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Articolo 1456 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 31/01/2024]

Clausola risolutiva espressa

Dispositivo dell'art. 1456 Codice Civile

I contraenti possono convenire espressamente che il contratto si risolva nel caso che una determinata obbligazione non sia adempiuta secondo le modalità stabilite(1).

In questo caso, la risoluzione si verifica di diritto quando la parte interessata dichiara all'altra che intende valersi della clausola risolutiva [1457 comma 2](2).

Note

(1) L'obbligazione deve essere indicata in modo preciso e non generico proprio perché la volontà delle parti si sostituisce al controllo del giudice in ordine alla gravità (1455 c.c.). Se, peraltro, sorgono contrasti tra le parti circa uno degli elementi costitutivi della fattispecie (ad esempio circa l'adempimento o meno, ovvero in ordine alla colpevolezza della parte), questi vengono demandati alla cognizione del giudice che decide con una sentenza accertativa e non costitutiva.
(2) La comunicazione, che produce i medesimi effetti di una sentenza giudiziale, è un atto unilaterale (1324 c.c.) recettizio (1334, 1335 c.c.).

Ratio Legis

Con la clausola in esame il legislatore dà alle parti uno strumento utile sia nel merito, in quanto la valutazione circa la gravità dell'inadempimento (1455 c.c.) è preventiva e rimessa alle parti stesse, sia sul piano procedurale, atteso che, in luogo dell'intero procedimento giudiziale, il meccanismo risolutorio opera con la sola comunicazione unilaterale.

Spiegazione dell'art. 1456 Codice Civile

Anche questa clausola si risolve in una forma di autotutela privata, ammessa espressamente dall'ordinamento giuridico. Presupposti richiesti perché si abbia una vera e propria clausola risolutiva espressa. La vera funzione di una tale clausola apposta ai contratti con prestazioni corrispettive

Anche questa clausola si risolve in una forma di autotutela privata, ammessa espressamente dalla legge.

Qui il potere privato di risoluzione sorge da una convenzione delle parti.

Quanto ai presupposti per la risoluzione (sub art. 1453, n. 2), ha da ritenersi che, nel caso di clausola risolutiva espressa, non si richiede la gravità dell’inadempienza.

La clausola risolutiva espressa attribuisce il potere privato di risoluzione quando concorrano queste due condizioni:

a) sia stato specificatamente stabilito quali hanno da essere le prestazioni, e le loro relative modalità, la cui mancata esecuzione potrà dar luogo alla risoluzione;

b) risulti la volontà delle parti di fare operare la risoluzione non dalla sentenza del giudice, ma dalla volizione del creditore deluso: è necessario che risulti una tale volontà delle parti, non bastando il primo presupposto (sub a) della specifica determinazione di quei fatti che dovranno costituire causa di risoluzione, in quanto ciò potrebbe essere fatto al semplice scopo di convenire preventivamente l'eliminazione di ogni futura discussione sulla gravità o meno dell'inadempimento).

In mancanza dei suddetti due presupposti, non potrà vedersi una vera e propria clausola risolutiva espressa, onde per la risoluzione del contratto ci si dovrà attenere al disposto degli articoli 1453, 1454, 1457.

La conclusione al riguardo è duplice:

1) basta che esista la precisa determinazione, fatta d' accordo tra i contraenti, delle obbligazioni, e della loro modalità di esecuzione, la cui violazione avrà da essere causa di risoluzione, perché non sia più dato al giudice - per quanto detta violazione possa essere di lieve importanza - di escludere la risoluzione stessa;

2) trattandosi di vera clausola risolutiva espressa, l’applicabilità dell'art. 1455 ha sempre da ritenersi esclusa per volontà delle parti, appunto perché tale clausola deve contenere necessariamente la specifica determinazione delle obbligazioni (e delle loro modalità di esecuzione) la cui violazione sarà causa di risoluzione e di conseguenza non conterà nulla che la violazione, così predeterminata dai contraenti stessi, possa non avere in sé alcun carattere di gravità. L'esattezza di queste conclusioni può vedersi confermata dalle stesse finalità cui tende la clausola espressa: l'utilità, di essa infatti non può essere che quella di fare sì che il creditore insoddisfatto sia sollecitamente liberato dalla propria obbligazione, o comunque possa riavere la disponibilità della propria prestazione, evitando le lungaggini, le discussioni e i necessari accertamenti che sono propri della risoluzione giudiziale. Pare di poter affermare nettamente che, con la vera e propria clausola risolutiva espressa, l'intento delle parti è quello, e solo quello, di sostituire il proprio sovrano apprezzamento a quello del giudice circa l'opportunità della risoluzione: se non fosse così non si potrebbe altrimenti capire perché le parti abbiano apposta al contratto una espressa clausola risolutiva.


La clausola risolutiva espressa differisce nettamente dalla condizione risolutiva ex art. 1353

La risoluzione, nel caso di clausola espressa, non avviene però ex re.

A questo proposito, si deve subito escludere che detta clausola significhi apposizione al contratto di una vera e propria condizione risolutiva. Infatti:

a) la risoluzione ex art. 1456 non si verifica per il fatto del semplice inadempimento di un contraente; occorre anche una dichiarazione in questo senso da parte dell'altro contraente, dichiarazione che non può configurarsi come semplice dichiarazione esplicativa di una risoluzione già avvenuta;

b) la risoluzione ex art. 1456 non ha efficacia retroattiva reale (art. 1458): si cfr. invece l’art. 1360; e anche nei contratti ad esecuzione continuata o periodica non intacca mai la stabilità delle prestazioni già eseguite, mentre nella condizione vera e propria è ammesso per tale ipotesi il patto contrario (1360).

Bisogna dunque escludere senz'altro che con il patto commissorio le parti abbiano creato quella stretta subordinazione tra l'evento (inadempimento) e l'efficacia del patto stesso che è propria della condizione risolutiva.


Costruzione giuridica di detta clausola

Dunque, è necessario che il creditore deluso dichiari all'inadempiente che esso intende avvalersi, e che si avvale, del potere di risoluzione.

Questo perché il creditore potrebbe avere interesse all'adempimento dell'obbligazione nonostante l'inadempimento del debitore: si deve quindi dire che, nonostante l'inadempimento, la risoluzione avviene solo se così vuole il creditore.

Deve aggiungersi che mentre la domanda di adempimento non pre­clude la possibilità di far valere successivamente il potere di risoluzione, non può invece assolutamente chiedersi l'adempimento quando si sia chiesta la risoluzione in quanto che questa avviene automaticamente al momento di quella richiesta (1456).

La clausola risolutiva espressa può essere così costruita: si tratta di un negozio giuridico che attribuisce al creditore deluso un potere privato di risoluzione, potere che avrà da esercitarsi mediante una dichiarazione unilaterale di volontà diretta all'inadempiente. La risoluzione pertanto è da collegarsi, non alla volontà espressa dai contraenti nel patto commissorio, bensì alla volontà unilaterale del contraente deluso ex art. 1456.

Dal patto commissorio deriva solo il potere di risoluzione a favore del creditore insoddisfatto, potere che appunto si esercita mediante la dichiarazione unilaterale sopraddetta.

Tale dichiarazione quindi assume la struttura di un negozio giuridico unilaterale, con funzione costitutiva, in quanto è ad esso che la legge ricollega direttamente la risoluzione del contratto.

Si tratta di una dichiarazione recettizia, e non è prescritto alcun termine di decadenza entro il quale la dichiarazione deve essere fatta al debitore inadempiente.


Momento in cui opera la risoluzione

La risoluzione opera con lo stesso meccanismo che si è visto a proposito della risoluzione giudiziale.

Essa opera automaticamente, al momento della dichiarazione fatta dal contraente deluso (1456), più precisamente, trattandosi di dichiarazione unilaterale recettizia, al momento in cui questa perviene a conoscenza del destinatario (1334). Sino a detto momento quella dichiarazione è revocabile purché la revoca giunga a conoscenza del destinatario prima della dichiarazione di risoluzione (arg. 1328), e sino a quel momento è ammissibile l'adempimento da parte del debitore. E’ vero che, sebbene il termine concorra a determinare il valore della prestazione, onde l'inosservanza di esso altera quel valore, tuttavia la prestazione tardiva si considera ugualmente valida purché si ripari alla mora con il pagamento dei danni (modifica oggettiva del rapporto obbligatorio); ma è altrettanto vero che, dopo il momento in cui la dichiarazione ex art. 1456 è pervenuta a conoscenza dell'inadempiente, a questi non può più assolutamente essere data la possibilità di adempiere — onde il giudice non potrebbe affatto ritenere per buona l'esecuzione compiuta dopo tale momento — non tanto perché qui non è più il giudice che opera la risoluzione, dovendo egli limitarsi a dichiarare la risoluzione già avvenuta, ma perché da quel momento il contratto è ormai risolto.


Requisito richiesto perché la risoluzione sia opponibile ai terzi

Sempre che si tratti di contratto che rientri in una delle categorie di cui all'art. 2643, affinché la risoluzione abbia efficacia di fronte ai terzi che ancora non abbiano trascritto il loro acquisto (arg. 2651, 2652 n. 1, 1458), sarà necessaria la trascrizione di un atto, posto in essere dalle parti, con il quale sia accertata la risoluzione stessa (2657), o, in mancanza, di una sentenza dichiarativa della risoluzione.

