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Articolo 564 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 31/01/2024]

Condizioni per l'esercizio dell'azione di riduzione

Dispositivo dell'art. 564 Codice Civile

Il legittimario(1) [536 c.c.] che non ha accettato l'eredità col beneficio d'inventario(2) [484, 557 c.c.] non può chiedere la riduzione delle donazioni e dei legati, salvo che le donazioni e i legati siano stati fatti a persone chiamate come coeredi, ancorché abbiano rinunziato all'eredità [519 ss. c.c.]. Questa disposizione non si applica all'erede che ha accettato col beneficio d'inventario e che ne è decaduto [493, 505, 494 c.c.](2).

In ogni caso il legittimario, che domanda la riduzione di donazioni [555 c.c.] o di disposizioni testamentarie [554 c.c.], deve imputare alla sua porzione legittima le donazioni e i legati a lui fatti(3), salvo che ne sia stato espressamente dispensato(4) [552, 553, 724 c.c.].

Il legittimario che succede per rappresentazione [467 ss. c.c.] deve anche imputare le donazioni e i legati fatti, senza espressa dispensa, al suo ascendente [740 c.c.].

La dispensa non ha effetto a danno dei donatari anteriori(5).

Ogni cosa, che, secondo le regole contenute nel capo II del titolo IV di questo libro, è esente da collazione, è pure esente da imputazione [737 ss. c.c.].

Note

(1) La previsione vale solo per il legittimario leso. Quello pretermesso, in quanto non chiamato all'eredità, non può accettarla.
(2) La mancanza dell'accettazione beneficiata può essere rilevata anche d'ufficio dal giudice.
(3) In tal modo si determina il valore reale della legittima (v. art. 536 del c.c.).
(4) La dispensa dall'imputazione deve essere espressa. Si ritiene debba rivestire la stessa forma dell'atto di donazione, benché possa essere anche non contestuale ad essa.
(5) In questo modo si evita che attraverso la dispensa dall'imputazione possano essere indirettamente revocate le donazioni anteriori.

Ratio Legis

Imporre l'accettazione beneficiata all'erede che voglia agire in riduzione contro i non coeredi è un modo per tutelare tali soggetti consentendo loro di conoscere l'ammontare dell'eredità e, quindi, della disponibile.
L'imputazione ex se si spiega, invece, in quanto tali donazioni e legati vengono considerati un'anticipazione sulla quota di legittima, a meno che il de cuius non abbia espresso una diversa volontà.

Spiegazione dell'art. 564 Codice Civile

La norma assume a presupposto dell’azione di riduzione delle donazioni e dei legati l'accettazione dell'eredità con beneficio d’inventario da parte del legittimario, salvo che si tratti di liberalità fatte a persone chiamate alla successione ereditaria.

Questa norma riproduce, salvo le attenuazioni di cui si dirà, una criticata disposizione del codice precedente. È noto come il codice albertino esigesse nel caso, e sempre rispetto a coloro che non fossero chiamati alla successione ereditaria, non l'accettazione beneficiata, ma la confezione dell’inventario. Questa era chiesta rispetto a coloro che non fossero chiamati alla successione in qualità di eredi perché, mentre le persone chiamate all’eredità hanno i mezzi per controllare ed assicurare la consistenza patrimoniale del defunto, allo stesso scopo si credeva necessaria, rispetto agli altri, la constatazione fatta da pubblico ufficiale mediante la compilazione dell'inventario.
La necessità dell’accettazione beneficiata non discende dal principio della responsabilità ultra vires dell’erede puro e semplice, perché, mentre una responsabilità del legittimario come erede è esclusa nei confronti dei donatari, quanto ai legatari tale responsabilità sussisterebbe solo rispetto ai legatari di quantità, perché solo costoro acquistano verso l’erede un credito, suscettibile di essere soddisfatto anche ultra vires: ma la riduzione incide appunto, in questo caso, sulla misura del credito. Perciò, in mancanza di una norma che esigesse l’accettazione beneficiata, la riduzione sarebbe logicamente incompatibile con la responsabilità ultra vires del legittimario erede.

La nuova disposizione risolve due questioni dibattute sotto il codice precedente. Si discuteva se il legittimario, che non avesse accettato con beneficio d’inventario, potesse chiedere la riduzione delle donazioni e dei legati fatti agli altri eredi, ancorché questi avessero rinunziato all’eredità e se la decadenza dal beneficio d’inventario precludesse l’azione di riduzione. Riguardo alla prima questione, prevaleva l’opinione affermativa, riguardo alla seconda le opinioni erano discordi.

La disposizione in esame ha adottato, in entrambi i casi, la soluzione più favorevole al legittimario, ammettendolo alla riduzione nei confronti degli eredi rinunzianti, quand’anche abbia accettato puramente e semplicemente; e nei confronti di chiunque, quando sia decaduto dal beneficio d’inventario.
Queste soluzioni, destinate a temperare l’ingiustificato rigore della norma, ne rendono più rilevata la contraddittorietà. Già l’eccezione alla necessità dell'accettazione beneficiata, stabilita per la riduzione delle liberalità fatte agli altri eredi si giustifica poco, dato il fondamento attribuito alla norma, poiché dovrebbe ammettersi anche in confronto di costoro la responsabilità illimitata del legittimario onerato. Ma, dato quel fondamento, le soluzioni coerenti delle due questioni indicate sarebbero dovute essere proprio quelle opposte.
Si è ritenuto che l’accettazione beneficiata occorra non già perché risulti accertata ufficialmente la consistenza del patrimonio del defunto - che è il solo fine cui dovrebbe tendere il legislatore - ma piuttosto perché sussisterebbe un contrasto logico insanabile tra responsabilità illimitata e azione di riduzione. Ora, determinandosi, nei due casi anzidetti, la stessa situazione di responsabilità illimitata del legittimario di fronte ai gratificati estranei all’eredità, che sarebbe incompatibile con la riduzione, evidentemente si sarebbe dovuta negare al legittimario, nei due casi, l’azione di riduzione.

Gli altri commi disciplinano l'imputazione sulla legittima. Questa operazione serve per stabilire quale debba essere il valore della legittima spettante al legittimario, tenuto conto delle liberalità che egli ha ricevuto dall’ereditando: perciò, le disposizioni di quest’ultimo in favore di altri sono lesive e quindi riducibili, secondo le regole indicate, in quanto intacchino non già la legittima che sarebbe spettata al legittimario, se egli non avesse ricevuto le liberalità, ma il valore costituente la differenza fra il valore della legittima e quello delle liberalità. Sono liberalità soggette ad imputazione sulla legittima sia le donazioni che i legati.

Poiché la ragione di quest’imputazione sta nella presumibile volontà del de cuius che le liberalità siano fatte al legittimario in conto di legittima, anche quando non siano disposte espressamente a tale titolo, la legge ammette, tuttavia, che all’imputazione non si faccia luogo, quando il legittimario ne sia stato espressamente dispensato. Si esige la dispensa espressa sia perché la dispensa muta la natura della liberalità fatta al legittimario, che per il fatto che dall’omessa imputazione deriva una limitazione dell'efficacia delle altre attribuzioni gratuite del defunto, sebbene l’imputazione debba ritenersi prescritta non solo per la riduzione delle disposizioni lesive, ma anche per il calcolo della porzione legittima.

Con la dispensa l’ereditando antepone la liberalità fatta al legittimario alle altre. S’intende perciò come la dispensa dall’imputazione di un legato non possa essere efficace a danno di un donatario, e quella dall’imputazione di una donazione a danno dei donatari anteriori, che è l’ipotesi espressamente contemplata nel quarto comma: la dispensa urta allora contro il principio dell’irrevocabilità della donazione.

La dispensa dall’imputazione del legato può essere contenuta nel testamento; quella dall’imputazione della donazione, o nello stesso atto di donazione o nel testamento o anche in un distinto atto fra vivi, che, anche per la forma, deve considerarsi una liberalità ulteriore, trasformando la liberalità in conto di legittima in liberalità per anteparte.

Nel terzo comma è specificato che, nel caso di successione per rappresentazione, il legittimario deve imputare anche le liberalità fatte al suo ascendente, ancorché abbia rinunziato all’eredità del medesimo: specificazione superflua, dato il carattere di vocazione indiretta proprio della vocazione per rappresentazione, mentre sarebbe stato forse opportuno stabilire la regola contraria, sembrando poco coerente con la funzione tipica della rappresentazione che essa arrecare in tal modo pregiudizio ai legittimari.

L’ultimo comma rinvia alle norme sulla collazione per la determinazione delle attribuzioni fra vivi esenti da imputazione.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 564 Codice Civile

Cass. civ. n. 8174/2022

In tema di successione necessaria, la riunione fittizia, quale operazione meramente contabile di sommatoria tra attivo netto e "donatum", cioè tra il valore dei beni relitti al tempo dell'apertura della successione, detratti i debiti, ed il valore dei beni donati, sempre al momento dell'apertura della successione, è finalizzata alla determinazione della quota disponibile e di quella di legittima, per accertare l'eventuale lesione della quota riservata al legittimario; ne deriva che l'inammissibilità della domanda di riduzione proposta, nei confronti del donatario non coerede, dal legittimario che non abbia accettato l'eredità con il beneficio d'inventario è del tutto ininfluente ai fini della riunione fittizia. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva escluso dalla riunione fittizia il valore di un bene donato ad un non coerede in ragione dell'inammissibilità della domanda di riduzione proposta nei suoi riguardi dal legittimario che aveva omesso di accettare l'eredità con il beneficio dell'inventario).

