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Articolo 477 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 05/07/2024]

Donazione, vendita e cessione dei diritti di successione

Dispositivo dell'art. 477 Codice Civile

(1)La donazione [769 c.c.], la vendita [1470, 1542 c.c.] o la cessione [1260 c.c.](2), che il chiamato all'eredità faccia dei suoi diritti di successione a un estraneo o a tutti gli altri chiamati o ad alcuno di questi, importa accettazione dell'eredità [476 c.c.].

Note

(1) Secondo la dottrina agli artt. 477 e 478 del c.c. vengono elencate ipotesi tipiche di accettazione tacita.
La giurisprudenza, invece, parla in proposito di accettazione presunta che, a differenza di quanto previsto per l'accettazione tacita, prescinde dalla dimostrazione della sussistenza in capo al chiamato della volontà di accettare di cui all'art. 476 del c.c..
(2) Vi rientrano la permuta (v. art. 1552 del c.c.), la dazione in pagamento (v. art. 1197 del c.c.), la transazione (v. art. 1965 del c.c.) che abbiano ad oggetto diritti di successione.

Ratio Legis

Attraverso la donazione, la vendita e la cessione dei diritti ereditari il chiamato all'eredità compie degli atti di disposizione sui beni ereditari, manifestando implicitamente la volontà di far propri tali diritti. Da tali negozi giuridici consegue, quindi, l'accettazione tacita dell'eredità.

Spiegazione dell'art. 477 Codice Civile

La norma in esame contempla alcune fattispecie legali tipiche di accettazione tacita dell'eredità.

In particolare, stante il tenore volutamente generico del disposto normativo, la norma si riferisce a tutti i contratti bilaterali a titolo gratuito e oneroso.
Ne discende che il compimento dei suddetti contratti da parte del chiamato presuppone necessariamente la sua volontà di accettare l'eredità.

Secondo la prevalente teoria, che riconosce all'accettazione tacita la natura giuridica di atto non negoziale, l’effetto dell’accettazione sarebbe una mera conseguenza che si determina per legge.
Ciò che rileva sarebbe la sola volontà del soggetto di compiere l’atto mentre l’accettazione dell’eredità sarebbe una conseguenza prevista dalla legge.

Presupposti affinché operi l’accettazione tacita sono:
  • la consapevolezza da parte del soggetto agente di essere titolare di una delazione attuale;
  • il compimento di un atto che l’autore non avrebbe diritto di compiere se non in qualità di erede come nel caso di vendita, donazione e cessione dei diritti di successione,ipotesi tipiche di accettazione tacita.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 477 Codice Civile

Cass. civ. n. 454/1973

La cessione dei diritti ereditari (documentata, nella specie, da atto ricevuto da notaio negli Stati Uniti d'America) importa— per il cedente — accettazione dell'ereditā, sia che si faccia riferimento alla disciplina dettata dall'art. 477 c.c. vigente, sia che si abbia riguardo all'art. 936 del codice abrogato. Trattasi di una figura di accettazione presunta, che si affianca all'accettazione tacita, dalla quale si discosta in quanto non impone al giudice l'indagine richiesta dall'art. 476 c.c. Ciascuno dei contratti menzionati nell'art. 477, se in rapporto alla efficacia traslativa dei diritti di successione viene in rilievo in quanto atto negoziale, considerato invece per il valore sintomatico (qual č presunto iuris et de iure) che esso presenta, in relazione all'acquisto dell'ereditā, si colloca sul terreno dei fatti; con la conseguenza che la prova dell'accettazione presunta, al pari di quella dell'accettazione tacita, non soggiace ai limiti che concernono la prova del contratto, anche sotto il profilo della sua collocazione nel tempo, per cui,
ai fini della certezza, nei confronti dei terzi, della data dell'atto da cui deriva l'accettazione presunta, non č necessaria la trascrizione o registrazione dell'atto stesso.

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Consulenze legali
relative all'articolo 477 Codice Civile

