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Articolo 1655 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 31/01/2024]

Nozione

Dispositivo dell'art. 1655 Codice Civile

(1)L'appalto è il contratto con il quale una parte assume, con organizzazione [2082] dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio(2), il compimento di un'opera o di un servizio(3) verso un corrispettivo in danaro.

Note

(1) L'appalto è un contratto consensuale ad effetti obbligatori (1376 c.c.) che, se ha ad oggetto beni immobili, deve avere la forma scritta (1350 c.c.) e deve essere trascritto (2643 ss. c.c.). Esso si distingue dalla vendita (1471 c.c.) poichè questa ha ad oggetto un dare, il primo un fare; si differenzia dal contratto di lavoro autonomo (2222 c.c.) in cui l'opera o il servizio possono essere compiuti anche con lavoro proprio o dei propri famigliari, laddove l'appaltatore deve essere un imprenditore dotato di appositi mezzi.
(2) L'appaltatore organizza i mezzi necessari: quindi deve trattarsi di un imprenditore. Egli, inoltre, sopporta il rischio: ne deriva che su di lui grava una obbligazione di risultato, in quanto è tenuto non solo a predisporre i mezzi necessari per realizzare l'opera ma anche a raggiungere quel risultato.
(3) L'appalto d'opera è, ad esempio, quello che ha ad oggetto la costruzione di un condominio. Si ha appalto di servizi, ad esempio, per il servizio di catering prestato ai treni o alle navi.

Ratio Legis

Con l'appalto il committente può ottenere la costruzione di un opera od una prestazione di servizi che non sarebbe in grado di realizzare da solo (ad esempio la costruzione di un immobile): l'appaltatore, invece, è in grado di provvedervi in quanto dispone dei mezzi e dell'organizzazione necessari (ad esempio un'impresa edile).

Spiegazione dell'art. 1655 Codice Civile

Definizione

Questo articolo è stato introdotto per la prima volta con il codice del 1942 e con esso il legislatore ha voluto dare una definizione del contratto di appalto, allontanandosi dall'antica regola, per la quale ogni definizione sarebbe pericolosa; ma, questa volta, il pericolo è stato superato in quanto la offerta definizione non presenta lati oscuri o di controversa interpretazione.
In sostanza noi abbiamo, nelle indicazioni date dal codice, delineata chiaramente la posizione delle due parti contraenti, l'appaltatore cioè e il committente, e abbiamo altresì, in modo sommario ma chiaro, delineato il fondamento ed il contenuto essenziale delle reciproche prestazioni.

Analizziamo ora gli elementi della definizione: prima però dobbiamo dire che la legge ha cura di precisare che l'appalto è un contratto, con che è pregiudiziale che le parti debbano, antecedentemente alle reciproche prestazioni, convenire qualcosa e convenirla nelle forme stabilite per i contratti. Il codice non aggiunge altro e non chiede alcuna forma speciale o solenne per la stipulazione o il perfezionamento del contratto e quindi esso può manifestarsi tanto per atto pubblico come per scrittura privata, o potrebbe anche risultare da convenzione verbale se le parti, per la scarsa importanza dell'oggetto, ritengono sufficienti dichiarazioni verbali a tutela dei diritti reciproci. Le dichiarazioni verbali e la scrittura privata, specie se questa non è autenticata e non è registrata, possono costituire intralcio in caso di divergenza: ma ciò tocca il sistema delle prove e non infirma l'essenza dell' intervenuta convenzione.

Comunque avendo la legge dichiarato che l'appalto è un contratto, tutte le regole generali concernenti i contratti sono da tener presenti, anche se materialmente non trascritte, nella interpretazione di un qualsiasi contratto d'appalto.


Carattere tecnico dell'organizzazione e del rischio

Il codice aggiunge che l'appalto è il contratto con il quale una delle parti assume l'opera, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio.
Il punto essenziale, a questo riguardo, è di conoscere cosa si intenda per rischio, e per giungere a quello che a noi sembra l'esatta nozione. Procediamo per ordine.

L'inciso "con organizzazione dei mezzi necessari" è stato una novità rispetto al progetto ministeriale del 1940 ed esso cominciò col dare una accentuazione tecnica al rischio dell'appaltatore, e serve anche quasi per mettere in mora l'assuntore nel senso che non deve egli, a cuor leggero, assumere qualunque intrapresa, ma deve commisurare l'importanza dell'appalto alla sua potenzialità tecnica. Il committente può anche essere in colpa e subire le conseguenze della sua imprudenza se affida un'opera di gran mole ad un'impresa fornita di scarsi mezzi, ma, tranne che la sproporzione sia troppo evidente ovvero che l' imprudenza del committente risulti da altri elementi oggettivi, non si può pretendere che per ogni appalto si faccia un' indagine tecnica intesa ad accertare la possibilità dell'assuntore per eseguire quel dato lavoro. A parte che, nel più dei casi, mancano al committente le cognizioni ed i mezzi per eseguire una simile indagine, è da notare che quando un privato si rivolge ad un'impresa, conosciuta nella piazza, non può sapere e tanto meno può chiedere se questa impresa abbia, in quel dato momento, assunta tale una mole di lavori, da avere esaurito le proprie possibilità tecniche in guisa da non poter far fronte al nuovo appalto che le si va a proporre. Chi ha pratica di lavori sa che i mezzi d'opera passano da un cantiere all'altro della stessa impresa in relazione allo sviluppo delle opere e quindi il committente che si affida, come diciamo, ad una ditta abbastanza conosciuta non la obbliga di compiere indagini sulla potenzialità tecnica della ditta.

Conseguenza della responsabilità che, in linea principale, incombe all'impresa di organizzare quanto occorre per l'esecuzione dell'opera assunta, è quella che il risultato finale dell'appalto costituisce il rischio, proprio di questo contratto, il quale rischio sta a carico dell'assuntore.
Su questo punto occorre intenderci, perché, come abbiamo accennato, è il punto essenziale e il perno di tutte le discussioni concernenti l'appalto.
Se noi consideriamo superficialmente la disposizione di legge potremmo restare in dubbio se il rischio si debba intendere in senso economico ovvero in senso tecnico: in senso economico, vale a dire nel significato che l'assuntore debba consegnare l'opera finita quale che sia il suo costo e quindi quale che sia l'eventuale differenza, a suo carico, rispetto alle previsioni di contratto; in senso tecnico e così col significato che l'assuntore risponde delle imperfezioni causate da lui o dai suoi agenti nel corso dei lavori, col conseguente obbligo di eliminarle a sue spese.
Ora, anche questo rischio tecnico ha un riflesso economico, tuttavia dobbiamo cominciare con lo scartare, in confronto alle prescrizioni del codice, il rischio economico, e dobbiamo scartarlo non solo nei contratti a misura, ma anche in quelli a corpo, per i quali più appariscente e più seducente apparirebbe l'illazione che la legge abbia voluto riferirsi al rischio economico. La ragione della esclusione, oltre che nel concetto fondamentale che il contratto d'appalto è commutativo e non aleatorio, sta nelle altre disposizioni del codice concernenti l'eccessiva onerosità e cioè tanto in quelle di ordine generale per tutti i contratti contenute nell'art. 1467 quanto nelle altre che specificatamente si riferiscono agli appalti, sancite nell'art. 1664.

Il rischio pertanto, al quale allude il codice, è il rischio tecnico, vale a dire che l'appaltatore deve, nell'organizzare il cantiere e nell'eseguire i lavori sopportare quei danni che provengano da forza maggiore o che più particolarmente possono essere a lui imputabili o per cattiva organizzazione o per non felice scelta dei suoi collaboratori ed operai. Egli deve dare l'opera compiuta in perfetto stato e quindi deve eliminare, a sue spese, in corso d'opera o alla fine le imperfezioni che man mano si vanno scoprendo e se il risultato finale non sarà quale egli aveva sperato e se anche, in luogo di lucrare, avrà avuto una perdita, tutto ciò ricadrà a suo carico, purché si sia sempre entro i limiti del rischio dell' organizzazione.

Perché infatti, anche il rischio tecnico delineato dal codice ha i suoi limiti, ed oltre a quello della eccessiva onerosità che in casi particolari può dipendere anche dalla condotta tecnica dei lavori, vi sono le altre norme del citato art. 1664 per le quali se nel corso dell'opera si manifestano difficoltà di esecuzione derivanti
da cause geologiche, idriche e simili, non previste dalle parti che rendano notevolmente più onerosa la prestazione dell'appaltatore, questi ha diritto ad un equo compenso.