Cass. civ. n. 29252/2020

A seguito dell'accettazione dell'eredità con beneficio d'inventario, prescritta, a pena di inammissibilità dell'azione, dall'art. 564 c.c., l'erede beneficiato risponde dei debiti ereditari e dei legati non solo "intra vires hereditatis", e cioè non oltre il valore dei beni a lui pervenuti a titolo di successione, ma altresì esclusivamente "cum viribus hereditatis", con esclusione cioè della responsabilità patrimoniale in ordine a tutti gli altri suoi beni, che i creditori ereditari e i legatari non possono aggredire, sicchè già in fase antecedente l'esecuzione forzata è preclusa ogni misura anche cautelare sui beni propri dell'erede, vale a dire diversi da quelli a lui provenienti dalla successione. (Rigetta, CORTE D'APPELLO FIRENZE, 21/03/2016).

Cass. civ. n. 28196/2020

Mentre la riduzione sacrifica i donatari nei limiti di quanto occorra per reintegrare la legittima lesa ed è quindi imperniata sul rapporto fra legittima e disponibile, la collazione, nei rapporti indicati nell'art. 737 c.c., pone il bene donato, in proporzione della quota ereditaria di ciascuno, in comunione fra i coeredi che siano il coniuge o discendenti del "de cuius", donatario compreso, senza alcun riguardo alla distinzione fra legittima e disponibile. Nondimeno, il rilievo che la collazione può comportare di fatto l'eliminazione di eventuali lesioni di legittima, consentendo agli eredi legittimi di conseguire nella divisione proporzioni uguali, non esclude che il legittimario possa contestualmente esercitare l'azione di riduzione verso il coerede donatario, atteso che solo l'accoglimento di tale domanda assicura al legittimario leso la reintegrazione della sua quota di riserva con l'assegnazione di beni in natura, privando i coeredi della facoltà di optare per l'imputazione del relativo valore. Al contempo, e in modo speculare, deve riconoscersi che l'azione di riduzione, una volta esperita, non esclude l'operatività della collazione con riguardo alla donazione oggetto di riduzione, fermo restando che mentre la collazione, ove richiesta in via esclusiva, comporta il rientro del bene donato nella massa, senza riguardo alla distinzione fra legittima e disponibile, nel caso di concorso con l'azione di riduzione essa interviene in un secondo tempo, dopo che la legittima sia stata reintegrata, al fine di redistribuire l'eventuale eccedenza, e cioè l'ulteriore valore della liberalità che esprime la disponibile. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO TORINO, 16/03/2018).

Cass. civ. n. 18199/2020

In tema di azione di riduzione, l'omessa allegazione nell'atto introduttivo di beni costituenti il "relictum" e di donazioni poste in essere in vita dal "de cuius", anche in vista dell'imputazione "ex se", ove la loro esistenza emerga (come nella specie) dagli atti di causa ovvero costituisca oggetto di specifica contestazione delle controparti, non preclude la decisione sulla domanda di riduzione, dovendo il giudice procedere alle operazioni di riunione fittizia prodromiche al riscontro della lesione, avuto riguardo alle indicazioni complessivamente provenienti dalle parti, nei limiti processuali segnati dal regime delle preclusioni per l'attività di allegazione e di prova. Ne consegue che, ove il silenzio serbato in citazione sull'esistenza di altri beni relitti ovvero di donazioni sia dovuto al convincimento della parte dell'inesistenza di altre componenti patrimoniali da prendere in esame ai fini del riscontro della lesione della quota di riserva, il giudice non può solo per questo addivenire al rigetto della domanda, che è invece consentito se, all'esito dell'istruttoria, e nei limiti segnati dalle preclusioni istruttorie, risulti indimostrata l'esistenza della dedotta lesione.

Cass. civ. n. 4694/2020

L'azione di riduzione proposta contro un soggetto che è legittimario al pari del legittimario attore implica che il convenuto abbia ricevuto una donazione o debba beneficiare di una disposizione testamentaria per la quale venga ad ottenere, oltre la rispettiva legittima, che è anche a suo favore intangibile, qualcosa di più, che contribuisce a privare, in tutto o in parte, della legittima il legittimario attore. In tal caso, il convenuto con l'azione di riduzione non deve proporre alcuna domanda o eccezione per contenere la riduzione nei limiti di quanto eventualmente sopravanzi a ciò che gli compete come legittimario, conseguendo tale risultato dall'applicazione delle norme di legge, senza che rilevi minimamente che la riduzione, così operata, non sia sufficiente a reintegrare la legittima dell'attore. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO MESSINA, 20/08/2018).

Cass. civ. n. 19284/2019

L'azione di riduzione e quella di divisione, pur presentando una netta differenza sostanziale, possono essere fatte valere nel medesimo processo, in quanto - per evidenti ragioni di economia processuale - è consentito al legittimario di chiedere, anzitutto, la riduzione delle disposizioni testamentarie e delle donazioni che assume lesive della legittima e, successivamente, nell'eventualità che la domanda di riduzione sia accolta, l'azione di divisione, estesa anche a quei beni che, a seguito dell'accoglimento dell'azione di riduzione, rientrano a far parte del patrimonio ereditario divisibile. (Rigetta, CORTE D'APPELLO SEZ.DIST. DI SASSARI, 16/05/2018).

Cass. civ. n. 20971/2018

Il legittimario totalmente pretermesso dall'eredità che, a tutela del proprio diritto alla reintegrazione della quota di legittima, impugna per simulazione un atto compiuto dal "de cuius", agisce in qualità di terzo e non in veste di erede - condizione che acquista solo in conseguenza del positivo esercizio dell'azione di riduzione - e, come tale ed al pari dell'erede che proponga un'azione di simulazione assoluta ovvero relativa, ma finalizzata a far valere la nullità del negozio dissimulato, non è tenuto alla preventiva accettazione dell'eredità con beneficio di inventario; diversamente ove il legittimario sia anche erede e proponga un'azione di simulazione relativa, ma volta a far valere la validità del negozio dissimulato, tale domanda deve ritenersi proposta esclusivamente in funzione dell'azione di riduzione e postula, quale condizione per la propria ammissibilità, la previa accettazione beneficiata.

Cass. civ. n. 22097/2015

Il legittimario può esercitare l'azione di riduzione verso il coerede donatario anche in sede di divisione ereditaria, atteso che gli effetti della divisione - nonostante il meccanismo della collazione - non assorbono gli effetti della riduzione, quest'ultima obbligando alla restituzione in natura dell'immobile donato, mentre l'altra ne consente l'imputazione di valore.

La dispensa del donatario dall'imputare la donazione alla propria quota di legittima costituisce un negozio autonomo rispetto alla donazione medesima, sicché essa può essere effettuata anche nel successivo testamento del donante.

Cass. civ. n. 22632/2013

In tema di azione di riduzione, qualora il legittimario, ai sensi dell'art. 564 cod. civ., non possa aggredire la donazione più recente a favore di un non coerede per aver accettato l'eredità senza beneficio d'inventario, egli non può aggredire la donazione meno recente a favore del coerede, se non nei limiti in cui risulti dimostrata l'insufficienza della donazione più recente a reintegrare la quota di riserva, non potendo ricadere le conseguenze negative del mancato espletamento di quell'onere su soggetti estranei all'assolvimento dello stesso.

Cass. civ. n. 18068/2012

È manifestamente infondata la questione di legittimità, per violazione degli artt. 2, 3 e 24 Cost., della disposizione dell'art. 564, primo comma, c.c., che condiziona l'ammissibilità dell'azione di riduzione all'accettazione dell'eredità con il beneficio d'inventario solo nel caso in cui tale azione venga esercitata nei confronti di un terzo e non anche quando essa sia rivolta verso un coerede, essendo tale norma giustificata: 1) dall'esigenza di porre il convenuto in grado di conoscere l'entità dell'asse ereditario, esigenza maggiormente avvertita per il terzo, in quanto si presume che il coerede possa accertarsi dell'entità dell'asse con mezzi diversi dall'accettazione del beneficiato; 2) dalla "ratio" di evitare il contrasto logico insanabile tra la responsabilità "ultra vires" dell'erede per il pagamento dei debiti e dei legati, il suo obbligo di rispettare integralmente gli effetti degli atti compiuti dal defunto - quindi, anche delle donazioni - e l'azione di riduzione della liberalità; 3) dalla volontà del legislatore di non sacrificare il terzo a vantaggio dei creditori del defunto, i quali, invero, ai sensi dell'art. 557, terzo comma, c.c., non approfittano della riduzione solo se il legittimario avente diritto alla riduzione ha accettato l'eredità con il beneficio d'inventario.

