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Articolo 2947 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 07/03/2024]

Prescrizioni del diritto al risarcimento del danno

Dispositivo dell'art. 2947 Codice Civile

Il diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito si prescrive in cinque anni dal giorno in cui il fatto si è verificato(1).

Per il risarcimento del danno prodotto dalla circolazione dei veicoli di ogni specie il diritto si prescrive in due anni(2).

In ogni caso, se il fatto è considerato dalla legge come reato e per il reato è stabilita una prescrizione più lunga, questa si applica anche all'azione civile(3). Tuttavia, se il reato è estinto per causa diversa dalla prescrizione o è intervenuta sentenza irrevocabile nel giudizio penale, il diritto al risarcimento del danno si prescrive nei termini indicati dai primi due commi, con decorrenza dalla data di estinzione del reato [150 c.p.c. ss.] o dalla data in cui la sentenza è divenuta irrevocabile [648, 650 c.p.](4).

Note

(1) Tra i casi più significativi aventi termini prescrizionali brevi deve essere sicuramente incluso l'illecito extracontrattuale qui delineato, ricomprendente qualsiasi comportamento doloso o colposo che abbia provocato un danno ingiusto ad una persona. La corrente giurisprudenziale maggioritaria afferma che nella norma devono intendersi anche quei comportamenti che vadano ad inficiare la libertà negoziale, cioè l'interesse che hanno i soggetti a non essere coinvolti in inutili trattative contrattuali, che li portino a concludere contratti viziati o a condizioni differenti da quelle realmente desiderate, violando il cosiddetto interesse negativo e determinando la responsabilità che viene ormai unanimemente denominata precontrattuale (v. art. 1337-1338). Si considera pertanto applicabile la disciplina della norma a tutte le azioni di risarcimento del danno e similia che discendano dalla commissione di un illecito civile.
(2) Si deve tuttavia sottolineare che nell'ipotesi in cui si addivenga ad una condanna generica che obblighi alla liquidazione di un risarcimento danni in un altro giudizio, tale azione che avrà separatamente luogo sarà sottoposta a prescrizione ordinaria decennale, in forza della disposizione dell'art. 2953, e non viceversa al termine breve sancito dall'articolo citato.
Il D.L. 145/2013 prevedeva l'aggiunta del seguente periodo: "In ogni caso il danneggiato decade dal diritto qualora la richiesta di risarcimento non venga presentata entro tre mesi dal fatto dannoso, salvo i casi di forza maggiore". Nella conversione con modificazioni ad opera della L. 21 febbraio 2014, n. 9, tale inserto è stato soppresso.
(3) La prima parte di questo comma vuole far fronte alla necessità che il responsabile dell'illecito civile riesca ad evitare l'obbligo del risarcimento dei danni, mediante l'utilizzo del termine prescrizionale breve.
(4) Il legislatore, facendo chiarezza su un punto estremamente dibattuto, ha stabilito che la prescrizione del diritto al risarcimento dei danni per il mancato recepimento di una direttiva comunitaria è sottoposto a prescrizione quinquennale, in quanto considerato come fatto illecito ex art. 2043, e il termine decorre dalla data in cui si è verificato il fatto dal quale sarebbero discesi i diritti se la direttiva in questione avesse avuto regolare recepimento (v. art. 4, comma 43, L. 183/2001). La Corte di Cassazione, attraverso la sentenza 1850/2012, ha inoltre ulteriormente specificato che la nuova disciplina è applicabile a tutti i fatti verificatisi posteriormente alla sua entrata in vigore.

Ratio Legis

La presente disposizione inaugura una serie di ipotesi di cosiddetta prescrizione breve, deroganti quindi a quella ordinaria decennale, e trova la sua ratio nella forte incidenza che qui assume la prova testimoniale ex art. 2721 per dimostrare i fatti costitutivi l'illecito, in quanto il legislatore sa che l'eccessivo decorso del tempo può far svanire nei soggetti il ricordo di tali fatti.

Brocardi

Culpa in vigilando

Spiegazione dell'art. 2947 Codice Civile

Limiti di applicabilità ed inizio delle due specie di prescrizioni

Sono due specie di prescrizioni : la quinquennale e la biennale. La prima colpisce il diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito, la seconda il diritto al risarcimento del danno prodotto dalla circolazione dei veicoli di ogni specie. A questa che è la regola, il secondo capoverso segna un'eccezione che sarà esaminata dopo aver considerati i presupposti della prescrizione in argomento.

Entrambe le prescrizioni, le quali, va appena rilevato, non avevano una particolare disciplina nel codice del 1865 ed erano perciò soggette alla prescrizione ordinaria, colpiscono il diritto che al risarcimento ha chi sia stato danneggiato dal fatto illecito altrui, o a seguito di incidente determinato dalla circolazione di veicoli di qualunque specie siano, cioè, senza o con guide di rotaie.

Il termine prescrizionale si inizia dal giorno in cui si è verificato il fatto che attribuisce il diritto a domandare il risarcimento dei danni ; in tal senso è esplicito il primo comma ; ma analogo principio deve valere per l'ipotesi prevista dal secondo comma, sebbene qui non si precisi il dies a quo ; infatti è pur qui la regola dell'art. 2935 che deve trovare applicazione.

Al periodo quinquennale e biennale dei due primi commi, l'ultimo pone una deroga giustificata in tutte e due le ipotesi previste dalla norma positiva. È chiaro che se il fatto illecito è considerato come reato e per la prescrizione di questo. la legge stabilisce un termine più lungo, non si 'poteva fissare, per la prescrizione dell'azione civile, un termine più breve dal momento che non sarebbe stato giusto dichiarare estinta l'azione di risarcimento mentre è in vita ancora l'azione penale ; questa, in tal caso, attira nella sua regolamentazione anche l'altra.

Può avvenire che il reato sia dichiarato estinto per una causa che non sia la prescrizione (amnistia, rimessione) oppure sia stata pronunciata, nel giudizio penale, sentenza irrevocabile, s'intende di condanna (ciò l'articolo non precisa, ma non vi è dubbio) ; qui far decorrere la prescrizione dal giorno in cui si è verificato il fatto sarebbe stato contraddittorio con il principio dell'art. 2935 ; si spiega, perciò, la disposizione che, pur mantenendo fermi i due periodi, quinquennale e biennale a seconda del fatto illecito, fissa il loro inizio dalla data di estinzione del reato o dalla data in cui la sentenza è divenuta irrevocabile.

Relazione al Libro delle Obbligazioni

(Relazione del Guardasigilli al Progetto Ministeriale - Libro delle Obbligazioni 1941)

659 Ho previsto, infine, una prescrizione speciale di cinque anni per le azioni derivanti da atto illecito, che si riduce a tre anni per l'azione di risarcimento del danno prodotto dalla circolazione dei veicoli (art. 779).
Ho considerato che il più lungo termine ordinario rende difficile la difesa del responsabile, il quale, a grande distanza di tempo dal fatto lesivo, non è spesso in condizione di dare prova della sua liberazione; maggiore difficoltà si ha nel caso di danni da circolazione di veicoli che perciò dà luogo a una più breve prescrizione. Questa si applica anche ai danni prodotti dalla circolazione di veicoli con guida di rotaie, come è fatto palese da un confronto tra l'art. 777 e l'art. 779 cpv.
E' giusto, però, che il termine di prescrizione sia quello stesso previsto per l'esercizio dell'azione civile nel processo penale quando l'illecito è considerato dalla legge come reato.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

1206 Ho stabilito (art. 2947 del c.c., primo comma) la prescrizione breve di cinque anni per il diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito. Nella molteplicità dei casi la prova del fatto illecito si fonda sulle deposizioni dei testimoni: col decorso del tempo il ricordo delle circostanze su cui questi sono chiamati a deporre svanisce o si attenua, e si accrescono così i pericoli inerenti a siffatto mezzo di prova. Ho maggiormente ridotto, circoscrivendolo a due anni (art. 2947, secondo comma), il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno prodotto dalla circolazione dei veicoli di ogni specie. Un più lungo termine avrebbe reso difficile al convenuto, nel caso di sinistro derivante dalla circolazione dei veicoli senza guida di rotaie, di vincere la presunzione di colpa sancita dall'art. 2054 del c.c., primo comma, nè sarebbe stato opportuno introdurre un'ulteriore distinzione e stabilire un termine diverso per il diritto al risarcimento del danno derivante dalla circolazione, dei veicoli con guida di rotaie. Naturalmente, se il fatto illecito è considerato dalla legge come reato e per il reato è stabilito un termine di prescrizione più lungo, questo si applica anche all'azione civile. Se poi il reato è estinto per causa diversa dalla prescrizione o è intervenuta sentenza irrevocabile nel giudizio penale, il diritto al risarcimento del danno si prescrive nei termini su indicati di cinque e di due anni, ma questi decorrono dalla data di estinzione del reato o dalla data in cui la sentenza è divenuta irrevocabile (art. 2947, terzo comma).

Massime relative all'art. 2947 Codice Civile

Cass. civ. n. 26592/2021

Il danno derivante dall'occupazione sine titulo di un alloggio, per il quale è scaduto il termine di efficacia del provvedimento di requisizione amministrativa, ha natura di illecito permanente, dando luogo al ripetersi di fatti illeciti, connessi alla perdita dei frutti naturali dell'immobile per il periodo di illegittima occupazione, con riferimento a ciascun periodo in relazione al quale si determina la perdita di detti frutti, con la conseguenza che in ogni momento sorge per il proprietario il diritto al relativo risarcimento e nello stesso tempo decorre il relativo termine di prescrizione quinquennale previsto dall'art. 2947 cod. civ.

Cass. civ. n. 12182/2021

In tema di risarcimento del danno alla salute causato da emotrasfusione con sangue infetto, che costituisce una ipotesi di danno cd. "lungolatente", in cui il fatto in relazione al quale decorre il termine ex art. 2947, comma 1, c.c., coincide con il momento in cui viene ad emersione il completamento della fattispecie costitutiva del diritto, da accertarsi, rispetto al soggetto danneggiato, secondo un criterio oggettivo di conoscibilità, la parte eccipiente ha l'onere di allegare e provare, ai sensi dell'art.2697, comma 2, c.c., il fatto temporale costitutivo dell'eccezione di prescrizione, ossia la prolungata inerzia dell'esercizio del diritto al risarcimento del danno, in quanto riconducibile al termine iniziale di oggettiva conoscibilità della etiopatogenesi, mentre non è tenuta ad indicare altresì le norme applicabili, essendo rimessa al giudice la sussunzione di quel fatto nello schema normativo astratto dello specifico tipo di prescrizione applicabile alla fattispecie concreta, il quale può essere anche diverso da quello indicato dalla parte e condurre all'individuazione di un termine di estinzione del diritto maggiore o minore. (Cassa e decide nel merito, CORTE D'APPELLO FIRENZE, 12/04/2017).

Cass. civ. n. 4683/2020

La prescrizione del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito decorre da quando il danneggiato, con l'uso dell'ordinaria diligenza, sia stato in grado di avere conoscenza dell'illecito, del danno e della derivazione causale dell'uno dall'altro, nonché dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa connotante detto illecito. Ne consegue che, nel caso di domanda risarcitoria proposta nei confronti del Ministero dello sviluppo economico per il ristoro dei danni derivanti dalla perdita di risparmi, affidati per l'investimento in programmi finanziari a società autorizzata ad operare come fiduciaria dello stesso Ministero, il "dies a quo" della prescrizione del diritto al risarcimento decorre dal deposito dello stato passivo della società - quale momento in cui il danneggiato è messo in condizione di apprezzare la vastità e la gravità delle irregolarità della società fiduciaria e, quindi, l'intempestività, l'incompletezza e le omissioni nelle attività di vigilanza demandate al Ministero - e non già dalla comunicazione ai creditori di siffatto deposito, rilevante soltanto ai fini della decorrenza dei termini per le impugnazioni. (Rigetta, CORTE D'APPELLO ROMA, 15/12/2015).

Cass. civ. n. 20363/2019

Ai sensi dell'art. 2947 c.c., l'azione civile risarcitoria, se vi è stata sentenza penale, si prescrive nei termini indicati dai primi due commi dello stesso articolo, decorrenti dalla data in cui la predetta sentenza è divenuta irrevocabile, sul presupposto che vi sia identità della posizione del danneggiato con quella della parte lesa dalla condotta criminosa, ancorché non sia richiesta la costituzione di parte civile nel giudizio penale. (Rigetta, CORTE D'APPELLO ROMA, 27/10/2014).

Cass. civ. n. 22794/2018

In tema di prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito considerato dalla legge come reato, ove sia intervenuta sentenza penale di annullamento, ai soli effetti civili, della statuizione assolutoria del giudice penale, il "dies a quo" per il computo del termine va individuato, ai sensi dell'art. 2947, comma 3, secondo periodo, c.c., nella data in cui la sentenza penale è divenuta irrevocabile, tale dovendosi considerare la pronuncia emessa dalla Corte di cassazione ex art. 622 c.p.p.

Cass. civ. n. 20882/2018

La responsabilità del Ministero della Salute per i danni da trasfusione di sangue infetto ha natura extracontrattuale, sicché il diritto al risarcimento è soggetto alla prescrizione quinquennale ex art. 2947, comma 1, c.c., non essendo ipotizzabili figure di reato (epidemia colposa o lesioni colpose plurime) tali da innalzare il termine ai sensi dell'art. 2947, comma 3, c.c.. ne consegue che in caso di decesso del danneggiato a causa del contagio, la prescrizione rimane quinquennale per il danno subito da quel soggetto in vita, del quale il congiunto chieda il risarcimento "iure hereditatis", trattandosi pur sempre di un danno da lesione colposa, reato a prescrizione quinquennale (alla data del fatto), mentre la prescrizione è decennale per il danno subito dai congiunti della vittima "iure proprio", in quanto, da tale punto di vista, il decesso del congiunto emotrasfuso integra omicidio colposo, reato a prescrizione decennale (alla data del fatto).

Cass. civ. n. 9318/2018

In tema di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito, nel caso di illecito istantaneo, caratterizzato da un'azione che si esaurisce in un lasso di tempo definito, lasciando permanere i suoi effetti, la prescrizione incomincia a decorrere con la prima manifestazione del danno, mentre, nel caso di illecito permanente, protraendosi la verificazione dell'evento in ogni momento della durata del danno e della condotta che lo produce, la prescrizione ricomincia a decorrere ogni giorno successivo a quello in cui il danno si è manifestato per la prima volta, fino alla cessazione della predetta condotta dannosa. (In applicazione di detto principio, la S.C. ha cassato la decisione di merito, che, in una controversia per demansionamento, aveva individuato come "dies a quo" di decorrenza della prescrizione la data di manifestazione del danno invece che quella di cessazione della condotta illecita da parte del datore di lavoro).

Cass. civ. n. 22059/2017

In tema di azione risarcitoria per responsabilità professionale, ai fini dell'individuazione del momento iniziale di decorrenza del termine prescrizionale, si deve avere riguardo all'esistenza di un danno risarcibile ed al suo manifestarsi all'esterno come percepibile dal danneggiato alla stregua della diligenza da quest'ultimo esigibile ai sensi dell'art. 1176 c.c., secondo standards obiettivi e in relazione alla specifica attività del professionista, in base ad un accertamento di fatto rimesso al giudice del merito. (Nella specie, relativa a responsabilità di un notaio per aver redatto atto di assenso ad iscrizione ipotecaria su un bene non di proprietà del debitore, la S.C. ha ritenuto il termine di prescrizione decorrente non dall'epoca dell'atto di iscrizione, ma dalla scoperta da parte del creditore dell'inesistenza della garanzia ipotecaria).

Cass. civ. n. 21534/2017

Il termine prescrizionale di dieci anni previsto per il reato di calunnia - applicabile, a norma dell'art. 2947, comma 3, c.c., anche all'azione civile di risarcimento del danno - decorre, sia per il reato sia per l'azione civile, dalla stessa data, e cioè dalla data in cui il giudice venga a conoscenza, direttamente o indirettamente, della falsa denuncia, e non già dalla data di inizio dell'azione penale, poiché il reato di calunnia si consuma appena all'autorità giudiziaria - oppure ad altra autorità obbligata a riferire ad essa- venga presentata (o comunque giunga) la falsa denuncia: da quello stesso momento la persona denunciata può far valere il diritto al risarcimento per il pregiudizio sofferto.