Relazione al Libro delle Obbligazioni

(Relazione del Guardasigilli al Progetto Ministeriale - Libro delle Obbligazioni 1941)

234 Altre ipotesi di risoluzione di diritto si hanno per la forza del patto commissorio espresso o del termine essenziale.
235 La prima fattispecie è prevista nell'art. 257, dove anzitutto si precisa che il patto commissorio espresso è una convenzione che commina la risoluzione del contratto nel caso in cui restino inadempiute determinate obbligazioni.
Insisto sulla parola "determinate" perché essa segnala la mia adesione alla giusta tendenza che considera pura e semplice riproduzione della c.d. clausola risolutiva tacita il patto per cui qualsiasi inadempienza è causa di risoluzione del contratto. La clausola risolutiva espressa deve avere, quindi, un contenuto specifico, e riferirsi alla inadempienza di una o più obbligazioni tassativamente indicate.
A mio avviso, però, potendo il creditore avere interesse alla esecuzione del contratto anche dopo l'inadempimento considerato nel patto commissorio espresso, questo inadempimento non deve produrre di per sé la risoluzione. Perciò ho previsto che la parte che voglia avvalersi della clausola risolutiva espressa, deve dichiararlo all'altra.

Massime relative all'art. 1456 Codice Civile

Cass. civ. n. 8282/2023

Nell'appalto di opere pubbliche, stante la natura privatistica del contratto, è configurabile, in capo all'amministrazione committente creditrice dell'"opus", un dovere - discendente dall'espresso riferimento contenuto nell'articolo 1206 cod. civ. e, più in generale, dai principi di correttezza e buona fede oggettiva che permeano la disciplina delle obbligazioni del contratto - di cooperare all'adempimento dell'appaltatore attraverso il compimento di quelle attività che, distinte rispetto al comportamento dovuto da questi, sono necessarie affinché il medesimo possa realizzare il risultato cui è preordinato il rapporto obbligatorio. Pertanto, qualora il comportamento del debitore, pur integrando il fatto contemplato dalla clausola risolutiva espressa, appaia comunque conforme al criterio della buona fede, non sussiste l'inadempimento, né i presupposti per invocare la risoluzione.

Cass. civ. n. 14195/2022

In tema di clausola risolutiva espressa, la tolleranza della parte creditrice non comporta la eliminazione della clausola, né determina la tacita rinuncia ad avvalersene, qualora la stessa parte creditrice, contestualmente o successivamente all'atto di tolleranza, manifesti l'intenzione di volersene avvalere in caso di ulteriore protrazione dell'inadempimento, in quanto con tale manifestazione di volontà, che non richiede forme rituali e può desumersi per fatti concludenti, il creditore comunque richiama il debitore all'esatto adempimento delle proprie obbligazioni.

Cass. civ. n. 27692/2021

In materia di clausolarisolutiva espressa, anche quando la parte interessata abbia manifestato la volontà di avvalersene, il giudice deve valutare l'eccezione di inadempimento proposta dall'altra parte, attesa la pregiudizialità logica della stessa rispetto all'avverarsi degli effetti risolutivi che normalmente discendono in modo automatico, ai sensi dell'art. 1456 c.c., dall'accertamento di un inadempimento colpevole.

Cass. civ. n. 23879/2021

La stipulazione di una clausola risolutiva espressa non implica che il contratto possa essere risolto solo nei casi espressamente previsti dalle parti, rimanendo fermo il principio per cui ogni inadempimento di non scarsa rilevanza può giustificare la risoluzione del contratto, con l'unica differenza che, per i casi già previsti dalle parti nella clausola risolutiva espressa, la gravità dell'inadempimento non deve essere valutata dal giudice.

Cass. civ. n. 22725/2021

Per la configurabilità della clausola risolutiva espressa, le parti devono aver previsto la risoluzione di diritto del contratto per effetto dell'inadempimento di una o più obbligazioni specificamente determinate nello stesso o in altro atto o documento cui le parti abbiano fatto espresso riferimento, quale, nel caso di mutuo di scopo, la dichiarazione di essere nelle condizioni di fruire di un mutuo a tasso agevolato o in quelle previste nella domanda di concessione. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO NAPOLI, 11/03/2015).

Cass. civ. n. 24532/2018

Presupposto per l'applicazione della clausola risolutiva espressa è l'inadempimento della controparte di chi se ne avvale; ove tale inadempimento non sussista, la clausola può rilevare alla stregua di condizione risolutiva ex art. 1353 c.c., purché l'evento cui si riferisce sia sufficientemente determinato, e non rimesso alla mera volontà di una parte.

Cass. civ. n. 17603/2018

La clausola risolutiva espressa attribuisce al contraente il diritto potestativo di ottenere la risoluzione del contratto per un determinato inadempimento della controparte, dispensandola dall'onere di provarne l'importanza. Essa non ha carattere vessatorio, atteso che non è riconducibile ad alcuna delle ipotesi previste dall'art. 1341, co. 2, c.c., neanche in relazione all'eventuale aggravamento delle condizioni di uno dei contraenti derivante dalla limitazione della facoltà di proporre eccezioni, in quanto la possibilità di chiedere la risoluzione è connessa alla stessa posizione di parte del contratto e la clausola risolutiva si limita soltanto a rafforzarla.

Cass. civ. n. 14508/2018

La tolleranza del locatore nel ricevere il canone oltre il termine stabilito rende inoperante la clausola risolutiva espressa prevista in un contratto di locazione, la quale riprende la sua efficacia se il creditore, che non intende rinunciare ad avvalersene, provveda, con una nuova manifestazione di volontà, a richiamare il debitore all'esatto adempimento delle sue obbligazioni. Tuttavia, in applicazione del generale principio di buona fede nell'esecuzione del contratto e del divieto dell'abuso del processo, non può essere imposto al locatore di agire in giudizio avverso ciascuno dei singoli analoghi inadempimenti, al fine di escludere una sua condotta di tolleranza.

Cass. civ. n. 6386/2018

Il diritto potestativo di risolvere il contratto mediante la manifestazione di volontà di avvalersi della clausola risolutiva espressa è soggetto a prescrizione ai sensi dell'art. 2934 c.c., non trattandosi di diritto indisponibile o comunque di situazione giuridica soggettiva per cui tale causa di estinzione sia esclusa dalla legge e l'inizio della decorrenza del relativo termine coincide, secondo la regola generale dettata dall'art. 2935 c.c., con il momento in cui il diritto stesso può essere fatto valere e cioè con il verificarsi dell'inadempimento, mentre il termine di prescrizione decennale del diritto alle altre singole prestazioni successive, distinte e periodiche, decorre dalle singole scadenze di esse, in relazione alle quali sorge, di volta in volta, l'interesse del creditore a ciascun adempimento.

Cass. civ. n. 4796/2016

La clausola risolutiva espressa presuppone che le parti abbiano previsto la risoluzione di diritto del contratto per effetto dell'inadempimento di una o più obbligazioni specificamente determinate, sicché la clausola che attribuisca ad uno dei contraenti la facoltà di dichiarare risolto il contratto per "gravi e reiterate violazioni" dell'altro contraente "a tutti gli obblighi" da esso discendenti va ritenuta nulla per indeterminatezza dell'oggetto, in quanto detta locuzione nulla aggiunge in termini di determinazione delle obbligazioni il cui inadempimento può dar luogo alla risoluzione del contratto e rimette in via esclusiva ad una delle parti la valutazione dell'importanza dell'inadempimento dell'altra.

Cass. civ. n. 23868/2015

L'agire dei contraenti va valutato, anche in presenza di una clausola risolutiva espressa, secondo il criterio generale della buona fede, sia quanto alla ricorrenza dell'inadempimento che del conseguente legittimo esercizio del potere unilaterale di risoluzione, sicché, qualora il comportamento del debitore, pur integrando il fatto contemplato dalla suddetta clausola, appaia comunque conforme a quel criterio, non sussiste l'inadempimento, né i presupposti per invocare la risoluzione, dovendosi ricondurre tale verifica non al requisito soggettivo della colpa, ma a quello, oggettivo, della condotta inadempiente. (In applicazione dell'anzidetto principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva negato l'inadempimento della licenziataria di un marchio per non aver inviato alla concedente il pattuito estratto conto semestrale, assumendo che l'emissione di un'unica fattura nell'ultimo giorno di quel semestre ne faceva ritenere ragionevole la trasmissione in quello successivo).

Cass. civ. n. 18320/2015

La rinunzia ad avvalersi della clausola risolutiva espressa non osta a che il mancato adempimento dell'obbligazione ivi contemplata assuma rilievo preponderante - in occasione del giudizio sulle reciproche inadempienze da compiersi ai sensi dell'art. 1453 c.c. - nella valutazione comparativa della loro gravità, stante l'originaria importanza che le parti attribuirono a quella specifica obbligazione, includendola nella clausola medesima.

Cass. civ. n. 24564/2013

In tema di clausola risolutiva espressa, la tolleranza della parte creditrice, che si può estrinsecare tanto in un comportamento negativo, quanto in uno positivo, non determina l'eliminazione della clausola per modificazione della disciplina contrattuale, né è sufficiente ad integrare una tacita rinuncia ad avvalersene, ove lo stesso creditore, contestualmente o successivamente all'atto di tolleranza, manifesti l'intenzione di avvalersi della clausola in caso di ulteriore protrazione dell'inadempimento.

Cass. civ. n. 21115/2013

Anche quando la parte interessata abbia manifestato la volontà di avvalersi della clausola risolutiva espressa, il giudice deve valutare l'eccezione di inadempimento proposta dall'altra parte, attesa la pregiudizialità logica della stessa rispetto all'avverarsi degli effetti risolutivi che normalmente discendono in modo automatico, ai sensi dell'art. 1456 c.c., dall'accertamento di un inadempimento colpevole.