Cass. civ. n. 28632/2011

A norma dell'art. 564 c.c., il legittimario che abbia la qualità di erede non può esperire l'azione di riduzione delle donazioni e dei legati lesivi della sua quota di legittima ove non abbia accettato l'eredità con beneficio d'inventario, non potendo tale condizione valere, invece, per il legittimario totalmente pretermesso, il quale può acquistare i suoi diritti solo dopo l'esperimento delle azioni di riduzione o di annullamento del testamento. La pretermissione del legittimario può verificarsi anche nella successione "ab intestato", qualora il "de cuius" si sia spogliato in vita del suo patrimonio con atti di donazione.

Cass. civ. n. 7098/2011

La mancanza della rinunzia al legato in sostituzione di legittima, da parte del legittimario che agisce in riduzione ai sensi dell' art. 564 c.c., è rilevabile di ufficio, senza necessità di eccezione della controparte; ne consegue che è tempestiva la relativa eccezione sollevata per la prima volta nell'atto di appello.

Cass. civ. n. 19527/2005

In tema di azione di riduzione delle donazioni e dei legati, qualora il testatore abbia disposto a titolo universale dell'intero asse ereditario, la condizione dell'accettazione dell'eredità con beneficio d'inventario è esclusa nell'ipotesi in cui il legittimario, essendo stato totalmente pretermesso, non assume, ai sensi dell'art. 467 secondo comma c.c., la qualità di chiamato all'eredità fino a quando l'istituzione testamentaria non venga ridotta nei suoi confronti; tale regola è stata da tempo estesa all'erede legittimo sul rilievo che, qualora il de cuius si sia spogliato in vita dell'intero patrimonio con atti di donazione, anche nella successione ab intestato può configurarsi la totale pretermissione del legittimario il quale, per l'assenza di beni relitti, si trovi nella necessità di esperire l'azione di riduzione a tutela del diritto sostanziale riconosciutogli dalla legge; infatti, la disposizione di cui all'art. 564 c.c., che subordina la proposizione dell'azione di riduzione delle donazioni e dei legati da parte del legittimario alla sua accettazione con beneficio d'inventario, salvo che le donazioni e i legati siano fatte a persone chiamate come coeredi, risponde alla ratio di evitare che la confusione dei patrimoni del de cuius e dell'erede impedisca al donatario e al legatario di verificare l'effettività della lesione della riserva e, inoltre, all'esigenza, di cui è fatta menzione nella relazione al progetto definitivo del codice civile, di evitare il contrasto logico ed insanabile fra la responsabilità illimitata dell'erede, nonché il suo obbligo di rispettare gli atti di disposizione del defunto, e l'azione di riduzione della liberalità.

Cass. civ. n. 9424/2003

La riduzione della disposizione testamentaria conseguente all'accoglimento della domanda del legittimario che si ritenga leso nella sua quota di riserva, non derivando da un vizio di nullità dell'atto dispositivo, rende tale atto soltanto inefficace ex nunc nei confronti del legittimario vittorioso, sicché, fino a quando non sia intervenuta la pronuncia di accoglimento della domanda di riduzione, le disposizioni testamentarie (come anche le donazioni) lesive della quota di legittima conservano ed esplicano la loro efficacia. Ne consegue che la controversia relativa all'azione di riduzione non si pone in rapporto di pregiudizialità necessaria con la domanda di liquidazione della quota di capitale sociale oggetto di disposizione testamentaria suscettibile di riduzione in caso di accoglimento della domanda proposta dal legittimario che si ritenga leso, non potendosi comunque verificare il contrasto di giudicati.

Cass. civ. n. 2294/1996

L'esperimento dell'azione di simulazione da parte degli eredi, relativamente ad un negozio apparentemente oneroso compiuto dal de cuius, preordinato al successivo eventuale esercizio dell'azione di riduzione e diretto contro persone estranee all'eredità non è condizionato all'accettazione con beneficio d'inventario nei soli casi in cui venga in questione la simulazione assoluta di un negozio giuridico o in cui, pur prospettandosi Ia simulazione come relativa, il negozio dissimulato sia nullo per vizio di forma o per incapacità di uno dei soggetti o per altra causa, non potendo in tali casi negarsi l'interesse del legittimario a fare accertare, indipendentemente dall'azione di riduzione, l'intervenuta simulazione e cioè l'inesistenza dell'apparente negozio giuridico posto in essere dal de cuius. Viceversa, allorquando sia stato impugnato un negozio oneroso siccome dissimulante una donazione, essendo il negozio dissimulato rivestito della forma prescritta, l'azione di simulazione è in funzione unicamente dell'azione di riduzione e perciò in tanto può essere proponibile, in quanto sussista il presupposto cui è condizionata la proposizione della seconda e cioè l'accettazione con beneficio d'inventario.

Cass. civ. n. 12632/1995

Il legittimario pretermesso non è chiamato alla successione per il solo fatto della morte del de cuius, potendo acquistare i suoi diritti solo dopo l'esperimento delle azioni di riduzione o di annullamento del testamento, ovvero dopo il riconoscimento dei suoi diritti da parte dell'istituito. Ne consegue che la condizione della preventiva accettazione dell'eredità con beneficio d'inventario, stabilita dal primo comma dell'art. 564 per l'esercizio dell'azione di riduzione, vale soltanto per il legittimario che abbia in pari tempo la qualità di erede (per disposizione testamentaria o per delazione ab intestato), e non anche per il legittimario
totalmente pretermesso dal testatore.

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Consulenze legali
relative all'articolo 564 Codice Civile

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Elena P. chiede
mercoledì 30/08/2023
“Sono erede in rappresentazione di mia madre premorta.
Muore la nonna (de cuius): eredi legittimari sono 2 figlie e la sottoscritta. Nel 1994 la de cuius vende al convivente della figlia un bene per un prezzo inferiore a quello di mercato e nel 1995 vende alla figlia altro bene per un valore inferiore ai prezzi di mercato.
Come posso agire: impugno le vendite che dissimulano donazioni o agisco in riduzione nei confronti della figlia privilegiata?
Allo stato non c'è altro (non c'è relictum), a parte le due vendite.
Posso richiedere anche gli estratti conto delle due sorelle per vedere se la nonna ha fatto bonifici a loro?”
Consulenza legale i 07/09/2023
La questione principale che il quesito richiede di affrontare è sostanzialmente quella relativa ai rapporti tra azione di simulazione e azione di riduzione.
Occorre intanto precisare che l’azione di riduzione, in relazione agli atti tra vivi compiuti dal defunto, consente di colpire soltanto le liberalità, ovvero gli atti tra vivi a titolo gratuito contraddistinti dall’animus donandi.
Tuttavia, accade spesso nella prassi quotidiana che vengano posti in essere atti di simulazione relativa, ovvero atti diretti a dissimulare una vera e propria donazione dietro l’apparenza di un contratto a titolo oneroso (tipico caso è quello, come accaduto nella fattispecie in esame, di una vendita che dissimula una donazione).

Ebbene, è proprio in casi come questo che si pone il problema del rapporto tra azione di riduzione e azione di simulazione, in quanto soltanto dopo che sia stata accertata la reale natura donativa dell’atto, il legittimario che ne sostenga il carattere lesivo può ottenerne la riduzione.
Ora, il problema principale che in tali casi si pone è quello della prescrizione dell’azione di simulazione in quanto, come si legge in Cassazione civile, sez. II, ordinanza 07/01/2019 n° 125, l’azione di simulazione relativa è imprescrittibile quando è diretta a dimostrare la nullità sia del negozio simulato che di quello dissimulato, mentre è soggetta a prescrizione decennale quando è diretta a realizzare gli effetti del contratto dissimulato (ciò che qui si intende ottenere).
In buona sostanza, il discrimine tra azione di simulazione assoluta e azione di simulazione relativa in senso proprio, si fonda sul fatto che, con la prima si mira solo a far dichiarare l'inesistenza di qualsiasi mutamento della realtà giuridica preesistente al negozio simulato, mentre con la seconda, si fa emergere il reale mutamento di detta realtà voluto dalle parti al posto di quello apparentemente posto in essere, per potersene in qualche modo avvantaggiare, con la conseguenza che solo in quest'ultimo caso opererà la prescrizione, con esclusivo riferimento ai diritti nascenti dal negozio dissimulato.

Quanto fin qui detto, però, non può trovare applicazione nel caso in cui l’azione di simulazione si ponga quale presupposto necessario per l’esercizio dell’azione di riduzione.
Infatti, con riferimento a tale specifico caso, sempre la Corte di Cassazione, Sez. II civile sentenza n. 138 del 05.01.2017, prendendo proprio posizione sulla prescrizione dell’azione di simulazione in relazione ad una donazione dissimulata, è giunta alla conclusione che qualora l’azione di simulazione venga esercitata in funzione della riduzione di una donazione dissimulata, il termine di prescrizione decorre dalla data di apertura della successione, in quanto il legittimario agisce in veste di terzo pregiudicato dalla simulazione.
Quest’ultima sentenza non distingue tra azione di riduzione e azione di simulazione, ma trasferisce a quest’ultima una qualità (la prescrittibilità) propria della prima, che si riverbera sull’azione di simulazione solo quando vi sia un nesso di pregiudizialità tra l’una e l’altra, come nel caso di domanda di riduzione proposta subordinatamente all’accertamento della simulazione relativa (in tal senso anche Cass. civ., sez. III, 6 marzo 2018, n. 5159).