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A. F. chiede
sabato 22/06/2024
“Buongiorno, una zia non coniugata è deceduta lasciando eredi i tanti NIPOTI (unici parenti) tramite testamento. Purtroppo uno dei nipoti è deceduto dopo che la zia aveva consegnato il testamento al notaio, ma prima che la stessa zia morisse. E senza ovviamente che fosse stato modificato il testamento. Questo unico nipote premorto ha però due figlie. Dunque con la dicitura testamentaria che citava come eredi i NIPOTI, alcuni notai ci hanno detto che le figlie del nipote premorto non solo non hanno alcun titolo, ma neppure potrebbero essere reinserite tramite un atto notarile in cui tutti gli altri nipoti certificassero che la volontà della zia sarebbe stata quella di includere anche le figlie del nipote premorto. Un notaio a cui invece si sono rivolte le stesse figlie del nipote premorto sostiene che con un atto notarile firmato da tutti gli altri nipoti in vita si potrebbe certificare la volontà della zia di includere le figlie del nipote premorto e quindi farle rientrare nel testamento quali eredi per “rappresentanza”. La volontà degli altri nipoti per tale atto ci sarebbe, ma viste le opinioni autorevoli contrastanti non si vorrebbe incagliare una successione importante e già impervia di per sè. Chiederei Vostra autorevole opinione in merito. Grazie.”
Consulenza legale i 30/06/2024
Contrariamente a ciò che accade nella gran parte dei casi, la volontà della testatrice in questo caso risulta abbastanza chiara ed esente da vizi che possano in qualche modo inficiarne la validità, sì da rendere applicabile l’art. 590 del c.c., disciplinante la conferma ed esecuzione volontaria di disposizioni testamentarie nulle.
Innanzitutto si ritiene opportuno chiarire che difettano i presupposti perché possa farsi applicazione dell’istituto giuridico della rappresentazione, disciplinato dagli artt. 467 e ss. c.c.
In particolare, norma di riferimento, per quel che qui interessa, è l’art. 468 del c.c., il quale individua la categoria dei possibili rappresentati, disponendo che la rappresentazione può aver luogo soltanto quando il chiamato che non può o non vuole accettare sia un figlio (anche adottivo) ovvero un fratello o una sorella del defunto.
La rappresentazione, invece, è esclusa se il chiamato sia, rispetto al de cuius, un estraneo ovvero anche un parente diverso da un figlio; pertanto, essa non può operare quando il rappresentato sia un nipote ex filio del defunto o da un fratello (cfr. Cass. 28 ottobre 2009, n. 22840).

Questo vale dal punto di vista soggettivo.

Sotto il profilo oggettivo, a sua volta, la rappresentazione è esclusa nel caso di successione testamentaria, allorchè il testatore abbia inteso provvedere con una sostituzione del destinatario del lascito per l’ipotesi in cui il primo chiamato non possa o non voglia accettare (in tal senso si esprime abbastanza esplicitamente il secondo comma dell’art. 467 c.c.).

Quanto fin qui detto sembra più che sufficiente per poter asserire con estrema sicurezza che, nel caso in esame, non possa operare l’istituto giuridico della rappresentazione, per effetto del quale i discendenti del nipote premorto alla de cuius potrebbero avere titolo a succedere.
Infatti, ne difettano sia i presupposti soggettivi (in quanto il nipote, come si è fatto constatare sopra, non rientra nella categoria dei soggetti che possono essere rappresentati) sia il presupposto oggettivo, avendo la testatrice manifestato nella scheda testamentaria la volontà di avvalersi dell’istituto giuridico della sostituzione e non avendo, oltretutto, modificato le sue volontà testamentarie, anche con un testamento successivo, malgrado della morte del nipote ne fosse venuta a conoscenza prima dell’apertura della sua successione.

In situazioni come questa, invece, dovrà farsi piuttosto applicazione dell’istituto dell’accrescimento, per effetto del quale la quota devoluta al chiamato che non abbia potuto o voluto accettare (qualunque ne sia la causa, ad esempio premorienza, rinuncia, ecc.) si devolve a favore degli altri beneficiari di una chiamata congiuntiva, con la conseguenza che la quota spettante a questi ultimi si accresce.
Ne ricorrono, infatti, sia i presupposti negativi che quelli positivi.
Sono presupposti negativi la mancanza delle condizioni per l’operare della rappresentazione e della sostituzione.
Per quanto concerne, invece, il requisito positivo, si dice che per l’accrescimento delle quote ereditarie è necessaria la coniunctio re et verbis, espressione con la quale si intende che gli eredi o i legatari devono essere stati chiamati congiuntamente con uno stesso testamento (coniunctio verbis) e senza determinazione di parti ovvero per parti eguali (coniunctio re).

Ciò perché si vuole ricollegare il fondamento di tale istituto in quella che è la presunta volontà del de cuius, nel senso che se quest’ultimo ha chiamato più soggetti in quote identiche, è perché presumibilmente intendeva beneficiare in modo eguale le persone considerate (di conseguenza, la parte di ognuno viene ad essere limitata dalla presenza degli altri e se il de cuius avesse potuto prevedere la mancanza di uno dei chiamati, avrebbe probabilmente distribuito il patrimonio tra i superstiti).

Pertanto, la soluzione più corretta si ritiene sia quella di dividere la quota del nipote premorto alla zia in misura eguale tra tutti gli altri nipoti chiamati congiuntamente.

