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Articolo 524 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 31/01/2024]

Impugnazione della rinunzia da parte dei creditori

Dispositivo dell'art. 524 Codice Civile

Se taluno rinunzia(1), benché senza frode, a un'eredità con danno dei suoi creditori(2), questi possono farsi autorizzare ad accettare(3) l'eredità in nome e luogo del rinunziante [2652 n. 1 c.c.], al solo scopo di soddisfarsi sui beni ereditari fino alla concorrenza dei loro crediti(4).

Il diritto dei creditori si prescrive in cinque anni dalla rinunzia [2934 ss. c.c.].

Note

(1) Primo presupposto è che vi sia stata una rinunzia vera e propria all'eredità: la norma non si applica laddove il chiamato abbia perso il diritto di accettare per fatti diversi dalla rinunzia (es. prescrizione del diritto di accettare, decorso del termine stabilito dal giudice per accettare ex art. 481 del c.c., etc...).
(2) Secondo presupposto è che la rinunzia abbia causato un danno ai creditori del rinunziante. Non è, invece, richiesta la frode, ossia la consapevolezza di arrecare tale danno.
(3) Concessa l'autorizzazione ad accettare, il rinunziante e i creditori che hanno esperito l'azione non divengono eredi poiché la rinunzia conserva i suoi effetti. I creditori hanno esclusivamente il diritto di soddisfarsi sui beni dell'eredità fino alla concorrenza del loro credito, l'eventuale rimanenza del patrimonio ereditario viene devoluta a norma di legge (v. art. 522 e 523 del c.c.).
(4) La domanda giudiziale esperita dai creditori del rinunziante va trascritta sia nei confronti del rinunziante che di colui al quale l'eredità è stata successivamente devoluta, che deve essere anch'esso citato in giudizio. Ove tale formalità non venga adempiuta, il conflitto tra i terzi aventi causa dell'accettante e i creditori del rinunziante si risolve a vantaggio dei primi, a prescindere dal fatto che l'acquisto di questi sia stato trascritto successivamente alla trascrizione della domanda giudiziale proposta contro il rinunziante.

Ratio Legis

Il chiamato, oberato di debiti, potrebbe essere indotto a rinunciare all'eredità sapendo che questa si devolverebbe, poi, a suoi stretti familiari. Ciò consentirebbe al rinunziante di conseguire un vantaggio, seppur indiretto, in danno delle ragioni dei suoi creditori.

Spiegazione dell'art. 524 Codice Civile

La rinuncia, oltre che riverberarsi, con i suoi effetti, sui successibili, può colpire i creditori di chi la fa, i quali vedono così sfuggire un elemento che avrebbe potuto costituire oggetto di un’azione esecutiva da parte loro. È in relazione a questa ipotesi che l’art. 524, anche se sostanzialmente mutato, corrisponde all’art. #949# del codice del 1865, in cui si disponeva: "I creditori di colui che rinuncia ad una eredità in pregiudizio dei loro diritti, possono farsi autorizzare giudizialmente ad accettarla in nome e luogo del loro debitore. In questo caso la rinuncia è annullata non in favore dell’erede che ha rinunciato, ma solamente a vantaggio dei suoi creditori e per la concorrenza dei loro crediti".
Vive dispute si agitavano in dottrina e in giurisprudenza per precisare la natura giuridica di questo potere non tanto per un’esigenza dogmatica quanto per la necessità di fissare i requisiti e le condizioni per il suo esercizio; infatti, a seconda che si fosse accolta l’una o l’altra o una diversa opinione, differenti erano i presupposti per l’applicazione dell’art. #949#, nel quale ora si voleva vedere un riflesso dell’art. 2901 (azione revocatoria), ora, invece, una conseguenza del principio stabilito dall’art. 2900 (surrogatoria), ora, infine, un’azione sui generis.

Tuttavia, quell'articolo non può identificarsi con nessuna delle due norme: non con l'art. 2901, perché qui si presuppone un atto (giuridico) compiuto dal debitore in frode dei suoi creditori, mentre l'art. #949# faceva l'ipotesi di un Tizio, debitore, che rinuncia all'eredità; identico era il trattamento fatto, in un'ipotesi analoga, dal diritto romano, il quale, com'è noto, non consentiva l'esercizio della pauliana per tutti quegli atti che non determinavano una diminuzione del patrimonio posseduto dal debitore, ma impedivano solo che esso aumentasse: 1.6, fr. D. quae in fraudem creditorum facta sunt ut restituantur, 42, 8: "pertinet hoc edictum ad deminuentes patrimonium suum non ad eos qui id agunt ne locuplentetur". A prescindere da tale rilievo, andava rilevato poi, contro la configurazione della pauliana nell'art. #949#, che, se requisito essenziale della prima è il consilium fraudis del debitore - sostanziantesi nel proposito (preso d'intesa o no con il terzo non conta, essendo ciò influente soltanto al fine di decidere la sorte del diritto del terzo che ha contrattato col debitore) di danneggiare i creditori - questo elemento poteva mancare, e spesso, nell'ipotesi prevista dall'art. #949#, perché non era da escludersi che il chiamato all'eredità si fosse indotto a rinunciare non già per frodare i suoi creditori, ma per motivi a lui particolari, per considerazioni d'indole morale o di carattere patrimoniale (come se, ad esempio, fosse convinto della passività dell'asse e così via dicendo).
Men che mai, poi, l'art. #949# poteva ritenersi un riflesso della surrogatoria, della facoltà, cioè, che, mediante questa, ogni creditore ha di far valere egli i diritti e le azioni spettanti ad un suo debitore negligente e dal cui mancato esercizio derivi un danno a lui stesso, che sul patrimonio del debitore ha una garanzia per i suoi diritti. Contro tale sussunzione del #949# sotto il 2900 si opponeva un solo e decisivo rilievo: se la rinuncia all'eredità pone chi l'ha compiuta nella medesima condizione di chi non v'è stato mai chiamato e se, di conseguenza, deve ritenersi che egli non abbia mai avuto alcun diritto sui beni ereditari, come si può concepire che i creditori esercitino in surrogatoria, cioè in sostituzione del debitore, un diritto che egli non ha?
La teoria che vede nel #949# un'azione sui generis va a priori respinta per la sua indeterminatezza.
Di conseguenza, si può affermare che l'art. #949# attribuiva ai creditori del debitore che, chiamato all'eredità, vi rinuncia e da tale suo atto deriva ai primi un danno - in quanto se i beni fossero acquisiti dal debitore, il suo patrimonio, garanzia dei creditori, ne sarebbe uscito rafforzato - un diritto proprio, autonomo a chiedere l'autorizzazione per accettare essi stessi l'eredità nei limiti e con gli effetti stabiliti dalla legge.

Come ha regolato quest'azione il nuovo codice delle successioni? Dall'articolo in esame si rileva che è stato soppresso l'inciso "con pregiudizio"; in altri termini, anche se il debitore rinuncia senza essere a ciò spinto da un animus fraudandi, purché si accerti, nei confronti dei suoi creditori, un danno consequenziale a tale rinuncia, costoro possono avvalersi dell’art. 524; l’articolo continua col precisare che i creditori possono farsi autorizzare ad accettare l’eredità in nome e luogo del rinunciante; su questo punto è possibile operare due rilievi: il primo, che è inesatto parlare di creditori che accettano l’eredità quando è indubbio che costoro non diventano eredi; il secondo, che è pure inesatto dire che essi possono compiere quell’accettazione in nome e luogo del rinunciante quando anche qui è certo che l’attribuzione dei beni ereditari è domandata dai creditori in nome proprio e non in nome del debitore. Comunque, il contenuto dell’art. 524, migliorato nei confronti dell’art. #949#, vuol dire, sostanzialmente, questo: quando da una rinuncia ad un’eredità compiuta da un debitore i creditori ne abbiano a risentire un danno - vi sia o no la frode, cioè l’animus fraudandi, nell’atto del rinunciante -, essi possono chiedere al giudice che i beni ereditari, anche se acquisiti da altro successibile, siano loro attribuiti allo scopo di soddisfarsi sui medesimi dei propri diritti e fino alla concorrenza dei medesimi.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

254 Il progetto, nell'art. 66, aveva risoluto espressamente la questione agitatasi nell'interpretazione dell'art. 949 del codice del 1865, e cioè se l'impugnazione della rinunzia da parte dei creditori sia subordinata alla prova del consilium fraudis del rinunziante o se invece basti soltanto l'estremo del pregiudizio. E' stata in contrario proposta una disciplina dell'impugnazione secondo i principi generali in tema di revocatoria. Senonché mi è sembrato preferibile tener fermo il criterio del progetto. Se infatti si prescinde dal pregiudizio teorico della sistemazione di questo istituto negli schemi dell'azione revocatoria o della surrogatoria, si vedrà che praticamente il requisito della frode del rinunziante non opportuno che sia richiesto. Un'efficace tutela dei creditori anteriori alla rinunzia può e deve essere realizzata indipendentemente dall'animus del rinunziante e solo in base all'estremo obbiettivo del danno. Qui non si tratta di tutelare aspettative di terzi, ché altrimenti si dovrebbe richiedere la frode di coloro ai quali l'eredità è devoluta in luogo del rinunziante, il che invece è inconcepibile; non vi è quindi ragione alcuna, sotto il profilo pratico, di condizionare la tutela dei creditori, oltre che al danno, anche alla frode del rinunziante. Del resto l'esercizio del diritto dei creditori, previsto da questo articolo, importa non già il venire meno della rinunzia e tanto meno l'acquisto della qualità di erede da parte dei creditori, ma solo il potere di questi di aggredire i beni ereditari, che residuano dopo il pagamento dei creditori dell'eredità, per il soddisfacimento delle loro ragioni. Se, in base a questa disciplina, si concluderà che l'azione in parola non rientra negli schemi della surrogatoria o della pauliana, poco male. Quel che importa è che la disciplina sia adeguata alle esigenze pratiche e alla necessità di equa composizione degli interessi in conflitto. Per evitare equivoci, ho soppresso nell'art. 524 del c.c. il riferimento alla dichiarazione d'inefficacia della rinunzia nei confronti dei creditori, che sarebbe stata puramente preliminare e avrebbe invece potuto far pensare a un richiamo delle norme sulla revocatoria. Ho, inoltre, nel nuovo testo eliminato il secondo comma, che ripeteva il n. 1 dell'art. 2652, e limitato nel tempo, assoggettandolo alla prescrizione di cinque anni, il diritto dei creditori a chiedere l'autorizzazione ad accettare l'eredità.

