La formulazione dell’articolo indica chiaramente l’intenzione dei compilatori del codice di considerare lo Stato come l’ultimo degli eredi legittimi.
Tuttavia, il regime giuridico cui è sottoposto l’acquisto delle eredità vacanti da parte dello Stato è ben lontano da un normale regime ereditario: l’acquisto si opera di diritto, senza bisogno di accettazione, e non è possibile la rinunzia; di conseguenza, è esclusa la prescrizione decennale, che mancherebbe di oggetto, non essendovi un diritto dello Stato di accettare l’eredità.
Inoltre, non v’è rispondenza ultra vires, indipendentemente dal beneficio di inventario.
È questo un regime che, se bene si giustifica con le particolari esigenze dell’acquisto da parte dello Stato e con la concorrente esigenza di impedire che i beni ereditari possano diventare res nullius, rappresenta però, più che una serie di "caratteristiche anomale" di un acquisto di natura ereditaria, la logica conseguenza di un acquisto che ha per base non il diritto ereditario, ma la sovranità statuale.
Sotto l’impero del codice del 1865, si è a lungo discusso circa la successione vacante dello straniero che lasci beni in Italia. Secondo l’opinione più diffusa, la soluzione della questione dipende dal titolo giuridico della successione dello Stato, dovendosi senz’altro riconoscere la successione dello Stato italiano ai beni vacanti dello straniero, se lo Stato acquista l’eredità iure imperii, e dovendosi invece attribuire la successione allo Stato designato dalla legge nazionale del de cuius se lo Stato viene alla successione iure hereditario.
Non è mancato, tuttavia, chi ha rilevato che si tratta di un problema di qualificazione, che deve risolversi secondo la lex fori: e poiché, secondo la legge italiana, manca una qualificazione esplicita, dovrà nel dubbio essere applicata la legge locale, dovendosi devolvere l’eredità allo Stato italiano. Questa teoria però, non è facilmente accettabile, perché la qualificazione può, ed anzi deve, essere trovata in via di interpretazione del sistema giuridico costituente la lex fori. La sola soluzione che sembra accettabile è che si debba tener conto della duplice qualificazione, quella della lex fori e quella dell’ordinamento richiamato, e che il richiamo è ammissibile solo ove le due qualificazioni coincidano: che se il rapporto non fosse qualificato come successorio nella legge straniera, verrebbe meno il necessario presupposto del suo richiamo. Così, ammesso che secondo la lex fori italiana lo Stato succeda iure hereditario, la successione vacante potrà andare a beneficio di uno Stato straniero solo quando anche secondo quella legislazione il diritto dello Stato sia di natura ereditaria. In caso diverso, il richiamo non avrà efficacia; quanto ai beni dello straniero, essi potrebbero forse allora essere attribuiti allo Stato italiano per diritto di sovranità: ma la questione è assai controversa.
Allo Stato italiano potranno devolversi i beni dello straniero solo quando, secondo la di lui legge nazionale, non siano devoluti, iure hereditario, allo Stato o ad altro Ente straniero, sia poi che si tratti dello Stato nazionale o dello Stato in cui lo straniero era domiciliato.
Si discute anche sulla sorte dell’eredità vacante degli italiani all’estero. Quando la lex rei sitae accolga un principio analogo al principio dell’unità della successione, lo Stato italiano viene all’eredità, ove ciò non sia ritenuto contrario all’ordine pubblico interno dalla legge di situazione dei beni.