Cass. civ. n. 16481/2017

In tema di prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da reato, il più lungo termine previsto dall'art. 2947, comma 3, c.c. è applicabile, indistintamente, a tutti i possibili soggetti attivi della pretesa risarcitoria, e, quindi, sia in caso di domanda proposta dalla vittima diretta o indiretta del reato, sia nell'ipotesi di richiesta proveniente da persone che, pur avendo risentito un danno in conseguenza del fatto reato, non siano titolari dell’interesse protetto dalla norma incriminatrice. (Nella specie, un'amministrazione pubblica aveva chiesto il risarcimento dei danni patrimoniali, quantificati in misura pari agli emolumenti inutilmente versati ad un proprio dipendente nel periodo di assenza dal lavoro per malattia, conseguenti ad un sinistro stradale in cui quest’ultimo era rimasto coinvolto riportando gravi lesioni personali).

Cass. civ. n. 1641/2017

In tema di prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito costituente reato, la previsione dell'art. 2947, comma 3, c.c. (secondo il quale, se per il reato stesso è prevista una prescrizione più lunga, questa si applica anche all'azione civile) si riferisce, senza alcuna discriminazione, a tutti i possibili soggetti passivi della conseguente pretesa risarcitoria, sicchè è invocabile non solo per l'azione civile esperibile contro la persona penalmente imputabile (nella specie, l'amministratore che ha ricevuto un pagamento preferenziale) ma anche per quella esercitabile contro coloro che siano tenuti al risarcimento a titolo di responsabilità indiretta (nella specie, la società, che, ai sensi dell'art. 2049 c.c., risponde civilmente dell'illecito penale commesso dal suo amministratore).

Cass. civ. n. 16888/2016

In tema di prescrizione del diritto al risarcimento dei danni da fatto illecito, ai fini dell'applicabilità della più lunga prescrizione eventualmente prevista dalla legge penale, ai sensi dell'art. 2947, comma 3, prima parte, c.c., deve operarsi un raffronto tra il fatto illecito dedotto in giudizio ed il fatto-reato, escludendo dal raffronto l'interesse protetto, in quanto la norma citata postula la coincidenza degli elementi soggettivi ed oggettivi del fatto su cui è fondata la pretesa risarcitoria con quelli del reato di cui si invoca la prescrizione più lunga, ma non anche la necessaria coincidenza dell'evento di danno che integra l'illecito civile con l'interesse protetto dalla norma penale.

Cass. civ. n. 15790/2016

In tema di risarcimento del danno, grava sulla parte che eccepisce la prescrizione estintiva solamente l'onere di allegare l'inerzia del titolare del diritto dedotto in giudizio e di manifestare la volontà di avvalersene, non anche di tipizzare l'eccezione specificando a quale tra le previste prescrizioni, diverse per durata, intenda riferirsi, spettando al giudice stabilire se, in relazione al diritto applicabile al caso, l'eccepita estinzione si sia verificata.

Cass. civ. n. 5894/2016

In tema di sinistro stradale, la prescrizione breve del diritto al risarcimento dei danni, di cui all'art. 2947, comma 2, c.c., si applica non solo quando i danni siano derivati, secondo uno stretto rapporto di causa ed effetto, dalla circolazione dei veicoli, ma anche se vi sia solo un nesso di dipendenza, per il quale l'evento si colleghi, nel suo determinismo, alla circolazione medesima, rispondendo tale estensiva interpretazione all'esigenza che l'accertamento della dinamica dell'incidente stradale avvenga con una azione sollecitamente proposta. (In applicazione dell'anzidetto principio, la S.C. ha ritenuto l'applicabilità della prescrizione breve all'azione risarcitoria intentata da un automobilista, rimasto danneggiato a seguito di un incidente tra veicoli determinato da insidia stradale, nei confronti di un Comune per omessa vigilanza nel tratto stradale in cui era avvenuto l'incidente).

Cass. civ. n. 4899/2016

In materia di illecito civile, la prescrizione del diritto al risarcimento del danno decorre dal momento in cui il danneggiato ha avuto reale e concreta percezione dell'esistenza e gravità del danno stesso, nonché della sua addebitabilità ad un determinato soggetto, ovvero dal momento in cui avrebbe potuto avere tale percezione usando l'ordinaria diligenza. (Principio applicato dalla S.C. con riferimento alla pretesa risarcitoria azionata dalla vittima di una violenza sessuale perpetrata a suo carico all'età di nove anni, della quale, però, ella aveva acquisito consapevolezza solo quando, raggiunta l'età adulta e maturati i primi approcci alla sessualità, ebbe ad innestarsi il processo di slatentizzazione).

Cass. civ. n. 23872/2014

In tema di prescrizione nel più lungo termine derivante da reato, l'applicazione dell'art. 2947, terzo comma, cod. civ., all'autorità con compiti di vigilanza sul mercato finanziario (CONSOB) chiamata in corresponsabilità, con l'autore del fatto, per omessa vigilanza presuppone la sussistenza di un titolo di responsabilità indiretta per un fatto costituente reato del suo funzionario o dipendente, non potendo quel termine automaticamente estendersi alla medesima autorità quando sussista una mera obbligazione solidale a titolo di responsabilità civile extracontrattuale di natura omissiva, a norma dell'art. 2043 cod. civ., con l'autore del reato, ferma la solidarietà risarcitoria ex art. 2055 cod. civ.

Cass. civ. n. 15239/2014

In tema di responsabilità civile da trattamento sanitario ed ai fini dell'individuazione del termine prescrizionale per l'esercizio dell'azione risarcitoria, non è ipotizzabile il delitto di lesioni volontarie gravi o gravissime nei confronti del medico che sottoponga il paziente ad un trattamento da questi non consentito (anche se abbia esito infausto e anche se l'intervento venga effettuato in violazione delle regole dell'arte medica), se sia comunque rinvenibile nella sua condotta professionale una finalità terapeutica ovvero la terapia sia inquadrabile nella categoria degli atti medici, dovendosi escludere, in tali evenienze, che la condotta sia diretta a ledere, sicché, ove l'agente cagioni lesioni al paziente, è, al più, ipotizzabile il delitto di lesioni colpose se l'evento sia riconducibile alla violazione di una regola cautelare.

Cass. civ. n. 25042/2013

In tema di prescrizione del risarcimento del danno prodotto dalla circolazione dei veicoli, dal disposto del terzo comma dell'art. 2947 cod. civ. emerge, per l'ipotesi in cui il fatto costituisce anche reato, che il risarcimento del danno si prescrive in due anni quando sia intervenuta una sentenza irrevocabile nel procedimento penale, rientrando tra queste anche la sentenza emessa ai sensi degli artt. 444 e 445 cod. proc. pen. (c.d. patteggiamento), perché essa non ha, nel giudizio civile, l'efficacia di una sentenza di condanna, alla quale è invece applicabile, ex art. 2953 cod. civ., il termine di prescrizione di dieci anni.

Cass. civ. n. 21255/2013

Il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito inizia a decorrere non già dalla "data del fatto", inteso come fatto storico obiettivamente realizzato, bensì quando ricorrano presupposti di sufficiente certezza, in capo all'avente diritto, in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi del diritto azionato, sì che gli stessi possano ritenersi, dal medesimo, conosciuti o conoscibili. (In forza di tale principio, la S.C. ha ritenuto che la prescrizione del diritto al risarcimento del danno da lesione della libertà negoziale - conseguente alla stipulazione di un contratto di transazione a condizioni economiche deteriori, per la parte vittima di reato di corruzione in atti giudiziari - fosse decorsa non dal momento della consumazione del reato, ma da quello della notifica, alla stessa, della richiesta di rinvio a giudizio degli imputati).

Cass. civ. n. 15795/2013

L'illegittima trascrizione di un atto nei registri immobiliari costituisce un illecito di carattere permanente, con l'effetto che il diritto di reazione giuridica del soggetto da essa pregiudicato non è suscettibile di prescrizione finché tale trascrizione è in atto.

Cass. civ. n. 13201/2013

La mera protrazione degli effetti negativi derivanti da una condotta illecita integra un illecito istantaneo ad effetti permanenti e non già un illecito permanente, per il quale soltanto è configurabile un diritto al risarcimento che sorge in modo continuo e che in modo continuo si prescrive, se non esercitato entro cinque anni dal momento in cui si produce. (Fattispecie in tema di diritto al risarcimento del danno derivante dal mancato conseguimento della disponibilità di un fondo, in ragione della conclusione di un contratto in frode alla legge da parte degli autori dell'illecito).

Cass. civ. n. 11775/2013

L'art. 2947, terzo comma, seconda parte, c.c., il quale, in ipotesi di fatto dannoso considerato dalla legge come reato, stabilisce che, se il reato è estinto per causa diversa dalla prescrizione, od è intervenuta sentenza irrevocabile nel giudizio penale, il diritto al risarcimento si prescrive nei termini indicati dai primi due commi (cinque anni e due anni) con decorso dalla data di estinzione del reato o dalla data in cui la sentenza è divenuta irrevocabile, si riferisce, alla stregua della sua formulazione letterale e collocazione nel complessivo contesto di detto terzo comma, nonché della finalità di tutelare l'affidamento del danneggiato circa la conservazione dell'azione civile negli stessi termini utili per l'esercizio della pretesa punitiva dello Stato, alla sola ipotesi in cui per il reato sia stabilita una prescrizione più lunga di quella del diritto al risarcimento. Pertanto, qualora la prescrizione del reato sia uguale o più breve di quella fissata per il diritto al risarcimento, resta inoperante la norma indicata, ed il diritto medesimo è soggetto alla prescrizione fissata dai primi due commi dell'art. 2947 c.c., con decorrenza dal giorno del fatto.

Cass. civ. n. 11119/2013

Il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito inizia a decorrere non dal momento in cui il fatto del terzo determina la modificazione che produce danno all'altrui diritto, ma dal momento in cui la produzione del danno si manifesta all'esterno, divenendo oggettivamente percepibile e riconoscibile. (Nel caso di specie, effettuato il pagamento di un'obbligazione contrattuale mediante assegno circolare, emesso da un istituto di credito senza apporre la clausola di non trasferibilità e risultato, successivamente, trafugato ed oggetto di versamento presso altro istituto di credito, il quale, all'atto della negoziazione, aveva omesso di rilevare l'invalidità di una delle girate, si è ritenuto che, ai fini della decorrenza del diritto al risarcimento del danno fatto valere dal primo istituto di credito nei confronti del secondo, non assumesse rilievo la data della - ritenuta illecita - negoziazione del titolo, atteso che in quel momento sussisteva semplicemente una potenzialità di danno nei riguardi del primo istituto, potenzialità concretizzatasi soltanto quando il richiedente l'assegno circolare ebbe a chiedere all'emittente il pagamento della somma portata dall'assegno).

Cass. civ. n. 8426/2013

L'applicazione del termine prescrizionale ex art. 2947, terzo comma, c.c. postula, in ipotesi di azione di responsabilità contro amministratori e sindaci di una società, che l'istante alleghi specificamente l'attribuzione di fatti integranti illecito penale in capo ai convenuti con riferimento alle diverse mansioni da essi svolte, ai differenti periodi dei rispettivi incarichi ed a loro precise condotte od omissioni, a tal fine rivelandosi insufficiente la mera allegazione che i fatti addotti a fondamento della domanda risarcitoria risalgono al tempo in cui gli stessi ricoprivano cariche sociali.

Cass. civ. n. 8348/2013

Il diritto al risarcimento del danno prodotto dalla circolazione dei veicoli e derivante da fatto illecito considerato dalla legge come reato, nel caso di costituzione di parte civile nel processo penale e di estinzione del reato per morte del reo, si prescrive, ai sensi dell'art. 2947, terzo comma, c.c., nel termine di due anni, decorrente non dalla verificazione dell'evento, ma dalla data in cui è divenuta irrevocabile la sentenza dichiarativa della causa di non punibilità, riponendo il danneggiato fino a tale momento, come in ogni altra ipotesi di estinzione del reato, un legittimo affidamento sul permanere dell'effetto interruttivo-sospensivo della prescrizione conseguente all'esercizio dell'azione civile, anche in funzione dell'esigenza di bilanciamento della brevità del termine biennale col diritto fondamentale della vittima del reato all'accesso alla giustizia.

Cass. civ. n. 7139/2013

In materia di diritto al risarcimento del danno da illecito extracontrattuale, in presenza di illecito che determini, dopo un primo evento lesivo, ulteriori conseguenze pregiudizievoli, il termine di prescrizione dell'azione risarcitoria per il danno inerente ad esse decorre dal loro verificarsi, purché sia ravvisabile una lesione nuova ed autonoma rispetto a quella manifestatasi con l'esaurimento della condotta del responsabile, come nel caso in cui si passi dall'indebolimento permanente di un senso o di un organo alla sua perdita, atteso che l'ulteriore manifestazione dell'evento lesivo, in parte rimasto latente, andando oltre la minore gravità, che poteva fondare - rendendola incolpevole - l'inattività del danneggiato rispetto all'esercizio del diritto, supera la qualificazione come aggravamento e sviluppo della malattia, integrando un fatto nuovo nella percezione del soggetto che deve decidere se esercitare il diritto al risarcimento. (Nel caso di specie, la S.C. ha ritenuto che il fatto lesivo della perforazione di un occhio, manifestatosi inizialmente con sdoppiamento dell'immagine e riduzione del "visus" correggibile con l'uso di lenti, evoluto successivamente in strabismo, si traduceva, poi, in ulteriore riduzione del "visus" non più migliorabile con lenti, fino alla definitiva perdita dello stesso, integrando così il passaggio dall'indebolimento permanente di un senso alla sua perdita, e, quindi, una lesione nuova idonea ad escludere la prescrizione del diritto al risarcimento).

Cass. civ. n. 17142/2012

Il diritto al risarcimento del danno derivante da un fatto illecito che costituisca anche reato si prescrive nel termine di prescrizione del reato solo se per il reato è stabilita una prescrizione più lunga, mentre, in caso contrario, troverà applicazione il termine di prescrizione del diritto al risarcimento.

Cass. civ. n. 13407/2012

Nell'ipotesi di illecito civile costituente reato, qualora, ai sensi dell'art. 2947, terzo comma, c.c., occorra fare riferimento al termine di prescrizione stabilito per il reato e questo sia stato modificato dal legislatore rispetto al termine previsto al momento della consumazione dell'illecito, deve applicarsi il termine di prescrizione del momento di consumazione del reato, valendo il principio di irretroattività della norma e non rilevando, agli effetti civilistici, il principio della norma più favorevole. (Fattispecie relativa al delitto di lesioni colpose da circolazione stradale, la cui prescrizione, quinquennale alla data del fatto, era divenuta sessennale al momento del giudizio).

Cass. civ. n. 5504/2012

In tema di risarcimento del danno contrattuale, al fine di determinare il "dies a quo" di decorrenza della prescrizione occorre verificare il momento in cui si sia prodotto, nella sfera patrimoniale del creditore, il pregiudizio causato dal colpevole inadempimento del debitore.

Cass. civ. n. 1263/2012

In tema di risarcimento del danno da fatto illecito, il "dies a quo" dal quale la prescrizione comincia a decorrere va individuato nel momento in cui il soggetto danneggiato abbia avuto - o avrebbe dovuto avere, usando l'ordinaria diligenza - sufficiente conoscenza della rapportabilità causale del danno lamentato.

Cass. civ. n. 28048/2011

In tema di illeciti amministrativi, nell'ipotesi in cui lo stesso fatto illecito sia preso in considerazione sia da una disposizione che contempla una sanzione amministrativa (come quella risultante dagli artt. 2 e 3 della legge 23 dicembre 1986, n. 898), sia da una disposizione penale (come quella riconducibile all'indebito conseguimento di aiuti comunitari), trova luogo la disciplina stabilita dall'art. 9 della legge 24 novembre 1981, n. 689 e, segnatamente, il principio di specialità, in virtù del quale deve farsi applicazione della norma speciale, in base alla quale - attraverso il richiamo (operato ex art. 4 della legge n. 898 del 1986) alle regole contenute nella legge 24 novembre 1981, n. 689 e all'art. 28, in particolare - l'illecito amministrativo resta assoggettato al termine prescrizionale suo proprio, ossia a quello quinquennale (decorrente dal giorno in cui è stata commessa la violazione) e non a quello stabilito nell'art. 2947 c.c., dettato in materia di prescrizione del diritto al risarcimento del danno, allorché il fatto costituisce reato.

Cass. civ. n. 23763/2011

In tema di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito, nel caso di illecito istantaneo, caratterizzato da un'azione che si esaurisce in un lasso di tempo definito, lasciando permanere i suoi effetti, la prescrizione incomincia a decorrere con la prima manifestazione del danno, mentre, nel caso di illecito permanente, protraendosi la verificazione dell'evento in ogni momento della durata del danno e della condotta che lo produce, la prescrizione ricomincia a decorrere ogni giorno successivo a quello in cui il danno si è manifestato per la prima volta, fino alla cessazione della predetta condotta dannosa, sicché il diritto al risarcimento sorge in modo continuo via via che il danno si produce, ed in modo continuo si prescrive se non esercitato entro cinque anni dal momento in cui si verifica. (Principio enunciato ai sensi dell'art. 360 bis, primo comma, n. 1, c.p.c.).

