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Articolo 525 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 28/02/2023]

Revoca della rinunzia

Dispositivo dell'art. 525 Codice Civile

Fino a che il diritto di accettare l'eredità(1) non è prescritto(2) contro i chiamati che vi hanno rinunziato [480 c.c.], questi possono sempre accettarla(3), se non è già stata acquistata da altro dei chiamati, senza pregiudizio delle ragioni acquistate da terzi sopra i beni dell'eredità.

Note

(1) Stante l'eccezionalità della previsione, la norma non si può estendere al legato la cui rinuncia è, quindi, irrevocabile.
(2) Per decorso del termine decennale di prescrizione o di quello fissato dal giudice ex art. 481 del c.c..
(3) Benché la norma parli di revoca, è condivisa l'opinione che non si tratti di una vera e propria revoca. Se così fosse, infatti, in seguito alla revoca della rinuncia sarebbe consentito al soggetto di accettare l'eredità o meno in quanto tornerebbe nella posizione di chiamato. La "revoca" di cui all'art. 525 del c.c. produce, invece, gli effetti propri dell'accettazione dell'eredità.
Quanto alla forma della revoca vi è chi ritiene che essa debba avere la stessa forma prevista per la rinunzia, in base al principio secondo il quale un atto che pone nel nulla un precedente atto per cui è prevista una determinata forma deve avvenire a sua volta con le medesime formalità.
Di contro vi è chi ritiene che, essendo in realtà la revoca un'accettazione, questa possa avvenire con le medesime forme previste per l'accettazione, sia espressa che tacita.

Ratio Legis

Attraverso tale norma si assicura in ogni caso un titolare ai beni ereditari. Il rinunziante ha la possibilità di tornare sui suoi passi fino a che l'eredità non sia stata accettata da altri chiamati o, in mancanza, dallo Stato.

Spiegazione dell'art. 525 Codice Civile

La legge consente al chiamato, che abbia rinunciato, di ritrattare la sua rinuncia diversamente dall’accettazione che, una volta compiuta, non può più ritrattarsi. Come si spiega questa contraria disposizione? Essa si comprende riflettendo allo stesso scopo per cui, un volta adita l'eredità, non è più consentito dismetterla: la necessita di render certo l'acquisto dei patrimoni ereditari; è interesse sociale che i beni di una persona defunta non siano lasciati senza soggetto, per cui, quando colui che avrebbe potuto acquistarli nonostante abbia rinunciato al diritto di farli suoi, muta d'avviso, bisogna consentirgli la facoltà di compiere quell'acquisto, che non sarà più possibile per lui quando i beni siano già entrati a far parte del patrimonio di altri.
I presupposti perché il chiamato rinunciatario possa ritrattare la sua rinuncia sono due: 1) l'eredità non deve essere stata accettata da altri sia prima che dopo la rinuncia; prima, per effetto del diritto di accrescimento; il che avviene quando a succedere col chiamato, che poi ha rinunciato, vi siano altri aventi diritto all'accrescimento; costoro, avendo con l'accettazione della propria quota, acquistato anche il di ritto di far propria, per accrescimento, la quota che si rende comunque vacante (e la rinuncia determina tale situazione) impediscono l’acquisto della sua quota da parte del coerede rinunciante; dopo, in quanto se l'eredità è stata accettata da coloro ai quali essa doveva devolversi, non è possibile un acquisto da parte del rinunciante, perché nei confronti di chi ha accettato sta il principio della irretrattabilità dell'aditio; questa soluzione è assoluta; essa, cioè, non subisce deroga alcuna neppure se vi sia un accordo di tutti i coeredi accettanti a che la rinuncia sia revocata; 2) non deve essersi verificata la prescrizione del diritto di accettare per il rinunciante che vuol ritornare sulla propria decisione.

