugnazione per conto e nell'interesse dei condomini estranei al giudizio", Cassazione civ., sezione II, 3 agosto 2010, n. 18028).
6. Il risarcimento del danno non patrimoniale può essere richiesto, ma richiede una prova particolarmente rigorosa. Il danno non patrimoniale, infatti, va inteso come quella sofferenza psico-fisica (angoscia, ansia, dolore etc.) derivante dalla commissione di un illecito. La sua risarcibilità è ammessa soltanto nei casi espressamente previsti dalla legge (art. 2059 del c.c.), tra i quali quello derivante dalla commissione di un reato. In generale, il danno non patrimoniale è dovuto in quanto sia stato violato un diritto della persona costituzionalmente garantito.
Tuttavia, la mancata godibilità dell'appartamento appare più una voce di danno patrimoniale che non morale, in quanto suscettibile di valutazione economica in base ad una perizia tecnica.
Piuttosto, sarebbero valorizzabili come danno non patrimoniale eventuali pregiudizi alla salute subiti dall'acquirente o dai suoi familiari (es. patologie derivanti dalla presenza di muffe), la cui esistenza possa essere dimostrata mediante una perizia medico-legale.
Nell'eventuale azione ex art. 1669 c.c. i danni verrebbero calcolati fin dalla loro prima produzione: inoltre, se l'azione è stata tempestivamente proposta, l'appaltatore risponde anche per i danni verificatisi oltre il decennio, che si presentino quale aggravamento di quelli denunziati.
7. Si tratta di un'altra voce del danno patrimoniale che va sicuramente chiesta al costruttore. In particolare, costituirebbe quella parte di "danno emergente" del danno complessivamente inteso (v. art. 1223 del c.c. che parla di "perdita" - danno emergente - e di mancato guadagno - lucro cessante).
1. L'art. 64 del c.p.c. stabilisce che al consulente tecnico si applicano le disposizioni del codice penale relative ai periti (artt. 314 e ss. c.p. relativi al peculato, art. 366 del c.p. per il caso di rifiuto di uffici legalmente dovuti e art. 373 del c.p. in relazione alla falsa perizia o interpretazione).
In ogni caso, prosegue l'articolo 64, il consulente tecnico che incorra in colpa grave nell'esecuzione degli atti che gli sono richiesti, è punito con l'arresto fino a un anno o con l'ammenda fino a 10.329 euro. In ogni caso, conclude l'articolo, è dovuto il risarcimento dei danni causati alle parti. Ma quali danni sono risarcibili?
Secondo un orientamento giurisprudenziale, il CTU risponde solo per dolo o colpa grave, mentre a parere di altre pronunce egli risponderebbe anche di colpa lieve ai sensi dell'art. 1176 del c.c.: si ritiene preferibile questa seconda posizione. Va poi precisato che tra il CTU e le parti non c'è un rapporto contrattuale e quindi queste ultime possono solo pretendere un corretto adempimento dei doveri del tecnico, ma non una determinata prestazione (es. una perizia a loro favore).
Il danno risarcibile è costituito sia dall'eventuale ritardo con cui sia stata accolta la propria domanda, in conseguenza della necessità di rinnovare la consulenza: sia nelle conseguenze negative dell'accoglimento dell'altrui domanda fondata su una consulenza infedele; sia nelle spese sostenute per adottare provvedimenti che la consulenza ha erroneamente ritenuto indifferibili; sia, infine, ogni spesa atta a dimostrare l'erroneità della consulenza tecnica.
Il mancato esperimento della conciliazione non è sanzionato da nullità e pertanto la perizia è comunque valida. Non è inoltre possibile ritenere che il CTU sia responsabile della mancata conciliazione, visto che sta alle parti decidere se continuare la lite. Quindi, non sembra - purtroppo - configurarsi in capo al consulente d'ufficio alcuna responsabilità risarcitoria in qualche modo sanzionabile.
Quanto alla seconda parte della domanda, la risposta è purtroppo negativa. Non è possibile "evitare" una nuova C.T.U. in quanto il potere di disporla è interamente nelle mani del giudice di merito: la perizia, infatti, non è una prova in senso tecnico (come un documento allegato dall'attore o dal convenuto), ma un mezzo di ricerca della prova, che il giudice può disporre anche in assenza di una specifica richiesta di parte. La parte può solo cercare di convincere il giudice che una nuova perizia non è necessaria, argomentando la propria tesi.
In ogni caso, l'esistenza di una perizia di parte non sarà un buon motivo affinché il giudice non conferisca incarico a un nuovo CTU, posto che l'elaborato del CTP è, appunto, di parte, ed egli non può ciecamente basare la propria decisione su tale documento, senza avere un parere "neutrale" di un esperto equidistante dalle parti.