Altra questione dibattuta, che rappresenta logico corollario del discusso rapporto tra l’azione di simulazione e quella di riduzione, attiene ai limiti probatori della simulazione nei confronti dell’erede.
A tale riguardo sempre la Corte di Cassazione, Sez. II civile, sentenza n. 125 del 07.01.2019, ha affermato che ai fini della prova della simulazione di una vendita posta in essere dal de cuius per dissimulare una donazione, l’erede legittimario può ritenersi terzo, con conseguente ammissibilità senza limiti della prova della simulazione, solo quando contestualmente alla azione volta alla dichiarazione di simulazione, proponga anche una espressa domanda di riduzione della donazione dissimulata, facendo valere la sua qualità di legittimario e fondandosi sulla specifica premessa che l’atto dissimulato comporti una lesione del diritto personale alla integrità della quota di riserva spettantegli, in quanto solo in questo caso egli si pone come terzo nei confronti della simulazione.

Facendo a questo punto applicazione dei principi sopra esposti al caso di specie, può così rispondersi a quanto chiesto:
la nipote, erede per rappresentazione della figlia premorta della de cuius, ha un termine di dieci anni dall’apertura della successione della nonna per agire in riduzione e chiedere, previo accertamento della simulazione degli atti di compravendita del 1994 e del 1995, la ricostituzione dell’asse ereditario relitto, con obbligo della collazione da parte dell’erede beneficiaria della simulata donazione e riduzione della quota della stessa.
Nel corso di tale giudizio, sempre ai fini della ricostituzione dell’asse ereditario, si potrà chiedere al giudice di essere autorizzati ad avere copia delle movimentazioni bancarie della de cuius, onde verificare la registrazione di eventuali bonifici in favore degli altri eredi (la medesima richiesta non potrà essere avanzata con riferimento ai conti correnti degli eredi).

Per quanto concerne la simulazione dell’atto di compravendita del 1994, invece, occorre precisare che, sebbene tale atto sia stato posto in essere nei confronti di un terzo estraneo all’eredità (il convivente di una delle figlie), non può trovare applicazione il disposto di cui al primo comma dell’art. 564 c.c., nella parte in cui prescrive, quale condizione per l'esercizio dell'azione di riduzione, che il legittimario abbia accettato l'eredità con beneficio di inventario.
E’ infatti pacifico che l'accettazione beneficiata non è necessaria quando il legittimario sia stato totalmente pretermesso dal testatore, non essendo concepibile che intervenga accettazione in mancanza di delazione ereditaria (in tal senso Capozzi, Successioni e donazioni, nonché Cass. Sez. II sent. n. 30079/2019, Cass. Sez. II ordinanza n. 20971/2018, Cass. Sez. II sent. n. 13804/2006).

Monica V. chiede
venerdì 15/10/2021 - Veneto
“Possiedo la nuda proprietà di un appartamento edificato negli anni Cinquanta, classe A/4, ricevuta per il 50% in eredità alla morte di mio nonno nel settembre 1987, e per il 50% in donazione da mia nonna (sua moglie) nel dicembre 1994. L'usufrutto è tuttora in capo a mia nonna, vivente.
I miei nonni avevano un unico figlio, mio padre, al quale nel dicembre 1986 avevano dato in donazione un altro appartamento di loro proprietà, più grande e più recente di quello dato a me. Tale appartamento non è comunque più in suo possesso.
Da almeno quindici anni tutta la gestione finanziaria di mia nonna è in capo a suo figlio: risparmi, pensione e invalidità sono conservati e accreditati su un libretto postale cointestato (ma tutto il denaro ivi depositato proviene da mia nonna); altri suoi risparmi sono stati investiti in buoni fruttiferi ordinari, sempre cointestati. Preleva lui il denaro, lo utilizza per fare i di lei pagamenti o lo consegna a mia nonna per le spese.
Da cinque anni mio padre ha sottratto fisicamente libretto e buoni postali, in occasione di un ricovero in ospedale della nonna. Ora non c'è più alcun controllo, nessuno sa nemmeno a quanto ammonti adesso il saldo del libretto postale (60mila euro circa cinque anni fa).
Ultimamente la nonna è in precarie condizioni di salute (quasi 100anni) e il figlio sta dicendo apertamente a tutti che ha intenzione di "andare dall'avvocato e riprendersi la casa", cioè quella di cui io ho la nuda proprietà.
So ovviamente che esiste la quota legittima, ma mi chiedo come possa essere possibile ora stabilirne correttamente l'entità in queste condizioni, in cui è lui l'unico a gestire il patrimonio della nonna senza alcun controllo. Purtroppo non mi stupirei del fatto che avesse prelevato per sé buona parte del denaro della nonna, facendo quindi risultare un' eredità per lui pressoché nulla, che giustificherebbe quindi la riduzione in mio sfavore.
Vorrei sapere se ho modo di tutelarmi.
Grazie.”
Consulenza legale i 21/10/2021
Stando a ciò che viene detto nel quesito, non dovrebbero sussistere motivi per preoccuparsi di poter subire un’azione di riduzione dal parte del figlio, unico erede legittimario della donante, anche se, per avere certezza di ciò, occorre sempre attendere il momento di apertura della successione, in quanto sarà solo a quella data che potrà concretamente determinarsi il valore del patrimonio relitto secondo il disposto dell’art. 556 del c.c..

Gli unici elementi di cui allo stato attuale si ha certezza sono i seguenti:
  1. che la persona della cui futura successione si tratta lascerebbe un solo figlio, con conseguente applicazione del primo comma dell’art. 537 del c.c. il quale, in tema di diritti riservati ai legittimari, dispone che in caso di figlio unico a questi è riservata la metà del patrimonio;
  2. che nel compendio ereditario vi si dovranno far sicuramenti rientrare i due immobili donati, il primo al nipote per la sola quota di nuda proprietà, ed il secondo al figlio legittimario in piena proprietà.
La donazione di entrambi gli immobili, infatti, viene in considerazione per effetto del disposto del sopra citato art. 556 c.c., il quale statuisce che, al fine di poter determinare la porzione disponibile, occorre formare una massa di tutti i beni che appartenevano al defunto al tempo della morte, detraendone i debiti e riunendovi fittiziamente i beni di cui sia stato disposto a titolo di donazione.

Nel caso di specie, la riunione fittizia avrà ad oggetto entrambi gli immobili donati, il secondo dei quali (ossia quello donato al figlio) sembrerebbe possa avere un valore maggiore di quello donato al nipote (si dice che gli è stato donato un altro appartamento più grande e più recente di quello donato al nipote), il che lascia ben sperare che con questa sola donazione possa essere stata già soddisfatta la sua quota di riserva (pari alla metà del patrimonio).
Si afferma ciò in quanto occorre tenere presente che, nel momento in cui il legittimario, che ritiene di aver subito una lesione della quota di riserva, decide di esperire l’azione di riduzione, trova applicazione l’art. 564 c.c., il quale, al suo secondo comma, pone quale condizione per l’esercizio di detta azione, che il legittimario imputi alla sua porzione di legittima le donazioni a lui fatte dal de cuius, salvo il caso di espressa dispensa (la quale, si precisa, può avere effetto solo nei limiti della quota disponibile ex art. 737 comma 2 c.c.).

Le considerazioni sopra fatte non tengono ovviamente conto di ciò che potrebbe trovarsi nel patrimonio ereditario in termini di mobili, denaro e titoli di credito in genere.
Qualora poi il valore di quanto donato al figlio non dovesse essere sufficiente a coprire quello della quota di riserva al medesimo spettante, non resterebbe altra scelta che quella di fargli comprendere che, se dovesse convincersi ad esercitare l’azione di riduzione, non si esiterebbe a cercare di far rientrare nel calcolo del valore della massa ereditaria ex art. 556 c.c. anche quanto da lui ricevuto a titolo di donazione indiretta per effetto della cointestazione di conto corrente e titoli.

Sempre in considerazione di quanto viene detto nel quesito, si ritiene che sarebbe oltremodo facile dimostrare che sia il conto corrente che i conti di deposito titoli venivano alimentati con somme di provenienza della sola donante, il che consentirebbe di fare applicazione di quell’orientamento giurisprudenziale secondo cui, se si dimostra l’animus donandi, il conto corrente cointestato può nascondere una donazione indiretta (da considerare in sede di riunione fittizia).
In tal senso si è espressa da ultimo la Corte di Cassazione, Sez. II Civile, con ordinanza n. 4682 del 28.02.2018, affermando il seguente principio di diritto:
La cointestazione, con firma e disponibilità disgiunte, di una somma di denaro depositata presso un istituto di credito, è qualificabile come donazione indiretta qualora detta somma, all'atto della cointestazione, risulti essere appartenuta ad uno solo dei cointestatari, rilevandosi che, in tal caso, con il mezzo del contratto di deposito bancario, si realizza l'arricchimento senza corrispettivo dell'altro cointestatario: a condizione, però, che sia verificata l'esistenza dell'"animus donandi", consistente nell'accertamento che il proprietario del denaro non aveva, nel momento della cointestazione, altro scopo che quello della liberalità”.