Cass. civ. n. 22402/2011

In tema di tutela aquiliana del credito, ove la lesione della pretesa creditoria (nella specie, da prestazione lavorativa del dipendente) derivi da un fatto per la cui imputabilità la legge preveda uno speciale criterio di imputazione - come nel caso dell'art. 2054, secondo comma, c.c. - quello stesso criterio trova applicazione anche nella causa promossa dal creditore nei confronti del responsabile del fatto illecito, non essendovi ragioni per limitarne l'applicabilità al solo caso della domanda proposta direttamente dalla vittima primaria, giacché il fatto genetico del danno è il medesimo anche per gli altri soggetti danneggiati. Ne consegue - nell'anzidetta fattispecie di lesione del credito derivante da sinistro stradale cui trovi applicazione l'art. 2054 c.c. - che il diritto al risarcimento del terzo titolare del diritto di credito è soggetto allo stesso termine di prescrizione (nella specie, due anni ex art. 2947, secondo comma, c.c.) ed alle stesse condizioni di proponibilità contemplate dalla legge per far valere i diritti derivanti dai danni da circolazione stradale (nella specie, richiesta ex art. 22 della legge n. 990 del 1969).

Cass. civ. n. 19741/2011

In tema di prescrizione del diritto al risarcimento del danno, ai fini dell'applicazione dell'art. 2947, terzo comma c.c., ove il fatto dannoso sia considerato dalla legge come reato, estinto per amnistia, il termine prescrizionale decorre dal provvedimento di clemenza e non dalla sentenza applicativa del beneficio; tuttavia, allorché vi sia stata costituzione di parte civile nel processo penale, avendo essa un effetto interruttivo permanente della prescrizione del diritto al risarcimento del danno per tutta la durata del processo penale, il termine di prescrizione decorre dalla data della sentenza di proscioglimento per amnistia, anzichè dal provvedimento di clemenza.

Cass. civ. n. 15995/2011

Ai fini del calcolo del più lungo termine di prescrizione stabilito per il reato coincidente con l'illecito civile, di cui all'art. 2947, terzo comma, c.c., va fatto riferimento non alla pena applicabile al reato contestato con la richiesta di rinvio a giudizio, ma a quella applicabile al più grave reato contestato a seguito di successiva modificazione dell'imputazione.

Cass. civ. n. 13616/2011

La prescrizione del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito decorre da quando il danneggiato, con l'uso dell'ordinaria diligenza, sia stato in grado di avere conoscenza dell'illecito, del danno e della derivazione causale dell'uno dall'altro; ne consegue che, nel caso di danno aquiliano derivante dall'illegittimo trattamento di dati personali, ove il documento contenente i dati indebitamente diffusi sia allegato agli atti di un procedimento penale, la prescrizione del diritto al risarcimento decorre dal momento in cui il preteso danneggiato ha legalmente la possibilità di attivarsi per conoscere gli atti di indagine.

Cass. civ. n. 3681/2011

La norma dell'art. 2054 c.c., pur applicandosi alla circolazione di tutti i veicoli senza distinzione di tipologia, non ha la funzione di garantire la circolazione anche in un contesto di esercitazioni a mezzo di veicoli militari compiute in zone riservate e chiuse al traffico di veicoli civili; ne consegue che, ove un appartenente alle Forze Armate sia stato investito da un mezzo militare in un campo interdetto alla circolazione civile, il termine di prescrizione dell'illecito non è quello biennale di cui all'art. 2947, secondo comma, c.c., ma è quello quinquennale previsto dal primo comma del medesimo art. 2947.

Cass. civ. n. 25126/2010

In tema di risarcimento del danno derivato dalla circolazione stradale, qualora il fatto illecito sia considerato dalla legge come reato e questo sia estinto per una causa diversa dalla prescrizione (nella specie, per morte del reo), il termine di prescrizione è biennale, ai sensi dell'art. 2947 c.c., e decorre dalla data in cui il reato si è estinto (nella specie, dalla data della morte del reo) e non già da quella in cui l'estinzione è stata dichiarata o, a maggior ragione, da quella in cui il danneggiato ha avuto notizia della causa di estinzione.

Cass. civ. n. 13284/2010

Al diritto al risarcimento del danno conseguente a una malattia professionale contratta dal dipendente nell'espletamento del lavoro in conseguenza del comportamento colposo del datore di lavoro si applica, ai sensi dell'art. 2947, terzo comma, c.c., il termine prescrizionale previsto per il reato di lesioni colpose, non potendo trovare applicazione un diverso e più lungo termine prescrizionale per effetto del collegamento della condotta datoriale con altra fattispecie, qualificabile come omicidio colposo, conseguente all'adibizione di altro lavoratore al medesimo ambiente lavorativo nocivo, non essendo l'istituto della continuazione applicabile in riferimento ai reati colposi.

Cass. civ. n. 14644/2009

Il termine di prescrizione applicabile al diritto al risarcimento del danno, derivato da un fatto astrattamente previsto dalla legge come reato, è sempre quello previsto dall'art. 2947 c.c., a nulla rilevando che l'azione penale sia o meno procedibile. Deve pertanto applicarsi il suddetto maggior termine, in luogo di quello ordinario di cui ai primi due commi dell'art. 2947 c.c., anche nel caso di illecito penale commesso da militari statunitensi di stanza in Italia, e come tale sottratto alla giurisdizione italiana ai sensi dell'art. 7 del Trattato di Londra del 19 giugno 1951, ratificato e reso esecutivo con la legge 30 novembre 1955, n. 1355.

Cass. civ. n. 4679/2009

In tema di condominio, la prescrizione della domanda di risarcimento danni per erronea ripartizione degli oneri condominiali può dirsi maturata solo per quelli anteriori di oltre cinque anni alla data di proposizione della domanda, mentre detti danni continuano a maturare in relazione ai successivi bilanci condominiali; quanto, invece, all'azione risarcitoria per violazione delle norme urbanistiche ed edilizie, trattandosi di illecito permanente, il danno ha natura permanente, sicché il diritto al risarcimento può essere esercitato in ogni istante ed il relativo termine di prescrizione decorre di giorno in giorno.

Cass. civ. n. 1346/2009

Qualora per un atto illecito, astrattamente configurabile come reato, sia intervenuto in sede penale decreto di archiviazione non ne consegue l'applicazione, nel successivo giudizio civile, del termine di prescrizione previsto dal comma terzo dell'art. 2947 cod. civ. Il decreto di archiviazione, infatti, non può essere equiparato ad una sentenza irrevocabile, perché a differenza di quest'ultima presuppone la mancanza di un processo, non determina preclusioni di nessun genere né ha gli effetti caratteristici della cosa giudicata. Ne deriva che spetta al giudice civile stabilire, con piena libertà di giudizio, se nei fatti emersi, e legittimamente ricostruiti anche in modo difforme dall'avviso del giudice penale, siano ravvisabili gli estremi di un fatto illecito, sia per quanto concerne l'individuazione del termine di prescrizione, sia per quanto concerne tutti gli altri effetti che ne possono conseguire sul piano del diritto civile. (In applicazione dell'enunciato principio, la S.C. ha cassato la sentenza del giudice di appello che, equiparando un decreto di archiviazione ad una sentenza irrevocabile, aveva ritenuto, in tema di causa attinente a sinistro derivante da circolazione stradale, applicabile il termine di prescrizione breve biennale "ex" art. 2947, comma terzo, cod. civ., decorrente dalla data di pronunzia del decreto di archiviazione).

Cass. civ. n. 27337/2008

Qualora l'illecito civile sia considerato dalla legge come reato, ma il giudizio penale non sia stato promosso, anche per difetto di querela, all'azione risarcitoria si applica l'eventuale più lunga prescrizione prevista per il reato (art. 2947. terzo comma, prima parte, c.c.) perché il giudice, in sede civile, accerti incidenter tantum e con gli strumenti probatori ed i criteri propri del procedimento civile, la sussistenza di una fattispecie che integri gli estremi di un fattoreato in tutti i suoi elementi costitutivi, soggettivi ed oggettivi. Detto termine decorre dalla data del fatto, da intendersi riferito al momento in cui il soggetto danneggiato abbia avuto o avrebbe dovuto avere, usando l'ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche sufficiente conoscenza della rapportabilità causale del danno lamentato.

Cass. civ. n. 25014/2008

In tema di assicurazione contro gli infortuni comprensiva dell'evento morte, quando il pagamento dell'indennizzo al beneficiario presupponga l'accertamento di fatti (nella specie, le cause della morte ) già all'esame del giudice penale, è facoltà delle parti procrastinare consensualmente l'esigibilità del diritto all'indennizzo sino alla definizione del processo penale, con la conseguenza che prima di tale momento non decorre la prescrizione del suddetto diritto.

Cass. civ. n. 20437/2008

L'art. 2947 cod. civ., quando fa coincidere il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno con il termine prescrizionale stabilito dalla legge penale, si riferisce, senza alcuna discriminazione, a tutti i possibili soggetti della pretesa risarcitoria e si applica, quindi, non solo all'azione civile esperibile contro la persona penalmente imputabile, ma anche all'azione civile contro coloro che sono tenuti al risarcimento a titolo di responsabilità indiretta o secondaria ancorché siano rimasti estranei al processo penale a carico di colui al quale il reato è stato attribuito.

Cass. civ. n. 872/2008

L'art. 2947 c.c. va interpretato nel senso che, qualora il fatto illecito generatore del danno sia considerato dalla legge come reato, se quest'ultimo si estingue per prescrizione, si estingue pure l'azione civile di risarcimento, data l'equiparazione tra le due, a meno che il danneggiato, costituendosi P.C. nel processo penale, non interrompa la prescrizione ai sensi dell'art. 2943 c.c. e tale effetto interruttivo, che si ricollega all'esercizio dell'azione civile nel processo penale, ha carattere permanente protraendosi per tutta la durata del processo; in caso di estinzione del reato per prescrizione, detto effetto cessa alla data in cui diventa irrevocabile la sentenza che dichiara l'estinzione, tranne che la P.C. abbia revocato la costituzione o non abbia, comunque, coltivato la pretesa, venendo in tal caso meno la volontà di esercitare il diritto che è alla base dell'effetto interruttivo.

Cass. civ. n. 580/2008

In materia di diritto al risarcimento del danno da illecito extracontrattuale, qualora si tratti di un illecito che, dopo un primo evento lesivo, determina ulteriori conseguenze pregiudizievoli, il termine di prescrizione dell'azione risarcitoria per il danno inerente a tali ulteriori conseguenze decorre dal verificarsi delle medesime solo se queste ultime non costituiscono un mero sviluppo ed un aggravamento del danno già insorto, bensì la manifestazione di una lesione nuova ed autonoma rispetto a quella manifestatasi con l'esaurimento dell'azione del responsabile. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che in relazione ad azione risarcitoria proposta per contagio da virus dell'epatite C conseguente ad emotrasfusione con sangue infetto aveva fatto decorrere il termine di prescrizione dalla data della richiesta di indennizzo di cui alla legge n. 210 del 1992, senza attribuire rilievo ai successivi peggioramenti della malattia ).

Cass. civ. n. 27183/2007

Agli effetti del risarcimento del danno da illecito permanente (quale deve ritenersi l'abusiva captazione di acque pubbliche). la permanenza va accertata non già in riferimento al danno, bensì al rapporto eziologico tra il comportamento contra ius dell'agente, qualificato dal dolo o dalla colpa, e il danno. Pertanto, la successione di un soggetto ad un altro in un rapporto, comportando il termine di una condotta e l'inizio di un'altra, determina la cessazione della permanenza e l'inizio del decorso del termine di prescrizione del diritto al risarcimento nei suoi confronti, in quanto ha fine la condotta volontaria del soggetto che sia in grado di far cessare lo stato continuativo dannoso da lui posto in essere. Ne deriva che la responsabilità della cassa per il mezzogiorno, ente finanziatore e costruttore di impianto di acquedotto che capta acque pubbliche in assenza di concessione di derivazione, nonché iniziale fruitore della derivazione, cessa al momento del trasferimento operato per legge a favore della Regione dall'art. 148 D.P.R. 6 marzo 1978 n. 218 (testo unico delle leggi sugli interventi nel mezzogiorno), per cui è da tale momento che decorre la prescrizione del diritto risarcitorio.

Cass. civ. n. 22883/2007

In tema di prescrizione del risarcimento del danno prodotto dalla circolazione dei veicoli, l'applicazione della seconda parte del terzo comma dell'art. 2947 c.c. - ai sensi della quale il termine breve di prescrizione di due anni decorre dalla data in cui la sentenza penale è divenuta irrevocabile - esige che deve trattarsi non di qualsivoglia sentenza penale ma solo di sentenze che non dichiarano l'estinzione del reato per prescrizione e, cioè, di sentenze di condanna nonché di assoluzione per motivi diversi dalla predetta estinzione; peraltro, poiché a norma dell'art. 648, comma primo, c.p.p., sono irrevocabili le sentenze pronunciate in giudizio contro le quali non è ammessa impugnazione diversa dalla revisione, l'irrevocabilità di una sentenza penale non dipende dal suo contenuto, ma discende solo dal fatto che essa sia stata pronunziata in giudizio e non sia impugnabile, per cui la qualità della irrevocabilità delle sentenze penali investe sia quelle di condanna che di proscioglimento (art. 529 c.p.p., sentenze di proscioglimento, e art. 530 c.p.p., sentenze di assoluzione).

Cass. civ. n. 10827/2007

In tema di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore, si prescrive in dieci anni, secondo il disposto dell'articolo 2946 c.c., l'azione di regresso che, ai sensi dell'articolo 20 della legge 24 dicembre 1969 n. 990, (applicabile ratione temporis) l'impresa designata esercita nei con fronti del danneggiante in virtù dell'articolo 29 della medesima legge per il recupero dell'indennità corrisposta al danneggiato. Infatti, l'obbligo di solidarietà che l'impresa designata assolve, soccorrendo la vittima della circolazione, non deriva dal fatto illecito, ma dalla imputazione ad un soggetto solidale ex lege dell'obbligo risarcitorio, e tale particolare fattispecie di solidarietà sfugge alle ragioni della prescrizione breve, che è di stretta interpretazione.

Cass. civ. n. 9524/2007

In tema di prescrizione «breve» del diritto al risarcimento del danno, ancorché il dato testuale non faccia espressamente riferimento alla «scoperta» di esso, in tutti i casi in cui la manifestazione del danno non sia immediata ed evidente e possa apparire dubbia la sua ricollegabilità eziologica all'azione di un terzo, il momento iniziale dell'azione risarcitoria va ricollegato al momento in cui il danneggiato ha avuto la reale e concreta percezione dell'esistenza e della gravità del danno stesso, nonché della sua addebitabilità ad un determinato soggetto, ovvero dal momento in cui avrebbe potuto pervenire a una siffatta percezione usando la normale diligenza. (Nella specie, il danneggiato, pur soffrendo di lievi disturbi fisici fin da epoca relativamente prossima al fatto, solo in un tempo successivo, ed a seguito di ulteriori ricoveri ed accertamenti, aveva potuto attribuire la causa anche ai sanitari che avevano proceduto alle diagnosi iniziali).

Cass. civ. n. 3762/2007

In tema di prescrizione del risarcimento del danno prodotto dalla circolazione dei veicoli, dal disposto del terzo comma dell'art. 2947 c.c. emerge, per l'ipotesi in cui il fatto costituisce anche reato, che quando il reato si estingue per prescrizione, non si applica il termine biennale, ma quello eventualmente più lungo previsto per la prescrizione del reato, al fine di evitare che il reo condannato in sede penale resti esente dall'obbligo di risarcimento verso la vittima, beneficiando del più breve termine di prescrizione in sede civile. Quando, tuttavia, il reato si estingue per una ragione diversa dalla prescrizione, viene meno la predetta ragione e si applica il termine civilistico, ma il dies a quo è il momento nel quale si è estinto il reato stesso, ovvero è divenuta irrevocabile la sentenza che ha definito il procedimento penale con una pronuncia diversa da quella della prescrizione e che non pregiudichi l'azione risarcitoria del danno, rientrando tra queste anche la sentenza emessa ai sensi degli artt. 444 e 445 c.p.p.