Oggetto dell'appalto

L'oggetto della prestazione, secondo l' indicazione del codice, è il compimento di un'opera o di un servizio. Su questo punto poco abbiamo da dire perché la proposizione non ha bisogno di soverchie illustrazioni. L'opera può essere mobile o immobile; di scarsa o di notevole entità: l'essenziale è che si tratti di qualcosa da eseguire e non dello scambio di un oggetto già esistente perché allora saremmo nel caso della vendita e non dell'appalto. Così sarà vendita e non appalto, l'acquisto di un palazzo già costruito, anche se il venditore è la stessa ditta che lo ha costruito.


Il prezzo

Il codice dichiara che il compimento dell'opera o del servizio vien fatto verso un corrispettivo in denaro. Il prezzo è, dunque, uno degli elementi essenziali del contratto, e pertanto se manca il prezzo non vi sarà contratto d'appalto, ma verseremmo in un'altra figura giuridica, la più appropriata delle quali potrebbe essere la donazione.
Essenziale è che il corrispettivo in denaro, ove non si abbia per la totalità, sia tuttavia tale da farlo apparire elemento prin­cipale della prestazione, potendosi, in caso diverso, presumersi una permuta effettiva o mascherata, con la eventualità di dubbi e di controversie sempre, in modo particolare, in ordine alla responsabilità decennale. Perché infatti l'appaltatore, il quale in luogo di essere pagato, accetta, poniamo, un altro edificio potrebbe accampare la pretesa — che diciamo subito poco fondata — di essere un permutante il quale non ha altre responsabilità che quelle derivanti da questo contratto e non da quello di appalto.

Come appunto abbiamo accennato, la mancanza assoluta del corrispettivo trasforma l'appalto in altro contratto e normalmente nella donazione. Anche qui il punto cruciale è sempre quello della responsabilità decennale. È occorso infatti che un facoltoso appaltatore abbia costruito un edificio destinato ad orfanotrofio, facendone dono all'ente creato appositamente per l'amministrazione e la gestione dell'orfanotrofio medesimo. Il donatore non può certamente assumere la speciale responsabilità decennale verso l'ente che non gli ha pagato il costo della costruzione e quindi qualsiasi futuro danno all'edificio e di qualsiasi natura sta a carico del proprietario, il quale potrebbe anche essere esposto a sopportare la totale rovina della costruzione. Vi potrebbe essere un intreccio subalterno di responsabilità in confronto ai subappaltatori che avessero eseguito parti di opera, e la individuazione delle responsabilità, più o meno facile che sia, può giovare al donatario, ma di fronte al donante, a meno di clausole speciali, poco concepibili, il donatario non può agire per la responsabilità decennale perché manca uno degli elementi essenziali del contratto d'appalto, vale a dire il corrispettivo in denaro.

Comunque, per concludere, vi è sempre appalto, anche se una parte non esuberante del prezzo è pagata in modo diverso del denaro.

Relazione al Libro delle Obbligazioni

(Relazione del Guardasigilli al Progetto Ministeriale - Libro delle Obbligazioni 1941)

469 Nell'individuare gli elementi essenziali e caratteristici del contratto di appalto, l'art. 533 si distacca sotto due profili dal corrispondente art. 507 del progetto del 1936.
Anzitutto non è apparsa perfettamente esatta la dicotomia "compimento di un lavoro o di un'opera", perché se l'esecuzione di un'opera appare veramente il risultato giuridico del contratto, che ha riguardo all'opus come risultato di un'attività e non un'attività di lavoro impiegata per conseguirlo, invece l'espressione "compimento di un lavoro" poteva indurre in equivoco e far pensare che non si era tenuto sufficientemente presente il criterio discretivo fra locatio operis e locatio operarum. In verità con quell'espressione il progetto voleva probabilmente alludere alla prestazione di servizi, intesi sempre come risultato e non come semplice attività lavorativa. Ma ho preferito comunque tacerne, sia perché la prestazione di servigi esorbita frequentemente dallo schema tipico dell'appalto, pur entrando nella generica figura della locazione di opera, sia perché l'espressione "esecuzione di un'opera" mi sembra idonea a comprendere tutte le ipotesi e quindi anche quelle in cui il risultato promesso non sia un opus materiale.
In secondo luogo, mentre il progetto poneva fra i caratteri essenziali dell'appalto 1'elemento della direzione da parte dell'appaltatore, io ho preferito mettere invece in rilievo l'elemento della gestione a suo rischio. Se pure infatti non si può negare che nell'appalto l'elemento della direzione dell'appaltatore si ritrovi quasi sempre, tuttavia bisogna riconoscere che non di rado esso non ha grande rilievo. E' frequente il caso infatti che il committente nomini una persona di sua fiducia per dirigere i lavori e controllare quindi il procedimento di esecuzione dell'opera, con conseguente menomazione del potere direttivo dell'appaltatore, che in qualche caso diventa quasi un semplice esecutore delle direttive e delle disposizioni di quello. Invece, l'elemento della gestione a rischio dell'appaltatore, nel senso che questi organizza a proprio rischio le attività necessarie alla produzione dell'opus, è un carattere ineliminabile dell'appalto, mancando il quale il contratto assume un nomen iuris diverso. Del resto, che l'appaltatore debba in qualche modo avere la direzione dell'impresa, risulta lo stesso dal concetto di gestione a rischio, perché, essendo l'organizzazione del lavoro a rischio dell'appaltatore, ossa si qualifica necessariamente come una gestione autonoma della quale il potere di direzione è appunto uno degli aspetti.

Massime relative all'art. 1655 Codice Civile

Cass. civ. n. 18792/2020

Dal momento che, nel contratto di appalto, il committente può non coincidere con il soggetto in favore del quale debbano essere eseguiti i lavori, l'appaltatore che agisce in giudizio per il pagamento del corrispettivo ha l'onere di provare l'esistenza del contratto e il suo specifico contenuto, onde dimostrare la titolarità della situazione soggettiva passiva in capo al convenuto.

Cass. civ. n. 6449/2020

È configurabile un appalto di servizi di trasporto (e non un mero contratto di trasporto) ove le parti abbiano pianificato, con una disciplina ed un corrispettivo unitario e con l'apprestamento di idonea organizzazione da parte del trasportatore, l'esecuzione di una serie di trasporti aventi carattere di prestazioni continuative in vista del raggiungimento di un risultato complessivo rispondente alle esigenze del committente. (Nella specie, la S.C. ha confermato sul punto la decisione di merito che, in conformità al principio di cui alla massima, aveva riqualificato come appalto di servizi di trasporto il rapporto negoziale, denominato dalle parti contratto di sub-trasporto, in considerazione di elementi di fatto tali da farlo ritenere non limitato all'esecuzione di singole e sporadiche prestazioni di trasporto, ma rientrante nell'ambito di un'unitaria e sistematica strategia di "outsourcing").

Cass. civ. n. 727/2020

In tema di appalto di opere pubbliche, la riserva della quale l'appaltatore è onerato al fine di evitare la decadenza da domande di ulteriori compensi, indennizzi o risarcimenti, richiesti in dipendenza dello svolgimento del collaudo, non assurge ad atto di costituzione in mora, con la conseguenza che gli interessi sulle somme effettivamente dovute da parte della P.A. vanno liquidati con decorrenza dalla data della domanda introduttiva del giudizio, quale unico momento all'uopo rilevante, in quanto è allo stesso appaltatore consentito di attivarsi per la relativa proposizione.

Cass. civ. n. 133/2020

In tema di appalto, per la determinazione dell'oggetto, non è necessario che l'opera sia specificata in tutti i suoi particolari, ma è sufficiente che ne siano fissati gli elementi fondamentali. Ne consegue che eventuali deficienze ed inesattezze riguardanti taluni elementi costruttivi non costituiscono causa di nullità, quando non siano rilevanti ai fini della realizzazione dell'opera e non ne impediscano l'agevole individuazione, nella sua consistenza qualitativa e quantitativa, mediante il ricorso ai criteri generali della buona tecnica costruttiva ed alle cd. regole d'arte, le quali devono adeguarsi alle esigenze e agli scopi cui l'opera è destinata.

Cass. civ. n. 32991/2019

In tema di appalto per interventi di ricostruzione e di immobili a seguito di eventi sismici, per i danni derivanti da omessa, parziale o carente riattazione, è configurabile la responsabilità, non solo dell'appaltatore, ma anche dell'amministrazione committente, alla luce degli obblighi sulla medesima incombenti con riferimento alla fase iniziale di progettazione dei lavori, a quelle successive dell'esecuzione e dell'ultimazione delle opere appaltate e a quella finale dell'accertamento della conformità delle opere stesse a quelle progettate con conseguente loro collaudo.