Nel caso di specie occorrerebbe fornire in giudizio la prova che non tutte le somme che confluivano nel conto cointestato venivano di fatto utilizzate per far fronte alle spese di colei che concretamente lo alimentava, e che per la parte eccedente tale utilizzo sarebbe configurabile o una donazione indiretta ovvero, cosa ancora più grave, una appropriazione indebita da parte dell’altro cointestatario.
Ciò perché nel caso di cointestazione di un deposito bancario e/o postale valgono i principi desumibili dagli artt. 1854 e 1298 comma 2 c.c., secondo cui le parti di ciascuno dei titolari, se non risulta diversamente, si presumono eguali.


Anna F. chiede
giovedì 12/08/2021 - Veneto
“Buongiorno, la domanda è:
Mio padre, insieme a mia madre, nel 2007 fece la donazione degli immobili di sua proprietà mantenendo l'usufrutto.
In una seconda fase mio padre fece la donazione della farmacia del quale era titolare ad un figlio.
Da ultimo, dispose con testamento olografo, un'ultima parte di patrimonio che era rimasto in sospeso.
Il testamento diciamo che è stato accettato da tutti alla morte del papà nel 2015.
La mia domanda è: si può ancora contestare le donazioni, in particolare quella della farmacia, oppure l accettazione del testamento non consente nessuna azione?
Spero di essermi spiegata bene o comunque rimango a disposizione per ulteriori chiarimenti.
Cordiali saluti”
Consulenza legale i 24/08/2021
Per rispondere al quesito che viene posto è sufficiente leggere l’art. 564 c.c., relativo proprio alle condizioni che consentono di esperire l’azione di riduzione.
Contrariamente a ciò che nel quesito si teme, infatti, il primo comma di tale norma prescrive, quale condizione per l'esercizio dell'azione di riduzione, che il legittimario abbia non solo accettato l'eredità, ma anche che si sia avvalso della accettazione con beneficio di inventario (cfr. artt. 484 ss.), facendo salvo il solo caso in cui si tratti di liberalità fatte a persone chiamate alla successione ereditaria, ancorché questi abbiano rinunciato all'eredità.

E’ stato anche evidenziato che, malgrado non previsto espressamente dalla norma, l’accettazione beneficiata non può essere richiesta allorché il legittimario sia stato totalmente pretermesso dal testatore, e ciò perché non è ammissibile che, in mancanza di delazione ereditaria, intervenga accettazione.

Secondo la tesi prevalente l'accettazione beneficiata costituisce, rispetto all'esercizio dell'azione di riduzione, una condizione di ammissibilità e non un presupposto dell'azione.
In ogni caso, lo scopo che il legislatore ha voluto perseguire, imponendo tale forma di accettazione, sembra evidente, dovendo individuarsi nell’esigenza di tutelare i legatari e donatari estranei (soggetti passivi dell'azione di riduzione), per i quali si rende necessaria una preventiva constatazione ufficiale della consistenza dell'asse ereditario, che accerti l'effettiva lesione (cfr. Cass. n. 1787/1981; Cass. n. 16739/2005).

Stando a quanto fin qui detto, dunque, l’apertura della successione testamentaria e l’intervenuta manifestazione della volontà di accettare l’eredità del de cuius così devoluta, non hanno comportato il venir meno del diritto di agire in riduzione, ma al contrario, ne hanno costituito un presupposto necessario (o meglio una condizione di ammissibilità).

Nel caso di specie, oltretutto, troveranno applicazione anche i successivi commi della norma presa in esame, tenuto conto del fatto che tutti gli eredi testamentari sembrano aver beneficiato di donazioni da parte del de cuius.
In particolare, gli altri commi disciplinano la c.d “imputazione sulla legittima”, operazione contabile necessaria per il calcolo della quota spettante in concreto al legittimario, in aggiunta alle altre operazioni stabilite dalla legge ( art. 556 del c.c.).
La ragione di quest’imputazione sta nella presumibile volontà del de cuius che le liberalità siano fatte al legittimario in conto di legittima, anche quando non siano disposte espressamente a tale titolo.

L'imputazione costituisce non tanto un obbligo, ma piuttosto un limite del diritto del legittimario, che si configura come onere, in quanto il legittimario che non imputa le liberalità ricevute in conto, non potrà mai essere in grado di fornire la prova della lesione.
L'imputazione deve essere fatta con riguardo al valore del bene al momento dell'apertura della successione, e tenuto conto di tutte le potenzialità economiche del bene (così Cass. nn. 6011/1984 e Cass. n. 645/2003).

A questo punto, dopo aver esaminato i presupposti e le condizioni per l’esercizio dell’azione di riduzione, non rimane che prendere in esame un ultimo aspetto, anch’esso certamente importante, ovvero quello della prescrizione di tale azione.
Premesso che secondo l’orientamento prevalente, sia in dottrina che in giurisprudenza, l’azione di riduzione deve ritenersi soggetta alla prescrizione ordinaria decennale, dei dubbi sono stati avanzati in relazione al momento iniziale di decorrenza di tale termine.

Al riguardo è stato precisato che occorre distinguere a seconda che la potenziale lesione, legittimante l’esercizio dell’azione di riduzione, debba farsi discendere dal testamento o sia dovuta a pregresse donazioni effettuate in vita dal de cuius.
In particolare, nel caso di lesione ricollegabile alle disposizioni testamentarie, diverse sono le tesi sviluppatesi al riguardo.
Secondo un primo orientamento giurisprudenziale, il termine di prescrizione dell’azione di riduzione dovrà farsi decorrere dalla data di apertura della successione, vale a dire dalla data di morte della persona della cui eredità si tratta.
Altro ed opposto orientamento giurisprudenziale, invece, individua il termine di decorrenza della prescrizione dell’azione di riduzione nella data di pubblicazione del testamento; sarebbe soltanto da tale momento che si determina una presunzione, iuris tantum, di conoscenza delle disposizioni lesive, con la conseguenza che, solo a partire da tale data, i legittimari sono posti in condizione di fare valere il loro diritto e richiedere la riduzione delle disposizioni lesive della propria quota di riserva.

Secondo un più recente orientamento giurisprudenziale, nell’ipotesi in cui la (potenziale) lesione della legittima sia ricollegabile a disposizioni testamentarie, fino a quando il chiamato in base al testamento non accetti l’eredità, rendendo attuale quella lesione di legittima che per effetto delle disposizioni testamentarie era solo potenziale, non sarebbe legittimato (per difetto di interesse) ad esperire l’azione di riduzione.

Nel caso in cui, invece, la lesione sia dovuta a donazioni (come accaduto nel caso di specie), il temine scatterà dal momento dell’apertura della successione, in quanto già da tale momento la lesione diventa attuale.
Considerato, dunque, che la morte del de cuius si è verificata nel corso dell’anno 2015, si avrà tempo fino al 2025 per esperire l’azione di riduzione (sempre che possa lamentarsi una lesione di legittima).


Angela M. chiede
martedì 16/10/2018 - Toscana
“Buonasera

quesito: posso e come posso rientrare in possesso dell'1/4 di immobile, ed eventuali soldi/valori, di mia nonna morta dopo mia mamma ?


mia nonna,vedova, è morta l'anno scorso, 2017.
Aveva 4 figli (3 sono vivi 1 defunto, mia mamma)

Solo dopo la sua morte ho scoperto che anni prima aveva venduto il suo appartamento a mia zia, moglie in comunione di beni di uno dei 3 figli ancora vivi). Pertanto non è stata fatta nessuna successione e, oltre a non ritrovarmi quota della legittima di mia madre premorta, non ho potuto accedere al suo c/c o altro.

ho una copia dell'atto di compravendita dell'immobile nel quale ho letto:

- L’atto è stato stipulato nel 2010 presso la sua abitazione e non presso il notaio alla presenza di 2 testimoni, vicini d casa. La nonna all’epoca era invalida.

- Nell’atto del 2010 è stato indicato che il pagamento è avvenuto "in più riprese anteriormente al 4/7/2006"

-L’appartamento è stato venduto alla nuora (mia zia), con specifica che compra a titolo proprio ex art 179 utilizzando denaro acquisito con il ricavato di beni personali. mia zia è in comunione di beni con 1 dei figli di mia nonna.

-Il valore di vendita indicato è il doppio calcolato rispetto al valore catastale.

- Immobili simili in vendita ad oggi nella stessa via/stesso paese hanno annunci con prezzo di vendita di circa il doppio

grazie”
Consulenza legale i 19/10/2018
In forza dell’istituto della rappresentazione (art. 467 c.c.) i discendenti subentrano nel luogo e nel grado del loro ascendente, in tutti i casi in cui questi non può (come nel caso di premorienza quando il soggetto avente diritto all’eredità muore prima della persona dalla quale avrebbe ereditato) o non vuole accettare l'eredità o il legato.
Ciò significa che in caso di premorienza l’eredità lasciata dal de cuius (nel nostro caso, Sua nonna) viene spartita tra i figli viventi di quest’ultimo ed i figli del figlio premorto.

