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Articolo 1384 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 31/01/2024]

Riduzione della penale

Dispositivo dell'art. 1384 Codice Civile

La penale può essere diminuita equamente dal giudice(1), se l'obbligazione principale è stata eseguita in parte ovvero se l'ammontare della penale è manifestamente eccessivo, avuto sempre riguardo all'interesse che il creditore aveva all'adempimento.

Note

(1) La norma non specifica se, a tal fine, sia necessaria o meno un'apposita istanza del soggetto gravato dall'onere di pagare la penale.

Ratio Legis

La norma è giustificata dall'esigenza di evitare che il creditore possa ottenere un indebito arricchimento (2041 c.c.) a causa dell'inadempimento.

Brocardi

Stipulatio poenae

Spiegazione dell'art. 1384 Codice Civile

Le due regole contenute nell'art. 1384; a quali casi si applichino

L'art. 1384 contiene due regole assai diverse tra loro; una, che prevede la riduzione della clausola penale per parziale esecuzione, l'altra, che prevede la riduzione per ammontare manifestamente eccessivo. La prima regola sviluppa lo svolgimento del rapporto, in armonia col disegno contrattuale; invece la seconda regola si oppone alla attuazione della comune volontà delle parti. La prima regola ha carattere dispositivo, la seconda ha carattere cogente.

Ambo le regole si applicano manifestamente alla clausola per inadempimento, con o senza effetto limitativo. Si applicano altresì, secondo noi, alla clausola per ritardo, con o senza effetto limitativo, allorché una parte dell'obbligazione sia eseguita a tempo debito, ma l'altra parte sia tardiva. Infatti, ai sensi dell'art. 1218 del codice del 1942, l'esecuzione tardiva è equiparata all'inesecuzione.

Per quanto concerne la caparra confirmatoria, abbiamo già visto che essa pure inerisce ad una clausola penale. Tuttavia noi non crediamo che le regole sulla riduzione della penale si applichino alla caparra confirmatoria. Invero, quanto alla prima regola sull'esecuzione parziale, si noti che la caparra confirmatoria è data al creditore per cautelarlo in anticipo, col diritto di trattenerla, se il debitore non adempirà. Ciò posto, tutto quello che si può pretendere, si vi è un adempimento parziale, è che parte della caparra sia computata nella parte di prestazione seguita, e che l'altra parte rimanga nelle mani del creditore per garantirlo in relazione al credito residuo: ma in nessun caso è giustificabile una domanda di parziale restituzione. Ed il codice del 1942 è orientato in tal senso; prima di tutto, esso parla di riduzione della penale e non della caparra, poi, altro è parlare di riduzione di un debito, altro è parlare di restituzione di una somma data.

Analoghi rilievi valgono per la seconda regola. E’ vero che essa intende opporsi all'iniquità di una clausola penale manifestamente eccessiva; ma anzitutto è assai improbabile che eccessiva sia la caparra, in relazione col debito principale, d'altra parte se il legislatore averse voluto ammettere la riduzione, lo avrebbe detto, valendo anche qui il rilievo dianzi fatto, che la norma riduttiva di una promessa, non implica affatto il decurtamento di una ritenzione.

Alla caparra penitenziale, estranea alla causa penale, le regole sulla riduzione non sono manifestamente applicabili.


Di ciascuna regola in particolare

Come si è visto, secondo la prima regola, l'intervento riduttivo è consentito quando l'obbligazione principale è stata eseguita solo in parte. Se l'obbligazione non è suscettibile di obbligazione parziale, la riduzione è impossibile.

Si noti ora che, per l'art. 1181 del codice del 1942, l’esecuzione parziale deve essere o accettata, o autorizzata dalla legge o dagli usi, altrimenti vale come semplice offerta e non legittima la riduzione della clausola penale. Se invece l'esecuzione parziale è accettata, non per questo il contratto è novato (art. 1231) ma nell'accettazione possono le parti avere esplicitamente od implicitamente convenuto la conferma della penale originaria: in tal caso la riduzione è manifestamente esclusa. Se invece nulla si è convenuto in proposito, la riduzione ripristina l’equilibrio contrattuale. Ma la riduzione è una facolta, non un obbligo, per il giudice, così, già sotto il codice del 1865 si era osservato che il giudice non ha motivo di ridurre la penale se la parziale esecuzione riesce inu­tile al creditore, mentre invece ha motivo di ridurla se ambo le parti sono in colpa. Tanto più questi criteri oggi si raccomandano, in quanto, mentre il codice del 1865 non aggiungeva altre spiegazioni, il codice del 1942 aggiunge che la riduzione si fa equamente, additando al giudice la finalità armonizzatrice dei contrastanti interessi. Il giudice, qui, non si limita ad interpretare, ma introduce un elemento ultranegoziale. Questo si inserisce nel rapporto, ad opera non dei contraenti, non della legge, ma dell'organo giudicante. Il suo intervento ha, dunque, efficacia costitutiva.

La seconda regola ha natura completamente diversa. Essa non opera su un rapporto già modificato per esecuzione parziale, ma esercita il suo impero sul contratto, come le parti originariamente lo vollero, e abilita il giudice, senz'altro, a modificarlo. Il concorso costitutivo del giudice nella formazione di un accordo diverso da quello voluto dalle parti, è molto più evidente, ma è consentito soltanto se l'ammontare della penale è manifestamente eccessivo, avuto riguardo all'interesse che il creditore aveva all'adempimento. L'esagerazione deve essere manifesta ed emergere dal raffronto fra l'interesse all'esecuzione e l'ammontare della penale. Così, se si tratta di eccesso di altro tipo, per esempio in relazione alla condizione finanziaria del debitore, il potere di ridurre la penale non è concesso.

Il legislatore del 1942 ha attribuito grande importanza a questo potere che i1 giudice non aveva, secondo i1 codice del 1865, e che ora ha acquistato per effetto del testo vigente. Pertanto le disposizioni di attuazione e transitorie hanno stabilito, all'art. 163, che il giudice può esercitare il suo potere riduttivo, nel caso di penale manifestamente eccessiva, anche se il contratto sia stato concluso anteriormente all'entrata in vigore del codice ed anche se il pagamento della penale sia stato giudizialmente domandato ed il giudizio sia pendente alla data suddetta.