Cass. civ. n. 21908/2019

In tema di appalto, il pagamento dell'opera non può, in difetto dei necessari chiarimenti circa la misura dei singoli titoli di credito ed il loro incasso effettivo da parte del creditore, ritenersi comprovato sulla base dell'affermata produzione di una serie di assegni emessi dal committente in favore dell'appaltatore, trattandosi di circostanza che, nella sua assoluta genericità, risulta del tutto inidonea tanto ad assurgere a prova di qualsivoglia pagamento, quanto, e a "fortiori", ad innestare sull'appaltatore l'onere di provare una diversa imputazione dei titoli stessi.

Cass. civ. n. 21517/2019

Nel contratto di appalto stipulato tra privati, quando il corrispettivo sia stato fissato a corpo e non a misura, il prezzo viene determinato in una somma fissa ed invariabile che non può subire modifiche, se non giustificate da variazioni in corso d'opera; sicché, nel caso di parziale inadempimento dell'appaltatore, ove sia necessario determinare il suo compenso per i lavori già eseguiti, il dato di riferimento è sempre il prezzo concordato a corpo, con la conseguenza che da questo va detratto il costo dei lavori non eseguiti e non, invece, calcolato il costo di quelli realizzati. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO L'AQUILA, 11/09/2014).

Cass. civ. n. 10173/2018

L'illiceità del contratto di appalto per la costruzione di un immobile senza concessione edilizia sussiste solo qualora l'appalto sia eseguito in carenza di concessione, e non anche nel caso in cui la concessione sia rilasciata dopo la data di stipula ma, comunque, prima della realizzazione dell'opera, non essendo conforme alla "mens legis" la sanzione di nullità comminata ad un contratto il cui adempimento, in ossequio al precetto normativo, sia stato intenzionalmente posposto al previo ottenimento della concessione o autorizzazione richiesta, e potendosi tale contratto considerare sospensivamente condizionato, in forza di presupposizione, al previo ottenimento dell'atto amministrativo mancante al momento della stipulazione. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO POTENZA, 18/12/2013).

Cass. civ. n. 5935/2018

Ai fini della differenziazione tra vendita ed appalto, quando alla prestazione di fare, caratterizzante l'appalto, si affianchi quella di dare, tipica della vendita, deve aversi riguardo alla prevalenza o meno del lavoro sulla materia, con riguardo alla volontà dei contraenti oltre che al senso oggettivo del negozio, al fine di accertare se la somministrazione della materia sia un semplice mezzo per la produzione dell'opera ed il lavoro lo scopo del contratto (appalto), oppure se il lavoro sia il mezzo per la trasformazione della materia ed il conseguimento della cosa l'effettiva finalità del contratto (vendita).

Cass. civ. n. 27258/2017

Ove facciano difetto circostanze di fatto atte a dimostrare che il committente si sia riservato l'organizzazione e la divisione del lavoro e degli strumenti tecnici, assumendo, quindi, il rischio del conseguimento del risultato ripromessosi, la qualità di imprenditore del soggetto cui sia stata affidata l'esecuzione di un'opera o di un servizio fa presumere che le parti abbiano inteso stipulare un contratto d'appalto e non di opera.

Cass. civ. n. 20301/2012

Si ha contratto di appalto, e non contratto di vendita, quando, secondo la volontà dei contraenti, la prestazione della materia è un semplice mezzo per la produzione dell'opera, il lavoro essendo prevalente rispetto alla materia, sicché è corretta la qualificazione come appalto del contratto avente ad oggetto la costruzione di un capannone di grandi dimensioni (ottomila metri cubi), trattandosi necessariamente di un'opera da realizzare "su misura" rispetto alle specifiche esigenze del committente, con prevalenza, quindi, dell'obbligazione di "facere" rispetto alla pattuita fornitura di elementi prefabbricati da parte dell'appaltatore.

Cass. civ. n. 12519/2010

Il contratto d' appalto ed il contratto d'opera si differenziano per il fatto che nel primo l'esecuzione dell'opera commissionata avviene mediante una organizzazione di media o grande impresa cui l'obbligato è preposto, mentre nel secondo con il prevalente lavoro di quest'ultimo, pur se coadiuvato da componenti della sua famiglia o da qualche collaboratore, secondo il modulo organizzativo della piccola impresa.

Cass. civ. n. 4364/2008

In tema di interpretazione del contratto, la pattuizione con la quale una parte consegni all'altra un progetto artigianale ed approssimativo, sulla base del quale realizzare, a mezzo di propri tecnici, di personale specializzato ed in autonomia, un prodotto in serie destinato alla commercializzazione (nella specie, sedie), dev'essere qualificata come appalto e non come vendita su campione, non potendo un tale progetto fungere da campione ovvero da esemplare (appartenente al genere oggetto della vendita) idoneo a servire da modello per il controllo della conformità della cosa consegnata a quella pattuita, né come appalto «a regia» tenuto conto della piena autonomia dell'appaltatore nell'esecuzione della prestazione.

Cass. civ. n. 17927/2003

Il principio in forza del quale, ai sensi degli artt. 138, secondo comma, e 141 c.p.c., la notificazione deve ritenersi validamente effettuata a mani proprie del domiciliatario, anche quando questi rifiuti di ricevere l'atto, allegando, ad esempio, la rinuncia o la revoca dell'incarico conferitogli dal notificando, qualora tali eventi non siano stati comunicati, ovvero siano stati comunicati senza porre il notificante in grado di eseguire la notificazione altrove, trova applicazione pure con riguardo all'appello ovvero al ricorso per cassazione. Ciò comporta, nel caso di rifiuto del domiciliatario della parte di cui sia intervenuta dichiarazione di fallimento, di ricevere la notificazione della sentenza di appello, senza aver reso noto l'evento interruttivo, e senza rendere all'ufficiale giudiziario alcuna formale dichiarazione al riguardo, che la notifica è validamente eseguita.

Cass. civ. n. 12546/2003

Ai fini della differenziazione tra il contratto di appalto e di somministrazione — rilevante rispetto all'azione volta al riconoscimento della responsabilità solidale ex art. 3, legge .n. 1369 del 1960, essendo le conseguenze previste da detto articolo circoscritte solo all'appalto — il criterio distintivo da adottare si fonda sul principio secondo cui, nel caso di prestazione continuativa di servizi anziché di cose, si ha contratto di appalto; invece, si ha somministrazione nel caso in cui le cose da somministrare in via continuativa debbano essere prodotte dal somministrante; inoltre, quando l'attività di fare è strumentale rispetto all'erogazione, si resta nell'ambito della somministrazione, se, invece, è prevalente il lavoro prestato, si ha appalto.

Cass. civ. n. 7307/2001

Il contratto d'appalto ed il contratto d'opera si differenziano per il fatto che nel primo l'esecuzione dell'opera commissionata avviene mediante una organizzazione di media o grande impresa in cui l'obbligato è preposto e nel secondo con il prevalente lavoro di quest'ultimo, pur se coadiuvato da componenti della sua famiglia o da qualche collaboratore secondo il modulo organizzativo della piccola impresa desumibile dall'art. 2083 c.c.

Cass. civ. n. 5609/2001

La distinzione tra appalto d'opera e appalto di servizi riguarda l'oggetto del contratto che può consistere sia in opere che in servizi, intendendosi per opera qualsiasi modificazione dello stato materiale di cose preesistenti e per servizio qualsiasi utilità che può essere creata da un altro soggetto, diversa dalle opere. La qualificazione del contratto come appalto d'opera o come appalto di servizi costituisce accertamento di fatto riservato al giudice del merito ed insindacabile in sede di legittimità, se congruamente motivato.

La tutela possessoria dell'appaltatore contro lo spoglio commesso dal committente che sia receduto dal contratto non è configurabile nell'ipotesi di appalto di servizi, in cui l'interesse dell'appaltatore non ha come termine di riferimento una res (restando gli impianti ed il locale occorrenti per la prestazione del servizio nella piena disponibilità del committente), ma solo l'oggetto contrattuale costituito dalle reciproche prestazioni e, quindi, un facere non concretantesi in un'entità reale suscettibile di detenzione qualificata e, come tale, soggetta alla tutela possessoria.