Quindi, in risposta alla prima domanda, Lei rientra tra gli eredi di Sua nonna in luogo di Sua madre.

In caso di atti di liberalità fatti in vita dal de cuius occorre verificare se questi abbiano ecceduto la quota disponibile prevista dalla legge ossia quella quota che è riservata ai legittimari.
Infatti, in base all’art. 537 c.c., se un genitore lascia più figli (come nella presente vicenda) a questi è riservata complessivamente la quota dei due terzi del patrimonio, da dividersi in parti uguali tra tutti i figli, mentre un terzo del patrimonio è la quota disponibile.
Nel Suo caso, quindi, la quota di eredità che la legge riserva in Suo favore è pari ad un sesto.

Ciò precisato, con riguardo la vendita dell’appartamento a Sua zia si osserva quanto segue.
Come sopra specificato, il de cuius in vita può disporre dei suoi beni entro un certo limite (la quota disponibile).
Superato questo limite, atti di disposizione del patrimonio (testamento o atti di liberalità) potrebbero andare a ledere la quota di legittima.
In tal caso, l’ordinamento prevede un particolare strumento a tutela del legittimario la cui quota di riserva sia stata lesa: l’azione di riduzione.
Con tale azione si chiede la riduzione delle disposizioni testamentarie o delle donazioni allo scopo di reintegrare, appunto, la quota di legittima.
E’ una azione che può esperita nel termine di prescrizione di dieci anni che inizia a decorrere dal giorno dell’apertura della successione nel caso di donazione lesiva, o dall’accettazione dell’eredità, nel caso di disposizione testamentaria.
Il calcolo della quota di legittima avviene attraverso la cd. riunione fittizia, cioè una operazione matematica che imputa al patrimonio del de cuius il valore dei beni rimasti e di tutte le donazioni compiute in vita.
Come disposto dall’art. 555 c.c., l’azione di riduzione si dirige in primo luogo verso le disposizioni testamentarie e quando queste risultino insufficienti per ripristinare la quota lesa, verso le donazioni effettuate in vita dal de cuius.
Ricordiamo che laddove l’azione di riduzione si rivolga a soggetti diversi dai coeredi (come nel caso in esame visto che l’immobile era stata venduto alla nuora che aveva acquistato con i ricavi di beni personali e quindi non in comunione) chi esperisce l’azione deve aver accettato l’eredità con il beneficio d’inventario (art. 564 c.c.).

Ciò premesso, non solo le donazioni dirette sono soggette a riduzione ma anche quelle cd. indirette: cioè atti di liberalità diversi nella forma da una donazione ma uguali ad essa nella sostanza.
Si pensi, ad esempio, ad una vendita simulata come potrebbe essere nel caso in esame.
In tal caso occorrerebbe prima impugnare la vendita e poi esperire l’azione di riduzione.
Secondo gran parte della giurisprudenza, vi sono degli indizi che possono far supporre che dietro una vendita ci sia in realtà una donazione.
Essi sono, ad esempio: 1) la circostanza che il venditore abbia continuato a vivere nella casa anche dopo la vendita; 2) il valore di vendita dell’immobile di molto inferiore a quello effettivo (ad esempio una casa del valore di trecentomila euro venduta a cinquantamila euro); 3) la mancanza di tracce di pagamento del prezzo dell’immobile.
Tuttavia, una recentissima pronuncia della Corte di Cassazione (ordinanza n.5843/2018) ha sottolineato che un prezzo irrisorio o il parziale pagamento del corrispettivo pattuito non siano da sole prove sufficienti ai fini della simulazione.

Ciò posto, nel caso in esame risulta che l’immobile sia stato alienato ad un prezzo pari a circa la metà di quello di mercato.
Il concetto di prezzo irrisorio (come indizio di donazione) elaborato dalla giurisprudenza parrebbe richiedere un divario maggiore.
Si pensi, ad esempio, alla sentenza di Cassazione n.3175/2011 dove un prezzo irrisorio è stato ritenuto quello pari ad un settimo del valore effettivo dell’immobile. Quindi, nel caso in esame, potrebbe darsi che un giudice non ritenga sufficiente tale elemento per poter qualificare la vendita come simulata.
Elemento, invece, molto sospetto appare essere quel pagamento “avvenuto a più riprese anteriormente al quattro luglio 2006”. Infatti, di norma in una compravendita il prezzo dell'immobile viene corrisposto contestualmente alla stipula dell'atto notarile. Inoltre, la data del 4 luglio 2006 non è stata indicata a caso: dopo tale data si sarebbero dovute menzionare le modalità di pagamento del corrispettivo mediante dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà (art. 35 comma 22 D.L. 223 del 4 luglio 2006). Così facendo, invece, si è aggirato il predetto obbligo di legge.

Altro indizio della vendita simulata potrebbe essere la presenza dei due testimoni.
Infatti, in base all’art. 48 della Legge Notarile è prevista la necessaria presenza di testimoni soltanto nei seguenti casi: negli atti di donazione; convenzioni matrimoniali, loro modificazione, dichiarazione di scelta del regime di separazione; se la parte non sa leggere e scrivere; se la parte, qualunque sia la sua condizione, ne richieda la presenza; se il notaio ne ravvisi la necessità.
La compravendita non rientra tra le predette ipotesi. Quindi, la presenza dei due testimoni potrebbe costituire un ulteriore indizio che in realtà siamo di fronte ad un atto di donazione, "travestito" da compravendita (si tratterebbe, in gergo tecnico, di una vendita simulata).

Tutto ciò premesso, rispondendo in via definitiva alla domanda contenuta nel quesito, questi i nostri suggerimenti per tutelare i Suoi diritti ereditari.
1. Occorre in primo luogo accettare l’eredità con beneficio di inventario. L’accettazione può essere fatta anche presso la cancelleria del tribunale dell’ultimo domicilio di Sua nonna.
2. Successivamente, occorre ricostruire l’asse ereditario per verificare se sia stata lesa o meno la quota di legittima. Ciò può essere fatto tramite un tecnico di Sua fiducia.
3. In caso di lesione della quota di legittima, occorre esercitare l’azione di simulazione relativa alla vendita dell’appartamento ed esperire l’azione di riduzione (oltre in via subordinata, l’eventuale azione di divisione della comunione ereditaria).

Per tali attività giudiziali occorre ovviamente l’assistenza di un avvocato.

Naturalmente, sarà necessario verificare anche la situazione degli altri eredi, se vi siano state o meno accettazioni di eredità ecc.ecc.

Da ultimo, facciamo presente che per accedere a conti correnti di Sua nonna, occorre inoltrare formale richiesta alla posta o alla banca chiedendo copia della documentazione relativa alle singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni. Questo è un Suo diritto espressamente previsto dall’ultimo comma dell’art. 119 del Testo Unico Bancario.



SERGIO chiede
venerdì 10/08/2018 - Basilicata
“SUCCESSIONE EREDITARIA, EREDE PRETERMESSO, DIRITTI DEL CONIUGE SUPERSTITE
Il Sig. Sergio ha 4 figli: 3 da una precedente matrimonio concluso con atto di divorzio e 1 dalla convivente.
Nel 2005 il sig. Sergio con un atto di donazione dona la nuda proprietà dell’intero patrimonio immobiliare consistente in numerosi immobili e quantificato nell’ordine dei 10 milioni di euro ai 4 figli in comunione e conserva l’usufrutto su tutti gli immobili. Con un secondo atto di 'assegnazione in conto di futura divisione' eseguito dai 3 figli del precedente matrimonio viene ceduto a favore del figlio nato dalla convivenza un immobile commerciale il cui usufrutto il figlio cederà alla madre.
Al momento della donazione, nel 2005, il sig. Sergio ha un debito bancario di 100mila euro. Dal 2005 in poi il Sig. Sergio accumula un’altra serie di debiti fiscali e bancari poiché gravato di tutte le tasse del patrimonio immobiliare donato: egli non riesce con la sua gestione degli immobili a pagare tutte le spese e a mantenere il suo tenore di vita lussuoso. L’unica cosa di cui il Sig. Sergio conserva il possesso (oltre al suo diritto di usufrutto su tutto il patrimonio immobiliare donato) sono mobili e gioielli.
Nel 2010 il Sig. Sergio sposa la convivente (madre del suo 4 figlio).
Alla morte del Sig. Sergio - senza testamento - molto verosimilmente tutti i figli faranno la rinuncia all’eredità (poiché essi hanno avuto già donato tutto il patrimonio immobiliare e ciò che è rimasto sono mobili e gioielli, ma soprattutto debiti in misura nettamente superiore), viceversa la moglie che finora ha avuto solo qualche cadeaux e ha goduto delle proprietà del sig. Sergio dividendo la vita con lui, quale percorso legale dovrà attuare per ottenere la sua quota? Di che percentuale si tratta? La moglie è un erede pretermesso? Verrà chiamata a rispondere come unica erede dei debiti del Sig. Sergio per poter ottenere la sua quota di coniuge? A chi andranno i mobili e i gioielli visto che i figli faranno rinunzia all’eredità? La moglie, che durante la vita del Sig. Sergio ha vissuto per oltre 30 anni con lui nella bella casa di famiglia (anche questa già donata insieme a tutto il resto nell’atto del 2005), sarà cacciata dalla casa? Avrà diritto all’uso del mobilio?
Ultimo punto: Il figlio primogenito vive in uno dell'immobili, di grande pregio, da quando era maggiorenne su concessione da parte del padre di un comodato d'uso gratuito, negli anni dopo essere diventato economicamente indipendente continua ad abitare lì con la moglie e i figli minorenni e occupa l'immobile nonostante il Sig. Sergio glielo abbia richiesto più volte, anche tramite lettere legali, per poterlo fittare. La mancata restituzione dell'immobile è un valido motivo per poter sciogliere la donazione?”
Consulenza legale i 20/08/2018
I dubbi principali sollevati con il quesito sembrano essere quelli relativi alla posizione che avrà la seconda moglie al momento dell’apertura della propria successione ed alle forme di tutela di cui la medesima potrà avvalersi per avere quanto le spetta del patrimonio ereditario.
Ebbene, intanto va detto che anche per il coniuge in seconde nozze trova applicazione l’art. 581 del c.c., il quale dispone che l’eredità debba essere divisa nella misura di un terzo in favore del coniuge e di due terzi in favore dei figli (tra questi ultimi, poi, la suddivisione verrà fatta in parti eguali, indipendentemente dal fatto che si tratti di figli di primo o di secondo letto).