Relazione al Libro delle Obbligazioni

(Relazione del Guardasigilli al Progetto Ministeriale - Libro delle Obbligazioni 1941)

225 Segue l'art. 249, che dà al giudice il potere di diminuire convenientemente la penale, sia quando l'obbligazione principale è stata eseguita in parte, sia quando l'ammontare della pena sia manifestamente eccessiva.
Non ho, in quest'ultimo caso, limitato il potere del giudice all'ipotesi di multa periodica, come aveva fatto la Commissione reale (art. 166 cpv.), perché nessuna ragione plausibile consente tale restrizione. Non sarebbe tale la considerazione che la periodicità della pena può fare raggiungere cifre originariamente imprevedibili e condurre alla rovina una parte con arricchimento dell'altra: anche nella ipotesi di pena fissa è possibile un eccesso. Questo eccesso è stato definito nell'art. 247 come manifesta sproporzione rispetto al possibile danno; solo allora la penale esorbita dalla funzione di risarcire il danno.

Massime relative all'art. 1384 Codice Civile

Cass. civ. n. 5379/2023

La clausola penale e la convenzione di interessi moratori hanno funzioni diverse, poiché, per il caso di inadempienza o di ritardo nell'adempimento, la prima ha una finalità sanzionatoria e risarcitoria del danno, che viene predeterminato pattiziamente col limite della manifesta eccessività, mentre la seconda ha uno scopo di corrispettivo o retribuzione per il creditore, entro il limite inderogabile del cd. "tasso soglia" di cui alla l. n. 108 del 1996; ne consegue che anche i rimedi di tutela sono differenti, dato che alla clausola penale non si applica la disciplina in tema di usurarietà dei tassi di interesse, bensì la "reductio ad aequitatem" ex art. 1384 c.c., non predeterminata dalla legge, ma affidata all'apprezzamento del giudice secondo equità, la quale va fondata non già sulla valutazione della prestazione, bensì sulla considerazione dell'interesse all'adempimento della parte creditrice e sulle ripercussioni del ritardo o dell'inadempimento sull'effettivo equilibrio sinallagmatico del rapporto.

Cass. civ. n. 10249/2022

E' dunque la legge ad affidare al giudice l'esercizio del potere correttivo della volontà contrattuale delle parti, al fine di ristabilire in via equitativa un congruo contemperamento dei loro interessi contrapposti (Cass. Sez. U, 2061/2021, 18128/2005), naturalmente a condizione che la penale sia stata dedotta - in via di azione o di eccezione (in senso stretto) - nel rispetto delle preclusioni di rito (Cass. Sez. U, 2061/2021; Cass. 19272/2014), mentre l'omesso esercizio del potere di riduzione della penale da parte del giudice di appello - cui spetta appunto il potere officioso di applicare l'art. 1384 c.c. - può essere non solo dedotto dalla parte interessata, ma anche, integrando un'eccezione in senso lato, rilevato d'ufficio da parte del giudice di legittimità, sempre che non siano necessari accertamenti di fatto (Cass. 26531/2021).

Cass. civ. n. 17715/2020

Il potere del giudice di ridurre la penale, previsto dall'art. 1384 c.c., non può essere esercitato per la caparra confirmatoria, sia a cagione del carattere eccezionale della norma in questione, che ne preclude l'applicazione analogica, sia per le differenze strutturali intercorrenti tra i due istituti, in quanto la caparra pur assolvendo, come la clausola penale, alla funzione di liquidare preventivamente il danno da inadempimento, svolge l'ulteriore funzione di anticipato parziale pagamento per l'ipotesi di adempimento.

Cass. civ. n. 11908/2020

Ai fini dell'esercizio del potere di riduzione della penale, il giudice non deve valutare l'interesse del creditore con esclusivo riguardo al momento della stipulazione della clausola - come sembra indicare l'art. 1384 c.c., riferendosi all'interesse che il creditore "aveva" all'adempimento - ma tale interesse deve valutare anche con riguardo al momento in cui la prestazione è stata tardivamente eseguita o è rimasta definitivamente ineseguita, poiché anche nella fase attuativa del rapporto trovano applicazione i principi di solidarietà, correttezza e buona fede, di cui agli artt. 2 Cost., 1175 e 1375 c.c., conformativi dell'istituto della riduzione equitativa, dovendosi intendere, quindi, che la lettera dell'art. 1384 c.c., impiegando il verbo "avere" all'imperfetto, si riferisca soltanto all'identificazione dell'interesse del creditore, senza impedire che la valutazione di manifesta eccessività della penale tenga conto delle circostanze manifestatesi durante lo svolgimento del rapporto.

Cass. civ. n. 11439/2020

Il potere di riduzione della penale ad equità, attribuito al giudice dall'art. 1384 c.c., in quanto volto a tutelare l'interesse generale dell'ordinamento di assicurare l'equilibrio contrattuale, può essere esercitato d'ufficio, anche quando la penale è prevista a favore della P.A. da disposizioni di capitolati generali, richiamate e recepite nel contratto stipulato con il privato; in tal caso, la disapplicazione delle stesse, quali clausole contrattuali, per contrasto con la norma primaria ed inderogabile dettata dalla indicata disposizione, è subordinata all'assolvimento degli oneri di allegazione e prova incombenti sulle parti circa le circostanze rilevanti per la valutazione dell'eccessività della penale.

Cass. civ. n. 34021/2019

Il potere di riduzione della penale ad equità, attribuito al giudice dall'art. 1384 c.c., a tutela dell'interesse generale dell'ordinamento, può essere esercitato d'ufficio, ma l'esercizio di tale potere è subordinato all'assolvimento degli oneri di allegazione e prova, incombenti sulla parte, circa le circostanze rilevanti per la valutazione dell'eccessività della penale, che deve risultare "ex actis", ossia dal materiale probatorio legittimamente acquisito al processo, senza che il giudice possa ricercarlo d'ufficio. (Nella specie la S.C., ha confermato la sentenza di merito, evidenziando che dal materiale probatorio acquisito agli atti doveva desumersi la eccessiva onerosità di una penale corrispondente alla metà del corrispettivo). (Rigetta, CORTE D'APPELLO LECCE, 17/09/2015).

Cass. civ. n. 33159/2019

Il potere officioso di riduzione della penale eccessiva, a norma dell'art. 1384 c.c., può essere esercitato anche qualora le parti ne abbiano convenuto l'irriducibilità, trattandosi di un potere funzionale a un interesse generale dell'ordinamento. (Dichiara inammissibile, CORTE D'APPELLO BARI, 27/08/2014).