Cass. civ. n. 7606/1999

Il contratto d'appalto e il contratto d'opera hanno in comune l'obbligazione, verso il committente, di compiere, a fronte di corrispettivo, un'opera o un servizio senza vincolo di subordinazione e con assunzione di rischio da parte di chili esegue, mentre la differenza tra i due negozi è costituita dalla circostanza che nel primo l'esecuzione avviene mediante un'organizzazione di media o grande impresa cui l'obbligato è preposto; nel secondo con il prevalente lavoro di questi, pur se adiuvato da componenti della sua famiglia o da qualche collaboratore, secondo il modulo organizzativo della piccola impresa, desumibile dall'art. 2083 c.c.

Cass. civ. n. 5451/1999

La distinzione tra contratto d'opera e contratto d'appalto (nella specie rilevante ai fini dell'applicazione, riguardo all'azione diretta a far valere la garanzia per difetti e difformità dell'opera, della prescrizione annuale ex art. 2226, secondo comma, c.c. o della prescrizione biennale ex art. 1667, terzo comma), si basa sul criterio della struttura e dimensione dell'impresa a cui sono commissionate le opere, nel senso che il contratto d'opera è quello che coinvolge la piccola impresa, e cioè quella svolgente la propria attività con la prevalenza del lavoro personale dell'imprenditore (e dei propri familiari) e in cui l'organizzazione non è tale da consentire il perseguimento delle iniziative di impresa facendo a meno dell'attività esecutiva dell'imprenditore artigiano. Né, in difetto di questo requisito, è sufficiente ad escludere la figura contrattuale dell'appalto la modesta entità delle opere.

Cass. civ. n. 9237/1997

Il contratto d'opera ha in comune con l'appalto l'obbligo verso il committente di compiere dietro corrispettivo un'opera o un servizio senza vincolo di subordinazione e con assunzione del rischio da parte di chi esegue, differenziandosene invece per il fatto che l'opera o il servizio vengono compiuti con lavoro prevalentemente proprio dell'obbligato, con l'eventuale aiuto dei propri familiari o di pochi collaboratori, e pertanto sotto un aspetto quantitativo piuttosto che qualitativo, restando cioè le due fattispecie diversificate in relazione non alla natura, all'oggetto o al contenuto della prestazione ma al profilo organizzatorio del soggetto che deve compierla. Ne deriva che ai fini della qualificazione giuridica di un contratto come appalto anziché come contratto d'opera non può essere valorizzata l'autonomia dell'imprenditore che ha assunto l'impegno o la previsione pattizia di uno specifico risultato che questi si sia obbligato a raggiungere o ancora la specificazione dettagliata del materiale da adoperare, del tipo di intervento o della mano d'opera, restando inoltre escluso che abbia di per sè carattere indicativo di un appalto l'esistenza di un impresa organizzata che si avvalga per la sua peculiarità di taluni dipendenti specializzati ben potendo anche nel contratto d'opera esservi un'impresa, sia pur di piccole dimensioni, che utilizza specialisti.

Cass. civ. n. 12727/1995

Ove facciano difetto circostanze di fatto atte a dimostrare che il committente si era riservato l'organizzazione e la divisione del lavoro e degli strumenti tecnici, assumendo, quindi, il rischio del conseguimento del risultato ripromessosi, la qualità di imprenditore del soggetto cui sia stata affidata l'esecuzione di un'opera o di un servizio, fa presumere che le parti abbiano inteso stipulare un contratto d'appalto e non di opera, essendo l'appalto caratterizzato dalla organizzazione imprenditoriale dell'appaltatore.

Cass. civ. n. 2035/1994

Il contratto di appalto diretto alla costruzione di un'opera edilizia, senza la prescritta licenza, è nullo e privo di effetti, in quanto ha un oggetto illecito per violazione delle norme imperative di cui agli artt. 31 e 41, L. 17 agosto 1942, n. 1150 e 10 e 13, L. 6 agosto 1967, n. 765, talché l'appaltatore non può pretendere in forza del contratto nullo il pagamento del corrispettivo pattuito, senza che possa rilevare l'ignoranza del mancato rilascio della concessione edilizia, che non può ritenersi scusabile per la grave colpa del contraente, il quale con l'ordinaria diligenza avrebbe potuto avere conoscenza della reale situazione. Ne consegue che essendo dedotta in contratto un'opera contrastante con norme imperative, e penalmente punita con previsione di responsabilità a carico del committente e dell'assuntore dei lavori, è irrilevante l'accertamento della comune intenzione delle parti di fare a meno della concessione o autorizzazione.

Cass. civ. n. 1856/1990

Il contratto di appalto, che si ha qualora una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con la gestione a proprio rischio, il compimento di un'opera, non è incompatibile con il carattere artigianale dell'impresa e con il fatto che il lavoro venga svolto da personale in prevalenza appartenente al nucleo familiare dell'imprenditore.

Cass. civ. n. 4838/1988

La figura dell'appalto a forfait, pur presentando analogie con il lavoro subordinato a cottimo, se ne differenzia, perché in esso il corrispettivo, ancorché parametrato all'opera, è in funzione del conseguimento del risultato e non della quantità di prestazioni fornite in dato periodo di tempo, come nel lavoro a cottimo (che è un prestatore d'opera subordinato), e l'appaltatore gestisce con piena autonomia, e con assunzione del rischio, la propria impresa organizzata. Stabilire in concreto se in un rapporto obbligatorio sia configurabile un appalto (a forfait) o un contratto di lavoro subordinato con retribuzione a cottimo costituisce una valutazione di fatto rimessa all'apprezzamento del giudice del merito, che sfugge al sindacato di legittimità, se sorretto da corretta e idonea motivazione.

Cass. civ. n. 4911/1983

Il contratto d'appalto non è soggetto a rigore di forme e, pertanto, per la sua stipulazione non è richiesta la forma scritta, né ad substantiam, né ad probationem. (Nella specie, il S.C., enunciando surriportato principio, ha ritenuto corretta la decisione di merito che aveva desunto la prova della conclusione del contratto d'appalto e della predeterminazione pattizia della misura del corrispettivo dovuto all'appaltatore da quietanze di quest'ultimo per acconti ricevuti in corso d'opera nelle quali era precisato tale corrispettivo.

Cass. civ. n. 4339/1979

Il contratto di appalto presuppone che l' imprenditore abbia un'organizzazione di mezzi e di persone destinati a realizzare a suo rischio un'opera complessa per conto del committente, il che si verifica sia nell'ipotesi in cui è rimessa all'appaltatore tutta l'attività occorrente per l'esecuzione dell'opera, ivi compreso il reperimento e l'apprestamento dei materiali, sia nell'ipotesi in cui è dovuta allo stesso la sola attività consistente nella messa in opera degli elementi costruttivi secondo i dettami della tecnica, in quanto la configurazione del contratto di appalto è esclusa soltanto se il committente fornisce anche gli strumenti e i mezzi meccanici che servono alla costruzione, o organizza direttamente il personale da impiegare, ovvero sottopone l'esecuzione dell'opera a suoi ordini continuativi e minuti. Non manca, invece, il requisito del rischio quando si pattuisce il corrispettivo commisurandolo all'impiego autonomo dei mezzi e del personale che concorrono a formare un'organizzazione imprenditoriale ai fini costruttivi. Infatti, il rischio va ravvisato nel fatto che, nonostante l'applicazione delle tariffe, possa aversi da parte dell'imprenditore un impiego della propria organizzazione - che non viene coperto dall'ammontare del corrispettivo che così risulta.

Cass. civ. n. 3754/1979

Il rischio o pericolo che l'appaltatore assume nel compimento dell'opera o del servizio, non è quello inteso in senso tecnico-giuridico, relativo, cioè, ai casi fortuiti, ma quello cosiddetto economico, che deriva dall'impossibilità di stabilire previamente ed esattamente i costi relativi, per cui l'appaltatore, che non ha il potere di interrompere i lavori per l'aumentata onerosità degli stessi, potrà anche perdere nell'affare se i costi si riveleranno superiori al corrispettivo pattuito, salve le modificazioni consentite in presenza di determinate circostanze e realizzabili col rimedio della revisione dei prezzi.

Cass. civ. n. 1588/1979

Per la determinazione dell'oggetto del contratto di appalto non è necessario che l'opera sia specificata in tutti i suoi particolari, ma è sufficiente che ne siano fissati gli elementi fondamentali, ben potendo le parti contraenti rinviare a successivi accordi la determinazione di punti non fondamentali. Ne consegue che le eventuali deficienze ed inesattezze riguardanti taluni elementi costruttivi non costituiscono causa di nullità del contratto quando non siano rilevanti ai fini della realizzazione dell'opera e consentano un'agevole individuazione della stessa, nella sua consistenza qualitativa e quantitativa, mediante il ricorso ai criteri generali della buona tecnica costruttiva e alle cosiddette regole d'arte, le quali devono adeguarsi alle esigenze e agli scopi cui l'opera è destinata.