Massime relative all'art. 524 Codice Civile

Cass. civ. n. 7557/2022

L'azione per ottenere l'autorizzazione ad accettare l'eredita in nome ed in luogo del debitore rinunziante ha una mera funzione strumentale per il soddisfacimento del credito, e non è perciò necessario che il credito stesso si presenti con le caratteristiche dell'esigibilità e della liquidità, ma é sufficiente che, analogamente a quanto avviene per l'azione surrogatoria e per la revocatoria, sussista una ragione di credito, anche se non ancora accertata nel suo preciso ammontare, e persino eventuale e condizionata.

Cass. civ. n. 24524/2021

In tema di successione "mortis causa", ove il chiamato all'eredità vi abbia rinunciato, il creditore di questi che ne risulti pregiudicato può impugnare la rinuncia ai sensi dell'art. 524 c.c., onde ottenerne la declaratoria di inefficacia nei suoi confronti e così agire sul patrimonio ereditario, fino a concorrenza delle proprie ragioni, senza che il chiamato stesso acquisisca la qualità di erede. Pertanto, non può neanche in astratto configurarsi un pregiudizio a carico del predetto creditore - in relazione ad un accordo fra rinunciante e chiamati per rappresentazione, finalizzato a circoscrivere o limitare nei soli rapporti interni l'efficacia della rinuncia - non potendo egli pretendere, al di là della tutela offertagli dal citato art. 524 c.c., che il proprio debitore acquisisca il titolo di erede in luogo dei chiamati di ordine successivo.

Cass. civ. n. 15664/2020

L'azione ex art. 524 c.c. è ammissibile unicamente ove i creditori abbiano richiesto, ai sensi dell'art. 481 c.c., la fissazione di un termine entro il quale il chiamato dichiari se accetta o rinuncia all'eredità quando non sia ancora maturata la prescrizione del diritto di accettare l'eredità ex art. 480 c.c. In caso contrario si finirebbe, per rimettere impropriamente in termini i creditori, anche con evidente pregiudizio dei successivi accettanti che confidano nella decorrenza di un termine prescrizionale per l'azione dei creditori inferiore a quello ordinario decennale.

Cass. civ. n. 5994/2020

Per l'impugnazione della rinuncia ereditaria ai sensi dell'art. 524 c.c. il presupposto oggettivo è costituito unicamente dal prevedibile danno ai creditori, che si verifica quando, al momento dell'esercizio dell'azione, i beni personali del rinunziante appaiono insufficienti a soddisfare del tutto i suoi creditori; ove dimostrata da parte del creditore impugnante l'idoneità della rinuncia a recare pregiudizio alle sue ragioni, grava sul debitore provare che, nonostante la rinuncia, il suo residuo patrimonio è in grado di soddisfare il credito dell'attore. (Rigetta, CORTE D'APPELLO FIRENZE, 07/11/2016).

Cass. civ. n. 8519/2016

Per l'impugnazione della rinunzia ereditaria ai sensi dell'art. 524 c.c., è richiesto il solo presupposto oggettivo del prevedibile danno ai creditori, che si verifica quando, al momento dell'esercizio dell'azione, fondate ragioni (nella specie, l'intervenuta dichiarazione di fallimento) facciano apparire i beni personali del rinunziante insufficienti a soddisfare del tutto i suoi creditori.

Cass. civ. n. 20562/2008

L'azione ex art. 524 cod. civ., mediante la quale i creditori del rinunciante all'eredità chiedono di essere autorizzati all'accettazione con beneficio d'inventario, in nome e luogo del rinunciante stesso, non può essere esperita quando la rinuncia provenga dal legittimario pretermesso, non potendo quest'ultimo essere qualificato chiamato all'eredità, prima dell'accoglimento dell'azione di riduzione che abbia rimosso l'efficacia preclusiva delle disposizioni testamentarie.

Cass. civ. n. 7735/2007

In caso di rinuncia all'eredità o di inutile decorso del termine all'uopo fissato, per impugnare la rinuncia e renderla inefficace i creditori debbono esperire l'azione prevista dall'art. 524 c.c., proponendo e trascrivendo la domanda anche nei confronti di chi si affermi quale avente causa degli altri chiamati all'eredità rispetto al medesimo immobile. Poiché tale azione produce in rapporto ai creditori del chiamato rinunciante i sostanziali effetti dell'azione revocatoria, al sequestro richiesto per assicurare gli effetti dell'accoglimento della domanda prevista dall'art. 524 applicabile la disciplina dettata dall'art. 2905 c.c., potendosi trascrivere il sequestro tanto nei confronti del dante causa del debitore che nei confronti di quest'ultimo al solo scopo di far accertare l'esistenza del credito vantato verso di lui; non è invece idonea al medesimo fine la semplice richiesta di sequestro conservativo dei beni oggetto della delazione ereditaria, atteso che verrebbe altrimenti elusa la disciplina degli effetti della trascrizione, la quale ha riguardo a situazioni tipiche, e considerato che detti beni non appartengono a chi è chiamato all'eredità. (Fattispecie anteriore all'entrata in vigore delle norme sul procedimento cautelare uniforme).

Cass. civ. n. 17866/2003

Il debitore rinunciante all'eredità è il solo soggetto passivamente legittimato all'azione intentata dai creditori ex art. 524 c.c., con la conseguenza che, al suo decesso, legittimato passivo risulta il suo erede quale persona che gli succede in universum ius, e, quindi, nella situazione di debitore rinunciante all'eredità, da cui scaturisce la legittimazione passiva de qua.

Cass. civ. n. 3548/1995

L'azione esercitata dal creditore ai sensi dell'art. 524 c.c. per essere autorizzato ad accettare l'eredità in nome ed in luogo del debitore rinunziante ha una funzione strumentale per il soddisfacimento del credito, in quanto mira a rendere inopponibile al creditore la rinunzia e a consentirgli di agire sul patrimonio ereditario, rendendogli estranea la delazione del terzo chiamato per effetto della rinunzia da lui impugnata. Ne deriva che la legittimazione passiva spetta unicamente al debitore rinunciante, mentre i successivi chiamati che hanno accettato l'eredità possono considerarsi portatori di un interesse idoneo a consentire unicamente un intervento in causa adesivo dipendente, per sostenere le ragioni del debitore rinunziante, senza poter proporre domande proprie, diverse da quella di appoggio alla domanda della parte adiuvata.

Cass. civ. n. 2394/1974

Per l'esercizio dell'impugnazione della rinunzia ad un'eredità da parte dei creditori è richiesto un unico presupposto di carattere oggettivo, ossia che la rinunzia all'eredità da parte del debitore importi un danno per i suoi creditori, in quanto il suo patrimonio personale non basti a soddisfarli e l'eredità presenti un attivo. Non è necessario che siano consapevoli di tale danno i successivi chiamati all'eredità, i quali, a seguito della rinunzia del primo, l'abbiano accettata; né è necessario che la rinunzia all'eredità sia stata preordinata allo specifico scopo d'impedire ai creditori di soddisfarsi, e neppure occorre da parte del debitore la consapevolezza del pregiudizio loro arrecato. Quanto al presupposto del danno, basta che al momento della proposizione dell'azione di cui all'art. 524 c.c. il danno sia sicuramente prevedibile, nel senso che ricorrano fondate ragioni per ritenere per i beni personali del debitore possano non risultare sufficienti per soddisfare del tutto i suoi creditori. Diversamente dalla revocatoria, l'impugnazione della rinunzia da parte del debitore ad un'eredità di cui all'art. 524 c.c. non mira a rendere inefficace un atto di disposizione del patrimonio del debitore, che abbia ridotto la garanzia generica dei suoi creditori, in quanto, non avendo la delazione ereditaria natura patrimoniale, non essendo cioè un bene del patrimonio del chiamato, al quale attribuisce soltanto un potere, la di lui rinunzia non costituisce un atto di rinunzia in senso proprio, ma un semplice rifiuto, e non produce l'effetto della dismissione di beni entrati nel suo patrimonio, ma quello d'impedirne l'ingresso. L'azione dei creditori per farsi autorizzare ad accettare l'eredità in nome e luogo del debitore rinunziante (art. 524 c.c.), differisce dalla surrogatoria, giacché non mira a far entrare i beni dell'eredità rinunziata nel patrimonio del debitore, il quale per effetto di essa non li acquista nemmeno fino alla concorrenza dei crediti fatti valere, e tuttavia risulta più vantaggiosa per i creditori che non l'azione surrogatoria, il cui esercizio non sarebbe ipotizzabile in caso di rinunzia non revocabile a norma dell'art. 525 c.c. I creditori, prima di esercitare l'azione di impugnazione della rinunzia all'eredità da parte del debitore, cui all'art. 524 c.c. non sono tenuti ad interpellare i successivi chiamati ed accettanti l'eredità, per sapere se intendano pagare i debiti del rinunziante, né costoro hanno un diritto di poter vendere essi stessi i beni ereditari, per poter esercitare la facoltà di provvedere a un tale pagamento mediante il ricavato.