Cass. civ. n. 15357/2006

In tema di prescrizione, con riferimento all'assicurazione obbligatoria della responsabilità civile per la circolazione dei veicoli, il regresso dell'impresa designata, previsto dall'articolo 29, primo comma. della legge 24 dicembre 1969 n. 990 nei confronti del responsabile del sinistro per il recupero dell'indennizzo pagato nei casi contemplati dall'articolo 19, primo comma, lett. a) e b), della stessa legge, è riconducibile nell'ambito della surrogazione legale di cui all'articolo 1203 n. 5 c.c., in quanto si traduce nell'attribuzione del medesimo diritto del danneggiato risarcito, cui subentra l'impresa nella medesima posizione sostanziale e processuale. Pertanto, il diritto dell'impresa è soggetto alla prescrizione biennale con decorrenza dall'esecuzione del pagamento al danneggiato.

Cass. civ. n. 13272/2006

Ai sensi dell'art. 2947, commi primo, secondo e terzo, c.c., il diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito si prescrive in cinque anni, ovvero in due se il danno è prodotto dalla circolazione dei veicoli di ogni specie, ovvero, quando il fatto è considerato dalla legge come reato e per questo è stabilita una prescrizione più lunga, nel momento in cui il reato si estingue per prescrizione. Peraltro, ai fini del computo della prescrizione penale, occorre avere riguardo al reato contestato nel capo d'imputazione, dacché qualunque diminuzione della pena per effetto di determinazioni operate dal giudice nel corso del procedimento - come i applicazione di circostanze attenuanti ovvero il mutamento del titolo del reato - non importa, trattandosi di situazione non prevedibile del danneggiato, l'estensione della più breve prescrizione del reato come definitivamente ritenuto nella sentenza al diritto al risarcimento del danno.

Cass. civ. n. 5441/2006

Il diritto dell'assicuratore che si surroga nei diritti del proprio assicurato verso il terzo responsabile del danno dal predetto assicurato subito per effetto di un sinistro derivante dalla circolazione stradale, in relazione al quale l'assicuratore ha pagato l'indennità, si prescrive, come quello del danneggiato, non più nel termine biennale a norma dell'art. 2947 secondo comma c.c. bensì ai sensi dell'art. 2953 c.c. nel termine di dieci anni ove, nei confronti del detto responsabile sia stata pronunciata (anche dal giudice penale) sentenza di condanna generica al risarcimento del danno passata in giudicato, la cui data ne segna la decorrenza.

Cass. civ. n. 2521/2006

In tema di risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli, nel caso in cui l'illecito civile sia considerato dalla legge come reato e sia perseguibile a querela, ove la querela non sia stata proposta, trova applicazione, ancorché per il reato sia stabilita una prescrizione più lunga di quella civile, la prescrizione biennale di cui al secondo comma dell'art. 2947 c.c., decorrente dalla scadenza del termine utile per la presentazione della querela.

Cass. civ. n. 27713/2005

In tema di obbligazioni solidali derivanti da atti illeciti, qualora solo il fatto di uno dei coobbligati costituisca anche reato, mentre quelli degli altri costituiscono unicamente illecito civile, la possibilità di invocare utilmente il più lungo termine di prescrizione stabilito dall'ultimo comma dell'art. 2947 c.c., per le azioni di risarcimento del danno se il fatto è previsto dalla legge come reato, è limitata alla sola obbligazione del primo dei predetti debitori (quella collegata ad un reato ).

Cass. civ. n. 21500/2005

Il termine di prescrizione del diritto al risarcimento danni da fatto illecito inizia a decorrere dal verificarsi del fatto causativo del danno, a meno che non si tratti di ulteriori conseguenze dannose che non siano un semplice sviluppo o aggravamento del danno già insorto, ed a meno che non si tratti di illecito permanente. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva ritenuto prescritto il diritto di un preside ad agire per il risarcimento dei danni conseguenti all'esser stato illegittimamente collocato d'ufficio in aspettativa per inidoneità a svolgere le proprie mansioni, individuando la decorrenza iniziale del termine di prescrizione nel momento di collocazione in aspettativa, non incidendo sul momento consumativo dell'illecito la protrazione nel tempo del discredito professionale subito dall'insegnante a causa del collocamento in aspettativa).

Cass. civ. n. 23979/2004

In tema di illeciti amministrativi, nell'ipotesi in cui lo stesso fatto illecito sia preso in considerazione sia da una disposizione che contempla una sanzione amministrativa (nella specie: gli artt. 2 e 3 della legge n. 898 del 1986), sia da una disposizione penale (nella specie: per il conseguimento indebito di aiuti comunitari per la campagna olearia degli anni 1986/1987), trova luogo, in generale, la disciplina stabilita dall'art. 9 della legge n. 689 del 1981, ed in particolare il principio di specialità, in base al quale deve farsi applicazione della norma speciale, in base alla quale — attraverso il richiamo (operato ex art. 4 della la legge n. 898 del 1981) alle regole contenute nella legge n. 689 del 1981 e all'art. 28, in particolare — l'illecito amministrativo resta assoggettato al termine prescrizionale suo proprio, ossia a quello quinquennale (decorrente dal giorno in cui è stata commessa la violazione) e non a quello stabilito nell'art. 2947 c.c., dettato in materia di prescrizione del diritto al risarcimento del danno, allorché il fatto costituisce reato. (In applicazione di tale principio, la Corte di cassazione ha respinto il ricorso dell'Amministrazione che chiedeva la cassazione della sentenza di merito che aveva ritenuto prescritta la violazione per il decorso del termine quinquennale).

Cass. civ. n. 18169/2004

In tema di prescrizione dell'azione di risarcimento dei danni, l'applicazione del più favorevole termine di prescrizione previsto per il resto, ai sensi dell'art. 2947, terzo comma, c.c., se non richiede una sentenza penale di condanna, postula almeno l'accertamento del fatto reato. In particolare, in relazione all'azione di rescissione per lesione, è insufficiente, ai fini dell'applicazione del disposto del citato art. 2947, terzo comma, c.c., l'allegazione in sede civile di elementi di fatto penalmente rilevanti ma strutturalmente estranei al binomio petitum-causa petendi. (Enunciando il principio di cui in massima, la S.C. ha escluso che, nel caso al suo esame, il termine di prescrizione applicabile fosse quello di cui all'art. 2947, terzo comma, c.c. anziché quello di un anno dalla conclusione del contratto ex art. 1449 c.c., e ciò sia perché in sede penale era stata negata — con efficacia di giudicato rispetto alla parte civile, ricorrente in cassazione — qualsiasi responsabilità della controparte, sia perché l'attore aveva posto a fondamento dell'azione di rescissione per lesione uno stato di bisogno, del quale rilevava la sussistenza indipendentemente dalla causa che l'aveva determinato).

L'art. 2947 c.c. — a termini del quale se il fatto è considerato dalla legge come reato e per il reato è stabilita una prescrizione più lunga, questa si applica anche all'azione civile — si riferisce, salvo il richiamo operato dall'art. 1449 c.c. in tema di rescissione, soltanto alle azioni di danno; esso pertanto non è applicabile all'azione di annullamento del contratto, neppure quando il vizio del consenso dipenda da un fatto concretante un'ipotesi di reato.

Cass. civ. n. 5563/2004

Le prescrizioni brevi, (che sono alternative alla prescrizione decennale ordinaria, pur avendo il medesimo fondamento dell'inerzia e del mero decorso del tempo, e comportano l'estinzione del credito senza possibilità di prova del mancato pagamento) e le prescrizioni presuntive, (che si fondano invece sulla presunzione di pagamento, secondo gli usi correnti, possono essere vinte dalla prova contraria e non sono incompatibili con l'ammissione del debitore di non avere estinto il debito ovvero la contestazione della sua esistenza) sono entrambe applicabili al rapporto di lavoro subordinato, salva la diversa decorrenza in funzione della stabilità o meno del rapporto stesso.

Cass. civ. n. 3865/2004

Se il fatto illecito per il quale si aziona il diritto al risarcimento del danno è considerato dalla legge come reato e per questo la legge stabilisce una prescrizione più lunga di quella di cinque anni prevista dall'art. 2947, primo comma c.c., (nella specie omicidio colposo prescrivibile in dieci anni ex artt. 589 e 157 c.p.), ai sensi del terzo comma, prima parte dello stesso articolo, quest'ultima si applica anche all'azione civile, indipendentemente dalla promozione o meno dell'azione penale, essendo il maggior termine di prescrizione correlato solo alla astratta previsione dell'illecito come reato e non alla condanna penale, che rileva solo ai fini dell'art. 2947, terzo comma, ultima parte del c.c.

Cass. civ. n. 3007/2004

Il principio per cui, nell'occupazione appropriativa, in mancanza di decreto di esproprio la proprietà del suolo accede alla proprietà dell'opera realizzata — qualora la realizzazione dell'opera (con la corrispondente irreversibile trasformazione del suolo) sia avvenuta nel corso dell'occupazione legittima — dallo scadere del termine di quest'ultima, postula, appunto, che l'occupazione prosegua legittimamente dopo l'irreversibile trasformazione; ipotesi che non si dà quando sia ormai scaduto il termine stabilito dalla dichiarazione di pubblica utilità, entro il quale soltanto il decreto di esproprio può essere legittimamente ed efficacemente emesso, ancorchè il termine stabilito dal decreto di occupazione d'urgenza sia più lungo (essendo tale maggior termine nullo, e dunque disapplicabile, per avere la precedente scadenza della dichiarazione di pubblica utilità già determinato la sopravvenuta carenza di potere ablatorio dell'autorità amministrativa). Ne deriva che in detta ipotesi il termine quinquennale di prescrizione dell'azione risarcitoria spettante al proprietario del suolo decorre dalla scadenza del termine stabilito dalla dichiarazione di pubblica utilità, e non di quello stabilito dal decreto di occupazione, perchè a tale scadenza si è perfezionata la vicenda ablativa ed è, corrispondentemente, sorto — e divenuto così esercitabile — il diritto al risarcimento.

Cass. civ. n. 17134/2003

In tema di prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito avente rilevanza penale, il più lungo termine di prescrizione del reato, che, ai sensi del terzo comma dell'art. 2947 c.c., si applica anche al diritto al risarcimento del danno, decorre, ove dal giudice penale sia stato emesso decreto di archiviazione, dalla data dell'illecito, potendo essere la data di tale provvedimento rilevante ai fini della decorrenza della prescrizione solo allorché il decreto di archiviazione, emesso dopo il compimento di una vera istruttoria, integri sostanzialmente una sentenza di proscioglimento.

Cass. civ. n. 10135/2003

Il diritto dell'assicurato per la responsabilità civile, nel quale l'assicuratore si è surrogato ai sensi dell'art. 1916 c.c., essendo diretto ad ottenere dai terzi corresponsabili dell'evento dannoso l'ammontare del danno corrispondente alla loro parte di responsabilità, e ricollegandosi quindi al regresso previsto dall'art. 2055 c.c., è diverso dal diritto del danneggiato ad essere risarcito, onde la prescrizione di esso non inizia a decorrere dal fatto illecito, secondo la regola posta dall'art. 2947, primo comma c.c., ma dalla proposizione della domanda del danneggiato nei suoi confronti, che è il presupposto perché ogni pretesa dell'assicurato verso il corresponsabile possa, sia pure astrattamente, configurarsi. Ne consegue che, prima di tale momento, non può decorrere neanche la prescrizione del diritto dell'assicuratore che si avvalga della surrogazione ex art. 1916 c.c. in tale diritto dell'assicurato.

Cass. civ. n. 2888/2003

In tema di diritto al risarcimento del danno prodotto dalla circolazione di veicoli, la disposizione del terzo comma dell'art. 2947 c.c., che prevede, ove il fatto che ha causato il danno sia considerato dalla legge come reato, l'applicabilità all'azione civile per il risarcimento, in luogo del termine biennale stabilito dal secondo comma dello stesso articolo, di quello eventualmente più lungo previsto per detto reato, è invocabile da qualunque soggetto che abbia subito un danno patrimoniale dal fatto considerato come reato dalla legge, e non solo dalla persona offesa dallo stesso. (Fattispecie relativa al danno consistito nelle spese mediche sostenute dai genitori di un minore che aveva riportato lesioni personali a causa di un incidente stradale).

Cass. civ. n. 17832/2002

In tema di prescrizione dell'azione risarcitoria ex art. 2043 c.c. ed in ipotesi di fatto lesivo suscettibile di produrre un progressivo aggravamento del danno originario, il termine di cui all'art. 2947 c.c. decorre dal momento in cui si manifesta l'iniziale danno nella sfera giuridica altrui. In tale caso, la parte che eccepisce la prescrizione ha l'onere di provare che gli specifici danni dedotti in giudizio si sono manifestati in epoca idonea a far ritenere fondata l'eccezione medesima e la relativa valutazione della prova concreta una mera quaestio fatti, come tale non censurabile in sede di legittimità.

Cass. civ. n. 14528/2002

In materia di prescrizione, l'art. 2947, terzo comma, c.c., nella parte in cui stabilisce che se il reato è estinto per causa diversa dalla prescrizione o è intervenuta sentenza irrevocabile nel giudizio penale il diritto al risarcimento del danno si prescrive nei termini indicati nei primi due commi con decorrenza dalla data di estinzione del reato o dalla data in cui la sentenza è divenuta irrevocabile, si riferisce a tutti i fatti illeciti penalmente qualificati ed ascritti all'imputato, ciascuno dei quali costituisce il fondamento di azione di risarcimento contro lo stesso, giacché nella struttura del fatto doloso o colposo considerato dall'art. 2043 c.c. come generatore dell'obbligazione è da intendersi contemplata non già la sola azione od omissione del responsabile, ma anche l'evento lesivo. Ne consegue che se gli eventi o le lesioni di interessi giuridicamente protetti sono plurimi — come frequentemente accade in caso di scontro tra veicoli in cui siano coinvolte più persone — il «fatto considerato dalla legge come reato» contemplato dal capoverso della norma in questione deve essere inteso non già come comprensivo della molteplicità degli eventi derivanti anche da un'unica condotta dello stesso soggetto bensì come riferito a ciascun illecito nella sua realtà ontologica, sicché per ciascun evento sorge un'autonoma azione di risarcimento con un distinto termine di prescrizione, e le cause interruttive o sospensive di tale termine riferite ad un «fatto-reato» non sono estensibili a «fatto-reato» diverso.

Cass. civ. n. 10414/2002

Qualora il giudice penale abbia erroneamente dichiarato estinto per amnistia un reato che già sia estinto ope legis per prescrizione, la pronuncia non è vincolante nel giudizio civile; pertanto, la prescrizione dell'azione di danni non decorre dalla data della sentenza dichiarativa dell'amnistia — quand'anche siano state applicate le attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti — ma, in base alla regola generale di cui all'art. 2947, primo comma c.c., dal giorno in cui si è verificato il fatto.

Cass. civ. n. 5121/2002

In tema di danni derivanti dalla circolazione dei veicoli, ove il fatto illecito integri gli estremi di un reato perseguibile a querela e quest'ultima non sia stata proposta, trova applicazione, ancorché per il reato sia stabilita una prescrizione più lunga di quella civile, la prescrizione biennale di cui al secondo comma dell'art. 2947 c.c., decorrente dalla scadenza del termine utile per la presentazione della querela medesima.

Cass. civ. n. 530/2002

Dal disposto del terzo comma dell'art. 2947 c.c. emerge, per l'ipotesi in cui il fatto causativo del credito costituisce anche reato, il regime giuridico secondo cui si applica il termine prescrizionale più lungo: quello della prescrizione penale se è di durata maggiore, per evitare di estinguere un reato entro un termine e le conseguenze civilistiche entro un altro. Quando, tuttavia, il reato si estingue per una ragione diversa dalla prescrizione, viene meno la predetta ragione e si applica il termine civilistico, omogeneo alla natura della controversia, ma il suo dies a quo, in considerazione della natura ontologica del fatto causativo (che resta, ad onta della estinzione, quella di reato), è il momento nel quale si è estinto il reato stesso, ovvero è divenuta irrevocabile la sentenza che lo ha accertato o ha pronunciato i suoi effetti.

Cass. civ. n. 12357/2001

In tema di prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito, la previsione dell'art. 2947 c.c. (secondo il quale, se il fatto è previsto dalla legge come reato, e per il reato stesso è prevista una prescrizione più lunga, questa si applica anche all'azione civile) si riferisce, senza alcuna discriminazione, a tutti i possibili soggetti passivi della pretesa risarcitoria, e si applica, pertanto, non solo all'azione civile esperibile contro la persona penalmente imputabile, ma anche all'azione civile diretta contro coloro che siano tenuti al risarcimento a titolo di responsabilità indiretta.