Cass. civ. n. 1125/1979

Il contratto di appalto, che non richiede per la stipulazione la forma scritta né ad substantiam, né ad probationem, può essere concluso con la sottoscrizione del solo elenco dei lavori da eseguirsi, con i relativi prezzi, non essendo necessario che sia sottoscritto anche il successivo documento che fissa il prezzo globale forfetario.

Cass. civ. n. 2396/1971

Il criterio distintivo fra prestazione di lavoro subordinato e appalto di servizi va individuato nel fatto che, mentre l'oggetto del primo è costituito dalla prestazione di una energia lavorativa, cui il lavoratore si obbliga in favore dell'imprenditore in rapporto di collaborazione e di subordinazione, inserendosi in tal modo nella organizzazione dell'impresa; nell'appalto di servizi, invece, l' appaltatore si obbliga alla prestazione di un dato risultato, agendo autonomamente e a proprio rischio.

Cass. civ. n. 898/1970

In materia di appalto, la sorveglianza ed il controllo esercitati dal committente non bastano a degradare il rapporto nell'ambito di un contratto di lavoro subordinato.

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Consulenze legali
relative all'articolo 1655 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

Carlo G. chiede
mercoledì 03/02/2021 - Piemonte
“un termotecnico mi ha proposto un intervento sulla mia casa di abitazione sfruttando l'ecobonus 110% , solo dopo uno studio di fattibilità e conformità edilizia, onde abbassare la mia classe energetica di almeno 2 punti, tramite un intervento integrato globale con pannelli fotovoltaici, caldaia a condensazione, pompa di calore, eventuale integrazione dell'isolamento preesistente e serramenti, per un valore totale di circa 50.000 euro. Mi viene richiesto di sottoscrivere:
1-un'autorizzazione per accedere ai documenti, per lo studio di fattibilità
2-successivamente, un modulo di incarico professionale intestato all'azienda Y srl, con costi e oneri a proprio carico, come individuato nel progetto che verrà predisposto da Y affinché il committente possa usufruire del superbonus art 119, ecc. Mi viene detto: "lei non dovrà sborsare un soldo", ma una penale di euro 10.000, SOLO nel caso il committente, dopo lo studio di fattibilità del progetto e la possibilità di accedere agli incentivi NON INTENDESSE PIU' DAR CORSO AGLI INTERVENTI ATTRAVERSO Y. Chiedo se è necessario tutelarmi per iscritto, nel caso io fossi responsabile o dovessi risarcire le spese nei seguenti casi:
1- il progetto non viene approvato dall'autorità ufficiale preposta
2-i fondi preposti dallo stato si esauriscono, la legge viene sospesa, i lavori non vengono poi realizzati o non completati. Qualcuno, non pagato, può rivalersi su di me? Inoltre: come controllare la qualità e il prezzo equo dei componenti utilizzati? - è necessaria una fideiussione assicurativa che garantisca manutenzione e qualità di prodotti, materiali? Sembra inoltre che la controparte non accetti la mia richiesta di una data certa per inizio e fine lavori, ne' una penale per ritardi. Il termotecnico potrebbe poi pretendere da me una provvigione? D'altra parte, per vari motivi avrei interesse e necessità di far eseguire i lavori sopracitati al più presto, accettando subito. Su vs. richiesta posso inviarvi copia della lettera d'incarico, non ancora da me firmata.”
Consulenza legale i 12/02/2021
Al fine di meglio inquadrare la fattispecie, è necessario svolgere alcune considerazioni in primo luogo circa la natura della clausola che prevede il pagamento di Euro 10.000 in caso di rinuncia all’esecuzione dei lavori dopo la redazione dello studio di fattibilità, dato anche che la “lettera di incarico” che la prevede è stata già sottoscritta assumendo il relativo impegno.
Tale clausola viene definita come una “penale” nel quesito e nei documenti ad esso allegati, ma si tratta -a parere dello scrivente- di una definizione impropria, in quanto l’obbligazione di pagamento si configura piuttosto come una multa penitenziale.
La differenza tra i due istituti risiede nel fatto che con la pattuizione di una clausola penale le parti convengono di predeterminare la misura del risarcimento del danno per il caso di inadempimento o di ritardo nell'adempimento (art. 1382 c.c.), mentre la multa penitenziale persegue la diversa finalità di indennizzare un contraente in caso di esercizio del diritto di recesso da parte dell'altro (art. 1373 c.c.).
Questa distinzione, a prima vista oziosa, comporta in realtà una conseguenza abbastanza rilevante, ossia l’impossibilità –ove sorga un eventuale contenzioso- di chiedere al Giudice che, ai sensi dell’art. 1384 c.c., la somma venga diminuita deducendo che l'ammontare della penale è manifestamente eccessivo.
Come affermato dalla recente giurisprudenza, infatti, l’art. 1384 c.c., introducendo deroga al principio generale di libertà posto dall'art. 1322 c.c., non può essere oggetto di applicazione analogica a fattispecie diverse da quella contemplata dalla norma medesima (Cassazione civile, sez. II, 25 agosto 2020, n. 17715; Tribunale Arezzo, 19 marzo 2020, n. 240; Tribunale Milano, sez. V, 04 settembre 2019, n. 7969).
In caso di contestazioni, si potrebbe in un’ottica difensiva fare riferimento all’art. 33 del Codice del consumo in tema di clausole vessatorie, senza avere però la certezza che il Giudice accolga tale tesi, considerato che esistono anche precedenti giurisprudenziali che in casi analoghi hanno escluso la natura vessatoria di simili pattuizioni (Cassazione civile sez. VI, 09 aprile 2019, n. 9937; Cassazione civile, sez. II, 18 marzo 2010, n. 6558).

In secondo luogo, si nota che l’accettazione del progetto proposto a seguito dello “studio di fattibilità” determina sostanzialmente l’instaurazione di un contratto di appalto (art. 1655 c.c.), che –come si legge nella lettera di incarico- verrà eseguito anche tramite l’intervento di subappaltatori.
Il Codice civile detta diverse garanzie a favore del committente sia nel corso dell’esecuzione dei lavori, sia dopo la loro conclusione, che è opportuno tenere presenti.
Il committente ha diritto a controllare lo svolgimento dei lavori e, se essi non procedano alle condizioni stabilite dal contratto e a regola d'arte, può fissare un congruo termine entro il quale l'appaltatore si deve conformare a tali condizioni, pena la risoluzione del contratto (art. 1662 c.c.).
Inoltre, prima di ricevere la consegna dell’opera, ha diritto a verificare quanto fatto prima di accettarla (art. 1665 c.c.).
Pertanto, nell’ipotesi di dubbi o riserve circa la corretta esecuzione dei lavori, è possibile esercitare tali facoltà e, in sede di consegna dell’opera, è consigliabile evidenziare eventuali difetti o problematiche riscontrati (in mancanza, infatti, l’opera si considera accettata).
Esistono poi tutele in caso di vizi che si manifestino dopo la conclusione dell’appalto sancite dagli art. 1667 e 1669 c.c..
In questa sede è prematuro addentrarsi nella descrizione di tali istituti, ma è sufficiente specificare che –per evitare di incorrere in decadenze- è consigliabile sempre denunciare per iscritto la presenza dei difetti entro sessanta giorni dalla scoperta.
In ogni caso, tali cautele dovrebbero essere sufficienti a garantire il diritto al risarcimento in caso di scorretta esecuzione dell’opera, senza la necessità di ricorrere ad altri strumenti come fideiussioni o simili.
Va rilevato, altresì, che il contratto si instaura soltanto tra appaltatore e committente e che quest’ultimo rimane estraneo ai rapporti con i subappaltatori.
Ne consegue, da una parte, che è sufficiente rivolgere ogni eventuale contestazione all’appaltatore, che ne risponderà direttamente (Tribunale Milano, sez. VII, 30 aprile 2020, n. 2666) e che, ricorrendone i presupposti, potrà soltanto rivalersi sul subappaltatore ex art. 1670 c.c. e, dall’altra, che i subappaltatori non paiono poter avanzare pretese nei confronti del committente.