Cass. civ. n. 20840/2018

In tema di "leasing" traslativo, in caso di risoluzione per inadempimento dell'utilizzatore, la clausola penale che attribuisca al concedente, oltre all'intero importo del finanziamento, anche la proprietà e il possesso del bene è manifestamente eccessiva in quanto attribuisce vantaggi maggiori di quelli conseguibili dalla regolare esecuzione del contratto, dovendo il giudice effettuare, ai fini della sua riducibilità ex art. 1384 c.c., una valutazione comparativa tra il vantaggio che detta clausola assicura al contraente adempiente e il margine di guadagno che il medesimo si riprometteva legittimamente di trarre dalla regolare esecuzione del contratto.

Cass. civ. n. 19320/2018

In tema di clausola penale, la relativa domanda di riduzione può essere proposta per la prima volta in appello, potendo anzi il giudice provvedervi anche d'ufficio, sempre che siano state dedotte e dimostrate dalle parti le circostanze rilevanti al fine di formulare un giudizio di manifesta eccessività della penale stessa.

Cass. civ. n. 17731/2015

In caso di riduzione giudiziale della penale convenzionalmente stabilita dalle parti, il giudice deve esplicitare le ragioni che lo hanno indotto a ritenerne eccessivo l'importo come originariamente determinato, soprattutto con riferimento alla valutazione dell'interesse del creditore all'adempimento alla data di stipulazione del contratto, tenendo conto dell'effettiva incidenza dell'adempimento sullo squilibrio delle prestazioni e sulla concreta situazione contrattuale, a prescindere da una rigida ed esclusiva correlazione con l'effettiva entità del danno subito.

Cass. civ. n. 888/2014

In tema di "leasing" immobiliare, al fine di accertare se sia manifestamente eccessiva, agli effetti dell'art. 1384 cod. civ., la clausola penale che attribuisca al concedente, nel caso di inadempimento dell'utilizzatore, l'intero importo del finanziamento ed in più la proprietà del bene, occorre considerare se detta pattuizione attribuisca allo stesso concedente vantaggi maggiori di quelli conseguibili dalla regolare esecuzione del contratto, tenuto conto che, anche alla stregua della Convenzione di Ottawa sul leasing internazionale 28 maggio 1988, recepita con legge 14 luglio 1993, n. 259, il risarcimento del danno spettante al concedente deve essere tale da porlo nella stessa situazione in cui si sarebbe trovato se l'utilizzatore avesse esattamente adempiuto.

Cass. civ. n. 22747/2013

Il potere del giudice di ridurre l'importo della penale prevista in un contratto, ex art. 1384 cod civ., può essere esercitato solo se la parte obbligata al pagamento abbia correttamente allegato e provato i fatti dai quali risulti l'eccessività della penale stessa.

Cass. civ. n. 8768/2013

Giustifica l'esercizio del potere equitativo di riduzione della penale, ai sensi dell'art. 1384 cod. civ., anche quando le parti l'abbiano escluso negozialmente, la sussistenza di elementi d'incertezza nei rapporti commerciali delle parti (nella specie, rapporti di agenzia reciproca), qualora gli aspetti d'ambiguità siano tali da incidere sull'equilibrio della regolazione negoziale.

Cass. civ. n. 21994/2012

Ai fini dell'esercizio del potere di riduzione della penale, il giudice non deve valutare l'interesse del creditore con esclusivo riguardo al momento della stipulazione della clausola - come sembra indicare l'art. 1384 c.c., riferendosi all'interesse che il creditore "aveva" all'adempimento - ma tale interesse deve valutare anche con riguardo al momento in cui la prestazione è stata tardivamente eseguita o è rimasta definitivamente ineseguita, poiché anche nella fase attuativa del rapporto trovano applicazione i principi di solidarietà, correttezza e buona fede, di cui agli artt. 2 Cost., 1175 e 1375 c.c., conformativi dell'istituto della riduzione equitativa, dovendosi intendere, quindi, che la lettera dell'art. 1384 c.c., impiegando il verbo "avere" all'imperfetto, si riferisca soltanto all'identificazione dell'interesse del creditore, senza impedire che la valutazione di manifesta eccessività della penale tenga conto delle circostanze manifestatesi durante lo svolgimento del rapporto.

Cass. civ. n. 7180/2012

In tema di clausola penale, il criterio che il giudice deve utilizzare per valutarne l'eccessività, a norma dell'art. 1384 c.c., ha natura oggettiva, dovendosi tener conto non della situazione economica del debitore e del riflesso che la penale possa avere sul suo patrimonio, ma solo dello squilibrio tra le posizioni delle parti, avendo il riferimento all'interesse del creditore la funzione di indicare lo strumento per mezzo del quale valutare se la penale sia, o meno, manifestamente eccessiva, e dovendo la difficoltà del debitore riguardare l'esecuzione stessa della prestazione risarcitoria (ove, ad esempio, venga a mancare una proporzione tra danno, costo ed utilità), senza che occorrano ragioni di pubblico interesse che ne giustifichino l'ammontare.

Cass. civ. n. 24458/2007

La riduzione della penale pattuita ex contractu ove invocata dalla parte interessata non in via di azione ma in via di eccezione, può essere proposta per la prima volta anche nel giudizio di appello; peraltro il relativo potere del giudice, essendo posto a tutela dell'interesse generale dell'ordinamento, può essere esercitato anche d'ufficio pur se le parti abbiano contrattualmente convenuto l'irriducibilità della penale.

Cass. civ. n. 24166/2006

In tema di clausola penale, il potere di riduzione ad equità, attribuito al giudice dall'art. 1384 c.c. a tutela dell'interesse generale dell'ordinamento, può essere esercitato d'ufficio, ma l'esercizio di tale potere è subordinato all'assolvimento degli oneri di allegazione e prova, incombenti sulla parte, circa le circostanze rilevanti per la valutazione dell'eccessività della penale, che deve risultare ex actis ossia dal materiale probatorio legittimamente acquisito al processo, senza che il giudice possa ricercarlo d'ufficio. (Nella specie la S.C. nel confermare la sentenza di merito, che aveva rilevato l'omessa indicazione degli elementi indispensabili per giudicare dell'eccessività della penale, ha osservato che il ricorrente anche in sede di legittimità aveva insistito esclusivamente sulla mancanza di danno in concreto, profilo estraneo alla struttura della clausola penale, la cui stipulazione esonera il creditore dall'onere di provare il danno).

Cass. civ. n. 21066/2006

In tema di clausola penale, il potere di riduzione ad equità, attribuito al giudice dall'art.1384 c.c., essendo previsto a tutela dell'interesse generale dell'ordinamento, al fine di ricondurre l'autonomia contrattuale nei limiti in cui essa appare effettivamente meritevole di tutela, e, dunque, connotandosi come potere esercitabile anche d'ufficio, può essere esercitato anche qualora le parti abbiano contrattualmente convenuto l'irriducibilità della penale.