Ivan R. chiede
mercoledì 20/11/2013 - Lombardia
“Gentilissimi,
mi ritrovo in una situazione un po’ particolare e desideravo, se possibile, avere un autorevole parere in merito.
Il 5 ottobre del 2011 ho acquistato casa e ad oggi dopo varie richieste, lettere, e-mail e colloqui non sono riuscito ad avere dal costruttore la decennale postuma, obbligatoria, secondo la legge 122/05 del 21/07/05.
Il costruttore asserisce (ad oggi), che avrebbe tutte le intenzioni di fornircela ma non trova nessuna compagnia assicurativa disposta a stipulare un polizza poiché siamo ormai lontani dalla data di fine lavori dell’8 luglio 2010; data dalla quale “sarebbe dovuta partire” la copertura della decennale.
Secondo voi è possibile? Ammesso che fosse vero, una compagnia assicurativa potrebbe rifiutarsi di emettere una decennale postuma?
Quale soluzione mi potreste suggerire?
Inoltre, una possibile causa al costruttore (che nel frattempo non è quasi mai disponibile ad ascoltarci per le varie problematiche riscontrate - io in primis sto subendo un'infiltrazione dal tetto) potrebbe sfociare, nel caso non ricevessimo mai l'agognata polizza, in un ipotetico importo dettato dalla mancata fruizione di un "servizio" acquistato con l'immobile?
Vi ringrazio anticipatamente per il tempo che mi dedicherete.
N.B.: La società venditrice era anche il costruttore.
N.B.2: sul rogito il notaio aveva scritto che la società venditrice si sarebbe impegnata a consegnare la polizza entro e non oltre 10 giorni dalla data del rogito. Ma il notaio avrebbe potuto rogitare senza quel documento?
Cordialmente”
Consulenza legale i 27/11/2013
L’art. 4 del D. Lgs 122/2005 pone a carico del costruttore l’obbligo di stipula di una polizza assicurativa indennitaria decennale a beneficio dell’acquirente di un immobile per cui sia stato richiesto il permesso di costruire successivamente alla data del 21 luglio 2005 e che risulti, al momento della contrattazione, ancora da edificare o non ancora ultimato. La copertura assicurativa si riferisce ai danni materiali e diretti all’immobile, compresi i danni ai terzi, cui il costruttore sia tenuto ai sensi dell’art. 1669 del c.c..

In tema di decennale postuma, al contrario che per la fideiussione a garanzia delle somme riscosse o da riscuotere per l’acquisto dell’immobile in costruzione, non è prevista la sanzione della nullità del contratto (il rogito notarile è quindi valido). La mancata consegna della polizza all’atto di rogito o nei termini in questo previsti configura una ipotesi di inadempimento al contratto di compravendita, che dà diritto al risarcimento del danno derivante dalla mancata stipulazione. Risulta più difficile provare, invece, che l'inadempimento alla stipulazione della polizza configuri un inadempimento di gravità tale da fondare una domanda di risoluzione del contratto (art. 1455 del c.c.).

E' verosimile che il costruttore ad oggi non trovi una compagnia assicuratrice disposta a stipulare una polizza decennale postuma, visto che l'immobile è ormai costruito ed agibile.
E' consigliabile, quindi, inviare tramite raccomandata a.r. una diffida alla società costruttrice con la quale, oltre a chiedere la polizza contrattualmente prevista (sappiamo però che questa probabilmente non verrà stipulata), va evidenziato che l'assenza della polizza decennale postuma configura inadempimento al contratto di compravendita e che ogni danno che sarà subito dal compratore verrà quindi addebitato al venditore per effetto di tale inadempimento.
Qualora i danni dovessero effettivamente presentarsi, in assenza di spontaneo pagamento della controparte, si dovrà convenire il venditore-costruttore in giudizio per domandare il risarcimento dei pregiudizi subiti. Peraltro, trattandosi di venditore anche costruttore, il risarcimento dei danni può essere chiesto anche ai sensi dell'art. 1669 del c.c..

Un ulteriore profilo problematico è dato dal fatto che la società costruttrice è cessata. Ciò non significa che non sia possibile recuperare il proprio credito.
Secondo il nostro ordinamento, all'estinzione della società (conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese, anche volontaria), i rapporti debitori facenti capo alla società estinta sono oggetto di un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale le obbligazioni si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate, essi fossero o meno illimitatamente responsabili per i debiti sociali (v. Cassazione, Sez. Unite, 12 marzo 2013, n. 6070).

