Questo articolo regola un requisito esistenziale per la rinuncia: quello della forma.
È noto che quando la legge esige che un determinato negozio deve esser fatto,
ad substantiam, in una speciale forma, è d’uopo ritenere che tale forma costituisca, per quel particolare negozio, un requisito, la cui mancanza determina la sua inesistenza; ciò è da dirsi per la rinuncia all’eredità, poiché la legge richiede che questa sia fatta in una forma stabilita, omessa la quale, la rinuncia è da ritenersi come non resa. Così disponendo, il legislatore si è allontanato dal diritto romano che ammetteva, al pari dell’accettazione, anche una rinuncia tacita, dedotta, cioè, dai fatti concludentisi nella
repudiatio che si contrapponeva all’
aditio. Per l’art. 519, che ripete la norma dell’art. #944# del codice del 1865, la rinuncia è non soltanto espressa ma anche
solenne; deve, cioè, esser fatta in una forma speciale che è la manifestazione di volontà resa innanzi ad un notaio o al cancelliere del tribunale del circondario in cui si è aperta la successione, il quale la riceve e la inserisce nel registro delle successioni.
Compiuta la formalità dell’inserzione in questo registro, null’altro occorre perché la rinuncia produca i suoi effetti; non è perciò necessaria la sua trascrizione presso l’ufficio delle ipoteche, nell’ipotesi, beninteso, che essa si riferisca ad eredità di beni immobili; e non è necessaria tale formalità poiché questa è imposta solo per le rinunce a diritti che già facciano parte del patrimonio del rinunciante e da lui siano dismessi, laddove la rinuncia ad accettare un’eredità è mera rinuncia alla facoltà di acquistare.
Il capoverso dell’articolo in esame sembra giustificare l’opinione che sia configurabile una
rinuncia contrattuale; in esso, infatti, si fa l’ipotesi di una rinuncia resa
gratuitamente a favore di tutti i successibili; ma, in realtà,
non si tratta né di un contratto né di un negozio giuridico bilaterale; per convincersene basta riflettere su questi due punti: primo, che la legge ha previsto l’ipotesi che il chiamato rinunci gratuitamente a favore di tutti coloro ai quali si sarebbe devoluta la quota sua, solo per precisare che in tal caso
non si ha accettazione dell’eredità; secondo, che - e questo è decisivo - la rinuncia resa dal chiamato, anche se non fosse stata fatta a favore dei successibili, avrebbe egualmente prodotto l’effetto di far acquistare a costoro la quota del rinunciante; non si tratta, quindi, di un effetto contrattuale.
La rinuncia, che è fatta a favore degli aventi diritto alla quota che si rende così vacante, non è efficace fino a quando, a cura di alcuna delle parti, non sia stata comunicata al notaio o al cancelliere ed inserita nel registro delle successioni.
Ma l’inefficacia della rinuncia, dichiarata dal capov. in esame, deve intendersi nei confronti solo dei terzi, creditori e legatari, oppure anche dei coeredi? La questione non è nuova, perché essa tenne divisa la dottrina che, nell’interpretare l’art. #938# del codice 1865, ora riteneva valida solo tra i coeredi una rinuncia gratuitamente fatta a favore di costoro, ora, invece, ne dichiarava la nullità anche nei rapporti interni.
Nel nuovo sistema successorio, dato il modo con cui è concepito il capov., riteniamo che non si possa neppure porre il problema se sia o no valida nei rapporti fra i coeredi una rinuncia fatta a favore di costoro senza le forme volute dal primo comma dello stesso art. 519. Ma il fatto che il chiamato abbia rinunciato contrattualmente a favore degli altri successibili, se non può far sorgere in costoro un diritto a considerare quello come rinunciante, può ritenersi come promessa di rinunciare, che obbligherebbe perciò il chiamato a compiere il repudio nelle forme di legge, o, in mancanza, al risarcimento dei danni? Sembrerebbe di no, sia perché la legge è chiara quando fa comprendere che la rinuncia non resa nelle forme volute è inefficace anche nei rapporti interni e sia perché ritenere quella pseudo-rinuncia come una promessa a rinunciare significa far derivare dalla volontà del chiamato un effetto che la legge ha inteso comunque escludere.