Per far sì, invece, che le figlie del nipote premorto possano entrare nella successione della zia si potrebbe mettere in atto quel particolare meccanismo giuridico preso in considerazione dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 9130 del 21.03.2022.
Con tale decisione la S.C., nel ribadire il suo orientamento espresso anche con sentenza n. 12685/2014, ha confermato la facoltà per gli eredi testamentari di rinunciare a far valere il testamento del de cuius; a tal fine occorre l’accordo di tutti i coeredi, da redigere per atto scritto, a pena di nullità, qualora nella successione siano presenti beni immobili, in quanto detto accordo, comportando una modificazione quantitativa delle quote, sia dal lato attivo che dal lato passivo, si risolve in un atto di disposizione delle stesse quote.

Probabilmente è ad un accordo di questo tipo che intendono riferirsi alcuni dei professionisti a cui ci si è rivolti, accordo che, è bene precisare, non ha trovato e non trova il favore della dottrina prevalente, la quale è dell’idea che con esso si vengono ad alterare i principi successori espressi in materia di delazione dell’eredità dall’art. 457 del c.c., ove si legge che l’eredità si devolve per legge o per testamento e che non si fa luogo alla successione legittima se non quando manca, in tutto o in parte, quella testamentaria.

Tale considerazione ha spinto la dottrina a ritenere che l’accordo di rinuncia a far valere il testamento andrebbe piuttosto considerato come un negozio dispositivo dei diritti successori ex art 477 c.c. che comporta l’accettazione tacita dell’eredità con natura traslativa e modificativa.


Francesco L. chiede
domenica 10/11/2019 - Lombardia
“Un mio conoscente residente a ........ muore senza eredi ne testamento ma con immobile e deposito bancario.
Le ricerche approdano all’esistenza di sei cugini i quali accettano l’eredita’ licenziano dall'incarico l’avvocato di sostegno assegnatogli dal tribunale e incaricano delle pratiche di successione un CAF.
E’ trascorso un anno e per diritto alla privacy dal tribunale non posso conoscere la situazione della pratica di successione, non mi dicono neanche se e’ stata presentata.
Il mio interesse e’ per il solo immobile che gli eredi sostengono di non poter ancora vendere perche’ non conforme alle risultanti catastali.
Sono restii a sostenere le spese di regolarizzazione dell’immobile.
La domanda e’: posso acquistare direttamente dagli eredi la sola loro quota di proprieta’ dell’immobile spettantegli dalla successione alle condizioni in cui si trova rinunciando al resto di quanto in successione?
Gli eredi sostengono di non poterlo fare non essendone ancora diventati i proprietari legittimi.
Posso io acquistare la sola quota dell’immobile spettante a ciascun erede singolo facendomi cedere di conseguenza i loro diritti di successione sull’immobile?”
Consulenza legale i 14/11/2019
Quando si apre una successione, vi sono dei passaggi ben precisi da seguire e rispettare.
Il primo passo da compiere è quello di verificare se il de cuius ha disposto o meno per testamento.
In mancanza di testamento, infatti, si apre la c.d successione legittima, con la conseguenza che sarà la legge (e precisamente il codice civile, agli artt. 565 e ss.) ad individuare coloro che assumeranno la condizione di “chiamati all’eredità”.
Individuati così i successibili per legge, i chiamati potranno, a loro volta, acquistare, almeno di regola, la qualità di eredi mediante l’accettazione, i cui effetti retroagiscono, per una mera finzione giuridica, al momento dell’apertura della successione.

Tale accettazione può essere espressa (art. 475 del c.c.) se il chiamato all’eredità in un atto pubblico o in una scrittura privata dichiara di voler accettare l’eredità; precisa l’ultimo comma dell’art. 475 c.c. che è nulla una accettazione parziale, in quanto con l’accettazione non si acquista questo o quel bene (o meglio questa o quella quota di patrimonio), ma la qualità di erede, che come tale è unitaria e indivisibile.
Con l’accettazione, dunque, non si decide in ordine all’acquisto del patrimonio (per sua natura divisibile), ma di una complessa situazione giuridica soggettiva, facente capo al de cuius, e che sarà fonte dell’acquisto dei diritti e degli obblighi.