Giuseppe G. chiede
giovedì 28/03/2013 - Toscana
“Vorrei dei chiarimenti rispetto all'art. 1669 del Codice Civile. Vi descrivo la situazione: Insieme alla mia famiglia genitori e due sorelle, abbiamo ristrutturato una palazzina. Secondo il progetto sono stati lasciati i muri perimetrali ma tutto il resto è stato fatto nuovo, fondazione rinforzata, scala esterna e il tetto. Il tetto è stato completato nel 2007. In base al capitolato è stato realizzato un isolamento termico e impermeabilizzazione con applicazione a spruzzo di schiuma poliuretanica espansa in loco e poi coperta con tegole.
Il problema: Da qualche settimana nel sottotetto sono comparse infiltrazioni di acqua a macchia di leopardo in circa 10 punti su un tetto di ca. 170 mq.
Secondo il parere di un esperto, o l'isolamento con la schiuma non è adatto o è stato fatto male, per una nuova impermeabilizzazione, che prevede togliere la copertura e applicare guaina bituminosa la spesa si aggira sui 16.000 €.
Domande: i "dieci anni dal compimento" si applicano a questo caso?
Anche se sul contratto con la ditta appaltatrice non c'è la voce garanzia, e comunque tenuto a darla?
Come posso stabilire se il costruttore e l'unico responsabile o anche il progettista?
Quale iter devo seguire: parlo direttamente con la ditta esecutrice dei lavori, o con il progettista e direttore dei lavori che medierà?
O dovrei da subito fare seguire la cosa da uno studio legale?
Vi ringrazio per la vostra attenzione, in attesa del vostro parere vi invio i miei saluti.”
Consulenza legale i 04/04/2013
Il caso descritto sembra rientrare nella sfera di applicabilità dell'art. 1669 del c.c..
Difatti, il vizio di infiltrazione d'acqua dal tetto può essere considerato un grave difetto della costruzione, una alterazione che, pur riguardando direttamente solo una parte dell'opera, incide sulla sua funzionalità globale, menomandone in modo apprezzabile il godimento, sì da renderla inidonea a fornire l'utilità cui è destinata. Ciò, dice la giurisprudenza di legittimità, anche a prescindere dall'entità dell'importo di denaro necessaria per l'eliminazione del difetto (Cass. 3752/2007).
E' bene precisare, però, che solo il giudice di merito può valutare se un dato difetto rientri tra quelli previsti dalla norma in commento, pertanto ogni valutazione resa in questa sede potrebbe essere smentita in sede giudiziale.
L'azione ex art. 1669 c.c. è prevista per legge e quindi non è necessario che vi sia una espressa garanzia in tal senso nel documento contrattuale dell'appalto.
Il termine decennale per agire contro il costruttore decorre dal compimento dell'opera, mentre il termine annuale per la denuncia, previsto a pena di decadenza, decorre dal giorno in cui il committente o l'acquirente abbia conseguito un apprezzabile grado di conoscenza obiettiva della gravità dei difetti e della loro derivazione causale dalla imperfetta esecuzione dell'opera (Cass. 4249/2010).
L'azione contro il costruttore avrà ad oggetto la condanna di questi, alternativamente, al pagamento della somma di denaro corrispondente al costo delle opere necessarie per l'eliminazione dei difetti, ovvero all'esecuzione diretta di tali opere, in applicazione, e nei limiti, della regola generale dell'art. 2058 del c.c..
È considerato responsabile anche il progettista, nel caso in cui i gravi difetti dipendano da errori di progettazione (Cass. 8016/2012), nonché colui che abbia effettuato i calcoli relativi alla struttura ed alla statica dell'edificio (vedi Cass. 8811/2003). La responsabilità del progettista è solidale, non sussidiaria (egli, cioè, risponde per l'intero danno nei confronti del committente, salvo poi il diritto di rivalersi sul costruttore per quanto di sua spettanza).
Quanto al direttore dei lavori, anche nei suoi confronti si estende la presunzione di responsabilità posta dalla legge a carico dell'appaltatore (in tal senso, Trib. Perugia 9 gennaio 1996). La sentenza del Tribunale di Roma del 20 luglio 2000 precisa che sarà necessario dimostrare in che modo egli, venendo meno ai propri doveri, abbia concausato l'insorgenza del vizio.
Si consiglia, se già non lo si è fatto, di denunciare la presenza dei vizi al costruttore, al progettista e al direttore dei lavori con lettera raccomandata, descrivendo i difetti riscontrati. Le circostanze esposte fanno ritenere che sia rispettato il termine annuale di legge per la denuncia.
Laddove non vi sia una spontanea collaborazione dei soggetti indicati, sarà opportuno, prima di intentare una lunga e dispendiosa causa ordinaria, esperire una azione di accertamento tecnico preventivo in funzione conciliativa (art. 696 bis del c.p.c.), per la quale sarà necessaria l'assistenza di un legale. All'esito di tale giudizio (mediamente molto più breve di una causa ordinaria) verrà prodotta una consulenza tecnica resa nel contraddittorio delle parti, che potrà essere posta come base di eventuale accordo conciliativo o essere utilizzata in un giudizio ordinario, in assenza di una composizione bonaria delle parti.

Pietro chiede
sabato 27/10/2012 - Umbria
“Nel 2005 ho acquistato un appartamento in un condominio di nuova costruzione; i condomini hanno avvisato l’amministratore condominiale della presenza di vizi nelle parti comuni; l’amministratore dopo aver scritto all’impresa costruttrice, la quale non ha adempiuto, ha lasciato decorrere invano l’anno per proporre azione giudiziaria.
Gli altri condomini sono rimasti del pari inerti.
Io solo mi sono attivato, sia per i vizi nelle parti di proprietà esclusiva (che pure erano esistenti), sia per i vizi nelle parti comuni (essendo rimasti inerti sia il condominio, sia i singoli condomini).
Nel corso dell’Accertamento Tecnico Preventivo, e della successiva causa civile nessuno ha effettuato intervento adesivo.
La causa è stata decisa con sentenza che ha condannato l’impresa venditrice, l’impresa appaltatrice, il direttore dei lavori, e il progettista, in solido tra loro a “RISARCIRE I DANNI PATITI” dal sottoscritto” IN CONSEGUENZA DEI FATTI PER CUI è CAUSA MEDIANTE PAGAMENTO DI UNA SOMMA X”.
Nella parte motiva della sentenza il giudice, individua il quantum (l’importo X del risarcimento) mediante rinvio alla CTU, dove l’importo X è determinato come somma dell’importo Y (relativo alle parti esclusive) e dell’importo Z (relativo alle parti comuni).
In pratica X = Y+Z Quindi la somma identificata come risarcimento è data dal danno relativo alle parti di proprietà esclusiva, sommato a quello relativo alle parti comuni.
Per addivenire a tale sentenza il sottoscritto ha sostenuto spese legali, di CTU, e di CTP (sia per la fase di ATP che per la CAUSA CIVILE).
Considerando che l’azione è stata fatta dal sottoscritto, e che il condominio e gli altri condomini sono decaduti dal diritto di proporre causa per vizi sulle parti comuni, e non hanno effettuato l’intervento adesivo in corso di causa (purtuttavia essendone al corrente), visto inoltre che la sentenza indica me stesso come destinatario del risarcimento, si chiede se l’importo del risarcimento relativo alle parti comuni (il precedente importo Z) possa essere trattenuto dal sottoscritto, o invece debba essere girato dal sottoscritto al condominio?
Inoltre se tale importo va girato al condominio, posso detrarre da tale importo i costi da me sostenuti per spese legali, di CTU e di CTP?
Ancora, se le parti soccombenti dopo aver versato il risarcimento al sottoscritto, proporranno appello, con il rischio quindi di un ribaltamento della sentenza, si chiede se l’importo relativo alle parti comuni dovrebbe essere girato al condominio solo al momento del passato in giudicato della sentenza? Al fine di evitare la beffa di dover restituire l’intero importo del risarcimento (l’importo X), essendosi spogliato dell’importo del risarcimento relativo alle parti comuni (importo Z).”
Consulenza legale i 03/11/2012