Naturalmente, tali garanzie si riferiscono soltanto all’esecuzione dell’opera in sé e per sé considerata, ma non sembrano poter essere estese alla possibilità di ottenere i benefici fiscali.
Infatti, il Fisco generalmente è “indifferente” a questioni di tipo privatistico o contrattuale e, dunque, eventuali violazioni di tipo tributario possono coinvolgere necessariamente anche il committente.
Inoltre, pare abbastanza difficile ipotizzare che l’appaltatore possa essere validamente chiamato a rispondere nell’ipotesi in cui il Legislatore decida di modificare le norme che regolano l’erogazione del contributo o in caso i fondi si esauriscano (factum principis ).
Diverso è il caso della perdita del bonus a seguito di errori nello studio di fattibilità, in relazione ai quali pare possibile in astratto contestare nei confronti della società che l’ha redatto un inadempimento o, comunque, una responsabilità professionale.
Comunque, si evidenzia che il grado di litigiosità che può scaturire dal presente contratto è proporzionale alla precisione e alla completezza del progetto che verrà sottoposto al committente: in breve, più chiaro e dettagliato sarà il progetto riguardo alle reciproche obbligazioni delle parti, minore sarà il rischio di incorrere in eventuali contenziosi.
Pertanto, è opportuno prestare una particolare attenzione a tutti i futuri documenti che verranno sottoposti per la sottoscrizione, soprattutto le clausole per le quali venga eventualmente richiesta una doppia sottoscrizione.
Sicuramente, inoltre, è il caso di insistere affinché venga previsto un termine iniziale e finale per l’esecuzione dei lavori, in modo che la prestazione a carico dell’appaltatore sia determinata in modo preciso anche sotto il profilo temporale.

Infine, per quanto concerne la posizione del termotecnico e del suo eventuale compenso, si nota che l’attività di tale soggetto potrebbe essere in astratto ricondotta alle figure del mediatore (art. 1754 c.c.) o del procacciatore d’affari.
Entrambi i soggetti mettono in contatto due parti per la conclusione di un affare, con la differenza che il primo rimane in una posizione di imparzialità rispetto alle parti, mentre il secondo agisce dietro incarico di una di esse.
Dai documenti in possesso dello scrivente non è chiaro se ricorra l’una o l’altra situazione, ma si deve tenere comunque presente che, ai fini dell’esercizio dell’attività di mediatore e del diritto a percepire la provvigione è necessaria l’iscrizione ad uno specifico albo, mentre il procacciatore d'affari ha diritto al pagamento solo nei confronti della parte alla quale sia legato da rapporti di collaborazione (cioè il cosiddetto “general contractor”) (Cassazione civile sez. II, 25 giugno 2020, n. 12651).
Nella fattispecie, dunque, il rischio di vedersi chiedere un compenso per l’intermediazione prestata è abbastanza basso, ma è comunque consigliabile chiarire esplicitamente la questione con il termotecnico.


S. I. chiede
sabato 15/09/2018 - Calabria
“Gent.ma redazione di Brocardi, inoltro una richiesta di consulenza legale relativa ad alcuni problemi legati al nostro condominio e a difetti nella costruzione della villetta di Nostra proprietà, imputabili alla negligenza del costruttore/venditore.
Seguiranno in allegato due missive da me inoltrate all'Amministratore del suddetto condominio, nelle quali sono dettagliatamente specificate le problematiche in oggetto.
Tali missive, d'accordo con l'Amministratore, abbiamo concordato strategicamente di non metterle a conoscenza del costruttore/venditore.

In attesa di cortese e sollecito riscontro, ringrazio anticipatamente e porgo i miei cordiali saluti.


Consulenza legale i 01/10/2018
Il complicato ed intricato quesito proposto, esposto tra l’altro in maniera chiara e lucidissima dal suo autore, ci offre la possibilità di affrontare un argomento molto frequente in ambito condominiale: i vizi di costruzione derivanti da una non corretta esecuzione dell’opera commissionata.

Il contratto di appalto è previsto dall’art. 1655 del c,c, e viene definito come il contratto con il quale una parte, detta appaltatore, assume con l’organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, l’obbligazione di compiere per l’altra parte, detta committente, un’opera o un servizio verso un corrispettivo in denaro. Frequente in ambito condominiale è la presenza dell’appalto d’opera, che è il tipico contratto che viene utilizzato per commissionare ad una impresa edile la costruzione o ristrutturazione di un edificio condominiale.

Prima di addentrarci nello specifico a parlare del contratto di appalto e delle responsabilità dell’appaltatore è importante soffermarci a trattare rapidamente il caso degli immobili in corso di costruzione.
Prima ancora che possa sorgere l’edificio condominiale, capita sovente che il costruttore proponga “su carta”, la vendita delle unità abitative che andranno a formare l’erigendo fabbricato. Nel momento in cui l’impresa edile ed il suo cliente raggiungono una intesa di massima circa l’acquisto dell’immobile, si sottoscrive solitamente tra il costruttore e il cliente un preliminare di immobile da costruire, a cui seguirà, una volta terminata la costruzione dell’edificio, il rogito di acquisto dell’immobile.

Il preliminare di immobile da costruire viene definito dalla giurisprudenza e dottrina dominante come un contratto a causa mista vendita-appalto;in forza di esso il costruttore assume su di sé non solo i tipici obblighi e la responsabilità previsti dal codice civile per il venditore, ma anche i tipici obblighi e responsabilità dell’appaltatore.
Si è ritenuto opportuno effettuare questa piccola precisazione sull’immobile da costruire, in quanto, da quanto letto, sembra che l’autore del quesito abbia acquistato su carta la propria unità abitativa: quello che si dirà nel proseguo vale anche per chi ha acquistato su carta un immobile di futura edificazione.

L’appalto d’opera è, tipicamente, un contratto ad esecuzione continuata, nel senso che la realizzazione dell’opera avviene, col protrarsi del tempo e l’ interesse del committente si realizza con l’ultimo atto esecutivo da parte della impresa appaltatrice.
Per tale motivo il codice civile va a disciplinare in maniera piuttosto dettagliata la esecuzione del contratto di appalto, e gli obblighi che per questo sorgono tra committente e costruttore.

Per le finalità che ci si propone di raggiungere col presente parere, è importante dare un breve cenno alle operazioni di verifica e collaudo con conseguente accettazione dell’opera
Il codice civile agli artt. 1665 e 1668 del c.c., prevede la possibilità per il committente di verificare l’opera eseguita, o un suo stato di avanzamento. La verifica, generalmente effettuata per mezzo di tecnico di fiducia del committente, è l’operazione attraverso la quale il committente accerta la conformità dell’opera costruita con quanto commissionato.
Se la verifica ha esito positivo, l’opera viene accettata dal committente. L’accettazione può essere espressa o tacita. Si ha accettazione espressa quando il committente attraverso un atto scritto espressamente dichiara di accettare l’opera eseguita e che la stessa è conforme a quanto commissionato. L’ accettazione tacita o presunta viene prevista dal codice civile:
1) se nonostante l’invito fatto dall’appaltatore, il committente tralascia di verificare l’opera, la stessa si considera accettata;
2)se il committente, nonostante l’invito fatto dall’appaltatore, non comunica i risultati della verifica entro un congruo termine;
3) la consegna dell’opera fatta al committente senza che quest’ultimo avanzi specifiche riserve;
4) con il pagamento integrale del prezzo dell’opera.
L’ accettazione ha una importanza fondamentale nell’ottica della responsabilità dell’appaltatore, in quanto ha tra i suoi effetti principali quello di liberare l’appaltatore dalla responsabilità per vizi palesi. Pertanto una eventuale accettazione espressa derivante da una verifica mal eseguita dal committente, o una accettazione presunta potrebbero andare a pregiudicare di molto l’esito delle azioni di responsabilità nei confronti dell’appaltatore che si andranno di seguito ad illustrare.

Innanzitutto, l’art. 1667 del c.c. prevede che l’appaltatore è tenuto alla garanzia per le difformità e i vizi dell’opera. Tale azione è subordinata alla denuncia all’appaltatore, entro 60 giorni dalla scoperta dei vizi (salvo che l’appaltatore abbia in mala fede occultato le proprie negligenze), e ha un termine di prescrizione di due anni dalla scoperta dei vizi.
In altre parole, dopo aver scoperto le difformità dell’opera, si deve denunciare a mezzo raccomandata a/r le stesse, per poi, se non si addiviene ad un accordo bonario, instaurare una causa civile per arrivare ad ottenere o l’eliminazione dei vizi o la proporzionale riduzione del prezzo dell’appalto.