Chi può ritrattare la rinuncia? Senza dubbio questo diritto spetta a chi ha abdicato alla facoltà di acquistare l'eredità. Ma si trasmette esso ai suoi eredi ove non sia stato esercitato e ove non si siano verificate le circostanze preclusive innanzi considerate? La legge non lo dice così come lo ha detto per la trasmissibilità del diritto di accettale; ma è ovvio che una volta affermata questa, la trasmissibilità del diritto di revocare la rinuncia si rivela come un effetto della trasmissibilità del diritto di accettare. All’infuori del chiamato rinunciante e dei suoi eredi la revoca della rinuncia non può essere attuata da altri e, specialmente, dai creditori che vogliano compierla avvalendosi dell’art. 2900, cioè della surrogatoria.
Tuttavia, questa tesi è contrastata da autorevoli scrittori, i quali ammettono che i creditori, come possono surrogarsi al loro debitore nell’accettare un’eredità in luogo e in vece del successibile che se ne astiene, così hanno facoltà di surrogarglisi per chiedere la revoca della rinuncia. L'effetto di tale revoca sarebbe che i beni dell'eredità rientrano nel patrimonio del debitore, il quale rimane erede, cosicché i creditori avrebbero diritto di veder soddisfatti i loro crediti su quei beni. Ma a questa teoria possono muoversi i seguenti rilievi: 1) la legge ha, sotto determinate condizioni, accordato ai creditori il diritto di evitare gli effetti pregiudizievoli della rinuncia resa dal loro debitore; di modo che, non verificandosi quei presupposti, alcuna legittimazione in revoca può riconoscersi ai creditori; 2) la revoca della rinuncia attua l’esercizio d’una facoltà d’acquisto di diritti da parte del debitore e nei confronti di tale facoltà la surrogatoria è improponibile perché l’art. 2900, parlando di diritti, ha voluto considerare i diritti che, potenzialmente, già fanno parte del patrimonio del defunto, garanzia delle ragioni dei creditori; 3) è inconcepibile che il chiamato, rinunciatario, debba vedersi erede senza volerlo, anzi pur dopo aver rinunciato, dal momento che la revoca della rinuncia, non regolando la legge siffatta ipotesi, deve portare necessariamente a tale risultato; 4) infine, la teoria in esame cade in aperta contraddizione quando da un lato afferma che i creditori possano surrogarsi al loro debitore per far revocare la sua rinuncia e, dall’altro, poi, nega che tale facoltà sia un’applicazione della surrogatoria, in base al motivo, esattissimo, che non si può parlare di surroga nell’esercizio di un diritto cui si è rinunciato; se si riconosce questo principio non si può ammettere la surrogatoria per la revoca della rinuncia.
Come va compiuta la ritrattazione della rinuncia? La legge non prescrive forme speciali, dunque essa può venir fatta così come può essere manifestata l’accettazione dell’eredità; ma questo sistema non risulta molto coerente in quanto, se la rinuncia, per essere valida, ha dovuto esser resa con l’osservanza di determinate formalità, sarebbe consequenziale, se non proprio necessario, porre l’osservanza di altre formalità per la sua revoca, e ciò per garantire la certezza dei rapporti giuridici e a salvaguardia di diritti dei terzi.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 525 Codice Civile

Cass. civ. n. 6070/2012

La rinunzia all'eredità non fa venir meno la delazione del chiamato, stante il disposto dell'art. 525 c.c. e non è, pertanto, ostativa alla successiva accettazione, che può essere anche tacita, allorquando il comportamento del rinunciante (che, nella specie, si era costituito in giudizio, allegando la sua qualità di erede e riportandosi alle difese già svolte dal "de cuius") sia incompatibile con la volontà di non accettare la vocazione ereditaria.

Cass. civ. n. 21014/2011

Nel sistema delineato dagli artt. 519 e 525 c.c. in tema di rinunzia all'eredità - la quale determina la perdita del diritto all'eredità ove ne sopraggiunga l'acquisto da parte degli altri chiamati - l'atto di rinunzia deve essere rivestito di forma solenne (dichiarazione resa davanti a notaio o al cancelliere e iscrizione nel registro delle successioni), con la conseguenza che una revoca tacita della rinunzia è inammissibile.

Cass. civ. n. 16913/2011

La revoca della rinuncia all'eredità, di cui all'art. 525 c.c., non costituisce, anche sotto il profilo formale, un atto o negozio giuridico autonomo, bensì l'effetto della sopravvenuta accettazione dell'eredità medesima da parte del rinunciante, il cui verificarsi, pertanto, va dedotto dal mero riscontro della validità ed operatività di tale successiva accettazione, sia essa espressa o tacita (artt. 474 e segg. c.c.).

Cass. civ. n. 8912/1998

Il chiamato all'eredità, che vi abbia inizialmente rinunciato, può, ex art. 525 c.c., successivamente accettarla (in tal modo revocando implicitamente la precedente rinuncia) in forza dell'originaria delazione — e sempre che questa non sia venuta meno in conseguenza dell'acquisto compiuto da altro chiamato —, ma non anche in forza di un accordo concluso tra il rinunziante ed i soggetti acquirenti dell'eredità, dovendo, in tal caso, escludersi ogni possibilità di revoca della precedente rinuncia per effetto del carattere indisponibile della delazione che, una volta venuta meno, non può efficacemente rivivere per volontà dei privati (oltre che per effetto del principio semel heres semper heres, in forza del quale chi abbia accettato l'eredità non può più legittimamente rinunciarvi, essendo l'accettazione, a differenza della rinuncia, un atto puro ed irrevocabile, giusto disposto dell'art. 475 c.c.).

Cass. civ. n. 2549/1966

L'irrevocabilità della rinuncia alla eredità, una volta intervenuta l'accettazione degli altri chiamati — accettazione che, peraltro, nel caso di concorso di eredi che abbiano già accettato, non ha bisogno di una specifica manifestazione di volontà, operandosi ipso iure, per diritto di accrescimento, l'acquisto della quota del rinunziante da parte dei coeredi che avrebbero concorso con lui — non si ricollega all'interesse di coloro che si avvantaggiano della rinunzia, bensì al carattere indisponibile della delazione, la quale, una volta caduta, non può essere fatta rivivere per volontà privata. Conseguentemente, l'assenso, prestato alla revoca della rinuncia da parte dei coeredi che hanno acquistato la quota di eredità del rinunciante, non può far rivivere in quest'ultimo la qualità di erede, ormai definitivamente perduta.