Cass. civ. n. 9488/2013

L'azione di risoluzione del contratto ex art. 1456 cod. civ. tende ad una pronuncia di mero accertamento dell'avvenuta risoluzione di diritto a seguito dell'inadempimento di una delle parti previsto come determinante per la sorte del rapporto, in conseguenza dell'esplicita dichiarazione dell'altra parte di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa, differendo tale azione da quella ordinaria di risoluzione per inadempimento per colpa ex art. 1453 cod. civ., che ha natura costitutiva. Ne consegue che, in caso di fallimento del locatario, l'effetto risolutivo del contratto (nella specie, di locazione finanziaria) deve ritenersi già verificato ove la volontà di avvalersi della clausola risolutiva espressa sia stata comunicata anteriormente alla data della sentenza di fallimento, spettando il relativo accertamento al giudice delegato in sede di verifica dello stato passivo.

Cass. civ. n. 13248/2010

Nelle locazioni di immobili ad uso diverso dall'abitazione, alle quali non si applica la disciplina di cui all'art. 55 della legge 27 luglio 1978, n. 392, l'offerta o il pagamento del canone (che, se effettuati dopo l'intimazione di sfratto, non consentono l'emissione, ai sensi dell'art. 665 c.p.c., del provvedimento interinale di rilascio con riserva delle eccezioni, per l'insussistenza della persistente morosità di cui all'art. 663, terzo comma, c.p.c.), nel giudizio susseguente a cognizione piena, non comportano l'inoperatività della clausola risolutiva espressa, in quanto, ai sensi dell'art. 1453, terzo comma, c.c., dalla data della domanda - che è quella già avanzata ex art. 657 c.p.c. con l'intimazione di sfratto, introduttiva della causa di risoluzione del contratto - il conduttore non può più adempiere.

Cass. civ. n. 26508/2009

In tema di risoluzione dei contratti, una volta che la parte interessata, in modo esplicito e inequivoco, non invochi, nella comunicazione inviata alla controparte, la facoltà di avvalersi della clausola risolutiva espressa nel contratto vincolante e vigente tra le parti, la successiva dichiarazione di avvalersi di essa, espressa in relazione all'inadempimento del conduttore, non ha più alcuna rilevanza, anche se contenuta nell'atto introduttivo del giudizio per la risoluzione.

Cass. civ. n. 16993/2007

In tema di risoluzione dei contratti, costituisce rinuncia all'effetto risolutivo il comportamento del contraente che, dopo essersi avvalso della clausola risolutiva espressa, manifesti in modo inequivoco l'interesse alla tardiva esecuzione del contratto.

Cass. civ. n. 2553/2007

La clausola risolutiva espressa non comporta automaticamente lo scioglimento del contratto a seguito del previsto inadempimento, essendo sempre necessario, per l'articolo 1218 c.c., l'accertamento dell'imputabilità dell'inadempimento al debitore almeno a titolo di colpa.

Cass. civ. n. 15026/2005

In tema di clausola risolutiva espressa, la tolleranza della parte creditrice, che si può estrinsecare tanto in un comportamento negativo, quanto in uno positivo (accettazione di un pagamento parziale o tardivo), non determina l'eliminazione della clausola per modificazione della disciplina contrattuale, né è sufficiente ad integrare una tacita rinuncia ad avvalersene, ove la parte creditrice contestualmente o successivamente all'atto di tolleranza manifesti l'intenzione di avvalersi della clausola in caso di ulteriore protrazione dell'inadempimento; la tolleranza può invece incidere sulla posizione soggettiva del debitore, escludendone la colpa, specialmente ove si accompagni ad una regolamentazione pattizia degli interessi prevista proprio per i ritardi nei pagamenti. (Fattispecie relativa a mancato pagamento di canoni di contratto di leasing nonostante solleciti di pagamento).

Cass. civ. n. 167/2005

La clausola risolutiva espressa può essere fatta valere in via di azione o di eccezione: nel primo caso, ove accerti la ricorrenza delle condizioni richieste, il giudice è tenuto a pronunziare la risoluzione; nel secondo, deve invece limitarsi a rigettare la domanda in relazione alla quale l'eccezione risulta proposta.

Cass. civ. n. 10935/2003

In tema di contratti, la clausola risolutiva espressa attribuisce al contraente il diritto potestativo di ottenere la risoluzione del contratto per l'inadempimento di controparte senza doverne provare l'importanza e la risoluzione del contratto per il verificarsi del fatto considerato, come in genere la risoluzione per inadempimento, non può dunque essere pronunciata d'ufficio, ma solo se la parte nel cui interesse la clausola è stata inserita nel contratto dichiari di volersene avvalere. Differentemente, la risoluzione consensuale, o la sopravvenuta impossibilità della prestazione, che determinano automaticamente il venir meno del contratto, rappresentando fatti oggettivamente estintivi dei diritti nascenti da esso, possono essere accertati d'ufficio dal giudice.

Cass. civ. n. 7178/2002

La risoluzione di diritto di un contratto non opera automaticamente per effetto del mero inadempimento di una delle parti, ma nel momento in cui il contraente nel cui interesse è stata pattuita la clausola risolutiva comunica all'altro contraente l'intenzione di volersene avvalere con manifestazione che, in assenza di espressa previsione formale, può essere consacrata anche in un atto giudiziale. Da ciò consegue, fra l'altro, che, nell'ipotesi in cui la domanda, tesa ad accertare detta condizione risolutiva, sia formulata, con riguardo all'inadempimento del contraente il quale sia stato dichiarato fallito, attraverso la domanda di ammissione del relativo credito allo stato passivo fallimentare, la relativa azione soggiace alla regola del concorso formale sancita nell'art. 51 della legge fallimentare, e deve essere dichiarata improponibile.

Cass. civ. n. 9356/2000

La risoluzione di diritto del contratto conseguente all'applicazione di una clausola risolutiva espressa postula non soltanto la sussistenza, ma anche l'imputabilità dell'inadempimento, in quanto la pattuizione di tale modalità di scioglimento dal contratto, pur eliminando ogni necessità di indagine in ordine all'importanza dell'inadempimento, non incide, per converso, sugli altri principi regolatori dell'istituto della risoluzione, né, in particolare, configura un'ipotesi di responsabilità senza colpa, onde, difettando il requisito della colpevolezza dell'inadempimento, la risoluzione non si verifica né, di conseguenza, può in alcun modo essere legittimamente pronunciata.

Cass. civ. n. 5455/1997

L'operatività della clausola risolutiva espressa viene meno in conseguenza della rinunzia della parte interessata ad avvalersene, ma, qualora si deduca la rinunzia tacita - che è pur sempre un atto di volontà abdicativa, ancorché non manifestato espressamente, bensì mediante comportamenti incompatibili con la conservazione del diritto - l'indagine del giudice volta ad accertarne l'esistenza, implicando la risoluzione di una queastio voluntatis, deve essere condotta in modo che non risulti alcun ragionevole dubbio sull'effettiva intenzione del preteso rinunziante. La tolleranza dell'avente diritto - che può estrinsecarsi sia in un comportamento negativo (mancata comunicazione della dichiarazione di avvalersi della clausola subito dopo l'inadempimento), che in un comportamento positivo (accettazione di un adempimento parziale) - non costituisce di per sé prova di rinunzia tacita, ove non risulti determinata dalla volontà di non più avvalersi della clausola, ma da altri motivi, e il giudice, qualora accerti che non è configurabile una rinunzia tacita ma solo un comportamento tollerante, non può attribuire ad esso alcuna rilevanza giuridica ai fini della inoperatività della clausola risolutiva.

Cass. civ. n. 4369/1997

La stipulazione di una clausola risolutiva espressa non significa che il contratto possa essere risolto solo nei casi espressamente previsti dalle parti, rimanendo fermo il principio per cui ogni inadempimento di non scarsa rilevanza può giustificare la risoluzione del contratto, con l'unica differenza che, per i casi già previsti dalle parti nella clausola risolutiva espressa, la gravità dell'inadempimento non deve essere valutata dal giudice.

Cass. civ. n. 5436/1995

In tema di clausola risolutiva espressa, la dichiarazione del creditore della prestazione inadempiuta di avvalersi della risoluzione di diritto (art. 1456, secondo comma, c.c.) non deve essere necessariamente contenuta in un atto stragiudiziale precedente alla lite, ma può manifestarsi, per la prima volta, pure nel corso del giudizio, o nell'atto introduttivo di quest'ultimo, anche se nullo.

Cass. civ. n. 4911/1995

La dichiarazione di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa (art. 1456, comma 2, c.c.) può essere resa, senza necessità di formule rituali, anche in maniera implicita, purché inequivocabile, pure nell'atto di citazione in giudizio per la risoluzione del contratto o in atti giudiziari equipollenti, ma non può, in nessun, caso, avere effetto se la controparte ha già adempiuto alle proprie obbligazioni contrattuali, anche se ciò è avvenuto oltre i termini previsti nel contratto per l'adempimento, atteso che fino a quando il creditore non dichiari di volersi avvalere della detta clausola il debitore può adempiere, seppure tardivamente, la sua obbligazione.

Cass. civ. n. 1029/1993

Quando la risoluzione del contratto si verifica di diritto a seguito della dichiarazione del creditore di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa (art. 1456 c.c.), la valutazione dell'incidenza dell'inadempimento sull'intero contratto è stata già compiuta dalle parti, la cui autonomia privata ha instaurato il collegamento tra singoli inadempimenti considerati nella clausola e risoluzione dell'intero contratto, con la conseguenza che tale collegamento non può più essere contestato né ai fini dell'accertamento giudiziale sull'avvenuta risoluzione, né agli effetti del risarcimento del danno, che va ricondotto al venire meno dell'intero contratto e non limitato al singolo inadempimento considerato nella clausola risolutiva espressa. Tantomeno, per pervenire ad una risoluzione dei danni risarcibili, può essere invocato l'art. 1227 c.c., in quanto, poiché la legge riconosce al contraente adempiente il potere di provocare la risoluzione del contratto, non può nella stessa condotta essere ravvisato un fatto colposo, ovvero il mancato impiego dell'ordinaria diligenza.