Cass. civ. n. 8399/2001

Ai fini dell'applicazione dell'art. 2947, terzo comma, c.c., il principio ex art. 183, primo comma, c.p. secondo cui, ove il fatto illecito generatore del danno sia considerato dalla legge come reato, la prescrizione biennale o quinquennale dell'azione civile risarcitoria decorre, in caso di estinzione del reato per amnistia, dal giorno di emanazione del provvedimento di clemenza e non da quello della pronuncia giudiziale meramente dichiarativa di applicazione del beneficio, trova deroga nell'ipotesi in cui l'applicazione del provvedimento di clemenza consegua ad una derubricazione dell'originaria imputazione, ovvero tutte le volte in cui l'originaria contestazione non consenta l'applicazione della causa di estinzione del reato (nella specie, amnistia), ma la possibilità di questa applicazione venga a profilarsi come conseguenza del riconoscimento di un'attenuante e del giudizio di equivalenza o di prevalenza di questa sull'aggravante contestata. Nelle suddette ipotesi solo dal momento in cui la sentenza è divenuta irrevocabile può ritenersi dichiarata, con effetto definitivo, l'estinzione, sicché è da tale data che decorre il termine di prescrizione ai sensi dell'art. 2947, terzo comma, c.c.

Cass. civ. n. 5693/2001

L'art. 2947 terzo comma, seconda parte, c.c., il quale, in ipotesi di fatto dannoso considerato dalla legge come reato, stabilisce che, se il reato è estinto per causa diversa dalla prescrizione, od è intervenuta sentenza irrevocabile nel giudizio penale, il diritto al risarcimento si prescrive nei termini indicati dai primi due commi (cinque anni e due anni) con decorso dalla data di estinzione del reato o dalla data in cui la sentenza è divenuta irrevocabile, si riferisce, alla stregua della sua formulazione letterale e collocazione nel complessivo contesto di detto terzo comma nonché della finalità perseguita di tutelare l'affidamento del danneggiato circa la conservazione dell'azione civile negli stessi termini utili per l'esercizio della pretesa punitiva dello stato, alla sola ipotesi in cui per il reato sia stabilita una prescrizione più lunga di quella del diritto al risarcimento. Pertanto, qualora la prescrizione del reato sia uguale o più breve di quella fissata per il diritto al risarcimento, resta inoperante la norma indicata, ed il diritto medesimo è soggetto alla prescrizione fissata dai primi due commi dell'art. 2947 c.c. con decorrenza dal giorno del fatto.

Cass. civ. n. 16009/2000

L'istantaneità o la permanenza del fatto illecito extracontrattuale deve essere accertata con riferimento non già al danno, bensì al rapporto eziologico tra questo ed il comportamento contra ius dell'agente, qualificato dal dolo o dalla colpa. Mentre nel fatto illecito istantaneo tale comportamento è mero elemento genetico dell'evento dannoso e si esaurisce con il verificarsi di esso, pur se l'esistenza di questo si protragga poi autonomamente (fatto illecito istantaneo ad effetti permanenti), nel fatto illecito permanente il comportamento contra ius a produrre l'evento dannoso, lo alimenta continuamente per tutto il tempo in cui questo perdura, avendosi cosa coesistenza dell'uno e dell'altro.

Cass. civ. n. 9927/2000

Il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito inizia a decorrere non dal momento in cui il fatto del terzo determina la modificazione che produce danno all'altrui diritto, ma dal momento in cui la produzione del danno si manifesta all'esterno, divenendo oggettivamente percepibile e riconoscibile.

Cass. civ. n. 493/1999

Perché possa configurarsi illecito permanente è necessario che la condotta venga posta in essere dalla medesima persona, e perciò che l'elemento soggettivo del fatto causale sia ontologicamente riferibile ad un unico soggetto, con la conseguenza che la successione di un soggetto ad un altro in un rapporto, comportando il termine di una condotta e l'inizio di un'altra, determina la cessazione della permanenza e l'inizio del decorso del termine di prescrizione del diritto al risarcimento, nonché, ove il successore, ponga in essere una nuova ed autonoma condotta illecita, l'insorgenza di un nuovo illecito permanente alla cui cessazione inizierà a decorrere un nuovo termine prescrizionale; peraltro, ove la situazione di danno o di pericolo in pregiudizio dello stesso soggetto, ancorché apparentemente unitaria con riferimento alla posizione del danneggiato, derivi materialmente da condotte autonome e distinte, di per sé stesse idonee e sufficienti a cagionare eventi dannosi o pericolosi ontologicamente separati, non insorge una situazione di condebito e non si fa luogo a solidarietà. (Nella specie, l'illecito permanente costituito dalla captazione di acque pubbliche senza titolo era stato inizialmente effettuato dalla Cassa per il Mezzogiorno in danno dell'A.C.E.A. e, in un secondo momento, dalla Regione Abruzzo cui la Cassa aveva trasferito le opere dell'acquedotto per il fabbisogno idrico della popolazione).

Cass. civ. n. 5874/1999

Quando uno stesso soggetto in dipendenza di un fatto-reato abbia riportato in pari tempo darmi alla persona ed alle cose, il più lungo termine prescrizionale previsto dalla legge per il reato si applica anche all'azione di risarcimento per il danno alle cose.

Cass. civ. n. 5821/1999

L'azione di risarcimento dei danni conseguenti alla circolazione dei convogli ferroviari è soggetta alla prescrizione biennale di cui all'art. 2947, secondo comma c.c.

Cass. civ. n. 5701/1999

La prescrizione del diritto al risarcimento del danno comincia a decorrere dal giorno in cui il danno si è verificato, e non da quello in cui è stato posto in essere l'atto illecito, salvo che l'evento dannoso non sia immediata conseguenza dell'illecito.

Cass. civ. n. 9910/1998

Nell'ipotesi di fatto illecito previsto come reato perseguibile a querela, qualora l'improcedibilità dell'azione penale non abbia formato oggetto di declaratoria del giudice, la prescrizione decorre dalla data del fatto.

Cass. civ. n. 9782/1998

In caso di fatto illecito che costituisca anche reato, per il quale sia stato pronunciato decreto di archiviazione (nel regime dell'abrogato codice di rito) per mancanza di querela, la prescrizione del diritto al risarcimento del danno comincia a decorrere dalla data del provvedimento di archiviazione, senza che invece rilevi la data del visto apposto dal Pubblico Ministero del decreto stesso.

Cass. civ. n. 6049/1998

Qualora il fatto illecito sia considerato dalla legge come reato e questo sia estinto per amnistia, il termine di prescrizione biennale di cui all'art. 2947, comma 3, decorre dalla data di entrata in vigore del decreto concessivo di amnistia e non dal provvedimento del giudice che la dichiara, ancorché trattasi di amnistia rinunciabile. Infatti la decorrenza del termine prescrizionale dalla data della sentenza di proscioglimento per amnistia, anziché da quella di entrata in vigore del decreto di clemenza si verifica solamente in due ipotesi: quando vi sia stata costituzione di parte civile nel processo penale, che ha effetto interruttivo permanente della prescrizione del diritto al risarcimento del danno per tutta la durata del processo penale, ovvero nel caso in cui l'applicazione dell'amnistia non sia automatica ma risultato di un apprezzamento di merito effettuato dal giudice penale.

Cass. civ. n. 4867/1998

Ai sensi dell'art. 2947 c.c. l'azione civile risarcitoria, se vi è stata sentenza penale, si prescrive nei termini indicati dai primi due commi dello stesso articolo, decorrenti dalla data in cui essa è divenuta irrevocabile, a prescindere dalla costituzione di parte civile del danneggiato.

Cass. civ. n. 1479/1997

In base al terzo comma dell'art. 2947 c.c., il diritto al risarcimento del danno da fatto illecito, che sia considerato dalla legge come reato, si prescrive nello stesso termine di prescrizione del reato se quest'ultimo si prescrive in un termine superiore ai cinque anni, mentre si prescrive in cinque anni se per il reato è stabilito un termine uguale o inferiore, nel qual caso il termine di prescrizione dell'azione civile decorre dalla data di consumazione del reato e non assumono rilievi eventuali cause di interruzione o sospensione della prescrizione relative al reato, essendo ontologicamente diversi l'illecito civile e quello penale. Tale disposizione va riferita sia al danno da fatto illecito contrattuale che extracontrattuale, purché sia considerato dalla legge come reato.

Cass. civ. n. 10805/1996

Mentre il diritto fondato su una sentenza di condanna (nella specie pagamento degli interessi legali moratori) si prescrive in dieci anni dal suo passaggio in giudicato, il diritto al risarcimento dei danni derivati dall'inadempimento ad essa (nella specie maggior danno ai sensi dell'art. 1224 secondo comma c.c.) matura giorno per giorno, così come la sua prescrizione, quinquennale ai sensi dell'art. 2947 primo comma c.c.; perciò esso è prescritto per i danni verificatisi nel quinquennio precedente al suo esercizio.

Cass. civ. n. 4740/1996

Ai fini della prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante dal reato il principio per cui si deve avere riguardo alla pena edittale prevista per il reato contestato senza tener conto della diminuzione di pena conseguente alla concessione di circostanze attenuanti generiche, non trova deroga in relazione al fatto che il danneggiato abbia conoscenza dell'applicazione delle suddette attenuanti, venendo meno in caso contrario la stessa ratio della parificazione dei termini di prescrizione del reato e del diritto al risarcimento, che risponde ad un'esigenza di tutela dell'affidamento del danneggiato nella conservazione di tale diritto perla prevedibile durata della pretesa punitiva dello Stato, secondo una valutazione preventiva svincolata dalle attenuanti generiche, la cui concessione, affidata al potere discrezionale e legata a parametri legislativamente indeterminati non può essere preventivamente prevista dal danneggiato.

Cass. civ. n. 1134/1995

Qualora in uno scontro fra due veicoli rimanga ferita una persona trasportata a bordo di uno di essi e deceda il conducente dello stesso veicolo, il diritto al risarcimento del danno vantato dal trasportato nei confronti degli eredi del defunto e del responsabile civile si prescrive in due anni dalla data dell'incidente perché, conseguendo l'estinzione del reato ipso iure al decesso del reo, è nella stessa data che deve ritenersi estinto il reato di lesioni colpose a costui ascrivibile e deve farsi decorrere, quindi, il termine di prescrizione, senza che possa influire l'azione penale nei confronti dell'altro conducente del pari coinvolto nell'incidente e rimasto in vita.

Cass. civ. n. 108/1993

L'art. 2947 c.c., assoggettando alla prescrizione di cinque anni il diritto al risarcimento del danno, derivante da fatto illecito, riguarda esclusivamente il fatto illecito previsto dagli artt. 2043 e seguenti c.c., che è fonte di responsabilità extracontrattuale, e non l'inadempimento di obbligazioni derivanti da contratto (nella specie, relative al pagamento delle provvigioni dovute all'agente e all'iscrizione del medesimo presso gli istituti previdenziali ed assicurativi) che è soggetto all'ordinaria prescrizione decennale.

Cass. civ. n. 4044/1992

Ai sensi dell'art. 2947 c.c., nel caso di fatto illecito considerato dalla legge come reato, ove di questo, con sentenza penale irrevocabile resa nel giudizio penale, sia stata dichiarata l'estinzione per prescrizione, il diritto al risarcimento del danno (non prodotto dalla circolazione dei veicoli) soggiace al termine di prescrizione quinquennale, che inizia a decorrere nuovamente dalla data in cui la sentenza predetta è divenuta irrevocabile.

Cass. civ. n. 5748/1988

L'azione di regresso, proposta da un coobbligato per ottenere dagli altri coobbligati il parziale rimborso delle somme pagate per danni prodotti dalla circolazione di veicoli, si prescrive con il decorso di dieci anni se già risulti giudizialmente accertata la responsabilità del coobbligato nella determinazione dell'evento dannoso, mentre nel caso inverso, quando cioè a tale accertamento non si è provveduto, l'azione è soggetta alla prescrizione breve di due anni stabilita dall'art. 2947 c.c.

Cass. civ. n. 2799/1988

Il passaggio in giudicato della sentenza, che, riconoscendo la pari responsabilità dei conducenti di due veicoli coinvolti in un incidente stradale, abbia accolto la domanda di risarcimento proposta dal terzo danneggiato nei confronti di uno solo di detti conducenti, condannando questo, in forza della previsione di solidarietà di cui al primo comma dell'art. 2055 c.c., a risarcire per l'intero il danno subito dal terzo, comporta che fazione della società assicuratrice del danneggiante condannato all'integrale risarcimento, volta a conseguire in via di regresso la metà di quanto erogato al danneggiato ai sensi della sentenza stessa, soggiace non alla prescrizione biennale prevista dal secondo comma dell'art. 2947 c.c., ma alla prescrizione decennale ai sensi dell'art. 2953 dello stesso codice.

Cass. civ. n. 8249/1987

Qualora in uno scontro tra due veicoli deceda il conducente a cui carico si configuri il delitto di lesioni colpose, il conseguente diritto al risarcimento del danno vantato dall'altro conducente, rimasto ferito, nei confronti degli eredi del defunto si prescrive in due anni dalla data della morte, conseguendo la estinzione del reato ipso iure al decesso del reo, indipendentemente dal provvedimento del giudice che la riconosca. Né incide su tale effetto estintivo, nel senso di escluderlo o di spostarne la data al momento della sua pronuncia, la sentenza con la quale sia stato assolto il conducente dell'altro veicolo, sottoposto a procedimento penale quale imputato di omicidio colposo, anche se in detta sentenza sia indicata la colpa del conducente deceduto in ordine al ferimento dell'altro.

Cass. civ. n. 5087/1987

Ai fini della decorrenza delle prescrizioni brevi in tema di risarcimento del danno da fatto illecito costituente reato, il terzo comma dell'art. 2947 c.c. prende in considerazione con riferimento alla ipotesi di fatto sottoposta all'esame del giudice penale, la data di estinzione del reato per causa diversa dalla prescrizione e quella della sentenza irrevocabile nel giudizio penale, nel cui novero sono comprese anche le pronunce intervenute in periodo istruttorio con formula di proscioglimento, ed a cui vanno equiparate anche quelle impropriamente emesse in forma di decreto di archiviazione, perché date in esito ad una vera istruttoria, con la conseguenza che qualora il provvedimento di archiviazione sia stato emesso ritualmente, ai sensi dell'art. 74 c.p.p., per essersi l'azione penale arrestata in limine, il termine di prescrizione dell'azione di risarcimento decorre dal giorno del fatto illecito e non dalla data del predetto decreto.

Cass. civ. n. 567/1984

La prescrizione breve biennale, prevista dall'art. 2947 secondo comma c.c. per il risarcimento del danno prodotto dalla circolazione dei veicoli, riguarda soltanto la responsabilità extracontrattuale per fatto illecito, e, pertanto, non trova applicazione nel diverso caso in cui il diritto al risarcimento di quel danno venga fatto valere in base ad un contratto ed in forza della dedotta inosservanza delle obbligazioni ad esso inerenti (nella specie, inosservanza da parte di un dipendente dell'obbligo di diligenza nell'espletamento di mansioni di autista), il quale resta soggetto al termine di prescrizione riguardante i diritti nascenti dal contratto stesso (nella specie, decennale).

Cass. civ. n. 80/1984

Qualora l'imputato, in relazione al medesimo accadimento, dei delitti di lesioni colpose in danno di alcuni soggetti e di omicidio colposo in danno di altri (in concorso formale tra loro) — prosciolto dal reato di lesioni per amnistia e condannato per omicidio colposo — proponga appello per conseguire l'assoluzione per non aver commesso il fatto, ne deriva che il giudizio di secondo grado legittimamente investe l'azione penale nell'originario contenuto, ivi compresa l'imputazione del delitto di lesione — anche in relazione al disposto dell'art. 514 c.p.p. — con la conseguenza della persistenza della costituzione di parte civile effettuata nei suoi confronti dai danneggiati di tale delitto, stante l'interesse degli stessi ad ostacolare la pronuncia assolutoria dell'imputato e che il termine di prescrizione del correlativo diritto al risarcimento dei danni resta interrotto sino al passaggio in giudicato della sentenza penale che pronunci su quell'appello.

Cass. civ. n. 2465/1981

In materia di risarcimento di danni dipendenti dalla circolazione stradale, qualora la sentenza penale divenuta irrevocabile abbia pronunciato anche condanna generica dell'imputato al risarcimento in favore del danneggiato, l'azione diretta alla liquidazione del quantum è soggetta non alla prescrizione biennale prevista dall'art. 2947 c.c., bensì a quella decennale prevista dall'art. 2953 dello stesso codice, in quanto detta pronuncia, pur mancando dell'attitudine all'esecuzione forzata, contiene tuttavia la statuizione della responsabilità del debitore, rispetto alla quale la successiva sentenza di liquidazione non ha altra funzione se non di determinare la prestazione sostitutiva dovuta per riparare al pregiudizio economico subito dal danneggiato.