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Consulenze legali
relative all'articolo 524 Codice Civile

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L. M. C. chiede
lunedì 29/08/2022 - Sicilia
“ho eseguito un lavoro per una mia cliente che non mi ha pagato.
alla sua morte mi sono rivolto ai figli i quali mi hanno detto di avere rinunciato alla eredità della madre. La stessa cosa ha fatto il marito.
ho però saputo che la mia cliente in vita , con atto pubblico (ed ho copia dell'atto) ha donato "IN CONTO DI QUOTA DI LEGITTIMA E PER L'EVENTUALE ESUBERO SULLA DISPONIBILE DELLA SUA FUTURA SUCCESSIONE, IRREVOCABILMENTE DONA ALLA FIGLIA Tizia CHE CON ANIMO GRATO ACCETTA ... LA PIENA PROPRIETA' DI UNA CASA ".
Ora chiedo:
la figlia è erede o meno della defunta madre ?
tale condizione deve essere accertata e pronunciata dal tribunale?
Se la figlia dovesse già essere erede, posso direttamente chiedere le somme alla figlia ed eventualmente pignorare la casa?
Ringrazio”
Consulenza legale i 04/09/2022
Secondo quanto disposto dall’art. 519 del c.c. la rinuncia all’eredità è un atto formale, che va compiuto mediante dichiarazione resa dinanzi ad un notaio ovvero dinanzi al Cancelliere addetto al Tribunale del luogo di apertura della successione (coincidente con l’ultimo domicilio del defunto).
Ciò significa che non è sufficiente che coloro che si trovano nella posizione di chiamati all’eredità dichiarino semplicemente e verbalmente di aver rinunciato all’eredità, ma occorre che gli stessi producano, a chi ne ha interesse, un formale atto di rinuncia, ricevuto da uno dei predetti pubblici ufficiali.

A tal fine, il primo passo che si suggerisce di compiere è quello di far pervenire all’indirizzo dei chiamati all’eredità della debitrice una formale diffida ad adempiere, con invito ad esibire eventuali atti di rinunzia all’eredità.
Qualora non adempiano a quest’ultimo invito, sarà certamente possibile agire contro gli stessi per il soddisfacimento del proprio credito, non essendo stata fornita alcuna prova della asserita rinunzia all’eredità.
A quel punto, sarà onere della controparte dare prova dell’avvenuta rinuncia, in difetto della quale non ci si potrà sottrarre all’obbligo di pagare i debiti della defunta, con il rischio, peraltro, di non potersi più avvalere della dichiarazione di accettazione con beneficio di inventario, essendo stati nel frattempo posti in essere atti di accettazione tacita dell’eredità.

Si ricorda, infatti, che secondo quanto espressamente disposto dall’art. 476 del c.c., si configura accettazione tacita dell’eredità tutte le volte in cui il chiamato all’eredità compie un atto che presuppone necessariamente la volontà di accettare e che non avrebbe il diritto di compiere se non nella qualità di erede; inoltre, l’art. 486 c.c. consente al chiamato all’eredità, che si trova nel possesso dei beni ereditari, di stare in giudizio come convenuto per rappresentare l’eredità soltanto nell’arco temporale fissato dall’art. 485 del c.c. per redigere l’inventario.

Qualora, invece, nulla di tutto ciò dovesse accadere ed i chiamati all’eredità dovessero esibire l’atto di rinuncia richiesto, purtroppo l’unico strumento di cui ci si potrebbe eventualmente avvalere è quello della revoca dell’atto di donazione, effettuato in vita dalla defunta in favore della figlia.
Si tratta di un’azione certamente complessa, per effetto della quale il giudice investito della relativa causa è chiamato ad accertare se la donazione ha avuto un fine fraudolento, se cioè è stata rivolta a sottrarre ai creditori i beni dal patrimonio del debitore per evitarne il pignoramento.
Se così fosse, la donazione diventerebbe inefficace per il creditore procedente (non per gli altri), il quale potrà pignorare l’immobile nonostante il passaggio di proprietà.

Come si è anticipato, si tratta di un’azione che presenta una certa complessità, sia perché il creditore deve agire entro un termine massimo di cinque anni dal rogito (anche se è venuto a conoscenza in ritardo della donazione), sia sotto il profilo dell’onere probatorio, in quanto occorrerà fornire la prova dell’intento fraudolento del debitore.
In particolare, secondo un orientamento fatto proprio dalla giurisprudenza di legittimità, la prova di tale intento fraudolento può ricavarsi dal fatto stesso che, a seguito della donazione, il patrimonio del donante si sia ridotto in modo da impedire ogni possibile e utile pignoramento (il pregiudizio, dunque, sarebbe implicito e scontato nel fatto di essere rimasto “nullatenente” o quasi).
Volendo esemplificare, si può pensare di esperire l’azione revocatoria nei confronti di una persona che dona l’unica casa al figlio e non ha altri beni come un conto corrente di pari valore, mentre non è consigliabile avviare detta azione nei confronti di chi ha un debito di centomila euro e dona una casa del valore di trecentomila euro ma rimane proprietario di un’altra del valore di duecentomila euro.

Diversa, invece, sarebbe stata la situazione allorché si fosse trattato di debito personale dell’erede rinunziante, nel qual caso, infatti, sarebbe stato possibile avvalersi del disposto di cui all’art. 524 c.c., norma che consente al creditore di impugnare la rinuncia che il proprio debitore ha fatto, benchè senza frode, ad una eredità, facendosi così autorizzare ad accettare l’eredità in nome e luogo del rinunziante, al solo scopo di soddisfarsi sui beni ereditari fino alla concorrenza del proprio credito.

Infine, va precisato che nessuna rilevanza, ai fini che qui interessano, può assumere la circostanza che una delle figlie chiamata all’eredità e rinunziante sia stata beneficiaria di un atto di donazione posto in essere in vita dalla de cuius, valendo per tale ipotesi il disposto di cui all’art. 552 del c.c., norma che consente al legittimario che rinunzia all'eredità, quando non si ha rappresentazione, di ritenere “sulla disponibile” le donazioni o conseguire i legati a lui fatti.
La precisazione “sulla disponibile” nonché l’ulteriore precisazione contenuta nella seconda parte della norma deve intendersi riferita soltanto ai rapporti con gli altri legittimari, mentre non può valere nei confronti di eventuali creditori ereditari.
Un’ulteriore conferma di quanto appena detto, peraltro, si ricava, seppure indirettamente, dal disposto di cui all’ultimo comma dell’art. 557 del c.c., norma che consente ai creditori del defunto di agire in riduzione soltanto nei confronti di colui che abbia assunto la posizione di erede e che non si sia avvalso dell’accettazione beneficiata.

R. T. chiede
lunedì 01/08/2022 - Piemonte
“Buongiorno, Tizia deve ereditare da una sorella deceduta (più eredi tra fratelli e sorelle), ha una situazione debitoria nei confronti di banche e stato (equitalia, inps, inail ecc.) può in qualche modo accettare l'eredità (circa 30.000 euro) senza che i creditori aggrediscono il patrimonio (debiti molto superiori alla cifra ereditabile)?
Potrebbe prelevare tutti i fondi o acquistare una polizza previdenziale inpignorabile ( art. 1923 c.c. ) o altro a tutele del patrimonio da ereditare?
In caso di rinuncia all'eredità deve rinunciare solo lei o anche i figli (maggiorenni) , il nipote (minorenne) e il marito?
Grazie”
Consulenza legale i 09/08/2022
Il caso che si chiede di analizzare descrive, purtroppo, una fattispecie molto comune ai nostri giorni, dovuta alla situazione di particolare crisi economica che si sta vivendo.
Il codice civile prevede in effetti che il creditore possa pignorare anche la quota ereditaria, ma per fare ciò occorre che colui che si trova nella posizione di semplice chiamato abbia manifestato la volontà di accettare l’eredità.
Solo con l’accettazione si verifica un passaggio (successione) di beni e diritti dal patrimonio del defunto al patrimonio dell’erede (seppure pro quota nel caso di pluralità di chiamati all’eredità), con conseguente diritto per il creditore del singolo erede di aggredire la quota di cui lo stesso erede è divenuto proprietario iure successionis.