Affianco all’art.1667 del c.c. appena illustrato, vi è la garanzia prevista dall’art. 1669 del c.c., rubricato rovina o difetto di cosa immobile.
Tale garanzia opera quando l’opera rovina in tutto o in parte, o vi è evidente pericolo di crollo, per grave difetto della costruzione o vizio del suolo.
L’art.1669 del c.c., trova applicazione non solo per le nuove costruzioni, ma anche per le ristrutturazioni e interventi manutentivi di lunga durata; può essere chiamato a rispondere non solo l’impresa appaltatrice, ma anche l’impresa venditrice costruttrice, da cui si è acquistato su carta una nuova unità abitativa.
Presupposto fondamentale di tale mezzo di tutela è che il vizio di costruzione che ha colpito il bene immobile, sia tale da causare la rovina o il pericolo di rovina dell’edificio.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con sentenza n.7756 del 27.03.2017, in merito al vizio rilevante ex art. 1669 del c.c., hanno chiarito che:” In tema di contratto d’appalto, sono gravi difetti dell’opera, rilevanti ai fini dell’art. 1669 c.c., anche quelli che riguardino elementi secondari ed accessori (come impermeabilizzazioni, rivestimenti, infissi, etc.), purché tali da comprometterne la funzionalità globale e la normale utilizzazione del bene, secondo la destinazione propria di quest’ultimo.”

Anche l’azione ex art.1669 del c.c. è soggetta a rigidi termini di decadenza e di e prescrizione. Innanzitutto, i vizi devono manifestarsi entro 10 anni dal compimento dell’opera; in secondo luogo vi è un obbligo di denunziare il vizio al costruttore entro un anno dalla scoperta.
Si tenga però conto che in giudiziol’onere probatorio di dimostrare che sono decorsi i citati termini prescrizionali-decadenziali previsti dagli artt. 1667 e 1669 del c.c., non è compito della parte che si lamenta dei vizi, ma bensì del costruttore convenuto; onere probatorio che non è detto sia sempre di facile assolvimento.

Venendo a trattare più nello specifico il caso proposto, alla luce delle evidenti negligenze costruttive presenti nel complesso condominiale, è essenziale denunciare quanto prima detti vizi per poi eventualmente valutare una eventuale causa giudiziaria contro il costruttore, con ausilio, oltre che di un legale incaricato, di apposito perito. Tra la denunzia dei vizi e la causa, però, riteniamo sia opportuno provare ad instaurare con la controparte un approccio collaborativo al fine di sondare la possibilità di addivenire ad un accomodamento bonario della vicenda.

Approssimandosi la fine del presente parere, ritengo doveroso soffermarsi sul soggetto che è legittimato a far valere le azioni ex artt 1667 e 1669 del c.c. in ambito condominiale.
Con un importante sentenza la Corte di Cassazione, Sez.II, n.2436 del 31.01.2018 ha statuito che: "l’articolo 1130 c.c., n. 4, che attribuisce all’amministratore del condominio il potere di compiere atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio deve interpretarsi estensivamente nel senso che. oltre agli atti conservativi necessari ad evitare pregiudizi a questa o a quella parte comune, l’amministratore ha il potere – dovere di compiere analoghi atti per la salvaguardia dei diritti concernenti l’edificio condominiale unitariamente considerato. Pertanto rientra nel novero degli atti conservativi di cui al citato articolo 1130 c.c., n. 4 l’azione di cui all’articolo 1669 c.c. intesa a rimuovere i gravi difetti di costruzione, nel caso in cui questi riguardino l’intero edificio condominiale ed i singoli appartamenti, vertendosi in una ipotesi di causa comune di danno che abilita alternativamente l’amministratore del condominio ed i singoli condomini ad agire per il risarcimento, senza che possa farsi distinzione tra parti comuni e singoli appartamenti o parte di essi soltanto".
In altre parole, alla legittimazione attiva dei singoli proprietari, si aggiunge quella dell’amministratore di condominio nel far valere in giudizio la responsabilità dell’appaltatore per vizi della cosa costruita.
Ma quali conseguenze possono incombere sull’amministratore se quest’ultimo si disinteressa del problema e omette di coltivare l’azione, su opportuna autorizzazione assembleare, o non effettua la denunzia dei vizi entro i rigidi termini decadenziali previsti dagli artt. 1667 e 1669 del c.c.?
Sicuramentel’assemblea può sfiduciare ex art 1129 co.11 del c.c., in ogni tempo un amministratore senza addurre motivi particolari, adottando una delibera con le maggioranze di cui all’art.1136 del c.c. Ma vi è di più, in quanto l’aver omesso di coltivare l’azione nei confronti dell’appaltatore, costituisce grave irregolarità ex art.1129 co.12 del c.c.
In caso di gravi irregolarità, ciascun condomino, secondo quanto prevede il precedente comma 11 dell’art 1129 del c.c., in caso di mancata revoca assembleare, può autonomamente adire l’autorità giudiziaria per chiedere la rimozione dell’amministratore.
Affianco alla revoca, ovviamente, in caso di gravi irregolarità per mancata coltivazione delle azioni di responsabilità nei confronti dell’appaltatore, l’amministratore inadempiente potrebbe essere chiamato a rispondere dei danni.

Carlo R. chiede
martedì 01/03/2016 - Liguria
“Salve,
ho consegnato una somma di denaro alla ditta che mi ha fatto i lavori a casa per l'acquisto di una piscina, precisando nel contratto d'appalto che la fornitura della piscina doveva avvenire direttamente a mie mani.
L'assegno è stato intestato direttamente alla ditta appaltatrice che doveva poi pagare la ditta della piscina, inserendo nel contratto il mio nome come beneficiario.
Ciò non è avvenuto in quanto la ditta appaltatrice a fatto il contratto di fornitura a suo nome, pagando con i soldi ad essa versati, ma senza menzionare me come beneficiario finale avente diritto alla fornitura.
Ripeto che nel contratto si dice che la fornitura deve essere fatta dalla ditta della piscina direttamente a mio favore.
Ora la ditta appaltatrice, a seguito di un contenzioso nato dopo la consegna della casa per lavori malfatti, tiene sostanzialmente in ostaggio la piscina rifiutandosi di dare l'autorizzazione alla ditta della piscina di consegnarmi la stessa.
Secondo me ricorrono gli estremi del reato di appropriazione indebita, in quanto a fronte del versamento di una somma di denaro alla ditta appaltatrice alle suddette condizioni, a seguito del comportamento illegittimo della prima io ora non ho né la piscina né i soldi.
Grazie”
Consulenza legale i 07/03/2016
L'art. 1655 del codice civile definisce l’appalto quale contratto a prestazioni corrispettive con cui una parte (appaltatore) assume il compimento di un'opera o di un servizio su incarico di un committente e verso un corrispettivo in danaro, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio. Dalla disciplina dettata dal codice civile si evince che l’appaltatore non può dare in subappalto l'esecuzione dell'opera o del servizio, se non è stato espressamente autorizzato dal committente.

Il contratto di appalto trova spesso impiego nella costruzione di beni immobili o mobili, e nella fornitura di servizi di assistenza, consulenza, vigilanza. Nella sua esecuzione, l’appaltatore non può discostarsi da quanto pattuito salva l’ipotesi in cui vengano apportate delle modifiche al contenuto dell’accordo con il consenso della parte committente e deve fornire un’opera o un servizio esente da vizi o da difformità.

Di converso, il committente non può sottrarsi al pagamento dell’opera o del servizio, una volta accettati a seguito della verifica e della consegna. Trattandosi per l’appunto di un accordo, ciascuna parte è tenuta ad osservare gli obblighi contrattuali a pena di inadempimento, il quale legittimerebbe l’azione di esatto adempimento o la risoluzione del contratto ed, in ogni caso, il risarcimento del danno ai sensi dell’art. 1453 c.c.

Nel caso di specie si evince che la ditta appaltatrice non ha rispettato gli accordi assunti con il committente il quale, una volta versato il prezzo della piscina ha maturato il diritto alla consegna del bene così come pattuito dal contratto di appalto secondo cui il committente sarebbe stato il beneficiario del bene. La ditta appaltatrice, non ha agito correttamente in quanto non ha adempiuto all’accordo stipulato. Tale comportamento legittima il committente ad azionare i rimedi contro l’inadempimento contrattuale.

Innanzitutto, il committente potrà a sua scelta esercitare il rimedio di cui all’art. 1454 c.c. che prevede l’intimazione diretta nei confronti della parte inadempiente ad adempiere entro il termine essenziale, decorso inutilmente il quale il contratto si intenderà risolto ex lege con l’effetto di ottenere la restituzione del prezzo oltre il risarcimento del danno.