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Consulenze legali
relative all'articolo 525 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

A. D. T. chiede
sabato 18/09/2021 - Campania
“Con il consenso espresso dei chiamati all'eredità da questi accettata è possibile per l'erede che ha rinunciato all'eredità revocare la rinuncia ed accettare l'eredità anche oltre il termine prescrizionale dei dieci anni?”
Consulenza legale i 23/09/2021
Purtroppo l’art. 525 c.c. è abbastanza chiaro al riguardo, in quanto, pur ammettendo la possibilità di una revoca della rinuncia, dispone che la stessa non è più consentita una volta che si sia prescritto il diritto di accettare l’eredità o, comunque, nel momento in cui sia intervenuta accettazione da parte degli altri chiamati.
In questo caso si sono verificati entrambi i presupposti, poiché si dice che l’eredità è stata accettata dagli altri chiamati e che è decorso il termine prescrizionale di dieci anni.

In mancanza dei suddetti presupposti, pertanto, il rinunziante non può in nessun caso accettare l'eredità, neppure in forza di un eventuale accordo con gli altri eredi.
In tal senso si sono chiaramente espressi sia la dottrina (Grosso e Burdese) che la giurisprudenza, affermando l'irrevocabilità della rinunzia una volta che sia intervenuta l'accettazione degli altri chiamati: caduta la delazione, questa non può essere ripristinata dalla volontà privata, essendo materia sottratta alla libera disponibilità delle parti.

Si riporta a tal fine quanto statuito dalla Corte di Cassazione, Sez. II Civ., con sentenza n. 8912 del 09.09.1998:
Il chiamato all'eredità, che vi abbia inizialmente rinunciato, può, ex art. 525 c.c., successivamente accettarla (in tal modo revocando implicitamente la precedente rinuncia) in forza dell'originaria delazione - e sempre che questa non sia venuta meno in conseguenza dell'acquisto compiuto da altro chiamato - ma non anche in forza di un accordo concluso tra il rinunziante ed i soggetti acquirenti dell'eredità, dovendo, in tal caso, escludersi ogni possibilità di revoca della precedente rinuncia per effetto del carattere indisponibile della delazione che, una volta venuta meno, non può efficacemente rivivere per volontà dei privati (oltre che per effetto del principio "semel heres semper heres", in forza del quale chi abbia accettato l'eredità non può più legittimamente rinunciarvi, essendo l'accettazione, a differenza della rinuncia, un atto puro ed irrevocabile, giusto disposto dell'art. 475 del c.c.)”.


Adriana chiede
mercoledì 03/06/2020 - Campania
“Buongiorno, la situazione è la seguente:
Morto mio padre (2006), mia madre ha rinunciato all'eredità, anche per conto mio - ero minorenne. Risultavano purtroppo solo debiti considerevoli.
Dopo molti anni ho scoperto che l'eredità avrebbe dovuto contenere un patrimonio ben più ampio, ma tutti i beni erano registrati all'estero.
Mio nonno paterno sembra aver accettato l'eredità, pagato i debiti e usufruito di tali beni. La maggior parte di questi beni sono stati da lui passati a un altro parente.
Desidero sapere se con la revoca del rifiuto ho qualche possibilità di riacquisire i beni di mio padre anche dopo tutti questi anni.”
Consulenza legale i 09/06/2020
La risposta, purtroppo, è negativa e trova il suo fondamento nel disposto dell’art. 525 c.c., rubricato proprio “Revoca della rinuncia”.
Infatti, principio generale desumibile dalla lettura di tale norma è che, in caso di rinunzia all’eredità, la delazione a favore del chiamato persiste fino a quando il suo diritto di accettare non si prescrive, con la conseguenza che si viene a realizzare una coesistenza del diritto di accettare l’eredità a favore del chiamato rinunziante e dei chiamati ulteriori.

Da tale diritto, invece, il rinunziante decade definitivamente nel momento in cui i chiamati ulteriori (cioè coloro che acquisiscono il diritto di accettare in luogo del rinunziante) manifestano, sia in forma espressa che in forma tacita, la propria volontà di accettare l’eredità.

Quindi, presupposti essenziali per una eventuale successiva revoca della rinunzia sono:
  1. che non sia scaduto il termine per accettare l’eredità, sia quello ordinario decennale che, eventualmente, quello più breve fissato dal giudice ex art. 481 del c.c.;
  2. che non vi sia stato acquisto dell’eredità da parte di altro dei chiamati.

In applicazione di quest’ultimo presupposto la giurisprudenza, sia di merito che di legittimità, ha affermato che la rinuncia all’eredità non può essere revocata quando il chiamato ulteriore (nel caso di specie è tale il nonno paterno) abbia espressamente accettato l’eredità, anche semplicemente assumendo il titolo di erede nella denunzia di successione (così Cass. 4846/2003; Trib. Spoleto 25.09.1996).

Nel caso in esame, difettano entrambi i presupposti per revocare la rinunzia, in quanto la successione si è aperta nell’anno 2006 (quindi sono già trascorsi 14 anni) e l’eredità è stata accettata dal nonno paterno (chiamato ulteriore).
Pertanto, in mancanza dei suddetti presupposti, il figlio rinunziante non può più accettare l’eredità, neppure in forza di un eventuale accordo con gli altri eredi, e ciò anche se all’epoca la volontà di rinunziare è stata manifestata dalla madre, nella qualità di genitore esercente la potestà legale sul figlio minore.
Si presume, infatti, che tale rinunzia sia stata previamente autorizzata dal giudice tutelare, al quale furono prospettate una o più circostanze tali da fargli apparire evidenti le ragioni per le quali l’accettazione dell’eredità potesse in qualche modo risultare dannosa.