Data la complessità della questione in esame, per una risposta più accurata sarebbe necessario esaminare attentamente gli atti di causa. Pertanto, in questa sede ci si limita a brevi osservazioni sulle molteplici questioni di diritto sottese al caso proposto.

Innanzitutto, va fugato il dubbio circa la possibilità per il singolo condomino di agire anche in rappresentanza degli altri condomini in relazione a controversie aventi ad oggetto le parti comuni. Difatti, la giurisprudenza di legittimità sostiene l'esistenza del principio della c.d. "rappresentanza reciproca" e della "legittimazione sostitutiva" dei condomini, secondo cui il condomino può agire a tutela dei diritti comuni nei confronti dei terzi. Appare quindi pacifico che il giudice possa emettere condanna al risarcimento del danno relativo a tutte le parti comuni, anche se ad agire sia stato il titolare di una singola quota.
Vanno, però, precisati due punti.

Quanto alle spese legali, che presumibilmente sono state liquidate dal giudice in sentenza, appare indubitabile che il rimborso delle stesse spetti a chi le ha sostenute: quindi, nel caso di specie, all'unico condomino che ha agito in giudizio. Se egli dovesse riversare parte delle spese liquidate a suo favore agli altri condomini, si verificherebbe un ingiustificato arricchimento degli stessi, che farebbe sorgere un diritto alla ripetizione delle somme art. 2041 del c.c..

In relazione al vero e proprio risarcimento del danno derivante dai vizi dell'edificio, non si può ritenere che il singolo condomino attore possa trattenere l'intera somma e non la sola quota di sua spettanza: anche in questo caso, si tratterebbe di un arricchimento privo di giustificazione. La giurisprudenza sostiene che in caso di danno subito dalle cose comuni, il singolo condomino può agire anche per l'intero, quale concreditore solidale ex lege, "fatta salva la destinazione della somma così conseguita alla riparazione delle cose comuni, se possibile, ovvero, in subordine, la ripartizione dell'importo tra i compartecipi, in proporzione delle rispettive quote" (Trib. civ. Milano, sez. VIII, 8 giugno 1992).

Posto, quindi, che il singolo condomino non può trattenere la somma che risarcisce l'intero danno, appare evidente che egli dovrà versarla agli altri condomini pro quota o utilizzarla per la riparazione delle parti comuni non appena l'avrà ricevuta. In caso di riforma in appello della sentenza, tuttavia, poiché l'importo venne destinato a tutti i titolari delle parti comuni dell'edificio, non si vedono ragioni plausibili per cui essi non dovrebbero rispondere tutti nei confronti dell'appellante che riesca a ribaltare la sentenza in secondo grado. L'appellato tenuto alla ripetizione della somma, quindi, potrà agire in regresso nei confronti degli altri condomini.


Alberto M. chiede
lunedì 15/10/2012 - Lombardia
“Buongiorno, sono un proprietario di un appartamento acquistato un anno fa. L´immobile ha circa 6 anni. Io ho l´ingresso direttamente dall´esterno. Quando piove, l´acqua ristagna davanti al mio ingresso per una pendenza sbagliata del pianerottolo; quando piove forte mi entra l´acqua in casa perché non c'è dislivello tra l´ingresso e l´esterno.
Volevo sapere da lei, se questo può essere un caso che rientra nell´articolo 1669, e nel caso, a chi bisogna rivolgersi (avvocato o giudice di pace?). Per la soluzione del problema è meglio aspettare l´iter burocratico o si può agire prima e poi chiedere il risarcimento?
Grazie per la disponibilità.”
Consulenza legale i 17/10/2012

Il caso non sembra rientrare nell'ipotesi prevista dall'art. 1669 c.c., in quanto questa disposizione prevede la responsabilità dell'appaltatore per rovina (in tutto o in parte) dell'opera o comunque per difetti molto gravi, oltre che riconoscibili al momento del collaudo, che incidano sulla sostanza e sulla stabilità della costruzione.