Sempre al coniuge, seppure di seconde nozze, ed anche se concorre con altri chiamati all’eredità, competerà il diritto riconosciutogli dall’art. 540 del c.c., ossia il diritto di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare di proprietà del de cuius o comune ed il diritto di uso sui mobili che l’arredano (al primo coniuge, invece, spetta esclusivamente il diritto agli alimenti, ma solo se versa in stato di bisogno e non sia passato a nuove nozze).
Ora, tralasciando per il momento il problema delle passività ereditarie, possiamo dire che, avendo il testatore disposto in vita di quasi tutto il suo patrimonio, la moglie sicuramente troverà ben poco, e ciò la porrà nella condizione, se vuole, di agire in giudizio per ottenere la reintegrazione della quota che, in quanto erede legittimario, la legge le riserva.

Dispone a tal riguardo l’art. 542 del c.c. che se chi muore lascia, oltre al coniuge, più di un figlio, al coniuge sarà riservato un quarto del patrimonio ereditario, ed è proprio per il recupero di tale quarto che la moglie dovrà agire in giudizio.
Per determinare poi il valore del patrimonio da dividere, occorrerà fare riferimento agli artt. 553 e ss. c.c.; in particolare, dispone l’art. 555 del c.c. che, nel caso in cui il testatore abbia disposto in vita del suo patrimonio con donazioni, eccedendo il valore della quota disponibile, tali donazioni saranno soggette a riduzione fino a raggiungere il valore della disponibile.

Per conoscere a quanto può ammontare il valore della disponibile, invece, ci si dovrà riferire all’art. 556 del c.c., ai sensi del quale occorrerà formare una massa di tutti i beni che appartenevano al defunto al momento della morte, a cui verranno detratti i debiti e riuniti fittiziamente i beni di cui sia stato disposto a titolo di donazione (considerando il valore che essi avranno al tempo dell’apertura della successione, ex art. 747 del c.c.).
Calcolato così il valore del patrimonio del de cuius, sarà possibile verificare se i beni residui caduti in successione siano sufficienti o meno a soddisfare la quota di riserva del coniuge pari, si ripete, ad un quarto di quel patrimonio.
Qualora non lo siano, alla moglie non resterà altra soluzione che accettare l’eredità con beneficio di inventario e agire in giudizio contro gli altri eredi per chiedere la riduzione delle donazioni ricevute, quantomeno nella misura in cui sia necessario per reintegrare la sua quota.

Tale forma di accettazione (c.d. beneficiata) non sarebbe in realtà necessaria per agire in riduzione contro chi è stato chiamato come coerede, e ciò secondo quanto disposto dal primo comma dell’art. 564 del c.c. (il quale ne esclude la necessità nel caso in cui le donazioni siano state fatte a persone chiamate come coeredi, ancorché abbiano rinunciato all’eredità); tuttavia, la stessa si rende necessaria nel caso che ci riguarda, considerato che la moglie troverà un patrimonio pieno di debiti di cui, in mancanza di accettazione con beneficio di inventario, sarebbe tenuta a rispondere anche con i propri beni.
A quanto conseguirà per effetto dell’azione di riduzione dovrà sempre aggiungersi il diritto riconosciutole dall’art. 540 c.c., ossia il diritto di abitare la casa coniugale e di uso del mobilio, trattandosi di un legato c.d. ex lege.

Tracciato così il quadro giuridico generale, cerchiamo adesso di rispondere, sulla base di esso, alle singole domande poste:
  • la moglie, anche se in seconde nozze, ha diritto ad un quarto del patrimonio ereditario;
  • per ottenere la quota che la legge le riserva e qualora la stessa non sia stata rispettata, dovrà agire in giudizio contro i donatari esercitando la c.d. azione di riduzione;
  • non è un erede pretermesso ma “leso”, allorché ovviamente si accerti, mediante ricostituzione del patrimonio del de cuius, che quanto da lei ricevuto abbia un valore inferiore al quarto che dovrebbe esserle riservato;
  • per poter ottenere la sua quota di eredità deve assumere la qualità di erede, il che comporta che dovrà accettare l’eredità, rispondendo così dei debiti ereditari (per tale ragione sarà opportuno accettare l’eredità con beneficio di inventario);
  • mobili e gioielli andranno tutti alla moglie per accrescimento nell’ipotesi in cui i figli rinunzino all’eredità, e vi rinunzino pure, almeno si presume, i figli dei figli, a cui spetterebbe per rappresentazione il diritto di accettare (cfr. art. 467 del c.c.).

Per quanto concerne, infine, l’ultimo dubbio che si richiede di chiarire, ossia se il rifiuto da parte del figlio di restituire al donante l’immobile concessogli in comodato d’uso possa configurarsi quale forma di ingiuria, tale da legittimare la revocazione della donazione fatta in suo favore, va detto che in linea generale deve rispondersi negativamente.
Infatti, secondo il pensiero della giurisprudenza prevalente, l’ingiuria per rilevare quale causa di revocazione della donazione, deve colpire la sfera morale e spirituale del donante in modo diretto ed esplicito, con modalità che si rivelino gravi e potenzialmente offensivi non solo dal punto di vista oggettivo, ma che denotino anche un sentimento di avversione tale da esprimere l’ingratitudine verso il donante e da ripugnare alla coscienza sociale.
Solo se il giudice, investito dell’eventuale causa di revocazione, si convincesse di ravvisare nel rifiuto del donatario, sentimenti di tale natura, potrebbe pronunciare la revocazione della donazione, ma tale valutazione non potrà non tener conto del comportamento complessivo che il figlio ha avuto ed ha nei confronti del padre (solo per inciso vuole sottolinearsi che per il Tribunale di Trento, sentenza del 22.09.2014, non costituisce ingiuria grave, non trattandosi di un atto di aggressione al patrimonio morale del donante, perfino la mancata assistenza del donatario nei confronti del donante, lasciato così in situazione di solitudine e di abbandono).