Cass. civ. n. 15110/2006

In tema di riscossione delle imposte sui redditi, l'istituto di credito che non versi alla tesoreria provinciale dello Stato, nel termine previsto, le somme al cui pagamento sia stato delegato dal contribuente è soggetto alla penale, nella misura del 2 per cento per ogni giorno di ritardo, stabilita dall'art. 17, ultimo comma, della legge 2 dicembre 1975, n. 576, aggiunto dall'art. 4 del d.l. 4 marzo 1976, n. 30, convertito in legge 2 maggio 1976 n. 160. L'obbligazione di versare le somme a tale titolo incassate, che nasce a carico della banca nei confronti dell'amministrazione, pur non rivestendo natura tributaria, è tuttavia una obbligazione pubblica, in quanto regolata da norme che deviano dal regime comune delle obbligazioni civili, in ragione della tutela dell'interesse della P.A. creditrice alla pronta e sicura esazione delle entrate; ne consegue che alla «speciale» penale in esame non è applicabile la disposizione dettata dall'art.1384 c.c., che attribuisce al giudice il potere di diminuirla «equamente» ("se l'obbligazione principale è stata eseguita in parte ovvero se l'ammontare della penale è manifestamente eccessivo, avuto sempre riguardo all'interesse che il creditore aveva all'adempimento"), atteso che — come ritenuto dalla Corte costituzionale nella sent. n. 209 del 1988 — l'ammontare di una siffatta penale, diversamente da quella ordinaria, non è frutto di pattuizione fra le parti, ma è determinata direttamente dalla legge, sicché ogni (richiesta di) riduzione di quell'ammontare si traduce in un'ingiustificata ed illegittima (richiesta di) disapplicazione delle disposizioni che fissano con rigido parametro la misura contestata. Né la previsione di una penale così elevata può giustificare sospetti di incostituzionalità per irragionevolezza, avendo perseguito il legislatore lo scopo di rendere inaccettabile per le aziende di credito il rischio di un ritardo nel versamento e di precludere movimenti speculativi su somme ingenti, appartenenti in definitiva all'intera collettività nazionale; ovvero per disparità di trattamento dell'istituto di credito delegato alla riscossione rispetto al concessionario della riscossione, considerato che le situazioni poste a raffronto sono diverse, oltre che per la qualità dei soggetti, per la quantità, la natura e la cadenza dei flussi finanziari rispettivamente gestiti, nonché per la fonte di tale gestione (abilitazione ex lege e formale atto di concessione); e neppure, infine, sono pertinenti i dubbi di costituzionalità sollevati in riferimento all'art. 97 Cost.

Cass. civ. n. 18128/2005

In tema di clausola penale, il potere di riduzione ad equità, attribuito al giudice dall'art. 1384 c.c. a tutela dell'interesse generale dell'ordinamento, può essere esercitato d'ufficio per ricondurre l'autonomia contrattuale nei limiti in cui essa appare meritevole di tutela, e ciò sia con riferimento alla penale manifestamente eccessiva, sia con riferimento all'ipotesi in cui la riduzione avvenga perché l'obbligazione principale è stata in parte eseguita, giacché in quest'ultimo caso la mancata previsione da parte dei contraenti di una riduzione della penale in caso di adempimento di parte dell'obbligazione si traduce comunque in una eccessività della penale se rapportata alla sola parte rimasta inadempiuta.

Cass. civ. n. 5324/2003

La domanda di riduzione dell'ammontare della penale può proporsi per la prima volta in appello, ma essa deve essere specificamente formulata, non potendo ritenersi la stessa compresa in una generica contestazione della penale stessa; ne consegue che, in difetto di questo requisito, il giudice d'appello non può operare la riduzione, trattandosi di un potere non esercitabile d'ufficio.

Cass. civ. n. 3998/2003

Il potere di riduzione equitativa dell'importo fissato con la clausola penale stabilita dalle parti contraenti per il caso di ritardo nell'adempimento deve essere esercitato avendo riguardo all'interesse del creditore al puntuale ed esatto adempimento, essendo riservati al giudice del merito l'apprezzamento in ordine alla eccessività dell'importo della penale e la misura della riduzione di detto importo. (Nella specie, la Suprema Corte ha ritenuto incensurabile la valutazione del giudice di merito, che aveva ridotto della metà la penale stabilita per il caso di ritardo nel rilascio di un immobile concesso in uso gratuito, affermando che il proprietario, successivamente alla scadenza della data stabilita per il rilascio, non aveva dimostrato un interesse assiduo ed univoco ad ottenere l'immediata disponibilità dell'immobile).

Cass. civ. n. 11710/2002

Il criterio normativo per l'esercizio del potere giudiziale di riduzione della penale è l'interesse esclusivamente patrimoniale del creditore all'integrale esecuzione del contratto (da valutarsi in termini oggettivi, commisurando la penale alla posizione reciproca delle parti quale risulta individuata nel momento in cui si è costituito il rapporto obbligatorio fondamentale ed escludendo qualsiasi apprezzamento che riguardi il pregiudizio realmente subito da chi la pretende) e non quello al risarcimento del danno dipendente dall'inadempimento, e non rilevando, al riguardo, gli scopi ulteriori che il creditore abbia avuto di mira, qualunque ne sia la natura.

In tema di riduzione della penale, la valutazione va riferita al momento in cui si è concluso il contratto cui accede, e non a quello in cui ne viene chiesto il pagamento, sicché, ove essa risulti adeguata all'interesse del creditore all'adempimento con riferimento al momento della stipulazione, rimane priva di rilevanza l'eventuale eccessività per la sopravvenienza di fatti che riducano l'interesse del creditore o l'entità del pregiudizio che il medesimo viene a subire per effetto dell'inadempimento.

Cass. civ. n. 4208/2001

Gli artt. 1526, comma secondo e 1384 c.c. (applicabili anche alla locazione finanziaria), i quali prevedono rispettivamente il potere del giudice di ridurre l'indennità convenuta in caso di risoluzione del contratto, per l'inadempimento del compratore, e la penale determinata nell'ammontare dei canoni ancora da pagare, non impongono una rigida correlazione all'entità del danno subito dal creditore, posto che in entrambi i casi non si tratta di risarcire un danno, ma, all'opposto, di diminuirne l'entità convenzionalmente stabilita. Pertanto la valutazione del giudice va condotta sul piano dell'equilibrio delle prestazioni con riferimento al margine di guadagno che il concedente si riprometteva di trarre dalla esecuzione del contratto.