Piuttosto, avendo lei acquistato la titolarità del bene in virtù di un contratto di compravendita, il difetto lamentato potrebbe costituire un vizio dell'immobile per il quale il venditore sarebbe tenuto a prestare garanzia ai sensi dell'art. 1490 c.c.: in base a tale obbligo di garanzia, potrebbero essere chiesti una riduzione del prezzo corrisposto per l'immobile e il risarcimento dei danni.
La garanzia, però, è soggetta a brevi termini di decadenza e prescrizione: deve essere fatta denunzia del vizio entro 8 giorni dalla scoperta di esso e l'azione si prescrive in un anno dalla consegna del bene. Se dalla data dell'acquisto, quindi, è già trascorso un anno, ciò costituirebbe un ostacolo all'attivazione della garanzia.

Il venditore, però, potrebbe aver in mala fede taciuto l'esistenza di questo vizio nel corso delle trattative per la compravendita dell'immobile: questo costituisce un comportamento illecito che dà diritto al risarcimento del danno contrattuale, all'interno del quale è possibile far rientrare il rimborso delle spese sostenute per la correzione del difetto. Una tale azione si prescrive nel termine ordinario di 10 anni.

Dal punto di vista processuale, il suggerimento che possiamo darle è di chiedere un accertamento tecnico preventivo sull'immobile: se il danno è stimato in un importo inferiore ai 5.000 €, il giudice competente sarà il giudice di pace, altrimenti ci si dovrà rivolgere al tribunale territorialmente competente. Si tratta di un procedimento cautelare con cui accertare la situazione esistente in contraddittorio con la controparte, così da poter utilizzare la perizia davanti ad un giudice in un successivo eventuale giudizio di merito. In tal modo, inoltre, "fissando" la situazione esistente in un documento con valenza probatoria, potrebbe procedere autonomamente alla sistemazione del dislivello, in modo da evitare ulteriori danni all'abitazione.

In particolare, nel caso di specie potrebbe essere utile esperire una consulenza tecnica a fini conciliativi, come consente l'art. 696 bis c.p.c.: "L'espletamento di una consulenza tecnica, in via preventiva, può essere richiesto anche al di fuori delle condizioni di cui al primo comma dell'articolo 696, ai fini dell'accertamento e della relativa determinazione dei crediti derivanti dalla mancata inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali o da fatto illecito. Il giudice procede a norma del terzo comma del medesimo articolo 696. Il consulente, prima di provvedere al deposito della relazione, tenta, ove possibile, la conciliazione delle parti". Così facendo, se dalla perizia dovesse emergere la sussistenza del difetto e il venditore volesse evitare di essere citato in giudizio per il risarcimento del danno, potreste tentare una conciliazione direttamente tramite il perito nominato dal giudice.


Roberto T. chiede
sabato 05/05/2012 - Puglia

“Ho letto della responsabilità del costruttore riguardo difetti di costruzione emersi nei dieci anni successivi alla conclusione dell'opera. Trascorsi i 10 anni in che modo è possibile addebitare la responsabilità all'impresa costruttrice nel caso di palesi difetti di costruzione? Nel caso specifico, la palazzina dove vivo è stata ultimata nel 2001 e tutta la parte in cemento esterna sta cadendo letteralmente a pazzi. Esiste un modo per imputare la responsabilità al costruttore ed ottenere da questi il risarcimento del danno? grazie e saluti Roberto Tartarino”

Consulenza legale i 05/05/2012

Decorso il termine di dieci anni dal compimento dell'opera contemplato dall'art. 1669 del c.c. non risulta possibile esperire l'azione di responsabilità contro il costruttore-appaltatore nel caso in cui dovessero verificarsi gravi difetti o rovina dell'opera stessa.

Tuttavia, sul punto merita di essere ricordato l'orientamento della giurisprudenza di legittimità in tema di rapporti tra l'azione di cui all'art. 1669 del c.c.] e quella contemplata dall'art. 2043 del c.c.. La Corte, nella pronuncia del 12 aprile 2006 n.8250, precisa che in tema di responsabilità dell'appaltatore per gravi difetti dell'opera, sono ammissibili rispetto al medesimo evento, sia l'azione prevista dall'art. 1669 del c.c., che l'azione contemplata dall'art. 2043 del c.c., norma generale sulla responsabilità per fatto illecito. L'azione ex art. 1669 del c.c. si pone in rapporto di specialità rispetto alla seconda, risultando questa esperibile quando in concreto la prima non lo sia, perciò anche nel caso di danno manifestatosi e prodottosi oltre il decennio dal compimento dell'opera. Pertanto, poiché nell'ipotesi di esperimento dell'azione ex art. 2043 del c.c. non opera il regime probatorio speciale di presunzione della responsabilità del costruttore, in tale caso, spetta a colui che agisce provare tutti gli elementi richiesti dalla norma generale, e, in particolare, anche la colpa del costruttore.

Infine, è opportuno precisare che l'azione per il risarcimento del danno da fatto illecito si prescrive nel termine di cinque anni dalla sua verificazione.