In tal senso è anche orientata la giurisprudenza, la quale ha affermato l’irrevocabilità della rinunzia una volta che sia intervenuta l’accettazione da parte degli altri chiamati, precisando che la delazione non potrebbe neppure essere ripristinata dalla volontà privata, poiché costituisce materia sottratta alla libera disponibilità delle parti (così Cass. 2549/1966; Cass. 8912/1998).

In ogni caso, e con ciò si risponde all’altra domanda, anche se volesse ammettersi, per ipotesi, la possibilità di revocare la rinunzia, non sarebbe neppure possibile recuperare i beni ereditari nei confronti del terzo parente a cui il nonno li ha nel frattempo trasferiti, in quanto a ciò si oppone l’ultima parte del medesimo art. 525 c.c., ove viene disposto che la revoca della rinunzia è ammessa, ma che la stessa non può in ogni caso essere di pregiudizio alle ragioni che terzi (ossia soggetti diversi dai chiamati ulteriori) hanno nel frattempo acquistato sui beni dell’eredità.

In realtà, a volerci riflettere bene, questa norma è priva di applicazione pratica, in quanto se il chiamato ulteriore (nonno paterno) ha accettato l’eredità, di fatto tanto basta per impedire al figlio (primo chiamato) di revocare la sua rinuncia e così poter arrecare pregiudizio alle ragioni degli eventuali terzi acquirenti.

Per concludere si ritiene opportuno precisare che in questo caso neppure può invocarsi il disposto di cui all’art. 489 del c.c., norma dalla quale si desume che, nel caso di minori, il termine ordinario decennale per accettare o rinunziare è sospeso fino al compimento della maggiore età e che la rinuncia può essere effettuata fino al compimento del diciannovesimo anno di età.
Tale norma, infatti, presuppone che in detto arco temporale non debba essersi compiuta la prescrizione ex art. 480 c.c. o verificata la decadenza ex art. 481 c.c., né che il rappresentante legale abbia rinunciato all’eredità debitamente autorizzato, ciò che qui, invece, è accaduto.



Bruno B. chiede
martedì 18/02/2020 - Lazio
“Buongiorno , come posso far pronunciare l'inaccettabilità della mia rinuncia all'eredità avendo , prima della stessa , compiuto azioni ( documentate ) che ne comportavano la tacita accettazione ; il testamento è stato pubblicato in data 26/10/2009 e la mia rinuncia è del 18/5/2010.
In attesa , distinti saluti
Bruno B.”
Consulenza legale i 24/02/2020
Dal testo del quesito si deduce chiaramente che sono ormai trascorsi più di dieci anni dall’apertura della successione, considerato che la pubblicazione del testamento, avvenuta in data 26 ottobre 2009 (dunque, da più di dieci anni), non può che essere posteriore all’apertura della successione.
Ciò determina l’applicabilità dell’art. 525 c.c., norma che riconosce al rinunciante il diritto di revocare la rinunzia, ma fino a quando non si sia prescritto il diritto di accettare l’eredità.
A ciò si aggiunga che la norma appena citata dispone che, in ogni caso, non si ha più alcuna possibilità di revocare la rinunzia se nel frattempo l’eredità è stata acquistata da altro dei chiamati.
In applicazione di quest’ultimo principio la giurisprudenza ha affermato che la rinunzia all’eredità non può essere revocata quando il chiamato o i chiamati ulteriori abbiano espressamente accettato l’eredità assumendo il titolo di erede nella denuncia di successione (così Cass. 4846/2003; Trib. Spoleto 25.09.1996).

Ricorrendo tali presupposti (decorso del termine di dieci anni per accettare e acquisto dell’eredità da parte degli altri chiamati), il rinunziante non può più in nessun caso accettare l’eredità, neppure in forza di un eventuale accordo con gli altri eredi, trattandosi a quel punto di materia sottratta alla disponibilità delle parti (così Cass. 2549/1966; Cass. 8912/1998).

Occorre, dunque, cercare altrove una soluzione al problema, soltanto che qui, non avendosi conoscenza nei dettagli di quali sono i fattori e le motivazioni che hanno indotto a rinunciare e di quali sono adesso le ragioni che inducono a voler porre nel nulla quella rinuncia (a distanza di così tanto tempo), non possono che prospettarsi delle ipotesi, attuabili nella misura in cui chi pone il quesito pensi di poterne ravvisare i presupposti.

Intanto, ci si potrebbe avvalere del disposto di cui all’art. 526 del c.c., norma che riconosce al rinunziante il diritto di impugnare la rinunzia qualora si renda conto che la stessa sia stata l’effetto di violenza o di dolo.
La norma esclude espressamente la rilevanza dell’errore quale causa di annullamento della rinunzia all’eredità, rispondendo tale esclusione alla opportunità, sentita dal legislatore, di far prevalere le esigenze di certezza in ordine ai rapporti giuridici, rispetto alla tutela del rinunziante che possa essere caduto in errore sulla consistenza delle sostanze ereditarie (si è voluto in sostanza escludere che la rinunzia possa essere posta nel nulla a causa di nuove valutazioni sulla consistenza del patrimonio ereditario).