Anonimo chiede
martedì 25/07/2017 - Piemonte
“Mio padre è morto l’8 agosto 2015 lasciando un testamento fatto dal notaio e pubblicato in data 12-10-2015 dichiarando che in vita aveva dato molto di più al figlio ( in quanto figlio maschio prediletto)
Mio fratello Tizio ha fatto l’accettazione con beneficio di inventario ricevuta dal notaio in data 12-02-2016
Non ha finito l’inventario e dovuto chiedere una prima proroga di 3 mesi
-intanto è stata fatta la Successione il 14 luglio 2016 per non incorrere nella scadenza dei termini
-il 10 agosto 2016 è scaduta la proroga di 3 mesi concessa dal giudice per finire l’inventario che non è mai stato portato a termine
-il 14 settembre 2016 , con il deposito di una memoria di costituzione ,chiede l’ennesima proroga che verrà rigettata il 29 settembre 2016 . Nella stessa memoria dichiara di non essere nel possesso dei beni ereditari e nello specifico della proprietà del laboratorio odontoiatrico ,lasciatogli in quota x testamento . Che il laboratorio in questione è stato occupato fino al giorno 12 sett.2016 dal CENTRO Alfa di Tizia ( sua moglie) e inoltre che un mazzo di chiavi è stato consegnato all’amministratore del condominio che ancor oggi non sa che farsene ( forse tutto questo x cercare di spossessarsi del bene).
-Peraltro, a confutare la sua falsa affermazione di non essere nel possesso dei beni ,risulta che egli è anche comproprietario di una quota di un terreno e di alcuni quadri del padre che sono stati trasferiti nella nuova sede del Centro Alfa di Tizia e che si vedono fotografati nel sito internet .
Inoltre il Centro Alfa utilizza il numero di telefono appartenuto al laboratorio del padre sin dal 1964 che denota l’appropriamento del pacchetto clienti del papà raccolta in 60 anni di attività...., senza aver riconosciuto un quantum ,creando un danno economico anche alla sorella che non ha potuto usufruire di tale importante attività e del reddito che ne consegue …
A distanza di 10 mesi dalla scadenza dei termini di inventario ,in data 20 luglio 2017 abbiamo ricevuto invito a partecipare ad un incontro con una società di mediazione in quanto il fratello chiede “ previa ricostruzione dell’asse ereditario, riduzione delle disposizioni testamentarie e delle donazioni del decuius per reintegrare la quota di legittima lesa ai suoi danni per un importo di circa 150.000e. Restituzione all’ eredità dei prelievi effettuati e delle somme distratte .”
Ho letto che “ Chiuso l’inventario l’erede ha poi 40 giorni per accettare o meno l’eredità. Che in caso di inerzia, si ritiene che abbia accettato puramente e semplicemente.”
Vi chiedo se la richiesta di partecipare a questa mediazione sia la logica prosecuzione di una azione che credevo fosse finita …essendo trascorso quasi un anno dalla scadenza dei termini di inventario che x sua incuria non è stato portato a termine…se quindi sia la strada obbligata indicata dalla legge , o se a parer vostro è solo un mero tentativo di riprovarci per avere altri vantaggi economici .
Inoltre chiedo di sapere : se dovesse essere necessario aderire alla mediazione … posso io mettere in chiaro le donazioni/regalie che sono state fatte da mio padre a mio fratello o saranno messe in dubbio solo quelle che riguardano il resto della famiglia ?
Se avete un consiglio da darmi sarà ben accetto
Resto in attesa cordiali saluti”
Consulenza legale i 31/07/2017
Da quanto è dato leggere nel quesito sembra di capire che sia il fratello che la sorella sono stati istituiti eredi dal padre ma in misura diversa, essendo stata lasciata alla sorella una quota maggiore rispetto al fratello, con la motivazione che quest’ultimo in vita era stato beneficiato in misura superiore.

Sembra chiaro che intenzione del fratello sia adesso quella di chiedere la riduzione delle disposizioni testamentarie per lesione della sua quota di legittima, intenzione già esplicitata per il fatto stesso di aver accettato l’eredità con beneficio di inventario.

Infatti, se si legge l’art. 564 c.c., inserito nella sezione dedicata alla reintegrazione della quota riservata ai legittimari, si può vedere che tale norma pone quale condizione per l’esercizio dell’azione di riduzione la circostanza che il legittimario preteso leso abbia accettato l’eredità con beneficio di inventario.
La medesima norma, però, continua dicendo che il rispetto di tale condizione non si rende necessario nell’ipotesi in cui si tratti di ridurre donazioni e legati fatti a persone chiamate come coeredi e che tale disposizione non si applica all’erede che abbia accettato con beneficio di inventario e che ne sia decaduto.

E’ proprio questo ciò che è successo nel caso di specie, essendo il fratello decaduto dal beneficio di inventario per non essere riuscito nei termini a completare l’inventario, malgrado le diverse proroghe richieste, ma non avendo per questo perso il diritto di agire in giudizio per la reintegrazione della sua quota di legittima.

Dunque, a prescindere dal fatto che sia o meno nel possesso dei beni ereditari, pur se decaduto dal beneficio di inventario e divenuto erede puro e semplice, potrà esercitare l’azione di reintegrazione della quota a lui riservata dalla legge in qualità di legittimario.
Per fare ciò occorre rispettare la fase della mediazione obbligatoria, istituto entrato in vigore nel nostro ordinamento dal 20 settembre 2013, anche se, in realtà si tratta di una re-introduzione.
Infatti, tra le materie oggetto di mediazione obbligatoria si annoverano, nell’odierna come nella passata normativa, le successioni ereditarie.

Ora, l’obiettivo del raggiungimento di una intesa tra coeredi in disaccordo (ossia l’accordo di conciliazione vero e proprio), risulta certamente più facile nell’ambito di una mediazione piuttosto che in un’aula di Tribunale, tenuto conto che peculiarità della stessa è proprio quella di mirare prima di ogni cosa alla soddisfazione di tutte le parti partecipanti al procedimento e, di conseguenza, anche al recupero del rapporto umano tra parenti.

Sul piano prettamente pratico, in ambito successorio il conseguimento di un consenso condiviso tra tutti i coeredi viene conseguito con il calcolo esatto delle quote ereditarie spettanti a ciascuna parte, con l’analisi dell’asse ereditario e del valore di mercato da attribuire ad esso e con la conseguente e finale definizione dei rapporti patrimoniali tra le stesse.

Per fare ciò occorre rispettare l’altra condizione posta dal secondo comma del predetto art. 564 c.c., il quale dispone che il legittimario che domanda la riduzione di donazioni o di disposizioni testamentarie, deve imputare alla sua porzione legittima, le donazioni e i legati a lui fatti, salvo che dal fare ciò ne sia stato espressamente dispensato (si tenga conto, comunque, che una eventuale dispensa da collazione produce effetto, ex art. 737 c.c., soltanto nei limiti della quota disponibile).
Quindi, è proprio questa norma che pone, quale ulteriore condizione affinché il fratello possa esercitare l’azione di riduzione, che lo stesso imputi alla sua porzione di legittima le donazioni già ricevute in vita dal padre, il che potrà anche essere richiesto dalla sorella nel corso ed in occasione della stessa mediazione, al fine di determinare con esattezza l’asse ereditario e così calcolare esattamente le quote spettanti a ciascuna parte e la quota di cui il testatore poteva liberamente disporre.

Il vantaggio della Mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali, in casi come questo, si traduce nel concreto in un elevatissimo risparmio di tempo e di denaro (i costi sono considerevolmente inferiori ad un normale giudizio), tenuto conto peraltro che, una volta raggiunto l’accordo, i contraenti non dovranno più rivolgersi al Tribunale per rendere esecutivo il verbale di mediazione (così come avveniva fino al 2013), ma gli avvocati delle parti, attestando che l’accordo raggiunto non è contrario a norme imperative o all’ordine pubblico, avranno immediatamente nel detto verbale un titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, l’esecuzione per consegna e rilascio, l’esecuzione degli obblighi di fare e non fare, oltre che per l’iscrizione di ipoteca giudiziale.

A ciò si aggiunga, infine, che tutti gli atti relativi al procedimento di mediazione sono esenti dall’imposta di bollo e da ogni altra spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura; il verbale di accordo è anche esente dall’imposta di registro sino alla concorrenza del valore di 50.000 euro e, infine, in caso di successo della mediazione, le parti avranno diritto a un credito d’imposta fino a un massimo di 500 euro per il pagamento delle indennità complessivamente dovute all’organismo di mediazione, mentre, in caso di insuccesso, il credito d’imposta è ridotto della metà.
Sono diversi, dunque, come può notarsi, i vantaggi che possono indurre la sorella ad aderire alla mediazione al fine di raggiungere in tale sede un accordo tra i coeredi, trattandosi oltretutto di una fase prodromica obbligatoria onde poter iniziare una eventuale azione giudiziaria.

Dunque, alla domanda se la richiesta di mediazione sia la strada obbligata indicata dalla legge o un semplice tentativo posto in essere dal fratello e volto a conseguire ulteriori vantaggi economici, va risposto dicendo che in effetti trattasi di un percorso obbligato.
Infatti, il legislatore con il D.lgs. 28/2010, ha previsto delle ipotesi in cui le parti di una controversia civile o commerciale sono obbligate, prima di rivolgersi al giudice, ad esperire (a pena di improcedibilità della domanda) il procedimento di mediazione.

Si tratta delle controversie vertenti nelle materie elencate dall’art. 5, comma 1-bis del suddetto decreto legislativo, per come reintrodotto con alcune modifiche rispetto all’originaria disciplina, ad opera del c.d. decreto del fare, decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, recante “Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia”, conv., con mod., nella legge 9 agosto 2013, n. 98, e tra queste materie vi sono proprio le successioni ereditarie.

Si tenga conto però che il nuovo art. 5, comma 1-bis d.lgs. n. 28/2010 ha previsto che l’obbligatorietà della Mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali abbia natura transitoria e sperimentale: essa, difatti, ha efficacia per i quattro anni successivi alla data dell’entrata in vigore della riforma del 2013 (21 settembre 2013).
Pertanto, salvo ulteriori interventi normativi, le controversie vertenti nelle materie elencate nel comma1-bis dell'art. 5 del D.lgs. 28 del 2010, tra cui appunto le successioni ereditarie, a decorrere dal 21 settembre 2017 non risulteranno più assoggettate alla disciplina della mediazione obbligatoria, il che potrebbe risultare sfavorevole per gli innegabili risparmi di spesa e di tempo che dall’esito positivo di tale procedura le parti potranno trarne.

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