Di regola l’eredità è acquisita dal chiamato con l’accettazione, cioè con una sua manifestazione di volontà diretta a quel fine. Ma vi sono dei casi nei quali la legge prescinde da una volontà del chiamato e, o attribuisce a costui la qualità d’erede, o gli nega il diritto di rinunciarvi; si suole parlare, in siffatta ipotesi, di accettazione presunta: ciò è errato, in quanto manca una volontà del chiamato, ed anzi è proprio contro di questa che si verifica l’acquisto della qualità di erede con tutte le sue conseguenze.
Ora, uno di quei casi è considerato appunto dall’articolo in esame: la sottrazione di cespiti ereditari, ivi prevista, può verificarsi non solo quando l’eredità si è aperta ma anche prima che il chiamato, colpevole di celamento o di sottrazione, abbia rinunciato; è ovvio che, se a causa della rinuncia, la qualità di erede è stata acquisita da altri, il fatto delittuoso commesso dal rinunciante potrà dar luogo a sanzioni penali o civili a carico di costui, ma non alla decadenza dalla rinuncia. Come elemento oggettivo, che è anche un presupposto per l’applicabilità dell’articolo in esame, è sufficiente l’alienazione o il celamento di uno soltanto dei beni ereditari.
Poiché l’articolo precisa che a sottrarre o a celare i beni ereditari siano i chiamati, si dovrebbe ritenere che le sottrazioni o i celamenti commessi da chi rappresenta il chiamato restino irrilevanti nei confronti di costui, che continua a conservare la facoltà di rinuncia: questa soluzione si giustificherebbe anche razionalmente.