Oltre che espressa, l’accettazione può anche essere tacita ed è tale ogniqualvolta il chiamato all’eredità compie un atto che presuppone necessariamente la sua volontà di accettare e che non avrebbe il diritto di compiere se non in tale sua qualità (così art. 476 del c.c.).
Gli artt. 477 e 478 c.c. costituiscono delle ipotesi normativamente previste di accettazione tacita dell’eredità, per le quali cioè il giudice non deve compiere alcuna indagine soggettiva in ordine all’animus del chiamato che tiene il comportamento tipizzato dalla norma. Sia le fattispecie previste dall’art. 477 c.c. che quella prevista dall’art. 478 del c.c. hanno natura contrattuale, trattandosi in entrambi i casi di negozi traslativi di carattere dispositivo, regolati, per la loro struttura a rilievo bilaterale, dalle norme sul contratto.

Per quanto concerne più specificatamente la vendita dei diritti di successione di cui all’art. 477 c.c. (a cui si è pensato di fare ricorso), si afferma in dottrina (purtroppo non si rinviene alcun precedente giurisprudenziale) che non possono farsi rientrare nella sua previsione gli atti aventi ad oggetto singoli beni ereditari oppure l’attivo senza il passivo, ma solo gli atti che riguardano l’intera eredità o una sua quota; ciò, del resto, trova una sua chiara giustificazione in quanto sopra detto, ossia nel fatto che, esplicando tale vendita gli effetti di una accettazione di eredità, vale pur sempre la regola che non ammette una accettazione parziale.

Fatta questa premessa di carattere generale, vediamo adesso come i principi sopra esposti vanno applicati al caso di specie.
Diverse sono le ragioni che inducono ad escludere la possibilità di applicare l’art. 477 c.c. per raggiungere il risultato sperato (ossia il trasferimento in proprio favore di quell’immobile), e precisamente:
  1. il legislatore ha previsto tale fattispecie come ipotesi normativa di accettazione tacita dell’eredità, il che presuppone che non vi sia stata ancora accettazione e che i successibili si trovino nella condizione di semplici chiamati all’eredità (lo stesso art. 477 c.c. si riferisce al “chiamato all’eredità”).
In questo caso, invece, ci troviamo già nella fase successiva della vicenda successoria, avendo i chiamati accettato l’eredità ed acquistato la qualità di eredi.
  1. la sua applicazione sarebbe ancora esclusa per il fatto che oggetto di vendita può essere solo l’intera eredità o una sua quota, e non singoli beni (come si vorrebbe).
  2. in ogni caso si tratta di una fattispecie avente natura contrattuale, soggetta in quanto tale alle norme sul contratto, che poi sono quelle che il notaio chiamato a rogare l’atto dovrà applicare e che creano tutti gli ostacoli giuridici che impediscono la vendita.

In ordine, poi, a ciò che riferiscono gli eredi, ossia di non essere ancora proprietari legittimi, tale loro affermazione induce a ritenere che, pur avendo accettato l’eredità, probabilmente ancora non hanno completato la pratica successoria con pagamento delle relative imposte e voltura degli immobili sia al catasto che presso la Conservatoria dei Registri immobiliari.
Ciò, in effetti, rende impossibile per qualunque notaio, a cui si abbia intenzione di rivolgersi, di procedere alla stipula dell’atto di compravendita di quell’immobile, e per un duplice ordine di ragioni:
  1. manca il rispetto del c.d. principio della continuità delle trascrizioni, espresso dall’art. 2650 del c.c.;
  2. mancano i requisiti, richiesti a pena di nullità dell’atto notarile, della conformità urbanistica (si veda D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380) e della conformità catastale dell’immobile (introdotta con la Legge 122/2010).

A questo punto, una soluzione che ci si sente di suggerire è quella di tentare di concludere con gli eredi un preliminare di vendita, con il quale chi intende acquistare (promittente acquirente) versa subito, a titolo di caparra confirmatoria, agli eredi (promittenti venditori) una somma di denaro pari all’ammontare delle spese occorrenti per regolarizzare l’immobile.
I promittenti venditori si obbligheranno, a loro volta, a provvedere entro un termine prefissato e inderogabile, alla regolarizzazione (dal punto di vista urbanistico e catastale), all’esito della quale si andrà a stipulare l’atto pubblico e definitivo di vendita.

Ovviamente, nella pattuizione del prezzo si terrà conto delle somme necessarie per rendere commerciabile l’immobile (così, se l’immobile vale 100, ma 30 vanno spesi per la sua regolarizzazione, la parte acquirente verserà agli eredi 30 a titolo di caparra confirmatoria, da utilizzare per sanarlo, e 70 alla stipula dell’atto definitivo).
Inoltre, a garanzia di chi promette di comprare, sarà opportuno porre la regolarizzazione dell’immobile entro il termine prefissato come condizione risolutiva del preliminare, con la conseguenza che se gli eredi non vi provvederanno, il preliminare si intenderà sciolto e si avrà diritto alla restituzione del doppio della caparra versata.