Cass. civ. n. 575/1981

La ricorrenza di un fatto illecito a carattere permanente, non istantaneo, anche al fine del decorso della prescrizione del credito risarcitorio del danneggiato, anziché dal momento del manifestarsi del danno, da quello dell’esaurirsi della permanenza stessa, postula non soltanto il protrarsi della situazione lesiva del diritto altrui, ma anche il protrarsi della condotta volontaria che determina tale situazione lesiva, nel senso che quest’ultima viene a cessare con la cessazione di detta condotta. Pertanto al fine indicato, deve affermarsi il carattere istantaneo e non permanente del fatto illecito consistente nell’abusiva occupazione di una stradella altrui mediante costruzione di edificio, tenuto conto che esso implica una lesione del diritto dei terzi che può venir meno non con la semplice cessazione del comportamento dell’attore, ma solo per effetto di una nuova e diversa azione, rivolta al ripristino del pregresso stato dei luoghi.

Cass. civ. n. 2855/1973

Nel fatto illecito istantaneo la condotta dell'agente si esaurisce prima o nel momento stesso della produzione del danno, mentre in quello permanente essa perdura oltre tale momento e continua a cagionare danno per tutto il corso della sua durata, onde si ha un rapporto di conseguenzialità immediata e diretta fra la durata della condotta e quella della produzione del danno, fino alla cessazione della condotta stessa. Pertanto, nella prima ipotesi la prescrizione incomincia a decorrere con la prima manifestazione del danno (ed è indifferente che questo si protragga nel tempo osi aggravi o sia seguito da un ulteriore danno autonomo); nella seconda, invece, protraendosi la verificazione dell'evento in ogni momento della durata del danno e della condotta che lo produce, la prescrizione ricomincia a decorrere ogni giorno successivo a quello in cui il danno si è manifestato per la prima volta, fino alla cessazione della predetta condotta dannosa.

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relative all'articolo 2947 Codice Civile

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ALVARO V. chiede
venerdì 18/08/2023
“Buongiorno. 11 luglio u.s. ho inviato l'ultima PEC alla Direzione dell'Ospedale omissis chiedendo ragguagli su ciò che definisco e ho contestato come malasanità. Ho inviato copia della PEC alla Direzione ATS della città metropolitana di Milano. La mia domanda è quanto tempo ha l'Ospedale per rispondermi nel merito e/o altre eventuali chiarimenti. Grazie e saluti.”
Consulenza legale i 04/09/2023
Si nota che le comunicazioni in discorso sono state inviate a una struttura ospedaliera privata e hanno ad oggetto una contestazione di un episodio di malasanità risalente ad alcuni anni fa.
Non sembra, quindi, che possano essere in qualche modo richiamati i principi della Legge sul procedimento amministrativo in materia di accesso e della necessità di fornire risposta espressa alle istanze dei cittadini da parte della Pubblica Amministrazione. Vero è che la PEC era diretta anche all’ATS, ma presumibilmente solo per conoscenza e senza rivolgere richieste specifiche a tale Ente, che comunque non pare avere particolari prerogative di intervento in casi come quello di specie.
Inoltre, nemmeno nel Codice civile – che è il testo normativo di riferimento quando si tratta della materia del risarcimento danni - è previsto alcun termine o, tantomeno, alcun obbligo di riscontro alle contestazioni stragiudiziali inviate dal danneggiato al preteso danneggiante.
Ciò detto, l’invio della PEC è stato comunque opportuno perché potrebbe essere invocato come atto interruttivo della prescrizione nei futuri atti rivolti alla struttura ospedaliera.
Non conoscendo nel dettaglio la vicenda non è possibile svolgere valutazioni approfondite, ma si sottolinea comunque che il profilo della prescrizione deve essere tenuto in particolare riguardo, in quanto in generale per la responsabilità da fatto illecito le pretese risarcitorie si prescrivono entro 5 anni dall’evento (art. 2947 c.c.).
Visto il silenzio serbato dall’Ospedale, pare che la strada più opportuna da percorrere (da valutare comunque nel concreto col proprio legale di fiducia) sia quella di promuovere una mediazione nella quale far valere le proprie pretese.
Quanto sopra per due ordini di ragioni: 1) in casi di responsabilità medica e sanitaria essa è un adempimento necessario per poter eventualmente in seguito promuovere una causa davanti al Giudice competente; 2) a differenza di quanto avviene per le “semplici” contestazioni stragiudiziali, la mancata risposta all’invito in mediazione senza giustificato motivo ha alcune conseguenze sul piano giuridico e, particolarmente, quella di fornire argomenti di prova al Giudice davanti al quale viene proposta la causa (art. 12 bis del D.lgs. 28 del 2010).
In alternativa, è possibile promuovere un accertamento tecnico preventivo (art. 696 bis del c.p.c., ma si tratta di un procedimento in genere più costoso, oltre al fatto che alla eventuale mancata partecipazione della controparte non paiono essere collegate le stesse conseguenze rispetto a quelle previste in tema di mediazione.
Si consiglia, quindi, di rivolgersi quanto prima ad un legale di fiducia, al quale sottoporre in modo completo il caso al fine di individuare la strategia più opportuna.

C. D. B. chiede
martedì 22/11/2022 - Veneto
“Buongiorno
il mio vicino, appartamento sopra il mio, in montagna facendo i lavori di ristrutturazione dell'appartamento e rompendo il pavimento dell'ingresso ha tagliato i fili di casa mia che passavano nella soletta sotto il suo massetto togliendo corrente in cucina, in ingresso, cementando le canale e quindi senza possibilità di ripristinare i fili.
I corrugati passavano sulla soletta nel pavimento del vicino si presume sul cemento della stessa.
Io mi sono accorta del danno l'anno scorso a dicembre 21 perchè non avevo luce in casa ma ho scoperto che la causa era dovuta al vicino dopo svariati tentativi di capire cosa fosse successo nel mio appartamento solo il 31 ottobre 22 chiedendo per scrupolo se fossero stati fatti lavori nell'appartamento di sopra all'amministratore avendone conferma.
Il vicino da me subito contattato lo stesso giorno ha fatto fare un sopralluogo al direttore lavori e all'elettricista, ammettendo in mia presenza e di mio figlio che il muratore rompendo il pavimento per far passare le nuove canale deve aver tagliato le mie oltre che cementandole.
Preoccupati della mia richiesta di ripristinare le canale come erano, dovendo rompere il pavimento sopra, hanno fatto una proposta con un intervento nel mio appartamento facendo passare dentro un armadio una canala senza murarla per rirpristinare la corrente, oltre che rompere muri in casa mia.
Io mi sono rifiutata perché innanzitutto non era un lavoro ben fatto dovendo avere delle canale non più all'interno del muro, inoltre trattandosi di una seconda casa a 2 ore e 30 da casa mia, dovendo essere io presente per non far entrare estranei in casa mia senza la mia presenza, era impossibile far fare il lavoro in casa mia.
A questo mio rifiuto il vicino, non volendo fare i lavori da lui, mi ha risposto che secondo lui non era colpa sua e che la proposta da me rifiutata era solo per "bonis causa".
Premesso ciò evidenzio:
1-la casa è nata cosi comperata dal mia madre direttamente dalla ditta costruttrice e mai eseguiti lavori di ristrutturazione nella stessa dal 1974.
2-art. 1125 prevede che la soletta sia in comproprietà e inoltre in Italia si usa far passare i corrugati sulla parte superiore della soletta
3- che il sig. in questione nel momento in cui propone una soluzione al mio problema a sue spese è a mio avviso una ammissione di colpa.
pertanto chiedo:
1- posso rivolgermi ad un tribunale per chiedere il ripristino del danno dal suo appartamento
2- quanto tempo ho per denunciare la proprietà considerando che ho scoperto solo il 31 10 22 che il problema è sorto a causa dei lavori fatti nella casa sovrastante ?
saluti”
Consulenza legale i 26/11/2022
Sulla base di quanto riferito in applicazione delle più elementari norme di risarcimento del danno di cui agli art. 2043 e ss. del c.c. vi sono tutti i presupposti per pretendere che il vicino ripristini la situazione antecedente ai lavori.
Posto che la fattispecie descritta rientra in un caso di risarcimento del danno derivante da fatto illecito altrui, ai sensi dell’art. 2947 del c.c. il termine per far valere le proprie ragioni è di 5 anni dal giorno in cui il fatto si è verificato, ovvero un giorno non meglio precisato del dicembre 2021.

Si ritiene pertanto che si sia ancora ampiamente nei termini per far valere le proprie ragioni, ma è quantomai opportuno, per interrompere sul nascere qualsiasi contestazione di controparte, rivolgersi quanto prima ad un legale affinché esso predisponga ed invii al proprietario del piano di sopra una raccomandata di contestazione dei danni e conseguente messa in mora. Ciò, ai sensi del 4° co. dell’ art. 2943 del c.c., interromperà il computo dell’attuale termine prescrizionale e, ai sensi del successivo art. 2944 del c.c., ne inizierà uno nuovo decorrente questa volta dal giorno in cui il destinatario ha ricevuto la comunicazione.
Ovviamente, se il vicino non sentirà ragioni, sarà necessario rivolgersi ad un giudice affinché lo condanni ai sensi dell’ art. 2058 del c.c. a ripristinare il danno in forma specifica e quindi, in pratica, a ripristinare i locali nella situazione antecedente ai lavori.

Come poi il suddetto ripristino potrà concretamente eseguirsi è un aspetto che dovrà essere certamente affrontato dai legali che assisteranno le parti ma con l’indispensabile ausilio dei tecnici edili, e questo dovrà essere fatto o nell’ambito di una definizione bonaria del contenzioso o nell’ambito di un giudizio: ad ogni modo, si potrà pretendere che la situazione antecedente venga ripristinata coinvolgendo la sola unità immobiliare del vicino, ma solo se tale soluzione è tecnicamente percorribile.



M.M. chiede
giovedì 22/07/2021 - Liguria
“Buon giorno ,
in poche parole vi spiego il mio problema .
Nostro figlio in data 08 settembre 2007 decedeva a causa di una polmonite non curata contratta in una struttura sanitaria privata . Si promuoveva una causa penale nei confronti della struttura .
In data 19 luglio 2012 al Comune affidatario veniva inviata raccomandata A/R al fine dell’interruzione dei termini di prescrizione per promuovere in sede civile il diritto al risarcimento .
In data 05 settembre 2012 si dava risposta alla raccomandata sopra citata come oggetto : “ Eredi M.D. , Vs. nota del 19 luglio 2012 , pervenuta al protocollo del Comune di …... in data 24 luglio 2012 “ . Successivamente in data 25 ottobre 2016 si inviava una seconda interruttiva alla quale rispondevano come oggetto : “ In riferimento alla sua del 25 ottobre 2016 , in atti prot. N° 46533 del 28/10/2016 - …. “ . In seguito in data 05 maggio 2021 veniva nuovamente inviata un ulteriore interruttiva alla quale veniva data risposta il 04 giugno 2021 come oggetto : “ Con la presente si trasmette comunicazione in risposta a Vs. racc. , prot. 18190 del 05/05/2021 “ .
Arrivo al mio problema , non sono più in possesso nè delle ricevute di invio né di ritorno delle suddette prime due raccomandate che avrebbero dimostrato in sede Civile l’effettiva ricevuta di invio e di consegna , vi chiedo a questo punto se le loro risposte alle nostre tre raccomandate hanno ugualmente valore giuridico a dimostrazione della avvenuta consegna delle nostre raccomandate .
Esiste qualche legge , normativa o sentenza di cui possa in caso avvalermi ? Nel caso iniziassi un procedimento civile nei loro confronti per ottenere il risarcimento c’è il rischio che il giudice decida di non ritenere valide le loro risposte alle mie raccomandate per il fatto che io non sono in possesso delle ricevute di invio e quelle di ritorno ? . Infine vi chiedo se sono entrato in prescrizione o in decadenza . Vi ringrazio , attendo vostre risposte .”
Consulenza legale i 27/07/2021
La circostanza che siano state smarrite le ricevute di invio e di ritorno delle raccomandate inviate al Comune non appare essere un problema per una eventuale azione giudiziale di risarcimento danni.
Come aveva evidenziato la Corte di Cassazione richiamando la normativa in materia:“ai sensi dell'art. 8 d.P.R. n. 655/1982 il duplicato rilasciato dall'Ufficio postale, in caso di smarrimento dell'avviso di ricevimento, in quanto costituisce la riproduzione di un documento, al quale deve essere conforme, è il solo documento idoneo a provare sia la consegna della raccomandata sia la data di questa, sia l'identità della persona a mani della quale la consegna è stata eseguita, tenendo luogo appunto dell'avviso di ricevimento smarrito” (Cass. 23546/2016; Cass. 1996/2000).

Quindi, in primo luogo potrebbe essere richiesto il duplicato all’ufficio postale dove le raccomandate erano state spedite.
La normativa di riferimento è, appunto, l’art. 8 del DPR 655/1982.
In ogni caso, anche se per qualche ragione non venisse rilasciato detto duplicato, nella presente vicenda l’invio delle raccomandate è facilmente dimostrabile anche in un eventuale giudizio tramite le risposte inviate dal Comune con indicazione del numero di protocollo: ciò prova, appunto, la ricezione delle raccomandate da voi inviate.
Pertanto, la risposta all’altra domanda contenuta nel quesito deve intendersi negativa nel senso che il giudice non potrebbe “decidere di non ritenere valide le loro risposte alle raccomandate per il fatto che io non sono in possesso delle ricevute di invio e quelle di ritorno”.

Quanto alla domanda sulla prescrizione o decadenza si osserva quanto segue.
La prescrizione del diritto al risarcimento di un danno causato da una struttura sanitaria è decennale.
Infatti, il rapporto tra medico e paziente è di tipo contrattuale e pertanto si applica anche la relativa prescrizione di dieci anni.
Per quanto riguarda i prossimi congiunti, occorre invece fare una distinzione.
Se si agisce iure hereditatis (cioè per far valere un diritto del de cuius) la prescrizione è ugualmente decennale perché, appunto, si agisce per il risarcimento che sarebbe spettato alla vittima.
Invece, laddove si agisca anche iure proprio (cioè per chiedere un risarcimento in prima persona come, ad esempio, il danno biologico quando le sofferenze causate dalla perdita del prossimo congiunto abbiano determinato una lesione dell’integrita psicofisica) la prescrizione è invece di cinque anni in quanto si tratta di responsabilità extracontrattuale.
In merito a tale ultimo aspetto, la Corte di Cassazione con sentenza n.14258/2020 ha infatti ribadito che: "il diritto che i congiunti vantano, autonomamente sebbene in via riflessa ad essere risarciti dalla medesima struttura dei danni da loro direttamente subiti", in relazione al decesso del paziente, "si colloca nell'ambito della responsabilità extracontrattuale e pertanto è soggetto al termine di prescrizione quinquennale previsto per tale ipotesi di responsabilità dall'art. 2947 c.c.“
A ciò si aggiunga che quest’ultima norma prevede che “In ogni caso, se il fatto è considerato dalla legge come reato e per il reato è stabilita una prescrizione più lunga, questa si applica anche all'azione civile".

Ciò posto, nella presente vicenda, il terribile fatto è del settembre 2007.
Viene riferito che è stata iniziata una causa penale nei confronti della struttura ma non sappiamo quando.
Non sappiamo neanche se delle lettere siano state inviate anche alla predetta struttura o soltanto al comune.
Questo è importante per capire se sia intervenuta o meno una qualche prescrizione.
Sicuramente, nessuna prescrizione è intervenuta nei confronti del Comune considerato che la prima lettera raccomandata è stata inviata nel luglio 2012 e quindi prima che maturasse il termine quinquiennale.
Riguardo la struttura sanitaria, è comunque ragionevole supporre che l’azione di risarcimento sia tutt’ora esperibile in presenza di atti interruttivi (sempre che non ci si sia costituiti parte civile nel processo penale e questo sia ancora in corso o si sia concluso con una assoluzione della struttura).

In risposta quindi all’ultima domanda contenuta nel quesito possiamo affermare che non riteniamo essere intervenuta, sulla base delle supposizioni testè evidenziate, alcuna prescrizione o decadenza.
Per inciso e da ultimo, si sottolinea che il presente parere non entra ovviamente nel merito della fondatezza o meno dell’eventuale azione civile di risarcimento danni (nella quale, tra l’altro, l’unico legittimato passivo appare essere la struttura sanitaria e non il Comune).