Massimo chiede
martedì 01/05/2012 - Lombardia
“Buongiorno, nel 2005 ho acquistato una villetta di nuova costruzione posizionata sul pendio di una collina. I muri di confine non svolgono solo il compito di delimitare la proprietà ma sono veri e propri muri di contenimento. Nel luglio del 2008 due di questi muri si sono pericolosamente inclinati e sono stati necessarie urgenti opere di consolidamento per riportare in sicurezza i luoghi. Nonostante ciò a distanza di 6 mesi nuove crepe nei muri e il cedimento del cortile antistante la mia abitazione a causa dei lavori di sbancamento fatti per riconsolidare il manufatto mi hanno portato a intentare una causa verso il costruttore in quanto non più disponibile ad effettuare lavori. Ora (dopo ATP in cui venivano riconosciuti i vizi) siamo al punto in cui l'avvocato della controparte sostiene l'ampia prescrizione di quanto denunciato. La mia domanda è: cosa si intende per :"Il diritto del committente si prescrive in un anno dalla denunzia"? Ho sempre denunciato qualsivoglia anomalia entro addirittura 2 giorni dalla scoperta del vizio e da più di 3 anni porto avanti una causa che "grazia alla lentezza" del nostro sistema giuridico non so per quanti altri anni potrà andare avanti. Come si pone in questi casi il capitolo "prescrizione"?
Grazie
Massimo”
Consulenza legale i 02/05/2012

Ai sensi dell'art. 1669 del c.c. l'appaltatore è responsabile nei confronti del committente e dei suoi aventi causa, se, nel corso di dieci anni dal compimento, l'opera, per vizio del suolo o per difetto della costruzione, rovina in tutto o in parte, ovvero presenta evidente pericolo di rovina o gravi difetti.

La norma precisa la necessità che la denunzia di tali vizi o difetti sia fatta entro un anno dalla loro scoperta, a pena di decadenza dalla garanzia. Inoltre, viene specificato che il diritto del committente si prescrive entro un anno dalla predetta denunzia.

Il primo termine c.d. di denuncia deve essere comunicato all'appaltatore entro un anno dalla scoperta del vizio o del grave pericolo di rovina/pericolo. Il secondo termine di prescrizione si riferisce all'obbligo che ha il committente (o acquirente) di richiedere l'intervento in garanzia ed il risarcimento dei danni entro il successivo anno dalla denuncia. Il mancato rispetto di quest'ultimo termine di intervento comporta la prescrizione del diritto di garanzia e del risarcimento del danno del committente/acquirente.

Nel caso prospettato, se è stato rispettato il termine di denuncia, ovvero se la denuncia all'appaltatore del vizio è stata effettuata entro l'anno dalla scoperta del vizio, il fatto di aver promosso l'ATP entro l'anno dalla denuncia e poi la successiva instaurazione del giudizio di merito che dura da più di tre anni, determinano l'interruzione del decorso prescrizionale. Pertanto, in base alle informazioni contenute nel quesito si ritiene che non sia intervenuta la prescrizione del diritto dell'acquirente ad essere garantito e ad ottenere il risarcimento dei danni, una volta che il giudizio si concluda con l'accertamento della responsabilità dell'appaltatore.


Michele chiede
lunedì 30/04/2012 - Puglia
“Buonasera,
ho acquistato un immobile nel maggio 2011, costruito nel 2004 e da un mese ho notato che i mattoni del patio si sono leggermente sollevati e filtra acqua nel tetto del box.
Vorrei premettere che ho contattato il costruttore per farlo venire a controllare le infiltrazioni, ma lui sta prendendo tempo. Visto che gli anni di garanzia sono 10 non vorrei che scadessero; come mi dovrei comportare per non perdere ulteriore tempo?
Grazie.”
Consulenza legale i 02/05/2012

Ai sensi dell'art. 1669 del c.c. l'appaltatore è responsabile nei confronti del committente e dei suoi aventi causa, se, nel corso di dieci anni dal compimento, l'opera, per vizio del suolo o per difetto della costruzione, rovina in tutto o in parte, ovvero presenta evidente pericolo di rovina o gravi difetti.

La norma precisa la necessità che la denunzia di tali vizi o difetti sia fatta entro un anno dalla loro scoperta, a pena di decadenza dalla garanzia. Inoltre, si specifica che il diritto del committente si prescrive entro un anno dalla denunzia.

Nel caso prospettato si evince che i vizi dei mattoni del patio sono stati scoperti da circa un mese e che è già stata fatta una denuncia al costruttore. E' bene ricordare che, per una maggiore tutela, sarebbe opportuno che la denuncia di tali vizi rivestisse la forma scritta, preferibilmente raccomandata con ricevuta di ritorno, con la quale il compratore evita efficacemente il termine di decadenza previsto dalla norma. Inoltre, nella denuncia il compratore dovrebbe richiedere un intervento risanatore da parte del costruttore che possa eliminare i predetti vizi.

Dalla data della denuncia decorre il termine prescrizionale di un anno entro il quale il compratore deve attivarsi per esercitare l'azione di responsabilità a carico del costruttore.

In tale ambito, è utile ricordare che la prassi seguita è quella di promuovere un accertamento tecnico preventivo ex art. 669 ter del c.p.c., prima della causa di merito, procedimento che può accertare, anche se non in via definitiva, l'entità e le cause dei vizi e dei difetti dell'immobile.