Legittimati attivi all’impugnazione ex art. 526 c.c. sono lo stesso rinunziante ed i suoi eredi, ma anche i creditori in via surrogatoria, e la norma dispone che la relativa azione si prescrive in cinque anni dal giorno in cui è cessata la violenza o è stato scoperto il dolo.
E’ stato a tal proposito affermato che, seppure il codice faccia decorre il termine di prescrizione quinquennale dalla cessazione della violenza o dalla scoperta del dolo, in realtà il termine per l’impugnativa non può cominciare a decorrere che dal momento in cui la rinunzia sia divenuta irrevocabile.
Con ciò vuol dirsi che, se la rinuncia è divenuta in questi anni irrevocabile per intervenuto acquisto dell’eredità da parte degli altri chiamati, sarà da quest’ultima data che devono farsi decorrere i cinque anni per impugnare la medesima rinunzia per violenza o dolo.
Così, se ad esempio gli altri chiamati hanno manifestato la volontà di accettare nel 2015, si avrà tempo fino al 2020 per impugnare la rinunzia.
In ordine ai caratteri della violenza o del dolo, va detto che sono gli stessi di quelli delineati in materia contrattuale, ossia deve trattarsi di violenza morale ed i raggiri integranti il dolo devono essere tali da indurre in un errore determinante il consenso (è irrilevante la persona da cui provengono i raggiri).

Altra possibilità di invalidare la rinuncia, malgrado la prescrizione del diritto di accettare, potrebbe consistere nel proporre al competente Tribunale una domanda volta ad ottenere, previa declaratoria di nullità e/o inefficacia della rinuncia, il riconoscimento della qualità di coerede legittimo del de cuius, chiedendo che si proceda alla divisione dell’eredità e che si ordini agli altri eredi di rendere il conto della gestione dei beni ereditari.
L’inefficacia o invalidità della rinuncia potrebbe essere invocata adducendo la circostanza che, anteriormente alla stessa, il rinunziante avrebbe compiuto uno o più atti di accettazione tacita dell’eredità o, ancor meglio, dando prova della sottrazione o dell’occultamento di beni ereditari, ipotesi quest’ultima espressamente prevista dall’art. 527 del c.c. e che comporta la decadenza dei chiamati all’eredità dalla facoltà di rinunziare ovvero l’essere considerati quali eredi puri e semplici nonostante l’avvenuta rinunzia.

In entrambi i casi (compimento di atti di accettazione tacita o sottrazione ed occultamento di beni ereditari), è indispensabile essere in possesso di concreti elementi probatori, dall’esame dei quali il giudice possa essere posto in condizione di ritenere applicabile il principio vigente nel nostro ordinamento “semel heres semper heres”, desumibile dagli artt. 478 e 527 c.c.
Azioni di questo tipo sono state prese in esame in due sentenze della Corte di Cassazione, a cui si rimanda, e precisamente Corte di Cass. Sez. II sent. N. 1634/2014 e Cass. Civ. Sez. II sent. N. 14666/2012.
Nella prima si legge, tra l’altro, che la rinuncia all’eredità può essere riconosciuta inefficace solo se, fra la data di decesso del de cuius e quella di sottoscrizione della rinuncia stessa, sia possibile ascrivere al soggetto che rinuncia il compimento di atti rilevanti, previsti dal codice civile come indicativi o impositivi di una accettazione tacita dell’eredità.
Nella seconda, invece, la S.C. ha riconosciuto la qualità di erede, malgrado la rinuncia, in capo al chiamato per effetto di un pagamento effettuato a titolo transattivo con denaro ereditario.

Questi sono i suggerimenti che possono darsi; adesso si tratta di valutare se gli atti posti in essere prima della rinuncia possano essere effettivamente in grado di convincere il giudice della inefficacia di quella rinuncia, tanto da poter riconoscere in capo al rinunciante la qualità di erede, con tutto ciò che ne dovrà conseguire.


Sergio chiede
domenica 29/12/2019 - Campania
“Quante volte nei dieci anni si può rinunciare all’eredità e quante alla sua revoca ? Ossia nei dieci anni si può rinunciare e revocare quando è quanto si vuole ?
E nella compilazione della denuncia di successione se viene indicato come EREDE il chiamato all’eredità vale come accettazione espressa dell’eredità?
Grazie”
Consulenza legale i 07/01/2020
Il problema che qui si richiede di affrontare trova esplicita risposta all’art. 525 c.c., norma che consente al chiamato all’eredità, che vi abbia rinunciato, di accettarla in un secondo momento, ma a due condizioni:
  1. che l’eredità non sia stata nel frattempo acquistata da altro dei chiamati;
  2. che dalla revoca della rinuncia non possa derivare alcun pregiudizio alle ragioni acquistate da eventuali terzi sui beni dell’eredità.

Costituisce opinione pacifica sia in dottrina che in giurisprudenza quella secondo cui, nonostante la rinuncia, la delazione a favore del chiamato continua a persistere fino alla prescrizione del suo diritto di accettare.
Tuttavia, con la rinuncia si modifica la situazione di colui che l’ha effettuata, in quanto, anche se permane la delazione in suo favore, il rinunziante non avrà più il potere di compiere atti di gestione conservativa sul patrimonio ereditario né potrà più esercitare il possesso sui beni ereditari.

Si afferma in giurisprudenza che la rinunzia determinerebbe la coesistenza del diritto di accettare sia nel rinunziante che negli altri chiamati (c.d. chiamati ulteriori), precisandosi che la revoca della rinuncia non ha valore di autonomo atto o negozio giuridico, ma costituisce soltanto l’effetto della successiva accettazione dell’eredità da parte del rinunziante, e affermandosi che solo l’accettazione dell’eredità, in qualunque forma manifestata, comporta revoca della rinunzia (cfr. Cass. 3457/1984; Cass. 1403/2007).