Cass. civ. n. 90/1991

Il creditore che si sia avvalso della clausola risolutiva espressa può rinunciare tacitamente all'effetto risolutivo qualora osservi un comportamento inequivoco, che sia chiaramente incompatibile con la volontà di avvalersi di tale effetto; siffatto inequivoco comportamento, peraltro, non può ravvisarsi nell'ipotesi in cui, avvenuta la risoluzione di diritto del contratto, il locatore che ha instaurato il giudizio per il rilascio dell'immobile locato riceva, pur senza espresse riserve, il pagamento del debito scaduto - che non cessa di essere dovuto - nonché degli ulteriori canoni maturati nel corso del giudizio, che il conduttore in mora nella restituzione delle cose locate è comunque tenuto a corrispondere in forza del disposto dell'art. 1591 c.c.

La tolleranza del locatore nel ricevere il canone oltre il termine stabilito rende inoperante la clausola risolutiva espressa prevista in un contratto di locazione, quando essa si sia consolidata attraverso un comportamento abituale; la clausola riprende, peraltro, la sua efficacia se il creditore, che non intende rinunciare ad avvalersene, provveda, successivamente al suo precedente comportamento contrario al mantenimento in vita di detta clausola, con una nuova manifestazione di volontà, a richiamare il debitore all'esatto adempimento delle sue obbligazioni.

Cass. civ. n. 2803/1990

L'azione di risoluzione del contratto ex art. 1456 c.c., tendendo ad una pronuncia dichiarativa dell'avvenuta risoluzione di diritto a seguito dell'inadempimento di una delle parti, previsto come determinante per la sorte del rapporto, ed in conseguenza della esplicita dichiarazione dell'altra parte di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa, ha presupposti, caratteri e natura sostanzialmente diversi dall'azione ordinaria di risoluzione, ex art. 1453 c.c., che tende ad una pronuncia costitutiva, previo l'accertamento, ad opera del giudice, della gravità dell'inadempimento; con la conseguenza che ove una delle due domande sia proposta per la prima volta in grado d'appello, essa deve considerarsi nuova, ai fini di cui all'art. 345, c.p.c.

Cass. civ. n. 4058/1989

In tema di clausola risolutiva espressa, la sua rinuncia tacita da parte del creditore costituisce atto di volontà abdicativa, ancorché la volontà stessa venga manifestata, anziché espressamente, mediante comportamenti incompatibili con la conservazione del diritto. Ne consegue che l'indagine del giudice diretta ad accertarne l'esistenza, implicando sostanzialmente la risoluzione di una quaestio voluntatis, deve essere effettuata in modo che non residui alcun ragionevole dubbio sulla effettiva intenzione dell'asserito rinunziante.

Cass. civ. n. 4226/1987

Con riguardo a clausola che prevede la risoluzione di diritto del contratto in caso di mancata prestazione entro il termine pattuito, la proroga del termine, concessa dal creditore, non rappresenta comportamento incompatibile con l'intenzione di valersi del patto stesso, che rimane efficace nel suo originario contenuto in relazione al termine così modificato.

Cass. civ. n. 6827/1983

Per la configurabilità della clausola risolutiva espressa, le parti devono avere previsto la risoluzione del contratto come conseguenza dell'inadempimento di una o più obbligazioni specificamente determinate, mentre costituisce clausola di stile quella redatta con generico riferimento alla violazione di tutte le obbligazioni contenute nel contralto nulla aggiungendo tale clausola alle norme generali di cui agli artt. 1453 e 1455 c.c. Ove, pertanto, le parti abbiano convenuto la clausola risolutiva espressa con riferimento a determinate obbligazioni, il successivo generico riferimento a tutte le altre obbligazioni contrattuali non è idoneo a far venir meno quella qualifica, non rivelando tale riferimento di per sé solo la comune intenzione delle parti di negare valore e significato alla precedente sua specificazione.

Cass. civ. n. 5640/1983

Le fattispecie previste rispettivamente dagli artt. 1456 c.c. («clausola risolutiva espressa») e 1457 c.c. («termine essenziale per una delle parti») sebbene affini, riguardando entrambe la risoluzione di diritto, per inadempimento, del contratto con prestazioni corrispettive, presentano tuttavia propri e differenti presupposti di fatto, tra cui il diverso atteggiarsi della volontà della parte interessata al momento dell'inadempimento dell'altra, l'effetto risolutivo verificandosi — nella prima — con la dichiarazione dell'intenzione di avvalersi della facoltà potestativa attribuitale dalla legge e — nella seconda — con lo spirare di tre giorni a partire dalla scadenza del termine senza che essa abbia dichiarato all'altra di volere l'esecuzione — ne consegue che, invocata in giudizio l'applicabilità di un termine essenziale relativamente ad una data prestazione (nella specie, stipulazione del contratto definitivo), non può dedursi per la prima volta nel giudizio di legittimità la configurabilità nella relativa pattuizione di una clausola risolutiva espressa.

Cass. civ. n. 3575/1975

Ove la parte che chiede la risoluzione non si sia avvalsa della clausola risolutiva espressa, il giudice deve procedere alla valutazione della gravità dell'inadempimento previsto dalla clausola rimasta inoperante.

Cass. civ. n. 2325/1974

La parte che ha prestato acquiescenza completa alla violazione di un obbligo contrattuale posto in essere dall'altro contraente non può più addurre tale violazione come motivo di inadempimento, e ciò per intervenuta rinuncia. Questo principio vale anche laddove sia stata pattuita una clausola risolutiva espressa, non potendo il creditore avvalersi di tale clausola qualora abbia, col suo comportamento, rinunziato alla rigorosa osservanza dei patti convenuti o a determinate modalità inserite nel contratto.

Cass. civ. n. 2828/1973

La clausola risolutiva espressa è preordinata ad operare di fronte ad un comportamento (di uno dei contraenti) costituente inadempimento in senso tecnico; il recesso convenzionale dal contratto è destinato ad operare in presenza di fatti o comportamenti di una parte che, pur acquistando rilevanza giuridica rispetto all'interesse dell'altra parte alla prosecuzione del rapporto, non costituiscono tuttavia inadempimento vero e proprio e non implicano, quindi, alcun giudizio di riprovazione morale o giuridica.

Cass. civ. n. 1275/1973

È improduttiva di effetti giuridici la dichiarazione di avvalersi della clausola risolutiva espressa contenuta in un contratto, se tale dichiarazione non promani dalla parte interessata o da persona all'uopo investita da mandato speciale.

Cass. civ. n. 1611/1972

La volontà di avvalersi della clausola risolutiva espressa può essere manifestata in ogni valido modo idoneo, e pure se implicito, purché in maniera inequivocabile, e quindi anche attraverso fatti incompatibili con una diversa volontà. (Nella specie il diniego alla proroga del termine, stabilito per il versamento del residuo prezzo di una vendita immobiliare, è stato ritenuto idonea manifestazione dell'intenzione di avvalersi della pattuita clausola risolutiva espressa).

Cass. civ. n. 3012/1971

L'art. 1456 c.c. conferisce alla parte il diritto (potestativo) di determinare la risoluzione automatica del contratto con la mera dichiarazione che essa intende valersi della clausola risolutiva espressa. Qualora il contratto sia stato stipulato da una P.A., la dichiarazione può anche consistere in un decreto amministrativo notificato alla controparte dato che tale forma non modifica il contenuto negoziale dell'atto.

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Consulenze legali
relative all'articolo 1456 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