Gianfranco chiede
giovedì 19/04/2012 - Lazio
“Buongiorno, sono un costruttore e nel 2010 ho completato e venduto un appartamento. Ora, a distanza di due anni, il proprietario mi fa scrivere dall'avvocato dicendomi che già successivamente all'acquisto dell'abitazione aveva notato delle lesioni al rivestimento in travertino dei gradini di accesso all'abitazione e ne richiede la sostituzione in virtù della garanzia decennale ex art. 1669 c.c.. Ma se per esempio durante il trasloco un mobile gli è caduto proprio su quei gradini? Vorrei sapere se sono tenuto a sostituire le lastre di travertino. Grazie”
Consulenza legale i 20/04/2012

Ai sensi dell'art. 1669 del c.c. se nel corso dei dieci anni dal compimento, l'opera, per vizio del suolo o per difetto di costruzione, rovina in tutto o in parte, ovvero presenta evidente pericolo di rovina o gravi difetti, l'appaltatore è responsabile nei confronti del committente e dei suoi aventi causa, purché sia fatta la denunzia entro un anno dalla scoperta, a pena di decadenza.

Inoltre, la norma specifica che il diritto del committente si prescrive in un anno dalla denuncia.

Pertanto, la responsabilità dell'appaltatore sussiste nel caso in cui vengano riscontrati gravi vizi e difetti di costruzione, come ad esempio:

  • quelli che costituiscono pericolo di rovina dell’edificio (per difetto e carenze resistive strutturali, per vizio/difetto del suolo o per errato dimensionamento delle fondazioni) o che possono portare alla rovina (parziale o totale);
  • quelli che rendono in tutto o in parte inidoneo il bene rispetto al suo uso in generale o alla propria specifica destinazione (dipendenti sia dalla costruzione quanto dall’ambiente e/o dalle caratteristiche geologiche circostanti);
  • quelli che pregiudicano le caratteristiche tecniche degli immobili (in materia di contenimento energetico, …);
  • quelli che comportano una spesa particolarmente elevata su parti edilizie, impiantistiche e componentistiche del bene e destinati comunque a lunga durata (ad esempio sugli elementi e parti strutturali-decorative in c.a. faccia vista, estesi distacchi di intonaci interni ed esterni, sostituzione di tutte le pavimentazioni esterne per difetto di produzione o di posa);
  • vizi e difetti impiantistici che possono comportare rischi per la sicurezza e l’incolumità di cose o persone (mancata realizzazione dell’impianto di terra, …);
  • tutte quelle difformità rispetto al progetto, al capitolato speciale di appalto e/o alle normative speciali in materia urbanistica, edilizia ed impiantistica.
  • quelli che riducono in maniera apprezzabile il normale godimento del bene.

Il vizio descritto nel caso prospettato rientra nella disciplina di cui all'art. 1669 del c.c., e qualora risulti che la causa delle lesioni al rivestimento in travertino dei gradini di accesso all'abitazione sia da imputare ad un difetto di costruzione o di posa sarà necessario porre rimedio a tali difetti.


Tullio C. chiede
mercoledì 06/07/2011 - Toscana
“Salve mi chiamo Tullio e ho acquistato una casa di nuova costruzione nel 2006, premesso che per mia colpa non ero edotto sul fatto d'obbligo del costruttore di stipulare una assicurazione sull'immobile per 10 anni non fatta, (notaio prenotato dal costruttore) mi trovo da tre anni a tribolare per difetti gravi sulla copertura del fabbricato con copiose infiltrazioni di acqua su tutta la casa. Sembra che ora si sia trovata la strada per sanare la situazione, nonostante l'impresa venditrice abbia tentato in tutti i modi di sottrarsi dalle proprie responsabilità. Ora chiedo se posso chiedergli anche il risarcimento danni dovuto all'inefficienza del tetto come problemi ai mobili, bollette molto più esose del gas per far fronte all'umidità presente in casa ed eventuali danni morali causati dal costruttore per stress, telefonate, perizie, e tempi sempre molto dilatati da un operazione ad un'altra. Vi ringrazio anticipatamente, Tullio.”
Consulenza legale i 22/07/2011

Nell’art. 1669 del c.c. è prevista una forma di garanzia che importa la responsabilità extracontrattuale del costruttore-venditore nei confronti del committente o dell'acquirente per il verificarsi di gravi difetti dell'edificio o di altro immobile e per il pericolo di rovina, verificatesi nell’arco di dieci anni dalla costruzione.

Secondo la giurisprudenza di legittimità i gravi difetti sono ravvisabili, oltre che nell'ipotesi di rovina e di evidente pericolo di rovina, anche in presenza di fatti che, senza influire sulla stabilità,pregiudicano in modo grave la funzione cui l'immobile è destinato, potendosi, quindi, senz'altro far rientrare fra i gravi difetti rilevanti quelli inerenti alla realizzazione della copertura di un fabbricato (terrazza o tetto).

La suddetta forma di garanzia, come sopra descritta, è prescritta dalla legge, e vale indipendentemente da pattuizioni espresse, pertanto, nel caso di specie, l'opera dovrà considerarsi garantita per dieci anni dal suo compimento indipendentemente dalla sottoscrizione di una clausola contrattuale ad hoc.