Cass. civ. n. 2478/2000

In caso di richiesta di condanna al pagamento di penale convenzionalmente stabilita per l'inadempimento, a carico della parte che eccepisca la entità manifestamente eccessiva della stessa, chiedendone la riduzione, nessun altro onere può configurarsi se non quello di prospettare al giudice l'esigenza di una valutazione comparativa tra l'interesse patrimoniale che la controparte aveva alla esecuzione del contratto stesso e l'ammontare della penale stabilito, in quanto gli elementi necessari per tale valutazione sono desumibili dalla convenzione prodotta a supporto della propria domanda dalla controparte, mentre è, se mai, quest'ultima tenuta a dimostrare, a fronte della contestazione sollevata ex adverso, le ragioni che giustificavano l'ammontare apparentemente abnorme della penale in relazione al valore del contratto. Per converso, una sproporzione che non si manifesti ictu oculi esige, da parte di chi la eccepisce, un'allegazione esplicativa della dedotta eccessiva entità della penale, oltre ad una deduzione di prove in ordine all'assenza di ragioni giustificative di detta sproporzione.

Cass. civ. n. 14070/1999

Il potere di ridurre la penale a norma dell'art. 1384 c.c. non può essere esercitato dal giudice di appello quando l'appellante sia incorso nella decadenza di cui all'art. 346 c.p.c. per avere riformulato detta istanza soltanto nella comparsa conclusionale, avuto riguardo al carattere meramente illustrativo di tale scritto difensivo.

Cass. civ. n. 13120/1997

Se le parti, secondo l'accertamento del giudice di merito, hanno convenuto un'indennità — che prescinde pertanto dall'inadempimento della parte all'obbligo assunto — nel caso il terzo non compia il fatto promesso da una di esse, non è applicabile l'art. 1384 c.c., norma eccezionale di deroga all'autonomia delle parti (art. 1322 c.c.), e perciò il giudice non può ridurre la somma predeterminata.

Cass. civ. n. 2655/1997

Il criterio cui il giudice deve fare riferimento per esercitare il potere di riduzione della penale non è la valutazione della prestazione in sé astrattamente considerata, ma l'interesse che la parte secondo le circostanze ha all'adempimento della prestazione cui ha diritto, tenendosi conto delle ripercussioni dell'inadempimento sull'equilibrio delle prestazioni e dell'effettiva incidenza dell'inadempimento sulla situazione contrattuale concreta. (Nella specie la S.C. ha confermato la decisione del giudice di merito che aveva provveduto alla riduzione della penale, sul rilievo che il promittente acquirente di un immobile aveva conseguito il possesso all'atto della stipula del contratto preliminare e che in ragione della particolare situazione del mercato immobiliare, doveva escludersi che la ritardata trascrizione del contratto definitivo di vendita avesse comportato per l'acquirente un particolare pregiudizio).

Cass. civ. n. 6991/1993

L'eccezione del convenuto che, richiesto del pagamento della penale pattuita, sostiene di nulla dovere a tale titolo, non può ritenersi comprensiva dell'istanza di riduzione della penale medesima, perché le dette due deduzioni difensive hanno fondamenti diversi ed inconciliabili, in quanto la prima (eccezione di nulla dovere) esclude l'esistenza dell'inadempimento, che, invece, è presupposta dalla seconda (istanza di riduzione della penale).

Cass. civ. n. 11115/1991

Il potere del giudice del merito di riduzione della penale ai sensi dell'art. 1384 c.c. in caso di adempimento parziale dell'obbligazione va esercitato tenendo presente l'interesse patrimoniale che il creditore avrebbe avuto all'esecuzione totale, senza che possano essere presi in considerazione gli ulteriori scopi, cui l'oggetto della prestazione avrebbe dovuto essere destinato, secondo gli intendimenti e gli interessi del creditore.

Cass. civ. n. 5625/1990

L'apprezzamento sull'eccessività dell'importo fissato con clausola penale dalle parti contraenti, per il caso di inadempimento o di ritardo nell'adempimento, nonché sulla misura della riduzione equitativa dell'importo medesimo, rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, e non è censurabile in sede di legittimità, ove correttamente fondato, a norma dell'art. 1384 c.c., sulla valutazione dell'interesse del creditore all'adempimento, con riguardo all'effettiva incidenza dello stesso sull'equilibrio delle prestazioni e sulla concreta situazione contrattuale, indipendentemente da una rigida cd esclusiva correlazione con l'entità del danno subito.

Cass. civ. n. 3600/1989

In tema di danni da inadempimento contrattuale, la penale concordata dalle parti — che, oltre ad assolvere la funzione di liquidare preventivamente la prestazione risarcitoria cui è tenuto il contraente inadempiente, vale anche a rafforzare il vincolo contrattuale, e che è dovuta indipendentemente dalla prova del danno (art. 1382, secondo comma, c.c.) — può essere diminuita equamente dal giudice nelle ipotesi previste dall'art. 1384 c.c. (e cioè, se l'obbligazione principale è stata eseguita in parte ovvero se l'ammontare della penale è manifestamente eccessivo, avuto sempre riguardo all'interesse che il creditore aveva all'adempimento), ma non del tutto eliminata.

Cass. civ. n. 1143/1982

La norma dell'art. 1384 c.c., sul potere del giudice di ridurre equamente la penale, ha carattere eccezionale e, pertanto, non è applicabile analogamente oltre l'ambito della clausola penale, cui testualmente si riferisce, né, in particolare, in tema di caparra confirmatoria.

Cass. civ. n. 6456/1981

Mentre l'inadempimento di un contratto costituisce condizione sufficiente, quale che sia la sua importanza, a far sorgere il diritto alla penale prevista dai contraenti, il giudice del merito, che sia richiesto della sua riduzione a norma dell'art. 1384 c.c., non può limitarsi a constatare l'esistenza dell'inadempimento stesso ma è tenuto, a valutarne la consistenza.

Cass. civ. n. 1574/1978

La norma dell'art. 1384 c.c. — che attribuisce al giudice il potere di diminuire equamente la penale — non ha la funzione di proteggere il contraente economicamente più debole dallo strapotere del più forte, bensì mira alla tutela e ricostruzione dell'equilibrio contrattuale, evitando che da un inadempimento parziale o, comunque, di importanza non enorme, possano derivare conseguenze troppo gravi per l'inadempiente. Pertanto, non osta alla sua applicazione il fatto che la clausola penale sia stata stipulata a favore e contro entrambi i contraenti o che non ricorra un'ipotesi di usura. La riduzione della penale rientra nei poteri equitativi discrezionali del giudice di merito, ma l'uso di questi poteri deve essere adeguatamente giustificato nella motivazione della sentenza.