Quanto appena detto può far giungere alla conclusione che sarebbe sufficiente rinunciare alla chiamata ereditaria per lasciare i propri creditori a mani vuote, ma in realtà non è così, in quanto lo stesso codice civile detta, in materia di successione, una norma a tutela dei creditori, volta proprio a prevenire tale ipotesi.
Si tratta dell’art. 524 c.c., norma che riconosce ai creditori il diritto di impugnare la rinuncia del proprio debitore, benchè fatta senza frode in danno degli stessi creditori.
In particolare, attraverso l’esercizio di detta azione i creditori vengono autorizzati ad accettare l’eredità in nome e luogo del rinunziante al solo fine di potersi soddisfare sui beni ereditari fino alla concorrenza dei loro crediti.
L’ultimo comma della norma fissa in cinque anni, dal compimento dell’atto di rinunzia, il termine per l’esercizio dell’azione di impugnazione.

In considerazione del fatto che la norma sopra citata richiede quale presupposto per l’esercizio dell’azione la dichiarazione di rinunzia, nella prassi era stata escogitata la soluzione di far decorrere il termine decennale di prescrizione del diritto di accettare l’eredità senza manifestare alcuna volontà (in questo modo non vi sarebbe stato un atto da impugnare).
Tuttavia, anche questa soluzione è stata presa in considerazione dalla giurisprudenza, e precisamente dalla Corte di Cassazione, Sez. VI, ordinanza n. 33479 dell’11.11.2021, nella quale la S.C. ha tenuto a precisare che il rimedio previsto dall’art. 524 c.c. è utilizzabile dai creditori non solo in presenza di una rinuncia formale all’eredità da parte del chiamato, ma anche nel caso in cui quest’ultimo non dichiari di accettarla in seguito all’esperimento della c.d. actio interrogatoria ex art. 481 del c.c., essendo le due ipotesi assimilabili dal punto di vista del pregiudizio arrecato alle ragioni dei creditori del chiamato.

Si ricorda, infatti, che l’art. 481 c.c. attribuisce a “chiunque” vi abbia interesse l’esercizio dell’azione per la fissazione di un termine (c.d. actio interrogatoria) per accettare l’eredità, con la conseguenza che la legittimazione attiva compete dapprima ai chiamati ulteriori (per i quali costituisce l’unico mezzo per evitare la prescrizione del diritto di accettare ai sensi del comma 3 dell’art. 480 del c.c.), ma anche ai creditori personali del chiamato (per il loro interesse ad una accettazione pura e semplice di una eredità in bonis) ed ai creditori ereditari (per l’interesse ad agire sull’eventuale patrimonio personale dell’erede in caso di eredità passiva).

Pertanto, anche l’eventuale soluzione di far semplicemente decadere il chiamato all’eredità debitore dal diritto di accettare l’eredità, fissandogli un termine per accettare, senza così dover manifestare una espressa volontà di rinuncia, non consentirebbe di raggiungere il risultato sperato, avendo la giurisprudenza ritenuto che anche la mancata dichiarazione di accettazione sia capace di arrecare pregiudizio alle ragioni dei creditori.

Nulla, invece, avrebbero potuto eccepire i creditori allorchè la de cuius avesse disposto per testamento dei suoi beni, nominando eredi anziché la figlia (persona gravata di debiti) i figli maggiorenni della medesima (nonché suoi nipoti) o anche il di lei coniuge.
In questo caso, infatti, non vi sarebbe stata alcuna chiamata ereditaria a cui rinunciare, come tale aggredibile dai creditori secondo quanto detto sopra.
Peraltro, non si sarebbe posto neppure alcun problema di lesione di eventuali quote di riserva, in quanto, stando a ciò che viene riferito nel quesito, chiamati per legge all’eredità sono soltanto fratelli e sorelle, i quali non rientrano nella categoria dei legittimari di cui all’art. 536 del c.c. (tale norma riserva una quota intangibile di eredità soltanto in favore di coniuge, figli e ascendenti del de cuius, soggetti non presenti nel caso di specie).

Neppure consentirebbe di raggiungere il risultato sperato la soluzione di accettare l’eredità ed impiegare le somme a tal titolo conseguite nell’acquisto di una polizza previdenziale, come tale impignorabile ed insequestrabile secondo il disposto di cui all’art. 1923 del c.c..
Infatti, è sufficiente leggere con maggiore attenzione l’art. 1923 c.c. per rendersi conto che il divieto di sottoposizione ad azione esecutiva o cautelare riguarda le somme dovute dall’assicuratore sia al contraente che al beneficiario, mentre il secondo comma tiene a precisare che, con riferimento ai premi pagati, devono comunque intendersi fatte salve le disposizioni relative alla revocazione degli atti compiuti in pregiudizio dei creditori oltre a quelle relative alla collazione, imputazione e riduzione delle donazioni.
In sostanza, con il secondo comma dell’art. 1923 c.c. si mira ad impedire proprio ciò che qui si vorrebbe compiere, ovvero che il depauperamento che il patrimonio del contraente subisce per effetto del pagamento dei premi (sia esso avvenuto in unica soluzione o in più rate) possa cagionare lesione dei diritti dei creditori ed eredi del contraente medesimo.

Contemperando l'esigenza di preservare le somme dovute dall'assicuratore da ogni azione cautelare ed esecutiva con quella di tutela degli interessi dei creditori, che siano stati defraudati dei loro diritti, è consentito a questi ultimi esperire l'azione revocatoria ordinaria ( artt. 2901 e ss. c.c.) e fallimentare (artt. 64 e ss. L. fall.), nei limiti dell'importo dei premi pagati e sempre che ne sussistano i presupposti fissati per legge.

Pertanto, scartata la soluzione della rinuncia (attaccabile dai creditori ex art. 524 c.c.) che quella della polizza previdenziale (secondo quanto disposto dal secondo comma dell’art. 1923 c.c.), non rimane altra speranza che quella di ritrovare un testamento della de cuius che istituisca eredi i figli della debitrice, oltre agli altri fratelli e sorelle.
Alla domanda se “In caso di rinuncia all'eredità deve rinunciare solo lei o anche i figli ( maggiorenni) , il nipote (minorenne) e il marito?” può rispondersi dicendo che eventualmente dovrebbero rinunciare anche i figli, subentranti per rappresentazione, ma non il coniuge (al quale non compete alcun diritto successorio sul patrimonio della de cuius), dovendosi tuttavia precisare che la rinuncia dei figli sarebbe in ogni caso improduttiva di effetti allorchè i creditori decidessero di avvalersi del disposto di cui all’art 524 c.c.

A. S. chiede
mercoledì 10/01/2018 - Lombardia
“EREDITA

Mio nonno è morto sei anni fa. Entro tre mesi dalla sua morte mia madre ha fatto rinuncia dell'eredità perché debitrice di Equitalia per sanzioni tributarie. Nell'asse ereditario sono finito io. L'unica proprietà rimasta è una casa, andata a finire al 50% a mia nonna, al 25 io e al 25 al primo figlio dei miei nonni (zio).

Il 31 dicembre 2016 viene a mancare mia nonna, ora abbiamo il 50 io e il 50 mio zio. La proprietà della casa a me inciampa, inoltre mia madre aveva alcuni debiti con mio zio, ragione per cui siamo d'accordo che io ceda il 50% a mio zio per il residuo tra il valore della casa e i debiti fra fratelli.

Il fatto è che mio zio teme che equitalia possa attaccarsi alla mia eredità nonostante io sia un nucleo familiare a parte, nonostante io non voglia l'eredità di mia madre e nonostante l'art. 472/97

Equitalia può attaccarsi alla mia eredità dunque? Se io vendessi a mio zio, poi loro potrebbero attaccarsi alla casa? Loro vogliono aspettare 5 anni ma a me costa troppo.”
Consulenza legale i 16/01/2018
La norma che disciplina questo caso è l’art. 524 c.c., il quale prevede che nell’ipotesi in cui la rinuncia all’eredità, sebbene fatta senza alcun intento fraudolento, procuri un danno ai creditori del rinunciante, gli stessi creditori possono farsi autorizzare ad accettare l’eredità in nome e per conto del rinunciante, al solo scopo di soddisfarsi sui beni ereditari e fino alla concorrenza del loro credito.

Tale azione però ha un limite temporale, fissato in cinque anni da quando è stata manifestata, secondo le forme di legge, la volontà di rinunciare all’eredità.
Quindi, si tratta di azione oramai prescritta per la quota di eredità del nonno (deceduto sei anni fa), ma ancora esercitabile per quella della nonna, pari al 25% dell’immobile caduto in successione.

Sotto il profilo prettamente giuridico, va detto che non si tratta né di una applicazione dell’azione revocatoria (non è diretta contro un atto dispositivo del patrimonio del debitore sul quale i suoi creditori contavano) né di quella surrogatoria (viene esercitata iure proprio, anche quando il rinunciante non possa più accettare ex art. 525 c.c. per esservi stato acquisto da parte di altri).
Risultato di tale azione non sarà l’annullamento della rinunzia, ma solo quello di consentire al creditore che l’ha esercitata di sottoporre ad espropriazione i beni ereditari, ancorché siano stati acquistati da altri, come se si fossero trasferiti sottoposti a vincolo per debito altrui.
Nel nostro caso, dunque, Equitalia potrebbe sottoporre ad espropriazione soltanto una quota pari al 25% dell’intero immobile.