Da quanto detto se ne deduce che, nell’arco dei dieci anni successivi all’apertura della successione, è ben possibile rinunciare una solta volta all’eredità e successivamente revocare tale rinuncia mediante successiva accettazione, la quale, secondo quanto affermato sempre dalla Corte di Cassazione (così Cass. 21014/2011 e Cass. 6070/2012), può anche essere tacita.
Una volta manifestata la volontà di accettare, sia in forma espressa che tacita, non sarà più possibile rinunziare; ciò lo si desume implicitamente anche dalla lettura degli articoli 475 e 520 c.c., i quali sanzionano con la nullità sia l’accettazione che la rinunzia dell’eredità subordinati a condizione o termine ovvero riferite solo a parte dell’eredità.

Si è detto all’inizio che perché il rinunziante possa efficacemente revocare la propria rinunzia occorre non soltanto che sussista il presupposto fondamentale che non sia scaduto il termine di accettazione (sia esso quello ordinario decennale che, eventualmente, quello più breve fissato dal giudice ex art. 481 del c.c.), ma anche che sussistano i due presupposti prescritti dall’art. 525 c.c..

La revoca della rinunzia, infatti, sarebbe impedita dall’acquisto dell’eredità da parte di altri chiamati; il rinunziante non potrà più revocare la sua rinunzia dopo che sia intervenuta l’accettazione, in qualunque modo manifestata, dei chiamati in subordine o nel caso in cui l’eredità sia stata automaticamente acquistata dagli altri simultaneamente chiamati per effetto dell’accrescimento.
E’ stata anche esclusa, sia dalla giurisprudenza che dalla dottrina, la possibilità di un accordo tra il rinunziante e gli altri eredi in subordine, che abbiano già accettato, volto a consentire al rinunziante di revocare la rinuncia e così acquisire nuovamente la qualità di erede; si è infatti affermato che, una volta caduta la delazione, questa non può più essere ripristinata dalla volontà privata, trattandosi di materia sottratta alla disponibilità delle parti (così Cass. N. 2549/1966; Cass. N. 8912/1998).

Discusso è il significato da attribuire all’inciso contenuto nell’ultima parte della norma, ove vengono fatte salve le ragioni acquistate nel frattempo da eventuali terzi sopra i beni dell’eredità.
La dottrina prevalente ha interpretato tale espressione nel senso che occorrerebbe rispettare, a seguito della revoca della rinunzia, gli eventuali atti di gestione del patrimonio ereditario compiuti dai chiamati ulteriori o dal curatore dell’eredità giacente.

Ultimo tema che resta da analizzare è quello degli effetti che può avere la presentazione della denuncia di successione e l’indicazione in essa della qualità di erede con riferimento a colui che riveste la posizione di chiamato all’eredità, per legge o per testamento.
A tale riguardo costituisce orientamento costante nella giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione quello secondo cui la presentazione della denuncia di successione da parte del chiamato all’eredità non comporta ex se l’accettazione tacita di eredità, in quanto trattasi di atto preordinato a fini essenzialmente fiscali.
Qualora, invece, si accompagni ad una attività costituente prova di accettazione implicita (esempio l’esperimento di azioni giudiziarie volte alla rivendica o alla difesa della proprietà o a danni per mancata disponibilità di beni ereditari), allora essa assumerà valore di elemento indiziario che rafforza la volontà di accettare tacitamente l’eredità (così Cass. Civ. Sez. VI, sent. N. 868/2917; Cass. 13738/2005).

Tale tesi è stata di recente confermata dalla Corte di Cassazione, Sezione seconda civile, con ordinanza n. 4843 del 19.02.2019, in cui viene espressamente detto che “Ai fini dell’accettazione tacita dell’eredità, sono privi di rilevanza tutti quegli atti che, attese la loro natura e finalità, non sono idonei ad esprimere in modo certo l’intenzione univoca di assunzione della qualità di erede, quali la denuncia di successione, il pagamento delle relative imposte, la richiesta di registrazione del testamento e la sua trascrizione. Infatti, trattandosi di adempimenti di prevalente contenuto fiscale, caratterizzati da scopi conservativi, il giudice del merito, a cui compete il relativo accertamento, può legittimamente escludere, con riferimento ad essi, il proposito di accettare l’eredità; peraltro, siffatto accertamento non può limitarsi all’esecuzione di tali incombenze, ma deve estendersi al complessivo comportamento dell’erede potenziale ed all’eventuale possesso e gestione anche solo parziale dell’eredità”.

In conclusione, dunque, può dirsi che, nell’arco dei dieci anni dall’apertura della successione, non si può rinunciare e revocare la rinuncia quanto si vuole, ma solo una volta, in quanto la revoca della rinuncia non è atto autonomo, ma conseguenza della accettazione dell’eredità, la quale, una volta manifestata, non può essere più revocata né può essere sottoposta a termine o condizione.
La presentazione della denuncia di successione, se non accompagnata da altri atti qualificabili come manifestazione di accettazione tacita dell’eredità, non può assumere il valore di accettazione dell’eredità, sia essa espressa che tacita, avendo solo rilevanza fiscale.