Francesco chiede
lunedì 23/11/2020 - Toscana
“Salve, cercherò di fare un resoconto più preciso possibile. Gli attori sono due eredi che occupano 2 appartamenti e un capannone. Fino al 1992 uno degli eredi lavora col padre, dopo quella data il padre abbandona il lavoro e lascia il lavoro al figlio che occupa ancora lo stabile. Nel 1995 il padre insieme alla figlia chiedono indennità di occupazione al figlio. Nel periodo che va dal '95 al 2009 sulla denuncia dei redditi sui capannoni venivano denunciati in uso al figlio per non pagare tasse. Nel frattempo il figlio maschio nel 2000 lascia attività al suo secondogenito il quale dopo poco riceve richiesta di abbandonare i capannoni. La sostanza della mia domanda: è lecito richiedere indennità di occupazione quando non hai preso cura degli stabili e quando non li avresti mai messi a frutto cioè affittati ad altri? Su questo ci sono varie sentenze della cassazione”
Consulenza legale i 01/12/2020
Il primo dubbio che sorge leggendo il quesito è se colui o coloro che hanno chiesto l’indennità di occupazione, abbiano già ottenuto un titolo di formazione giudiziale per il riconoscimento del diritto di credito lamentato, considerato che, se così non fosse, si sta reclamando un diritto ampiamente prescritto.

Infatti, in casi come questo, di occupazione ritenuta illegittima di un immobile, trova applicazione l’art. 2947 c.c., come confermato dalla Corte di Cassazione, Sez. Terza civile, sentenza n. 16564 del 25.11.2002, nella quale si legge che il diritto al risarcimento dei danni per il mancato godimento di un bene che è stato oggetto di occupazione abusiva si prescrive nel termine quinquennale di cui all’art. 2947 c.c.
Tale termine, precisa la S.C., inizia a decorrere dal primo giorno di occupazione, in quanto il diritto risarcitorio può essere esercitato giorno per giorno a partire dalla data dell’occupazione stessa e non da quella in cui l’occupazione è cessata.
Pertanto, dato per ammesso che il capannone sia a tutt’oggi occupato, la c.d. indennità di occupazione, che poi non è altro che il risarcimento dei danni per mancato godimento dell’immobile, potrebbe essere chiesta solo limitatamente agli ultimi cinque anni, ossia dal 2015 ad oggi.

Peraltro, ai fini della interruzione della prescrizione, si evidenzia che le cause di interruzione sono tassativamente fissate per legge (si veda art. 2943 del c.c.) e si sostanziano nella domanda giudiziale, nell’atto di costituzione in mora ovvero nel riconoscimento del diritto da parte del debitore, ossia di colui che è obbligato ad adempiere la prestazione, non essendo ammissibili altre cause al di fuori di quelle espressamente contemplate.
Per quanto concerne l’atto di costituzione in mora, si afferma nella giurisprudenza, sia di merito che di legittimità, che tale atto deve essere fatto in forma scritta, ritenendosi che le richieste o diffide verbali non sono idonee ad interrompere la prescrizione, così come non lo sono le semplici sollecitazioni prive di carattere di intimazione e di espressa richiesta formale al debitore.

Fatte queste precisazioni, va detto che sotto il profilo sostanziale, della sussistenza o meno di un diritto a conseguire l’indennità di occupazione da parte di coloro che ne hanno fatto richiesta, è possibile prendere spunto proprio da quanto viene riferito nel quesito (ossia che i capannoni sono stati denunciati a fini fiscali come in uso al figlio e che i richiedenti l’indennizzo non hanno mai avuto cura né mostrato interesse per gli stessi) per giungere a considerare priva di ogni fondamento tale richiesta.

La dichiarazione ai fini fiscali che quell’immobile era concesso in uso al figlio (per farne conseguire ai rispettivi titolari un evidente vantaggio contributivo), lascia presumere come sussistente tra l’occupante ed i legittimi proprietari un vero e proprio rapporto di comodato, il quale per il suo venire ad esistenza non necessita di alcuna forma particolare, essendo sufficiente la sola c.d. traditio, ossia la consegna materiale del bene in favore del comodatario.
Nel caso di specie, in mancanza di un atto scritto e della fissazione di un termine, si ritiene che debba trovare applicazione l'art. 1809 del c.c., il quale dispone che, in mancanza di termine, il comodatario è obbligato a restituire la cosa quando se ne sia servito per l’uso convenuto, salvo in ogni caso il diritto del comodante di esigerne l’immediata restituzione qualora sopravvenga un suo urgente e sopravvenuto bisogno.
Sempre in assenza di un contratto scritto, l’uso in questo caso deve farsi consistere nello svolgimento dell’attività che inizialmente esercitavano il padre ed il figlio, attività che successivamente è stata proseguita dal solo figlio e, ancora dopo, dal nipote.

Per quanto concerne i presupposti per far valere il richiesto danno da occupazione di immobile senza titolo, si ritiene che possa costituire un valido supporto a difesa della posizione di chi pone il quesito, la sentenza della Corte di Cassazione, Sez. II civ. n. 13071 del 25.05.2018.
Con tale sentenza la Corte di Cassazione disattende la tesi sostenuta dalla Corte territoriale, nella pronuncia oggetto di ricorso per cassazione, secondo cui "in caso di occupazione senza titolo di un cespite immobiliare altrui, il danno del proprietario usurpato è "in re ipsa" in quanto si rapporta al semplice fatto della perdita della disponibilità del bene da parte del "dominus" ed all'impossibilità per costui di conseguire l'utilità normalmente ricavabile dal bene medesimo in relazione alla natura normalmente fruttifera di esso; conseguentemente la determinazione del risarcimento ben può essere stabilita dal giudice sulla base di elementi presuntivi semplici, facendo riferimento al cosiddetto danno figurativo e, quindi, con riguardo al valore locativo del cespite abusivamente occupato".
Si fa in contrario osservare che trattasi di impostazione superata già con la sentenza delle Sezioni unite n. 26972 dell’11.11.2008 (a cui hanno fatto seguito le sentenze Cass. sez. 3, 10 febbraio 2011 n. 3223, Cass. sez. 3, 16 aprile 2013 n. 9137, Cass. sez. 3, 17 giugno 2013 n. 15111, Cass. sez. 2, 28 maggio 2014 n. 11992, Cass. sez. 2, 15 ottobre 2015 n. 20823, Cass. sez. 3, 9 agosto 2016 n. 16670; cfr. pure Cass. sez. 1, 7 marzo 2017 n. 5687) e che in realtà, nel caso di occupazione illegittima di un immobile il danno subito dal proprietario non può ritenersi sussistente "in re ipsa".
Trattasi piuttosto di danno che, in quanto particolarmente evidente, può essere agevolmente dimostrato sulla base di presunzioni semplici, ma l’alleggerimento dell'onere probatorio non può di certo includere anche l'esonero dalla allegazione dei fatti che devono essere accertati, ossia l'intenzione concreta del proprietario di mettere l'immobile a frutto.
Da ciò ne consegue che il danneggiato, che ne chieda in giudizio il risarcimento, è tenuto a provare di aver subito un'effettiva lesione del proprio patrimonio per non aver potuto ad esempio locare o altrimenti direttamente e tempestivamente utilizzare il bene, ovvero per aver perso l'occasione di venderlo a prezzo conveniente o per aver sofferto altre situazioni pregiudizievoli, con valutazione rimessa al giudice del merito.

A rendere ancora più difficile la prova di aver subito un danno da occupazione illegittima, inoltre, potrebbe contribuire la circostanza, non specificata nel quesito, che l’immobile per il quale viene avanzata la pretesa ricada in comunione, ordinaria o ereditaria, tra l’occupante e coloro che richiedono l’indennità, in quanto tale richiesta si scontrerebbe con il principio generale, espresso dall’art. 1102 del c.c., secondo cui ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, a condizione che non ne venga alterata la destinazione e che non ne impedisca il pari uso degli altri partecipanti.
Precisa al riguardo la Corte di Cassazione (cfr. Cass., Sez. II, 9 febbraio 2015, n. 2423; Cass., Sez. II, 3 dicembre 2010, n. 24647; Cass., Sez. II, 4 dicembre 1991, n. 13036) che l’utilizzazione esclusiva del bene comune da parte di uno dei comproprietari, ove mantenuta nei limiti di cui all’art. 1102 c.c., non è di per sé idonea a produrre alcun pregiudizio in danno degli altri comproprietari che siano rimasti inerti o abbiano acconsentito ad esso in modo certo ed inequivoco, essendo l’occupante tenuto al pagamento della corrispondente quota di frutti civili, ricavabili dal godimento indiretto della cosa, solo se gli altri partecipanti abbiano manifestato l’intenzione di utilizzare il bene in maniera diretta e ciò non gli sia stato concesso.

Pertanto, qualora sussista una situazione di comunione, coloro che chiedono l’indennità dovranno fornire in giudizio questa ulteriore prova.

In conclusione, come anticipato all’inizio di questa consulenza, si ritiene che sia abbastanza arduo che, nella situazione descritta, coloro che avanzano la pretesa di indennizzo riescano a poter fornire in giudizio la prova di aver subito un danno ed, in ogni caso, si consiglia di prestare particolare attenzione ai termini di prescrizione.


Luca M. chiede
venerdì 20/04/2018 - Valle d'Aosta
“buon giorno.
ho un problema riguardante il risarcimento di un danno da circolazione stradale ( danno fisico).
ho avuto un incidente nel 2013 che è stato liquidato in parte. dopo varie corrispondenze con l'assicurazione, questa non vuole completare il pagamento o comunque aveva offerto per conclusione dello stesso , una somma ridicola.
poi la cosa è andata un po nel dimenticatoio a causa di mie ripetute assenze a causa di lavoro.
quindi , ultima comunicazione con l'assicurazione è stata nel settembre 2015. Contattato nei giorni scorsi il liquidatore, asserisce che sono trascorsi i termini e quindi non vuole proporre alcun'altro risarcimento dicendo che ho perso il diritto allo stesso.
il quesito: il liquidatore, sta asserendo cose esatte? c'è possibilità di aggirare tale ostacolo al risarcimento? in tal caso, a cosa potrei appellarmi? grazie in anticipo”
Consulenza legale i 25/04/2018
Per rispondere alle domande contenute nel quesito in esame, occorre in primo luogo far riferimento a quanto dispone l’art. 2947 del codice civile il quale al secondo comma prevede espressamente che il diritto al risarcimento del danno prodotto dalla circolazione dei veicoli di ogni specie si prescrive in due anni.
Infatti, il termine di prescrizione in tal caso è più breve dell’ordinaria prescrizione extra contrattuale pari a cinque anni.

Tuttavia, sempre secondo quanto disposto dal predetto art. 2947 c.c., se il fatto è considerato dalla legge come reato e per il reato è stabilita una prescrizione più lunga, questa si applica anche all'azione civile.

Ciò posto, per stabilire se la prescrizione sia maturata o meno, occorre anche verificare se vi siano stati o meno degli atti interruttivi della medesima.
Un atto interruttivo comporta che il termine di prescrizione incomincia nuovamente a decorrere da quando si verifica l’evento interruttivo.
I casi in cui ciò si verifica sono quelli elencati dall’art. 2943 del codice civile.
Sul punto, relativamente alla interpretazione della efficacia interruttiva di un atto, la Suprema Corte ha ribadito che: "E' principio consolidato di questa Corte che, in tema di interruzione della prescrizione, un atto, per avere efficacia interruttiva, deve contenere, oltre alla chiara indicazione del soggetto obbligato (elemento soggettivo), l'esplicitazione di una pretesa e l'intimazione o la richiesta scritta di adempimento, idonea a manifestare l'inequivocabile volontà del titolare del credito di far valere il proprio diritto nei confronti del soggetto indicato, con l'effetto sostanziale di costituirlo in mora (elemento oggettivo). Quest'ultimo requisito non è soggetto a rigore di forme, all'infuori della scrittura, e, quindi, non richiede l'uso di formule solenni nè l'osservanza di particolari adempimenti, essendo sufficiente che il creditore manifesti chiaramente, con un qualsiasi scritto diretto al debitore e portato comunque a sua conoscenza, la volontà di Ottenere dal medesimo il soddisfacimento del proprio diritto" (Cassazione civile, sez. lav., sentenza n. 24116/ 2016).

Ciò precisato in linea generale, passiamo al caso in esame.

Nel quesito leggiamo che il sinistro stradale risale al 2013 e che l’assicurazione aveva pagato una parte del risarcimento. Inoltre, circostanza ancora più importante ai fini della prescrizione, vi erano stati danni fisici. Facendo riferimento a quest’ultimo aspetto, dobbiamo quindi considerare non già la prescrizione biennale bensì quella più lunga del reato.
Infatti, la circostanza che vi siano stati danni fisici comporta il reato di lesioni colpose (art. 590 c.p.).
Sul punto, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite (sentenza n.27337 del 2008) ha stabilito il principio di diritto secondo cui: “Nel caso in cui l’illecito civile sia considerato dalla legge come reato, ma il giudizio penale non sia stato promosso, anche se per mancata presentazione della querela, l’eventuale più lunga prescrizione prevista per il reato si applica anche all’azione di risarcimento, a condizione che il giudice civile accerti, incidenter tantum, e con gli strumenti probatori ed i criteri propri del procedimento civile, la sussistenza di una fattispecie che integri gli estremi di un fatto-reato in tutti i suoi elementi costitutivi, soggettivi ed oggettivi, e la prescrizione stessa decorre dalla data del fatto”. Tale principio è stato seguito dalla Corte anche in successive sentenze, quali ad esempio la n.16037 del 2016, dove si è ribadito che deve applicarsi la prescrizione quinquennale al diritto al risarcimento del danno in presenza di lesioni colpose.

Ciò posto, nel caso in esame il sinistro risale al 2013 ma nel frattempo era intervenuto un parziale risarcimento e l’ultima comunicazione risale al 2015. Volendo attribuire efficacia interruttiva a detta comunicazione, il termine prescrizionale quinquennale scadrebbe a settembre 2020.
Inoltre, nel caso di specie, c’è un ulteriore elemento da tenere in considerazione: il parziale pagamento del risarcimento. Anche tale circostanza blocca il decorrere della prescrizione (come espressamente riconosciuto dalla Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 2267/10).

Alla luce di quanto precede, rispondendo alle singole domande contenute nel quesito, possiamo affermare che:
1) il liquidatore non ha asserito "cose esatte", in quanto il termine di prescrizione non può ritenersi decorso trattandosi di termine quinquennale e non biennale;
2) per “aggirare l’ostacolo”, suggeriamo di inviare quanto prima una raccomandata a/r o pec con cui si formula nuovamente la richiesta di integrale risarcimento dei danni subiti (c’era stata la visita medico legale?), specificando che la lettera viene inviata anche ai fini di interruzione della prescrizione.
Se invece il recente contatto con il liquidatore che leggiamo nel quesito è già avvenuto con queste modalità, suggeriamo di inviare tramite raccomandata a/r o pec (con il necessario intervento di un avvocato) sia alla Compagnia che al responsabile del sinistro un invito alla negoziazione assistita ai sensi dell’art. 2 e ss. del D.L. n. 132/2014, convertito in L. n. 162/2014 che costituisce una condizione di procedibilità per l’eventuale successiva causa di risarcimento danni.

Marco M. chiede
lunedì 26/03/2018 - Lombardia
“Salve,vorrei sapere cosa cambia per quanto riguarda la prescrizione,la sua interruzione o altro qualora nel processo penale per sinistro stradale con feriti la parte lesa costituita civile decidesse di non citare l'assicurazione come responsabile civile.Grazie.”
Consulenza legale i 11/04/2018
Va in primo luogo sgomberato il campo da alcuni equivoci.

L’azione civile e l’azione penale sono del tutto autonome l’una dall’altra, essendo la seconda esclusivamente finalizzata all’accertamento di una responsabilità derivante dalla commissione di un reato.
L’azione civile è finalizzata invece all’ottenimento di un risarcimento di natura pecuniaria a seguito dell’accertamento in sede penale dell’avvenuta commissione di un illecito; anzi, il risarcimento in sede civile prescinde dall’esistenza di una pronuncia penale, potendo il Giudice civile valutare autonomamente se sia stato commesso un illecito e liquidare comunque il danno conseguente. E’ sufficiente infatti, a tal proposito, che il Giudice civile accerti – con gli strumenti propri del processo civile – l’astratta esistenza di una fattispecie che integri gli estremi di un reato, in tutti i suoi elementi previsti dalla legge penale.