Ora, ciò che anzitutto preme osservare è che di tale azione il creditore Equitalia non si sarebbe potuto avvalere allorché la quota di eredità della nonna fosse pervenuta alla nipote per successione testamentaria, non potendo essere esperita nel caso di legittimario pretermesso; quest’ultimo, infatti, non assume la posizione di chiamato all’eredità prima dell’accoglimento dell’eventuale azione di riduzione che abbia rimosso l’efficacia preclusiva delle disposizioni testamentarie.
Ciò significa che sarebbe stato sufficiente che la nonna avesse redatto testamento direttamente in favore della nipote e che la figlia pretermessa non avesse esercitato l’azione di riduzione, per far sì che il legittimario pretermesso non assumesse neppure la qualità di chiamato all’eredità; questo avrebbe impedito al creditore di agire ex art. 524 c.c. e reso il bene liberamente alienabile in favore dello zio (si tratterebbe in realtà di una frode fatta per testamento ai creditori del legittimario pretermesso, ma pur sempre valida).

Le cose, purtroppo, sembra che stiano diversamente, essendovi stato anche in seguito alla morte della nonna una rinunzia all’eredità da parte della figlia, debitrice di Equitalia, che legittima dunque il ricorso all’art. 524 c.c. da parte del creditore.

A questo punto le strade percorribili si ritiene che siano essenzialmente due:

a) se non vi è ancora stata alcuna rinuncia formale, si potrebbe far fissare al chiamato (figlia del de cuius) un termine per accettare ex art. 481 c.c. e lasciare trascorrere inutilmente tale termine.
Ciò comporterà la prescrizione del diritto di accettare l’eredità, con la conseguenza che, non essendovi stato un vero e proprio atto di rinuncia, il creditore non avrà alcunché da impugnare (in tal senso Tribunale di Benevento, Sezione I civile, sentenza 4 ottobre 2015, che richiama l’orientamento positivo della giurisprudenza di legittimità su tale argomento).

b) se invece è stato già posto in essere un formale atto di rinunzia (presso la Cancelleria del Tribunale competente o dinanzi ad un notaio), non resterà altra soluzione che quella di proporre allo zio di stipulare ugualmente un contratto di compravendita, modificando il regime delle garanzie.
In particolare, potrebbe convenirsi nel corpo dello stesso atto di compravendita che, nell’ipotesi in cui Equitalia decidesse di avvalersi, entro il termine di 5 anni, dell’azione di cui all’ art. 524 c.c., la parte venditrice si obbligherebbe a tenere indenne il compratore di tutte le conseguenze che potrebbero derivare dall’esercizio di quell’azione.

In un’ipotesi del genere sarebbe opportuno cercare di anticipare i tempi, ossia far sì che nel momento in cui Equitalia manifestasse l’intenzione di impugnare la rinunzia, si potrebbe proporre di offrire una somma di denaro pari al valore, risultante possibilmente da perizia, della quota che andrebbe soggetta ad espropriazione (25% dell’immobile), e ciò al fine di evitarne il pignoramento.
Equitalia dovrebbe, in base al principio di correttezza, cercare di agevolare in tutti i modi l’accordo, preferendo una risoluzione stragiudiziale molto più agevole ed economica, evitando un processo inutile che porterebbe alla espropriazione di una quota indivisa, che non sarà mai venduta all’asta e da cui non potrà ricavare alcunché (nel corso dell’anno 2016, il Tribunale e successivamente la Corte d’Appello di Perugia hanno condannato Equitalia per aver assunto, in un caso analogo, un atteggiamento dilatorio ed ostruzionistico nel non aver agevolato l’accordo).

Si tenga conto, comunque, che solitamente gli enti creditori quali Banche o la stessa Equitalia, tendono ad aggredire quei beni di cui il debitore è proprietario e quali risultano dai pubblici registri, ossia Conservatoria dei Registri immobiliari e Pubblico Registro automobilistico, per cui difficilmente potrebbe venire a conoscenza di quella rinunzia all’eredità che ha solo procurato un mancato acquisto nel patrimonio del proprio debitore.

Al di là di quanto suggerito, purtroppo, non si riescono a ravvisare altri strumenti per spogliarsi nell’immediato della quota ereditaria su quell’immobile, senza correre il rischio di una sua espropriazione entro il termine di cinque anni.

Infine, occorre prendere in esame un ultimo aspetto del quesito.
Si dice che si avrebbe intenzione di cedere allo zio la propria quota sull’immobile anche per estinguere la posizione debitoria della propria madre.
Ora, qualora si volesse conseguire un documento certo della estinzione di tale debito e quest’ultimo possa farsi constare da un atto di data certa, tale risultato potrebbe raggiungersi avvalendosi dell’istituto giuridico dell’adempimento del terzo (art. 1180 c.c.), ossia facendo risultare dallo stesso atto di compravendita che la somma versata a titolo di corrispettivo per la vendita viene compensata totalmente o parzialmente con il debito della sorella.
Quest’ultima dovrebbe pure intervenire nell’atto di compravendita, manifestando la sua volontà di aderire all’adempimento offerto dal terzo.
Se invece il debito non risulta da alcun documento scritto, allora non resta altra soluzione che quella di regolare privatamente la posizione debitoria.

Sergio V. chiede
giovedì 30/06/2016 - Piemonte
“Buongiorno, Vi pongo il mio quesito.
Nel 2006 è deceduto mio padre. La casa è andata in successione agli eredi: mia madre, mio fratello ed io. La quota spettantemi è pari ad 1/6. Nel contempo ho avuto problemi con Equitalia per cartelle esattoriali non pagate (sono un libero professionista). Nel 2009 Equitalia iscrive ipoteca sulla parte della casa per un importo di Euro 140.000 a fronte di un debito di Euro 70.000.
Il 27/07/2015 è deceduta anche mia madre. Come eredi siamo rimasti mio fratello ed io. Premetto che sono divorziato da oltre 20 anni e non ho figli ne altri eredi.
Il 7/10/2015 ho rinunciato all’eredità, con atto presso il Tribunale, sia nei confronti della quota di mio padre (ero entro il termine di 10 anni), sia di quella di mia madre.
Ora mio fratello vorrebbe vendere la casa ma una indagine del notaio ha evidenziato l’iscrizione dell’ipoteca di Equitalia (della quale ero all’oscuro).
Mi è stato prospettato (da un legale di fiducia) di richiedere la cancellazione dell’ipoteca in sede di rogito versando 1/6 (pari alla quota di eredità dalla morte di mio padre) calcolato moltiplicando per tre la rendita catastale rivalutata e ricavando appunto un sesto di tale valore (prassi di Equitalia).
La domanda è:
• è possibile che venga accettata una proposta di questo tipo?
I miei dubbi sono molti, non vorrei peggiorare le cose ed in particolare:
1. Equitalia potrebbe impugnare la rinuncia all’eredità della quota di mia madre?
2. Nel frattempo il debito con Equitalia è aumentato, cosa può succedere?

Faccio presente che nella casa in questione ho la residenza anagrafica, non è di lusso, non ho altre proprietà.
Cordiali saluti.”
Consulenza legale i 06/07/2016
L'unico modo certo per far sì che Equitalia cancelli l'ipoteca, è - come ovvio - offrirle il pagamento spontaneo dell'intero debito, aggiornato al tempo attuale. Ipotesi che, di norma, è difficilmente realizzabile, se il debitore non dispone di tutta la somma necessaria.

Il suggerimento fornito dal legale appare essere ragionevole, e, probabilmente, se la controparte fosse una Banca o altro ente, potrebbe avere successo. Tuttavia, trattandosi dell'offerta di un pagamento parziale a fronte della cancellazione di una garanzia, Equitalia ben potrebbe rifiutarla. Va ricordato che Equitalia è un ente addetto alla riscossione, ed è solitamente molto restia nello scegliere la via transattiva piuttosto che quella esecutiva (pignoramento).

L'unica strada plausibile per farle accettare di aderire ad una proposta di questo tipo è convincere Equitalia, mediante perizia giurata, che il valore di 1/6 dell'immobile calcolato è realistico: in altre parole, si dovrebbe cercare di mettere Equitalia di fronte alla scelta tra far mettere all'asta l'immobile - da cui recupererebbe, sì, 1/6 del valore, ma con lunghi tempi di attesa -, o accettare subito il pagamento parziale del suo credito, rinunciando all'ipoteca. Ovviamente, resterebbe sempre salvo il diritto di Equitalia di rifarsi, per la rimanenza del credito, su altri beni del debitore, anche futuri.
Equitalia dovrebbe essere certa che le somme recuperate oggi su offerta spontanea del debitore siano identiche (o maggiori) rispetto a quelle che potrebbe ottenere con un pignoramento e successiva vendita della quota dell'immobile (o dell'intero immobile, se non si trova un'acquirente per la sola quota).

E' consigliabile, pertanto, formulare comunque una proposta ad Equitalia tramite un professionista di fiducia: tuttavia, non si possono fornire rassicurazioni sull'accoglimento dell'offerta.