Cass. civ. n. 1859/1976

Il potere discrezionale di ridurre equamente la penale manifestamente eccessiva, attribuito al giudice del merito dall'art. 1384 c.c., prescinde dalla persistenza o meno, dopo il contratto, di un concorde apprezzamento delle parti sulla congruità della penale medesima, e, pertanto, sussiste anche nel caso in cui, verificatasi l'inadempienza, entrambe le parti chiedano l'attribuzione, in loro rispettivo favore, dell'intera penale pattuita.

Cass. civ. n. 1130/1976

L'interesse cui il giudice deve aver riguardo per stabilire, ai fini della possibile riduzione equitativa, se l'ammontare della penale debba ritenersi manifestamente eccessivo, non è quello al risarcimento del danno subito dal creditore in dipendenza dell'inadempimento, ma quello che il creditore stesso aveva all'esecuzione della prestazione contrattuale; qualora, pertanto, la penale risulti adeguata all'interesse del creditore all'adempimento, al momento della stipulazione, nessun rilievo può assumere l'eventuale eccessività della penale stessa per la sopravvenienza di fatti che riducano quell'interesse del creditore ovvero l'entità del pregiudizio che lo stesso venga in concreto a subire per effetto dell'inadempimento del debitore.

Cass. civ. n. 2541/1975

La decisione di rigetto della domanda di riduzione della penale deve essere sorretta da specifica ed esauriente analisi e valutazione degli elementi della fattispecie, e pertanto deve ritenersi insufficiente la motivazione che faccia riferimento generico all'interesse del creditore, all'entità della prestazione (dato che questa può bastare a spiegare la pattuizione, ma non la misura, della penale) ed all'accettazione del debitore (dato che una penale non è equa solo perché è stata convenuta).

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Consulenze legali
relative all'articolo 1384 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

SERGIO C. chiede
martedì 26/11/2019 - Piemonte
“Sono titolare di una ditta individuale che produce zerbini.
Nel mese di novembre 2017 venni contattato da un rappresentante della società Alfa che mi proponeva dei servizi di ricerca clientela con cui potenzialmente poter stipulare contratti vendita del mio prodotto.
In data 30/11/2017, convintomi dell’opportunità di trovare occasioni di vendita ( trovandomi in una situazione di crisi lavorativa ), sottoscrivevo con la società Alfa un contratto di prestazioni servizi.
Detta società si impegnava a svolgere in favore della mia ditta attività avente oggetto la ricerca, la segnalazione e la presentazione di agenti e/o clienti interessati a valutare la rappresentanza e/o l’acquisto dei prodotti della categoria merceologica della stessa tipologia di quella offerta dalla mia ditta.
- per ogni anno di servizio veniva concordato in € 5.856,00 Iva compresa, pattuendo che il compenso relativo al servizio concordato fosse condizionato al raggiungimento degli obiettivi di fatturato, pari ad €. 150.000 annui meglio specificati in contratto;
- l’art. 5 delle condizioni generali del contratto prevede un obbligo a carico della mia ditta di redigere un relazione contenente il risultato, positivo e/o negativo ( anche in caso di mancata presentazione ) dei rapporti con i soggetti presentati per tramite della società Alfa.
La mia ditta era obbligata a trasmettere detta relazione entro e non oltre la scadenza della I^ e 2^ annualità, intendendo quali termini di natura essenziale.
- non avendo ricevuto alcuna presentazione, dimenticandomi di inviare una relazione “ sul nulla “ la società Alfa ex art. 10 delle condizioni contrattuali mi richiede il pagamento di una penale pari al compenso stabilito del 100% riferito ad un’annualità;
infatti la società Alfa ha chiesto ed ottenuto decreto ingiuntivo relativo al pagamento di € 5.856,00 a titolo di penale ex art 10, pur senza che io abbia ottenuto alcun servizio e/o vantaggio promesso.
Cosa posso fare? C’è possibilità di contestare e contrastare tale richiesta “ estorsiva “? Potete darmi un parere tecnico giuridico sulle possibilità di oppormi al decreto ingiuntivo ricevuto.
Preciso che l’ingiunzione mi è stata notificata a mezzo pec il 19 novembre.

In attesa di un vostro parere, invio cordiali saluti”
Consulenza legale i 04/12/2019
Per rispondere al quesito, occorre in primo luogo far riferimento all’istituto giuridico della clausola risolutiva espressa, prevista nel contratto sottoscritto tra le parti nella presente vicenda.
Tale istituto è disciplinato dall’art. 1456 del codice civile.
Come ha osservato in merito la Corte di Cassazione con sentenza n.4796/2016: “La clausola risolutiva espressa presuppone che le parti abbiano previsto la risoluzione di diritto del contratto per effetto dell'inadempimento di una o più obbligazioni specificamente determinate, sicché la clausola che attribuisca ad uno dei contraenti la facoltà di dichiarare risolto il contratto per "gravi e reiterate violazioni" dell'altro contraente "a tutti gli obblighi" da esso discendenti va ritenuta nulla per indeterminatezza dell'oggetto, in quanto detta locuzione nulla aggiunge in termini di determinazione delle obbligazioni il cui inadempimento può dar luogo alla risoluzione del contratto e rimette in via esclusiva ad una delle parti la valutazione dell'importanza dell'inadempimento dell'altra”.

Nel caso in esame, la clausola di cui al punto 10 delle condizioni generali appare individuare esattamente l’obbligazione (la redazione e trasmissione della relazione), e da questo punto di vista essa è dunque perfettamente valida ed efficace.
A ciò si aggiunga che a differenza di quanto previsto dall’art. 1455 c.c., nel caso della clausola risolutiva espressa non è necessario che l'inadempimento sia grave poiché tale valutazione è rimessa ex ante all'autonomia delle parti.
Inoltre, non rientrando il contratto nella tipologia del contratto del consumatore (si tratta di un accordo tra professionisti) anche volendo ipotizzare una vessatorietà della clausola non potrebbe neanche sostenersi una delle nullità previste dal codice del consumo essendo sufficiente nel nostro caso la sola doppia sottoscrizione, come è avvenuto essendovi appunto stata una specifica approvazione per iscritto ai sensi dell’art. 1341 c.c.
Sul punto, la Corte di Cassazione con sentenza n. 20606/2016 ha sottolineato che: “l'esigenza di specificità e separatezza imposta dall'art. 1341 c.c. non è soddisfatta mediante il richiamo cumulativo numerico e la sottoscrizione indiscriminata di tutte o di gran parte delle condizioni generali di contratto, solo alcune delle quali siano vessatorie, atteso che la norma richiede, oltre alla sottoscrizione separata, la scelta di una tecnica redazionale idonea a suscitare l'attenzione del contraente debole sul significato delle clausole, a lui sfavorevoli, comprese tra quelle specificamente approvate. “
Nella presente vicenda, è soddisfatto anche tale requisito non essendovi un richiamo cumulativo numerico ma una precisa indicazione di alcune clausole specificatamente approvate.