Ancora, il committente potrà in via alternativa azionare il rimedio dell’esatto adempimento pretendendo quindi dalla ditta appaltatrice l’adempimento delle prestazioni di cui al contratto, tra cui, per l’appunto, la consegna della piscina direttamente da parte della ditta produttrice, oppure potrà decidere di risolvere il contratto, pretendendo quindi la restituzione del corrispettivo già versato.

Questi i rimedi previsti dal codice civile, al quale si aggiunge il risarcimento del danno derivante dal comportamento negligente della ditta appaltatrice, sia che il committente scelga di promuovere l’azione di adempimento sia che invece decida di risolvere il contratto. Quanto detto vale a livello di disciplina civilistica.

Dal punto di vista penalistico, si potrebbe ipotizzare l’eventualità di una denuncia-querela a carico della ditta appaltatrice per appropriazione indebita disciplinata all’art. 646 c.p. a mente del quale “Chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria il denaro o la cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a milletrentadue euro”, in quanto la ditta appaltatrice si è appropriata della somma di denaro che il committente le aveva versato all'unico ed esclusivo fine, precisamente indicato nell'accordo, di ottenere la consegna della piscina. Il comportamento della ditta appaltatrice configura un chiara ipotesi di interversio possessionis, ovvero un cambiamento del comportamento del soggetto attivo rispetto alla cosa (in questo caso la somma di denaro data dal cliente alla ditta appaltatrice) poiché mostra, a questo punto della vicenda, di trattare la medesima come fosse propria, invece che averla utilizzata, secondo gli accordi scritti presi, per procurare al cliente la piscina.
Si potrebbe quindi procedere sia penalmente che civilmente per sanzionare il comportamento della ditta. E' peraltro più che consigliabile per entrambi i casi - in particolare prima di intraprendere la via della denuncia penale - consultare un legale il quale, potendo analizzare ogni dettaglio della fattispecie concreta (il testo completo del contratto di appalto prima di ogni altro elemento), sappia consigliare la via migliore da percorrere, onde evitare di commettere errori di strategia che potrebbero costare cari.
Infine si precisa che, a nostro sommesso giudizio, la via della denuncia-querela penale potrebbe avere senso più che altro per esercitare una pressione psicologica sulla ditta appaltatrice, di modo da accelerare la definizione di un accordo transattivo a livello civilistico. Occorre, però, lo si ripete, analizzare per bene il contratto e tutto quanto accaduto nel corso di esecuzione del medesimo.

Irma M. D. chiede
martedì 28/10/2014 - Sardegna
“Amministro una Ditta di movimento terra ( della quale ho il 95% delle quote ) e nel marzo 2014 due escavatori sono stati incendiati ( in tarda notte ), da ignoti, nella proprietà del cliente per il quale eseguivamo i lavori di scavo.
La proprietà del cliente era recintata, munita di cancello e apposito lucchetto.
Sono intervenuti i Vigili del Fuoco e le forze dell'ordine che hanno stilato il verbale indicando l'origine dolosa.
Gli escavatori in questione appartenevano: uno alla Ditta che amministro ( interamente pagato ) e l'altro personalmente a me ( le rate transitano ancora sul mio conto bancario essendo il finanziamento, ad oggi, in corso )
I mezzi, ormai inservibili, sono stati venduti ad una società che recupera ferro ( per un tot di € 7.000 ).
Per portare a termine i lavori abbiamo dovuto noleggiare un altro mezzo, con analoghe caratteristiche, avendo, gli altri nostri escavatori, grandezza inferiore.
Premettendo che il cliente non ha mai accettato la nostra proposta di contratto ma ha sempre pagato le fatture emesse ( con assegni bancari o bonifici ), a fronte di buoni di consegna nei quali venivano indicati gli operatori, i mezzi impegnati, le ore lavorate, il tipo di lavorazione, la data e il luogo ( pur non avendoli mai firmati, per sua espressa volontà, ma sempre verificandone la veridicità, grazie costante presenza in cantiere sua o di persona da lui preposta ), il mio mio quesito è: Chi pagherà i danni ?
La polizza di cantiere non copre il dolo, ma copre il danno verso terzi.
Penso che il mezzo a me intestato debba esser risarcito dalla assicurazione della Ditta che amministro ( danno verso terzi ), ma, visto che si tratta di atto doloso, potrebbe opporsi.
Il mezzo intestato alla Ditta, forse, potrebbe esser risarcito dal proprietario del cantiere per il quale venivano svolti i lavori.”
Consulenza legale i 12/11/2014
Nel caso in esame vanno distinte due questioni, la prima attinente all'assicurazione e l'altra riguardante l'eventuale responsabilità del proprietario del cantiere.

Quanto alla prima, se l'assicurazione del cantiere - com'è usuale - esclude la copertura per atti di vandalismo e atti dolosi in genere, essa non potrebbe operare nemmeno nei confronti del danno subito dall'appaltatore ai propri escavatori. La causa del danno, infatti, sarebbe comunque un fatto escluso dal novero di quelli risarcibili (incendio doloso). Tuttavia, per poter dare un parere compiuto su tale quesito, si dovrebbe analizzare la polizza assicurativa.

Circa la seconda questione, sulla base dei dati di fatto forniti nel quesito, si può precisare quanto segue.
Posto che, com'è ovvio, il risarcimento dovrebbe essere chiesto a colui che ha provocato il danno "grave e ingiusto" (art. 2043 del c.c.), nel caso di specie, visto che questo personaggio rimane ignoto, si può cercare un altro tipo di responsabilità civile, in particolare nel committente, proprietario del cantiere.
E' possibile ipotizzare in astratto una responsabilità per omessa custodia ex art. 2051 del c.c. in capo al committente, laddove si verifichi un fatto dannoso causato da beni in sua custodia: in generale, infatti, il proprietario di un bene (anche immobile) ha un onere di vigilanza sullo stesso, in quanto responsabile dello stato di conservazione della cosa stessa e dei danni che derivano dalla sua omessa custodia, salvo che non provi che i danni medesimi siano dovuti a caso fortuito. Naturalmente, il dovere di diligenza posto a carico del titolare del fondo, non può arrivare al punto di richiedere una costante vigilanza, da esercitarsi giorno e notte, per impedire ad estranei di invadere l’area: tuttavia, residua una possibilità, laddove la vigilanza omessa si configuri come particolarmente grave.
Nel contratto d'appalto e nel contratto d'opera, in genere, con il trasferimento della custodia della cosa e dei relativi oneri di vigilanza, si ha l'esonero del committente da responsabilità: ma tale esonero "può anche mancare, qualora non risulti essenziale per l'esecuzione dell'opera, rimanendo così la cosa nella disponibilità giuridica e di fatto del committente" (Cass. civ., sez. III, 10.6.2005, n. 12318).
Poiché qui non vi è un contratto sottoscritto da cui possa desumersi in modo chiaro il passaggio o meno della custodia del cantiere, si dovrà vedere se nei fatti si possa riscontrare un mantenimento di quest'ultima in capo al committente; se la risposta sarà positiva, si potrà ipotizzare la responsabilità del committente, salvo che questi possa provare che si sia trattato di caso fortuito (Cass. civ., sez. III, 6.10.2005 n. 19474, "Qualora il contratto di appalto non implichi il totale trasferimento in capo all'appaltatore del potere di fatto sull'immobile sul quale deve essere eseguita l'opera, non viene meno per il detentore dell'immobile stesso (che, di fatto, continui ad esercitare tale potere) il dovere di custodia e la correlativa responsabilità di cui all'art. 2051 c.c.").
Per "caso fortuito" la giurisprudenza intende qualsiasi fatto capace di determinare autonomamente il danno, quindi anche il fatto del terzo: pertanto, nella fattespecie in esame, il dolo del terzo potrebbe escludere la responsabilità del proprietario del cantiere (es. perché il vandalo si è introdotto abilmente, in modo tale che il committente non avrebbe potuto evitare o prevedere l'intrusione). Tuttavia, quando lo svolgimento del fatto che ha provocato il danno resti ignoto, la giurisprudenza attribuisce generalmente la responsabilità al custode, piuttosto che considerarlo un caso fortuito.
Questi, a grandi linee, i principi in materia, anche se in tema di responsabilità da custodia ex art. 2051 c.c. esiste una copiosissima produzione dottrinale e giurisprudenziale che sostiene posizioni spesso diverse tra loro.

Quanto al caso di specie, si potrà configurare una responsabilità del committente solo se l'area del cantiere poteva dirsi ancora sotto la sua custodia e se questi non sia in grado di provare che l'intrusione è stata dovuta a "caso fortuito".

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