Peraltro un ulteriore elemento che rende questa ipotesi transattiva poco appetibile per Equitalia è l'intervenuta rinuncia all'eredità della madre e del padre (riguardo a questa, non abbiamo gli elementi per dire se essa sia efficace, non sapendo se vi siano stati atti di accettazione tacita negli anni precedenti).

La possibilità che Equitalia impugni la rinuncia all'eredità dei genitori è molto concreta. Ai sensi dell'art. 524 del c.c., i creditori dei chiamati all’eredità che abbiano rinunciato, possono farsi autorizzare dal giudice, entro cinque anni dalla rinuncia, ad accettare l'eredità in nome e per conto del rinunciante debitore, allo scopo di soddisfarsi sui beni del debitore e fino a concorrenza dei crediti vantati. I creditori, naturalmente, non diventano "eredi" del de cuius, ma ottengono solamente la dichiarazione di inefficacia nei loro confronti della rinuncia all'eredità fatta dal proprio debitore, facendo diventare aggredibili i beni che sarebbero entrati nel patrimonio del medesimo se non avesse rinunciato. Non è necessario che la rinuncia sia stata fatta con l'intento di frodare i creditori: questi posso attuare il rimedio dell'art. 524 anche se il debitore ha rinunciato in buona fede.

Daniele B. chiede
venerdì 20/11/2015 - Toscana
“Chiedo il parere per la seguente situazione in cui mi trovo. Mia madre e' deceduta 3 mesi fa (ha 2 fratelli). Sono la figlia ed unica erede. Mio nonno ( padre di mia madre) e' deceduto 6 mesi fa. Possedeva l'abitazione principale in comproprietà con sua moglie (mia nonna) ancora in vita. L'attivo patrimoniale di mia madre consiste solo nel saldo di un conto corrente vicino allo 0 e la quota della casa spettante per la successione di mio padre. Per quanto riguarda le passività qui nascono i miei dubbi.
A seguito di una sentenza passata in giudicato e' stato stabilito che mia madre doveva pagare una provvisionale di 40.000 euro perché condannata in primo grado ed anche se assolta in appello e diventata definitiva la sentenza i giudici di appello hanno confermato la provvisionale.
Negli anni passati era stata oggetto di un decreto ingiuntivo che la intimava a pagare una cifra di 41.000 euro. Né la provvisionale né il decreto ingiuntivo sono mai stati soddisfatti in quanto i creditori non hanno mai dato corso ad alcuna azione in sede civile (a parte l'emissione del decreto ingiuntivo) in quanto mia madre non aveva beni ed il conto corrente non presentava capienza.
Alla luce di quanto sopra sono a chiedervi se i creditori di mia madre in virtù del decreto ingiuntivo e della provvisionale possono rivalersi su di me e sul mio patrimonio personale e se mi convenga rinunciare all'eredità od accettare con beneficio di inventario.
Si consideri che è in corso la successione di mio nonno e che la quota dell'abitazione spettante a mia madre sarà intestata a me, presumo ed il valore di mercato della mia quota e' circa 10000 euro.
Vorrei quindi sapere se tali tipologie di debito contratte da mia madre possono essere richiesti agli eredi .
Vi ringrazio per il vostro parere.
Cordialmente.”
Consulenza legale i 24/11/2015
Nella vicenda esposta si è avuto prima la morte del nonno, i cui eredi sono i tre figli - all'epoca in vita - e poco dopo il decesso di uno di questi, madre di chi pone il quesito, con unica erede la figlia.

Vista la circostanza della morte così ravvicinata (3 mesi), sembra verosimile che la donna non abbia avuto il tempo di accettare l'eredità del padre: sarebbe così caduto in successione della donna il diritto ad accettare l'eredità del genitore (nonno di chi pone il quesito).

L'art. 479 del c.c. dice che se il chiamato (la madre) all'eredità (del padre) muore senza averla accettata, il diritto di accettarla si trasmette agli eredi (la figlia): se l'erede accetta l'eredità, acquista tutti i diritti e soggiace a tutti i pesi ereditari, mentre vi rimane estraneo chi ha rinunziato. Se la figlia rinuncia all'eredità della madre, automaticamente rinuncia a quella del nonno; se, invece, la figlia accetta l'eredità della madre, può rinunciare a quella del nonno (nel caso di specie, per opportunità, visti i rispettivi patrimoni dei de cuius, questa opzione non sembra consigliabile).

Se, invece, la madre aveva già tacitamente o espressamente accettato l'eredità di suo padre nei tre mesi precedenti al suo decesso, la quota dell'immobile ad ella spettante farebbe già parte del suo patrimonio, e ci si troverebbe dinnanzi ad una situazione un po' differente. Infatti, la figlia dovrebbe semplicemente accettare o rinunciare all'eredità della madre, mentre sarebbe del tutto estranea all'eredità del nonno (non sarebbe mai sua erede diretta!).

Ciò specificato, riguardo il quesito inerente ai debiti della madre, non si precisa se il processo era penale o civile: nel primo caso, la provvisionale è prevista dall'art. 539 del c.p.p. ("1. Il giudice, se le prove acquisite non consentono la liquidazione del danno, pronuncia condanna generica e rimette le parti davanti al giudice civile. 2. A richiesta della parte civile, l'imputato e il responsabile civile sono condannati al pagamento di una provvisionale nei limiti del danno per cui si ritiene già raggiunta la prova"), mentre nel secondo ci si rifa all'art. 278 del c.p.c.
Dal tenore del quesito si suppone trattarsi di provvisionale di cui al codice di procedura penale.

La provvisionale cui è condannato l'imputato nel processo penale è per legge immediatamente esecutiva ex art. 540, comma 2.
Il dettato legislativo fa sorgere dei dubbi circa la stretta necessità di incardinare in sede civile il giudizio di liquidazione, a seguito dell’ottenimento di una condanna generica con pagamento di una provvisionale. La giurisprudenza ha sottolineato la natura di "provvedimento provvisorio con mera natura delibativa" della condanna provvisionale e la sua intrinseca inidoneità a formare giudicato in sede civile, essendo destinata ad essere travolta dal successivo giudizio di liquidazione (v. Cass. pen., 18.10.1999, n. 4973; Cass. pen., 24.10.1997, n. 11984): tuttavia, non si rileva un orientamento giurisprudenziale consolidato che richieda la necessità di instaurare un processo civile per "confermare" quella condanna.

In realtà, nel caso di specie, sciogliere questo dubbio è superfluo. Difatti, il creditore ha ottenuto un autonomo titolo esecutivo contro la signora, un decreto ingiuntivo: in mancanza di vittoriosa opposizione (circostanza che ci sembra difettare nel caso in esame), il decreto ingiuntivo acquista piena efficacia esecutiva (art. 647 del c.p.c.) e non può più essere revocato in dubbio l'accertamento dei fatti costitutivi del credito.
Nel caso di specie, si tratta di debito di denaro che si trasmette agli eredi.

Visto che, però, da molti anni i creditori non hanno posto in essere atti di esecuzione o di interruzione della prescrizione, questa potrebbe essersi perfezionata. In particolare, se il creditore non agisce per oltre dieci anni al fine di dare esecuzione al decreto ingiuntivo - o non compie atti interruttivi -, il credito può dirsi prescritto (art. 2953 del c.c.: "I diritti per i quali la legge stabilisce una prescrizione più breve di dieci anni, quando riguardo ad essi è intervenuta sentenza di condanna passata in giudicato, si prescrivono con il decorso di dieci anni").

In conclusione, nel caso in esame, se il diritto dei creditore è pacificamente prescritto, nulla quaestio.
Se vi è incertezza sulla prescrizione del debito, è consigliabile che la figlia accetti l'eredità della madre e quella del nonno (ereditando quindi la quota di immobile del nonno) con beneficio d'inventario, al fine di tenere distinto il proprio patrimonio da quello della defunto (l'erede sarà tenuto a pagare i debiti e i pesi ereditari nei limiti di quanto ricevuto).

La rinunzia all'eredità è invece più "pericolosa", in quanto può essere impugnata dai creditori ai sensi dell'art. 524 del c.c., i quali possono farsi autorizzare ad accettare l'eredità in nome e luogo del rinunziante, al solo scopo di soddisfarsi sui beni ereditari fino alla concorrenza dei loro crediti.

Mariano V. chiede
giovedì 21/05/2015 - Trentino-Alto Adige
“Mio fratello aveva già acquisito in vita da nostro padre la sua quota di eredità e addirittura era rimasto debitore di nostro padre per cospicui prestiti ricevuti per cui dopo la morte di nostro padre ha rinunciato all'eredità. Un creditore di mio fratello adesso impugna la sua rinuncia ex art. 524 ed ha citato noi due fratelli.
Secondo la giurisprudenza le condizioni del 524 ci sarebbero tutte salvo che l'eredità di mio fratello è del tutto "NEGATIVA" (anzi lui è debitore verso l'eredità) per cui non ci sarebbe nemmeno danno per il creditore. Questa situazione è di ostacolo alla azione del terzo creditore?
Posso eccepirla in questa sede di "autorizzazione" ex art. 524 ?”
Consulenza legale i 21/05/2015
Il codice civile prevede, a tutela dei creditori, lo strumento descritto dall'art. 524 del c.c.: essi possono, infatti, farsi autorizzare ad accettare l'eredità in nome e in luogo di chi vi abbia rinunziato, allo scopo - non di divenire eredi - ma di soddisfarsi sui beni ereditari fino alla concorrenza dei loro crediti.