L’azione volta al risarcimento del danno appartiene di regola alla giurisdizione civile e solo eccezionalmente l’ordinamento consente che la vittima del reato possa chiedere il risarcimento del danno anche nel processo penale, branca del diritto che, invece, è volta precipuamente all’accertamento della responsabilità penale ed alla punizione dell’autore del reato.

La costituzione di parte civile in sede penale serve, proprio a questo, ovvero a garantire alla vittima di un reato particolari diritti e facoltà, come – tra le altre - chiedere un risarcimento direttamente in sede penale ovvero all’esito del processo penale o citare nel processo penale il responsabile civile o il soggetto – come ad esempio una compagnia assicurativa – obbligato per legge a risarcire i danni cagionati da altri, ciò senza dover intentare una causa civile ad hoc.

Per tornare al quesito, va detto che la prescrizione civile non è del tutto slegata da quella penale, ovvero quella stabilita per la perseguibilità del reato.
L’art. 2947 del c.c., infatti, stabilisce che – nonostante il diritto al risarcimento del danno da fatto illecito si prescriva in 5 anni (con decorrenza dal giorno del fatto) - se il fatto illecito in questione è considerato dalla legge come reato e per quest’ultimo è prevista una prescrizione più lunga, quest’ultima si applicherà anche all’azione civile.
Il legislatore ha voluto, con questa norma, evitare che un soggetto, condannato come reo a causa di un fatto produttivo di conseguenze civili, possa sottrarsi all’obbligo di risarcire il danneggiato facendo valere il più breve termine della prescrizione civile.

Sempre lo stesso art. 2947 c.c., però, dopo aver inserito un’eccezione alla regola (quella anzidetta dell’allungarsi della prescrizione civile fino a ragguagliare quella penale, evidentemente solo nei casi in cui quest’ultima sia di durata maggiore), ripristina la regola (prescrizione breve) in due casi, ovvero (1) quando il reato si estingua per cause diverse dalla prescrizione e (2) quando sia intervenuta sentenza irrevocabile nel giudizio penale (con decorrenza, in questo ultimo caso, dalla data in cui la sentenza è divenuta irrevocabile).

Ora, nel caso di specie, non rileva in realtà che la prescrizione sia lunga o breve (peraltro, se breve, sarebbe di 2 anni, perché si verte nell’ipotesi di danni derivanti dalla circolazione di veicoli), dal momento che – per giurisprudenza pacifica e consolidata - la costituzione di parte civile nel processo penale interrompe la prescrizione ai sensi dell’art. 2943 c.c. e l’effetto interruttivo permane nel corso di tutto il procedimento penale (Cassazione civile, sez. III, 17/01/2008), e ciò nei confronti tanto di coloro contro i quali viene rivolta espressamente la costituzione, quanto di tutti i coobbligati solidali ancorché rimasti estranei al processo penale. Tale effetto interruttivo perdura finché non venga definito, con sentenza irrevocabile, il giudizio penale nel corso del quale sia avvenuta la costituzione di parte civile.

Nel nostro caso, quindi, la parte lesa costituitasi parte civile – che non ha citato il responsabile civile nel processo penale per chiedergli il risarcimento in quella sede - una volta chiuso il procedimento penale potrà agire nei confronti del responsabile civile entro il termine di prescrizione breve, che è di due anni non dal verificarsi del fatto illecito ma, in questo caso, dalla chiusura del processo penale.

Nel dubbio, poiché occorre sempre la massima prudenza e prefigurare ogni possibile ipotesi, meglio comunque inviare all'assicurazione una raccomandata interruttiva della prescrizione, soprattutto in considerazione del termine breve (2 anni) di cui si parlava.

GABRIELLA B. chiede
mercoledì 26/07/2017 - Veneto
“Buongiorno,
E' possibile sapere una data precisa di prescrizione di fatto illecito ai fini della richiesta di risarcimento art 2043cc:
data 31/05/2011 fatto illecito (art 640)
data udienza preliminare 18/10/16 contestualmente costituzione parte civile
alla medesima data l'udienza è stata rinviata per vizio di forma
data 09/02/2017 nuova udienza preliminare
data 09/02/2017 patteggiamento art 444 cp
data 22/02/17 notifica della sentenza di patteggiamento
data 28/04/2017 atto di citazione art 2043 per richiesta di risarcimento danni patrimoniali.

Vorrei sapere se il fatto è prescritto ai fini dell'art 2947 e a quale comma si riferisce.
e se per cortesia riesce a spiegarmi bene, in modo elementare la seconda parte del 3 comma dell'art 2947 - cosa significa "con decorrenza dalla data di estinzione del reato o della sentenza irrevocabile", mi faccia degli esempi.”
Consulenza legale i 08/08/2017
L’art. 2947 c.c. attiene ai rapporti tra la prescrizione nel diritto civile e la prescrizione nel diritto penale, istituti molto differenti tra loro, ma che mirano entrambi ad imprimere definitiva certezza a rapporti giuridici verificatisi nel passato.

Il reato si prescrive quando è trascorso un certo lasso di tempo dai fatti, tale che non vi è più l'esigenza della collettività di punirne l'autore in quanto, proprio "il lungo tempo decorso dopo la loro commissione ha fatto venire meno, o notevolmente attenuato, insieme al loro ricordo, anche l'allarme della coscienza comune" (C. Cost., sent 10 dicembre 1971, n. 202).

Nel diritto civile, invece, la prescrizione è l'estinzione di un diritto, come conseguenza del mancato esercizio da parte del titolare, che ha dimostrato, con la sua inerzia, un disinteresse nel tutelarsi, tanto che l'ordinamento gli preferisce l'esigenza di dare concreta stabilità alla situazione e certezza ai rapporti giuridici sottostanti.
Quando si verificano fatti delittuosi, coesistono l’esigenza dell’ordinamento di punire il colpevole, ed il diritto della persona offesa dal reato ad ottenere un risarcimento per i danni che ha subìto a causa del comportamento altrui.
Queste due differenti prospettive, che rispecchiano i due differenti istituti della prescrizione civile e penale, devono perciò trovare un punto di raccordo.

La norma di raccordo è costituita dall'art. 2947 c.c., il quale prevede che "in ogni caso, se il fatto è considerato dalla legge come reato e per il reato è stabilita una prescrizione più lunga, questa si applica anche all'azione civile". La più breve prescrizione civile si allinea alla più lunga prescrizione penale.

Dunque per il fatto illecito che è anche reato, la responsabilità civile non si prescrive in 5 anni, ma in 6 anni se i fatti configurano una fattispecie di truffa.
Ciò significa che decorsi 6 anni dai fatti delittuosi, il soggetto agente non è più perseguibile e punibile per il reato commesso e parimenti, non sarà più possibile richiedergli il risarcimento del danno.

Il 3° comma però prevede anche delle eccezioni a questa regola: se il processo penale si conclude con una sentenza irrevocabile o è pronunciata sentenza di estinzione, allora torna in auge il più breve termine di prescrizione civile.

Ad esempio, se viene pronunciata sentenza irrevocabile di non doversi procedere per il reato di truffa, dopo 2 anni dai fatti delittuosi, la prescrizione dell’azione per il risarcimento del danno è di 5 anni e non di 6.
E' bene precisare che una sentenza diventa irrevocabile quando siano inutilmente decorsi i termini per proporre impugnazione avverso la pronuncia, che quindi non potrà più essere rimessa in discussione da un successivo giudizio.

Volendo fare un secondo esempio, si pensi al caso il cui il reato viene dichiarato estinto per amnistia (art. 151 c.p.), l’azione per ottenere il risarcimento del danno si prescriverà nel termine ordinario, in applicazione del 3° comma dell’art. 2947 c.c. .

Nel caso postosi all’attenzione, essendo intervenuta una pronuncia di patteggiamento, e non essendo stata proposta impugnazione, dovrà trovare applicazione proprio la norma in commento e dunque il più breve termine prescrizionale previsto nel diritto privato.

Se i fatti si sono verificati il 31.05.2011 e la parte offesa ha preso cognizione immediatamente dell’evento lesivo, allora l’azione per il risarcimento del danno si è prescritta il 31.05.2016.

Sul punto, però, è utile sottolineare che la Cassazione non ritiene sufficiente, ai fini della decorrenza della prescrizione, una semplice oggettiva realizzazione del danno, ma richiede una “sua esteriorizzazione, conoscibilità o percepibilità, nonché un acquisto di rilevanza giuridica, momento questo al quale l'ordinamento ricollega la nascita del diritto al risarcimento e quindi la facoltà di esercitare i poteri connessi" (Cass. S.U. n. 576/08, Cass. 20609/11).
Se dunque la persona offesa ha preso cognizione delle conseguenze dannose, che i fatti altrui hanno arrecato, in un momento successivo, è da questo momento che dovranno decorrere i 5 anni per la prescrizione dell’azione di risarcimento.

Infine, per completezza espositiva, bisogna considerare che la costituzione di parte civile nel processo penale, interrompe la prescrizione con effetto permanente per tutta la durata del processo, e dunque, se in base a quanto innanzi detto l'azione non può dirsi già prescritta, allora è a partire dal patteggiamento che dovrà decorrere il nuovo periodo pari a quello iniziale (altri 5 anni) per far valere i propri diritti in sede civile.

Anonimo chiede
giovedì 29/06/2017 - Puglia
“A seguito di sequestro avvenuto nell'interno di una caserma nel mese di febbraio 2007 e presentazione da parte del sottoscritto di riesame,fui rinviato a giudizio per"calunnia aggravata" nei confronti di colui che operò il sequestro.Successivamente, nel giugno 2013,denunciai il sedicente "calunniato" e altri tre soggetti,per falsa testimonianza,proprio in relazione ai fatti per cui fui rinviato a giudizio ovvero la calunnia. Nonostante i solleciti e la richiesta di avocazione di indagini chiesto alla Procura Generale,nulla accadde.Nel mese di febbraio,c.a.,informalmente,in quanto non mi è stato comunicato/notificato nulla nè al sottoscritto tantomeno ai legali.Si è venuti a conoscenza,informalmente che i 4 soggetti da me denunciati per falsa testimonianza,hanno goduto della prescrizione.
Preciso che le false testimonianze sono state operate nel maggio 2010 e novembre 2012.Nel mese di gennaio c.a.,nonostante avevo presentato prova che al di là di ogni ragionevole dubbio,io non avevo calunniato alcuno,prove che mi hanno restituito in quanto non accettate e provenienti da processo parallelo ed esito di un C.T.U. nominato da un Tribunale collegiale,sono stato assolto per:IL FATTO NON COSTITUISCE REATO".Art.530 comma 2.Evidenzio che il delitti per calunnia nei miei confronti,fu elevato d'ufficio e il sedicente calunniato si era costituito parte civile con ristora danno di 400,000,00 euro.
Ciò premesso,la consulenza che Vi chiedo è:nei confronti dei soggetti che nella circostanza di tempo e di luogo resero falsa testimonianza,posso chiedere il risarcimento dei danni psicofisici per avermi,con il loro mendacio fatto rinviare a giudizio con processo durato oltre 10 anni?L'archiviazione per prescrizione preclude questo mio diritto.”
Consulenza legale i 06/07/2017
Il processo civile e quello penale sono tendenzialmente autonomi l'uno rispetto all'altro.
Questo significa che in via di principio un giudizio civile risarcitorio per un fatto illecito costituente reato, può coesistere con un giudizio penale avente ad oggetto i medesimi fatti.
Cosi come è possibile che i due giudizi finiscano con l'avere due esiti differenti e contrapposti.
La regola generale - dell'autonomia dei giudizi - è scandita da alcune eccezioni espressamente previste dalla legge, che però non ricorrono nel caso de quo (cfr. artt. 3, 75 e 479 c.p.p.).
Dunque, ammessa astrattamente la possibilità di instaurare un giudizio civile sebbene quello penale non sia proseguito, occorre però verificare in concreto se sussistono tutti i presupposti affinché venga accertata la responsabilità civile e la sussistenza di un danno.
Infatti, proprio in virtù dell'autonomia dei giudizi, innanzi al Tribunale civile l'attore dovrà dimostrare il fatto illecito, dovrà dimostrare cioè che la testimonianza era mendace, dovrà dimostrare il danno subìto ed il nesso eziologico/causale tra fatto e danno.
Prova tutt'altro che semplice, anche considerando il notevole lasso di tempo intercorso dai fatti all'origine della vicenda.

Non è sufficiente infatti la sentenza assolutoria per considerare come appurata la falsità della testimonianza, ma invece graverà sull'attore l'onere di dimostrare come sono andati realmente i fatti e come invece siano stati esposti nella deposizione menzognera.
Infatti ai sensi dell'art. 652 c.p.p. il giudicato penale, inteso come la concreta statuizione del giudice, non può esser fatto valere anche nel processo civile con riferimento a quanto accaduto ed alle testimonianze rese nel processo penale.
Mentre con riguardo alla sussistenza di un danno la Cassazione in casi analoghi ha riconosciuto la risarcibilità anche del danno non patrimoniale, poiché "sebbene nel reato di falsa testimonianza il bene giuridico protetto dalla norma sia il normale svolgimento dell'attività giudiziaria e la persona offesa sia lo Stato - collettività, la persona che abbia risentito in via diretta ed immediata un danno per effetto della commissione del reato può pretenderne il risarcimento. Il pregiudizio che la parte del processo - civile o penale - subisce a causa della mendace dichiarazione del teste consiste nella lesione immediata del diritto ad un regolare giudizio e nel conseguente ingiusto turbamento di animo" (Cass. 17622/2003).
Anche gli istituti della prescrizione nel diritto civile e la prescrizione nel processo penale sono sostanzialmente differenti.
Infatti mentre il reato viene dichiarato estinto quando è trascorso un certo lasso di tempo dai fatti, tale che non vi è più l'esigenza della collettività di punirne l'autore in quanto proprio "il lungo tempo decorso dopo la loro commissione ha fatto venire meno, o notevolmente attenuato, insieme al loro ricordo, anche l'allarme della coscienza comune, ed altresì reso difficile, a volte, l'acquisizione del materiale probatorio" (C. Cost., sent 10 dicembre 1971, n. 202).
Nel diritto civile, invece, la prescrizione è l'estinzione nel diritto come conseguenza del mancato esercizio da parte del titolare, che ha dimostrato, con la sua inerzia, un disinteresse nel tutelare il suo diritto, tanto che l'ordinamento gli preferisce l'esigenza di dare concreta stabilità alla situazione e certezza ai rapporti giuridici sottostanti.
La norma di raccordo tra prescrizione nel diritto civile e prescrizione nel processo penale, è costituita dall'art. 2947 c.c., il quale prevede che "in ogni caso, se il fatto è considerato dalla legge come reato e per il reato è stabilita una prescrizione più lunga, questa si applica anche all'azione civile".
Dunque per l'azione civile la prescrizione non è quella prevista per la responsabilità da fatto illecito di 5 anni, ma quella di 6 anni prevista per la prescrizione del reato di falsa testimonianza.

Dunque per la falsa testimonianza avvenuta nel novembre del 2012 sicuramente non è ancora intervenuta la prescrizione, non essendo trascorsi 6 anni dai fatti.
Mentre per quanto riguarda la falsa testimonianza del 2010, sebbene siano trascorsi più di 6 anni, si ritiene che l'azione civile non sia ancora prescritta.

Infatti la prescrizione nel diritto civile decorre non dalla commissione del fatto ma da quando il diritto può essere fatto valere.
Trattandosi di domanda per il risarcimento del danno, la prescrizione decorre dalla verificazione del danno.

Sul punto la Cassazione è oramai granitica nell'affermare che "la legge riconnette il sorgere di una responsabilità extracontrattuale ad una modificazione dannosa [omissis]. Non è quindi sufficiente una semplice oggettiva realizzazione del danno, ma è necessaria una sua esteriorizzazione, conoscibilità o percepibilità, nonchè acquisto di rilevanza giuridica, momento questo al quale l'ordinamento ricollega la nascita del diritto al risarcimento e quindi la facoltà di esercitare i poteri connessi" (Cass. S.U. n. 576/08, Cass. 20609/11).

Aderendo a questo orientamento la prescrizione dell'azione civile deve decorrere da quando il danneggiato ha preso conoscenza del danno ingiusto che le false testimonianze gli avrebbero arrecato - presumibilmente dunque dal momento della querela o poco prima -, oppure, con un'interpretazione più ardita, dalla fine del processo penale a suo carico, momento in cui ha potuto apprezzare con compiutezza l'ingiusto e lungo processo in cui è stato coinvolto, a causa delle altrui false testimonianze, ed ha preso conoscenza del danno nella sua completa entità.


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