D. M. chiede
martedì 16/11/2021 - Lazio
“Locazione commerciale di €10.800,00 annui con scadenza Giugno 2025, ridotta a €5.900,00per l'anno 2020 e €4.500 per l'anno 2021 con scritture private di riduzione registrate presso A.E. Nonostante ciò il conduttore, dal mese di Agosto 2021, non paga l'affitto (ridotto) senza addurre alcuna spiegazione(ignora le e-mail di sollecito, non risponde al telefono).
Tanto premesso, si rappresenta che nel contratto madre all' art. 6 è riportato "Il canone annuo di locazione è convenuto in €10800,00 che il conduttore si obbliga a corrispondere, a mezzo in contanti, presso il domicilio del locatore in dodici rate uguali e anticipate di € 900,00 ciascuna entro ii giorno 10 di ciascun mese" ed all'art.7 " il pagamento del canone o di quant'altro dovuto, anche per oneri accessori, non potrà essere sospeso o ritardato da pretese od eccezioni del conduttore, qualunque ne sia il titolo. Il mancato puntuale pagamento sia del canone sia degli oneri accessori costituirà motivo di risoluzione del contratto e costituirà immediatamente in mora il conduttore al fine del decorso degli interessi di legge."
Art.15" L'inadempimento da parte del conduttore anche di uno solo dei patti contenuti in questo contratto, che hanno tutti carattere essenziale, ne produrrà la risoluzione di diritto."
Chiedesi se è possibile risolvere il contratto avvalendosi della clausola risolutiva espressa ex art.1456 c.c. anche se nello stesso non è riportato l'indicazione numerica dell'articolo ma solo il suo contenuto (OBBLIGO ex art. 6 e specificazione modalità e tempi pagamento, art. 7 DIVIETO di sospensione o ritardo del pagamento canone o oneri accessori in quanto costituisce motivo di risoluzione, art.15 dichiarazione di essenzialità di tutti i patti per cui l'inadempimento anche di uno solo produrrà la risoluzione di diritto).
Desiderei risolvere questo contratto velocemente anche per evitare la beffa fiscale”
Consulenza legale i 23/11/2021
Va brevemente premesso che la clausola risolutiva espressa di cui all'art. 1456 c.c., secondo il pacifico orientamento della giurisprudenza, può essere validamente inserita in un contratto quale quello oggetto del quesito: come ha chiarito Cass. Civ., Sez. III, 08/11/2018, n. 28502, “non hanno carattere vessatorio le clausole riproduttive del contenuto di norme di legge; pertanto, non può considerarsi vessatoria la clausola risolutiva espressa inserita nel contratto di locazione di immobili urbani per uso non abitativo e riferita all'ipotesi di inosservanza del termine di pagamento dei canoni, in quanto riproduce il criterio legale di predeterminazione della gravità dell'inadempimento di cui all’art. 5 L. n. 392 del 1978; disposto quest'ultimo non applicabile direttamente alle locazioni non abitative, ma ritenuto utilizzabile per quest'ultime come parametro per valutare la gravità dell'inadempimento”.
Infatti, come ricordato anche da Cass. Civ., Sez. I, sentenza 11/11/2016, n. 23065, “la clausola risolutiva espressa attribuisce al contraente il diritto potestativo di ottenere la risoluzione del contratto per un determinato inadempimento della controparte, dispensandola dall'onere di provarne l'importanza”.
Ora, riguardo alla specifica domanda posta nel quesito, occorre osservare che - sempre secondo la giurisprudenza della Cassazione - una clausola che faccia riferimento, genericamente, all’inadempimento di non meglio specificate obbligazioni derivanti dal contratto deve considerarsi clausola di stile: secondo Cass. Civ., Sez. III, 26/07/2002, n. 11055, “per la configurabilità della clausola risolutiva espressa, le parti devono aver previsto la risoluzione di diritto del contratto per effetto dell'inadempimento di una o più obbligazioni specificamente determinate, costituendo clausola di stile quella redatta con generico riferimento alla violazione di tutte le obbligazioni contenute nel contratto, con la conseguenza che, in tale ultimo caso, l'inadempimento non risolve di diritto il contratto, sicché di esso deve essere valutata l'importanza in relazione alla economia del contratto stesso, non essendo sufficiente l'accertamento della sola colpa, come previsto invece in presenza di una valida clausola risolutiva espressa” (conforme Cass. Civ., Sez. III, 06/04/2001, n. 5147).
Pertanto, se la clausola si limita a menzionare genericamente l’inadempimento delle obbligazioni nascenti dal contratto dovrà considerarsi clausola di stile, con le conseguenze sopra evidenziate; se, invece, essa prevede specificamente gli obblighi la cui violazione determina la risoluzione di diritto, potrà produrre tale tipico effetto, a prescindere dall’indicazione numerica degli articoli (sarebbe utile la lettura integrale del contratto in questione per poter trarre conclusioni maggiormente aderenti alla realtà).

F.G. chiede
giovedì 14/10/2021 - Piemonte
“Buongiorno, il quesito è il seguente.
Sono comproprietario con mia moglie di un negozio adibito ad attività di parrucchieri in forza di un contratto di locazione del 2008. Dopo alcuni passaggi di inquilini attualmente è occupato da un parrucchiere di nazionalità cinese che ha acquistato l'attività nel 2018 da precedente inquilino pure cinese. Gli attuali inquilini si sono resi inadempienti sin dall'inizio nonostante le mie ripetute raccomandate di sollecito, per i seguenti motivi:
1) pagano l'affitto a fine mese o l'inizio del mese successivo invece che entro il 5 del mese di scadenza come previsto nel contratto
2) non hanno versato il deposito cauzionale corrispondente a tre mensilità
3) si sono rifiutati di fornire una polizza assicurativa contro il rischio incendio o scoppio gas. Questi obblighi sono chiaramente espressi nel contratto con la clausola che il mancato adempimento ne comporta la risoluzione ai sensi dell'art. 1456 c.c.
Inoltre il titolare dell'attività è irreperibile sin dall'inizio del suo ingresso nel contratto e
il pagamento dei canoni e il ritiro delle racc. è fatto da altre persone a suo nome.
Nel mese di settembre u.s. con r. r. è stato invitato a regolarizzare i suoi inadempimenti in difetto avremmo agito legalmente, ma nulla è accaduto.
Nei primi di questo mese sempre con r.r. abbiamo loro comunicato che intendiamo avvalerci delle clausole contrattuali espresse e ai sensi dell'art. 1456 lo stesso contratto si deve intendere risolto di diritto. L e mie domande sono le seguenti:
primo se quanto abbiamo fatto fino ad ora è corretto per dichiarare il contratto risolto, secondo quale è la procedura futura per avere libero il negozio da persone e cose. Se nel frattempo l'inquilino adempie ai suoi obblighi siamo tenuti ad accettarli nonostante il contratto si è risolto?
In attesa del parere invio Cordiali saluti”
Consulenza legale i 21/10/2021
La clausola risolutiva espressa indicata nel contratto di locazione sottoscritto è pienamente valida ed efficace.
Parimenti corretto è stato l’invio della lettera datata 24.09.21 con cui si è dichiarato di avvalersi della predetta clausola risolutiva con conseguente risoluzione di diritto del contratto.
Come aveva evidenziato la Corte di Cassazione con la sentenza n.14508 del 2018: “la tolleranza del locatore nel ricevere il canone oltre il termine stabilito rende inoperante la clausola risolutiva espressa prevista in un contratto di locazione, la quale riprende la sua efficacia se il creditore, che non intende rinunciare ad avvalersene, provveda, con una nuova manifestazione di volontà, a richiamare il debitore all'esatto adempimento delle sue obbligazioni.”

Ciò posto, se nonostante la diffida il conduttore non rilascia l’immobile, occorrerà rivolgersi al giudice chiedendo una sentenza che dichiari l’intervenuta risoluzione del contratto.
A tal proposito, la Cassazione con la sentenza n. n.11864 del 2015 ha chiarito che:“La risoluzione del contratto di locazione di immobili sulla base di una clausola risolutiva espressa non può essere pronunciata di ufficio, ma postula la corrispondente e specifica domanda giudiziale della parte nel cui interesse quella clausola è stata prevista, sicchè, una volta proposta l’ordinaria domanda ex art. 1453 cod. civ., con l’intimazione di sfratto per morosità, non è possibile mutarla in richiesta di accertamento dell’avvenuta risoluzione “ope legis” di cui all’art. 1456 cod. civ., atteso che quest’ultima è radicalmente diversa dalla prima, sia quanto al “petitum”, perchè invocando la risoluzione ai sensi dell’articolo 1453 cod. civ. si chiede una sentenza costitutiva mentre la domanda di cui all’articolo 1456 cod. civ. ne postula una dichiarativa, sia relativamente alla “causa petendi”, perchè nella ordinaria domanda di risoluzione, ai sensi dell’articolo 1453 cod. civ., il fatto costitutivo è l’inadempimento grave e colpevole, nell’altra, viceversa, la violazione della clausola risolutiva espressa”.

Ciò premesso, in risposta alle domande contenute nel quesito (e nella mail) riepilogando possiamo quindi affermare che:
1) il modus operandi del locatore è stato corretto in quanto si è avvalso della clausola risolutiva espressa comunicandola con diffida scritta;

2) se il conduttore continua a rimanere nell’immobile, occorrerà rivolgersi al giudice per ottenere una sentenza dichiarativa della intervenuta risoluzione contrattuale;

3) un tardivo adempimento da parte del conduttore è inoperante.
Tra l’altro, come ha osservato la Cassazione con la sentenza n. 28502/2018 se tale adempimento arriva addirittura dopo l’inizio del procedimento giudiziale “nelle locazioni di immobili ad uso diverso dall’abitazione non si applica la disciplina di cui all’art. 55 legge n. 392/1978 (c.d. termine di grazia per il pagamento dei canoni scaduti e relativa sanatoria) con la conseguenza che l’offerta o il pagamento del canone non rendono inoperativa la clausola risolutiva espressa, laddove convenuta dalle parti.

4) circa la riscossione dei canoni permanendo il conduttore nel negozio (e fino a quando sarà dentro) questa non inficia l’operatività della intervenuta risoluzione di diritto.
Sul punto la Cassazione, già nella sentenza n.13525 del 2000 aveva infatti evidenziato che: “il semplice fatto del locatore di continuare a percepire il canone di locazione nella misura dovuta, pur dopo la dichiarazione di cui al secondo comma dell'art. 1456 cod. civ., costituisce comportamento di per sé non univoco di tacita acquiescenza, stante, comunque l'obbligo per il conduttore, ex art. 1591 cod. civ., del corrispettivo in caso di mora nella restituzione del bene”.

Luigi O. chiede
domenica 07/02/2021 - Lazio
“Avvocato, ho già chiesto la vostra consulenza sul problema: Q201924075.