Uno dei presupposti dell'azione è che la rinunzia abbia cagionato un danno ai creditori. Quando l'eredità è negativa, cioè al chiamato rinunciante non spetterebbe alcun bene, non può dirsi realizzato il presupposto oggettivo dell'art. 524, in quanto la rinuncia non provoca ai creditori alcun danno, poiché non contribuisce a diminuire la garanzia patrimoniale del debitore (il cui patrimonio non risulta "depauperato" dalla rinuncia).

Di conseguenza, l'azione volta alla autorizzazione ad accettare al posto del rinunciante risulterebbe infondata nel merito, per difetto di un suo presupposto.

Altro profilo da tenere in considerazione è quello della legittimazione passiva. In giurisprudenza, infatti, si ritiene pressoché unanimemente (Cass. civ. n. 310/1982, n. 3548/1995 e n. 17866/2003) che l'unico soggetto convenibile in giudizio è il debitore rinunciante. In dottrina, c'è chi, però, sostiene che l'azione sia esercitabile anche nei confronti dell'erede a cui la rinunzia ha giovato (nel nostro caso, nessun erede comunque sembrerebbe avere vantaggio dalla rinuncia).

Nel caso di specie, seguendo l'orientamento dominante della giurisprudenza di legittimità, gli altri eredi potranno innanzitutto eccepire in giudizio il difetto della loro legittimazione passiva; in subordine, potranno chiedere il rigetto della domanda nel merito, per carenza del presupposto oggettivo del danno ai creditori, atteso il fatto che il rinunciante non avrebbe ricevuto in eredità alcun bene.

Ovviamente, tale ultimo assunto deve essere provato: si dovrà esplicitare la consistenza dell'asse ereditario del de cuius e il fatto che il chiamato rinunciante non avrebbe diritto ad alcun bene (ad esempio, perché, una volta effettuata la collazione nei confronti dei fratelli e dedotti i debiti, egli non avrebbe diritto a ricevere alcunché). Sarà necessario effettuare con particolare attenzione questo calcolo, documentando tutto in modo puntuale.

Marco chiede
giovedì 18/08/2011 - Sardegna
“Spett.le Redazione
da tempo sto cercando vanamente di recuperare un credito nei confronti di una persona. Sebbene formalmente risulti nullatenente questi, in realtà, risulta chiamato nell’eredità dei propri genitori: sta di fatto che, a distanza di quasi 5 anni dall’apertura della successione, questi non ha ancora accettato. In effetti, non posso pignorare il bene anche perché, in assenza dell’accettazione, il giudice rigetterebbe la domanda. Però mi chiedo se nelle more dell’esercizio dell’actio interrogatoria, posto che questa non è trascrivibile, il debitore non possa vendere ugualmente i beni. A questo proposito va detto, infatti, che accettazione dell’eredità, da parte del chiamato, può astrattamente essere effettuata anche in sede di rogito notarile. Ne consegue che, anche nel caso in cui venga esperita l’actio interrogatoria, ben potrebbe il chiamato accettare l’eredità e contestualmente vendere il bene ad un terzo. Anziché esperire prima l’azione interrogatoria e poi quella di cui all’art. 524 C.C., non converrebbe esperire direttamente l’azione surrogatoria ex art. 2900 C.C. che, per converso, è trascrivibile?
Cordiali saluti.”
Consulenza legale i 20/11/2011

La migliore dottrina sostiene l'inammissibilità dell'azione surrogatoria ex art. 2900 del c.c. nel caso in cui il creditore voglia sostituirsi al debitore nell'esercizio di un diritto a carattere indisponibile e personale quale quello alla delazione ereditaria.

L'articolo in commento, che consente ai creditori di agire in via sostanzialmente surrogatoria solo laddove il debitore abbia previamente rinunziato all'eredità, ha carattere derogatorio rispetto alla disciplina generale, in quanto consente in via del tutto eccezionale l'esercizio di un diritto personale del debitore.

Se, peraltro, accadesse quanto paventato (accettazione contestuale alla vendita del bene) si potrà sempre tutelare il proprio credito facendo ricorso all'azione revocatoria di cui all'art. 2901 del c.c..


Giorgio chiede
domenica 10/07/2011 - Umbria

“Sono sposato con separazione di beni ed ho un bambino di 10 anni. Ho una residenza, da sempre, diversa da quella di mia moglie nella casa, in affitto, ove vivevo prima del matrimonio, ora mio ufficio. Il bambino è sullo stato di famiglia di mia moglie. Mia moglie possiede un appartamento in comproprietà con la sorella in cui abitiamo. Ho cartelle esattoriali non pagate per circa 100 mila euro e, ovviamente, oltre ad incrementarsi, non riesco a pagarle per onorare debiti con le banche presso le quali risulto perfettamente in regola. La mia grande paura è che, nell'eventualità della morte di mia moglie, il proprio appartamento possa essere aggredito dal fisco ereditandone io, di diritto, la parte di esso. Cosa posso fare? È meglio separarsi civilmente o posso, preventivamente, fare una rinuncia all'eredità, confidando nella buona salute della congiunta che le auguro a prescindere da tutto? Grazie anticipato.”

Consulenza legale i 22/07/2011

Per evitare la confusione ereditaria in forza della quale i patrimoni del de cuius e dell’erede si uniscono comportando la sua responsabilità ultra vires, quindi, per escludere il rischio di accettare una damnosa hereditas è facoltativo per l’erede effettuare una dichiarazione di accettazione dell’eredità con beneficio di inventario, istituto la cui forma e le cui rigide scansioni temporali sono disciplinate dall’art. 484 del c.c. e ss. e per la redazione dell’inventario dall’art. 769 del c.p.c. e ss.

Ad ogni modo, finché la consorte è viva, non sarebbe valido un eventuale patto successorio tendente a disporre di diritti oggetto di una futura successione (patti dispositivi) o a rinunciare a successioni non aperte (patti abdicativi) per il divieto posto dall’art. 458 del c.c. che avverso queste convenzioni commina la sanzione della nullità.


Antonietta chiede
mercoledì 02/03/2011 - Piemonte

“Siamo 3 fratelli, uno dei quali ha alle spalle dei debiti con la ex moglie. Temiamo che questa possa obbligarlo ad accettare l'eredità di nostra madre, quando questa verrà a mancare, per far fronte ai suoi debiti. Cosa possiamo fare per evitare che ciò avvenga?
Grazie,”

Consulenza legale i 02/03/2011

Se il timore è quello che il fratello sia costretto ad accettare una eredità, con il rischio di esporsi a richieste di denaro da parte della ex moglie, va evidenziato che:
- va sicuramente esclusa la validità di un patto precedente all'apertura della successione della madre, per violazione dell'art. 458 del c.c.. In altre parole, finché la madre è in vita, il figlio non può obbligarsi verso la ex moglie ad accettare una eredità relativa ad una successione non ancora aperta: l'eventuale patto sarebbe nullo;
- quando la madre verrà a mancare, il fratello chiamato alla successione potrà rinunziare all'eredità. Va ricordato, infatti, che l'accettazione, come tutti gli atti negoziali, deve essere un atto frutto di libertà. Se essa è viziata da violenza o dolo, sarà impugnabile nei 5 anni successivi al giorno in cui è cessata la violenza o è stato scoperto il dolo (art. 482 del c.c.).

Va peraltro aggiunto che, a norma del art. 524 del c.c., i creditori danneggiati dalla rinuncia del debitore ad una eredità possono farsi autorizzare ad accettare l'eredità in nome e luogo del rinunciante al solo scopo di soddisfarsi sui beni ereditari fino alla concorrenza dei loro crediti. La ex-moglie creditrice, pertanto, potrebbe agire in questo senso.


Mauro chiede
mercoledì 05/01/2011

“Ho alle spalle dei debiti con la camera di commercio e l'INPS (all'incirca 30.000 €). Sono impossibilitato a pagarli in quanto prendo solo una pensione di invalidità di 250.00 € e sono senza lavoro.

La mia grande paura è che i miei debiti possano divenire eredità di mio figlio, oggi ventiduenne o di mia moglie (dal quale risulto solo separato). La mia domanda è questa: possono loro già adesso rinunciare all'eredità dei miei debiti in caso di mia morte? Quale procedura devono esattamente perseguire? Devono attuarla già adesso o dopo il mio decesso?

Colgo l'occasione, oltre che per ringraziare per l'attenzione prestatami, per porgere i miei più cordiali saluti.

Consulenza legale i 05/01/2011

L'art. 524 del c.c. riguarda esclusivamente i creditori personali del chiamato rinunziante e non i creditori del de cuius. Ciò significa che il chiamato, il quale abbia rinunciato all'eredità, non risponderà mai dei debiti del de cuius: tutt'al più, i suoi creditori personali potranno farsi autorizzare ad accettare l'eredità in suo nome e luogo, al solo scopo di soddisfarsi sui beni ereditari fino alla concorrenza dei loro crediti.

Quindi, la moglie e il figlio del de cuius, quando si aprirà la successione, potranno rinunciare all'eredità cui sono chiamati senza timore di dover rispondere personalmente dei debiti del defunto, poiché non si verificherà alcuna confusione tra i loro patrimoni.