Alla luce di quanto precede, in risposta al quesito, possiamo quindi affermare quanto segue.

Il decreto ingiuntivo richiesto ed ottenuto appare fondato in quanto deriva da una clausola approvata specificatamente per iscritto e pienamente valida ed efficace.
Pertanto, quali motivi di opposizione, non potranno sostenersi la mancanza dei requisiti di cui all’art. 1341 e 1456 c.c.

Tuttavia, poiché la clausola risolutiva prevede anche la corresponsione di una penale (l’importo di cui al provvedimento monitorio) riteniamo che possa applicarsi quanto previsto dall’art. 1384 c.c. che dispone espressamente che la penale può essere diminuita equamente dal giudice qualora il suo ammontare sia “manifestamente eccessivo, avuto sempre riguardo all'interesse che il creditore aveva all'adempimento”.
Sul punto, la Suprema Corte con sentenza n. 13902 del 2016 ha sottolineato che il predetto articolo “non ha la funzione di proteggere il contraente economicamente più debole dallo strapotere dei più forte, tuttavia, mira alla tutela e ricostituzione dell’equilibrio contrattuale, evitando che da un inadempimento parziale o, comunque, di importanza non enorme, possano derivare conseguenze troppo gravi per l’inadempiente”.
Nella presente vicenda, considerato pertanto che l’importo è pari a ben il 100% del compenso riferito ad una annualità, reputiamo che in un eventuale giudizio di opposizione si potrebbe richiedere al giudice una riduzione ad equità, anche alla luce del fatto che Lei non ha avuto alcun utile e/o vantaggio dal contratto stipulato.

M. M. chiede
martedì 14/11/2023
“Buongiorno, sono un libero professionista che collabora da diversi anni con una società di consulenza che opera a livello nazionale. La collaborazione è regolata da un contratto stipulato da entrambe le parti nella forma della scrittura privata, che definisce tutti gli aspetti della collaborazione in essere. La scadenza dell'attuale contratto stipulato è fissata al 31.12.2023.

Nel contratto è sancito:
"8. il Consulente si impegna a non svolgere, anche indirettamente, attività a favore di Clienti, Aziende e/o Enti con
cui è venuto in contatto tramite l’Affidante, per tutto il periodo di validità del presente accordo, nonché per i
dodici mesi successivi al termine o alla risoluzione dello stesso;"

Inoltre


"13. la violazione delle clausole di cui ai numeri 6, 7 e 8 comporterà l’automatica risoluzione del presente contratto
e genererà a carico del Consulente l’obbligo di versare a titolo di penale, una somma pari a dieci volte il
compenso previsto per la commessa assegnata, salvo maggior danno;"

Non ho intensione di rinnovare il contratto per il futuro, lasciandolo scadere al 31.12.2023. La mia richiesta di consulenza riguarda due ambiti:
a) la previsione del "patto di non concorrenza" (art. 2125 CC) per i successivi 12 mesi dal termine del contratto, è valida senza la definizione di un corrispettivo da versare al sottoscritto, al termine naturale del contratto (31.12.2023)?
b) la penale di cui all'art. 13, "pari a dieci volte il compenso previsto per la commessa assegnata, salvo maggior danno;" è adeguata oppure vessatoria? La giurisprudenza, in termini di equo indennizzo per la violazione del "divieto di non concorrenza" (art. 2105 CC) occorso durante la vigenza del contratto stipulato, ha definito a quanto normalmente deve ammontare?

Grazie, resto in attesa di gentile riscontro e saluto cordialmente.

Consulenza legale i 19/11/2023
Se il soggetto destinatario del patto di non concorrenza non è un lavoratore dipendente, bensì un lavoratore autonomo o un libero professionista, come nel caso di specie, la norma di riferimento non è l’art. 2125 c.c. (che si applica esclusivamente ai lavoratori dipendenti), bensì l’art. 2596 c.c., che così dispone: “Il patto che limita la concorrenza deve essere provato per iscritto. Esso è valido se circoscritto ad una determinata zona o ad una determinata attività, e non può eccedere la durata di cinque anni”.

Nessun corrispettivo è invece previsto per il lavoratore (a differenza di quanto accade nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato, ai sensi dell’art. 2125 c.c.), che potrà eventualmente essere oggetto di trattativa tra le parti.

Pertanto, per rispondere al primo quesito, il patto di non concorrenza per i successivi 12 mesi dal termine del contratto, senza la definizione di un corrispettivo, è valido.

È, invece, nullo, in quanto contrario agli artt. 4 e 35 Cost sul diritto al lavoro e la tutela del lavoro, nonché all’art. 41 Cost, il patto di non concorrenza diretto a precludere in assoluto ad una parte di impiegare la propria capacità professionale nel settore economico di riferimento. Non sembra che tale ipotesi ricorra nel caso di specie.

Per quanto riguarda la presunta eccessiva onerosità della clausola penale, viene in rilievo l’art. 1384 c.c. secondo il quale “la penale può essere diminuita equamente dal giudice, se l’obbligazione principale è stata eseguita in parte ovvero se l’ammontare della penale è manifestamente eccessivo, avuto sempre riguardo all’interesse che il creditore aveva all’adempimento”.

La penale potrà, quindi, essere ridotta dal giudice nel caso in cui sia manifestamente iniqua.

Il giudice nel valutare l’esagerazione della penale deve avere riguardo al contratto in cui è inserita e non alla condizione economica delle parti.

L’esagerazione della penale deve emergere chiaramente dal raffronto tra l’interesse all’esecuzione e l’ammontare della penale.

Nella situazione concreta, per esempio, si dovrebbe confrontare il margine di guadagno che avrebbe avuto il committente se il libero professionista avesse rispettato il patto di non concorrenza.