In ordine alle pretese risarcitorie, chi agisce in via giudiziale per azionare la garanzia decennale, ha l’onere di dimostrare i danni subiti ai sensi dell'art. 2697 del c.c.. Dovranno pertanto dimostrarsi tutti i danni materiali subiti (rilevati grazie ad una relazione tecnica di parte o attraverso l’esperimento di un accertamento tecnico ante causa a norma dell’art. 696 del c.p.c.. Per i danni morali, tante l’art. 2058 del c.c., esistono molte difficoltà circa il loro riconoscimento in casi del genere.


mario chiede
giovedì 14/04/2011 - Puglia

“Buongiorno, vorrei delle delucidazioni circa le spese sostenute per la ristrutturazione dell'abitazione, più precisamente, se posso in qualche modo recuperarle qualora dovessi lasciare l'alloggio per vari motivi. Grazie”

Enrico M. chiede
venerdì 01/04/2011 - Lazio

“Salve, per la realizzazione di un parcheggio di circa 500 posti è stato inserito nel contratto che l'appaltatore rilasci a fine lavoro una decennale postuma. Il parcheggio è dotato di impianto d'illuminazione, videosorveglianza, diffusione sonora, drenaggio con vasca di depurazione, pavimentazione in autobloccanti, etc. con valore dell'appalto di 1,6 milioni. L'assicurazione dell'appaltatore sostiene che "la polizza postuma decennale ai sensi dell'art. 1669 c.c. si riferisce alla costruzione di edifici,infatti il rischio che la postuma va a garantire è la rovina in tutto o in parte dell'opera stessa che nel caso di un parcheggio non sopraelevato
non esisterebbe".
Grazie
Cordiali saluti”

Consulenza legale i 01/04/2011

Se il parcheggio in questione è interrato, poiché nel concetto di "edifici o di altre cose immobili destinate per loro natura a lunga durata" deve ricomprendersi senz'altro anche l'opera sotterranea, che può essere soggetta a rovina così come un edificio che si sopraelevi dal suolo, troverà applicazione la garanzia ex art. 1669 del c.c..


Francesco chiede
giovedì 31/03/2011 - Lombardia
“Buongiorno, il capannone di mia proprietà acquistato meno di 10 anni fa, presenta gravi vizi strutturali. Purtroppo la ditta appaltatrice è fallita, ho diritto di rivalermi sulla società che ha commissionato la costruzione e dalla quale ho acquistato l'immobile?”
Consulenza legale i 01/04/2011

L'art. 1669 del c.c. disciplina l'azione di responsabilità del committente o del suo avente causa verso l'appaltatore. Pertanto, il termine decennale previsto per la predetta azione non può trovare applicazione nei confronti del venditore, verso il quale varranno i termini più brevi della garanzia per vizi nella vendita (denunzia entro otto giorni dalla scoperta e prescrizione dell'azione dopo un anno dalla consegna, art. 1495 del c.c.).


Franco P. chiede
lunedì 28/02/2011 - Valle d'Aosta
“Buongiorno.
Sto provvedendo al rifacimento completo del tetto della casa di mia proprietà. Per legge, che garanzia in termini di durata dovrà fornire l'impresa costruttrice al termine dei lavori? Dovrà esserci una dichiarazione esplicita? Grazie”
Consulenza legale i 01/03/2011

Trattasi certamente di rapporto qualificabile come contratto di appalto in cui l’appaltatore deve adempiere correttamente la propria obbligazione, eseguendo l'opera conformemente al contratto e alle regole dell'arte.

L'art. 1667 del c.c. in particolare, disciplina la garanzia per le difformità ed i vizi dell'opera, assoggettandola a ristretti termini decadenziali (denuncia entro 60 giorni dalla scoperta di vizi - prescrizione dell’azione contro l’appaltatore in 2 anni dalla consegna dell’opera). Il contenuto della garanzia annovera l’eliminazione dei vizi a spese dell’appaltatore o la riduzione proporzionale del prezzo, salvo il risarcimento danni.
L’art. 1669 del c.c. invece, riguarda l’ipotesi di responsabilità extracontrattuale decennale del costruttore nei confronti del committente o dell'acquirente per gravi difetti dell'edificio o di altro immobile, ravvisabili - secondo la giurisprudenza di legittimità - oltre che nell'ipotesi di rovina e di evidente pericolo di rovina, anche in presenza di fatti che, senza influire sulla stabilità, pregiudicano in modo grave la funzione cui l'immobile è destinato.
Sotto il profilo considerato si possono senz'altro far rientrare fra i gravi difetti rilevanti quelli inerenti alla realizzazione della copertura di un fabbricato (terrazza o tetto). L'opera, pertanto, dovrà essere garantita per dieci anni dal suo compimento.
Le forme di garanzia, come sopra descritte, sono prescritte dalla legge, e valgono indipendentemente da pattuizioni espresse.


Teresa chiede
mercoledì 16/02/2011 - Lombardia
“Buongiorno, vivo in un condominio di nuova costruzione. Alcuni giorni fa abbiamo subito, da parte di ladri, furti dentro 9 box su 16. In strada non sono ancora state installate le illuminazioni e, rivolgendoci in Comune, abbiamo scoperto che le stesse le deve installare il costruttore. Vorrei sapere quanto tempo ha il costruttore per installare i lampioni della luce, premetto che il cantiere è ancora aperto in quanto deve costruire un altro condominio uguale al mio.Grazie Teresa”
Consulenza legale i 18/02/2011
La risposta al quesito necessita di conoscere quali impegni si è assunta l'impresa costruttrice nel contratto di appalto o nei contratti di compravendita delle singole unità immobiliari compravendute.

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