• In sintesi avete risposto: Occorre, tuttavia, distinguere il diritto a chiedere la risoluzione dall’effetto risolutivo automatico che consegue ad una specifica clausola dell’accordo. Nel caso di specie, infatti, pare essere stata inserita in contratto quella che si chiama “clausola risolutiva espressa”, ovvero una clausola in base alla quale, nell’eventualità in cui una delle parti sia inadempiente ad una o più determinate obbligazioni, il contratto si risolve “di diritto”, ovvero automaticamente, senza bisogno che ciò venga statuito da un Giudice con una sentenza di accertamento””.
• Ed ancora: E’ però altrettanto vero che il contratto prevede comunque l’obbligo di pagamento mensile del canone di affitto e che, di conseguenza, anche il mancato pagamento di una sola mensilità attribuisce all’altra parte il diritto di chiedere la risoluzione del contratto.
• Ciò detto dico: non ho ancora risolto il problema.
• L’acquirente, con atto notarile dettagliato affitto con riscatto, continua a non pagare i canoni e la magistratura non interviene.
Mi si dice che la risoluzione del contratto sarebbe più lunga di uno sfratto.
• Atto notarile per abitazione.
• Tutto è stato rimandato a dopo il 30 giugno.
• Cosa devo fare?
• Aiuto!”
Consulenza legale i 12/02/2021
Nelle precedenti consulenze riguardanti la medesima vicenda, si è già ampiamente argomentato circa la differenza tra risoluzione di diritto, conseguente al verificarsi di quanto previsto nella clausola risolutiva espressa (art. 1456 c.c.) inserita nel contratto, e risoluzione per inadempimento. Va precisato, una volta per tutte, che il carattere “automatico” della risoluzione di diritto dovuta alla clausola risolutiva espressa consiste nel fatto che, in tal caso, sono le parti a predeterminare la gravità dell’inadempimento, mentre nella “ordinaria” risoluzione per inadempimento ex art. 1453 c.c. occorre accertare di volta in volta la non scarsa importanza dell’inadempimento ai sensi dell’art. 1455 c.c.
Ciò non toglie che, anche qualora sia prevista una clausola risolutiva espressa, in caso di contestazione da parte del contraente inadempiente occorrerà comunque rivolgersi al giudice, perché accerti l’avvenuta risoluzione.
Tornando alla fattispecie oggetto del quesito, abbiamo più volte spiegato come vi fosse la possibilità di scegliere tra agire per sentir dichiarare l’avvenuta risoluzione di diritto e promuovere una procedura di sfratto per morosità.
Ora, risulta che, nel frattempo, sia stato appunto iniziato un procedimento di sfratto, anche se non è stato possibile ottenere ulteriori informazioni in merito, neppure riguardo allo stato attuale del giudizio.
La procedura introdotta con l’intimazione di sfratto per morosità altro non è se non un giudizio inteso pur sempre ad accertare un inadempimento del conduttore: la sua particolarità risiede nel carattere sommario della cognizione, cioè si può arrivare ad un provvedimento di liberazione dell’immobile in tempi (relativamente) brevi e con accertamenti “semplificati” rispetto a una causa ordinaria.
Tuttavia, vi sono delle variabili: infatti è possibile che il conduttore ottenga un rinvio per poter pagare; oppure che contesti il proprio inadempimento, facendo opposizione. A ciò si aggiungano i tempi purtroppo lunghi del nostro sistema giudiziario.
È comprensibile l’esigenza di veder definita una controversia che dura da tempo, così come è perfettamente legittima l’aspirazione ad ottenere una giustizia più celere. Tuttavia, allo stato, essendoci un giudizio in corso del quale - oltretutto - non conosciamo i dettagli, non rimane che seguirne gli sviluppi.

Luigi O. chiede
martedì 08/12/2020 - Lazio
“Avvocati, c’è già stata una corrispondenza sul caso: Q201924075
Lei ha scritto: “Occorre, tuttavia, distinguere il diritto a chiedere la risoluzione dall’effetto risolutivo automatico che consegue ad una specifica clausola dell’accordo.
Nel caso di specie, infatti, pare essere stata inserita in contratto quella che si chiama “clausola risolutiva espressa”, ovvero una clausola in base alla quale, nell’eventualità in cui una delle parti sia inadempiente ad una o più determinate obbligazioni, il contratto si risolve “di diritto”, ovvero automaticamente, senza bisogno che ciò venga statuito da un Giudice con una sentenza di accertamento

Domanda: e allora come procedere se l’inquilino non va via?
Domanda: perché procedere "automaticamente"? Perché procedere con lo sfratto?”
Consulenza legale i 11/12/2020
La clausola risolutiva espressa rientra tra le cause di risoluzione “di diritto” del contratto. Come è stato già spiegato in occasione della precedente consulenza, si tratta di quella parte dell’accordo con cui viene stabilito che l’inadempimento di una o più obbligazioni specificamente individuate comporta il diritto della parte non inadempiente di chiedere la risoluzione del contratto: precisamente, come chiarito dal secondo comma dell’art. 1456 c.c., l’effetto risolutivo si verifica quando la parte interessata dichiara all'altra che intende valersi della clausola risolutiva stessa.
In sostanza, poiché con la clausola in questione sono le parti stesse a stabilire che un determinato inadempimento sia “grave” ex art. 1455 c.c., e quindi tale da comportare il diritto della parte non inadempiente a chiedere la risoluzione del contratto, in caso di contestazione quest’ultima non sarà tenuta a dimostrare detta gravità: si veda Cass. Civ., Sez. III, n. 29017/2018 (“la clausola risolutiva espressa attribuisce al contraente il diritto potestativo di ottenere la risoluzione del contratto per un determinato inadempimento della controparte, dispensandolo dall'onere di provarne l'importanza. Di talché, in siffatta ipotesi la risoluzione opera di diritto ove il contraente non inadempiente dichiari di volersene avvalere, senza necessità di provare la gravità dell'inadempimento della controparte”).
Qualora l’inquilino non si allontani spontaneamente, occorrerà comunque rivolgersi ad un giudice, per ottenere un titolo esecutivo sulla base del quale procedere, se necessario, coattivamente.
Quanto al tipo di azione, occorrerà distinguere a seconda che si faccia valere, ricorrendone i presupposti, la clausola risolutiva espressa oppure un inadempimento diverso da quello previsto nella predetta clausola, ma tale comunque da poter condurre alla risoluzione del contratto secondo i criteri ordinari.
In effetti, nella precedente consulenza, dopo aver chiarito la nozione di clausola risolutiva espressa, si è spiegato anche che - quanto meno all’epoca - non si era verificato l’inadempimento specificamente previsto dalla clausola risolutiva (risultava non pagata una sola mensilità del canone, anziché due). Tuttavia, veniva anche precisato che il locatore avrebbe potuto azionare, ricorrendone i presupposti, la procedura di sfratto per morosità (art. 658 c.p.c.), che richiede però requisiti diversi a seconda che si tratti di locazione abitativa o commerciale.
Considerato il tempo trascorso (oltre un anno) dalla precedente consulenza, se si desidera non un semplice chiarimento sulla risposta già fornita, ma una indicazione concreta su come procedere oggi, sarà necessario fornire alcune informazioni in più sulla situazione attuale dei pagamenti nonché sul tipo di locazione (abitativa o ad uso diverso) in concreto stipulata.

ANTONIO C. chiede
lunedì 14/09/2020 - Lazio
“Buongiorno,
parliamo di fidejussione bancaria richiesta dal conduttore in favore del locatore a garanzia del pagamento dei canoni e di altri danni al momento della riconsegna dell'immobile.
In sintesi mio figlio ha preso in affitto una appartamento in centro a Roma per un canone di 1.200 euro mensili ed il locatore gli ha chiesto una fidejussione bancaria di 5 mesi di canone (ovvero 6 mila euro). Nel contratto c'è scritto che se non dovesse pervenire detta fidejussione entro 3 mesi dalla sottoscrizione del contratto scatterebbe la clausola risolutiva espressa. La banca nonostante una giacenza di 24 mila euro sul conto di mio figlio sta tardando molto nel rilascio di detta fidejussione e non riesco a capire se arriverà in tempo. La domanda è la seguente: se invece della fidejussione proporrò al locatore la dazione fisica (bonifico, assegno circolare,...) di euro 6.000 a garanzia dei canoni e degli eventuali danni al momento della riconsegna dell'immobile, il locatore potrà rifiutare la proposta far valere la clausola risolutiva espressa ? Come logica mi sembra che non ne abbia il diritto in quanto invece di avere l'impegno della banca avrà direttamente i soldi in tasca, ma su questo punto vorrei il vostro parere scritto e possibilmente argomentato sulla base del codice civile ( ovvero gli articoli interessati).
Grazie per la vostra futura risposta.”
Consulenza legale i 20/09/2020
La clausola risolutiva espressa, la cui disciplina è rinvenibile nell’art. 1456 c.c., risponde all’esigenza, per la parte in favore della quale è stata predisposta, di ottenere la risoluzione di diritto del contratto laddove si verifichi quel particolare evento indicato in detta clausola.

Pertanto, laddove si verifichi tale evento, come nel caso di specie il mancato rilascio di una fideiussione entro 3 mesi, potrebbe legittimamente permettere al locatore di risolvere di diritto la locazione.

Ciò detto, deve, tuttavia, evidenziarsi come, la disponibilità mostrata di sostituire una somma equivalente all’importo della garanzia, permette di raggiungere la stessa finalità della medesima garanzia: ovvero, la sicurezza per il locatore di poter contare su somme prontamente liquidabili in caso di danni o mancato pagamento canoni.

Proprio tale ultima circostanza porta a ritenere che, laddove il locatore richiedesse comunque il rilascio della fideiussione, nonostante la disponibilità a versare la liquidità corrispondente all’importo garantito, una siffatta condotta potrebbe essere considerata contraria alla buona fede nell’esecuzione del contratto ex art. 1375 c.c. Infatti, entrambe le parti devono sempre, nel corso del rapporto, tenere un comportamento che non sia contrario a tale principio.

Ovviamente, la automaticità con cui opera la clausola risolutiva espressa, che opera di diritto, rischia comunque di legittimare il locatore a risolvere il contratto di locazione, dovendo, in un successivo momento, il conduttore attivarsi in sede giudiziale per contestare la contrarietà a buona fede di un siffatto comportamento.