Stefano A. chiede
mercoledì 06/11/2019 - Estero
“Buongiorno, il caso è il seguente: trattasi di un'eredità di un parente deceduto all'estero (non-UE) pochi anni fa, con beni in Italia: terreni agricoli ed un fabbricato.
Risultavano pero anche debiti "considerevoli" all'estero (il cui importo era sconosciuto).
Tutti gli eredi a questo punto hanno rinunciato regolarmente tramite atto notarile.
Dopo aver conosciuto l'importo dei debiti ho deciso di revocare la rinuncia e di accettare l'eredità completa.
Facendo la dichiarazione di successione risultava però che uno dei legatari (con il quale non avevo mai contatto) in verità ha rinunciato l'eredità soltanto all'estero per non pagare debiti ma non ha ne accettato ne rinunciato all'eredità in Italia.
Quindi non risulta registrato da nessuna parte una rinuncia all'eredità di questo parente (mentre risulta la rinuncia di tutti gli altri me incluso).
I 10 anni di tempo per accettazione/rinuncia non sono ancora passati (e lui ha quasi 90 anni).
Domande:
Che cosa significa per la mia revoca ed accettazione dell'eredità intera?
Devo aspettare i 10 anni e se lui non accetta o se muore neanche i suoi eredi sarà in vigore?
Oppure è da considerarsi nulla l'accettazione dell'eredità completa perché accettata ed uno degli altri eredi non ha ancora deciso?
Che cosa si può fare per accelerare la faccenda?
Dei terreni si è dichiarato proprietario un altro e del fabbricato lo stesso parente ne sta facendo usucapione ed io posso fare ben poco vivendo all'estero.”
Consulenza legale i 12/11/2019
Si cercherà di rispondere in maniera più puntuale possibile alle domande poste, anche se, in realtà, la vicenda, per come viene descritta, presenta dati un pò incerti ed imprecisi.
Intanto va premesso che normativa di riferimento in materia è la Legge 31 maggio 1995 n. 218, la quale agli articoli 46, 47, 48, 49 e 50 si è preoccupata di dettare la nuova disciplina sulle successioni a causa di morte nel diritto internazionale privato.

In particolare, dispone il primo comma dell’art. 46 che “la successione per causa di morte è regolata dalla legge nazionale del soggetto della cui eredità si tratta al momento della morte”.
E’ stato dunque affermato il c.d. principio della unità della successione , il quale trova un temperamento soltanto nella possibilità della c.d. “professio iuris” prevista dal secondo comma di quella stessa norma.

Da ciò se ne ricava che sarà la normativa dello Stato estero in cui il de cuius è deceduto a regolare l’intera successione, in particolare per tutto ciò che involge gli aspetti di gestione e trasferimento del patrimonio appartenente al de cuius.
Nel quesito viene precisato che tutti i potenziali eredi, venuti a conoscenza della ingente quantità di debiti gravanti sull’eredità, hanno manifestato la loro volontà di rinunciare a quell’eredità, precisandosi che tale rinuncia è stata fatta con atto notarile.
Manca, tuttavia, ogni precisazione in relazione al luogo ove quell’atto di rinuncia è stato posto in essere, se in Italia o all’estero, trattandosi di un dato importante di cui occorre tener conto per giungere ad una corretta soluzione della questione posta.

Infatti, qualora la rinuncia fosse stata fatta all’estero, affinché la stessa possa avere efficacia in Italia, occorre che risultino essere state rispettate le forme ed i requisiti prescritti dal nostro codice civile agli artt. 519 e ss.
In particolare, dispone quest’ultima norma che la rinuncia all’eredità va fatta con dichiarazione ricevuta da un notaio o dal cancelliere del Tribunale del luogo in cui si è aperta la successione, per poi essere inserita nel registro delle successioni.

La prassi da seguire, dunque, è quella di recarsi presso l’Ufficio notarile del Consolato italiano all’estero, per ivi rendere la dichiarazione di rinuncia in forma di atto pubblico e poi trasmetterla al Tribunale italiano affinché venga inserita nel Registro delle successioni (Tribunale competente sarà quello del luogo di ultima residenza del defunto).
Peraltro, secondo il disposto dell’art. 13, co. 1, d.P.R. n. 131 del 26.04.1986, la rinuncia all’eredità compiuta all’estero deve essere registrata in Italia entro il termine di 60 giorni dal compimento dell’atto.

In mancanza di tali adempimenti, la rinuncia all’eredità compiuta all’estero non potrà che considerarsi improduttiva di effetti in Italia, il che comporta che ciascuno di coloro che risultano chiamati all’eredità del defunto può in Italia accettare l’eredità entro il termine di 10 anni dall’apertura della successione, per come stabilito dall’art. 480 del c.c..
Peraltro, dispone l’art. 525 c.c. che entro lo stesso termine decennale di prescrizione, colui il quale abbia già rinunciato, può revocare la rinuncia ed accettare l’eredità, sempre che la medesima non sia stata già acquistata da altro dei chiamati e fatte salve le ragioni acquistate da eventuali terzi sui beni che la compongono.

