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Eredità: la rinuncia del chiamato nel possesso dei beni

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Eredità: la rinuncia del chiamato nel possesso dei beni
Non può rinunciare all’eredità il chiamato che, essendo nel possesso dei beni, non ha compiuto l’inventario nei termini in quanto è divenuto erede puro e semplice.
La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 36080 del 23 novembre 2021, è intervenuta sulla questione dell’importanza, per il chiamato all’eredità nel possesso dei beni, di effettuare l’inventario a norma dell’art. 485 c.c. nel termine prescritto dalla legge, precisando che in assenza non potrà ritenersi efficace la successiva rinuncia all’eredità.

La norma richiamata, infatti, dispone che il chiamato all’eredità che sia a qualsiasi titolo nel possesso dei beni ereditari debba fare l’inventario entro tre mesi dal giorno dell’apertura della successione o della notizia della devoluta eredità. La legge prevede inoltre che il chiamato che entro tale termine abbia iniziato l’inventario ma non lo abbia concluso può ottenere una proroga, la quale potrà essere al massimo di ulteriori tre mesi.
Ma qual è la conseguenza per il caso in cui queste prescrizioni non siano rispettate?
Ebbene, è sempre l’art. 485 c.c. a fornire la risposta a tale quesito, prevedendo espressamente che, se il chiamato non compie l’inventario entro il termine, egli sarà considerato erede puro e semplice.

Ne consegue – precisa la Suprema Corte – che il chiamato decade dunque dalla facoltà di rinunciare all’eredità.
È necessario ricordare, infatti, che la rinuncia all’eredità è prevista dall’art. 519 c.c. e consiste in un negozio unilaterale non recettizio con il quale il chiamato, mediante una dichiarazione espressa resa nella forma dell’atto pubblico e annotata nel registro delle successioni, dismette retroattivamente il diritto di accettare l’eredità.
Se tale diritto non esiste più in quanto l’eredità è già stata accettata, tuttavia, la rinuncia non sarà più possibile. Deve tenersi infatti presente che l’accettazione dell’eredità, in altri termini, ha natura irrevocabile secondo il principio semel heres, semper heres, sicchè la successiva rinuncia dovrà considerarsi priva di effetto.

La fattispecie giunta al vaglio degli Ermellini, in particolare, riguardava un avviso di accertamento notificato collettivamente dall’Agenzia delle Entrate agli eredi di un contribuente deceduto. Avverso tale avviso di accertamento, i chiamati avevano proposto ricorso, sostenendo che le somme richieste non fossero in realtà dovute. I ricorrenti, poi, avevano formalmente rinunciato all’eredità.
La Commissione Tributaria provinciale aveva allora accolto il ricorso e annullato l’avviso di accertamento, ritenendo che la rinuncia all’eredità intercorsa fosse efficace e per di più avesse effetto retroattivo.
L’Agenzia delle Entrate aveva allora impugnato la sentenza, dolendosi dell’erroneità della sentenza nella parte in cui aveva considerato efficace la rinuncia all’eredità nonostante gli eredi del contribuente, nel possesso dei beni, non avessero fornito la prova di aver eseguito l’inventario.
La Commissione Tributaria regionale, tuttavia, aveva rigettato l’appello dell’Ufficio, confermando quanto stabilito in primo grado atteso che non era stato provato che gli eredi rinunciatari si trovassero effettivamente nel possesso dei beni e che dunque fossero tenuti a redigere l’inventario.
La soccombente, pertanto, proponeva ricorso in Cassazione, segnalando che in realtà era stato tempestivamente dedotto che i chiamati all’eredità fossero nel possesso dei beni, come risultava dal fatto che essi avevano il domicilio nello stesso immobile presso cui era domiciliato il de cuius.
La Suprema Corte, accolta tale censura e ritenuta apparente la motivazione della Commissione Tributaria regionale, ha operato le importanti precisazioni sopra riportate.


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