Secondo la Cassazione, infatti, “il giudice, nel valutare se la penale sia manifestamente eccessiva, è tenuto ad effettuare una valutazione comparativa tra: il vantaggio che essa assicura al contraente adempiente, da un lato; e, dall'altro, il margine di guadagno che il contraente adempiente legittimamente si riprometteva legittimamente di trarre dalla regolare esecuzione del contratto” (Cass. civ. sez. III, ordinanza n. 20840 del 21 agosto 2018).
In tema di clausola penale, il criterio che il giudice deve utilizzare per valutarne l'eccessività, a norma dell'art. 1384 c.c., ha natura oggettiva, dovendosi tener conto non della situazione economica del debitore e del riflesso che la penale possa avere sul suo patrimonio, ma solo dello squilibrio tra le posizioni delle parti, avendo il riferimento all'interesse del creditore la funzione di indicare lo strumento per mezzo del quale valutare se la penale sia, o meno, manifestamente eccessiva, e dovendo la difficoltà del debitore riguardare l'esecuzione stessa della prestazione risarcitoria (ove, ad esempio, venga a mancare una proporzione tra danno, costo ed utilità), senza che occorrano ragioni di pubblico interesse che ne giustifichino l'ammontare”(Cass. civ., Sez. II, sentenza n. 7180 del 10 maggio 2012).

Non è possibile fare in questa sede una valutazione dell’eccessiva onerosità della penale.


L.O. chiede
giovedì 18/11/2021 - Lazio
“Avvocati, vorrei sapere se le parole sotto riportate sono contro legge.


Preliminare di compravendita immobile con riserva della proprietà sito in______, Foglio______particella_____sub____cat____ tra: _________ E _______________
================le parti concordano quanto segue: ====================
1) euro ______ al concedente alla firma del presente con l’assegno di c/c ………………………… Salvo buon fine.
2) euro ________ alla firma atto notarile con assegno circolare bancario intestato al concedente;
3) euro _______ mensili per 120 (centoventi) mesi da versare sul codice Iban _________ intestato__________il giorno …………. di ogni mese.
4) il conduttore il 17 Giugno e il 17 Dicembre di ogni anno verserà al venditore, tramite bonifico come per le rate, euro-------- per rimborso Imu;
5) “In caso d'inadempimento del venditore, l'acquirente rinuncia sin d'ora ad adire le vie legali, per ottenere il risarcimento dell'eventuale danno, conseguenza immediata e diretta del suddetto inadempimento”.
6) “Le parti concordano che in caso d'inadempimento dell'acquirente, il venditore non sarà tenuto a restituire le rate riscosse che saranno interamente trattenute a titolo di penale.
Poiché l'acquirente, al momento dell'acquisto, ha versato la caparra confirmatoria pari a euro xxxxxxxxx, in caso d'inadempimento dell'acquirente, il venditore, oltre a trattenere il suddetto importo a titolo di penale, avrà diritto di trattenere anche la caparra confirmatoria, fermo restando l'eventuale ulteriore risarcimento danni”.”
Consulenza legale i 26/11/2021
Esaminiamo le clausole contrattuali nello stesso ordine in cui vengono riportate nel quesito.
La prima, che prevede una rinuncia - da parte del solo acquirente - ad “adire le vie legali” è - almeno in astratto - una tipica clausola vessatoria ai sensi del secondo comma dell’art. 1341 c.c.; più precisamente, comporta una “limitazione di responsabilità” a favore di una sola parte.
La caratteristica fondamentale di questo tipo di clausole è che, per poter essere efficaci, devono essere “specificamente approvate per iscritto”: in altre parole, per la loro approvazione non basta la semplice firma apposta in fondo al contratto, ma devono essere firmate nuovamente a parte (indicandole specificamente).
Tuttavia, va precisato che la disciplina delle clausole vessatorie, contenuta nel comma 2 della norma che stiamo esaminando, si applica nel caso in cui le clausole contrattuali siano state predisposte da uno dei contraenti, e in modo tale da favorire proprio il contraente che le ha predisposte.
Riassumendo, nel nostro caso sarebbe utile esaminare il testo del contratto, per comprendere meglio se si tratta di condizioni contrattuali predisposte unilateralmente (cioè da un solo contraente) e, in tal caso, se siano state specificamente approvate per iscritto.
Inoltre, anche nel caso in cui non si rientri nell’ambito di applicazione dell’art. 1341, comma 2 c.c., occorre tenere presente quanto stabilito dall’art. 1229 c.c., secondo cui non tutte le clausole di limitazione sono comunque valide: sono nulle, infatti, quelle che escludono o limitano preventivamente la responsabilità del debitore per dolo o per colpa grave, o nel caso di violazione di obblighi derivanti da norme di ordine pubblico
La seconda clausola sottoposta al nostro esame richiede innanzitutto una spiegazione su cosa si intenda per “penale” e per “caparra confirmatoria”.
La clausola penale è prevista dagli artt. 1382 e ss. c.c.: si tratta, appunto, della clausola con cui le parti pattuiscono che, in caso d'inadempimento o di ritardo nell'adempimento, uno dei contraenti è tenuto a una determinata prestazione (ad es. pagare una somma di denaro). L'effetto della penale è quello di limitare il risarcimento alla prestazione promessa, a meno che non sia stata pattuita la risarcibilità del danno ulteriore. Inoltre, la penale è dovuta indipendentemente dalla prova del danno.
In ogni caso, l’art. 1384 c.c. attribuisce al giudice il potere di ridurre la penale, se l'obbligazione principale è stata eseguita in parte oppure se l'ammontare della penale è manifestamente eccessivo.
Invece la caparra confirmatoria è prevista dall’art. 1385 c.c.: si tratta della somma di denaro che una parte consegna all’altra al momento della conclusione del contratto, con l’accordo che, in caso di adempimento, dovrà essere restituita o imputata alla prestazione dovuta. In sostanza, come spiega la norma stessa, se la parte che ha dato la caparra è inadempiente, l'altra può recedere dal contratto trattenendo la caparra; se inadempiente è invece la parte che l'ha ricevuta, l'altra può recedere dal contratto ed esigere il doppio della caparra.
Tuttavia, secondo l’opinione prevalente (indirettamente confermata anche da Cass. Civ., Sez. II, sent. 10/05/2012, n. 7180), nel caso in cui il contratto preveda sia la caparra confirmatoria, sia la clausola penale, le stesse non sono cumulabili, nel senso che la parte non inadempiente non potrà pretendere entrambe.
Ad ogni modo, rimane pur sempre il menzionato potere del giudice di ridurre la penale il cui importo risulti manifestamente eccessivo (considerando in questo caso anche il versamento della caparra confirmatoria).
Per un esame più approfondito sarebbe senz’altro opportuna la lettura dell’intero testo contrattuale: tuttavia, già dalle clausole che abbiamo letto in questa sede, appare evidente un significativo squilibrio delle posizioni contrattuali, nettamente a vantaggio del venditore e a sfavore dell'acquirente.