Pertanto, se si ha certezza che nessun altro chiamato ha nel frattempo accettato l’eredità, ciò che si consiglia è di revocare la rinuncia all’eredità, avvalendosi ovviamente della forma dell’atto pubblico e provvedendo a far inserire quella revoca della rinuncia e conseguente accettazione nel Registro delle successioni del Tribunale del luogo di ultima residenza del defunto.
Poiché si presume che anche gli altri successibili si trovino per la legge italiana nella posizione di chiamati, al fine di non aspettare il decorso dei dieci anni dalla morte del de cuius, vi è uno strumento giuridico di cui ci si può avvalere, ovvero quello previsto dall’art. 481 del c.c., norma che consente a chiunque vi abbia interesse di chiedere all’autorità giudiziaria (ovviamente quella italiana) di fissare un termine entro il quale i chiamati dovranno espressamente dichiarare se accettare o rinunciare all’eredità, con la conseguenza che, se entro tale termine non viene fatta alcuna dichiarazione, si perde definitivamente il diritto di accettare.

Nel frattempo, una volta formalizzata la revoca della rinuncia e l’accettazione dell’eredità, per quanto concerne l’ulteriore problema legato al fatto che gli immobili ereditari (terreni e fabbricato) sono in possesso di terzi e di uno degli stessi chiamati, occorrerà difendersi e far valere le proprie ragioni attraverso una azione ben precisa, ossia la c.d. azione di petizione di eredità, disciplinata dagli artt. 533 e ss. c.c.
Dispone espressamente l’art. 533 del c.c. che, colui il quale ha acquisito la posizione di erede, può agire in giudizio per chiedere il riconoscimento di tale sua qualità contro chiunque si trova in possesso di tutti o parte dei beni ereditari, vantando un titolo di erede nullo o invalido o senza titolo alcuno.

Diversa è la situazione, invece, se tutti gli eredi hanno rinunciato a quell’eredità in Italia, mediante atto notarile regolarmente registrato ed inserito nel Registro delle successione; in tal caso, infatti, poiché l’eredità non risulta ancora accettata da alcuno dei chiamati e considerato che non sono ancora decorsi dieci anni, si è ancora in tempo per revocare la propria rinuncia e accettare l’eredità.
Tale accettazione, validamente espressa ed effettuata, impedirà agli altri eredi già rinuncianti (in forza di rinuncia valida ed efficace anche in Italia) di poter revocare anche la propria rinuncia, avendo ormai perso definitivamente il diritto di accettare l’eredità.


Chiara chiede
venerdì 30/03/2012 - Piemonte

“Salve, dopo circa 5 anni dalla rinuncia dell'eredità, è possibile fare la revoca della rinuncia e tornare ad avere l'eredità??

Grazie”

Consulenza legale i 30/03/2012

La rinunzia all'eredità è un negozio solenne che si fa con dichiarazione ricevuta da un notaio o dal cancelliere del tribunale del circondario in cui si è aperta la successione. La rinunzia all'eredità può essere fatta fino a che il diritto di accettare non sia prescritto (dieci anni dall'apertura della successione).

La rinunzia è revocabile. Il rinunziante, se non è passato il termine di prescrizione, ha il diritto di accettare l'eredità fino a che, in seguito al suo rifiuto, un chiamato di grado ulteriore non abbia a sua volta acquistato l'eredità (art. 525 del c.c.).


Elio chiede
mercoledì 03/11/2010

“Nel caso di revoca della rinunzia di accettazione dell'eredità entro il termine dei dieci anni, ed a seguito della presentazione della dichiarazione di successione da parte degli altri eredi, in mancanza di successivi atti di trasferimento della proprietà, può l'erede rinunciante prima e revocante dopo pretendere ancora la sua quota di eredità presentando una nuova dichiarazione di successione sostitutiva alla prima?

Consulenza legale i 28/12/2010

La rinunzia all'eredità è un negozio unilaterale revocabile fino a che:
- non sia prescritto il diritto di accettare;
- non sia avvenuta l'accettazione dei successivi chiamati ([[525]]).

Nel caso di specie, premesso che il primo presupposto si è verificato, si dovrà accertare che i successivi chiamati non abbiano già accettato, caso al quale è equiparato l'accrescimento in caso di accettazione precedente. Infatti, la circostanza dell'accettazione non è chiara, poiché dalla presentazione della dichiarazione di successione e dal pagamento della relativa imposta, in quanto adempimenti fiscali caratterizzati da scopi conservativi, non può desumersi l'accettazione tacita degli altri eredi (Cass. civ. 27 marzo 1996 n. 2711).

La revoca della rinuncia sarà valida, quindi, se sarà accertato che i successivi chiamati non hanno ancora accettato.


CLAUDIA chiede
mercoledì 13/10/2010

“Salve, può essere pignorata la mia rinuncia dell'eredità?
Grazie.”

Consulenza legale i 28/12/2010

La rinuncia all'eredità, in quanto potenzialmente lesiva degli interessi dei creditori del rinunciante, può essere da essi impugnata (è improprio parlare di "pignoramento" in questa fase).
L'art. 524 del c.c. sancisce la regola per cui i creditori di colui che rinuncia, seppur senza frode, possono farsi autorizzare ad accettare l'eredità in nome e in luogo del loro debitore-rinunziante, allo scopo di soddisfarsi sui beni ereditari - naturalmente fino alla concorrenza dei crediti.
La legittimazione passiva rispetto all'istanza di autorizzazione dei creditori spetta al solo debitore rinunziante (v. Cass. civ. 17866/2003), mentre i successivi chiamati che abbiano accettato l'eredità potranno eventualmente esperire intervento adesivo dipendente per sostenere le ragioni del debitore rinunciante.


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