FRANCESCO L. chiede
martedì 30/01/2018 - Liguria
“Con riferimento all'esercizio della clausola risolutiva espressa prevista in un contratto d'affitto d'azienda per mancato pagamento di più canoni d'affitto, nelle more dell'accertamento dell'imputabilità al debitore dell'inadempimento (quali sono i tempi?), al contratto cosa succede? la parte inadempiente, l'affittuario, può continuare l'esercizio dell'azienda?

grazie per la risposta”
Consulenza legale i 06/02/2018
La clausola risolutiva espressa è disciplinata dall’art. 1456 del c.c., alla lettura del quale si rimanda.
L’operatività della clausola risolutiva espressa postula innanzitutto la sua specificità: non è sufficiente che le parti deducano quale causa di risoluzione un generico inadempimento agli obblighi nascenti dal contratto, ma è necessario che l’obbligazione il cui inadempimento determina la risoluzione del contratto sia esattamente individuata.
In secondo luogo, deve essere espressamente previsto che il mancato adempimento di tale obbligazione produca come effetto proprio la risoluzione del contratto. In altri termini, le parti, nell’inserire la clausola in questione, effettuano una valutazione preventiva della gravità dell’inadempimento.
Ciò non significa che la clausola risolutiva espressa operi in via realmente “automatica”: infatti l’effetto risolutivo si verifica in conseguenza della dichiarazione della parte interessata ad avvalersene.
Inoltre la giurisprudenza di legittimità (v. Cass. civ., Sez. I, sentenza 23868/2015) ha chiarito che “la clausola risolutiva espressa non comporta automaticamente lo scioglimento del contratto a seguito del previsto inadempimento, essendo sempre necessario l'accertamento dell'imputabilità dell'inadempimento al debitore almeno a titolo di colpa nonché una valutazione della condotta della parte inadempiente contraria ai principi di buona fede e correttezza; deve, infatti, escludersi la sussistenza dell'inadempimento qualora il debitore, pur realizzando il fatto materiale previsto della clausola risolutiva, abbia tenuto una condotta conforme al principio della buona fede, così da escludere la sussistenza dell'inadempimento tout court e, quindi, dei presupposti per dichiarare la risoluzione del contratto”.
Ne consegue che, qualora sorga contestazione sul punto, l’accertamento dovrà essere necessariamente rimesso al giudice, con tutti i tempi di un procedimento giudiziario.
Ora, la recente giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., Sez. III, sentenza 25743/2013) ha precisato che

l'azione di risoluzione del contratto ex articolo 1456 c.c., tende ad una pronuncia dichiarativa, perché implica l'accertamento dell'inadempienza, con la conseguenza che non ha l'idoneità, con riferimento all'articolo 282 c.p.c., all'efficacia anticipata rispetto al momento del passaggio in giudicato (conforme Cass. 7369 del 2009).
Pertanto fino al momento della definitività della sentenza di accertamento - che in quanto tale deve acquisire quel grado di stabilità che si identifica con il giudicato formale (articolo 324 del c.p.c.), in funzione di quello sostanziale (articolo 2909 del c.c.) - il rapporto contrattuale permane” (“e con esso” - prosegue la sentenza in esame - “nel caso di contratto a prestazioni corrispettive, l'obbligo del conduttore di continuare a corrispondere il canone”).

Ne deriva che, nelle more del giudizio di accertamento dell’imputabilità al debitore dell’inadempimento e - nel caso in cui questa venga accertata - fino al passaggio in giudicato della relativa sentenza, l’affittuario potrà continuare nell’esercizio dell’azienda (ferma restando naturalmente la maturazione dei canoni di affitto: infatti a norma dell’art. 1458 del c.c. “la risoluzione del contratto per inadempimento ha effetto retroattivo tra le parti, salvo il caso di contratti ad esecuzione continuata o periodica, riguardo ai quali l'effetto della risoluzione non si estende alle prestazioni già eseguite”).

Luigi O. chiede
lunedì 14/08/2017 - Lazio
“Mi riferisco all’art. 1453 c.c. e seguenti e all’art. 2930 c.c. e seguenti.
Ho dato in “affitto con riscatto” un mio appartamento con atto notarile.
Nell’atto notarile è scritto: “in caso di mancato pagamento, anche non consecutivo, di almeno due canoni mensili il presente contratto si risolverà di diritto”.
Come procedere?
E’ mio desiderio in caso si regolarizzino i pagamenti dei canoni continuare quanto scritto nell’atto.
L’articolo 1453 c.c. cita il risarcimento del danno. Cioè quali danni? All’appartamento?

Consulenza legale i 21/08/2017
La clausola del contratto in oggetto citata nel quesito è la tipica “clausola risolutiva espressa”, che trova disciplina nell’art. 1456 cod. civ..
Con quest’ultima le parti concordano nell’attribuire particolare importanza, fra tutte quelle di cui al contratto, ad una determinata obbligazione, tanto che il mancato adempimento di quest’ultima comporta una grave conseguenza, ovvero la risoluzione del contratto “di diritto”.
Con tale ultima espressione si intende che, a differenza di quanto accade nella normalità dei casi (in cui chi vuole ottenere la risoluzione del contratto deve richiederla al Giudice, promuovendo un apposito giudizio in cui l’inadempimento di controparte sia accertato con sentenza) – il contratto si risolve in automatico senza bisogno di alcuna pronuncia giudiziale.

L’unica condizione, tuttavia - posta dall’1456 cod. civ., al secondo comma - è quella per cui gli effetti della risoluzione si producono nel momento in cui la parte che vuole avvalersi della clausola (che vuole risolvere il contratto) dichiari all’altra che intende farlo.

“Dichiarare”, semplicemente (e con ciò si risponde alla prima delle domande poste nel quesito), significa comunicare all’altra parte che si vuole attribuire efficacia alla clausola e che quindi il contratto deve intendersi ormai risolto: questa comunicazione è a forma libera ma è altresì “recettizia”, ovvero è importante che pervenga a conoscenza del destinatario.
Ciò significa, in concreto, che benché sia sufficiente e valida anche una comunicazione esclusivamente orale oppure una e-mail, è senz’altro più opportuno adottare una forma che consenta di dimostrare, oltre che l’avvenuto invio della comunicazione, anche e soprattutto l’avvenuta ricezione di quest’ultima. Lo strumento migliore, ad avviso di chi scrive (quando non si possa utilizzare la p.e.c.) è la raccomandata.

Se invece, come vorrebbe chi pone il quesito, si intende rinunciare all’effetto risolutivo automatico della clausola, è necessario – secondo la giurisprudenza – un “comportamento concludente”: a tal fine però, si noti bene, secondo la giurisprudenza, la semplice tolleranza da parte del creditore (a esempio il procrastinare l’invio della comunicazione a controparte) può solo avere come effetto quello di “spostare” in avanti il momento risolutivo, ma non quello di rendere definitivamente inefficace la clausola (tanto che, in un secondo momento, il creditore può di nuovo avvalersi utilmente degli effetti di quest’ultima).

Si riporta, di seguito, qualche pronuncia sul punto:
- “In tema di clausola risolutiva espressa, la tolleranza della parte creditrice, che si può estrinsecare tanto in un comportamento negativo, quanto in uno positivo (accettazione di un pagamento parziale o tardivo) non determina l'eliminazione della clausola per modificazione della disciplina contrattuale, né è sufficiente ad integrare una tacita rinuncia od avvalersene, ove la parte creditrice contestualmente o successivamente all'atto di tolleranza manifesti l'intenzione di avvalersi della clausola in caso di ulteriore protrazione dell'inadempimento. La tolleranza può invece incidere sulla posizione soggettiva del debitore, escludendone la colpa, specialmente ove si accompagni ad una regolamentazione pattizia degli interessi prevista proprio per i ritardi nei pagamenti.” (Cassazione civile, sez. II, 31/10/2013, n. 24564; Tribunale Lucca, 16/06/2015, n. 1115; Tribunale Siena, 17/04/2015, n. 701);
- “La tolleranza del locatore nel ricevere il canone oltre il termine stabilito rende inoperante la clausola risolutiva espressa prevista in un contratto di locazione, la quale riprende la sua efficacia se il creditore, che non intende rinunciare ad avvalersene, provveda, con una nuova manifestazione di volontà, a richiamare il debitore all'esatto adempimento delle sue obbligazioni” (Cassazione civile, sez. III, 14/02/2012, n. 2111).
Afferma altresì, tuttavia, la Cassazione che:
- “In presenza di clausola risolutiva espressa costituisce rinuncia al relativo effetto risolutivo il comportamento del contraente che, dopo essersi avvalso della facoltà di risolvere il contratto manifesti in modo non equivoco l'interesse alla tardiva esecuzione del contratto stesso” (Cass. civ. sez. II, 10/03/2011, n. 5734);
- analogamente “Costituisce rinuncia all'effetto risolutivo, conseguente alla dichiarazione di avvalersi della clausola risolutiva espressa, il comportamento del contraente non inadempiente che mostri in modo non equivoco l'interesse all'esecuzione del contratto” (Cassazione civile, sez. III, 24/11/2010, n. 23824).

Tornando al quesito, dunque, nonostante l’inadempimento del conduttore abbia reso operante la clausola, con effetto risolutivo automatico del contratto, il locatore che abbia ancora interesse all’esecuzione di quest’ultimo nonostante il pagamento tardivo dei canoni e voglia rinunciare agli effetti della clausola pare debba – secondo la giurisprudenza sopra citata - astenersi dall’invio della dichiarazione di cui all’art. 1456 cod. civ. secondo comma, proseguendo normalmente nel rapporto ma – questo è il consiglio di chi scrive per evitare che tale comportamento possa essere interpretato come semplice tolleranza - formalizzando, con comunicazione scritta alla controparte, la volontà di proseguire il rapporto nonostante l’inadempimento, dichiarando di accettare il pagamento tardivo.

