Cassazione civile Sez. III sentenza n. 12995 del 31 maggio 2006

(3 massime)

(massima n. 1)

Ai fini della costruzione di opere edilizie l'indagine sulla natura e consistenza del suolo edificatorio rientra, in mancanza di diversa previsione contrattuale, tra i compiti dell'appaltatore, trattandosi di indagine implicante attività conoscitiva da svolgersi con l'uso di particolari mezzi tecnici che al medesimo, quale soggetto obbligato a mantenere il comportamento diligente dovuto per la realizzazione dell'opera commessagli con conseguente obbligo di adottare tutte le misure e le cautele necessarie ed idonee per l'esecuzione della prestazione secondo il modello di precisione e di abilità tecnica nel caso concreto idoneo a soddisfare l'interesse creditorio, spetta assolvere mettendo a disposizione la propria organizzazione, atteso che lo specifico settore di competenza in cui rientra l'attività esercitata richiede la specifica conoscenza ed applicazione delle cognizioni tecniche che sono tipiche dell'attività necessaria per l'esecuzione dell'opera, sicché è onere del medesimo predispone un'organizzazione della propria impresa che assicuri la presenza di tali competenze per poter adempiere l'obbligazione di eseguire l'opera immune da vizi e difformità. Ed atteso che l'esecuzione a regola d'arte di una costruzione dipende dall'adeguatezza del progetto alle caratteristiche geologiche del terreno su cui devono essere poste le relative fondazioni, e la validità di un progetto di una costruzione edilizia è condizionata dalla sua rispondenza alle caratteristiche geologiche del suolo su cui essa deve sorgere, il controllo da parte dell'appaltatore va esteso anche in ordine alla natura e consistenza del suolo edificatorio. Ne consegue che per i difetti della costruzione derivanti da vizi ed inidoneità del suolo anche quando gli stessi sono ascrivibili alla imperfetta od erronea progettazione fornitagli dal committente l'appaltatore risponde (in tal caso prospettandosi l'ipotesi della responsabilità solidale con il progettista, a sua volta responsabile nei confronti del committente per inadempimento del contratto d'opera professionale ex art. 2235 c.c.) nei limiti generali in tema di responsabilità contrattuale della colpa lieve, presupponente il difetto dell'ordinaria diligenza, potendo andare esente da responsabilità solamente laddove nel caso concreto le condizioni geologiche non risultino accertabili con l'ausilio di strumenti, conoscenze e procedure normali avuto riguardo alla specifica natura e alle peculiarità dell'attività esercitata.

(massima n. 2)

In tema di contratto di appalto, l'appaltatore è tenuto a realizzare l'opera a regola d'arte, osservando, nell'esecuzione della prestazione, la diligenza qualificata ai sensi dell'art. 1176, secondo comma, c.c. quale modello astratto di condotta, che si estrinseca (sia egli professionista o imprenditore) nell'adeguato sforzo tecnico, con impiego delle energie e dei mezzi normalmente ed obiettivamente necessari od utili in relazione alla natura dell'attività esercitata, volto all'adempimento della prestazione dovuta ed al soddisfacimento dell'interesse creditorio, nonché ad evitare possibili eventi dannosi. Anche laddove egli si attenga alle previsioni del progetto altrui, come nel caso in cui il committente predispone il progetto e fornisce indicazioni sulla relativa realizzazione, l'appaltatore può comunque essere ritenuto responsabile per i vizi dell'opera se, nel fedelmente eseguire il progetto e le indicazioni ricevute, non segnala eventuali carenze ed errori, giacché la prestazione da lui dovuta implica anche il controllo e la correzione degli eventuali errori del progetto, mentre va esente da responsabilità laddove il committente, pur reso edotto delle carenze e degli errori, gli richieda di dare egualmente esecuzione al progetto o gli ribadisca le indicazioni, in tale ipotesi risultando l'appaltatore stesso ridotto a mero nudus minister, cioè passivo strumento nelle mani del primo, direttamente e totalmente condizionato dalle istruzioni ricevute senza possibilità di iniziativa o vaglio critico.

(massima n. 3)

Trattandosi di opere edilizie da eseguirsi su strutture o basamenti preesistenti o preparati dal committente o da terzi, l'appaltatore viola il dovere di diligenza stabilito dall'art. 1176 c.c. se non verifica, nei limiti delle comuni regole dell'arte, l'idoneità delle anzidette strutture a reggere l'ulteriore opera commessagli, e ad assicurare la buona riuscita della medesima, ovvero se, accertata l'inidoneità di tali strutture, procede egualmente all'esecuzione dell'opera. Anche l'ipotesi della imprevedibilità di difficoltà di esecuzione dell'opera manifestatesi in corso d'opera derivanti da cause geologiche, idriche e simili, specificamente presa in considerazione in tema di appalto dall'art. 1664, 2° co., c.c. e legittimante se del caso il diritto ad un equo compenso in ragione della maggiore onerosità della prestazione, deve essere valutata sulla base della diligenza media in relazione al tipo di attività esercitata. E laddove l'appaltatore svolga anche i compiti di ingegnere progettista e di direttore dei lavori, l'obbligo di diligenza è ancora più rigoroso, essendo egli tenuto, in presenza di situazioni rivelatrici di possibili fattori di rischio, ad eseguire gli opportuni interventi per accertarne la causa ed apprestare i necessari accorgimenti tecnici volti a garantire la realizzazione dell'opera senza difetti costruttivi. La maggiore specificazione del contenuto dell'obbligazione non esclude infatti la rilevanza della diligenza come criterio determinativo della prestazione per quanto attiene agli aspetti dell'adempimento, sicché gli specifici criteri posti da particolari norme di settore (es. il riferimento ai c.d. «coefficienti di sicurezza» previsti dalla L. 5 novembre 1971, n. 1086 ed il relativo regolamento di attuazione D.M. 16 giugno 1976) non solo non valgono a ridurre o limitare la responsabilità dell'appaltatore ma sono per converso da intendersi nel senso che la relativa inosservanza viene a ridondare in termini di colpa grave dell'appaltatore.

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