La rinuncia, negozio solenne, si fa mediante dichiarazione ricevuta da notaio o dal cancelliere del tribunale del circondario in cui si è aperta la successione: la dichiarazione va inserita nel registro delle successioni.

Le conseguenze della confusione ereditaria possono essere altresì evitate mediante accettazione beneficiata dell'eredità (art. 484 del c.c.): l'erede, in questo modo, non perde ogni diritto ereditario, ma limita la sua responsabilità, poiché non risponde personalmente dei debiti ereditari e dell'obbligo di rispettare eventuali legati ed oneri oltre l'ammontare dell'utile ereditario (ad es., se questo è pari a zero, i creditori del de cuius non potranno soddisfarsi sui beni del di lui figlio o della moglie).

Vale la pena precisare che la rinuncia all'eredità deve essere fatta dopo l'apertura della successione (una rinuncia precedente violerebbe il divieto di patti successori) e non può seguire all'accettazione (semel heres semper heres).


G.P. chiede
martedì 31/08/2021 - Puglia
“Con testamento e relativa successione testamentaria effettuata i nostri defunti genitori hanno disposto:
1) La nuda proprietà a tre eredi di una piccola abitazione ( valore di circa 60mila€ e nuda proprietà del valore di circa 8mila€ ciascuno per erede) al quarto erede spetta solo l’usufrutto per abitarci;
2) Ai titolari della sopra citata nuda proprietà spetta a ciascuno anche un terzo di proprietà dell’intero appezzamento di terreno agricolo di circa un ettaro (valore totale di circa 7mila€)
3) I tre eredi titolari della nuda proprietà e del terreno agricolo sono anche contitolari di libretto di risparmio postale di 6mila€.
4) preciso che Il quarto erede ha solo l’usufrutto della casa di abitazione e null’altro.

Uno dei coeredi della nuda proprietà della casa/del terreno e denaro ha parecchi debiti con terzi( sembra.. banche- finanziarie ) del valore di circa 50mila€ ed il pignoramento sullo stipendio proprio è in fase avanzata con decisione del Giudice a breve.

Quesito:
a) Se il coerede debitore volesse vendere il terreno e la nuda proprietà della casa potrebbe vedere l’atto o di vendita impugnato dal creditore nel termine di 5 anni successivi alla vendita?
b) Se il coerede debitore volesse rinunciare all’eredità (unitamente ai suoi figli) potrebbe incorrere nell’annullamento della rinuncia per ricorso del creditore?- ed ammesso che in questo caso trascorrono i cinque anni successivi alla rinuncia senza ricorso del creditore, si potrebbe vendere un bene di quelli citati al figlio del coerede debitore, anch’esso rinunciante col padre?
Quale è un vostro consiglio per non incappare in ricorsi e blocchi di azioni da parte del creditore? Conviene lasciare tutto immutato!!?
31/08/2021
grazie
Cordiali saluti”
Consulenza legale i 06/09/2021
Il caso in esame richiede di trattare essenzialmente di due diverse questioni, e precisamente:
  1. quali sono le condizioni ed i termini per l’esercizio dell’azione revocatoria ordinaria;
  2. in quali casi e secondo quali forme è consentito ai creditori del chiamato all’eredità di impugnare la rinunzia all’eredità.

La prima questione viene posta in relazione all’ipotesi in cui uno dei chiamati decida di accettare l’eredità per poi trasferire a titolo oneroso ad un terzo i diritti assegnatigli dal de cuius in forza del testamento (e precisamente la quota indivisa della nuda proprietà della casa di abitazione e la quota indivisa in piena proprietà dell’appezzamento di terreno).
Il compimento di tale atto rientra senza alcun dubbio tra quelli avverso i quali è consentito l’esercizio dell’azione revocatoria ordinaria disciplinata dagli artt. art. 2901 del c.c. e ss. c.c.
E’ ben noto che funzione di tale azione è proprio quella di tutelare l'interesse del creditore contro atti di disposizione del debitore che possano incidere in modo pregiudizievole sulla consistenza del suo patrimonio, finalità che si realizza attraverso la dichiarazione di inefficacia dell'atto di disposizione del debitore.
Sotto il profilo soggettivo, presupposti per il suo esercizio sono, dal lato di colui che agisce la posizione di creditore, mentre dal lato di colui che subisce l’azione la posizione di debitore (entrambi i presupposti sono evidentemente presenti nel caso di specie).
Sotto il profilo oggettivo, invece, il presupposto dell’azione revocatoria è rappresentato dal c.d. eventus damni, cioè dal pregiudizio alle ragioni dei creditori che l’atto di disposizione del debitore può arrecare; in particolare è richiesto che si configuri una lesione effettiva dell'interesse del creditore alla conservazione della garanzia patrimoniale, pur se il danno non è attuale ma si profili soltanto un pericolo di danno come conseguenza del comportamento del debitore.

Tra gli atti di disposizione del debitore soggetti a revocatoria vanno ricompresi tutti i negozi giuridici inter vivos aventi contenuto patrimoniale e natura dispositiva, siano essi a titolo oneroso che gratuito (ciò che cambia è soltanto il regime probatorio).
Occorre tuttavia precisare che la locuzione "atti di disposizione" implica che essi siano espressione della decisione arbitraria del debitore; pertanto, ne restano esclusi i c.d. “atti dovuti”, ossia quelli compiuti in adempimento di una obbligazione, come espressamente dispone il terzo comma dell'art. 2901 c.c. riferendosi all'adempimento di un debito scaduto.
In tal senso si è pronunciata la Corte di Cassazione con sentenze nn. 13435/2004, 16756/2006, 16629/2013 e da ultimo n. 8992/2020, nelle quali viene affermato il principio secondo cui va esclusa la proponibilità dell'azione revocatoria ordinaria nei confronti dell'alienazione di un bene immobile da parte del debitore qualora il prezzo sia stato destinato anche in parte al pagamento di debiti scaduti del venditore/debitore e la vendita, strumentale all'adempimento, abbia rappresentato per il debitore l'unico mezzo per procurarsi il denaro.

Pertanto, rispondendo alla prima delle domande che vengono poste, può affermarsi che, purtroppo, un eventuale atto di alienazione dei beni ricevuti per successione testamentaria del proprio padre non sfuggirebbe all’esercizio dell’azione revocatoria da parte dei creditori, azione che, secondo quanto disposto dall’art. 2903 del c.c. va esercitata entro il termine di prescrizione di cinque anni dalla data di compimento dell’atto.

La seconda questione attiene a quale potrebbe essere la reazione da parte dei creditori in caso di rinunzia all’eredità da parte del chiamato debitore e di coloro che hanno diritto a succedergli in rappresentazione.
Trattasi di questione che trova espressa disciplina all’art. 524 del c.c., norma che legittima i creditori di colui che rinuncia ad un’eredità, benché senza frode, a farsi autorizzare ad accettare l’eredità stessa in nome e per conto del rinunciante.
Anche per l’esercizio di tale diritto è previsto un termine di prescrizione, che il secondo comma dell’art. 524 fissa in cinque anni dalla rinuncia.
Una volta accolta la domanda, i creditori indubbiamente non assumeranno la posizione di eredi, ma saranno legittimati ad aggredire i beni ereditari fino alla concorrenza dei loro crediti e nei limiti della quota di pertinenza del debitore rinunziante.

Trascorsi i cinque anni dalla dichiarazione di rinuncia sia da parte del chiamato all’eredità che dei suoi figli discendenti per rappresentazione, senza che i creditori abbiano posto in essere alcun atto di impugnazione, non si correrà alcun rischio nell’alienare al figlio del debitore uno dei beni ereditari a cui il padre (debitore) ha rinunciato (essendo ormai la relativa azione prescritta sia nei confronti del rinunciante che dei chiamati ulteriori).

Altra domanda che viene posta è se anche il coniuge legalmente separato del chiamato all’eredità debitore debba manifestare la volontà di rinunciare.
A tale domanda non può che rispondersi negativamente, e ciò per le seguenti ragioni:
  1. non rientra tra i soggetti chiamati all’eredità, neppure per rappresentazione ex artt. 467 e ss. c.c.;
  2. i beni ereditari eventualmente acquistati per successione o donazione rientrano tra i beni personali del coniuge ex art. 179, lett. b) c.c.

Circa i costi della rinuncia, occorre distinguere tra rinuncia fatta in Tribunale e quella fatta dinanzi al notaio.
Nel primo caso occorrerà pagare € 200,00 per imposta di registro, oltre ad € 16,00 come marca da bollo da apporre sull’atto.
Nel secondo caso alle predette spese occorre aggiungere la parcella del notaio, che varia da professionista a professionista, ma che generalmente si aggira intorno ai 750/800 euro.

Risulta estremante difficile, invece, quantificare le spese per l’eventuale impugnazione della rinuncia da parte dei creditori, in quanto si tratta di ordinaria azione civile, le cui spese iniziali dovranno essere affrontate dai creditori, legittimati attivamente all’esercizio dell’azione, mentre il rinunciante, legittimato passivo, dovrà soltanto sostenere le spese per la sua costituzione in giudizio, spese che anche in questo caso variano da professionista a professionista.


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