In merito alle ultime domande, infine, il danno cui si riferisce l’art. 1453 cod. civ. non è predeterminato: la norma vuole solo significare che, in entrambe le ipotesi (ovvero sia nel caso in cui si scelga di mantenere in piedi il rapporto pretendendo l’adempimento esatto, sia nel caso in cui si preferisca chiuderlo domandando la risoluzione), si ha comunque il diritto ad essere risarciti di eventuali danni subìti.
I danni possono essere di qualsiasi tipo, dipende dal caso concreto: di natura patrimoniale (come i danni al bene immobile cui si accenna nel quesito), di natura non patrimoniale se ve ne siano. Ovviamente l’importante è che il danno sia provato, ovvero il 1453 cod. civ. non attribuisce un ristoro “automatico” (solo per il fatto che c’è stato un inadempimento) ma richiede – come in tutte le ipotesi di istanze risarcitorie – che esso sia dimostrato sia nella sua effettività (dev’esserci stato un danno concreto, reale) sia nel suo ammontare (sono limitate le ipotesi in cui il danno viene liquidato in via equitativa).

Giacomo C. chiede
giovedì 11/08/2016 - Umbria
“Buongiorno.
Il quesito è relativo all'applicazione dell'art. 1456 cc, in posizione di soggetto cedente.
"Nel caso di vendita di immobile abitativo tra privati con pagamento rateale senza patto di riservato dominio, ma con iscrizione di ipoteca legale, è possibile aggiungere nel contratto una clausola risolutiva espressa per inadempimento del compratore relativamente al mancato pagamento del prezzo (ovviamente tenuto conto di quanto stabilito dal precedente art. 1455 sulla rilevanza dell'inadempimento)?"
Grazie

Consulenza legale i 18/08/2016
In base agli attuali e predominanti orientamenti della giurisprudenza in materia, la risposta può dirsi positiva.

La questione è stata oggetto di dibattito, perché ci si è chiesti se - in tema di obbligazione afferente al pagamento del prezzo – l’inadempimento dell’acquirente possa essere dedotto in contratto come “condizione”.

Normalmente, infatti, all’inadempimento segue il rimedio della risoluzione “obbligatoria”, ovvero la parte diligente, verificatosi l’inadempimento della controparte, può rivolgersi al giudice e chiedere la risoluzione del contratto, che quindi verrà dichiarata con sentenza.
Rendere invece, su accordo delle parti, l’inadempimento oggetto di una clausola risolutiva espressa significa che, una volta che esso si verifichi (come se fosse proprio una condizione di efficacia del contratto) la risoluzione opera di diritto (senza cioè bisogno di rivolgersi al Giudice) ed in più ha effetto anche nei confronti dei terzi.

Chi si oppone all’ammissibilità dell’ipotesi di cui al quesito sostiene l’impossibilità di principio che un evento legato al “sinallagma funzionale”, ovvero a quella che è la causa stessa del contratto, possa svolgere la diversa funzione di, per così dire, “elemento accidentale” del negozio.
E’ alla fine prevalsa in giurisprudenza, tuttavia, l'opinione positiva, secondo la quale le parti sono libere di far assumere al pagamento del prezzo il diverso ruolo di evento condizionale.

A questo riguardo ciò che conta è che questo intento emerga chiaramente dal tenore del contratto: “Nessuna incompatibilità di principio può ritenersi sussistente fra condizione ed esecuzione di una prestazione essenziale, quale è il pagamento del prezzo rispetto al contratto, di compravendita, talché è bene ammissibile la deducibilità di quest'ultima come evento condizionante, per accordo fra le parti o per volontà di legge, (…)” (Cassazione civile, sez. III, 24 febbraio 1983, n. 1432; conformi anche Cass. Civ. Sez. I, n. 192/1978 e Cass. Civ. Sez. I, n. 3229/1975).

Si aggiunga che, come è stato correttamente osservato da alcuni studiosi, la condizione risolutiva avente ad oggetto il pagamento del prezzo ben potrebbe essere qualificata come unilaterale, ovvero pattuita nell'esclusivo interesse di uno dei contraenti. In tal caso, ciò significherebbe che detta parte potrebbe farvi rinunzia tanto nel tempo che precede il termine massimo previsto per l'adempimento, quanto successivamente a detto periodo, sia nell'ipotesi in cui l'evento sia mancato, sia in quella in cui si sia realizzato. Pertanto, così qualificata, essa sarebbe pienamente legittima perché il creditore avrebbe la possibilità di scegliere di avvalersi dell'operatività del meccanismo condizionale ovvero di domandare la risoluzione del contratto secondo i principi generali.

Nessun problema, infine, per l’ipoteca legale: l’opinione dominante ritiene che essa operi, come garanzia per l’alienante, in alternativa alla risoluzione: qualora quest’ultimo preferisca chiedere l’adempimento, l’ipoteca costituirà per lui un rimedio molto efficace; diversamente, qualora quest’ultimo si avvalga della clausola risolutiva espressa, l’ipoteca si estinguerà con il ritrasferimento del bene.


Mario R. chiede
lunedì 16/06/2014 - Abruzzo
“Vorrei sapere se, al fine di poter evitare di dichiarare nella denuncia dei redditi tutti i canoni NON percepiti dall'inizio della morosità e non soltanto quelli non percepiti a partire dalla data di convalida di sfratto (causa morosità del conduttore) fosse possibile avvalersi di una clausola scritta sul contratto che dice: "il presente contratto si risolverà ipso iure in caso di inadempimento anche ad uno solo dei citati articoli..." E quindi risolvere unilateralmente il contratto registrando la disdetta anticipata all'Agenzia Entrate.

Inoltre vorrei sapere, in caso di risposta affermativa, se la dichiarazione di volersi avvalere di tale clausola, da comunicare al conduttore moroso, sia soggetta a vincoli di forma oppure è sufficiente una lettera, o se il fatto stesso che già si siano adite le vie legali costituisca un'implicita dichiarazione, sufficiente a consentire di procedere con la risoluzione unilaterale del contratto presso l'Agenzia Entrate.”
Consulenza legale i 16/06/2014
L'art. 23, comma 1, T.U.I.R., come modificato dalla L. n. 431 del 1998, art. 8, comma 5), sancisce che "i redditi derivanti da contratti di locazione ad uso abitativo, se non percepiti, non concorrono a formare il reddito dal momento della conclusione del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità del conduttore". La dichiarazione dei canoni, quindi, va di pari passo con il procedimento che dichiara la risoluzione del contratto per morosità.
Sulla possibilità di assoggettare a tassazione i canoni non percepiti in un momento precedente, si dà conto di due diversi orientamenti giurisprudenziali:
- la Cassazione, con sentenza 6911/2003, afferma che, in tema di determinazione del reddito dei fabbricati, l’articolo 35 del Dpr 597/1973, laddove stabilisce che il reddito lordo effettivo è costituito dai canoni di locazione risultanti dai relativi contratti, deve essere interpretato nel senso che esso riguarda soltanto i criteri applicabili per la revisione della rendita catastale e non può essere invocato nella diversa ipotesi di tassazione del reddito effettivo di un immobile;
- con sentenza 12095/2007, la Suprema Corte ha sostenuto invece che il solo fatto dell’intervenuta risoluzione consensuale del contratto di locazione, unito alla circostanza del mancato pagamento dei canoni relativi a mensilità anteriori alla risoluzione, non è idoneo, di per sé, a escludere che tali canoni concorrano a formare la base imponibile Irpef, salvo che non risulti la volontà delle parti di attribuire alla risoluzione stessa efficacia retroattiva (Cassazione 24444/2005).
Questa seconda posizione è in accordo con la sentenza della Corte costituzionale n. 362/2000, con cui si è affermato che il riferimento al canone locativo a scopo impositivo può operare solo fin quando risulti in vita un contratto di locazione.
E' ben possibile che le parti di un contratto si avvalgano della clausola risolutiva espressa contemplata dall'art. 1456 del c.c.: i contraenti possono convenire espressamente che il contratto si risolva qualora una determinata obbligazione non sia adempiuta secondo le modalità stabilite.
Il creditore avrà l'obbligo di dichiarare all'altro contraente che intende avvalersi della clausola risolutiva con atto negoziale stragiudiziale, avente la stessa forma del contratto risolto (quindi, forma scritta e con prova dell'invio, quindi almeno con raccomandata a.r.).
Pertanto, se le parti hanno concordato una clausola risolutiva espressa, la risoluzione del contratto avviene di diritto dal momento in cui la comunicazione di avvalersi della clausola giunge alla controparte: la successiva sentenza del giudice sarà di mero accertamento, dichiarativa dell'avvenuto scioglimento del rapporto (v. Cass. civ., Sez. III, 22.3.2012, n. 4540).

Quindi, la soluzione proposta nel quesito è, in astratto, giuridicamente fondata.
Tuttavia, la Corte di cassazione, con sent. 6 febbraio 2007, n. 2553, ha stabilito che "la clausola risolutiva espressa non comporta automaticamente lo scioglimento del contratto a seguito del previsto inadempimento, essendo sempre necessario, per l’articolo 1218 del Codice civile, l’accertamento dell’imputabilità dell’inadempimento al debitore almeno a titolo di colpa".
Di conseguenza, per procedere con la risoluzione del contratto all’ufficio del registro, è necessario attendere la pronuncia dell’autorità giudiziaria che attesti l'inadempimento colpevole del debitore. Si torna quindi a dover fare riferimento alla norma citata all'inizio (art. 23, comma 1, T.U.I.R.).
E' possibile ipotizzare che, se la risoluzione espressa fosse stata legata ad un evento fattuale preciso, quale ad esempio il mancato bonifico della mensilità entro un determinato giorno, in questo caso la mancata verificazione dell'evento avrebbe reso superflua ogni valutazione in merito all'elemento soggettivo della colpa.

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